TAVERNERIO 27 GIUGNO 1999 — INCONTRO NAZIONALE DEI GRUPPI DI ANIMAZIONE OVCI

Accoglienza e immigrazione: la situazione in Italia oggi

La mia relazione sarà incentrata sul tema "come si organizza in Italia il problema della politica di immigrazione ".

Devo premettere subito che la cosa è noiosa, quindi mi affido alla vostra proverbiale intelligenza, per essere interrotto di continuo da domande e da dialoghi. Vorrei comunicarvi le seguenti informazioni:

come si entra in Italia: modalità d’ingresso

come si soggiorna in Italia, cioè quali diritti e quali doveri ha uno straniero in Italia

come si esce dall’Italia, cioè come si viene espulsi o respinti dall’Italia se si è stranieri, che è un punto ovviamente cruciale per il rispetto dei diritti delle persone.

Vorrei tentare di dare anche qualche elemento su cosa funziona, cosa non funziona e cosa potrebbe funzionare.

La nuova legge sull’immigrazione è stata varata circa un anno e tre mesi fa: è la legge 40, che ha sostituito la legge Martelli, della quale ha salvato solo il primo articolo che riguarda il diritto d’asilo.

La legge 40 dovrebbe essere una legge organica, quindi riguarda tutti gli aspetti del rapporto straniero — società italiana. Molte cose sono state rimandate a un regolamento di attuazione, che avrebbe dovuto essere emanato entro ottobre scorso ma sta per essere emanato solo ora; altri aspetti restano proprio non trattati o trattati male.

Io ho seguito peraltro tutte le vicende legate alla stesura di questa legge, e devo dire - purtroppo - che le leggi in Italia nascono male, nonostante il quantitativo di lavoro sia del governo sia del parlamento.

Che cosa succede se una legge che definisce il diritto di uno straniero in Italia è fatta male, è contraddittoria? Vi faccio un semplice esempio.

Sul treno per caso ero seduto a fianco di due poliziotte di frontiera.

Queste persone, che sono quelle che devono applicare la nuova legge, non vengono formate: molte novità sono oscure, o sono lasciate alle circolari; per qualsiasi problema quindi si rivolgono a un ispettore capo, a sua volta formato cinque o sei anni fa in base a una normativa superata. Il risultato è che le persone si affidano, nell’applicazione delle norme, al loro buon senso.

Certe volte la cosa va bene perché sono persone di buon senso, ma certe volte - magari solo perché la persona incaricata si è alzata male quel giorno - la persona che avrebbe diritto di asilo in Italia rischia di essere respinta perché non c’è certezza del diritto.

Vengo comunque al dettaglio della legge 40 del 1998.

Questa legge stabilisce sostanzialmente:

1. come funziona l’ingresso per chi chiede di entrare nel Paese, senza che ci sia un diritto ad entrare - per esempio per chi chiede di entrare per lavoro subordinato o autonomo o per motivi di studio. Questi ingressi sono programmati: ogni anno il governo stabilisce con appositi decreti quali e quanti immigrati possano entrare per svolgere attività di lavoro o di studio.

2. come funziona l’ingresso fondato su dei diritti che vengono riconosciuti, per esempio il diritto al ricongiungimento familiare o il diritto d’asilo garantito dalla Costituzione italiana.

Le modalità sono diverse perché il primo tipo di ingresso è quotato - cioè ogni anno il governo stabilisce quanti possano entrare — mentre nel secondo caso può entrare chiunque soddisfi certi requisiti.

Mi soffermerò sui temi legati all’ingresso, perché è vero che il fenomeno dell’immigrazione comporta diversissimi problemi, ma quello che mi ha impressionato è vedere quanta percentuale dei problemi della vita dell’immigrato e quindi dei problemi che l’immigrato portava alla società, fosse legata al possesso di un pezzo di carta.

Se questi problemi sono puramente burocratici, intanto sgrossiamo questi problemi, poi gli altri li affronteremo ….

Il punto nodale di una politica dell’immigrazione è riuscire a far funzionare bene il meccanismo d’ingresso per lavoro: infatti oggi ci si muove soprattutto per ragioni economiche, (ovviamente non solo, ci si muove anche per ragioni di persecuzione politica) che poi magari trainano anche un’immigrazione per motivi familiari; ci si muove per cercare lavoro, subordinato o autonomo.

Se non si riesce ad organizzare un meccanismo di ingresso per lavoro, le possibilità sono due:

1. che le frontiere vengano chiuse e l’Italia, l’Europa, il mondo sviluppato si presenti rispetto ai poveri del mondo, a quei poveri che vogliono muoversi e che possono muoversi, come una fortezza - e questo è un problema umano che non affrontiamo ora;

2. oppure che formalmente la si presenti come una fortezza, ma di fatto le persone entrino comunque, si inseriscano comunque nel tessuto sociale, e che si sposti tutto il problema della gestione dell’immigrazione sul dilemma tra regolarizzare a posteriori le persone che non avrebbero dovuto entrare formalmente ma sono entrate ugualmente oppure espellerle.

Ovvero: se si fa bene una politica d’immigrazione per lavoro le cose possono funzionare; altrimenti o caccio fuori gli stranieri e me ne frego della loro povertà o del loro bisogno economico, o di fatto li lascio entrare ma non formalmente - e allora una volta che sono entrati o li accetto e li regolarizzo con sanatorie varie, mandando a pallino la programmazione e tutto quello che sta alla base di questa legge, oppure li espello e l’espulsione non è una cosa facile per una serie di motivi che cercherò di spiegare dopo.

Quindi capire se la programmazione per lavoro, dei flussi per lavoro, i meccanismi d’ingresso per lavoro sono fatti funzionare bene, è un aspetto fondamentale: vediamo come funziona in Italia.

Formalmente la legge stabilisce questo: che il governo decreti di anno in anno, anche più volte per anno, quali categorie e quanti lavoratori possano entrare in base alle esigenze del mercato del lavoro.

Nel disegno di legge originario era prevista un’unica possibilità d’ingresso: che le persone, i lavoratori stranieri, venissero chiamati nominativamente o numericamente……….

La cosa funzionerebbe in questo modo:

1. il datore di lavoro - che ha bisogno, poniamo di tre lavoratori per la sua fabbrica - si presenta all’ufficio provinciale di lavoro, dove attinge dai nomi di una lista, o conosce qualche straniero da chiamare, e chiede l’autorizzazione al lavoro per questi lavoratori;

2. vengono fatti controlli sulle attività del datore di lavoro (che sia tutto a posto, che non sia stato condannato, che non abbia già licenziato delle persone in quell’anno…);

3. se tutto è a posto, viene rilasciata l’autorizzazione al lavoro: queste persone possono entrare in Italia per lavoro e ottenere il permesso di soggiorno per lavoro.

