Si e' celebrato ieri il giubileo dei migranti. Nei giorni che hanno preceduto il giubileo, a Brescia e a Roma molti immigrati hanno protestato per l'esito deludente del lunghissimo processo di regolarizzazione in corso, tra ordini del giorno parlamentari, decreti, circolari, code ed esame delle pratiche, da quasi due anni e mezzo. Sono piu' di cinquantamila le richieste cui le questure stanno, alla spicciolata, opponendo dinieghi e inviti a lasciare l'Italia entro quindici giorni.

Fa impressione vedere uomini di cui non sono migliore dover fare lo sciopero della fame per chiedere che sia loro dato un pezzo di carta, con la loro foto sopra, con una data di scadenza, un indirizzo e la scritta: permesso di soggiorno. Fa impressione perche' non chiedono che sia resa loro facile la vita. Chiedono solo che sia detto loro: potete vivere qui; per un po'. Non - badate -: quella e' casa vostra, potete viverci. Solo: potete cercare di vivere, con le vostre forze; noi lasceremo che vi diate da fare, senza impedirvelo; perche' smettiamo, per un po', di reputarvi piu' invadenti e pericolosi dei milioni di sconosciuti che verranno quest'anno in Italia per il giubileo.

Mi telefona, in questi giorni, una signora albanese. E' un ingegnere. In Italia fa la colf. E' clandestina. Lo sono anche il marito e i figli. Lavorano tutti. Il loro problema potrebbe essere, se si trattasse di italiani: come ottenere un lavoro piu' vicino a quello per il quale si e' studiato? come mandare i figli all'universita'? come fare a comprare una macchina? Trattandosi di albanesi, e clandestini, il loro problema e', prima di tutto: come ottenere il permesso di soggiorno? Mi chiede, la signora, se la legge offra qualche possibilita', anche tornando temporaneamente in patria - e pazienza se per venire hanno bruciato milioni. Cerco di spiegare loro che in linea di principio ne offre: il decreto flussi, con le sue chiamate nominative, le sponsorizzazioni, gli ingressi per ricerca di lavoro auto-sponsorizzato. Si illumina. Parla male l'italiano, e quell'in linea di principio non lo capisce. Devo spiegarle che per la sponsorizzazione il termine e' scaduto il quindici maggio; per le chiamate nominative al ministero del lavoro si sono inventati un minimo di quaranta ore settimanali e di ottantacinque milioni di reddito annuo in capo al datore di lavoro; per la ricerca di lavoro non c'e' nessuna lista di prenotazione nell'ambasciata italiana (o se c'e' non lo sa nessuno). Smette di illuminarsi. E a me torna a far male lo stomaco.

Qualche settimana fa, una signora slava, clandestina, trovato in Italia chi volesse assumerla, stava rientrando in patria, per chiedere un visto di ingresso regolare e tornare in Italia legalmente. La polizia di frontiera, a Ronchi dei Legionari, ne ha rilevato la mancanza di permesso di soggiorno. L'hanno espulsa (e' un po' come ammanettare chi bussi alla questura per costituirsi). Ha perso il ricorso. Non potra' rientrare per tre anni: il giudice - bonta' sua -, pur trovando "la doglianza della ricorrente priva di fondamento", le ha abbuonato due dei cinque anni.

Il giubileo era ed e' periodica restituzione di liberta', correzione dei rapporti ingiusti, azzeramento delle differenze acquisite e di quelle ereditate. Non e' e non puo' essere semplice difesa dell'esistente, delle sue letture della storia, delle sue valutazioni di opportunita'. Oggi in Italia, come nel resto d'Europa, sul migrante grava, oltre che il peso ordinario e quotidiano della vita, la negazione della legalita'. E' una negazione che non discende da condizioni difficili da soddisfare, ma pure gravide di buon senso. E' il prodotto di una normativa anacronistica e sgrammaticata, di una politica lenta e timorosa, di una burocrazia che all'intelligenza preferisce il potere.

Accogliere le domande di regolarizzazione pendenti, emanare un nuovo decreto-flussi, rilassare i criteri per l'accesso al lavoro e dare opportunita' di reingresso legale a chi voglia sottrarsi oggi alla cladestinita' sono cose che la legge permette e che l'intelligenza esige. Non farlo e' insulto all'impegno del Papa e all'intero giubileo molto, ma molto di piu' di quanto lo possa essere una qualunque sfilata.