INTRODUZIONE…………………………………………………….….pag. 4

 

PARTE PRIMA:………………………………………………………….pag.13

CAPITOLO 1

LA PRESENZA STRANIERA IN ITALIA.

LA PROGRAMMAZIONE DEI FLUSSI E LE

PROCEDURE DI REGOLARIZZAZIONE

- Immigrati presenti nel Paese……………………………………………pag.15

- Origine etnica degli immigrati e principali motivi di soggiorno*………..pag.17

- Stranieri e territorio: la concentrazione nel Centro-Nord

e nei centri urbani e il crescente peso dei minori*…………………...…...pag.20

- Durata del soggiorno*…………………………………………………….pag.23

- Flussi migratori nel 1997, 1998 e 1999**…………………………………pag.25

- Politica delle quote e Accordi di cooperazione bilaterale………………...pag.43

- Decreto-flussi 2000……………………………………………………….pag.48

- La regolarizzazione……………………………………………………….pag.50

ALLEGATO STATISTICO:……………………………………………….pag.51

-) dati sulla regolarizzazione……………………………………………….pag.52

-) dati relativi alle autorizzazioni al lavoro concesse………………………pag.53

ai sensi dell’art.27 del T.U.

 

CAPITOLO 2

ATTIVITÀ SVOLTE IN AMBITO INTERNAZIONALE

- Attività in ambito Unione Europea……………………………………….pag.55

- Problematiche connesse all’asilo…………………………………………pag.61

- Vertice di Tampere………………………………………………………..pag.64

- Iniziative sul piano multilaterale………………………………………….pag.67

- Cooperazione euro-mediterranea………………………………………....pag.70

- Cooperazione con i Paesi dell’area Africana,

dei Caraibi e del Pacifico………………………………………………….pag.71

- Cooperazione sul piano bilaterale…………………………………………pag.72

- Cooperazione allo sviluppo e flussi migratori…………………………….pag.75

ALLEGATO: elenco Accordi di riammissione conclusi…………………...pag.77

 

 

CAPITOLO 3

FORME DI PROTEZIONE INTERNAZIONALE IN ITALIA

- Asilo e Status di rifugiato………………………………………………...pag. 79

- Protezione temporanea. La guerra nell’area balcanica

e l’esodo dal Kossovo…………………………………………………….pag. 84

- Protezione sussidiaria…………………………………………………….pag. 92

 

CAPITOLO 4

MISURE DI CONTRASTO DELL’IMMIGRAZIONE

CLANDESTINA

- Dispositivi di vigilanza e controllo delle frontiere……………………….pag. 96

- Centri di permanenza temporanea e assistenza…………………………..pag. 98

- Interventi assistenziali a favore di stranieri irregolari

ai sensi della legge 29 dicembre 1995, n.563……………………………pag.104

- Restituzione degli stranieri irregolari ai Paesi di provenienza…………..pag.106

ALLEGATO: elenco dei Centri di protezione temporanea

ed assistenza……………………………………………….pag.112

 

 

PARTE SECONDA……………………………………………………...pag.113

- Sintesi del Primo rapporto sull’integrazione degli

immigrati in Italia (a cura della Commissione per le

politiche di integrazione degli immigrati)…………………………….pag.114

- Misure di integrazione sociale. Attività delle Regioni

e degli Enti locali (tratto dal Primo rapporto sull’inte-

grazione degli immigrati in Italia, a cura della Com-

missione per le politiche di integrazione degli immigrati)……………pag.147

- Attività degli organismi istituiti per la promozione

dell’integrazione e della rappresentanza (tratto dal

primo rapporto sull’integrazione degli immigrati

in Italia, a cura della Commissione per le politiche

di integrazione degli immigrati)………………………………………pag.161

APPENDICE

INDICE DELLE FONTI NORMATIVE ED AMMINISTRATIVE……..pag.166

 

INTRODUZIONE

L’articolo 3, comma 1, del testo unico delle disposizioni in materia di immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, approvato con decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (in seguito indicato come "testo unico"), prevede che il Ministro dell’Interno presenti annualmente al Parlamento una relazione sui risultati raggiunti attraverso i provvedimenti attuativi del documento programmatico.

La presente relazione è la prima predisposta in attuazione del citato art. 3 e riguarda il periodo che va dal 27 marzo 1998 — data di pubblicazione della legge n. 40 sulla Gazzetta Ufficiale — al 31 ottobre 1999. Si tratta quindi della prima fase di attuazione della legge, necessariamente di transizione tra la vecchia normativa e la nuova. La nuova legge fa spesso rinvio per la disciplina dei nuovi istituti e per il dettaglio delle procedure al regolamento di attuazione, che purtroppo è entrato in vigore con notevole ritardo rispetto ai tempi previsti. Infatti, benché approvato la prima volta in via preliminare dal Consiglio dei ministri il 29 gennaio 1999, è stato oggetto di osservazioni da parte della Corte dei Conti e registrato, dopo le modifiche apportate con successive delibere del Consiglio dei ministri, il 26 ottobre 1999 e quindi pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 258, Supplemento ordinario, del 3 novembre 1999.

Dopo l’avvenuta pubblicazione del regolamento la nuova normativa sull’immigrazione può ritenersi finalmente a regime ed il Governo potrà procedere con le necessarie misure attuative, anche dando vita alla necessaria struttura di coordinamento (prevista nel documento programmatico) che dovrebbe consentire di potenziare la capacità amministrativa di attuare concretamente le norme vigenti.

Malgrado le difficoltà incontrate nel 1999 sia sul piano amministrativo per il ritardo con cui è stato approvato il regolamento di attuazione sia per il verificarsi di situazioni di emergenza derivanti dal conflitto bellico che nel 1999 ha sconvolto l’area dei Balcani, determinando un ingente flusso di profughi e di richiedenti asilo verso l’Italia, la nuova normativa sull’immigrazione ha comunque dimostrato di poter funzionare, costituendo anche nel confronto con i paesi membri dell’Unione europea un avanzato punto di riferimento proprio per la sua capacità di coniugare le esigenze di sicurezza del territorio e di controllo delle frontiere con una visione aperta e moderna dei flussi migratori.

L’esperienza di questi ultimi anni, con l’aumento a partire dal 1997 dei flussi migratori regolari ed irregolari in tutti i paesi industrializzati (secondo quanto risulta anche dal Rapporto annuale dell’OCSE sulle tendenze delle migrazioni internazionali) conferma l’analisi contenuta nel documento programmatico, e cioè che le differenze e gli squilibri crescenti nei tassi di sviluppo economico e demografico e le condizioni di povertà e di sottosviluppo in cui continuano a vivere i due terzi dell’umanità sono il fattore determinante dei flussi migratori. Si aggiunge a queste cause strutturali il manifestarsi di sempre nuove aree di crisi e di conflitto, che si tenta di fronteggiare con interventi umanitari e di protezione temporanea ma che comunque determinano esodi di massa e fanno aumentare il numero dei rifugiati o di coloro che chiedono una qualche forma di protezione.

Solo un’efficace politica di cooperazione e di aiuto allo sviluppo, concertata a livello internazionale ed europeo, può incidere sulle cause strutturali del sottosviluppo e, sia pure nel medio-lungo periodo, arginare i movimenti migratori forzati. Ma per comprendere nella sua complessità e nelle sue nuove tendenze il fenomeno migratorio è necessario tener presente anche le caratteristiche economiche e sociali dei Paesi di destinazione dei flussi migratori ed i nuovi scenari che si aprono con la globalizzazione delle economie e dell’informazione e la sempre maggiore facilità di movimento delle persone. Accanto ai flussi migratori provocati dalla povertà e dai conflitti esistono già oggi — e sono destinati ad aumentare in futuro — flussi migratori selezionati e qualificati, che rispondono ad esigenze del mercato del lavoro dei Paesi più industrializzati. E’ quanto avviene, almeno in parte, in Paesi come gli Stati Uniti, il Canada e l’Australia, che sono non a caso i Paesi nei quali funziona una programmazione degli ingressi con il sistema delle quote.

L’Italia, che per la sua posizione geografica al centro del Mediterraneo costituisce una delle principali frontiere esterne dell’area Schengen, è Paese di destinazione di un flusso migratorio che negli ultimi anni è progressivamente aumentato non sulla base di una programmazione degli ingressi ma in gran parte seguendo canali non regolari. Le periodiche sanatorie hanno consentito di regolarizzare la posizione di stranieri che altrimenti sarebbero stati condannati ad una situazione di perpetua clandestinità. Va tuttavia sottolineato che tale flusso irregolare è stato attratto in Italia soprattutto dalla domanda di lavoro nero che, come è noto, caratterizza negativamente il mercato del lavoro italiano. L’obiettiva difficoltà di combattere il lavoro nero e di fare emergere l’economia sommersa può essere considerato uno dei punti di maggiore debolezza nel governo dell’immigrazione. Sarà dunque necessario potenziare le misure di controllo ed eventualmente inasprire le sanzioni per evitare che l’economia sommersa continui a richiamare e favorire l’immigrazione irregolare e ad attrarre, come avviene attualmente, anche una parte non irrilevante degli immigrati presenti in Italia con regolare permesso di soggiorno.

La consapevolezza della complessità del fenomeno migratorio è alla base della nuova normativa italiana sull’immigrazione che, rifiutando come irrealistica e contraria ad ogni principio di solidarietà e di cooperazione la tesi dell’Europa come fortezza che deve difendersi da una presunta invasione, ritiene invece possibile governare un flusso strutturato e programmato di lavoratori stranieri destinati ad integrarsi nella società italiana. L’inconsistenza e contraddittorietà delle politiche che pretendono di chiudere totalmente le frontiere all’immigrazione è del resto dimostrata non solo dal generale aumento dell’immigrazione clandestina ma anche dalla crescita progressiva del flusso migratorio rappresentato dai ricongiungimenti familiari. L’unità familiare è un diritto e quindi i ricongiungimenti, sia pure con modalità e requisiti diversi nei vari paesi, sono fuori delle quote, anche se danno vita a potenziali nuovi possibili ingressi nel mercato del lavoro. L’unità familiare, anche dal punto di vista delle politiche dell’integrazione, viene considerata ovunque come garanzia di stabilità e di integrazione del soggetto che per primo ha realizzato il suo progetto migratorio.

 

***

Nel primo capitolo della relazione - per la cui stesura ci si è avvalsi della collaborazione dell'ISTAT - viene illustrata la presenza straniera in Italia e le caratteristiche socio-demografiche della popolazione immigrata e dei recenti flussi migratori. Vengono quindi analizzate l'evoluzione dei flussi negli ultimi tre anni e le procedure di regolarizzazione. Per quanto riguarda i dati statistici, la collaborazione tra le varie amministrazioni interessate nonché con l'ISTAT e l'INPS ha consentito di migliorare e rendere più omogenei i sistemi di rilevazione, ma molto resta ancora da fare. Il Ministero dell'interno, che in base a quanto prevede l'articolo 3 comma 6-bis del Testo Unico, deve espletare le attività di raccolta dei dati a fini statistici sul fenomeno dell'immigrazione extracomunitaria per tutte le amministrazioni interessate alle politiche migratorie, sta predisponendo una banca dati integrata. Per il momento la comparazione dei dati non sempre è agevole, in particolare per quanto riguarda la rilevazione dei flussi annuali, che viene fatta in tempi diversi ed è pertanto soggetta a continue variazioni.

La concreta attuazione della nuova normativa sulla programmazione di flussi, sulla base dei criteri generali indicati nel documento programmatico, ha dovuto anzitutto affrontare il problema della presenza in Italia al momento dell’entrata in vigore della nuova legge di un numero rilevante di lavoratori stranieri in situazione di irregolarità. Mentre si rinvia al capitolo 1 per una illustrazione dettagliata dei risultati sinora conseguiti, va ricordato che l’obiettivo primario che si intendeva perseguire con la regolarizzazione era l’emersione dall’area della irregolarità di tutti gli stranieri già presenti in Italia al momento della entrata in vigore della legge n. 40 che fossero in possesso di alcuni determinati requisiti. Ridurre al massimo l’area della irregolarità è la premessa per l’avvio di una politica attiva degli ingressi basata sul sistema delle quote.

Come noto, la legge n. 40 non prevede alcuna sanatoria delle situazioni preesistenti di irregolarità, ma il Governo ha accettato su tale argomento un ordine del giorno votato dall’Assemblea del Senato il 19 febbraio 1998. L’ordine del giorno n. 100 impegnava il Governo entro tre mesi dall’approvazione della legge a presentare al Parlamento una relazione sul fenomeno delle irregolarità ed a formulare le opportune proposte ed iniziative per l’emersione dell’area delle irregolarità facendo ricorso anche ai meccanismi previsti per la programmazione dei flussi di ingresso. La relazione sulla presenza degli stranieri in Italia e sulle situazioni di irregolarità, presentata al Parlamento il 26 maggio 1998, stimava la consistenza degli stranieri irregolari da un minimo di 200 mila ad un massimo di 300 mila unità circa. Per consentire il conseguimento dell’obiettivo dell’emersione dalla situazione di irregolarità, il documento programmatico indica come via da percorrere quella della regolarizzazione progressiva attraverso lo strumento dei decreti di programmazione dei flussi. In conformità con tale indirizzo il DPCM del 16 ottobre 1998, integrando il decreto interministeriale 27 dicembre 1997 di programmazione dei flussi per l’anno 1998, fissava per il 1998 una quota aggiuntiva di 38 mila persone. Entro tale quota massima si consentiva il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato e di lavoro autonomo a cittadini stranieri non comunitari residenti all’estero e a quelli già presenti in Italia prima dell’entrata in vigore della legge n. 40 che avessero presentato entro il 15 dicembre 1998 alla Questura competente per territorio apposita domanda corredata da: un’idonea documentazione circa l’effettiva presenza in Italia prima del 27 marzo 1998, l’esistenza di un contratto di lavoro subordinato o di un contratto di collaborazione non occasionale e un’idonea sistemazione alloggiativa. Era anche prevista la possibilità di regolarizzazione per gli stranieri irregolari che potessero far valere il diritto all’unità familiare.

Le procedure per la regolarizzazione sono state definite con successive circolari del Dipartimento della pubblica sicurezza. In particolare sono state fissate le modalità per la presentazione delle domande e, anche sulla base dell’esperienza passata, per consentirne un’ordinata presentazione, è stato introdotto il sistema della cosiddetta "prenotazione" da effettuarsi entro il termine del 15 dicembre 1998. Alla scadenza del 15 dicembre risultavano essere state effettuate circa 308 mila prenotazioni. Si confermava in tal modo la validità della stima contenuta nella Relazione sulla presenza straniera in Italia e, considerato che per la sua stessa natura la regolarizzazione non poteva prevedere un numero prestabilito di persone da regolarizzare, era necessario portare gradualmente alla regolarizzazione tutti coloro che dimostravano di possedere i requisiti previsti. Per non vincolare le procedure della regolarizzazione alle scadenze e ai tempi dei decreti di programmazione dei flussi, con il decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 113, correttivo del testo unico sull’immigrazione, è stato introdotto nel testo unico l’articolo 49, comma 1-bis, che prevede il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di lavoro a tutti coloro che abbiano presentato nei termini la domanda di regolarizzazione e siano in possesso dei prescritti requisiti. Dopo l’emanazione del decreto legislativo correttivo, il Dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell’interno ha fissato, tenendo conto dei criteri valutativi dei requisiti ulteriormente precisati con apposita circolare, la data del 20 ottobre 1999 quale data ultima per consentire il perfezionamento delle pratiche pendenti.

