IT

99/6560

COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE

Bruxelles, 25.11.1999

COM (1999) 565 definitivo

1999/0225 (CNS)

 

 

Proposta di

DIRETTIVA DEL CONSIGLIO

che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro

(presentata dalla Commissione)

 

RELAZIONE

 

  1. INTRODUZIONE
  2. L’articolo 13 del trattato che istituisce la Comunità europea, modificato dal trattato di Amsterdam, mette fine alla dibattuta questione della competenza comunitaria sulle questioni della lotta alla discriminazione. Esso costituisce una salda piattaforma su cui basare politiche contro la discriminazione ad ampio raggio, di natura normativa o meno, a livello comunitario, attribuendo al Consiglio poteri espliciti e specifici in materia di lotta contro un’ampia gamma di tipi di discriminazione.

    Il suo testo recita: "Fatte salve le altre disposizioni del presente trattato e nell’ambito delle competenze da esso conferite alla Comunità, il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, può prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazione fondate sul sesso, la razzo o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali".

    La presente proposta fa parte di un triplice pacchetto di misure antidiscriminatorie fondato sull’articolo 13. Questa serie di iniziative comprende due proposte di direttiva e un programma d’azione. Gli altri due elementi del pacchetto sono costituiti da una proposta di direttiva che affronta la discriminazione basata sulla razza o sull’origine etnica che va al di là del mercato del lavoro e da un programma d’azione a sostegno degli sforzi degli Stati membri per combattere la discriminazione nell’UE.

    Obiettivo della presente proposta è stabilire un quadro generale per il rispetto del principio di pari trattamento tra le persone a prescindere da razza o origine etnica, religione o convinzioni personali, handicap, età o tendenze sessuali nell’Unione europea. Gli ambiti coperti dalla proposta sono l’accesso al lavoro e all’occupazione, la promozione, la formazione professionale e le condizioni di lavoro, l’affiliazione ad alcune organizzazioni.

    Le cause di discriminazione cui fa riferimento la presente proposta coincidono con quelle esposte all’articolo 13 del trattato, ad eccezione delle discriminazioni fondate sul sesso. Tale esclusione ha una duplice giustificazione. In primo luogo, la base giuridica appropriata per la legislazione comunitaria in materia di parità di trattamento e di opportunità tra le donne e gli uomini in ambito occupazionale e lavorativo è costituita dall’articolo 141 del trattato. In secondo

     

    luogo, le direttive del Consiglio 76/207/CEE e 86/613/CEE hanno già stabilito il principio della parità di trattamento tra le donne e gli uomini in questo ambito. Sebbene la parità di trattamento in ragione del sesso non sia coperta in quanto tale dalla presente direttiva, si prende tuttavia atto del fatto che la discriminazione basata sulla razza o l’origine etnica, l’handicap, l’età, la religione o le convinzioni personali o ancora le tendenze sessuali può colpire le donne e gli uomini in modo differente. Le ineguaglianze strutturali legate al sesso e ai ruoli di genere di donne e uomini sono spesso più importanti nel contesto di una discriminazione duplice, triplice o multipla per i vari motivi menzionati all’articolo 13 del trattato. La necessità di utilizzare uno spartiacque costituito dalla discriminazione in funzione del sesso è logica conseguenza degli articoli 2 e 3 del trattato che pongono la parità tra le donne e gli uomini tra gli obiettivi espliciti della Comunità e fanno obbligo alla Comunità, in tutti i suoi compiti, di contribuire a eliminare le ineguaglianze e a promuovere la parità tra uomini e donne.

  3. LA DIMENSIONE COMUNITARIA DELLA LOTTA ALLA DISCRIMINAZIONE
  4. La lotta contro la discriminazione costituisce un’importante sfida per l’Unione europea.

    Nonostante il fatto che le tendenze demografiche facciano emergere l’importanza di garantire un’occupazione alla percentuale più grande possibile della popolazione attiva, un’indagine recente condotta in 11 paesi europei ha identificato cinque gruppi di misure discriminatorie in ambito occupazionale che si ripercuotono in particolare sulle persone più anziane: perdita del lavoro, discriminazione nelle assunzioni, esclusione da determinate misure in materia di disoccupazione, esclusione dalla formazione e discriminazione all’atto del pensionamento.

    Esempi concreti di quanto detto sono, in particolare, l’istituzione di età massime di reclutamento (salvo quelle di cui all’articolo 5 lettera d), i limiti per quanto riguarda i diritti alla formazione dei lavoratori anziani in materia di nuove tecnologie, il diritto alla promozione, i licenziamenti di lavoratori anziani in caso di ristrutturazione.

    La disabilità è chiaramente un’importante questione politica in Europa. Un cittadino su dieci nell’Unione europea è portatore di handicap. La disabilità colpisce in misura sproporzionata gli anziani, le minoranze etniche e i gruppi svantaggiati sul piano socioeconomico.

    Diverse stime ufficiali indicano che i portatori di handicap hanno almeno due o tre probabilità in più di essere disoccupati e di rimanere disoccupati per periodi più lunghi rispetto al resto della popolazione attiva. Un fattore che contribuisce a questa situazione è la diffusione della discriminazione basata sulla disabilità . Tale discriminazione comprende tra l’altro l’esistenza di posti lavoro, di postazioni di lavoro e di un’organizzazione del lavoro non sufficientemente adattati.

    Nella sua comunicazione del 30 luglio 1996 che stabilisce una nuova strategia della Comunità europea nei confronti dei disabili, la Commissione ha fatto propria la tendenza su scala internazionale a passare da un sistema assistenzialistico a una strategia basata sui diritti umani in questo ambito. La nuova strategia è imperniata sia sulla prevenzione che sulla rimozione delle barriere che precludono la parità di accesso per i disabili al mercato del lavoro, tra le altre cose. Un elemento centrale della nuova strategia consiste nell’eliminazione di tale discriminazione essenzialmente tramite una ragionevole presa in conto dei bisogni e delle capacità dei disabili.

    La discriminazione basata sulle tendenze sessuali è presente anch’essa sotto varie forme sul posto di lavoro.

    I problemi delle discriminazioni sul posto di lavoro derivanti dalle tendenze sessuali e dall’assenza di una tutela legale a livello di UE sono stati posti in luce da una pronunzia recente della Corte di giustizia europea.

    Inoltre, le due sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo del settembre 1999 che hanno dichiarato illegittimi i licenziamenti degli appartenenti alle forze armate sulla base del loro orientamento sessuale costituiscono una prova evidente dell’esistenza di tale tipo di discriminazione. Due inchieste effettuate rispettivamente nel Regno Unito (1993) e in Svezia (1997) indicano che il 27% e il 48% degli intervistati ha avuto esperienze di molestie sul lavoro dovute all’orientamento sessuale. Tali casi sono però difficili da provare e non sempre emergono in primo piano esempi di prassi discriminatorie. Ciò può essere dovuto al fatto che quello del lavoro è un ambito in cui le persone possono celare le proprie tendenze sessuali per timore di discriminazione e molestie.

    La Corte di giustizia ha inoltre affermato che il diritto alla non discriminazione per motivi di religione è un diritto fondamentale che dev’essere tutelato dalla normativa comunitaria. La Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro ha identificato esempi di buone pratiche quanto al rispetto dei bisogni religiosi dei lavoratori nel suo Compendio europeo di prassi corretta per la prevenzione del razzismo sul luogo di lavoro del 1997.

  5. GIUSTIFICAZIONE DELLA PROPOSTA
    1. Il principio di sussidiarietà
    2. Il fatto che l’articolo 13 attribuisca alla Comunità europea poteri espliciti per combattere le discriminazioni non giustifica di per sé l’adozione di una normativa comunitaria in tale ambito. Conformemente all’articolo 5 del trattato, la Comunità agisce soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell’azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario.

      Un divieto di discriminazione nel campo del lavoro e dell’occupazione esiste già negli Stati membri, ma la sua portata, il suo contenuto e la sua applicazione variano notevolmente. La questione essenziale ora è di determinare in quale misura tali divergenze pregiudicano, nell’ottica della competenza comunitaria, l’efficacia del principio fondamentale della parità sul lavoro.