Questo iter, tuttavia, non funziona o funziona molto male se, invece di dover assumere delle persone per una piccola fabbrica, si devono assumere delle persone - per esempio - per collaborazione familiare: difficilmente un datore di lavoro che voglia assumere qualcuno come collaboratore familiare, assumerebbe una persona che non ha mai visto. Non lo farebbe con un italiano, a maggior ragione non lo farebbe con uno straniero. Credo che questo sia ovvio.

Forse il datore di lavoro è andato in Kenia, nelle Filippine o nello Sri Lanka, ha conosciuto una persona, si è affezionato a quella persona e ha deciso di assumerla come collaboratrice familiare: quanti saranno questi casi? Trentacinque? Stiamo parlando di un flusso di lavoratori di 100.000 persone per anno, queste sono le dimensioni del flusso che attualmente tenta di stabilirsi!

I lavoratori aspetterebbero nel loro paese una chiamata che non arriverà mai, da parte di un datore di lavoro che mai li conoscerà e che tutt’al più avrà potuto leggere il loro nome su una lista in un ufficio, e che mai li assumerebbe per farne dei collaboratori familiari, ma neanche li assumerebbe per farli lavorare in una fabbrichetta, perché credo che nessun datore di lavoro accetti di assumere una persona che non ha mai visto.

Questo meccanismo, previsto dalla legge 40, è quello che è stato sempre applicato, in quanto era previsto anche nella legge Martelli, nella legge 943; in tutti questi anni, dall’86 a oggi, in Italia gli ingressi per lavoro sono stati organizzati in questo modo.

Il risultato si può dire sia sotto gli occhi di tutti: ci sono stati ingressi di lavoratori, ma mai formalmente a posto; le persone sono entrate in Italia clandestinamente o irregolarmente, arrivando per esempio come turisti e fermandosi in Italia per cercare lavoro.

Si sono imbattute in datori di lavoro che li hanno assunti irregolarmente; nei casi fortunati in cui il datore di lavoro era particolarmente onesto, o ha capito che conveniva tenersi il lavoratore regolarmente, è stata avviata questa procedura: il datore di lavoro si è comportato come se il lavoratore fosse ancora all’estero e ha fatto domanda, e il lavoratore è uscito dall’Italia per rientrarci regolarmente una volta ottenuta l’autorizzazione.

L’unica alternativa a questa via, per risolvere lo squilibrio che si era determinato per il fatto che c’era un’immigrazione per lavoro non riconosciuta, è stata quella delle sanatorie (nell’86, nel ‘90, nel ‘95, l’ultima nel ’98, che è ancora in corso).

Esiste nella legge 40 un altro meccanismo d’ingresso: è possibile l’ingresso di persone che non siano chiamate da un datore di lavoro, ma da uno sponsor, cioè da un garante, da qualcuno - sarà un amico, sarà un’organizzazione, sarà l’OVCI, sarà qualunque altra cosa - che garantisca per il sostentamento della persona per un anno di ricerca di un posto di lavoro. Anche per questo tipo di ingresso sono previsti dei limiti (per esempio, 50.000 in un anno) stabiliti dai decreti di programmazione.

Questo è un passo in avanti quanto a intelligenza, perché consente a un lavoratore di entrare qui e cercare regolarmente un datore di lavoro che lo voglia assumere, e di trasformare poi il "permesso di soggiorno per inserimento nel mercato di lavoro", in un "permesso per lavoro", una volta trovata un’opportunità di lavoro.

Gli sponsor devono garantire di poter mantenere la persona per un anno, in ragione di una disponibilità di fondi pari almeno all’assegno sociale per ogni mese; devono garantire le modalità d’alloggio, l’assicurazione sanitaria e le eventuali spese per il rimpatrio qualora alla fine dell’anno la persona non abbia trovato lavoro. Se viceversa nel corso di quest’anno la persona trova opportunità di lavoro, può iniziare a camminare con le sue gambe.

La cosa potrebbe effettivamente funzionare in certi casi, per esempio se le associazioni, i sindacati e così via decidono di impiegare risorse per sponsorizzare ingressi regolari di questo genere; può funzionare anche per la sponsorizzazione da parte di stranieri nei confronti di connazionali - per esempio nei confronti di parenti che non siano tra quelli che possono essere ricongiunti per ricongiungimento familiare, come il fratello.

Naturalmente la cosa si presta anche alla possibilità di speculazioni, perché possono nascere associazioni che sono, in realtà, filiali della nuova camorra organizzata o della mafia, che mettono in commercio le sponsorizzazioni e formalmente garantiscono, ma di fatto si fanno pagare, oppure fanno entrare persone da assoldare per fare le loro attività.

C’è però un problema di fondo ancora più grosso che è: qual è la situazione di tutti coloro - che sono ancora una volta la maggioranza - tutti quegli aspiranti immigranti, che non solo non hanno mai incontrato un datore di lavoro in Italia e che quindi sarebbero esclusi dalla chiamata nominativa, ma non hanno neanche la fortuna di conoscere possibili svolte in Italia, o perché non hanno parenti o perché non hanno nessuna associazione che li chiamerebbe?

Oppure qual è la situazione per queste persone qualora le sponsorizzazioni siano troppo poche? Supponiamo infatti che il governo dica "quest’anno potrebbero entrare sponsorizzate 50.000 persone" ma poi fatto il conto degli sponsor si trova che ne possono entrare 35, cosa fanno gli altri 49.965?

La legge, con un emendamento che è stato fatto passare a prezzo di sangue, prevede un’altra possibilità che è la seguente:

una volta che il governo ha stabilito la quota di persone sponsorizzabili si aspettano 60 giorni, per fare il conto delle sponsorizzazioni che sono state avanzate e che hanno un diritto di prelazione

qualora queste sponsorizzazioni non coprano l’intera quota programmata dal governo, i restanti posti possono essere coperti da ingressi per ricerca di lavoro, attingendo unicamente da liste da istituirsi nelle ambasciate, nei consolati, anche se non c’è copertura di uno sponsor.

In qualche modo è il governo stesso che sponsorizza questi ingressi; è come se dicesse: "siccome ho stabilito che nel mercato del lavoro servono 50.000 immigrati sponsorizzati, ma ho trovato solo 35 sponsorizzazioni, garantisco io per i restanti".