Per quanto riguarda l’aspetto statistico si rinvia per un’analisi dettagliata ai prospetti allegati al capitolo 1. Alla data del 28 dicembre 1999 risultavano essere state presentate per motivi di lavoro 243.233 domande (di cui 36.339 per lavoro

 

autonomo). Di tali istanze 130.887 erano state accolte e 11.879 respinte. Per motivi di ricongiungimento familiare erano state presentate 7.337 domande, di cui 5.368 accolte e solo 166 respinte. Si prevede la definizione delle istanze per la maggioranza delle Questure entro il 31 dicembre 1999, con possibile slittamento ai primi mesi del 2000 per un numero limitato di Questure ove risulta maggiore il numero di istanze presentate.

E’ evidente, altresì, che, in mancanza dei requisiti previsti dalla legge, le Questure notificheranno agli interessati provvedimenti di diniego del permesso di soggiorno, adottando le procedure previste dall’art. 12 del Regolamento di attuazione del T.U. sull’immigrazione, recentemente entrato in vigore, in base al quale dovrà essere menzionato nello stesso provvedimento di rifiuto il termine, non superiore a 15 giorni lavorativi, entro il quale lo straniero deve presentarsi al posto di polizia di frontiera per allontanarsi volontariamente dal territorio dello Stato, con l’avvertenza che, in mancanza, verrà adottato un provvedimento di espulsione.

Le procedure di regolarizzazione in corso nel 1999 hanno naturalmente comportato il rilascio di un cospicuo numero di nuovi permessi di soggiorno — come risulta dall’analisi dei flussi di ingresso nel 1999 — e conseguente inserimento nel mercato del lavoro, rendendo quindi particolarmente complessa la programmazione dei flussi per il 1999. Del resto non era possibile effettuare una programmazione dei flussi secondo le procedure ordinarie per la mancata approvazione del Regolamento di attuazione.

Si è quindi fatto ricorso a quanto previsto nell’articolo 3, comma 4, del testo unico, confermando con la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 4 agosto 1999 la quota complessiva di 58 mila ingressi, pari a quella definita per l’anno 1998.

Il decreto flussi 2000 sarà dunque il primo a dare attuazione alla nuova normativa sull’immigrazione. Accanto alle tradizionali modalità di ingresso per chiamata nominativa, vi sarà un nuovo canale di ingresso legale, quello previsto nell’articolo 23 del testo unico e cioè la prestazione di garanzia per l’accesso al lavoro. Con l’introduzione del cosiddetto sponsor e dell’ingresso per ricerca di lavoro si intende conseguire l’obiettivo di facilitare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, con una maggiore flessibilità che tenga conto della concreta realtà del mercato del lavoro. Saranno confermate le quote preferenziali per i paesi con cui sono stati conclusi accordi per la regolamentazione dei flussi (sinora Albania, Tunisia e Marocco) ed una quota sarà riservata a quei paesi con i quali nel corso del 2000 saranno concluse nuove intese. Saranno pertanto accelerati i negoziati con i paesi da cui provengono i maggiori flussi migratori al fine di concludere nuove intese sulla regolamentazione concordata dei flussi medesimi, definendo le opportune modalità per la compilazione delle liste obbligatorie e facoltative nelle quali dovranno iscriversi i lavoratori stranieri residenti all’estero che intendono venire in Italia.

***

Insieme alla programmazione dei flussi, il secondo principale obiettivo della nuova normativa sull’immigrazione è costituito dal controllo delle frontiere e dal contrasto all’immigrazione clandestina e allo sfruttamento criminale dei flussi migratori. Come mostrano i dati statistici contenuti nella presente relazione, la nuova normativa ha consentito una maggiore capacità di contrastare l’immigrazione clandestina sia sul versante dei controlli esterni che di quelli interni. Nei capitoli 2 e 3 della relazione sono illustrate le attività svolte in ambito internazionale, da cui risulta l’impegno del Governo italiano per la definizione in sede bilaterale e multilaterale di una politica di governo dei flussi migratori. L’evento più importante nel 1999 è stato l’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, con la comunitarizzazione delle politiche della immigrazione e dell’asilo. Sul piano bilaterale i numerosi accordi di riammissione ed in particolare gli accordi conclusi con l’Albania, la Tunisia ed il Marocco hanno consentito di rafforzare i controlli esterni con la conseguente diminuzione dei flussi migratori clandestini. Inoltre, anche per effetto di intese concluse per iniziativa del Ministero dell’interno, è stato possibile realizzare con alcuni Paesi (in particolare con la Slovenia) l’esternalizzazione dei controlli sui territori degli Stati terzi, con il contenimento dei flussi in particolare alle frontiere del nord-est.

Il capitolo 4 è dedicato alle misure di contrasto dell'immigrazione clandestina. Dai dati si rileva che l'applicazione della nuova normativa ha avuto come effetto una progressiva crescita nell'esecuzione dei provvedimenti di rimpatrio. Confrontando il 1997 con i primi dieci mesi del 1999, gli allontanamenti, compresi i respingimenti alla frontiera e le espulsioni eseguite, sono aumentati del 23%, passando dai 49.079 del 1997 ai 60.724 dei primi dieci mesi del 1999.

Come è noto una delle maggiori innovazioni della nuova normativa è la istituzione dei centri di permanenza temporanea di assistenza, centri che, sia pure con nomi diversi, esistono in quasi tutti i Paesi dell'Unione europea.

I centri di protezione temporanea e assistenza sono stati istituiti ai sensi dell'art. 14 del T.U. delle leggi sull'immigrazione, al fine di trattenere gli immigrati in attesa dell'esecuzione di provvedimenti di espulsione dal territorio nazionale.

In tali centri la libertà di movimento dell'immigrato è limitata temporaneamente al fine di procedere alla identificazione del soggetto che si è introdotto illegalmente sul territorio. La possibilità di trattenere un individuo, privandolo temporaneamente della propria libertà di movimento, in attesa della definizione di un procedimento di espulsione, è stata, peraltro, prevista a livello internazionale dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (art. 5, paragrafo f), adottata a Roma il 14 novembre 1950 e ratificata dall'Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848.

Il funzionamento delle strutture in argomento, nonché le modalità di trattenimento degli immigrati sono state disciplinate con il Regolamento di attuazione (artt. 20 e seguenti), entrato in vigore solo recentemente.

Sono, pertanto, ancora in corso le attività e le procedure di ottimizzazione relative alla organizzazione e alla gestione dei centri stessi che, comunque, è improntata ai princìpi stabiliti dalla normativa in vigore, ove vengono previste e garantite le libertà di corrispondenza, di colloquio e di culto, assicurando, altresì, i servizi di mantenimento e di assistenza - anche giuridico-legale - nonché di socializzazione degli stranieri. Al riguardo, presso il Ministero dell'interno, è stata istituita un'apposita Commissione tecnica con il compito di vigilare, attraverso un costante monitoraggio, la organizzazione e la gestione dei Centri.

Nuovi centri di permanenza temporanea per il trattenimento degli immigrati in attesa di espulsione saranno messi in funzione al più presto e, con la conclusione di nuovi accordi per la riammissione e la regolamentazione dei flussi, anche le procedure per la identificazione degli immigrati da espellere e per i successivi rimpatri dovrebbero essere semplificate e rese più rapide.

 

***

Per quanto riguarda le politiche di integrazione, il Governo ha operato secondo le priorità e le linee di intervento individuate nel documento programmatico. E’ stata effettuata sia per il 1998 che per il 1999 la ripartizione tra le regioni del Fondo nazionale per le politiche migratorie e sono stati istituiti e sono ormai operanti gli organismi previsti dal Testo Unico per la promozione dell’integrazione e della rappresentanza: si tratta della Consulta per i problemi degli stranieri immigrati e delle loro famiglie, dell’Organismo nazionale di coordinamento delle politiche di integrazione sociale dei cittadini stranieri a livello locale e del Comitato interministeriale di coordinamento delle azioni di Governo contro la tratta di donne e minori a scopo di sfruttamento sessuale. Con DPCM del 7 luglio 1998 è stata istituita la Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati che, il 30 novembre 1999, ha presentato al Governo il primo rapporto annuale sullo stato di attuazione delle politiche per l’integrazione degli immigrati. Una sintesi di questo rapporto, curata dalla Commissione, è pubblicata nella seconda parte della relazione e ad essa si fa rinvio per una valutazione complessiva dello stato di attuazione delle politiche di integrazione. Il Governo, dopo l’avvenuta approvazione del Regolamento di attuazione, è impegnato a dare rapida attuazione a una delle innovazioni più importanti della nuova normativa sull’immigrazione e cioè il rilascio agli stranieri, che abbiano regolarmente soggiornato in Italia per almeno cinque anni, della carta di soggiorno, passaggio decisivo del percorso verso una nuova cittadinanza. Entreranno anche in funzione nei primi mesi del 2000 i Consigli territoriali, ai quali è affidata a livello locale una funzione essenziale per la rappresentanza degli immigrati. Resta ancora irrisolta la questione del riconoscimento agli stranieri del diritto di voto attivo e passivo per le elezioni locali, ma il Governo riconferma la sua volontà di procedere alla necessaria revisione costituzionale per garantire questo strumento fondamentale di partecipazione agli stranieri.

CAPITOLO I

Immigrati presenti nel Paese

Gli stranieri regolarmente presenti in Italia al 1° gennaio 1999, in base ai permessi di soggiorno in vigore a tale data, sono 1.090.820, in crescita rispetto all’anno precedente del 6,6%.

Si tratta di un incremento ben superiore a quello rilevato nel corso del 1997, pari al 3,8% dovuto al notevole flusso di immigrati in ingresso, circa 153mila, nel corso del 1998, superiore a quello del 1997, con circa 124mila nuovi immigrati. I flussi in uscita nei due anni sono invece più contenuti e pressoché costanti: in ciascuno dei due anni circa 86mila immigrati hanno, o avrebbero dovuto, lasciare il paese a causa della scadenza del permesso di soggiorno.

Secondo una stima effettuata dal Ministero dell’Interno alla data del 30 settembre 1999 gli stranieri regolarmente presenti sarebbero 1.206mila, con un incremento rispetto al dato stimato dall’Istat al 1° gennaio di 115 mila unità. L’incremento nel corso dell’anno 1999 sarà quindi ben superiore a quello rilevato nell’anno precedente, un chiaro effetto degli ingressi nell’area della regolarità di coloro che hanno usufruito dell’ultimo provvedimento di regolarizzazione.

Si richiama l’attenzione sul fatto che il dato dell’Istat sui permessi di soggiorno differisce da quello del Ministero dell’Interno alla stessa data - pari a 1.033.235 - poiché le elaborazioni dell’Istat permettono di recuperare i circa 60mila stranieri che alla data del 1° gennaio risultavano irregolari solo perché avevano il permesso in fase di proroga.

Prospetto 1 — Permessi di soggiorno. Anni 1992-1998 (migliaia)

Anche gli stranieri residenti continuano ad aumentare: in base alla rilevazione dell’Istat, 1.116.394 cittadini stranieri risultano iscritti in anagrafe al 1° gennaio 1999, con incremento del 12,5% rispetto all’anno precedente.

L’incremento dei residenti è sensibilmente superiore a quello dei regolarmente presenti. Ciò si verifica in tutto il decennio; se l'incremento medio annuo degli stranieri regolarmente presenti, infatti, è di circa l'8% (prosp. 2) quello dei residenti è di circa il 12% (prosp. 5). Vi è dunque la diffusa propensione da parte degli immigrati a insediarsi stabilmente nel paese e a iscriversi in anagrafe una volta ottenuto il permesso di soggiorno, rafforzata certamente dalla nuova fisionomia dell’immigrazione, sempre più caratterizzata dalla presenza di nuclei familiari.

Proprio grazie alla ricostituzione delle famiglie, emerge la componente dei minori stranieri, sempre più rilevante in termini assoluti - al 1° gennaio 1999 sono circa 187mila (prosp. 7), di cui ben 17mila nati nel nostro Paese nel solo 1998 — con un incremento relativo, pari circa al 25% nell'ultimo anno. Proprio il rapido aumento di questa componente spiega un’apparente contraddizione tra i dati della popolazione residente e quelli dei permessi di soggiorno, che al 1° gennaio 1999 risultano inferiori poiché, nonostante la rilevanza in termini non solo demografici ma anche sociali dei minori, nell'archivio dei permessi di soggiorno del Ministero dell'Interno figurano solamente i dati dei minori che hanno uno status individuale e non di quelli, che sono la grande maggioranza, a carico dei genitori.

 

 

Origine etnica degli immigrati e i principali motivi del soggiorno

 

La mappa etnica della presenza straniera in Italia assume connotati sempre più precisi, rafforzandosi il processo di consolidamento della presenza di alcune comunità: le aree di cittadinanza più rappresentate sono quelle dell'Europa centro-orientale (24,0%) e dell'Africa settentrionale (18,8%), che tuttavia sono caratterizzate da un ritmo di crescita estremamente differenziato: mentre i cittadini dei Paesi nord africani crescono infatti appena del 2,7%, quelli dell'Europa orientale continuano ad aumentare in maniera molto sostenuta (+15,4%). %). I flussi in ingresso risultano infatti molto elevati per le cittadinanze est-europee, soprattutto in virtù di un notevole incremento di ricongiungimenti familiari.

Anche le tendenze di fondo nel medio periodo confermano del resto la sempre più diffusa presenza delle comunità provenienti dell'Europa centro-orientale, più che triplicate dal 1992 al 1999, soprattutto per effetto degli ingenti flussi di ingresso dalla ex-Jugoslavia degli anni 1993-94 e successivamente, grazie anche all'emersione dall'irregolarità manifestatasi in occasione della norma di sanatoria del 1995. Accanto agli europei dell'est, le comunità che si sono maggiormente consolidate sono quelle originarie dell'Asia centro-meridionale (soprattutto Sri Lanka e India) e orientale (Cina e Filippine), e dall'America Latina.

 

Prospetto 2 - Permessi di soggiorno per continente e principali aree di cittadinanza, al 1° gennaio 1998 e 1999

 

CONTINENTI E PRINCIPALI

AREE DI CITTADINANZA

1998

1999

Variazione

%

Incremento medio annuo

Numero

%

1999/98

1999/92

EUROPA

382.924

425.177

39,0

11,0

10,9

di cui: Unione europea

135.207

142.128

13,0

5,1

5,1

Europa centro-orientale

226.387

261.267

24,0

15,4

17,1

AFRICA

310.748

316.434

29,0

1,8

4,8

di cui: Africa settentrionale

200.067

205.413

18,8

2,7

4,8

Africa occidentale

76.934

75.815

7,0

-1,5

6,0

Africa orientale

27.436

28.600

2,6

4,2

1,9

ASIA

192.864

207.536

19,0

7,6

8,5

di cui: Asia centro-meridionale

69.108

73.700

6,8

6,6

11,4

Asia orientale

107.796

116.184

10,7

7,8

8,0

AMERICA

133.461

138.726

12,7

3,9

5,7

di cui: America centro-meridionale

86.456

90.265

8,3

4,4

8,8

OCEANIA

2.225

2.282

0,21

2,6

-1,9

Apolidi

674

665

0,0

-1,3

-4,2

TOTALE

1.022.896

1.090.820

100,0

6,6

7,7

 

Tuttavia, nella graduatoria delle cittadinanze al primo posto compare ancora il Marocco, comunità tradizionalmente caratterizzata da una forte prevalenza maschile, così come quella albanese, che si conferma essere la seconda comunità più numerosa.