      1. Necessità di riconoscere i diritti delle persone all’uguaglianza sul lavoro in tutta la Comunità.
      2. La Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori, cui fanno riferimento sia il preambolo del trattato di Amsterdam che l’articolo 136 del trattato riconosce che "ogni persona ha diritto alla libertà di scelta e di esercizio di una professione..." e dichiara che "per assicurare la parità di trattamento è necessario combattere ogni forma di discriminazione."

        Il semplice riconoscimento a livello comunitario del diritto delle persone all’uguaglianza sul piano occupazionale costituirà un chiaro messaggio quanto all’impegno dell’UE di realizzare il principio fondamentale delle pari opportunità per tutti i cittadini e assicurerà una base comune di standard di minima in tale ambito. L’adozione di una normativa comunitaria in questo campo costituisce una chiara affermazione di politica pubblica che non lascia dubbi sulla posizione adottata dalla società europea nei confronti delle pratiche discriminatorie.

        Inoltre, il riconoscimento del diritto all’uguaglianza in campo occupazionale consoliderà la cittadinanza dell’Unione e quindi i diritti e gli interessi dei cittadini dei suoi Stati membri.

      3. L’uguaglianza sul piano occupazionale e la strategia comunitaria per l’occupazione

      Gli Orientamenti in materia di occupazione per il 1999, pur mantenendo la struttura a quattro pilastri dell’anno precedente, aggiungono all’azione specifica condotta nel contesto del pilastro "Pari opportunità" l’utilizzazione di uno spartiacque costituito dalla discriminazione in funzione del sesso (mainstreaming) che gli Stati membri dovranno seguire nell’attuare gli orientamenti in tutti e quattro i pilastri. Vi è inoltre il nuovo orientamento n. 9 - un mercato del lavoro aperto a tutti - volto a rendere l’integrazione nel mercato del lavoro più agevole per i disabili, le minoranze etniche e altri gruppi e individui che hanno difficoltà ad acquisire qualifiche e a immettersi nel mondo del lavoro.

      La realizzazione di un ampio quadro comunitario sull’uguaglianza sul piano occupazionale non avrebbe soltanto l’effetto di promuovere e rafforzare il nuovo orientamento 9 in materia di occupazione, ma contribuirebbe anche a consolidare l’approccio basato sul mainstreaming delle pari opportunità. Una delle conseguenze del divario del 20% che si riscontra tra l’occupazione femminile e quella maschile è che le donne sono sovrarappresentate tra le minoranze etniche e religiose, tra i disabili e gli anziani in condizioni di disoccupazione. La definizione a livello comunitario di un principio generale di uguaglianza sul piano occupazionale contribuirebbe a realizzare l’uguaglianza tra le donne e gli uomini (articolo 2 del trattato) e contribuirebbe a eliminare le ineguaglianze in tutte le attività comunitarie (articolo 3, paragrafo 2 del trattato).

      Alla luce di questi fattori e considerato l’articolo 5 del trattato e il Protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, segnatamente il punto 5, la Commissione ritiene che gli obiettivi di un quadro comunitario sull’uguaglianza sul piano occupazionale possano essere meglio raggiunti dalla Comunità.

    3. l principio di proporzionalità

    Come si è già menzionato, misure antidiscriminatorie esistono in certa misura in tutti gli Stati membri. È essenziale perciò che il livello, la natura e l’impostazione dell’azione comunitaria tengano conto delle diverse situazioni nazionali nella misura in cui ciò è compatibile con le finalità e gli obiettivi di tale azione comunitaria.

    Tenendo presente quanto sopra, la Commissione ritiene che la proposta di una direttiva quadro comunitaria sull’uguaglianza sul piano occupazionale soddisfi pienamente il principio di proporzionalità.

    In primo luogo, la Commissione ha deciso di seguire un approccio in fasi successive, basato sul precedente positivo della legislazione comunitaria in materia di uguaglianza fra i sessi. Il principio della parità retributiva fra donne e uomini di cui all’articolo 114 (ex 119) è stato progressivamente consolidato e sviluppato. Tutta una serie di provvedimenti di diritto derivato è stata varata per realizzare, tra le altre cose, un diritto completo alla non discriminazione sul posto di lavoro tra le donne e gli uomini. Nel lavoro e nell’occupazione emergono con chiarezza tutte le cause di discriminazione. L’occupazione e il lavoro costituiscono inoltre la maggiore garanzia che le persone hanno di inclusione sociale, di piena partecipazione alla vita economica, culturale e sociale e di godimento delle libertà e dei diritti umani fondamentali. Per tale motivo, si ritiene appropriata una proposta orizzontale che interessa l’intero ambito del lavoro e dell’occupazione.

    In secondo luogo, la portata della presente proposta concerne tutte le cause di discriminazione menzionate all’articolo 13, fatta eccezione del sesso, senza però creare tra di esse una gerarchia. Questa mancanza di una gerarchia qualitativa tra le cause di discriminazione è particolarmente importante nei casi di discriminazione multipla. Per tale motivo la proposta è coerente con la struttura e con la finalità esplicita dell’articolo 13.

    Infine, la proposta è volta a stabilire un quadro comunitario finalizzato a stabilire regole generali di protezione contro la discriminazione. La scelta di una direttiva quadro rispecchia il desiderio di assicurare agli Stati membri la flessibilità nella sua attuazione. La formulazione è sufficientemente ampia da tener conto delle diverse circostanze degli Stati membri, in particolare delle loro diverse preferenze e priorità politiche.

    La Commissione ritiene quindi che il principio di proporzionalità di cui all’articolo 5 del trattato e al protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità allegato, segnatamente i punti 6 e 7 di detto protocollo, sia pienamente rispettato. Il presente strumento è infatti una direttiva quadro che dà luogo a un limitato numero di norme, il che lascia agli Stati membri una notevole flessibilità: essi possono mantenere soluzioni nazionali ben consolidate e incoraggiarne, se possibile, l’attuazione mediante accordi collettivi.

  6. BASE GIURIDICA
  7. La base giuridica proposta è l’articolo 13 del trattato, che conferisce alla Comunità poteri specifici di lotta contro la discriminazione. Il fatto che il campo d’applicazione "ratione materiae" delle disposizioni previste interessi non soltanto i lavoratori dipendenti ma anche i lavoratori autonomi e i liberi professionisti e che quello "ratione personae" non si limiti alle persone escluse dal mercato del lavoro, esclude il ricorso all’articolo 137, paragrafo 2 del trattato.

  8. COMMENTO DEI SINGOLI ARTICOLI DELLA PROPOSTA DI DIRETTIVA DEL CONSIGLIO
  9. La presente proposta comprende tre capi: disposizioni generali, ricorso legale e disposizioni esecutive, disposizioni varie.

    Capo I: Disposizioni generali

    Il presente capo espone lo scopo della direttiva e il concetto di discriminazione.

    Articolo 1

    Scopo

    L’articolo 1 definisce lo scopo della direttiva: la definizione di un quadro generale in seno alla Comunità europea per il rispetto del principio di pari trattamento tra le persone a prescindere da razza o origine etnica, religione o convinzioni personali, handicap, età o tendenze sessuali. Questo articolo identifica gli ambiti coperti dalla proposta, segnatamente l’accesso al lavoro e all’occupazione, la promozione, la formazione professionale, le condizioni di lavoro, l’affiliazione ad alcune organizzazioni.

    Le cause di discriminazione menzionate al paragrafo 1 coincidono con quelle elencate all’articolo 13 del trattato, ad eccezione della causa del sesso. Per quanto riguarda le tendenze sessuali, occorre distinguere chiaramente fra le tendenze stesse, cui si riferisce la presente proposta, e il comportamento sessuale, che ne è escluso. Inoltre, va sottolineato che la presente proposta non riguarda lo stato civile e pertanto non conferisce diritti a prestazioni riservate alle coppie sposate.