Naturalmente nella legge c’è un richiamo a ulteriori criteri, che verranno stabiliti dal regolamento di attuazione o dai decreti. Punto cruciale: se il regolamento (che ancora non è in vigore), o i decreti ministeriali stabiliranno dei criteri troppo restrittivi perché quei 49.000 e rotti possano avvalersi di questo canale facile d’ingresso - per esempio se stabiliranno che possono entrare solo se sono alti due metri e hanno gli occhi azzurri - probabilmente entreranno pochissimi nigeriani, pochissimi pigmei…

Ovviamente i criteri non saranno relativi alla statura o al colore degli occhi, ma potrebbero essere relativi alle capacità di auto sostentamento: per esempio il governo potrebbe dire "vi sponsorizzo io, ovvero non sponsorizzo niente: entrano coloro che dimostrano di avere risorse tali da potersi mantenere"…. ma se una persona vuole venire a fare l’immigrante qui, solitamente è disoccupata, non posso pensare che abbia un reddito di mezzo milione al mese o 700.000 lire al mese, perché se ce l’avesse resterebbe a fare l’imprenditore in Nigeria, non verrebbe a fare il cameriere qui.

Capite che questo è il punto centrale della faccenda: o si riesce a far funzionare un’immigrazione per lavoro che non sia troppo restrittiva, oppure il risultato sarà quello di questi ultimi 13 anni, 14 anni di politica d’immigrazione, cioè la gente entra per altre vie informali, e poi ci troviamo a dover decidere: risaniamo o rispediamo?

Di qui nasce un dibattito infinito con tutti i partiti politici, indistintamente, perché bisogna dire che i campi di concentramento li hanno inventati i democratici di sinistra con questa legge, quindi non è che siano migliori degli altri partiti che dichiarano apertamente un’ostilità all’immigrazione.

In realtà bisogna lottare sempre contro tutti quelli che stanno al governo - chiunque essi siano - per convincerli che tutto sommato se una persona è inserita nella società e partecipa all’incremento del Prodotto Interno Lordo, se vogliamo espellerla…. va bene, però non veniamo a parlare di diritti dell’uomo e di balle di questo genere.

C’è un’altra possibilità d’ingresso, che è quella per lavoro autonomo.

Perché è importantissima?

Non sto a spiegare la differenza tra lavoro subordinato e lavoro autonomo. In realtà il mercato del lavoro va sempre più destrutturandosi e via via si va perdendo la figura classica del lavoratore subordinato: i contratti di lavoro, quand’anche ci sono, sono sempre più precari e instabili, mentre va crescendo la figura del lavoratore autonomo, cioè quella persona che possa avere attività d’impresa, commercio e così via - e quello è il capitolo che può essere d’interesse per alcuni immigrati - ma anche quella persona che presti il proprio servizio non a un datore di lavoro fisso, ma a un datore di lavoro che può variare di giorno in giorno.

Un esempio di figura di lavoratore autonomo (poi qualcuno ci saprà spiegare che non è un lavoratore autonomo ma pare che invece lo sia): il giardiniere che non è assunto dai proprietari di una villa che possono permettersi di assumerne uno, ma che va a tagliare l’erba oggi da un tizio, domani da un altro, dopodomani da un terzo ancora e così via, cioè che svolga un lavoro saltuario, precario in questo senso, non alle dipendenze stabili di qualcuno, ma offrendo i suoi piccoli servizi in giro.

Questa figura è di grandissimo interesse per l’immigrazione, perché moltissimi immigrati, soprattutto nel centro-sud, svolgono attività di questo genere, cioè sostanzialmente offrono i loro servizi, ma non c’è nessuno che li assumerebbe con un contratto per un anno.

Per esempio io ho due pezzi di terreno che sembrano due giungle, ma sono piccolissimi; non mi posso permettere di assumere un giardiniere, mi stufo di tagliare l’erba perché non lo so fare, quindi mi farebbe un comodo enorme potermi rivolgere a qualcuno che venga a tagliarmela una volta ogni 15 giorni, ma è ovvio che non posso andare all’ufficio provinciale del lavoro e chiedere l’autorizzazione ad assumere una persona con un contratto di questo genere, né mai potrebbero fare entrare un immigrato perché ha un contratto di lavoro che consente un lavoro di tre ore in 15 giorni…. Viceversa una figura di questo genere si può configurare come un lavoratore autonomo. La faccio breve: finalmente è previsto dalla legge che possano entrare anche lavoratori autonomi. C’è una grande novità in questo, perché precedentemente in materia valevano addirittura le pre-leggi cioè le leggi introduttive al codice civile, che stabilivano che in Italia lo straniero dovesse godere dei diritti civili garantiti all’italiano a condizione di reciprocità, cioè soltanto se l’italiano può godere degli stessi diritti nel paese di provenienza dello straniero.

Naturalmente questa cosa era verificata solo in alcuni particolarissimi casi in cui ci fossero degli accordi espliciti, per esempio: se c’è un accordo con la Cina che stabilisce che l’italiano può avere attività d’impresa in Cina, i cinesi possono aprire ristoranti in Italia.

Il problema è che per la maggior parte delle attività autonome non c’era nessun accordo che stabilisse alcunché; ci sono degli accordi - per esempio con l’Iran per lo svolgimento di alcune attività professionali - ma sono accordi molto particolari.

In questa legge si prescinde, per tutto questo genere di attività, dalla condizione di reciprocità.

Magnifico, ma è previsto nella legge un altro requisito, cioè che lo straniero non solo debba avere, per potere entrare in Italia, le risorse necessarie per avviare l’attività di lavoro autonomo prescelta (e questo sarebbe ancora legittimo: se vuole aprire un ristorante dovrà dimostrare di poterlo fare, ma non sarebbe un gran danno perché se vuol fare il giardiniere non deve dimostrare di avere risorse particolari …………), deve però dimostrare di avere risorse pari almeno ai soldi con i quali si ottiene il rinnovo del permesso di soggiorno. In termini di cifre è circa 1.300.000 lire.

Siamo alle solite: che venga richiesto per il rinnovo del permesso allo straniero di avere un reddito di questo genere, è accettabile perché è un segno del suo inserimento; ma che venga richiesto di dimostrare di avere un reddito di 1.300.000 lire al mese al momento dell’ingresso, è la solita follia. Nessun senegalese verrà qui a fare il venditore, nessun filippino verrà qui a fare il giardiniere se ha un reddito di un 1.300.000 al mese.