Accanto ai gruppi etnici di più antica immigrazione, come i filippini (tra cui le donne sono decisamente più numerose degli uomini) e i cinesi, emergono anche alcune comunità di più recente insediamento, come gli jugoslavi; va notato che nel dato qui riportato, riferito alle Repubbliche di Serbia e Montenegro, permane una quota, difficilmente quantificabile ma certamente non trascurabile, di cittadini delle altre Repubbliche della ex-Jugoslavia.

Prospetto 3 - Graduatoria delle prime dieci cittadinanze di immigrati al 1° gennaio 1999

CITTADINANZA

Permessi di soggiorno

rilasciati a maschi (%)

Marocco

128.297

73,2

Albania

87.595

63,8

Filippine

59.074

32,9

Stati Uniti

45.944

33,5

Cina

41.237

53,9

Tunisia

41.137

78,5

Jugoslavia

36.099

60,1

Germania

33.836

41,2

Romania

33.777

44,5

Senegal

31.420

93,3

Le tipologie di insediamento degli stranieri continuano a seguire un percorso di graduale ma costante trasformazione: nell'ultimo anno si è fortemente ampliato il peso dei permessi concessi per motivi familiari (+26,4%), tanto che l'83,6% dell'incremento totale dei permessi è imputabile a questa categoria. I motivi di lavoro, dopo il grande incremento del 1996 dovuto alla concessione dei permessi di sanatoria, sono sostanzialmente stabili da un paio di anni, anche se la quota proporzionale continua a diminuire. Nell'ultimo anno è inoltre risultata in forte crescita la quota di permessi legati alla richiesta di asilo politico, intestati a cittadini provenienti dai paesi a forte pressione migratoria, in particolare dalla Jugoslavia e, in misura minore, dall’Iraq.

Prospetto 4 - Permessi di soggiorno per motivo, al 1° gennaio 1998 e 1999

MOTIVO DEL

1998

1999

Variazione %

SOGGIORNO

Numero

%

Numero

%

99/98

Lavoro

660.335

64,6

660.630

60,6

0,0

Famiglia

214.709

21,0

271.498

24,9

26,4

Religione

53.675

5,2

54.208

5,0

1,0

Residenza

42.359

4,1

43.943

4,0

3,7

Studio

26.556

2,6

28.671

2,6

8,0

Asilo

3.171

0,3

3.775

0,3

19,0

Richiesta asilo

454

4.365

0,4

861,5

Altro

21.637

2,1

23.730

2,2

9,7

TOTALE

1.022.896

100,0

1.090.820

100,0

6,6

Costante, ma piuttosto significativo, rimane il peso dei permessi rilasciati a personale religioso (5% del totale), come pure la quota di quelli accordati a stranieri - nella quasi totalità provenienti da paesi avanzati - che hanno scelto di fissare la propria dimora nel nostro Paese (4%); infine, il numero di studenti stranieri resta invariato, con un incidenza sul totale piuttosto modesta (2,6%).

Stranieri e territorio: la concentrazione nel Centro-Nord e nei centri urbani e il crescente peso dei minori

 

La popolazione straniera risiede soprattutto nelle regioni nord-occidentali e centrali (rispettivamente 32,8% e 29,5% del totale), seguite dal Nord-est (21,2%) e dal Mezzogiorno che, complessivamente, accoglie il 16,5% della popolazione straniera.

Cresce anche l'incidenza sul totale della popolazione residente, pari all’inizio del 1999 a 1,9%; un’analisi più dettagliata a livello ripartizionale evidenzia comunque una distribuzione ben diversa tra le varie aree del Paese che va dal 3,0% del Centro allo 0,8% nel Sud. Il dato è in costante crescita: al 1° gennaio 1993 l'incidenza della popolazione straniera era infatti pari all’1%. Si tratta comunque di un valore che permane al di sotto di quello registrato negli altri principali paesi europei: l’incidenza nel 1997 è risultata infatti pari all'8,9% in Germania, al 6,3% in Francia, al 3,4% nel Regno Unito, all'1,5% in Spagna.

La geografia del fenomeno immigratorio è ancora legata alle realtà urbane, con le punte delle città di Roma e Milano, dove gli stranieri residenti sono rispettivamente 145mila e 98mila. A livello nazionale, quasi la metà della popolazione straniera (48,2%) risiede nei comuni capoluoghi di provincia, rispetto a una percentuale del 30,2% riferita al totale della popolazione residente.

Continua tuttavia il lento processo di redistribuzione degli stranieri dai grandi centri sul restante territorio: la quota percentuale di immigrati residenti nei centri con più di 100.000 abitanti è arrivata al 42,0% rispetto al 46,3% dell’inizio del 1993, mentre nei comuni al di sotto dei 20.000 abitanti il valore è passato nello stesso periodo da 32,8% a 35,9%.

Prospetto 5 - Stranieri residenti per ripartizione territoriale al 1° gennaio 1998 e 1999

RIPARTIZIONI

1999

Variazione %

Incremento medio annuo

TERRITORIALI

1998

Numero

%

Incid. % su

1999/98

1999/93

popol.resid.

Nord-ovest

316.674

366.491

32,8

2,4

15,7

12,4

Nord-est

205.725

236.616

21,2

2,2

15,0

14,5

Centro

296.830

328.910

29,5

3,0

10,8

10,6

Sud

101.313

111.227

10,0

0,8

9,8

12,3

Isole

71.136

73.150

6,6

1,1

2,8

6,0

ITALIA

991.678

1.116.394

100,0

1,9

12,6

11,7

Nell’ultimo anno l’aumento dei residenti è stato particolarmente consistente nelle regioni nord- occidentali (+15,7%), nord-orientali (+15,0%), mentre la crescita nelle regioni centrali (10,8%) e meridionali (+9,8%) è stata più contenuta; modesto (+2,8%) l'aumento nelle Isole. Va comunque ricordato che il Nord-est è la ripartizione che, negli ultimi anni, si è distinta per una dinamica più vivace: fra il 1993 e il 1999 gli stranieri residenti sono più che raddoppiati, con un incremento medio annuo pari al 14,5% a fronte di un valore dell’11,7% a livello nazionale.

La forza attrattiva delle regioni settentrionali, in particolare quelle nord orientali, viene evidenziata dal saldo migratorio interno, fortemente positivo in particolare nel Nord-est e invece negativo nel Mezzogiorno.

 

Prospetto 6 - Bilancio demografico degli stranieri residenti, per ripartizione territoriale. Anno 1998

(per 1.000 stranieri residenti)

 

RIPARTIZIONI

Saldo

Saldo

Saldo

TERRITORIALI

Naturale

migr.interno

migr.estero

Nord-ovest

16,3

12,5

127,2

Nord-est

16,4

22,5

113,4

Centro

10,8

-1,4

101,5

Sud

9,5

-21,3

114,5

Isole

9,3

-27,6

63,7

ITALIA

13,6

4,5

111,3

 

Il saldo naturale risulta positivo, per effetto della particolare struttura per età della popolazione straniera, relativamente giovane e quindi con una natalità alta e una mortalità ridotta. E’ da rilevare la differenza tra regioni settentrionali e centro-meridionali, in favore delle prime, che testimonia una maggiore presenza di nuclei familiari degli immigrati residenti nel Nord del Paese.

Negli anni 1993-1998 sono ben 65mila i nati stranieri nel nostro paese, di cui 17mila solo nell’ultimo anno. Dei nati nei sei anni considerati, i 2/3, circa 40mila, sono nati nelle regioni settentrionali.

Anche il dato su tutti i minori stranieri conferma indirettamente la maggiore stabilità della presenza immigrata nelle regioni settentrionali rispetto al resto del Paese: nel corso dell’ultimo anno essi sono aumentati in media del 24,5%, con una velocità maggiore nelle ripartizioni nord-occidentale (+29,3%) e nord-orientale (+26,3%).

Nonostante il sensibile ritmo d’incremento dei nati stranieri fatto registrare negli ultimi anni, sembra diventare sempre più importante la componente di coloro che giungono in seguito ai ricongiungimenti familiari. L'incremento di 37mila minori registrato nel 1998 è infatti imputabile solo per 17mila unità a nati in Italia, mentre i restanti 20mila sono nuovi immigrati.

 

 

 

 

Prospetto 7 - Minori stranieri residenti, per ripartizione territoriale al 1° gennaio 1998 e 1999

 

RIPARTIZIONI

Dati assoluti

Dati percentuali

TERRITORIALI

1998

1999

1999

Variazione %

Minori

di cui nati

Minori

di cui nati

Minori

di cui nati

Incidenza % su stranieri residenti

1999/98

nel 1997

nel 1998

nel 1997

Nord-ovest

50.760

4.901

65.621

6.574

35,1

36,1

17,9

29,3

Nord-est

36.551

3.481

46.176

4.349

24,7

25,7

19,5

26,3

Centro

40.433

3.460

48.670

3.987

26

25,5

14,8

20,4

Sud

12.010

929

15.015

1.226

8

6,8

13,5

25

Isole

10.326

798

11.408

765

6,1

5,9

15,6

10,5

ITALIA

150.080

13.569

186.890

16.901

100

100

16,7

24,5

 

Durata del soggiorno

In base alla durata della presenza sul territorio italiano, calcolata in base alla data d’ingresso riportata sul documento di soggiorno, è possibile identificare a grandi linee tre tipologie di immigrati. I più anziani sono i cittadini africani, per circa il 70% presenti nel nostro paese da oltre 5 anni (prosp. 7). Non solo, si rileva che oltre il 20% sono presenti da oltre un decennio; fra costoro sono particolarmente numerosi gli immigrati che provengono dall’Africa orientale.

All’altro estremo si trovano i cittadini dell’Europa dell’Est, che per più del 60% risultano invece presenti in Italia da meno di 5 anni, in parte per effetto della regolarizzazione prevista dal decreto-legge 489/95; basti pensare che i permessi registrati a favore dei cittadini albanesi, ad esempio, sono passati, nel corso del 1996, da 30mila a 66mila circa.

Prospetto 8 - Permessi di soggiorno secondo la durata della presenza, al 1° gennaio 1999

(numero e composizione percentuale)

Gli immigrati presenti da lungo tempo nel nostro paese sono numerosi anche fra gli asiatici; è elevata infatti, quasi come per gli africani, la quota di presenze da più di 10 anni. La numerosa comunità filippina, in particolare, è formata per un quarto da immigrati da antica data.

Come per i cittadini dell’Est però, è elevata anche la quota di presenti da meno di 5 anni, anche in questo caso in parte per effetto del provvedimento regolarizzazione del novembre ’95; citando ancora il caso della comunità filippina la regolarizzazione ha portato a un aumento delle presenze regolari da 36mila unità a 56mila nel corso del ’96.

La quantificazione dei cittadini immigrati presenti da oltre 5 anni ha una particolare rilevanza in quanto in base alla legge 40/98 allo straniero extracomunitario regolarmente soggiornante da almeno cinque anni può essere concesso un documento di soggiorno a tempo indeterminato ("carta di soggiorno"), a patto che sia un possesso di un permesso rilasciato per motivi suscettibilidi rinnovo (ad esempio per lavoro), possa dimostrare di avere un reddito sufficiente per il sostentamento proprio e dei familiari e non sia stato condannato per aver commesso delitti di particolare gravità. Inoltre per coloro che sono immigrati da oltre un decennio nel nostro paese è prevista anche la possibilità di acquisire la cittadinanza italiana; se essi potranno dimostrare anche di aver dimorato effettivamente ed abitualmente in Italia, potranno infatti chiedere di diventare a tutti gli effetti cittadini italiani, in base alle norme per l’acquisizione della cittadinanza italiana per i cittadini extracomunitari contenute nella legge n. 91 del 5 febbraio 1992.

Fra gli immigrati extracomunitari quelli provenienti da "paesi a forte pressione migratoria" presenti nel paese da oltre un quinquennio sono, al 1° gennaio 1999, circa 480mila, dei quali la grande maggioranza sono probabilmente in grado di soddisfare i requisiti richiesti dalla legge; poco meno della metà, per l’esattezza 225mila, sono cittadini africani. Gli immigrati presenti da più di 10 anni sono 150mila al 1° gennaio 1999, fra i quali i 74mila cittadini africani rappresentano una quota ancora più elevata costituendo la metà esatta degli immigrati da antica data.

Flussi migratori nel 1997, nel 1998 e nel 1999

Nei prospetti 9 e 10 sono riportati i dati per area geografica, principali paesi di cittadinanza e motivo degli stranieri entrati in Italia negli anni 1997 e 1998. È immediato verificare il forte peso della componente proveniente dall’Europa centro-orientale (in particolare Albania, ex U.R.S.S. e Romania), per la quale si sono conteggiati 51mila ingressi nel primo anno e 60 mila nel secondo; in termini percentuali rappresentano circa il 40% degli ingressi in ciascuno dei due anni considerati. Tra le altre aree a forte pressione migratoria l’Asia e l’America centro-Meridionale presentano entrambe circa 15mila nuovi ingressi nel 1997; nel 1998 sono rispettivamente 28 mila e 16 mila. Dall’Africa provengono poco più di 13mila immigrati nel 1997 e 19mila nel 1998. Considerando le aree economicamente avanzate, il numero di immigrati resta invece stabile; i più numerosi sono i cittadini provenienti dall’Unione Europea e da altri paesi europei dell’area occidentale (con circa 20mila nuove entrate in ciascuno dei due anni considerati) e quelli dell’America settentrionale (circa 7mila ingressi in ciascun anno).

Nel 1997 circa un _ dei nuovi permessi concessi a cittadini di paesi "a forte pressione migratoria" sono stati rilasciati per motivi di famiglia; in altre parole circa 23mila immigrati sono giunti nel nostro paese principalmente allo scopo di ricongiungersi con la famiglia di origine.

Si tratta di un flusso in costante crescita a testimoniare la sempre maggiore stabilità della presenza straniera nel nostro Paese; nel 1992 infatti il peso dei motivi familiari era pari al 9%, mentre nel 1998 aumenta ulteriormente fino a raggiungere una quota pari al 37% corrispondente a circa 45mila nuovi immigrati, quasi il doppio rispetto all’anno precedente.

Considerando le principali aree geografiche, dall’Europa dell’Est i flussi passano da 8 mila a 18 mila unità, dal continente africano da circa 6.600 a oltre 12 mila, soprattutto per l’alto numero di ricongiungimenti dal Marocco e, in minor misura, dalla Tunisia; l’Asia passa da poco meno di 5mila ingressi a oltre 10 mila; l’America Latina chiude questa graduatoria, raggiungendo comunque un livello significativo (oltre 5 mila unità), con un lieve aumento rispetto all’anno precedente.

È interessante notare che dei circa 12mila nuovi permessi concessi .nel corso del 1998 agli immigrati dall’Africa settentrionale, circa i _ sono stati rilasciati per ragioni familiari. Nei due anni considerati dai paesi a forte pressione migratoria vi è anche un consistente flusso di ingressi per turismo: poco meno di 27 mila nel 1998 (erano quasi 24mila nel 1997), pari a circa il 22% del totale, una componente dei flussi immigratori di sicuro interesse in quanto può nascondere una certa quota di ingressi di cittadini stranieri intenzionati a fermarsi in Italia per motivi diversi dal turismo ma privi di quei requisiti, quali la richiesta di ricongiungimento familiare o la chiamata lavorativa, che consentono l’ottenimento di titoli di soggiorno di ben diversa natura e durata. In questa tipologia di flusso risulta particolarmente rilevante la componente proveniente dall’Europa centro-orientale, 17 mila ingressi nel 1998, con alcune cittadinanze in particolare evidenza (Russia, Polonia, Romania ed ex Jugoslavia), mentre pure significativo è il flusso proveniente dall’America Centro-meridionale (oltre 6 mila unità nello stesso anno); meno consistenti gli ingressi per turismo provenienti da Asia e Africa.