    Articolo 2

    Concetto di discriminazione

    La definizione del principio di pari trattamento contenuta al paragrafo 1 è coerente con la definizione di cui all’articolo 2, paragrafo 1 della direttiva 76/207/CEE del 9 febbraio 1976. Essa copre sia la discriminazione diretta che quella indiretta.

    A differenza della discriminazione diretta, che può essere descritta quale una differenza di trattamento a motivo di una caratteristica specifica, la discriminazione indiretta è molto più difficile da riconoscere. Per quanto riguarda la discriminazione basata sul sesso, la Corte di giustizia europea ha richiesto prove statistiche per dimostrare la discriminazione indiretta. Tuttavia non sono sempre disponibili statistiche adeguate. Ad esempio, in un’azienda vi possono essere troppo poche persone interessate dalla disposizione in questione oppure, laddove la disposizione, il criterio o la prassi siano appena stati introdotti, possono non essere ancora disponibili statistiche.

    La definizione di discriminazione indiretta del paragrafo 2, lettera b) è ispirata alle pronunzie della Corte di giustizia europea in cause relative alla libera circolazione dei lavoratori.

    Conformemente a tale definizione, una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutrali vanno considerati indirettamente discriminatori se sono intrinsecamente suscettibili di ripercuotersi negativamente su una o più persone per le cause menzionate all’articolo 1. Tale eventualità può essere dimostrata sulla base di prove statistiche o mediante qualsiasi altro mezzo atto a dimostrare che una disposizione sarebbe intrinsecamente svantaggiosa per la persona o le persone interessate. La sottolineatura della necessità di una giustificazione obiettiva in casi di discriminazione indiretta è fondata su due elementi. In primo luogo, l’obiettivo della disposizione, del criterio o della prassi che determina una differenza di trattamento deve presentare un bisogno di tutela e dev’essere sufficientemente sostanziale da giustificare il fatto di fare aggio sul principio della parità di trattamento. In secondo luogo, il mezzi utilizzati per raggiungere tale obiettivo devono essere appropriati e necessari.

    La nozione di discriminazione indiretta dev’essere definita in accordo con le norme generali sull’onere della prova di cui all’articolo 9.

    Il principio della parità di trattamento ai sensi dell’articolo 2 applicato nel contesto della disabilità comporta l’identificazione e l’eliminazione delle barriere che si frappongono ai disabili i quali, con adeguamenti ragionevoli, siano in grado di eseguire le funzioni essenziali di un lavoro. Il concetto è diventato centrale nella costruzione della moderna normativa contro la discriminazione basata sull’handicap ed è anche chiaramente riconosciuto a livello internazionale.

    Il paragrafo 3 definisce la nozione di molestia. Tale condotta può assumere varie forme, da quelle verbali e gestuali fino alla produzione, esibizione o circolazione di testi scritti, immagini o altro materiale. Deve trattarsi comunque di un comportamento di natura grave, tale da creare un ambiente di lavoro sgradevole od ostile.

    La legislazione nazionale più recente che vieta la discriminazione sul lavoro, ossia la legge per l’uguaglianza sul lavoro (Employment Equality Act) irlandese del 1998 e le nuove leggi antidiscriminazione svedesi (1990), considera le molestie sul lavoro come violazione dell’integrità del lavoratore e come un fattore di discriminazione.

    La direttiva afferma con estrema chiarezza che una simile condotta dev’essere considerata discriminazione.

    Il paragrafo 4 delinea il concetto di adeguamento ragionevole. Essenzialmente il concetto deriva dalla presa d’atto che la parità di trattamento può tradursi in realtà soltanto se si fanno delle concessioni ragionevoli alla disabilità, in modo da valorizzare le abilità dell’individuo interessato. Tale concetto non crea un obbligo nei confronti di coloro che, anche con un ragionevole adeguamento, non siano in grado di eseguire le funzioni essenziali di un determinato lavoro. L’obbligo è limitato sotto due aspetti. In primo luogo, esso attiene soltanto a ciò che è ragionevole. In secondo luogo, esso è limitato nei casi in cui determinerebbe un onere indebito.

    Questa disposizione integra e rafforza l’obbligo dei datori di lavoro di adattare il luogo di lavoro ai lavoratori disabili previsto dalla direttiva quadro 89/391/CEE.

    Articolo 3

    Campo di applicazione "ratione materiae"

    L’articolo 3 definisce il campo di applicazione "ratione materiae" della direttiva e specifica gli ambiti già identificati all’articolo 1. Si tratta sempre di ambiti soggetti alla competenza della Comunità.

    La parità di trattamento per quanto concerne l’accesso ad attività lavorative autonome o dipendenti (lettera a) comporta l’eliminazione di qualsiasi discriminazione derivante da disposizioni che impediscono l’accesso delle persone a tutte le forme di lavoro e di occupazione. Per quanto concerne la promozione, la parità di trattamento consiste nell’assicurare che l’avanzamento all’interno della carriera si basi sulle qualifiche, l’abilità e la competenza nell’esecuzione delle mansioni, l’esperienza e qualsiasi altro criterio oggettivo connesso con il posto di lavoro in questione.

    La parità di trattamento nell’occupazione è funzionale alla parità di trattamento nella formazione. Per quanto concerne la parità di accesso alla formazione professionale, l’articolo 3, lettera b) della direttiva è volto a eliminare tutte le forme di discriminazione esistenti nell’orientamento professionale, nella formazione professionale, nella formazione professionale avanzata e nella riqualificazione.

    Per raggiungere l’obiettivo della parità di trattamento sul lavoro, l’articolo 3 intende eliminare le diversità di trattamento che esistono in ambito occupazionale e nelle condizioni di lavoro. I licenziamenti e le retribuzioni sono gli esempi più ovvi e sono stati menzionati espressamente alla lettera c). Va sottolineato che l’esclusione della retribuzione prevista all’articolo 137, paragrafo 6 del trattato CE si riferisce soltanto alle direttive adottate ai sensi di tale articolo, e pertanto non si applica all’azione comunitaria intrapresa in conformità dell’articolo 13.

    L’articolo 3, lettera d) tratta dell’affiliazione a organizzazioni di lavoratori o di datori di lavoro o a qualsiasi altra organizzazione i cui membri esercitano una particolare professione. L’articolo assicura che non vi sia discriminazione per quanto concerne l’affiliazione e l’attività in tali organismi o i benefici dagli stessi erogati.

    Articolo 4

    Qualificazioni professionali autentiche

    L’articolo 4 consente diversità di trattamento giustificate allorché una caratteristica costituisce una qualificazione professionale autentica per un determinato lavoro. La giustificazione in questi casi riguarda la natura del lavoro in questione o il contesto in cui esso viene svolto.

    È evidente che, nelle organizzazioni che promuovono determinati valori religiosi, alcune mansioni devono essere svolte da dipendenti che condividono le relative convinzioni religiose. L’articolo 4, paragrafo 2 consente a tali organizzazioni di esigere le qualificazioni professionali necessarie all’adempimento delle funzioni spettanti al posto da assegnare.

    Articolo 5

    Giustificazione delle diversità di trattamento a motivo dell’età

    Considerato che la parità di trattamento è un principio fondamentale, qualsiasi differenza di trattamento basata esplicitamente sulle cause specificate all’articolo 1, paragrafo 1, di norma andrebbe considerata discriminatoria. La normativa vigente della Comunità e degli Stati membri tende a suggerire che soltanto in circostanze eccezionalissime una simile differenza di trattamento potrebbe essere giustificata.

    Questo articolo contiene un elenco non esaustivo delle diversità di trattamento a causa dell’età che non costituiscono una discriminazione diretta a patto che siano obiettivamente giustificate. Esso intende sia limitare le possibilità di esigere una giustificazione in casi di discriminazione diretta a situazioni eccezionali relative alla causa dell’età e assicurare che questa gamma ristretta di eccezioni rispetti il principio di necessità, proporzionalità e legittimità statuito dalla Corte di giustizia europea per quanto concerne la nozione di discriminazione indiretta.