C’è la speranza che col tempo, per circolare o per regolamento, si stabilisca che la norma va interpretata secondo parametri meno restrittivi; qualcosa in questo senso si è mosso di recente, ma non sto ad entrare nei dettagli.

Ho finito qui le modalità d’ingresso per lavoro, che secondo me costituiscono il punto centrale della politica d’immigrazione. Vi dico rapidamente sulle altre modalità d’ingresso.

L’ingresso per studio si quota sulla base delle disponibilità delle università.

Le cose sono state migliorate molto rispetto alla normativa precedente: sono previste varie misure positive, in particolare la parificazione dello studente universitario straniero allo studente italiano ai fini della fruizione di tutte le misure, sussidi, e sovvenzioni per il sostegno del diritto allo studio.

Quindi lo straniero potrà godere delle esenzioni dalle tasse se bisognoso, e via discorrendo.

E’ previsto che possano venire assegnate borse di studio anche in anni successivi al primo: questo è importante perché fino ad oggi le borse di studio passavano solo attraverso la cooperazione allo sviluppo, lo studente poteva ottenerle solo dall’Ambasciata italiana nel suo paese. Restavano esclusi tutti quegli studenti che in qualche modo erano emarginati dai regimi locali, perché l’Ambasciata italiana non cerca noie nel paese in cui si trova.

Oggi gli studenti potrebbero entrare in Italia, o sostenendosi con le proprie forze oppure con la sponsorizzazione di qualcuno che li accolga, e poi potrebbero affrancarsi da questa sponsorizzazione fruendo di una borsa di studio assegnata negli anni successivi.

Gli ingressi per diritto più importanti, sono quello relativo al ricongiungimento familiare, e quello relativo al diritto di asilo di cui parleremo più avanti.

Sul ricongiungimento familiare, la legge è abbastanza buona.

E’ stato allargato il novero dei familiari che possono entrare, che attualmente sono i seguenti: il coniuge non separato, i figli minori, i genitori a carico, i congiunti entro il terzo grado che siano inabili al lavoro e che siano a carico del richiedente che sta in Italia; possono entrare anche altri figli del coniuge e ci sono alcune altre modalità d’ingresso.

Quali sono i requisiti principali? Il richiedente, cioè lo straniero che sta in Italia, dev’essere titolare di un permesso per lavoro o per studio o per motivi religiosi o per asilo, e dimostrare di poter garantire condizioni di alloggio allo straniero che entrerà - e su questo la legge è abbastanza restrittiva, cioè le condizioni di alloggio devono essere sufficientemente adeguate - e deve dimostrare di disporre di un reddito che gli consenta di mantenere questi familiari.

Il reddito minimo da dimostrare in questo caso non è eccessivo.

Rapidamente cito quali sono le principali difficoltà del soggiornante in Italia, una volta superato lo scoglio dell’ingresso

L’obbligo di essere sempre accompagnato dal suo permesso di soggiorno, ottenuto, se è entrato regolarmente, superando tutte le barriere di cui parlavo e se ripete la dimostrazione di tutti questi requisiti davanti alla questura.

Sarebbe poco male, se non fosse prevista dalla legge la possibilità di revoca del permesso qualora venga a cadere anche uno solo dei requisiti che hanno consentito il rilascio del permesso.

Questa cosa è molto pericolosa perché lascia sostanzialmente l’immigrato in una condizione di sorvegliato speciale da parte della polizia, ma non rispetto ai comportamenti - perché se l’immigrato adotta comportamenti delittuosi, sa benissimo che viene espulso; il problema è che uno dei requisiti fondamentali è che l’immigrato possa dimostrare di mantenersi o di essere mantenuto. Perché la cosa è pericolosa? Perché c’è quest’idea di fondo che l’immigrato ha il dovere nei confronti della nostra società non solo e non tanto di comportarsi correttamente, cioè rispettando la legge - il che sarebbe accettabilissimo - ma di dimostrare continuamente di essere sostanzialmente benestante. Per benestante intendo un livello minimo, l’assegno sociale, cose di questo tipo; ma capite che è un atteggiamento che non riconosce il grande apporto che dà l’immigrato in quanto precario, allo sviluppo economico della società.

Altra cosa negativa: il permesso dev’essere rinnovato alla scadenza, ed essa è abbastanza ravvicinata, perché i permessi durano due anni. Non è che all’immigrato si dia un grande respiro; per rinnovarlo l’immigrato deve dimostrare di avere ancora sussistenti quei requisiti che avevano consentito il rilascio. La cosa più drammatica per il lavoratore è che sostanzialmente deve dimostrare di avere un lavoro, cioè l’immigrato disoccupato viene guardato male.

C’è una stabilizzazione prevista dalla legge: dopo cinque anni di soggiorno regolare e continuativo in Italia, l’immigrato che abbia i requisiti, che non abbia commesso reati, che dimostri di avere un reddito minimo pari a l’assegno sociale e così via, che abbia soggiornato regolarmente, che sia in possesso di un permesso forte, cioè quelli che possono essere rinnovati … questo immigrato può ottenere una carta di soggiorno. La carta di soggiorno dà quel respiro che dicevo, perché è a tutti gli effetti un permesso di soggiorno che non scade mai, e può essere revocato solo in caso di condanna per reati. Ma l’immigrato che ha una vita normale, una volta che ha la carta di soggiorno, da questo punto di vista è a posto; l’immigrato che rischi di vivere in situazioni più precarie o più marginali, rischia di vedersi revocata ad un certo punto la carta di soggiorno.

Veniamo ai punti positivi della nuova legge.

I permessi di soggiorno possono essere utilizzati - se sono permessi forti, cioè per lavoro o per famiglia - anche per le altre attività; ad esempio una persona che ha un permesso per lavoro autonomo può utilizzarlo anche per i lavori subordinati, uno che ha un permesso per famiglia può utilizzarlo sia per lavoro autonomo sia per lavoro subordinato.

I diritti fondamentali della persona che soggiorni in Italia che sono abbastanza ben trattati in questa legge, in particolare è trattata molto bene la situazione dei minori in Italia: si è stabilito il principio generale del diritto del minore all’unità familiare, per cui si può derogare alle norme sull’ingresso di soggiorno per favorire l’unità familiare del minore, e questo lo può decidere il tribunale dei minorenni.

E’ previsto un permesso per motivi di protezione sociale, per persone che si sottraggano al racket della prostituzione, o alla malavita organizzata, cioè sia per persone che si sottraggano collaborando con la giustizia, sia per persone che potrebbero avere un rischio personale per il fatto di essere inseriti nel racket - le quali se vogliono tirarsi fuori possono essere inseriti in progetti di reinserimento sociale protetti, ottenendo un permesso che possono riutilizzare per lavoro o per studio.