Prospetto 9 - Flussi migratori in ingresso, per area geografica e principali paesi di cittadinanza,

secondo il motivo del soggiorno. Anno 1997

Gli ingressi per motivo di lavoro si trovano solo al terzo posto nella graduatoria: sono 16mila nel 1997 e 17mila nel 1998, nella gran parte rilasciati per lavoro subordinato: il numero relativamente ridotto di ingressi compresi in questa tipologia è certamente da porre in relazione a diversi motivi, tra cui le difficili condizioni del mercato occupazionale in Italia e la previsione, da parte della normativa in vigore prima della legge n.40/98, di un’unica fattispecie di ingresso per lavoro, in pratica possibile quasi esclusivamente solo in presenza di una richiesta di assunzione nominativa da parte di un datore di lavoro.

Anche in questo caso la componente proveniente dall’Europa centro-orientale è di gran lunga la più consistente, con oltre 12mila ingressi nel 1997 e oltre 10mila nel 1998: a questo proposito è però importante rilevare che, secondo quanto si ricava da un’altra fonte informativa (Autorizzazioni all’ingresso rilasciate dal Ministero del Lavoro), una quota superiore al 75% degli ingressi provenienti da paesi di quest’area si riferisce ad occupazioni di carattere temporaneo, soprattutto legate a lavori stagionali nell’agricoltura e nei pubblici esercizi.

Prospetto 10 - Flussi migratori in ingresso, per area geografica e principali Paesi di cittadinanza,

secondo il motivo del soggiorno. Anno 1998

Da segnalare che nel corso del 1997 è stato inoltre rilasciato un significativo quantitativo di permessi di soggiorno ‘straordinari’ (poco meno di 9mila), riconducibili nella gran parte ai nullaosta concessi ai cittadini albanesi giunti in Italia a seguito dei disordini scoppiati nel loro paese nel febbraio-marzo 1997.

Pure rilevante è il numero di ingressi per studio, oltre 7mila nel 1997 e oltre 8 mila nel 1998, dove, tra le aree a forte pressione migratoria, risulta come sempre al primo posto l’Europa Centro-orientale (più di 3mila ingressi nel 1998), seguita dall’Asia (circa 1.700 al netto di Giappone ed Israele) e poi da America Latina e Africa, entrambe di poco sopra alle 1000 unità.

Se nel 1997 risultano ancora scarsi gli ingressi dei richiedenti asilo (in tutto poco più di 1000) provenienti in maggioranza dall’Europa centro-orientale (Turchia ed Albania) e dall’Asia (Iraq), nel 1998 si giunge a quota 10mila soprattutto per l’eccezionale incremento degli ingressi dall’Irak e dalla ex-Jugoslavia. Bisogna infine precisare che nella classe residuale ‘Altri motivi’ sono inseriti quelle tipologie di ingresso - motivi religiosi, di salute, per adozione, per affari,...- che assumono minore rilevanza nello studio dei flussi migratori.

Nel cercare di mettere in luce i principali caratteri dei flussi migratori registrati nel corso del 1997 e del 1998, in relazione alle 4 aree geografiche esaminate, sembra quindi di poter affermare:

si conferma la forte pressione migratoria proveniente dai paesi dell’Europa centro-orientale, testimoniata oltre che dall’elevata consistenza della comunità di immigrati già presenti in Italia, anche dalla vitalità dei flussi migratori provenienti da quest’area, per ognuna delle tipologie qui esaminate; tuttavia l’immigrazione dall’Europa centro orientale, accanto ad un nucleo stabile, continua ad alimentare una particolare area dell’immigrazione, abbastanza instabile, caratterizzata da brevi presenze, ma ripetute (ingressi per turismo), che potrebbero trasformarsi in presenze irregolari;

sembrano in una certa misura minori alle aspettative i flussi migratori provenienti dal continente africano, se rapportati alla consistenza di tale comunità nel nostro paese; tuttavia nella generale tendenza all’aumento dei motivi di famiglia spicca il caso dell’Africa settentrionale. Si tratta dunque di una immigrazione ormai "matura" che va verso la definitiva stabilizzazione sul nostro territorio;

mostrano infine una certa vitalità gli ingressi provenienti dall’America Latina, soprattutto legati a ricongiungimenti familiari, mentre anche in questo caso dovrebbe essere approfondito il significato del rilevante numero di ingressi per turismo.

da segnalare infine l’eccezionale aumento delle concessioni di permessi per asilo politico nel 1998, tanto che insieme ai motivi di famiglia spiega l’aumento che si è verificato rispetto all’anno precedente del numero di permessi concessi.

Nei prospetti 15 e 16 sono riportati i dati relativi ai flussi di ingresso dell’anno 1999 aggiornati al 31 ottobre e distinti per il motivo di soggiorno e per la nazionalità.

Le predette tabelle, sono state fornite dal Ministero dell’Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza; si deve far presente che il confronto con i dati contenuti nelle tabelle dei flussi 1997 e 1998 (elaborate dall’ISTAT), deve tenere conto del gap temporale esistente tra le due elaborazioni.

Al riguardo giova rilevare che già nella Relazione sulla presenza straniera in Italia e sulle situazioni di irregolarità, presentata al Parlamento il 26 maggio 1998, era stato evidenziato il fenomeno, dovuto, in particolare, al fatto che le valutazioni fornite dal Ministero dell’Interno relative, in quello specifico caso, ai permessi di soggiorno, si prestano ad un duplice inconveniente: 1) comprendono anche un certo numero di documenti scaduti e non ancora cancellati; 2) escludono un certo numero di permessi validi ma non ancora registrati.

Per quanto concerne i dati relativi ai flussi va rilevato che gli stessi sono ancora in continuo movimento e, pertanto, provvisori in considerazione del lasso di tempo che intercorre tra il rilascio del permesso di soggiorno e la sua effettiva registrazione nell’archivio.

Premesso quanto sopra ed al fine di procedere ad una corretta lettura dei prospetti relativi ai flussi di ingresso dell’anno 1999, appare opportuno un raffronto con le tabelle relative ai flussi degli anni 1997 e 1998, aventi la medesima fonte (Ministero Interno, Dipartimento P.S.) e riportati nei prospetti 11, 12, 13 e 14.

E’ immediato così verificare che per il 1999 gli stranieri provenienti dall’Europa centro-orientale rappresentano una componente numerosa.

Viene così confermato il flusso in ascesa dei cittadini provenienti dall’Albania (38.751) e dalla Romania (23.659), nonché dalla Polonia (10.688).

Tra le aree a forte pressione migratoria si confermano l’Asia (in particolare l’Iraq con 1.095 ingressi, cui vanno aggiunti altri 2.752 ingressi di iracheni di origine curda) e l’America centro-meridionale: Perù (5.162), Brasile (5.053), Colombia (3.205) e Cuba (3.198).

Dal continente africano sono stati conteggiati 26.225 ingressi dal Marocco, 5.768 dalla Tunisia e 3.063 dall’Algeria.

Su un totale di 323.465 permessi di soggiorno rilasciati (i dati sono riferiti al 31 ottobre 1999) 136.139 lo sono stati per motivi di lavoro subordinato, 56.362 per motivi di famiglia e 32.361 per turismo.

Va, comunque, tenuto presente che nell’ambito delle suddette quote sono compresi i permessi di soggiorno rilasciati a seguito dell’accoglimento delle domande di regolarizzazione, in particolare 109.007 per lavoro subordinato e 5.195 per ricongiungimento familiare.

Nell’ambito degli ingressi avvenuti per motivi di lavoro nel corso del 1999 occorre, al fine di avere una visione globale e nello stesso tempo analitica del fenomeno, tenere conto dei dati, forniti dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale in merito alle autorizzazioni al lavoro, pari a 1.406 unità (nel 1°semestre) rilasciate per ingressi particolari e quindi al di fuori delle quote fissate per quell’anno, con il D.P.C.M. datato 4 agosto 1999.

Tali ingressi sono consentiti, ai sensi dell’art.27, comma 1 del T.U., a talune particolari categorie di lavoro ivi dettagliatamente indicate (si tratta di dirigenti e personale specializzato, di lettori universitari, di professori universitari, di giornalisti corrispondenti, di collaboratori domestici, di sportivi professionisti…)

Come risulta dai prospetti, concernenti le autorizzazioni rilasciate nel 1° e 2° trimestre 1999, il flusso di ingresso si è mantenuto costante nel corso del 1° semestre dell’anno.

E’ emersa una consistente prevalenza di autorizzazioni rilasciate per lo svolgimento di prestazioni oggetto di contratto di appalto (art.27 lettera i), seguite dalle autorizzazioni rilasciate ai lavoratori alle dipendenze di organizzazioni o imprese (lettera g) e alle persone che per motivi di formazione professionale, svolgano periodi temporanei di addestramento (lettera f).

Per quanto riguarda la provenienza dei lavoratori, si è notata una prevalenza di croati, un congruo numero di polacchi e rumeni ed una cospicua incidenza di indiani nel 2° trimestre.

 

Politica delle quote e Accordi di cooperazione bilaterale

Ai sensi dell’art.3, comma 4 del T.U. delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione, con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentiti i Ministri interessati e le competenti commissioni parlamentari, vengono definite annualmente, sulla base dei criteri indicati nel Documento Programmatico, le quote massime di stranieri da ammettere nel territorio dello Stato, per lavoro subordinato (anche per esigenze di carattere stagionale) e per lavoro autonomo, tenuto conto dei ricongiungimenti familiari e delle eventuali misure di protezione temporanea.

Viene così data attuazione, attraverso i decreti-flussi, alla previsione legislativa che disciplina una programmazione degli ingressi degli immigrati extracomunitari, con la finalità di un inserimento lavorativo, attraverso la fissazione di quote.

Con tale programmazione si dovrà necessariamente tenere conto della natura composita dei flussi e dell’impossibilità della "reconductio ad unum" del motivo di ingresso: non è infatti possibile prevedere e programmare gli ingressi dei richiedenti asilo o di coloro che si trovano in situazioni che danno luogo a forme di protezione umanitaria temporanea; parimenti non rientrano nella programmazione per quote coloro che, una volta verificata la sussistenza dei requisiti richiesti, hanno diritto al ricongiungimento familiare.

Una corretta programmazione dei flussi migratori comporta, poi, una stretta collaborazione con i Paesi di origine delle emigrazioni e, in tal senso, viene prevista una intensificazione dell’azione di stimolo verso i predetti Paesi con la proposizione di pacchetti che comprendano, insieme a misure atte a scoraggiare l’immigrazione clandestina (Accordi di riammissione), programmi di aiuto allo sviluppo.

Viene così attuata una politica di rafforzamento del reticolo di Accordi finalizzati alla regolamentazione dei flussi di ingresso e delle procedure di riammissione, che viene perseguita in una strategia di negoziato globale, ponendo cioè tali intese in relazione con altre di più precipuo interesse dell'altra Parte contraente, relative sia al settore socio-migratorio che a quello più vasto della cooperazione economica ed allo sviluppo.

Tale approccio consente di portare avanti una più efficace lotta ai flussi migratori clandestini ed alle attività criminose ad essi connesse ed al tempo stesso risponde all'obiettivo di realizzare una maggiore cooperazione con i Paesi interessati.

L’obiettivo di disincentivare i flussi migratori viene perseguito attraverso specifiche iniziative volte a combattere le situazioni di povertà (servizi sociali di base, microimpresa, microcredito) ed a creare occupazione (interventi infrastrutturali, sviluppo della PMI) e capitale umano (formazione professionale).

Sono riportate di seguito le attività svolte dalle Istituzioni italiane nel settore con l’Albania, la Tunisia e il Marocco, Paesi con i quali già da tempo sono state gettate le basi per una corretta politica di gestione dei flussi.

Tuttavia va segnalato che sono in corso specifici contatti con le Autorità di altri Paesi al fine di avviare un proficuo dialogo in tal senso.

Per quel che concerne la cooperazione con l’Albania il 6 agosto 1998 è stato firmato il nuovo Programma triennale di cooperazione 1998-2000, per il quale sono stati stanziati 210 miliardi di lire (di cui 180 a credito d’aiuto e 30 a dono).

Con tale iniziativa l’Italia ha ribadito il proprio prioritario impegno in favore dello sviluppo di tale Paese ed ha sottolineato la sua intenzione di accordare, in tutti i settori, la priorità agli interventi in grado di creare nuovi impieghi.

Intensa è stata l’attività di valorizzazione di un primo schema di liste di lavoratori, sulla base di un Accordo italo-albanese sul lavoro stagionale, firmato il 18.11.1997.

Tale Accordo prevede la formazione, a cura delle Autorità albanesi, di liste di aspiranti lavoratori stagionali, contenenti alcuni dati ed in particolare i precedenti lavorativi, costituenti una priorità d’impiego.

Nell’aprile del 1998 sono pervenuti gli elenchi dei lavoratori stagionali albanesi, subito divulgati alle sedi periferiche del Ministero del Lavoro e nel maggio successivo sono state rese disponibili le liste dei nominativi dei lavoratori con precedenti lavorativi in Italia.

Al fine di consentire maggiori opportunità d’impiego le sedi periferiche del Ministero del Lavoro sono state autorizzate, nell’ambito delle previsioni del decreto-flussi 1998 (decreto interministeriale del 24.12.1997), ad applicare il disposto dell’art.22 del T.U in materia di assunzioni a tempo indeterminato e determinato a favore degli iscritti nelle liste, nonché, per coloro che fossero in possesso dei requisiti per il diritto di precedenza, all’applicazione dell’art.24 del T.U. sul lavoro stagionale con procedura semplificata di trasmissione delle autorizzazioni al lavoro.

In favore dell’Albania è inoltre in corso di definizione, nell’ambito del Tavolo di lavoro pro Puglia, un progetto tra il Ministero del Lavoro e l’O.I.M finalizzato a favorire ed assistere l’emigrazione regolare di lavoratori albanesi verso l’Italia.

Nell’ambito di tale progetto, l’O.I.M. fornirà un’attività di collaborazione mirata all’assistenza "in loco" per le operazioni che consentano una migliore identificazione della domanda di lavoro da parte albanese, mentre in Italia le iniziative per le rilevazioni delle opportunità di inserimento dei disoccupati albanesi già presenti in Italia regolarmente saranno svolte dal Ministero del Lavoro con la consulenza dell’O.I.M..

Sotto il profilo della collaborazione tra le Autorità di polizia dei due Paesi la cooperazione, già avviata con i Protocolli del 17 settembre 1997 e dell’11 giugno 1998, è stata rafforzata con la firma a Roma, il 10 novembre 1998, del Protocollo d’intesa tra il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro dell’Interno italiani e il Ministro dell’ordine pubblico albanese,.

Il Protocollo prevede:

- un maggiore impulso per il progetto di consulenza, assistenza ed addestramento, finalizzato alla riorganizzazione delle Forze di polizia albanesi;

- un rafforzamento della Missione Italiana Interforze, nonchè una sua estensione territoriale;

- la costituzione di un Ufficio di collegamento italiano a Tirana per il necessario raccordo informativo;

- la promozione di analisi e di investigazioni coordinate riguardanti i traffici criminali ed in particolare il fenomeno dei flussi migratori clandestini.1

Sulla base delle intese sottoscritte e della cooperazione instauratasi, sono stati conseguiti molteplici risultati concreti:

per quanto riguarda il controllo del territorio albanese, sono state completate le sale operative e la rete di comunicazioni radio presso i locali posti di polizia, sono stati attivati servizi di controllo del territorio attraverso l’impiego di autopattuglie, con autovetture cedute dal Ministero dell’Interno, e sono stati ricostituiti e addestrati i Reparti di Pronto Intervento di Tirana e Valona per i servizi di ordine pubblico e di prevenzione del crimine.