    Pertanto, gli Stati membri possono autorizzare differenze di trattamento in base all’età diverse da quelle di cui all’articolo 5, in accordo con le proprie tradizioni giuridiche e priorità politiche, purché tali differenze siano appropriate e necessarie al raggiungimento di un fine legittimo.

    Per quanto riguarda l’età, l’articolo 5 non esclude che si possano giustificare differenze col principio della qualificazione professionale autentica.

    Articolo 6

    Azione positiva

    La parità di trattamento può non bastare di per sé se non porta a una reale uguaglianza. La parità di trattamento può anche implicare il riconoscimento di diritti speciali per gruppi specifici di persone. Nell’ambito della discriminazione basata sul sesso, l’articolo 2 della raccomandazione del 1984 invita gli Stati membri a costituire un quadro comprendente disposizioni appropriate per promuovere e facilitare l’introduzione di provvedimenti di azione positiva. La necessità di un’azione positiva è stata già trattata dalla Corte di giustizia europea sia nella causa Kalanke che nella causa Marshall.

    L’articolo 6 consente agli Stati membri di autorizzare le misure legislative o amministrative necessarie per prevenire e correggere le situazioni di disuguaglianza esistenti. Tuttavia, poiché le misure di azione positiva costituiscono una deroga al principio di uguaglianza, esse dovrebbero essere interpretate in modo rigoroso alla luce dell’attuale giurisprudenza in materia di discriminazione sessuale.

    L’azione positiva può consistere, fra l’altro, in provvedimenti volti a promuovere l’inserimento professionale dei giovani, oppure una transizione flessibile dall’occupazione al pensionamento, come stabilito dagli accordi conclusi con le parti sociali.

    La Commissione ha proposto una formulazione generale per la definizione delle misure di azione positiva, basata su quella dell’articolo 141, paragrafo 4 del trattato.

    Articolo 7

    Requisiti minimi

    Si tratta di una disposizione standard di "non regressione" concernente gli Stati membri che dispongono o desiderano dotarsi di norme atte a istituire un livello di protezione più elevato di quello garantito dalla direttiva quadro. Questa disposizione significa che al momento di attuare la direttiva comunitaria non si deve dare un abbassamento del livello di protezione contro la discriminazione già instaurato dagli Stati membri.

    Capo II: Ricorso legale e disposizioni esecutive

    Questo capo tratta delle due condizioni principali per una legislazione efficace contro la discriminazione: il diritto delle vittime a un sistema efficace per presentare individualmente ricorso contro la persona o l’organismo che ha commesso la discriminazione e l’esistenza di adeguati meccanismi in ciascuno Stato membro per assicurare che la normativa sia fatta opportunamente rispettare.

    L’esercizio dei propri diritti si è dimostrato particolarmente difficile nel caso di discriminazione basata sul sesso. Ciò è stato riconosciuto dalla Commissione nella sua prima relazione annuale sulle pari opportunità, in cui si osserva che "restano numerosi problemi in sospeso riguardanti l’applicazione del diritto comunitario: limiti di tempo, l’efficacia dei provvedimenti legali e delle sanzioni e l’accesso alla giustizia sono alcuni dei problemi incontrati dalle donne e dagli uomini che cercano di esercitare i propri diritti".

    Articolo 8

    Tutela dei diritti

    L’articolo 8 concerne le procedure esecutive (accesso alla giustizia) che consentono di far applicare gli obblighi derivanti dalla presente direttiva. In particolare esso conferisce alle persone che si considerano lese la possibilità di dar voce alle loro rivendicazioni mediante una procedura amministrativa e/o giudiziaria, in modo da far rispettare il loro diritto alla parità di trattamento anche dopo che il rapporto di lavoro è terminato. Il presente articolo non interferisce con le disposizioni nazionali sui limiti di tempo per intraprendere un’azione.

    Il diritto alla tutela giuridica è ulteriormente rafforzato dalla possibilità di ammettere le organizzazioni all’esercizio di tali diritti in rappresentanza di una vittima di discriminazioni.

    Articolo 9

    Onere della prova

    Di norma, l’onere di fornire la prova di un’infrazione incombe al querelante. Tuttavia, nelle cause e in materia di discriminazione e occupazione può essere estremamente problematico ottenere prove, in quanto le informazioni pertinenti sono spesso in possesso della parte convenuta.

    Il testo dell’articolo 9 è analogo a quello degli articoli 3 e 4 della direttiva del Consiglio 97/80/CE. Esso stabilisce che l’onere della prova spetti alla parte convenuta conformemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia europea.

    La Commissione propone che l’onere della prova passi alla parte convenuta una volta che il querelante ha fornito prove concrete di un trattamento meno favorevole dovuto a una presunta discriminazione.

    Inoltre, il paragrafo 4 dispone che il principio dell’onere della prova sia applicabile a qualunque azione intentata da associazioni, organizzazioni o qualsiasi altra persona giuridica a tutela di una vittima.

    Articolo 10

    Vittimizzazione

    Un’efficace protezione legale deve comprendere la protezione da rappresaglie. Le vittime possono venir trattenute dall’esercitare i loro diritti a causa del rischio di rappresaglia. Poiché il timore del licenziamento è in generale uno dei grandi ostacoli che si frappongono all’azione individuale, è necessario proteggere le persone dal licenziamento o da altre forme di maltrattamento (ad esempio retrocessione nella carriera o qualsiasi altra misura coercitiva) a seguito di tale azione.

    Articolo 11

    Diffusione delle informazioni

    L’articolo 11 prevede un’appropriata diffusione delle informazioni al riguardo. L’esperienza insegna che le persone sono spesso male o insufficientemente informate sulle questioni antidiscriminatorie. Il principio della parità di trattamento dev’essere pienamente compreso e accettato in quanto desiderabile per la società, assicurando che le decisioni vengano prese su una base oggettiva promuovendo la stabilità e la coesione sociale. Quanto più efficace è il sistema di informazione pubblica e prevenzione, tanto minor bisogno vi sarà di ricorsi individuali.

    Articolo 12

    Dialogo sociale

    La Commissione permane profondamente impegnata a rafforzare il ruolo delle parti sociali nella lotta contro la discriminazione. Questo è il motivo per cui la proposta di direttiva chiede agli Stati membri di incoraggiare le parti sociali a contribuire all’attuazione del principio di parità di trattamento, adottando accordi collettivi con norme antidiscriminazione che dovrebbero tuttavia rispettare i requisiti minimi fissati dalla direttiva.

    Le parti sociali possono svolgere inoltre un ruolo importante di monitoraggio delle prassi sul luogo di lavoro. Le eventuali misure potrebbero comprendere la conclusione di accordi tra le parti sociali e l’adozione di codici di comportamento volti a prevenire la discriminazione.

    Titolo III: Disposizioni varie

    Le disposizioni contenute nel titolo III sono essenzialmente disposizioni standard che compaiono nella maggior parte delle direttive comunitarie in ambito sociale.

    Articolo 13

    Ottemperanza alla direttiva

    Il testo dell’articolo 13 segue d’appresso quello degli articoli 3, 4 e 5 della direttiva 76/207/CEE. Esso riguarda l’ottemperanza alla direttiva da parte degli Stati membri. La parità di trattamento comporta l’eliminazione delle discriminazioni derivanti da disposizioni giuridico-amministrative nonché da contratti di lavoro collettivi o individuali. Senza porre in questione la libertà complessiva delle parti sociali di negoziare accordi, è chiaro che le disposizioni di un contratto o di un accordo contrarie al principio della parità di trattamento devono essere dichiarate nulle e prive di effetto.

    Articolo 14

    Sanzioni

    Si tratta di una disposizione standard contenente sanzioni efficaci, proporzionate alla violazione e dissuasive. Nel dare applicazione alla normativa comunitaria è necessario, come in ogni sistema giuridico, da un lato che coloro cui incombono gli obblighi derivanti da tale normativa siano dissuasi dal violarla e, dall’altro, che quanti non rispettano la normativa comunitaria subiscano le debite sanzioni. Tale disposizione non obbliga gli Stati membri a introdurre sanzioni penali.

    È richiesto agli Stati membri di notificare alla Commissione i testi normativi che prevedono le sanzioni, come pure ogni modifica successiva.

