Caro Sergio,

ecco alcune riflessioni sparse stimolate da "Italia-Germania 3-3".

Intanto, condivido gli obiettivi centrali della tua piattaforma politica: cioè, se ho capito bene:

  1. favorire l’incontro tra domanda di lavoro autoctona (o domanda autoctona di beni e servizi, nel caso del lavoro autonomo) e offerta di lavoro (o di beni e servizi) straniera. Siamo d’accordo, mi pare, sul fatto che l’incontro tra tale domanda e tale offerta sia un valore, in quanto sfrutta le complementarietà che esistono (accanto a tante divergenze di interessi, potenzialmente fonte di conflitti) tra Nord ricco e Sud povero, contribuendo a fare del mondo un posto un po’ meno ingiusto;
  2. ridurre il più possibile le sacche di irregolarità. L’irregolarità diffusa è un disvalore perché, senza soggettività politica e giuridica, l’individuo è completamente in balìa dei rapporti di forza (fisica ed economica), e la sua dignità viene annientata (potenzialmente o attualmente: dal punto di vista teorico questo importa poco; l’importante è che ciò può accadere). L’irregolarità è un disvalore, inoltre, perché, in misura crescente, è il risultato dell’operato di imprenditori illegali, che arricchendosi accumulano un potere non proprio democratico. Fin qui, credo, siamo d’accordo.

Io aggiungerei un terzo obiettivo:

  1. impegnarsi affinché, in un futuro magari distante, l’emigrazione (un fatto che io considero normale, certo, ma non auspicabile in sé) non sia più necessità (e non parlo solo delle cosiddette "migrazioni forzate"), ma puro sfizio di una minoranza di spiriti inquieti. Questo richiede che, in una fase di transizione verso il mondo ideale, si lavori per fare dell’emigrazione una scelta possibile, ma con determinati costi, a fronte di un’altra opzione possibile, sebbene costosa anch’essa, che è quella di rimanere, per costruire qualcosa a casa. Se invece l’emigrazione è l’unica opzione che appare conveniente (per la durezza dei push factors e/o per un "eccesso" di libertà di circolazione) il miraggio migratorio tenderà a dominare la società di partenza, frenando qualsiasi processo di sviluppo, che è necessariamente investimento di massa sul futuro lì (questo non esclude che l’emigrazione stessa, in una certa misura, possa essere volano di sviluppo). Su questo terzo ordine di obiettivi, credo, siamo un po’ meno d’accordo e, un giorno, mi piacerebbe discuterne seriamente.

Detto questo sugli obiettivi, vengo brevemente agli strumenti.

Non capisco molte delle cose che scrive Pugliese: per esempio, dove sostiene "non mi è neanche balenato il sospetto che la tua proposta intendesse barattare più bassi salari con maggiori ingressi"; ma non è proprio così, laddove ipotizzi un "salario d’ingresso" per immigrati e non?

Sono invece d’accordo con lui, quando sostiene che le tre vie (quella tradizionale, quella dell’ASGI, detta "torinese", e quella "salernitana") non si escludono a vicenda.

In particolare, rigettando idealmente per sempre la prima via, rifletterei sull’utilità di combinare la seconda e la terza. Mi sembra ragionevole, infatti, avere da un lato canali di ingresso più ampi e meno rigidi (ma non troppo ampi, né troppo "facili", in considerazione dell’obiettivo C) e, dall’altro lato, una valvola di riassorbimento per coloro che continueranno a filtrare irregolarmente e clandestinamente.

Tu obietti alla via torinese che vìola la riserva di legge dell’articolo 10 Cost..

A me sembra un argomento fallace. La riserva di legge è infatti stabilità per ragioni di tutela, e cioè per impedire trattamenti discrezionali sfavorevoli e discriminatori. Non preclude, invece, l’esercizio di una discrezionalità amministrativa che operi a vantaggio dello straniero. E’ un po’ come in campo penale: la riserva costituzionale di legge in materia incriminatoria non rende illegittimo l’istituto della grazia.

Sulla dottrina della Scuola salernitana, infine.

Questa mi appare come uno straordinario motore per l’economia sommersa: uno entra per 3 mesi + 3 + 3; indi cerca e trova lavoro in nero; dopodiché si ferma tranquillamente in condizione irregolare; e che gli importa se la polizia ha le sue impronte? Tanto, domani come oggi, non sarà mai possibile, finché dura la democrazia, detenere né deportare le decine di migliaia di turisti-lavoratori che tu pensi di importare all’anno.

Tutto ciò, a meno che la strategia salernitana sia accompagnata da forti incentivi alla regolarizzazione del lavoro immigrato.

Tu fai l’ipotesi (se ho capito la parte finale del tuo documento) di un salario d’ingresso non discriminatorio, in quanto non destinato solo agli immigrati, ma rivolto a tutti i lavoratori con scarsa anzianità.

Tutto o gran parte del tuo complesso ragionamento si riduce, allora, a questo: possiamo (e vogliamo) convincere Cofferati che la Confindustria ha ragione quando - come fa da anni senza molto successo - chiede proprio il salario d’ingresso (insieme alle gabbie salariali, all’abolizione dei due livelli di contrattazione, etc.)?

La domanda è troppo complicata per me, e quindi te la rivolgo.

Mi chiedo solo una cosa: in una fetta ampia del mercato del lavoro italiano, quella delle imprese sotto i 15 dipendenti, vige già (senza bisogno di referendum liberisti) la cosiddetta "flessibilità in uscita", cioè la sostanziale libertà di licenziamento. Se si creasse un salario di ingresso, si genererebbe un formidabile incentivo a licenziare dopo il periodo corrispondente (come di fatto accade, spesso, al termine del contratto di formazione).

Questo sarebbe un esito grave per gli italiani; ma sarebbe gravissimo per gli stranieri, perché si formerebbe un circuito creatore di "irregolarità di ritorno" su larga scala, cioè proprio quello che volevamo evitare. O no?

In realtà, è tutto una scusa per vederci una sera e farci una bella chiacchierata. Quando si combina?

Ciao,

Ferruccio