E’ stata, inoltre, aperta una seconda sede consolare italiana a Valona, rispondendo, così, ad una esigenza vivamente sentita dalla popolazione locale, in particolare per quanto riguarda la concessione dei visti per l’ingresso in Italia

A fronte della intensa attività di collaborazione avviata, l’immigrazione clandestina proveniente dai territori dell’Albania ha segnato un andamento discontinuo evidenziando comunque di avere esaurito gli elementi di spinta che ne avevano contrassegnato l’andamento durante gli anni precedenti e assumendo connotazioni del tutto fisiologiche soprattutto in relazione alla contiguità geografica ed ai particolari rapporti di collaborazione ed amicizia esistenti tra i due Paesi.

Nell’ambito della politica di contenimento dei flussi, particolare rilievo assume la conclusione dello "Scambio di Note" tra i Governi di Italia e Tunisia, firmato a Roma il 6 agosto 1998, in occasione della grande "Commissione mista italo-tunisina". Esso costituisce difatti l’elemento chiave della politica di contenimento dei flussi migratori provenienti dal Maghreb che non comprendono unicamente cittadini tunisini e marocchini, ma, bensì, stranieri di diversa nazionalità ed etnia, originanti dall’Africa sub-sahariana.

E’ stato altresì assunto l’impegno di fornire alle Forze di polizia tunisine, come richiesto da quelle Autorità, mezzi ed equipaggiamenti per il controllo delle coste, che si è tradotto in un apposito decreto interministeriale (Interno-Tesoro) in data 20 agosto u.s., con il quale sono stati forniti mezzi per un totale di £ 418.772.896.

Sulla base dell’art.1 del decreto legislativo 19.10.1998, n.380, che prevede disposizioni correttive al T.U. sull’immigrazione e recependo quanto concordato in occasione dell’incontro della Commissione Mista, è stata stabilita la cessione a titolo gratuito alle Forze di polizia tunisine di mezzi tecnici e materiali vari per un valore complessivo di circa 15 miliardi.

Tale disposizione concretizza le iniziative volte a contrastare con maggiore vigore l’immigrazione clandestina, attraverso un programma di sostegno tecnologico e logistico a favore della repubblica tunisina.

In tale ottica, sarà adottato un decreto interministeriale con il quale viene prevista la cessione a titolo gratuito alle Forze di polizia tunisine di mezzi (motovedette, fuoristrada e ricambi…) per un ammontare di 15 miliardi di lire.

A seguito delle cennate iniziative si è potuta riscontrare una rivitalizzazione dei rapporti con quelle Autorità che ha consentito alle Forze di polizia dei due Paesi di cooperare proficuamente per il rimpatrio dei cittadini tunisini giunti clandestinamente in Italia negli ultimi mesi.

Parimenti, la collaborazione instaurata con le Autorità consolari tunisine nell’attività di identificazione degli stranieri destinatari di misure di rimpatrio, finalizzata al rilascio dei necessari documenti di viaggio, può certamente ritenersi soddisfacente.

Va, altresì, rilevato che i flussi di immigrazione illegale provenienti dalla Tunisia hanno fatto registrare un sensibile ridimensionamento.

Significativo al riguardo il dato concernente gli sbarchi di clandestini in Sicilia: a fronte dei 3.413 stranieri, di nazionalità prevalentemente tunisina e marocchina, ivi giunti in soli 3 mesi (nel periodo luglio-settembre 1998) 2.072 sono stati i clandestini sbarcati sugli stessi litorali siciliani nei dodici mesi successivi (ottobre 1998- settembre 1999).

Sotto il profilo della collaborazione in materia di lavoro stagionale sono ancora in corso i negoziati volti alla definizione di uno specifico Accordo bilaterale.

Nel contempo sono state avviate alcune iniziative volte a favorire l’inserimento dei lavoratori tunisini nel mercato del lavoro italiano.

In particolare l’Ambasciata tunisina, su sollecitazione italiana, ha predisposto un elenco relativo alle professionalità e alle esperienze maggiormente ricorrenti, segnalando anche le relative quantificazioni, allo scopo di fornire alle Associazioni datoriali interessate una sintesi delle disponibilità di impiego in Italia per i lavoratori tunisini. Tale prospetto è stato diffuso tra le Associazioni datoriali.

Per quanto concerne la cooperazione con il Marocco, il 18 giugno 1999 con la firma del Protocollo applicativo ha avuto termine un defaticante e complesso negoziato con le autorità marocchine, come dimostra il lungo lasso di tempo trascorso tra la firma dell’Accordo vero e proprio, avvenuta il 27 luglio 1998 e la sottoscrizione del predetto protocollo, necessario per dare attuazione all’Accordo stesso.

Al fine di pervenire alla conclusione dell’intesa, da parte italiana è stato inoltre assunto l’impegno di fornire alle Autorità marocchine, che ne hanno fatto esplicita richiesta, mezzi, strumenti ed equipaggiamento che favoriscano quelle Forze di polizia nell’attività di contrasto all’immigrazione clandestina verso l’Italia.

Tuttavia la prevista cessione a titolo gratuito, per un valore complessivo di 10 miliardi nel biennio 1999-2000, a favore delle Autorità di polizia marocchina, non è stata ancora definita nei dettagli, anche in considerazione del fatto che lo Stato maghrebino è in piena fase di transizione a seguito dell’intervenuta successione del Re Mohammed VI al defunto Re Hassan II e del radicale mutamento della compagine governativa con l’allontanamento del Ministro dell’Interno Basri che aveva ricoperto tale incarico per numerosi anni.

Nel frattempo le autorità diplomatico-consolari marocchine hanno assicurato la propria disponibilità a collaborare nell’attività di identificazione -propedeutica al rilascio dei necessari documenti di viaggio- dei propri connazionali destinatari di misure di respingimento o di espulsione.

Tale impegno si è tradotto, durante la cd. emergenza sbarchi dell’estate 1998, nell’emissione, nel volgere di pochi giorni, di circa 450 "lasciapassare" che hanno consentito l’immediato rimpatrio di altrettanti cittadini marocchini giunti clandestinamente sulle coste siciliane.

 

Decreto-flussi 2000

 

La programmazione degli ingressi di stranieri per motivi di lavoro, relativamente all’anno 2000 è stata definita con il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, datato 8 febbraio 2000.

Il decreto prevede la fissazione, per l’anno 2000, di una quota totale massima di ingressi per motivi di lavoro, eccettuati i ricongiungimenti familiari e gli ingressi al seguito, pari a 63.000 persone provenienti da Paesi extracomunitari.

Nell’ambito di tale quota e sulla base delle stime sul fabbisogno lavorativo2, vengono previsti 28.000 ingressi con chiamata nominativa per lavoratori subordinati (a tempo indeterminato, determinato e a carattere stagionale) e 2.000 ingressi per lavoratori autonomi (per un totale massimo di 30.000 unità).

In attuazione del disposto di cui all’art.21, comma 1 del T.U. e dei principi contenuti nel documento programmatico, vengono poi previsti, nell’ambito della quota totale massima, posti privilegiati per i Paesi extracomunitari con i quali sono stati sottoscritti o sono in corso di definizione Accordi o intese in materia di cooperazione migratoria.

La quota prevista (in totale 18.000) per gli stranieri provenienti dai suddetti Paesi privilegiati è ripartita tra albanesi (6.000), tunisini (3.000), marocchini (3.000) e altri Paesi che sottoscrivano gli Accordi o le intese "de quo" (9.000).

Con il decreto-flussi 2.000 viene data attuazione, per la prima volta dall’entrata in vigore della nuova normativa sull’immigrazione, al disposto dell’art.23 del T.U.: viene difatti prevista, ferma restando la quota totale massima, una quota pari a 15.000 ingressi per gli stranieri assistiti da sponsorizzazioni da parte di privati o enti autorizzati.

Qualora poi non fossero esauriti i posti disponibili, è prevista la determinazione di una quota residua da effettuarsi sulla base delle domande presentate dai cittadini "sponsorizzanti", che dovranno essere formulate entro e non oltre i 60 giorni dall’entrata in vigore del decreto.

Tale quota residua potrà essere utilizzata dagli stranieri residenti all’estero che intendano venire in Italia per la ricerca di un lavoro, e che si siano preventivamente iscritti, ai sensi dell’art.23, comma 4 del T.U., in apposite liste tenute, in base a previe intese bilaterali, dalle Rappresentanze diplomatiche e consolari italiane.

Infine è prevista una cd. clausola di salvaguardia, attraverso cui, trascorsi 140 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, potrà essere adottata una direttiva del Presidente del Consiglio con la quale, sulla base dell’andamento delle richieste di lavoro e dell’applicazione del decreto, potranno essere riderminate, fermo restando il tetto massimo, le ripartizioni numeriche stabilite.

 

La regolarizzazione

 

Come anticipato nell’introduzione, le procedure per la regolarizzazione di coloro che, entro il 15 dicembre 1998, hanno presentato la relativa domanda o hanno ottenuto una prenotazione per la presentazione della stessa sono in corso: al 28 dicembre 1999 risultavano presentate 250.559 domande di cui sono state accolte 140.280, respinte 12.045 e pendenti 98.234.

Dalle tabelle allegate che illustrano in dettaglio la situazione delle domande di regolarizzazione, distinte per regione e provincia e per motivo, emerge che le principali nazionalità di coloro che hanno chiesto la regolarizzazione sono le seguenti:

 

Va sottolineato, come già in precedenza segnalato, che i permessi rilasciati nel 1999 per regolarizzazione sono stati considerati nella tabella relativa ai flussi 1999 (vedere pag. 39).

Non si tratta evidentemente di nuovi ingressi ma del primo rilascio di un permesso di soggiorno a stranieri già presenti in Italia.

 

CAPITOLO II

Attività in ambito Unione Europea

 

Il trattato di Amsterdam, entrato in vigore il 1 maggio 1999, ha disposto la "comunitarizzazione" di alcune materie che, con il trattato di Maastricht (1992), erano rimaste nell’ambito dei rapporti intergovernativi. Metodi e procedure comunitarie saranno in futuro applicabili alle materie dell'asilo, dell'immigrazione, dei controlli alle frontiere, dei visti e della cooperazione giudiziaria in materia civile, mentre il diritto di iniziativa, ossia di proporre norme comuni - che al momento appartiene sia alla Commissione che agli Stati membri — dopo un quinquennio dall'entrata in vigore del trattato passerà interamente alla Commissione. Gli Stati membri potranno assumere iniziative solo tramite la Commissione stessa. Al termine del periodo transitorio di cinque anni il Consiglio potrebbe, inoltre, stabilire di prendere decisioni a maggioranza e non più all’unanimità.

Si tratta di un risultato di rilievo, fortemente voluto dall’Italia, da tempo convinta che solo con norme comuni gli Stati membri riusciranno a perseguire una politica immigratoria e dell’asilo coerente e che permetta di affrontare efficacemente i complessi problemi posti dai sempre più frequenti movimenti di massa di popolazioni in fuga da disordini civili e dalla povertà.

La portata delle novità introdotte dal trattato di Amsterdam è tale che gli Stati membri hanno ritenuto indispensabile che fossero applicate gradualmente. E’ da ciò che è nata la fissazione di un periodo transitorio di cinque anni, durante il quale è previsto che il diritto di iniziativa sia condiviso dalla Commissione con gli Stati membri. Solo al termine di esso potrà essere presa la decisione definitiva circa il passaggio dall’unanimità alla maggioranza per tutte o parte delle materie comunitarizzate.

Il processo decisionale in questa materia nell’ambito dell’Unione Europea continua quindi ad essere dominato dagli interessi dei singoli Stati. Tuttavia, come è emerso chiaramente nel corso di questi anni, molte delle sfide a livello delle politiche di migrazione hanno carattere transnazionale e sono rivolte all’Unione nel suo insieme, non riguardando in modo isolato un unico Stato. L’esodo delle popolazioni bosniache e del Kossovo, le migrazioni clandestine, su vasta scala, di iracheni e di curdi ed i flussi migratori provenienti dal Maghreb sono esempi che illustrano chiaramente tale situazione. Il Governo italiano - nella convinzione che il periodo transitorio, frutto di un compromesso con gli Stati che nutrivano maggiori reticenze nei confronti della comunitarizzazione, fosse troppo lungo e ritenendo indispensabile giungere quanto prima all’elaborazione di una politica unitaria a livello europeo - ha più volte proposto ai partners che il passaggio alla piena comunitarizzazione delle politiche migratorie sia quanto più rapido ed esteso possibile.

Malgrado il complesso passaggio dal vecchio al nuovo regime, numerose iniziative hanno visto la luce negli ultimi mesi. In particolare, è stato proposto che l’Unione Europea concluda appositi accordi di riammissione con Paesi terzi dai quali provengono consistenti flussi migratori clandestini. Riteniamo a questo riguardo che la decisione di negoziare un accordo di riammissione con un paese debba tenere conto della contiguità di tale paese rispetto all’Unione e prevedere, con risorse dell’Unione, forme di cooperazione e di assistenza volte ad aumentare la capacità del paese stesso di controllare i flussi migratori e di reprimere la tratta di esseri umani. Una politica di questo genere andrà adottata con i paesi del bacino mediterraneo, mentre dovranno essere elaborate soluzioni comuni nei confronti dei Paesi terzi geograficamente più distanti.

Si registrano al momento difformità di posizioni circa il soggetto titolare della capacità negoziale. Da un lato la Commissione sostiene che solo la Comunità potrà d’ora in avanti negoziare questi strumenti pattizi; la maggioranza degli Stati membri, tra cui l'Italia, è viceversa dell’avviso — anche in base al principio della sussidiarietà - che vi sia una competenza concorrente dei singoli Paesi dell’Unione. Andrà in ogni caso considerato che la negoziazione e la conclusione di accordi di riammissione di cui parte contraente sia la Comunità — e non gli Stati membri uti singuli- richiederà una preventiva intesa tra questi ultimi sull’opportunità di negoziare gli accordi stessi e sui relativi contenuti.

Il Consiglio Europeo di Tampere, cui si farà più ampio accenno in seguito, ha invitato il Consiglio dell’Unione a concludere accordi di riammissione o ad includere clausole tipo in altri accordi tra la Comunità Europea e singoli o gruppi di Paesi terzi. Per entrambi i casi sono all'esame delle istanze comunitarie proposte volte da un lato all'adozione di "accordi tipo" in vista della negoziazione con un primo gruppo dì paesi da identificare in base alle priorità che i singoli Stati membri hanno segnalato, e dall'altro all'adozione di clausole di riammissione standard che la Comunità potrà negoziare con singoli Paesi terzi e con gruppi regionali, nel contesto di più ampie intese.

L’Unione ha, inoltre, deciso di sperimentare nuovi modelli procedimentali per affrontare problematiche che presentano profili di pertinenza di più pilastri. In particolare è stato costituito, con decisione del Consiglio Europeo di Vienna dell’11 e 12 dicembre 1998, il Gruppo ad Alto Livello Asilo e Immigrazione con il compito di elaborare, sulla base della menzionata impostazione interpilastro, piani di azione relativi a determinati Paesi di origine e di transito dei flussi dei richiedenti asilo e dei migranti. I piani in esame si fondano sull’esame e la valutazione delle cause e le dinamiche dei flussi migratori provenienti dai Paesi oggetto di attenzione e permettono di elaborare una strategia europea unitaria per una adeguata "risposta" a tali flussi migratori nei settori della cooperazione allo sviluppo, dell'assistenza umanitaria, della cooperazione delle forze di polizia, della consultazione e cooperazione politiche diplomatiche con i Paesi interessati nonché degli accordi di riammissione e della lotta alla criminalità organizzata. Il Gruppo ha approvato un apposito schema per l'organizzazione dei propri lavori, articolandosi in più sottogruppi ed affidando a detti sottogruppi uno dei Paesi prescelti per l'elaborazione degli indicati "Piani d'Azione".