    Articolo 15

    Attuazione

    L’articolo prevede una specifica data (31 dicembre 2002) per il recepimento della direttiva nel diritto nazionale.

    Articolo 16

    Relazione

    Questa disposizione prevede la redazione da parte della Commissione di una relazione basata sulle informazioni fornite dagli Stati membri, per consentire al Parlamento e al Consiglio di verificare il funzionamento in concreto della direttiva.

    Articolo 17

    Entrata in vigore

    È previsto il normale termine di 20 giorni.

    Articolo 18

    Destinatari

    Si tratta di una disposizione standard che non richiede commenti.

  10. APPLICAZIONE ALLO SPAZIO ECONOMICO EUROPEO

Si tratta di un testo rilevante per lo Spazio economico europeo e la direttiva sarà applicabile agli Stati, non membri dell’UE, che aderiscono allo Spazio economico europeo, previa decisione del Comitato misto SEE.

Proposta di

DIRETTIVA DEL CONSIGLIO

che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro

(Testo rilevante ai fini del SEE)

IL CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA,

visto il trattato che istituisce la Comunità europea, in particolare l’articolo 13,

vista la proposta della Commissione1,

visto il parere del Parlamento europeo2,

visto il parere del Comitato economico e sociale,3

visto il parere del Comitato delle regioni,4

IN CONSIDERAZIONE DI QUANTO SEGUE:

  1. L’Unione europea è fondata sui principi della libertà, della democrazia, del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali e dello Stato di diritto, principi comuni a tutti gli Stati membri. Conformemente all’articolo 6, paragrafo 2 del trattato sull’Unione europea, l’Unione rispetta i diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali quali principi generali del diritto comunitario.
  2. L’articolo 13 del trattato che istituisce la Comunità europea conferisce al Consiglio il potere di adottare provvedimenti per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali.
  3. Il principio della parità di trattamento tra i sessi è ormai consolidato da un consistente corpus di norme comunitarie, in particolare dalla direttiva 76/207/CEE del Consiglio, del 9 febbraio 1976, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro5. Il trattato che istituisce la Comunità europea conferisce al Consiglio il potere di adottare misure che assicurino l’applicazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento tra uomini e donne in materia di occupazione e impiego.
  4. Il diritto all’uguaglianza dinanzi alla legge e alla protezione di tutte le persone contro le discriminazioni costituisce un diritto universale riconosciuto dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, dalle convenzioni delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici e sui diritti economici, sociali e culturali di cui tutti gli Stati membri sono firmatari. La Convenzione n. 111 dell’OIL proibisce la discriminazione in materia di occupazione e di impiego.
  5. La Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori riconosce l’importanza di combattere qualsiasi forma di discriminazione, compresa la necessità di intraprendere azioni appropriate per l’integrazione sociale ed economica degli anziani e dei disabili.
  6. Il trattato che istituisce la Comunità europea comprende tra i suoi obiettivi la promozione del coordinamento tra le politiche degli Stati membri in materia di occupazione. A tal fine nel trattato è stato incorporato un nuovo capitolo sull’occupazione che fa della Comunità europea il tramite per sviluppare una strategia europea coordinata in materia di occupazione, al fine di promuovere una forza lavoro qualificata, adeguatamente formata e adattabile.
  7. Gli Orientamenti in materia di occupazione per il 1999, approvati dal Consiglio europeo a Vienna l’11 e 12 dicembre 1998, ribadiscono la necessità di promuovere le condizioni per una partecipazione più attiva sul mercato del lavoro, formulando un insieme coerente di politiche volte a combattere la discriminazione a motivo di handicap, razza o origine etnica. Le conclusioni del Consiglio europeo di Vienna ribadiscono la necessità di aiutare in particolar modo i lavoratori più anziani, onde accrescere la loro partecipazione alla forza lavoro.
  8. L’occupazione e l’impiego sono elementi chiave per garantire pari opportunità a tutti i cittadini e contribuiscono notevolmente alla loro piena partecipazione alla vita economica, culturale e sociale.
  9. La discriminazione basata su razza o origine etnica, religione o convinzioni personali, handicap, età o tendenze sessuali può pregiudicare il conseguimento degli obiettivi del trattato che istituisce la Comunità europea, in particolare il raggiungimento di un elevato livello di occupazione e di protezione sociale, il miglioramento del tenore e della qualità della vita, la coesione economica e sociale e la solidarietà, nonché la libera circolazione delle persone.
  10. Qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su razza o origine etnica, religione o convinzioni personali, handicap, età o tendenze sessuali per quanto concerne gli ambiti di cui alla presente direttiva dev’essere pertanto proibita in tutta la Comunità. Le molestie che producono un clima lavorativo intimidatorio, ostile, offensivo o sgradevole, in relazione a qualsiasi causa di discriminazione, devono essere considerate alla stregua di una discriminazione.
  11. La messa a punto di misure per tener conto dei bisogni dei disabili sul luogo di lavoro ha un ruolo importante nel combattere la discriminazione basata sugli handicap.
  12. Una differenza di trattamento può essere giustificata quando una caratteristica collegata a una causa di discriminazione costituisce una effettiva qualificazione professionale.
  13. L’Unione europea, nella dichiarazione n. 11 sullo status delle chiese e delle organizzazioni non confessionali allegata all’Atto finale del trattato di Amsterdam, ha riconosciuto espressamente di rispettare e non pregiudicare lo status riconosciuto dalle legislazioni nazionali alle chiese e associazioni o comunità degli Stati membri e, inoltre, di rispettare lo status delle organizzazioni filosofiche e non confessionali.
  14. La suddetta proibizione non deve pregiudicare il mantenimento o l’adozione di misure che prevedono vantaggi specifici onde ridurre o eliminare le ineguaglianze associate alle summenzionate cause di discriminazione.
  15. Le disposizioni della presente direttiva fissano requisiti minimi, lasciando liberi gli Stati membri di introdurre disposizioni più favorevoli. L’attuazione della presente direttiva non deve servire da giustificazione per far regredire la situazione preesistente in ciascuno Stato membro.
  16. È importante assicurare che le vittime di discriminazione dispongano di mezzi adeguati di protezione legale. Anche alle associazioni o alle persone giuridiche dev’essere conferito il potere di esercitare il diritto di difesa per conto delle vittime.
  17. L’efficace attuazione del principio di parità richiede un’adeguata protezione giuridica nelle cause civili contro la vittimizzazione e un adeguamento delle regole generali in materia di onere della prova.
  18. Gli Stati membri devono fornire adeguate informazioni sulle disposizioni adottate in virtù della presente direttiva.
  19. Gli Stati membri devono promuovere il dialogo fra le parti sociali ai fini della lotta contro varie forme di discriminazione sul lavoro.
  20. Gli Stati membri devono dotarsi dei mezzi necessari per assicurare che leggi, regolamenti, disposizioni amministrative, accordi collettivi, regolamenti aziendali interni o regolamenti a disciplina del lavoro autonomo, delle professioni o delle organizzazioni di categoria contrari al principio della parità di trattamento siano dichiarati nulli e privi di effetto o modificati.
  21. Gli Stati membri devono prevedere sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive applicabili in caso di violazione degli obblighi stabiliti dalla presente direttiva.
  22. In base ai principi di sussidiarietà e proporzionalità enunciati all’articolo 5 del trattato che istituisce la Comunità europea, gli scopi della presente direttiva, in particolare la realizzazione di una base comunitaria omogenea, all’interno della Comunità per quanto riguarda il divieto di ogni discriminazione in materia di occupazione e di impiego non possono essere realizzati in misura sufficiente dagli Stati membri e possono dunque, a causa delle dimensioni e dell’impatto dell’azione proposta, essere realizzati meglio a livello comunitario. La presente direttiva si limita a quanto è necessario per conseguire tali scopi,

HA ADOTTATO LA PRESENTE DIRETTIVA:

 

CAPO I: DISPOSIZIONI GENERALI

Articolo 1

Obiettivo

La presente direttiva mira a rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento di tutte le persone, a prescindere da razza o origine etnica, religione o convinzioni personali, handicap, età o tendenze sessuali, per quanto concerne l’accesso all’occupazione e all’impiego, compresi gli aspetti della promozione, della formazione professionale, delle condizioni di lavoro e di affiliazione ad alcune organizzazioni.