Un grande capitolo molto ben trattato è quello della sanità: è previsto che tutti i titolari di permessi di soggiorno stabili siano iscritti obbligatoriamente al servizio sanitario nazionale a parità di diritti e doveri con i cittadini italiani - quindi in particolare, se non sono titolari di reddito e sono disoccupati, sono esonerati dal pagamento dei contributi, ma hanno tutti i diritti di un italiano; coloro che non rientrano in questi permessi devono assicurarsi obbligatoriamente o con un assicurazione privata, o iscrivendosi al servizio sanitario nazionale.

Per quanto riguarda il diritto di asilo, il disegno di legge presentato per questa riforma organica sulla condizione dello straniero, prevedeva anche una riforma del diritto d’asilo; questa parte poi è stata stralciata, ed è stato fatto un disegno di legge a parte che si sperava venisse approvato in tempi rapidi, e invece mentre la legge sull’immigrazione è stata approvata dopo un anno e tre mesi, la legge sul diritto d’asilo è stata approvata al senato ed è ancora ferma alla camera.

La Costituzione italiana stabilisce che hanno diritto d’asilo in Italia tutti coloro che nel loro paese non possano godere delle libertà democratiche stabilite dalla Costituzione italiana.

La Costituzione però rimanda alle modalità stabilite dalla legge, quindi ci sarebbe bisogno di una legge d’attuazione in questo preciso campo.

Attualmente la normativa italiana sul diritto d’asilo è quella prevista dall’art.1 della legge Martelli - l’unico sopravvissuto a questa riforma sull’immigrazione - che garantisce il diritto d’asilo a coloro che siano riconosciuti rifugiati secondo la convenzione di Ginevra del ’51.

La convenzione di Ginevra del ’51 definisce una figura di rifugiato che è un po’ più ristretta rispetto a quella che verrebbe fuori dal diritto d’asilo della Costituzione italiana: non la generica persona che non possa godere dei diritti, delle libertà democratiche ecc., ma la persona che non voglia rientrare nel suo paese ritenendo a ragione di rischiare la persecuzione per ragioni di opinioni politiche, per ragioni di razza, di appartenenza religiosa, e così via. La differenza è saliente perché si parla di esplicita persecuzione.

Faccio un esempio: supponete che ci sia una guerra (l’abbiamo vista di recente) e che una persona rischi e non possa godere delle libertà democratiche di cui si può godere in Italia in tempo di pace: secondo la Costituzione italiana dovrebbe poter godere del diritto d’asilo in Italia, secondo la convenzione di Ginevra no - a meno che non sia personalmente perseguitata dal potere che c’è in loco nel suo paese. Un esempio:

Il belgradese che semplicemente rischiava la pelle perché la Nato stava bombardando Belgrado, arrivato in Italia non avrebbe avuto diritto d’asilo; avrebbe avuto caso mai diritto d’asilo se fosse stato, ad esempio, obiettore di coscienza o esente alla leva o disertore, perché allora il potere di Belgrado probabilmente l’avrebbe perseguitato in caso di ritorno in patria.

Poichè i serbi erano il potere in Kosovo, e questo potere centrale perseguitava i kosovari in quanto kosovari, il kosovaro in fuga dalla stessa guerra avrebbe avuto invece il diritto d’asilo in Italia.

Naturalmente resta scoperto tutto il grande capitolo di quelli che scappano da situazione di violenza generalizzata, e questo rende necessaria una riforma della legge sull’asilo in Italia.

E’ in corso la discussione su questa riforma che prevede un grande ampliamento rispetto all’attuale coincidenza tra diritto d’asilo e status di rifugiato secondo la convenzione di Ginevra.

A questo proposito, permettetemi alcune considerazioni un punto cruciale che la riforma del diritto di asilo dovrà toccare, ovvero le modalità concrete con cui oggi si raggiunge il nostro paese: l’esempio che tutti hanno in mente è quello dei motoscafi che approdano in Puglia scaricando persone in fuga.

Come mai questo proliferare di scafisti? Queste persone non potrebbero arrivare in modo regolare chiedendo asilo? La risposta è legata alle norme che regolano l’arrivo in Italia delle persone senza permesso.

Il rinvio nel paese di provenienza della persona che venga respinta è a carico del vettore (cioè di chi ha curato il trasporto) che l’ha portata in Italia, per esempio della compagnia aerea che l’ha portata in Italia, oppure del traghetto.

Quindi un migrante potrebbe dire: io vado in Italia a chiedere asilo, salgo su un traghetto o sull’aereo e dico: "Non si preoccupi, io non ho passaporto ma tanto vado lì e chiedo asilo"…. Ma il vettore dirà: "No perché se per caso ti respingono io ti devo riprendere, mi occupi un posto per il ritorno cioè perdo un biglietto, in più ci sono delle sanzioni per il vettore che accolga a bordo persone senza documenti in regola"

Infatti secondo le norme il vettore è tenuto ad assicurarsi che la persona abbia i documenti necessari per l’ingresso, ed è tenuto a segnalare alla polizia di frontiera eventuali permessi irregolari a bordo. Il vettore quindi pensa: "Se questo è un richiedente asilo non ha bisogno del passaporto per l’ingresso e io mi salvo dalle sanzioni, ma se la sua domanda viene dichiarata non ammissibile, io sono punibile".

Ciò fa sì che il vettore, per evitare il rischio degli oneri per il rimpatrio e sanzioni pesanti (circa 5 milioni) - badate che questo costo non è un dettaglio - il vettore risolva la cosa sostituendosi alla commissione nazionale per l’asilo, e dicendo all’imbarco "tu vuoi richiedere l’asilo? No, mi dispiace, secondo me la tua domanda verrebbe dichiarata non ammissibile e io non ti carico".

Due sono le soluzioni possibili per la persona che voglia invece richiedere asilo ugualmente: si rivolge al gommonista oppure si procura documenti falsi. Il prezzo sarà lo stesso.

Sia chiaro, l’empio traffico criminale di mercanti di carne umana nasce da questa norma infelice, perché se semplicemente la norma fosse stata chiara e avesse detto: "Sentite, chi richiede asilo non è più a carico del vettore, che deve limitarsi a segnalarmi che quello non ha i documenti a posto, in modo che questa persona non sfugga dal controllo" le cose oggi sarebbero diverse.