Il Gruppo ha, pertanto, elaborato Piani d'Azione riguardanti i seguenti paesi: Afghanistan e regioni limitrofe, Albania e regioni limitrofe, Iraq, Marocco, Somalia, Sri Lanka. All’Italia è stato affidato il compito di coordinare in termini generali il sottogruppo Albania. A tale riguardo si rileva che, tenuto conto della situazione in atto in quel Paese a seguito delle operazioni di guerra nell’area balcanica della primavera del 1999, il Gruppo ha ritenuto preferibile presentare una relazione interinale alla Rappresentanza Speciale ed al Coordinatore Speciale del "Patto di Stabilità", in attesa di poter meglio valutare l'evoluzione della situazione post-bellica in tali aree geografiche, diversamente da quanto avvenuto per i documenti relativi all'Afghanistan, all'Iraq, al Marocco, alla Somalia ed allo Sri Lanka che sono stati invece presentati al vertice di Tampere

I Piani d’Azione si basano sul presupposto che debba esistere — nell’approccio europeo ai problemi migratori — un’impostazione comune che tenga conto dei fattori politici e socioeconomici che favoriscono e causano le azioni di fuga, o le conseguenze negative della migrazione in un Paese.

I Piani d’Azione contengono proposte operative per misure di cooperazione con i Paesi interessati che sono riconducibili a tre settori: la politica estera, lo sviluppo e l’assistenza economica, nonché la migrazione e l’asilo.

Durante la Presidenza Finlandese dell’Unione Europea (secondo semestre 1999) si è provveduto, inoltre, ad elaborare specifici documenti, denominati Road Maps, che, basandosi sui Piani d’Azione, indicano per ciascun settore d'intervento (politica estera, sviluppo e migrazione) le iniziative da intraprendersi, stabilendo le date di inizio di tali impegni, l'imputazione di responsabilità per il perseguimento delle finalità volute e i relativi costi finanziari. Per tale via è stato possibile superare la suddivisione, piuttosto schematica e pertanto meno aderente alle reali esigenze, di misure finanziarie di breve, medio e lungo periodo.

Il Consiglio Europeo di Tampere ha valutato positivamente i Piani d’Azione elaborati dal Gruppo ed ha deciso il proseguimento del suo mandato e la predisposizione di ulteriori piani.

Nel periodo temporale oggetto della presente relazione, ha continuato, inoltre, a svilupparsi il dibattito sulla proposta della Commissione Europea di una Convenzione sull'ammissione dei cittadini di Paesi terzi — che fanno ingresso sul territorio dell’Unione per attività economiche non lucrative, studio o ricongiungimento familiare - volta a definire principi comuni vincolanti che potranno poi essere applicati con flessibilità negli Stati membri attraverso direttive.

La posizione italiana è stata di estremo apprezzamento nei confronti di un'iniziativa intesa ad introdurre norme giuridicamente vincolanti sul piano europeo per ciò che concerne l'ammissione di cittadini di Stati terzi. La proposta di Convenzione stabilisce, infatti, norme comuni in questa materia ed istituisce diritti di base in favore di cittadini dei Paesi terzi che soggiornano in maniera prolungata nel territorio degli Stati membri. Si tratta di un approccio di ampia portata, basato su considerazioni di coerenza politica. Occorre, infatti, che la politica d’immigrazione dell'Unione, per poter essere efficace, sia globale.

Per quanto concerne le future linee guida dell’azione del nostro Paese in quest’ambito, le stesse si collocano in un quadro di continuità rispetto al passato. Lo stesso vertice di Tampere, a cui si è già fatto riferimento, del resto, ha riconosciuto la necessità di un ravvicinamento delle legislazioni nazionali, relative alle condizioni di ammissione e soggiorno dei cittadini di paesi terzi. Tale ravvicinamento dovrà aver luogo sulla base di proposte della Commissione che già nel 1997 aveva previsto, in vista dell'entrata in vigore del trattato di Amsterdam e quindi della comunitarizzazione della materia, la necessità di trasformare l'originale proposta di Convenzione in proposta di direttiva che, tuttavia, non è stata ancora sottoposta agli Stati membri.

Va, infine, segnalato che la proposta di direttiva della Commissione includerà, con ogni probabilità, norme sullo stato giuridico dei cittadini dei Paesi terzi che, secondo le indicazioni contenute nel documento approvato a Tampere, dovrà avvicinarsi il più possibile a quello assicurato ai cittadini dell'Unione.

Il documento della Commissione europea "Verso uno spazio di libertà sicurezza e giustizia" ed il conseguente "Piano di Azione per realizzare un’area di libertà, di sicurezza e di giustizia" messo a punto dalla Presidenza austriaca dell’Unione (secondo semestre 1998) e approvato dal Consiglio europeo di Vienna, nel dicembre 1998, costituiscono un dettagliato programma di lavoro per la realizzazione di politiche comuni nei settori della libera circolazione delle persone, dell’immigrazione, dell’asilo, delle frontiere esterne e della cooperazione giudiziaria e di quella di polizia.

Il piano individua le misure da mettere in atto allo scopo di realizzare efficacemente le disposizioni del nuovo trattato, indicando le priorità da realizzare entro due anni e le misure da adottare invece nel quinquennio.

Nella prospettiva di avviare e realizzare lo spazio di libertà, il Piano d’Azione prevede l’elaborazione di una strategia globale in materia di migrazione e l’istituzione rapida e completa dei principi della libera circolazione delle persone, mutuando l’esperienza ed i progressi conseguiti con l’entrata in vigore degli accordi di Schengen (nel 1995 per alcuni degli Stati membri e, nel 1997, per l’Italia), in conformità del protocollo allegato al Trattato di Amsterdam relativo all’integrazione dell’acquis di Schengen nell’ambito dell’Unione. Al riguardo, si fa presente che, il Consiglio dell'Unione Europea ha approvato, nel maggio scorso, due decisioni: la prima (1999/435/CE) valida per 13 Stati membri, partecipanti alla "cooperazione rafforzata", prevede la definizione dettagliata dell'acquis, mentre la seconda (1999/436/CE), adottata all'unanimità, è relativa all’individuazione del fondamento giuridico, nei Trattati, delle disposizioni che compongono tale acquis, attuando la prevista ripartizione di esse fra il primo ed il terzo pilastro dell’Unione. In tal modo è stata determinato il fondamento giuridico delle future proposte ed iniziative, tese a modificare o ad estendere l' acquis Schengen, sottoponendole alle pertinenti disposizioni dei trattati ivi incluse quelle relative alle forme ed alle procedure necessarie per l'adozione di tali atti.

Nel campo dell’immigrazione tra le priorità figurano, accanto all’elaborazione di uno strumento sullo status giuridico dei migranti legali, le misure per migliorare la lotta contro l’immigrazione clandestina, in un approccio equilibrato al problema migratorio speculare rispetto a quello contenuto nella legge n.40/1998.

L’istituzione di una coerente politica comune in materia di riammissione e rimpatrio, la piena comunitarizzazione della politica dei visti con l’elaborazione di un apposito regolamento e l’adozione di norme minime per assicurare protezione temporanea agli sfollati di paesi terzi costituiscono ulteriori priorità di specifico rilievo per l’avvio di una politica europea delle migrazioni.

Il "Piano di azione per realizzare un’area di libertà, di sicurezza e di giustizia", a cui si è già più volte fatto riferimento, è stato esaminato dal Consiglio dei Ministri della Giustizia e degli Affari Interni (Consiglio GAI) nella seduta del 3 dicembre 1998 e in quella sede, da parte italiana, è stata fortemente sostenuta sia l’esigenza di tradurre al più presto in concreti avanzamenti le norme del trattato di Amsterdam per essere in grado di affrontare con un approccio globale il problema migratorio - per l’Europa una delle principali sfide del terzo millennio — che la solidarietà dei partners in tema di protezione umanitaria con la promozione di un equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono i rifugiati e gli sfollati e sostengono gli oneri relativi alla loro accoglienza.

Il documento fa registrare significativi passi in avanti in particolare per ciò che concerne l’esigenza di trasformare una serie di atti non vincolanti per gli Stati membri in norme vincolanti, e per la realizzazione di una vera politica comune europea in queste materie.

 

Problematiche connesse all’asilo

 

In materia di asilo e di altre forme di protezione internazionale è proseguito il dibattito sulla necessità di introdurre norme comuni in tema di protezione temporanea e ripartizione degli oneri, anche se non si sono registrati molti progressi. La Commissione dovrebbe presentare in tempi brevi uno strumento comunitario che riassuma i punti salienti del lungo e difficile dibattito degli ultimi due anni sulle due proposte di azione comune in tema di protezione temporanea e di condivisione dei relativi oneri.

Con riferimento a tali proposte l’Italia ha affermato, nelle competenti sedi comunitarie, congiuntamente ad altri Paesi dell’Unione ma in opposizione ad altri, il necessario vincolo genetico e operativo tra le due azioni comuni. Si ritiene, infatti, che non sia corretto attribuire all’Unione una competenza a decidere molteplici profili del regime di protezione temporanea (se concederlo o meno, quali gruppi possano beneficiarne, per quanto tempo, quali diritti, per gli interessati, discendano dallo stesso) senza, parallelamente, prevedere la condivisione degli oneri che derivano dalla concessione della protezione temporanea, tra tutti i Paesi dell’Unione. In mancanza di tale vincolo necessario, genetico ed operativo, tra le due azioni, si potrebbe pervenire al paradosso per cui solo gli Stati di fatto interessati da un afflusso di massa sul proprio territorio, sopportano l’onere di un regime che viene deciso a livello comunitario, sia nella durata che nei contenuti. Tale posizione verrà mantenuta anche nel futuro, anche alla luce dell’entrata in vigore del trattato di Amsterdam, che prefigura l’introduzione di uno strumento comunitario, e dunque di primo pilastro (direttiva o regolamento), volto a disciplinare la materia in esame e che, pertanto, impone una rimodulazione dei testi fin ora esaminati nella forma giuridica dell’azione comune, propria del terzo pilastro.

Le soluzioni pragmatiche adottate dai Quindici nel corso del conflitto in Kossovo per fare fronte all’arrivo in massa di profughi di etnia albanese, non solo nell’area circostante il teatro degli scontri ma anche sul territorio dell’Unione, potrebbero fornire spunti interessanti nella ricerca di soluzioni di compromesso che permettano di superare l’impasse attuale.

Inoltre, nell’ambito del menzionato Consiglio GAI del dicembre 1998, a cui si è fatto riferimento nel precedente paragrafo, è stata sostenuta l’esigenza di mettere a punto procedure comuni in materia di asilo, anche per scoraggiare movimenti secondari degli interessati (cioè il loro spostamento da uno Stato all’altro dell’Unione europea), in una prospettiva che realizzi la solidarietà tra gli Stati membri.

A tale riguardo, è iniziato l'esame del documento della Commissione dal titolo "Verso la definizione di Norme comuni in materia di procedure di asilo" volto specificatamente ad aprire il dibattito in ordine ai principi e alle procedure comuni in materia di asilo. Si tratta di uno degli aspetti più delicati del processo di comunitarizzazione del materie trasferite dal terzo al primo pilastro in conseguenza dell’entrata in vigore del trattato di Amsterdam.

L’Italia ha fornito il proprio contributo alla discussione che si è sviluppata sul documento in parola, esprimendo, tra l’altro, l’avviso che sarebbe necessario tentare di delineare una procedura unica che possa essere esperita dalla persona in cerca di protezione internazionale, indipendentemente dal fatto che l’esito del procedimento possa essere la concessione dell’asilo o di una forma di protezione sussidiaria.

Con riguardo alla Convenzione di Dublino del 15.06.1990, in tema di Stato competente in ordine all’esame di una domanda di asilo presentata all’interno dell’Unione Europea, si è contribuito all’elaborazione della decisione n.1/98 del Comitato a cui la Convenzione stessa affida il compito, tra l’altro, di elaborare le modalità per una sua migliore attuazione. Nel Gruppo di lavoro asilo dell’Unione Europea, inoltre, si è svolta un’intensa attività diretta ad ottenere che le ragioni dell’unità familiare fossero tenute in maggior conto tra i criteri che permettono di stabilire la competenza di uno Stato in ordine all’esame di una domanda di asilo presentata all’interno di uno Stato membro dell’Unione Europea. Ci si è opposti e ci si opporrà all’estensione dell’ambito soggettivo di applicazione della Convenzione, che alcuni Stati membri vorrebbero estendere alle persone che abbiano ritirato la propria domanda di asilo e a coloro che abbiano già ottenuto lo status di rifugiati. Al riguardo si è rilevato che la Convenzione è diretta a disciplinare la competenza a provvedere all’esame di una domanda di asilo e che, con riferimento alle due categorie soggettive sopra indicate, non vi è alcuna domanda di asilo da esaminare.

Si rileva, peraltro, che la Convenzione in esame si fonda, essenzialmente, su principi che rendono competente ad esaminare una domanda di asilo lo Stato che, in via regolare o irregolare, ha permesso o non ha impedito l’ingresso del richiedente asilo nel territorio dell’Unione Europea. Tali principi, evidentemente, pongono, potenzialmente, il peso della maggioranza delle richieste di asilo nell’Unione sugli Stati posti ai confini della stessa. Si rileva, inoltre, che l’articolo 63 del Trattato sulla Comunità Europea (TCE — come modificato dal trattato di Amsterdam) prevede che l’Unione debba elaborare nuovi criteri e meccanismi per determinare quale Stato membro è competente per l’esame delle domande di asilo presentate da un cittadino di un paese terzo in uno degli Stati di membri. Pertanto, nel prossimo futuro, l’Italia si impegnerà per ottenere un più bilanciato sistema di ripartizione delle domande di asilo ovvero un sistema del diritto di asilo europeo che, nel suo complesso, sia armonico e permetta una ragionevole distribuzione, tra i Paesi membri, degli oneri connessi alla protezione internazionale di cittadini di Paesi terzi.

A livello statistico, si rileva che l’Italia ha ricevuto dagli altri Stati membri, nel 1998, circa 2000 richieste di trasferimento di richiedenti asilo nel nostro Paese e che ne ha accolte circa la metà (una richiesta può essere relativa ad un singolo o ad un gruppo familiare; il numero di persone coinvolte dai trasferimenti, pertanto, è più alto delle richieste presentate). Dal 1 gennaio al 30 novembre 1999 l’Italia ha ricevuto circa 1900 richieste, di cui circa il 60% risultano accolte. I trasferimenti verso il nostro Paese effettivamente posti in essere, tuttavia, non superano la metà delle richieste di trasferimento accettate.

In base all’articolo 63 del TCE, l’Unione Europea dovrà anche provvedere all’emanazione di norme minime sull’accoglienza dei richiedenti asilo. Tale intervento normativo dell’Unione potrà determinare un aumento degli oneri per il nostro Paese in quanto i benefici di cui godono i richiedenti asilo in Italia sono, ancora oggi, ben inferiori a quelli concessi dalla maggior parte dei nostri partners (il miglioramento delle misure assistenziali in favore dei richiedenti asilo è, peraltro, già previsto dal disegno di legge attualmente in esame alla Camera dei Deputati - A.C.5381 - a cui si farà più ampio riferimento nel capitolo 3). Si ritiene, conseguentemente, che la standardizzazione del trattamento dei rifugiati debba essere compensato da misure specifiche di ripartizione degli oneri per evitare che i Paesi di confine si trovino a sopportare disagi e costi sproporzionati, determinati dalla loro semplice posizione geografica.