Articolo 2

Nozione di discriminazione

1. Ai fini della presente direttiva, il principio della parità di trattamento comporta che non sia praticata alcuna discriminazione diretta o indiretta di alcun genere per nessuna delle cause di cui all’articolo 1.

2. Ai sensi del paragrafo 1:

a) una discriminazione diretta si dà quando, per una qualsiasi causa di cui all’articolo 1, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarà trattata un’altra.

b) una discriminazione indiretta si dà quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono ripercuotersi negativamente su una persona o su più persone per una qualsiasi causa di cui all’articolo 1, a meno che tale disposizione, criterio o prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi per il suo conseguimento siano appropriati e necessari.

3. Le molestie nei confronti di una persona collegate a una delle cause di discriminazione e per gli aspetti di cui all’articolo 1, aventi lo scopo o l’effetto di creare un ambiente intimidatorio, ostile, offensivo o sgradevole sono da considerarsi discriminazione ai sensi del paragrafo 1.

 

4. Al fine di garantire il rispetto del principio di non discriminazione nei confronti dei disabili, si deve provvedere agli opportuni adattamenti, ove necessario, per consentire a tali persone di accedere e partecipare all’occupazione o progredire nella carriera, a meno che tale prescrizione non crei un onere indebito.

Articolo 3

Campo d’applicazione

La presente direttiva si applica:

a) alle condizioni di accesso all’occupazione e al lavoro autonomo, compresi i criteri di selezione e le condizioni di reclutamento, quale che sia il settore di attività e a tutti i livelli gerarchici, nonché alla promozione;

b) all’accesso a tutti i tipi e livelli di orientamento e formazione professionale, formazione professionale superiore e riqualificazione professionale;

c) all’occupazione e alle condizioni di lavoro, compresi la fine del rapporto e le retribuzioni;

d) all’affiliazione e all’attività in un’organizzazione di lavoratori o datori di lavoro, o in qualunque altra organizzazione i cui membri esercitino una particolare professione, nonché alle prestazioni erogate da tali organizzazioni.

Articolo 4

Qualificazioni professionali effettive

1. In deroga all’articolo 2, paragrafi 1 e 2, gli Stati membri possono stabilire che una differenza di trattamento basata su una caratteristica correlata a una qualunque delle cause di discriminazione di cui all’articolo 1 non costituisca discriminazione laddove, per la natura delle particolari attività lavorative interessate o per il contesto in cui esse vengono espletate, tale caratteristica costituisca una qualificazione professionale effettiva.

2. Gli Stati membri possono disporre che, nel caso di organizzazioni pubbliche o private che perseguono direttamente ed essenzialmente uno scopo di guida ideologica nel campo della religione o delle convinzioni personali relativamente all’istruzione, all’informazione e all’espressione delle opinioni, nonché per le attività lavorative particolari svolte nel loro seno che vi siano direttamente ed essenzialmente collegate, una differenza di trattamento basata su una caratteristica pertinente collegata alla religione o alle convinzioni personali non costituisca discriminazione laddove, in ragione della natura di tali attività, la caratteristica rappresenti una qualificazione professionale effettiva.

Articolo 5

Giustificate difformità di trattamento collegate all’età

In deroga all’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), in particolare le seguenti difformità di trattamento non costituiscono discriminazione diretta in ragione dell’età, laddove esse siano oggettivamente e ragionevolmente giustificate da una finalità legittima e siano appropriate e necessarie per il conseguimento di tale finalità:

a) il divieto di accesso all’occupazione o la definizione di condizioni di lavoro peciali onde assicurare la protezione dei giovani e dei lavoratori anziani;

b) la fissazione di un’età minima quale condizione per aver titolo alle prestazioni pensionistiche o all’invalidità;

c) la fissazione di età diverse, per lavoratori, o gruppi, o categorie di lavoratori, per aver titolo alle prestazioni pensionistiche o di invalidità a causa di requisiti occupazionali d’ordine fisico o mentale;

d) la fissazione di un’età massima per l’assunzione basata sulle prescrizioni di formazione richieste dal lavoro in questione o la necessità di un ragionevole periodo di occupazione prima del pensionamento.

e) la formulazione di norme riguardanti la durata dell’esperienza professionale;

f) la previsione di limiti d’età appropriati e necessari al conseguimento di giustificati obiettivi di mercato del lavoro.

Articolo 6

Azione positiva

La presente direttiva fa salvo il diritto degli Stati membri di mantenere o adottare misure volte a prevenire o compensare le ineguaglianze esistenti nei confronti delle persone cui si applica una qualunque delle cause di discriminazione di cui all’articolo 1.

Articolo 7

Requisiti minimi

1. Gli Stati membri possono introdurre o mantenere disposizioni più favorevoli per quanto riguarda il principio della parità di trattamento di quelle fissate nella presente direttiva.

 

2. L’attuazione della presente direttiva non può in alcun caso costituire giustificato motivo per una riduzione del livello di protezione contro la discriminazione già predisposto dagli Stati membri nei settori di applicazione della presente direttiva.

 

CAPO II: MEZZI DI RICORSO ED ESECUZIONE

Articolo 8

Difesa dei diritti

1. Gli Stati membri riconoscono a tutte le persone che si ritengono lese, in seguito alla mancata applicazione nei loro confronti del principio della parità di trattamento, anche dopo la cessazione del rapporto di lavoro il diritto di ricorrere, in via giurisdizionale o amministrativa, per l’esecuzione degli obblighi derivanti dalla presente direttiva.

2. Gli Stati membri riconoscono alle associazioni, organizzazioni e altre persone giuridiche il diritto di richiedere, in via giurisdizionale o amministrativa, per conto della persona che si ritiene lesa e con il suo consenso, l’esecuzione degli obblighi derivanti dalla presente direttiva.

Articolo 9

Onere della prova

1. Gli Stati membri prendono le misure necessarie, conformemente ai loro sistemi giudiziari nazionali, per assicurare che, allorché persone che si ritengono lese dalla mancata applicazione nei loro riguardi del principio della parità di trattamento espongono, dinanzi a un tribunale o a un’altra autorità competente, fatti dai quali si può presumere che vi sia stata una discriminazione diretta o indiretta, incomba alla parte convenuta provare che non vi è stata violazione del principio della parità di trattamento.

2. Il paragrafo 1 si applica fatto salvo il diritto degli Stati membri di prevedere disposizioni in materia di prova più favorevoli alle parti attrici.

3. Il paragrafo 1 non si applica ai procedimenti penali, salvo diversa disposizione degli Stati membri.

4. I paragrafi 1, 2 e 3 si applicano altresì alle azioni legali promosse ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 2.

 

 

Articolo 10

Vittimizzazione

Gli Stati membri introducono nei rispettivi ordinamenti giuridici le disposizioni necessarie per proteggere i dipendenti dal licenziamento, o da altro trattamento sfavorevole da parte del datore di lavoro, quale reazione a un reclamo interno all’impresa o a qualsiasi altra azione legale di qualsiasi genere volta a ottenere l’esecuzione del principio della parità di trattamento.

Articolo 11

Diffusione di informazioni

1. Gli Stati membri assicurano che informazioni adeguate sulle disposizioni adottate in virtù della presente direttiva siano fornite agli organi preposti all’educazione e alla formazione professionale e siano adeguatamente divulgate nei luoghi di lavoro.

2. Gli Stati membri assicurano che le competenti autorità pubbliche siano informate, coi mezzi appropriati, di tutte le misure nazionali adottate in virtù della presente direttiva.

Articolo 12

Dialogo sociale

1. Gli Stati membri prendono le misure adeguate per incoraggiare il dialogo tra le parti sociali al fine di promuovere il principio della parità di trattamento, attraverso il monitoraggio delle prassi nei luoghi di lavoro, dei contratti collettivi, codici di comportamento, ricerche o scambi di esperienze e di buone pratiche.