Questa è una scelta possibile. Naturalmente avrebbe una conseguenza, perché chiunque voglia migrare in Italia e non abbia i documenti a posto, potrebbe dire: "Io chiedo asilo, tanto la polizia di frontiera non può fare altro che trasmettere la mia domanda alla commissione per l’asilo e sarà la commissione per l’asilo a valutare se corro il rischio di persecuzione o no " allora capite che potrei avere in un anno 500,000 domande d’asilo - magari un po’ meno perché è meno appetibile il mercato del lavoro italiano rispetto a quello tedesco… diciamo 100.000 o 150.000.

Il canale dell’asilo, soprattutto in presenza di un canale per l’immigrazione strangolato da quei criteri troppo restrittivi riguardo all’immigrazione per lavoro, rischia di diventare l’unico canale d’ingresso.

Come si esce da questa storia?

Una soluzione potrebbe essere introdurre un pre-esame fatto alla frontiera da un delegato della Commissione nazionale per l’asilo, che dovrebbe valutare se la domanda è inammissibile oppure se è manifestamente infondata, per esempio lo statunitense che mi arriva in Italia e mi dice: "Chiedo asilo perché mi hanno bocciato all’esame". (Oggi come oggi una domanda manifestamente dovrebbe comunque essere trasmessa alla commissione per l’asilo, appesantendone inutilmente il lavoro).

Attenzione: il rischio è fortissimo perché tutto è facile solo finché si resta a questi dati cosiddetti di scuola. Il testo attualmente all’esame della camera introdurrebbe invece un esame di merito sulla manifesta infondatezza, cioè la domanda dovrebbe essere considerata manifestamente infondata perché è palesemente incredibile - il che è assurdo perché significa che il delegato della commissione, su due piedi e senza interrogare regolarmente le persone, potrebbe decidere "no non è possibile che ti abbiano torturato per un anno, non ci credo".

In conclusione, qual è la ricetta?

Una ricetta possibile è quella di dire: cerchiamo di essere più aperti per l’immigrazione economica, cioè capiamo che è un vantaggio per la società che accoglie e quindi cominciamo ad aver un approccio diverso.

Questo farebbe sì che il canale relativo all’ingresso "normale" venga incontro maggiormente ai diritti delle persone che fuggono dalle situazioni di povertà, cercando di realizzare il diritto di vivere meglio; dall’altra parte lascerebbe meno carico il canale relativo alle richieste di asilo, cioè lo lascerebbe più autentico, perché non verrebbe inquinato da tutta la clandestinità che tenta di riversarsi in quel canale.

E’ possibile questo? E’ possibile se si va verso una sostanziale liberalizzazione dell’utilizzazione economica.

La filosofia che c’è attualmente in Italia, in Europa è questa: facciamo entrare solo quelli per cui c’è la prova provata che ci sia bisogno di quel lavoratore preciso perché c’è il posto di lavoro, e ce li teniamo qui finché c’è quel posto di lavoro e poi li rimandiamo nel loro paese e sono affari loro.

E’ un approccio sbagliato.

Secondo me c’è bisogno di introdurre idee diverse, perché i dogmi attualmente vigenti sono quelli che ho citato, ma non funzionano e quando una cosa non funziona, bisogna avere il coraggio di buttarla via. L’approccio all’immigrazione economica oggi non funziona, quindi va buttato via.

Naturalmente quello che dirò è assolutamente discutibile, quindi lo offro al dibattito e alla riflessione.

Parliamo allora di convenienza, di considerazioni puramente utilitaristiche: l’immigrato serve alla nostra società, sul piano economico, perché provenendo da una situazione estremamente difficile o precaria, ed essendo ancora in una situazione precaria, è molto abile nel rispondere alle richieste del mercato del lavoro.

Pretendere dall’immigrato che si radichi è cosa diversa. Può favorire gli immigrati professionali, ma pretendere che un immigrato dimostri di essere solido e radicato significa pretendere che, in tempi brevi, dimostri di non esser più abile nel rispondere alle richieste del mercato del lavoro.

Significa trasformarlo nel tipico lavoratore italiano che va benissimo ma che dà luogo a una situazione in cui c’è un nord che ha un eccesso di domanda di lavoro e un sud che ha un eccesso di offerta del lavoro, e una difficoltà enorme a trasferire questo eccesso di offerta verso i luoghi in cui c’è un eccesso di domanda.

Significa fare qualche cosa che è contro l’interesse economico di tutta la società, in più fare una cosa che è contro l’interesse e la serenità dell’immigrato perché significa tenerlo sotto il fucile puntato.

Secondo me è la follia di fondo - che attenzione, non è soltanto italiana ma è condivisa a livello europeo, sostanzialmente da tutti i partiti, tranne forse quelli dell’estrema sinistra che però non hanno le idee chiarissime, diciamo da PDS fino a AN, — per cui l’immigrato deve sempre dimostrare di essere in grado di mantenersi, quindi lo faccio entrare solo se c’è un posto di lavoro sicuro, quindi evito di fare entrare una manodopera precaria, mentre la grande ricchezza dell’immigrato è essere manodopera precaria.

Vediamo poi in che senso c’è un concorso di convenienza tra i tre attori coinvolti nell’immigrazione economica, che sono: il lavoratore straniero, il datore di lavoro o imprenditore, il lavoratore italiano.

Rappresentando schematicamente il mercato di lavoro in termini di salario e di quantità di lavoro:

la domanda di lavoro si muove secondo il principio per cui i datori di lavoro sono disposti ad avvalersi di una quantità di lavoro che è tanto più grande quanto più basso è il salario e diventa via via più piccola quanto più alto è il salario. Quindi c’è un andamento inverso tra salario e quantità di lavoro domandata, richiesta dai datori di lavoro.

l’offerta di lavoro dei soli lavoratori nazionali, ha l’andamento opposto: tanto più alto è il salario tanto più il lavoratore è disposto a lavorare, perché in qualche modo il salario lo deve ricompensare della fatica crescente che si fa lavorando, la fatica fatta nella prima ora di lavoro non è uguale alla fatica fatta nella sedicesima ora di lavoro; cresce la fatica, e io sono disposto a fare più ore di lavoro, solo se il salario orario che percepisco mi compensa adeguatamente della fatica fatta nell’ultima ora di lavoro. Andrei in pezzi se facessi un’ora di lavoro che mi costa più fatica del benessere che percepisco col salario.

In un mercato libero, il salario d’equilibrio che si stabilisce è all’incrocio di queste due curve, perché questa è la convenienza comune di datore di lavoro e lavoratori. E quindi quand’è così, le cose funzionano.

