2.7: La funzione di "advocacy"

 

Determinanti sociali: La salute degli immigrati

 

 

Definizione del tema

La tutela della salute degli immigrati è parte integrante della tutela della salute dei gruppi sociali svantaggiati, se e quando l’immigrazione, in particolare l’immigrazione recente da PVS, rappresenti un fattore autonomo di rischio. Il problema specifico posto al SSR da questo obbligo di tutela è rappresentato dai vincoli culturali all’uso dei servizi, che possono caratterizzare la popolazione immigrata, e dalla presenza nella medesima di bisogni di salute e cause di malattia almeno in parte diversi da quelli della popolazione autoctona.

Rilevanza del problema per la salute

Da Paese di emigrazione, l’Italia, lentamente ma progressivamente, è divenuta meta di immigrazione fin dai primi anni ’80, quando per la prima volta i dati censuali confermarono un saldo migratorio positivo. Da allora, il numero di stranieri è aumentato costantemente. Nel 1997 si è superata per la prima volta la soglia del milione di presenze regolari; alla fine del 1998, gli stranieri legalmente presenti erano 1.250.214 unità, pari all’2,2% della popolazione residente in Italia. Gli irregolari erano stimati intorno alle 250.000 unità.

Il numero complessivo degli immigrati soggiornanti nel Lazio al 31 dicembre 1998 ammonta a 241.243 unità. La quota dei soggiornanti stranieri nel Lazio sul totale nazionale è scesa al 19,3%; nel biennio 1987-88 era arrivata a superare il 30%.

Sono concentrati nella provincia di Roma 219.368 stranieri, nove su dieci presenti nel Lazio; seguono Latina con 9.335, Frosinone con 5.157, Viterbo con 4.827 e Rieti con 2.525 unità. Prevalgono gli stranieri provenienti da Paesi a economia sottosviluppata (56,9%) e dall’Est Europeo (19,2%), mentre dai Paesi ad economia sviluppata (inclusa l’Unione Europea) proviene il 23,8% degli immigrati.

Rispetto alla situazione nazionale, vi sono in percentuale meno africani (16,6% rispetto alla percentuale nazionale del 28,8%), più asiatici (28,2% rispetto a 18,9%) e più americani (17,0% rispetto a 13,1%); gli europei rappresentano complessivamente il 37,6%, rispetto alla media nazionale del 38,8% (sono maggiormente rappresentati i cittadini dell’Unione Europea, con quasi quattro punti percentuali in più). Le donne rappresentano il 51,2% del totale.

La distribuzione degli stranieri per fasce d’età conferma il dato nazionale di una popolazione essenzialmente giovane, con poco meno del 60% avente un'età compresa tra i 19 e i 40 anni ed il 13,8% di ultrasessantenni. I bambini nati da madre straniera nel corso del 1998 sono stati 5.703 (12%).

La quantificazione del problema in termini di salute rende necessario isolare la componente di rischio rappresentata dalle condizioni di immigrazione e quindi scegliere indicatori che rappresentino questa specificità.

Set di indicatori da utilizzare per misurare la rilevanza del problema

 

c Rischio relativo per causa di morte degli immigrati rispetto alla popolazione generale.

c Rischio relativo di ricovero per DRG, degli immigrati rispetto alla popolazione generale

 

Per quanto riguarda lo stato di salute della popolazione immigrata, è noto che il fenomeno migratorio tende a selezionare in partenza gli individui, escludendo coloro che non sono in buone condizioni di salute.

Il patrimonio di salute in dotazione ai migranti, qualunque esso sia al momento dell’arrivo in Italia, viene messo in crisi dalla continua esposizione ai fattori di rischio presenti nel Paese ospite, soprattutto se i processi di integrazione sono lenti e vischiosi: in primo luogo i problemi propri della povertà (degrado abitativo, apporto alimentare carente), ai quali si aggiungono il disagio psicologico, le difficoltà di comunicazione e di inserimento sociale e la discriminazione nell’accesso ai servizi sociosanitari.

Le informazioni attualmente disponibili sullo stato di salute degli immigrati, che provengono dal bagaglio di esperienza più che decennale del volontariato sociale e da altre fonti informative disponibili, concorrono a tratteggiare un profilo che si caratterizza per la netta prevalenza di patologie acute (spiegate dalla giovane età e dalla storia relativamente recente del fenomeno migratorio) rispetto a forme morbose cronico-degenerative, tipiche dei Paesi di più antica immigrazione (quali, ad esempio, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti) e per il ruolo limitato delle patologie infettive e parassitarie.