2. Gli Stati membri incoraggiano le parti sociali a concludere al livello appropriato, compreso a livello di impresa, accordi che fissino regole antidiscriminatorie negli ambiti di cui all’articolo 3 che rientrano nella sfera della contrattazione collettiva. Tali accordi rispettano il dettato della presente direttiva e delle relative misure nazionali di attuazione.

 

 

CAPO III: DISPOSIZIONI VARIE

Articolo 13

Ottemperanza alla direttiva

Gli Stati membri prendono le misure necessarie per assicurare che:

a) tutte le leggi, i regolamenti e le disposizioni amministrative contrari al principio della parità di trattamento siano abrogate;

b) tutte le disposizioni contrarie al principio della parità di trattamento contenute nei contratti collettivi, nei contratti di lavoro individuali, nei regolamenti interni delle aziende o nelle regole che disciplinano le attività e le professioni autonome e le organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro, siano dichiarate nulle e prive di effetto oppure siano modificate.

Articolo 14

Sanzioni

Gli Stati membri determinano le sanzioni da irrogare in caso di violazione delle norme nazionali di attuazione della presente direttiva e prendono tutti i provvedimenti necessari per la loro applicazione. Le sanzioni devono essere effettive, proporzionate e dissuasive. Gli Stati membri notificano le relative disposizioni alla Commissione entro la data di cui all’articolo 15 e provvedono poi a notificare immediatamente le eventuali modificazioni.

Articolo 15

Attuazione

Gli Stati membri adottano le leggi, i regolamenti e le disposizioni amministrative necessari per ottemperare alla presente direttiva entro il 31 dicembre 2002 e ne informano immediatamente la Commissione.

Quando gli Stati membri adottano tali disposizioni, queste contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate da un siffatto riferimento all’atto della pubblicazione ufficiale. Le modalità del riferimento sono decise dagli Stati membri.

Articolo 16

Relazione

Entro due anni dalla data di cui all’articolo 15, gli Stati membri trasmettono tutte le informazioni necessarie per consentire alla Commissione di redigere una relazione destinata al Parlamento europeo e al Consiglio sull’applicazione della direttiva.

Articolo 17

Entrata in vigore

La presente direttiva entra in vigore il ventesimo giorno successivo a quello di pubblicazione nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee.

Articolo 18

Destinatari

Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva.

Fatto a Bruxelles,

Per il Consiglio

Il Presidente

 

ALLEGATO

 

SCHEDA DI VALUTAZIONE DELL’IMPATTO

 

IMPATTO DELLA PROPOSTA SULLE IMPRESE, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE (PMI)

Denominazione della proposta :

Proposta di direttiva del Consiglio che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e impiego

Numero di riferimento del documento: 99012

La proposta

1. In considerazione del principio di sussidiarietà, esporre i motivi per i quali è necessaria una normativa comunitaria in questo settore, nonché gli obiettivi principali

L’Unione europea si fonda sui principi dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Il suo impegno in questo campo è stato rafforzato dal trattato di Amsterdam, in particolare tramite modifiche agli articoli 6 e 7 del trattato UE e mediante l’introduzione dell’articolo 13 del trattato CE. Quest’ultimo conferisce un potere specifico per intraprendere azioni volte a combattere la discriminazione basata su sesso, razza o origine etnica, religione o convinzioni personali, handicap, età o tendenze sessuali.

Come si è osservato nella relazione, la maggior parte degli Stati membri ha inserito nel proprio ordinamento costituzionale e/o giuridico disposizioni che disciplinano i diritti alla parità e alla non discriminazione. Tuttavia, la portata e l’esecutività di tali disposizioni - e la facilità di accesso a una riparazione - variano notevolmente da uno Stato membro all’altro. La normativa europea deve assicurare un livello minimo comune di protezione legale, compresi i diritti a ottenere riparazione, per quanto concerne il diritto fondamentale di non essere discriminati in materia di occupazione e impiego per nessuna delle cause menzionate all’articolo 13.

La normativa europea deve ovviamente rispettare i limiti dei poteri conferiti alla Comunità dal trattato. La direttiva proposta fissa perciò principi generali che prevedono un livello minimo comune di protezione entro i limiti delle competenze comunitarie, lasciando agli Stati membri la facoltà di mantenere uno standard più elevato di protezione conformemente al loro particolare contesto sociale e giuridico.

 

La scelta di una direttiva concilia la necessità di un intervento europeo e la necessità di rispettare le diversità tra le costituzioni, gli ordinamenti giuridici e le procedure legali vigenti negli Stati membri. Essa fissa obiettivi comuni da perseguire, lasciando agli Stati membri la necessaria flessibilità per raggiungerli. L’intervento legislativo è quindi limitato a una serie di principi generali che non vanno al di là di un livello minimo di protezione.

Obiettivo della proposta è stabilire un quadro generale per il rispetto del principio della parità di trattamento tra le persone a prescindere da razza o origine etnica, religione o credenze personali, handicap, età o tendenze sessuali nell’Unione europea. Gli ambiti coperti dalla proposta sono l’accesso all’occupazione e all’impiego, la promozione, la formazione professionale, nonché le condizioni di lavoro e l’affiliazione a organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro, nonché alle associazioni di categoria.

L’impatto sulle imprese

2. Determinare l’incidenza della proposta

Tutte le imprese saranno assoggettate alla legislazione nazionale che recepirà la direttiva.

3. Precisare gli obblighi imposti alle imprese per conformarsi alla proposta

Le imprese dovranno assicurare che le decisioni in materia di assunzione, promozione, accesso alla formazione, condizioni di lavoro, compresi gli aspetti dei licenziamenti e delle retribuzioni e l’affiliazione alle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro nonché alle associazioni di categoria, vengano prese conformemente al principio della parità di trattamento, in relazione alle cause menzionate al punto 1. In linea di principio, ciò avviene già in tutti gli Stati membri. La direttiva rafforzerà quindi prescrizioni esistenti piuttosto che introdurre disposizioni affatto nuove.

Gli Stati membri devono assicurare che si faccia il necessario, nei limiti del ragionevole, per consentire ai disabili di accedere e partecipare all’occupazione e di progredire nelle carriere. Per tale motivo, i datori di lavoro pubblici e privati saranno i principali responsabili di assicurare una ragionevole presa in carico.

Per ragionevole presa in carico s’intende l’apportare modifiche o adeguamenti al processo occupazionale e all’ambiente di lavoro, a meno che il farlo comporti "un onere indebito" per i datori di lavoro. Il concetto di onere indebito assicura che vi sia un giusto equilibrio tra le richieste legittime dei disabili di una ragionevole parità di trattamento e i costi per la società e l’azienda che ciò potrebbe comportare. Una ragionevole presa in carico comprende anche diversi adattamenti che sono spesso già disponibili per qualsiasi lavoratore, in modo da affrontare bisogni specifici e da accrescere la produttività (come ad esempio i computer con controllo vocale).

 

4. Definire la prevedibile incidenza economica della proposta

Nel campo dell’occupazione, la legislazione che tutela gli individui dalla discriminazione per motivi arbitrari ha tre effetti principali. In primo luogo, essa contribuisce ad assicurare la partecipazione sociale e a evitare l’emarginazione, assicurando che le persone abbiano l’opportunità di realizzare le loro potenzialità in termini economici e siano così in grado di provvedere a sé stesse e alle persone a loro carico nel miglior modo e di ridurre la loro dipendenza dallo Stato. In secondo luogo, essa assicura che le imprese abbiano a disposizione lavoratori qualificati al meglio, contribuendo così alla competitività e al rafforzamento dell’impresa e all’economia in senso lato. In terzo luogo, essa impone ai datori di lavoro di giustificare le loro decisioni in materia, ad esempio, di assunzioni, promozioni, accesso alla formazione e altre condizioni lavorative.

