Perché non ci possiamo proclamare indignati

Rispondendo a un intervento di Sergio Briguglio, il ministro sig.a Livia Turco dà atto al suo capo di gabinetto Bolaffi di essere coerente e coraggioso, ed esprime la sua indignazione per "pesanti insinuazioni".

Colpisce la grave deformazione operata nei confronti del discorso assai limpido di Briguglio, che concludeva usando ironicamente "sinistrismo" come sinonimo di quella cultura delle non-regole, operazione attuata invece dal capo gabinetto—opinionista Bolaffi: ironia evidente grazie all’uso di un indicatore non-mascherato, come l’epiteto di "coraggioso" (usato antifrasticamente, come a dire "opportunista"), che Turco poi a sua volta infatti rovescia nella sua difesa appassionata ma, ahimé, deficitaria sul piano linguistico (che è più comprensivo, nel lessico di chi scrive qui, dei semplici ambiti morali, intellettuali e politici). Non dal "sinistrismo", come sembra credere la sig.a Turco, ma dall’immagine del sinistrismo che ha Bolaffi, prendeva le distanze, a dire di Briguglio, il capo gabinetto, e non perché i sondaggi prospettano imminente un governo Berlusconi, ma ogni qualvolta, che è un di più — sul piano della rappresentazione in chiave di mimo — e un di meno, sul piano della spiegazione causale; Briguglio non è portatore di spiegazioni semplicistiche: fisico di studi e professione, ironista per passione, il suo linguaggio spesso (aggettivo, m.s.) risponde alla coscienza dello spessore del "diorama delle concause".

Ma colpisce di più l’indignazione della sig.a Turco. Che è un dolore vero (tanto da farla straparlare di "insulti, calunnie, liste di proscrizione": addirittura…), con cui innanzi tutto fare i conti. Di dolori, di morti, di sofferenze, di insopportabilità per la privazione di diritti minimi è piuttosto fitta la vita di chi si occupa della questione immigrazione, e ciò obbliga a rifare i conti con la virtù della carità, con l’apertura all’altro sofferente; apertura che però, presto, si complica del problema "giustizia", una volta che sia necessario operare, di fronte alla presenza di un terzo, una scelta sul volto sofferente (ma glorioso) a cui rapportarsi prima e meglio. Per questo la dichiarazione della Turco mi ha un po’ turbato: vuoi vedere che, preso dai volti di chi soffre anche per le incapacità dei ministri, non mi rendo conto delle sofferenze dei ministri? Ho perciò dedicato la serata del sabato a una meditazione sull’indignazione. Ne espongo brevemente i risultati provvisori.

Chi si appella all’indignazione (propria) presuppone un "consenso stringente" (ut ait philosophus) che solo può derivare dall’accettazione supina dell’ordine esistente. L’indignato non ha doveri di ascolto nei confronti del problematico, ribadisce e mette in scena l’integrità di un soggetto che forse farebbe meglio a interrogarsi sulla sua riduzione a puro ripetitore di conformismi ideologici, mette in angolo l’interlocutore, che non può obiettare, se non altro per paura fisica, a chi alza la voce (non esiste indignazione senza alzata di voce, altrimenti cambia nome e sostanza) e dà per scontato quanto invece va spiegato. Anche per questo, l’indignazione non capisce né sopporta l’ironia, che dà spessore alle cose. Chi si indigna seppellisce nell’ovvio delle proprie buone ragioni lo spiraglio di verità in cammino che in ogni gesto altrui, foss’anche debole e malato, è presente. E’, come è noto, l’errore di Giovenale, per cui "indignatio facit versus", sì, ma in mancanza di talento, e con gli occhi chiusi verso le forze che si liberano nello sfacelo.

In presenza di conflitto, di processo, di movimento, l’indignazione diventa ciò che da sempre è, ridicolo richiamo alla conservazione— espungendo, da ciò che è, un po’ troppe voci, gesti, comportamenti, diritti. In questa semplificazione ridicola, la sig.a Turco nasconde due cose: i volti e i diritti di chi da due anni attende la definizione della propria certificazione di presenza; e il fatto che, coraggio o opportunismo del capo gabinetto, lei non ci sarà, nel prossimo governo, mentre Guido Bolaffi è da sempre e oggettivamente in corsa per la successione a se stesso, che onorerebbe, su questo ha sì ragione la Turco, con la coerenza di sempre, continuando a contribuire alla costruzione di una politica fallimentare, inefficace, e, da ultimo solo per pudore, ingiusta, sulla presenza dei migranti.