Cosa succede se apro l’immigrazione? Entrano degli altri lavoratori, quindi l’offerta di lavoro, quella dei lavoratori nazionali, subisce un incremento. Per ogni valore del salario, avrò non solo i lavoratori nazionali, ma anche quelli stranieri, quindi per ogni valore del salario avrò un aumento della quantità di lavoro offerta. Per ogni valore del salario, ho una maggiore quantità di lavoro offerta.

Si stabilisce quindi un nuovo equilibrio a un salario più basso, che è il motivo per cui c’è un conflitto d’interessi tra lavoratori nazionali e stranieri. L’immigrazione serve al sistema economico se entra in concorrenza con il lavoro nazionale. Che cosa succede ora?

i lavoratori nazionali perdono una parte del profitto a cui potevano ambire in precedenza

I lavoratori stranieri non avevano niente e ora hanno una parte di profitto

I datori di lavoro aumentano la loro possibilità di profitto

Quindi paradossalmente la destra, che è la parte politica che rappresenta i datori di lavoro più di quanto non faccia la sinistra, dovrebbe inneggiare all’immigrazione, e la sinistra cosa dovrebbe fare? Sopportare che i lavoratori soffrano dell’ingresso… cioè capite che oggi i sindacati dovrebbero protestare contro l’ingresso dei lavoratori stranieri perché dovrebbero dolersi della perdita di questa parte dei profitti dei lavoratori nazionali; la destra dovrebbe inneggiare all’ingresso dei lavoratori stranieri perché dovrebbe essere contenta per il guadagno acquisito; i lavoratori stranieri dovrebbero allearsi con la destra…… Siamo completamente rovesciati, ma le nostre risposte si rivelano comunque inadeguate.

C’è una soluzione: la parte di profitto perduto dai lavoratori nazionali è rigorosamente più piccola di quella guadagnata dai datori di lavoro.

In linea di principio, si potrebbero fare entrare i lavoratori stranieri - che sono contenti perché acquistano un profitto che prima non avevano, poi prendere un pezzo del maggior vantaggio che hanno avuto i datori di lavoro, e restituirlo ai lavoratori nazionali, che quindi reintegrano esattamente il profitto perduto.

Tra chiusura delle frontiere e apertura delle frontiere, le cose cambierebbero in modo che nessuno stia peggio di prima e qualcuno stia meglio di prima.

Nello schema dovete vedere anche il trasferimento all’estero per la produzione: ho parlato di apertura delle frontiere, ma in realtà può essere un’apertura delle frontiere che fa entrare lavoratori dall’estero in Italia, oppure che sposta la produzione all’estero. Ciò è esattamente equivalente e sia chiaro che la produzione, cioè gli imprenditori, se non hanno la possibilità di avvalersi di manodopera "discriminata" in Italia, trasferiscono la produzione all’estero.

In questo modo non andiamo a legittimare uno sfruttamento dei lavoratori nazionali sugli stranieri?

Naturalmente non si tratterebbe di dare ai lavoratori stranieri un diverso salario inferiore a quello dei lavoratori nazionali: si dovrebbe lasciare che il salario sia quello di equilibrio, che produce l’espansione del sistema e quindi il maggior vantaggio economico; una parte dei profitti del datore di lavoro verrebbero prelevati con le tasse e ridistribuiti come sussidio - per esempio i trasporti gratis, i libri gratis ….

Sto proponendo una discriminazione, dando dei benefici solo ai lavoratori nazionali e non a quelli stranieri; ma l’alternativa per loro è che, se non voglio discriminarli così, stanno fuori.

Sia chiaro ci sono delle correzioni, però il problema esiste: la filosofia che c’è in generale in Europa e in Italia, ed è la tipica filosofia che è sotto questa legge, è di dire: "Accolgo nel nostro sistema solo quelli che posso tenere allo stesso livello, cioè che posso non discriminare, solo ai quali posso garantire gli stessi diritti che garantisco ai nazionali". Ma questa filosofia non funziona.

La filosofia che vi propongo qui è diversa, dico: "No, li accolgo perché è conveniente per tutti, ma l’accoglienza diventa conveniente a condizione che io faccia questo trasferimento che discrimina tra lavoratori nazionali e lavoratori stranieri. Tra il tenerli fuori e il tenerli dentro e discriminarli, preferisco tenerli dentro e discriminarli".

Quello che voglio dire è: stiamo sempre attenti a non demonizzare una cosa e santificare l’altra, o fanno schifo tutt’e due o sono buone tutt’e due. Secondo me tutto sommato una situazione che in generale fa aumentare la produzione e quindi il benessere da dividere, non è perfetta, ma in generale è preferibile ad una situazione che comprime il benessere.

Poi resta il problema della distribuzione equa del benessere…. ma questo è un altro discorso.

DIBATTITO

(Intervento dal pubblico sulla differenza economica tra nord e sud): io sono messinese ma non sono uno studioso dell’economia del sud, ho l’impressione che su questa cosa il sud debba darsi una svegliata, riacquistare mobilità, garantire la possibilità la possibilità di portare la produzione al sud, garantire anche maggior credibilità e quindi fare in modo che la produzione vada al sud perché è più conveniente produrre al sud, garantire che non debba essere pagata una tangente alla mafia, e questo è responsabilità di tutti. E deve ribellarsi a certe cose che hanno impedito lo sviluppo; dopodiché ad un certo punto ho la sensazione che quando sarà conveniente per la produzione muoversi al sud si muoverà anche al sud. E quindi non sarà necessario lo sfruttamento delle persone.

(Intervento dal pubblico sull’importanza del numero di immigrati, della qualità dell’informazione, sulle reazioni della società)

Per come la vedo io - però, ripeto, non mi sto basando sul discorso che si può fare oggi alla società italiana perché non credo che ci sia questa maturità - bisogna fare apparire l’immigrazione come aspetto positivo anche da un punto di vista economico. Intenzionalmente vi facevo notare il paradosso che c’è nell’approccio politico alle varie tesi, che andrebbe esattamente capovolto rispetto a quello che c’è oggi: il dibattito che c’è su queste cose è totalmente immaturo, è fermo rispetto alla realtà. La società in questo momento non è in grado di capire l’apporto che l’immigrazione dà allo sviluppo della società e al suo benessere, e vede solo il rischio di diversità, di comportamento delinquenziale, di aumento dell’emarginazione e così via; paradossalmente, ma è anche un sintomo chiaro di questo, c’è un maggior rifiuto dell’immigrazione al nord piuttosto che al sud e mi viene da pensare che al nord si stia perdendo - e qui il nord deve darsi una svegliata - il senso della realtà della vita, cioè si confonde la realtà della vita col benessere acquisito. Il benessere acquisito è una cosa importante ma ci si deve ricordare come si è acquisito, e non confondere ciò che è povero con ciò che è pericoloso.