Nel settore dell’asilo e dell’immigrazione, ha avuto, inoltre, particolare rilievo il documento della Presidenza austriaca, concernente "Strategie dell’Unione Europea in materia di immigrazione e asilo", che ha dato lo spunto per una riflessione sui principi che sino ad oggi hanno ispirato la politica degli Stati membri e dell’Unione Europea nei due settori, stimolando la definizione di nuove linee guida da porre alla base della futura politica europea.

 

Il vertice di Tampere

 

Ad ulteriore conferma del massimo livello di attenzione attualmente rivestito dalle problematiche in materia di immigrazione, la Presidenza finlandese dell’Unione Europea ha inteso organizzare, a Tampere, il 15 e 16 ottobre 1999, una sessione speciale del Consiglio europeo. Già in occasione del Consiglio informale GAI di Turku (16 e 17 settembre 1999) è stata nuovamente ribadita la necessità di affrontare la cause di fondo dei fenomeni migratori con un approccio che includa un coordinamento dei diversi pilastri dell’Unione e di puntare ad una progressiva armonizzazione della normativa in materia di immigrazione, protezione temporanea e ripartizione degli oneri connessi alla protezione internazionale di persone che abbiano la cittadinanza o, in quanto apolidi, l’ordinaria residenza in Paesi terzi.

Coerentemente con gli orientamenti emersi nel corso del Consiglio GAI di Turku, il vertice di Tampere ha costituito un momento irrepetibile per attribuire visibilità nella opinione pubblica degli sforzi che si stanno compiendo per affrontare quella che può, a pieno titolo, configurarsi come una delle sfide a cavallo del nuovo millennio.

L’Unione Europea ritiene necessario un approccio generale al fenomeno della migrazione che abbracci le questioni connesse alla politica, ai diritti umani e allo sviluppo dei paesi e delle regioni di origine e transito. Ciò significa che occorre combattere la povertà, migliorare le condizioni di vita e le opportunità di lavoro, prevenire i conflitti e stabilizzare gli Stati democratici, garantendo il rispetto dei diritti umani, in particolare quelli delle minoranze, delle donne e dei bambini. A tal fine, l’Unione e gli Stati membri sono impegnati a contribuire nelle rispettive sfere di competenza ai sensi dei trattati, a una maggiore coerenza delle politiche interne ed esterne dell’Unione stessa.

Il Consiglio di Tampere ha espressamente affermato che l’obiettivo dei Paesi membri è un’Unione Europea aperta, sicura, pienamente impegnata a rispettare gli obblighi che derivano dalla Convenzione di Ginevra relativa allo status di rifugiati e dagli altri rilevanti strumenti internazionali in materia di diritti dell’uomo, capace di rispondere ai bisogni umanitari con solidarietà. In tema di forme di protezione internazionale di cui il cittadino di un Paese terzo deve poter godere all’interno dell’unione, il Consiglio di Tampere ha stabilito che si debba procedere all’elaborazione di un regime europeo comune in materia di asilo, basato sulla convenzione di Ginevra e che lo stesso debba essere completato da misure che prevedano forme complementari di protezione. Si è poi disposto che vengano intensificati gli sforzi per giungere ad un accordo sulla protezione temporanea degli sfollati, fondato sulla solidarietà tra gli Stati membri. Il Consiglio ha, inoltre, ritenuto necessaria la messa a punto di un approccio comune per garantire l’integrazione nella società europea dei cittadini di Paesi terzi che soggiornano legalmente nell’Unione.

Al Consiglio straordinario la posizione dell’Italia si è attestata sulla necessità di ribadire ancora una volta come la sicurezza nell’area del Mediterraneo e dei Balcani sia una questione cruciale per l’Europa intera e il problema degli incessanti flussi migratori richiede parimenti un approccio globale.

A Tampere è stata sottolineata la necessità di una gestione più efficace dei flussi migratori in tutte le fasi. Ciò comporta che siano sviluppate, in stretta cooperazione con i Paesi d’origine e transito, campagne d’informazione sulle effettive possibilità di immigrazione legale e che siano adottate misure per prevenire qualsiasi forma di tratta di esseri umani.

A tale ultimo scopo è stato ritenuto determinante che gli Stati membri, congiuntamente a Europol, si impegnino ad individuare e a smantellare le organizzazioni criminali.

Infatti, se uno degli obiettivi più significativi è quello di un contenimento del fenomeno, è altresì determinante ricostruire le cause, partendo da un serio approfondimento del quadro dei rapporti politici, economici e culturali tra l’Unione Europea e i suoi Stati membri da un lato e i Paesi terzi dall’altro.

Essendo obiettivo cruciale per gli Stati membri e per tutta la UE sia lo sviluppo socioeconomico, che la stabilità dei Paesi da cui si originano i movimenti migratori l’intera questione non può che essere affrontata in termini globali, non risultando sufficiente l’impostazione bilaterale.

Peraltro, la messa a punto di procedure omogenee di riammissione, nel settore nel quale l’Italia vanta certamente un’ampia esperienza, rappresenterebbe un determinante contributo ad una corretta e più razionale gestione del fenomeno, consentendo per un verso l’eliminazione di ingiustificati trattamenti differenziati tra i vari Paesi, nei confronti dello straniero, per l’altro di "governare" meglio la pressione alle frontiere di alcuni Stati che, per le loro caratteristiche geografiche, sono più esposte.

Il documento informale italiano preparatorio della sessione speciale del Consiglio europeo di Tampere ha illustrato la posizione dell’Italia anche in relazione alle tematiche della protezione internazionale di persone che abbiano la cittadinanza o, in quanto apolidi, l’ordinaria residenza in Paesi terzi. In particolare con esso si è espressa la proposta di pervenire all’elaborazione di un codice dell’Unione Europea sull’asilo, che individui, per tutti gli Stati membri, le procedure d’asilo, i vantaggi garantiti ai richiedenti asilo e le opportunità che discendono dal riconoscimento dello status di rifugiato. Il documento in parola rilevava, inoltre, l’inadeguatezza della Convenzione di Dublino a disciplinare il tema della competenza ad esaminare una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri dell’Unione e proponeva il superamento della Convenzione nella più vasta cornice del quadro di riforme legislative prefigurate, nel settore dell’asilo, dal trattato di Amsterdam.

Tale impostazione verrà, peraltro, mantenuta anche nel futuro, nell’ambito delle competenti sedi comunitarie.

 

Iniziative sul piano multilaterale

 

Il nostro Paese, consapevole della necessità di ricercare sui temi migratori convergenze più ampie, ha svolto un ruolo di stimolo anche nell’ambito dei maggiori organismi multilaterali, con la prospettiva di delineare un quadro di riferimento puntuale ed organico e di promuovere una maggiore collaborazione a livello internazionale.

In ambito G8 l’attenzione costantemente rivolta dai Paesi più industrializzati alla crescita del fenomeno migratorio e la necessità di fornire risposte adeguate sia a livello sociale sia sul piano dell’attività di contrasto agli aspetti di rilievo criminale, ha di recente condotto all’adozione di una mirata strategia multidisciplinare.

Passaggio essenziale di tale progetto è, fra l’altro, l’impegno degli otto per un forte rilancio della cooperazione internazionale e per l’adozione di strumenti idonei, primi fra tutti i Protocolli aggiuntivi alla Convenzione ONU sul crimine organizzato, i cui lavori preparatori sono in corso presso la sede di Vienna delle Nazioni Unite, mentre la relativa conclusione è prevista per l’anno 2000, allorché il nostro Paese ospiterà a Palermo la cerimonia ufficiale per la sottoscrizione.

I Protocolli, oltre al delicato settore delle armi, attengono a due tematiche parallele riguardanti il traffico di donne e bambini ed il trasporto illegale di migranti. Al riguardo, si rileva che sia una proposta di risoluzione presentata dall’Italia nell’ambito dell’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO) in materia di lotta ai traffici illegali di immigrati via mare, sia un progetto Convenzione predisposto dall’Austria per la lotta al traffico di migranti via aerea e via terra, sono confluiti in due dei protocolli delle Nazioni Unite relativi al traffico dei migranti ed alla tratta di donne e bambini che dovrebbero essere approvati in occasione della sopra indicata Conferenza.

Quest’ultima iniziativa, in particolare, si ricollega direttamente ad un preciso impegno del nostro Paese, connesso all’esigenza fondamentale di trovare soluzioni idonee sul piano internazionale al fenomeno ed alla sua pericolosa evoluzione.

Il perfezionamento di tale testo, così come dell’intera architettura in allestimento, consentirà alla comunità internazionale, alla vigilia del nuovo millennio, di disporre di un nuovo importante strumento per una risposta globale alla sfida lanciata anche su questo versante dalla criminalità organizzata internazionale.

Occorre menzionare, inoltre, le iniziative volte a valorizzare la particolare posizione geografica dell’Italia, al centro di delicati equilibri internazionali. Ci si riferisce, in particolare, alla cooperazione con i Paesi dell’Iniziativa Centro-Europea, con quelli del Bacino del Mediterraneo Occidentale e della regione Adriatica.

Al problema dei flussi migratori è stata dedicata, in questi ambiti, particolare attenzione, anche nell’ottica dell’azione di prevenzione e contrasto al fenomeno dell’immigrazione clandestina e del traffico di esseri umani, nuovi consistenti affari della più agguerrita criminalità che opera a livello internazionale, utilizzando spesso le medesime rotte sperimentate per stupefacenti, armi ed altri traffici illeciti.

Il Vertice di Napoli (maggio 1998), presieduto dall’Italia, ha fornito l’occasione per il nostro Paese di imprimere al Foro una svolta essenzialmente caratterizzata da una maggiore efficienza e concretezza, prevedendo l’avvio di specifiche riunioni di esperti ed evidenziando la necessità di intensificare gli incontri a livello tecnico, anche per l’immediata trattazione di aspetti particolarmente urgenti.

Coerentemente con le indicazioni scaturite dal Vertice di Napoli, la Conferenza di Algeri (giugno 1999) ha rafforzato l’impegno dei partecipanti con l’istituzione del Gruppo dei Seguiti che ha lo scopo di proseguire la riflessione e gli approfondimenti sulle varie tematiche di interesse comune, tra le quali l’immigrazione illegale costituisce uno degli aspetti prioritari.

In questo ambito, partendo dal riconoscimento della necessità di dover adottare misure concrete a livello di Paesi d’origine, di transito e di destinazione nel quadro di una strategia di reale cooperazione, di rafforzamento dei controlli alle frontiere e di lotta al traffico di esseri umani, emerge che per arginare l’immigrazione clandestina, occorre adottare misure idonee nell’ambito degli accordi bilaterali, rafforzando la collaborazione con i servizi consolari.

Tutto ciò, ovviamente, non può trascurare un’altra fondamentale esigenza rappresentata dalla promozione dello sviluppo delle regioni più povere da cui trae origine il flusso di clandestini.

Superata la crisi del Kossovo, l’Italia ha già riavviato l’azione intensa a dare attuazione alla cosiddetta ‘iniziativa Adriatica’ avviata già da tempo con i Paesi rivieraschi o comunque di specifica influenza nella zona (Albania, Croazia, Slovenia, Bosnia Erzegovina e Repubblica Federale di Jugoslavia). Si tratta, come noto, di quel pacchetto di iniziative volto al potenziamento della cooperazione ed all’ampliamento delle relazioni tra i Paesi che si affacciano sul bacino adriatico e ionico - che interessano tra l’altro i settori economico, ambientale, culturale e scientifico - nonché centrato sull’opportunità di realizzare interventi congiunti anche nella lotta ai più attuali fenomeni di illegalità transnazionale.

Tutto ciò dovrebbe concretizzarsi in una conferenza internazionale per lo sviluppo e la sicurezza dell’Adriatico e nella firma della "Carta Adriatica" con cui i Governi dei Paesi partecipanti, affiancati da Istituzioni Internazionali, si impegnano a porre in essere azioni e misure per il raggiungimento degli obiettivi suindicati. Per quanto concerne il settore della sicurezza l’accento verrà posto sul traffico di migranti, con particolare riferimento a quello di donne e minori.

Nell’ambito dell’Iniziativa Centroeuropea (In.ce.) l’Italia svolge un ruolo trainante in seno ai due gruppi di lavoro, sulle minoranze e sulla lotta ala crimine organizzato, nei quali i temi migratori sono trattati.

In particolare il primo di essi nel corso del 1999 ha proseguito la sua intensa azione diretta principalmente a dare pratica attuazione ad alcuni dispositivi contenuti nella "Convenzione per la protezione delle minoranze", importante strumento giuridico sottoscritto nel 1994 da 11 Paesi In.ce., che prevede misure per il rispetto dei diritti fondamentali delle minoranze e la loro protezione dalle attività illecite nel campo migratorio.

Si rileva, infine, che in occasione della conferenza Europea di Stoccarda del 15.4.1999 da parte italiana è stata formalmente avanzata la proposta di svolgimento di una conferenza ad adeguato livello politico sui problemi migratori. La proposta è stata accolta e si stanno per il momento valutando modalità e tempi di attuazione.

 

Cooperazione euro-mediterranea

 

Nel quadro della cooperazione euromediterranea, grazie anche all'impegno italiano, le questioni legate all’immigrazione hanno assunto ormai una forte valenza.

Il rilievo avuto dal seminario sulle migrazioni e la circolazione delle persone in ambito euro-mediterraneo’, svoltosi all'Aja nel mese di marzo 1999 ed al quale ha partecipato la quasi totalità dei Paesi facenti parte del dialogo euro-mediterrraneo, conferma l’attenzione che viene riservata a queste tematiche. Tale evento - per la cui preparazione l’Italia ha fornito un contributo sostanziale, con i Paesi Bassi, la Francia, la Spagna e l’Algeria - ha rappresentato l'occasione per illustrare ai nostri partners l'approccio complessivo e multisettoriale che ha ispirato l'azione italiana nella ricerca di soluzioni concordate con i Paesi di provenienza ai problemi migratori, con un particolare riguardo all'immigrazione clandestina. Tale approccio - del cui carattere innovatore ci è stato dato pubblicamente atto, tanto da figurare nelle conclusioni del Seminario- ha dimostrato la sua validità in particolare nel rilancio delle nostre relazioni con la Tunisia, con la quale stiamo costruendo un sistema di interventi intesi a prevenire, dissuadere e gestire i flussi migratori.

L'importanza di queste occasioni di confronto e di scambio di idee nel quadro del partenariato euromediterraneo consiste principalmente nella possibilità di delineare un preciso quadro istituzionale per l'Unione Europea sulla complessa ed articolata tematica migratoria e di giungere a concordare una vera e propria politica europea in materia verso l'area mediterranea.

Profondamente convinti che il fenomeno migratorio non possa che essere visto in stretta relazione col concetto della stabilità globale, l'azione italiana è quindi interamente rivolta a far sì che esso, in ambito europeo, venga trattato insieme ed alla stregua delle altre molteplici sfide che si pongono alla sicurezza del Mediterraneo.

 

Cooperazione con i Paesi dell’area Africana, dei Caraibi e del Pacifico (ACP).