La presente proposta, limitando la discriminazione in materia di occupazione e impiego, determinerà una maggiore partecipazione socioeconomica e una riduzione dell’emarginazione sociale. Ciò produrrà benefici diretti sulla crescita economica, riducendo la spesa pubblica per la sicurezza sociale e l’assistenza, migliorando il potere d’acquisto dei singoli nuclei familiari e promuovendo la competitività delle imprese grazie al fatto che esse sono così in grado di fare il miglior uso delle risorse disponibili sul mercato del lavoro.

a) Quale sarà l’impatto

- sull’occupazione?

La direttiva contribuirà a realizzare un mercato del lavoro aperto a tutti, come richiesto dalla strategia europea per l’occupazione. Di conseguenza, essa contribuirà al miglioramento della qualità dell’occupazione e, nel medio termine, ci si può aspettare che determini un aumento dei livelli occupazionali dovuto alla maggiore competitività delle imprese europee.

- sugli investimenti e sulla costituzione di nuove imprese?

La direttiva alleggerirà le condizioni di accesso all’occupazione e all’impiego, al lavoro salariato, al lavoro autonomo e alle professioni liberali.

- sulla competitività delle imprese?

La direttiva è importante ai fini della competitività, onde assicurare che tutti gli operatori economici si trovino su un piede di parità. Come si è visto precedentemente, la direttiva rafforzerà la competitività delle imprese europee, assicurando che esse abbiano a loro disposizione un bacino più ampio di abilità e di risorse rispetto a quello attuale e che si faccia uso di tali abilità senza distinzione.

 

b) Si dovranno porre in atto nuove procedure amministrative?

Le imprese dovranno essere in grado di giustificare le decisioni in materia di assunzioni, promozioni, accesso alla formazione e altre condizioni lavorative, in modo da dimostrare che esse non sono state prese su base discriminatoria. Questo è già una realtà in circa la metà degli Stati membri. È nell’interesse delle imprese assicurare in una certa misura la rendicontazione di tali decisioni, ove ciò non sia già prassi corrente.

c) Costi e benefici in termini quantitativi e/o qualitativi.

Le imprese si troveranno a dover sostenere nel breve termine dei costi limitati sia per assicurare la formazione dei decisori all’interno delle imprese sull’attuazione del principio della parità di trattamento, laddove ciò non sia già stato fatto, sia per contestare i reclami in materia di discriminazione. Negli Stati membri in cui non esistono ancora disposizioni equivalenti per combattere diverse forme di discriminazione, l’adattamento alle nuove disposizioni sarà agevolato dalla familiarità che le imprese hanno col quadro comunitario per le pari opportunità tra le donne e gli uomini che è in vigore da più di vent’anni.

Nel medio termine, le imprese trarranno beneficio dall’accresciuto impegno dei dipendenti e dalla maggiore competitività derivante da un migliore uso delle risorse (vedi sopra).

La valutazione dell’impatto economico delle disposizioni esistenti di presa in conto dei disabili evidenzia diversi effetti positivi, tra cui sostanziali riduzioni dell’assenteismo e i conseguenti risparmi per i datori di lavoro che investono in migliorie dell’ambiente di lavoro. Un importante effetto della prescrizione di prendere in carico i disabili è la presa di coscienza che è economicamente proficuo investire in un miglior ambiente di lavoro e in una migliore organizzazione del lavoro.

d) Quali costi deriveranno dalla direttiva?

La direttiva fissa un quadro flessibile e generale per l’attuazione del principio della parità di trattamento e spetta agli Stati membri e alle parti sociali fissare i mezzi specifici per porlo in atto. I costi saranno comunque limitati (vedi sopra).

Da dati del 1995 relativi agli Stati Uniti basati su indagini in corso tra gli imprenditori emerge che per gli imprenditori che hanno apportato adeguamenti in tal senso, circa 18% degli adeguamenti non ha comportato costi aggiuntivi, mentre per un altro 50% i costi sono andati da 1 USD a 500 USD. Solo 5% superavano i 5 000 USD. Il costo medio degli adeguamenti è stato di 992 USD, mentre il costo mediano di 200 USD. Gli stessi imprenditori ritengono inoltre che le loro imprese abbiano risparmiato mediamente 27 volte l’importo da esse speso per apportare gli adeguamenti. Il risparmio comprendeva in particolare la capacità di assumere o tenere in azienda un lavoratore qualificato, l’eliminazione del costo di formazione di un nuovo dipendente, risparmi nei costi assicurativi, aumenti nella produttività dei lavoratori.

e) Cosa dovranno fare le imprese in termini di monitoraggio e valutazione?

La direttiva non impone direttamente alle imprese di effettuare il monitoraggio e la valutazione della loro ottemperanza alla direttiva. Sarebbe però nell’interesse delle imprese tenere un rendiconto delle decisioni sulle assunzioni, promozioni, l’accesso alla formazione e altre condizioni di lavoro, onde dimostrare che esse sono state prese in modo esente da discriminazione. Le imprese più grandi possono desiderare di effettuare un monitoraggio più strutturato per assicurare che il principio della parità di trattamento sia applicato a tutti i livelli.

5. Indicare se la proposta contiene misure destinate a tener conto della situazione specifica delle piccole e medie imprese (esigenze più limitate o diverse, ecc.)

La proposta non fa nessuna distinzione in base alle dimensioni delle imprese, considerato che la discriminazione si manifesta in tutte le imprese, indipendentemente dal numero di dipendenti. La direttiva stabilisce però soltanto standard di minima basati su un quadro flessibile di principi. Gli Stati membri e le parti sociali hanno quindi facoltà di modulare le prescrizioni a seconda delle dimensioni delle aziende, fermo restando il rispetto delle disposizioni della direttiva.

Le piccole e medie imprese appaiono essere meno attrezzate per rispondere ai bisogni di adeguamento delle mansioni avvertiti dai lavoratori disabili. Di conseguenza, molte delle disposizioni giuridiche vigenti che impongono un ragionevole adeguamento non si applicano alle aziende con una manodopera inferiore a un numero prestabilito.

Questo è il motivo per cui la proposta recita che gli Stati membri sono autorizzati a disporre l’esonero da tale disposizione qualora vi sia una giustificazione ragionevole e oggettiva, comprese le circostanze in cui un adeguamento ragionevole determinerebbe un onere indebito. A tal fine, l’effetto dell’adeguamento sulle imprese dovrebbe essere esaminato nel contesto delle risorse finanziarie dell’azienda, della manodopera di cui dispone, delle spese incorse e della disponibilità di risorse aggiuntive per coprire i costi dell’adeguamento.

Consultazione

6. Elencare le organizzazioni consultate in merito alla proposta ed esporre le principali osservazioni.

La Commissione ha consultato le organizzazioni rappresentative delle parti sociali a livello europeo e la piattaforma europea delle organizzazioni non governative in campo sociale.

Tutte le organizzazioni consultate hanno riconosciuto l’importanza della questione e la necessità di un approccio legislativo. Si sono riscontrati però punti di vista diversi su alcuni elementi della proposta.

I rappresentanti delle ONG e dei sindacati hanno espresso il loro plauso alla proposta, ma i membri della piattaforma non erano d’accordo che la portata della direttiva fosse limitata all’occupazione e all’impiego. Essi hanno insistito sul mantenimento delle disposizioni relative all’onere della prova e alle azioni in rappresentanza, ritenendo che questi fossero aspetti essenziali per la difesa dei diritti delle vittime di discriminazioni.

I rappresentanti delle organizzazioni del padronato hanno espresso dubbi, tuttavia, sull’inversione dell’onere della prova, ritenendo che ciò creerebbe difficoltà per i datori di lavoro incoraggiando la presentazione di querele irrilevanti. La Commissione fa presente che la norma proposta si basa su quella già adottata a livello comunitario, e già attuata da molti Stati membri, in merito alla discriminazione a motivo del sesso (direttiva 97/80/CE del Consiglio riguardante l’onere della prova nei casi di discriminazione basata sul sesso) e che regole identiche sono già state applicate senza difficoltà apparenti a casi di discriminazione razziale in alcuni Stati membri. La Commissione ritiene quindi che le preoccupazioni dei datori di lavoro su tale punto siano infondate.