Mi sembra una logica da persone che sul lavoro di altri hanno fatto i soldi e ora li vogliono solo proteggere: non dureranno molto quei soldi, quindi lì i nostri devono darsi una svegliata.

(Intervento dal pubblico: il modello proposto non fa i pugni con la realtà economica di crisi del nostro paese?)

In una società o in un’economia la domanda non è una variabile indipendente, dipende anche dal livello di benessere, cioè nel momento in cui lei riesce a innescare una spirale di sviluppo produttivo, il maggior benessere fa aumentare la domanda di beni da parte delle persone che stanno in quella società e questo fa aumentare la produzione.

In una situazione di sottoccupazione, quale è la nostra, che è frutto delle politiche monetariste che sono state fatte per recuperare, per raffreddare l’inflazione e così via, si è compressa di molto la domanda di beni, per cui abbiamo molti disoccupati e una domanda molto compressa.

Questa è la ragione per cui c’è una scarsa domanda di beni nei confronti delle imprese che quindi producono poco e che quindi occupano poco. Io credo che in una situazione di questo genere il miglioramento potrebbe venire anche da una maggior domanda di beni che faccia espandere l’occupazione, così c’è un maggior numero di persone che stanno meglio e che diventano acquirenti di beni e questo fa aumentare la domanda di beni e fa crescere l’occupazione; certo bisogna stare attenti a non fare impennare l’inflazione e queste cose qui, ma c’è sempre una dialettica tra inflazione e disoccupazione. Non creda che la scarsa domanda di beni sia una condanna, è una cosa che va riinnescata.

Lei presenta il problema come motivazione di un comportamento restrittivo, io dico attenzione potrebbe essere una conseguenza di un comportamento restrittivo.

Un sistema che ha paura di dare fiato al mercato del lavoro e quindi di accettare un flusso di lavoratori più disponibili, rischia di impedirsi un’espansione, che si traduce in una compressione della domanda di beni, e questo produce un calo dell’occupazione, situazioni come quella che lei giustamente ha descritto del cinquantenne disoccupato che è in crisi, e ulteriore paura.

C’è un solo modo per schiodare questa cosa: innescare un processo opposto di espansione, che non sta a me ma al governo e ai sindacati, e si innesta non badando troppo alla difesa dei privilegi acquisiti, accettando che ci sia manodopera anche precaria, e preferendo il vantaggio che viene - anche a una manodopera precaria - da un’espansione, piuttosto che la tutela dei privilegi acquisiti.

(Intervento dal pubblico: allargare il mercato del lavoro comunque produce tutte le difficoltà legate all’incontro tra culture diverse….)

E’ evidente che il mercato del lavoro va allargato perché la funzione dell’immigrazione e la funzione dello spostamento della produzione sono entrambe un allargamento del mercato del lavoro. In quale verso sia più conveniente allargarlo si può discutere, ci sono dei pro e contro. Lei citava alcuni "contro" dell’allargamento con l’immigrazione che è il contatto difficile tra culture, lo sradicamento, le sofferenze umane, ecc. , ma attenzione: le vere culture sono quelle che si sono mosse nella storia, le culture le hanno fatte i popoli che si sono mossi, che hanno fatte loro le culture che incontravano e si sono mescolati, la cultura è spostamento, quello che non è spostamento non è cultura.

Da un’altra parte lo spostamento della produzione io non lo demonizzo affatto, ma attenzione che mentre qui certi controlli minimali sui diritti umani si possono introdurre - per esempio sulla sicurezza nel posto di lavoro, per l’incolumità fisica delle persone — nei paesi più poveri questo non è altrettanto semplice … ogni cosa ha un costo.

(Intervento dal pubblico: l’importanza della formazione professionale per favorire l’inserimento lavorativo degli immigrati… )

Ci sono settori del mercato del lavoro che richiedono competenze specifiche, ma la mia sensazione è che oggi prevalga un eccesso di competenze nella manodopera straniera rispetto all’impiego specifico: è molto più facile trovare il laureato straniero in fonderia, che non situazioni in cui per esempio è richiesto un preciso numero di programmatori al calcolatore e mi trovo invece capoverdiani che sappiano fare solo le colf.

Riguardando la migrazione, arrivano qui le persone più forti tra quelle escluse dal mercato del lavoro del paese di provenienza, o meglio le persone che aspirano posti di miglioramento economico, quindi le persone più formate del paese di provenienza.

Quindi si immettono in lavori a bassa qualificazione persone che invece avevano un’alta qualificazione; è possibile ovviamente che quel tipo di formazione sia magari puramente teorica, e che non risponda alle esigenze di far funzionare il macchinario in fabbrica o del particolare lavoro in un’industria, ma questo è vero anche per lo studente o il diplomato italiano o il laureato italiano, quale diplomato o laureato italiano sa fare le cose che andrà a fare nel mercato del lavoro? C’è sì un problema di formazione ma credo che il problema della formazione sia uno dei grandi problemi dell’imprenditoria italiana in generale, non legato all’immigrazione. Devono imparare a formare sul serio, cioè non sottoccupare le persone ma tirar fuori il meglio - invece ho l’impressione che in questo ci sia un deficit per un verso perché la nostra scuola non sa formare per il lavoro, per l’altro verso perché dovrebbe essere l’impresa a saper fare formazione per chi è disposto a lavorare.

(Intervento dal pubblico: Come conciliare questa spinta alla produzione con uno sviluppo sostenibile?)

Mi viene da dire che se il problema di un paese è il 12% di disoccupazione o peggio, non siamo in una fase di sovraproduzione.

Poi certamente devo stare attento a come incanalo lo sviluppo, però anche la ricerca della sostenibilità dello sviluppo può creare una domanda……….., faccio un esempio: se stabiliamo che è insostenibile il livello d’inquinamento nelle nostre metropoli, questo può far decidere che non usiamo più macchine e quindi comprime la domanda, o può far sviluppare una domanda di macchine catalizzate o cose di questo genere.

La società e il mercato rispondono a queste cose, non le voglio idealizzare, però credo che sotto lo sviluppo sostenibile non si debba realizzare una compressione della domanda, si può reincanalare la domanda verso beni diversi, qualitativamente diversi, anche tecnologicamente avanzati.

SERGIO BRIGUGLIO

(testo non rivisto dal relatore)