Sul totale delle dimissioni ospedaliere nel Lazio per l’anno 1998, le dimissioni di stranieri sono state 60.134, pari al 5,1%. Sul totale delle dimissioni, per causa, i ricoveri per gravidanza e parto riferiti a stranieri ammontano al 14,5%. Sempre sul totale delle dimissioni riferite a stranieri, il 7,2% è dovuto a malattie infettive e parassitarie ed il 4,7% a disturbi psichici. Tra le cause di ricovero assumono particolare peso il parto vaginale senza complicazioni (7,7%) e l’aborto (25,8%).

Sulla base delle conoscenze e delle esperienze disponibili, è dunque possibile individuare come aree critiche per la salute degli immigrati quella della salute materno infantile e quella di alcune malattie infettive. L’esperienza di altre Regioni fa ritenere che, per gli infortuni sul lavoro, si possa riconoscere, tra gli altri fattori di rischio, anche la condizione di immigrazione.

Lo stato di salute delle donne e dei bambini può rappresentare un indicatore del grado di accessibilità dei servizi sociosanitari in gravidanza, della qualità dell’assistenza prenatale e, più in generale, delle condizioni socioeconomiche dell’intera popolazione immigrata. La percentuale di nati di basso peso appare più elevata tra gli immigrati che per la popolazione dei residenti, (8,5% per gli immigrati rispetto a 5,2% per i residenti) e cosi pure la mortalità neonate e infantile (natimortalità pari a 7,4/1000 per la popolazione immigrata contro 3,5/1000 per la popolazione residente).

Di particolare rilevanza appare il fenomeno delle interruzioni volontarie di gravidanza (IVG) effettuate su donne straniere: 3368 nella Regione sul totale di 15546 IVG (21,7%), effettuate nel corso del 1998.

 

Definizione del ruolo del SSR

Il ruolo del SSR nella gestione dell’eccesso di rischio rappresentato dalla condizione di immigrazione deve sostanzialmente basarsi sul riconoscimento di questo rischio specifico nella pratica corrente dei suoi servizi, non introducendo distinzioni tra immigrati e popolazione residente e tra immigrati cosiddetti clandestini e immigrati legali.

In questo contesto gli interventi specifici che il SSR deve mettere in atto sono fondamentalmente ascrivibili in due aree tematiche :

Area 1 - Qualità ed accessibilità dell’assistenza sanitaria.

Area 2 - Formazione degli operatori al rapporto inter-etnico ed al riconoscimento e trattamento di patologie a maggiore prevalenza negli immigrati.

Area 1

Qualità ed accessibilità dell’assistenza sanitaria

Obiettivi

 

a Garantire a tutti gli immigrati l'accesso all'assistenza sanitaria e la fruibilità delle prestazioni su tutto il territorio regionale, evitando discrezionalità dell'applicazione delle norme ed esclusione di fasce di popolazione in base a disomogeneità culturale.

a Promuovere interventi di prevenzione e assistenza, con particolare attenzione ad alcune aree critiche, individuate in base a specifiche condizioni patologiche (tubercolosi, malattie sessualmente trasmissibili), fisiologiche (ambito materno-infantile) e sociali (rifugiati, prostitute, tossicodipendenti, detenuti).

 

Interventi

 

a Organizzare un programma di offerta di vaccinazioni e di educazione sanitaria.

a Organizzare l'offerta di assistenza, al fine di favorire la tempestività del ricorso ai servizi e la compatibilità con l'identità culturale degli immigrati.

 

Area 2

Formazione degli operatori al rapporto inter-etnico ed al riconoscimento ed al trattamento di patologie a maggiore prevalenza negli immigrati

Obiettivi

 

a Garantire l’aggiornamento nei temi specifici di almeno il 50% degli operatori sanitari nel corso dei prossimi tre anni.

 

Interventi

 

a Sviluppare strumenti sistematici di riconoscimento, monitoraggio e valutazione dei bisogni di salute degli immigrati, anche valorizzando le esperienze più qualificate del volontariato.

a Organizzare programmi di formazione degli operatori sanitari finalizzati ad approcci interculturali nella tutela della salute.