 

Espressione del medesimo approccio è anche lo sforzo profuso in sede di negoziato per la revisione della Convenzione di Lomè affinché, nel futuro quadro negoziale tra l’Unione Europea ed i Paesi ACP, sia incluso uno specifico capitolo sulle questioni migratorie. Ciò, nella persuasione che il consolidamento del dialogo sulla materia fra l’Unione e tali Paesi sia destinato a dimostrarsi proficuo per tutte le parti interessate.

Alla luce di tali premesse, particolare enfasi è stata posta sulla necessità che, nel nuovo testo di Accordo fra i Paesi ACP e l’Unione Europea, vengano inseriti specifici impegni in tema di riammissione. Inoltre, stante l’intensificarsi dei flussi migratori fra Paesi africani, tali impegni dei Paesi ACP alla riammissione dovrebbero non essere limitati ai rispettivi cittadini, ma aver altresì ad oggetto tutti gli immigrati irregolari che giungano nell’Unione Europea provenendo dal territorio di ciascuno di essi.

Non può ignorarsi, tuttavia, che il fenomeno dell’immigrazione illegale ha le sue radici nelle condizioni di grave disagio economico e sociale in cui versa gran parte delle popolazioni dei Paesi ACP. E’ dunque proprio nell’intento di incidere su tali cause, in vista di un’azione di prevenzione di più ampio respiro, che L’Italia si è fatta portavoce presso l’Unione Europa anche dell’opportunità di proseguire nell’attuazione di programmi di cooperazione allo sviluppo dei Paesi ACP ed, al contempo, di elaborare forme di intervento volte a promuovere il ritorno volontario degli immigrati nei Paesi d’origine. Tutto ciò, nella convinzione che la crescita economica sia, accanto ad un’intensificazione della vigilanza alle frontiere, condizione imprescindibile per un approccio al problema immigratorio che possa rivelarsi effettivamente efficace.

 

Cooperazione sul piano bilaterale

 

Sul piano bilaterale è proseguita una intensa attività negoziale con i paesi di origine e di transito dei flussi migratori. L'obiettivo del rafforzamento del reticolo di accordi finalizzati alla regolamentazione dei flussi di ingresso e delle procedure di riammissione è stato perseguito in una strategia di negoziato globale, ponendo cioè tali accordi in relazione con altre intese di più precipuo interesse dell'altra parte contraente, relative sia al settore socio-migratorio che a quello più vasto della cooperazione economica ed allo sviluppo. Tale approccio consente infatti di portare avanti una più efficace lotta ai flussi migratori clandestini ed alle attività criminose ad essi connesse, ed al tempo stesso risponde all'obiettivo di realizzare una più efficace cooperazione con i paesi interessati, anche se in questa prima fase di applicazione della nuova normativa qualche difficoltà è emersa per ciò che concerne un utilizzo soddisfacente delle quote preferenziali previste dalle intese bilaterali.

Il contenimento dell’immigrazione illegale rappresenta uno degli obiettivi primari della legislazione in materia d’immigrazione da perseguire con una perseverante e attenta politica dei flussi, con l’impegno alla scrupolosa osservanza delle norme sull’ingresso, con la più ampia ed estesa collaborazione nell’ambito dell’Unione Europea nonché con la ricerca di accordi con gli Stati d’origine dei flussi emigratori.

Sotto tale ultimo profilo il conseguimento di probanti risultati nell'attività di rimpatrio di stranieri irregolarmente presenti sul territorio nazionale è anche frutto della proficua collaborazione avviata e instaurata con le Rappresentanze Diplomatiche dei Paesi interessati.

Pur in assenza, infatti, di specifiche intese con numerosi Paesi terzi per la riammissione dei propri cittadini rintracciati all'atto di far ingresso clandestino in territorio nazionale o, comunque, illegalmente presenti in Italia e privi di qualsivoglia documento identificativo, sono stati intessuti ottimali rapporti di collaborazione con personale diplomatico delle diverse Ambasciate o Consolati esteri, pervenendosi all'accertamento della cittadinanza di numerosi stranieri, superando spesso anche quelle forme di scarsa cooperazione a volte riscontrate.

Le iniziative assunte hanno consentito il rimpatrio, previa concessione di lasciapassare, di cittadini della Cina, dell'India, del Pakistan, del Bangladesh, dell'Egitto, dello Sri Lanka, della Nigeria.

Fondamentale importanza ha rivestito inoltre, nell'attività di contenimento dei flussi migratori illegali, la conclusione di Accordi di Riammissione con Paesi che occupano posizioni geografiche strategiche lungo gli itinerari seguiti dai clandestini.

Particolare rilievo assume in tal senso la conclusione dello Scambio di Note tra i Governi d’Italia e Tunisia, firmato a Roma il 6 agosto 1998. Esso costituisce l'elemento chiave della politica di contenimento dei flussi migratori provenienti dal Maghreb che non comprendono unicamente cittadini tunisini e marocchini, ma, bensì, stranieri di diversa nazionalità ed etnia, originanti dall'Africa sub-sahariana.

Inoltre a giugno del 1999, ha avuto termine un complesso negoziato con le Autorità di Rabat, iniziato con la firma dell'Accordo vero e proprio, intervenuta il 27 luglio 1998 nella capitale marocchina, e terminato con la sottoscrizione del Protocollo Applicativo di tale Intesa avvenuta a Roma il 18 giugno 1999.

Gli accordi bilaterali stanno consentendo di contenere l’immigrazione irregolare proveniente dalla sponda meridionale del Mediterraneo che fino all'estate del 1998 aveva assunto dimensioni preoccupanti per la sistematicità degli arrivi di clandestini talvolta in numero assai rilevante prevalentemente lungo le coste siciliane.

Conseguentemente, mentre nel periodo luglio - settembre 1998 erano giunti sulle coste siciliane (in particolare a Lampedusa e Pantelleria) 3.413 clandestini di nazionalità prevalentemente tunisina e marocchina, nel periodo ottobre 1998 -settembre 1999 ne sono giunti, sulle stesse coste, solo 2.072 .

Con gli accordi conclusi nel corso dell'ultimo anno con Bulgaria, Slovacchia e Grecia è ormai quasi completato il reticolo di intese in materia di riammissione, di cui il nostro Paese dispone con i paesi dell'Europa dell'est e dell'area balcanica.

E’ stato, inoltre, firmato un accordo bilaterale di riammissione con la Svizzera ed è entrato in vigore anche l'accordo con l'Ungheria, firmato il 27 maggio 1997.

Non si è mancato, parallelamente, di assumere, in via formale o in termini concreti, specifiche intese per una migliore cooperazione transfrontaliera di polizia per il contrasto dell'immigrazione clandestina. Riveste particolare rilievo, in tal senso, l'avvio di collaborazione con le Autorità di polizia di Siria e di Libano, i cui territori, negli ultimi mesi, sono stati luogo di partenza di navi dirette in Europa con numerosi clandestini a bordo.

Per quanto concerne la Siria si sono avuti contatti con le Autorità di Damasco al fine di realizzare una missione in quel Paese mirante ad approfondire le modalità di cooperazione in campo migratorio con particolare riferimento alla questione dei flussi illegali.

Nel più ampio contesto della cooperazione euro-mediterranea si sta procedendo, inoltre, ad istituzionalizzare i rapporti di collaborazione con le Autorità di Cipro, Paese che rientra tra gli Stati candidati all'ampliamento dell'Unione Europea.

Sono inoltre prossimi alla conclusione i negoziati con l'Algeria e con Malta, per i quali restano da definire alcune questioni relative agli aspetti applicativi, mentre dovrebbero a breve riprendere le trattative con l'Egitto, che erano state sospese durante il negoziato con la Commissione UE sull'Accordo di associazione.

I nostri sforzi si concentreranno ora sui paesi asiatici con alcuni dei quali i negoziati sono già avviati.

Circa l'Africa sub-sahariana hanno manifestato disponibilità a concludere un accordo bilaterale sia la Nigeria che il Senegal. Per quanto concerne quest’ultimo paese è stato concordato che il negoziato sull'accordo di riammissione avrà luogo in parallelo a quello concernente l'accordo in materia di sicurezza sociale.

 

Cooperazione allo sviluppo e flussi migratori

 

I progetti della Cooperazione italiana in particolare per ciò che riguarda l'area mediterranea sono concepiti, oltre che per la promozione dello sviluppo socioeconomico endogeno, la lotta contro la povertà, la crescita della società civile, la tutela ambientale e lo sviluppo della piccola e media impresa, anche con la finalità di disincentivare la spinta migratoria verso il nostro Paese e, più in generale, verso i Paesi dell’Unione Europea. Nel periodo 1998-99 circa il 26% dell’Aiuto Pubblico allo Sviluppo stanziato dall’Italia è confluito in tale area, dove l'Albania, insieme all'Egitto ed ai paesi del Maghreb, si sono confermati i due principali beneficiari.

L’obiettivo di disincentivare i flussi migratori viene perseguito dalla Cooperazione italiana tramite iniziative volte a combattere le situazioni di estrema povertà (servizi sociali di base, microimpresa, microcredito) ed a creare occupazione (interventi infrastrutturali, sviluppo della piccola e media impresa - PMI) e capitale umano (formazione professionale).

Per quel che concerne l’Albania il 6 Agosto 1998 è stato firmato il nuovo Programma triennale di cooperazione 1998-2000, per il quale sono stati stanziati 210 miliardi di lire, di cui 180 a credito d’aiuto e 30 a dono. Con tale iniziativa l’Italia ha ribadito il proprio prioritario impegno in favore dello sviluppo di tale paese ed ha sottolineato la sua intenzione di accordare, in tutti i settori, la priorità agli interventi in grado di creare nuovi impieghi.

Per quanto concerne le attività condotte dalla Cooperazione italiana in Albania, ve ne sono alcune, recentemente avviate o in fase di esecuzione da diversi anni, che investono i settori chiave per lo sviluppo socioeconomico (elettrico, idrico, assistenza alle PMI soprattutto rurali) e capaci pertanto, da un lato, di creare occupazione in loco e, dall’altro, di promuovere la crescita economica e lo sviluppo sociale endogeno.

La cornice entro la quale si proietta l’attività della Cooperazione italiana nei Paesi del Nord Africa è rappresentata dagli obiettivi di modernizzare l’agricoltura e potenziare l’industria, essendo questi, insieme al rafforzamento istituzionale, i settori sui quali conviene concentrare gli sforzi per raggiungere un incremento dello sviluppo socioeconomico e, dunque, una riduzione dei flussi migratori.

In questo contesto va sottolineato lo sforzo che diversi Paesi dell’area del Maghreb stanno compiendo per promuovere una politica a sostegno della competitività delle imprese private locali ed al fine di incentivare la crescita e lo sviluppo delle PMI, realtà con un’elevata capacità di generare impiego e perciò in grado di creare le condizioni per uno sviluppo autonomo.

Per questo motivo, i programmi della Cooperazione italiana in corso di esecuzione o di negoziato si concentrano soprattutto sull’appoggio al settore delle PMI, sulla formazione professionale e sull’aiuto tecnico ai centri settoriali di assistenza alle imprese, come negli interventi di sviluppo umano e di riduzione della povertà estrema nelle aree particolarmente svantaggiate.

In Marocco, Egitto, Tunisia ed Algeria (paese, quest’ultimo, dove nel corso del 1998 la Cooperazione italiana ha segnato un rilancio delle sue attività) è in essere una linea di credito italiana che prevede il finanziamento di progetti produttivi promossi da PMI e rispondenti agli obiettivi di creare posti di lavoro e di trasferire tecnologia e know-how, in special modo nei settori dell’industria e dell’agricoltura. Sono inoltre in fase di svolgimento un programma su base regionale promosso dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Industriale (UNIDO) ed un’iniziativa dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) (ai quali contribuisce l’Italia) che intendono promuovere nei paesi beneficiari un modello di sviluppo delle PMI basato sull’esperienza italiana dei distretti industriali (Tunisia) e creare forme di impiego stabili attraverso il sostegno alla creazione di micro e piccole imprese, al fine di ridurre nel medio e lungo periodo la pressione migratoria (Province di Getta ed El Jadida in Marocco).

In Egitto è stata definita l’iniziativa a credito d’aiuto a favore del Fondo di Sviluppo Sociale per lo sviluppo della piccola e micro impresa ed allo stesso tempo sono proseguite le attività di un programma a favore del Ministero degli Affari Sociali volto alla riduzione della povertà ed alla creazione di nuovi posti di lavoro, di un programma nel settore ambientale e di un’iniziativa intesa a potenziare la ricerca informatica.

Per quanto concerne invece il settore della formazione professionale, altrettanto importante al fine di disincentivare la spinta migratoria, gli sforzi della Cooperazione italiana nel Maghreb si concentrano nell’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro locale e nella promozione di nuove iniziative imprenditoriali.

 

 

Allegato

 

Elenco degli accordi di riammissione

 

Albania: 18.11.97, in vigore 1.8.98

Austria: 7.10.97, in vigore 1.4.98

Bulgaria: 22.7.1998, in vigore 25.12.98

Croazia: 27.6.97, in vigore 1.6.98

Estonia: 22.5.97, in vigore 1.2.99

Francia: 3.10.97, notifica Italia 17.2.98

Ex Repubblica Fed. Jugoslava di Macedonia (FYROM ): 26.2.97, in vigore 23.10.97

Jugoslavia : 19.6.97, in vigore 1.8.98

Georgia: 15.5.97

Grecia: 30.4.99 (completate procedure interne di ratifica)

Lettonia: 21.5.97, in vigore 7.11.97

Lituania: 20.5.97, in vigore 1.12.98

Marocco: 27.7.98, notifica Italia 21.12.98

Polonia: accordo Schengen-Polonia 22.11.94

Romania: 4.3.97, in vigore 1.2.98

Slovacchia: 30.7.98, in vigore 1.1.99

Slovenia: 3.9.96, in vigore 1.9.97

Svizzera: 10.9.98

Tunisia: scambio di note 6.8.98

Ungheria: 20.5. 97, in vigore 9.9.1998

 

 

 

CAPITOLO III

L’asilo e lo status di rifugiato

La legge 40/98 disciplina, almeno parzialmente, l’istituto della protezione temporanea (articolo 18, poi trasfuso nell’articolo 20 TU 286/98). La legge n.40 fa, inoltre, riferimento ai rifugiati, per escludere che gli stessi, in materia di ricongiungimento familiare, siano sottoposti alla disciplina ordinaria relativa agli extracomunitari (articolo 27, poi trasfuso nell’articolo 29 del TU 286/98). Infine, la nuova legge sull’immigrazione, prevede la protezione umanitaria individuale (articolo 5, poi trasfuso nell’articolo 5 del TU 286/98).

Nel documento programmatico approvato con DPR 5 agosto 1998, sono, pertanto, molteplici i riferimenti alle forme di protezione internazionale disponibili in Italia in favore di cittadini provenienti da Paesi terzi. Sembra dunque necessario, in questa sede, dare conto, in via più generale, della politica italiana in materia di asilo e di altre forme di protezione internazionale che uno straniero può richiedere nel nostro Paese.

Il Senato della Repubblica, in data 5 novembre 1998, ha approvato il disegno di legge concernente: Norme in materia di protezione umanitaria e di diritto di asilo, attualmente all’esame della 1 Commissione della Camera (AC 5381). Sotto il profilo dei principi, appare importante sottolineare che il disegno di legge in parola, una volta approvato, costituirà la prima normativa organica del diritto d’asilo nella storia d’Italia. Con lo stesso, anche grazie al ricco apporto degli emendamenti parlamentari, si dà attuazione piena al disposto dell’articolo 10, comma 3, della Costituzione, che, come noto, disegna le linee fondamentali del diritto di asilo alla luce dei valori costituzionali, alle condizioni stabilite dalla legge ordinaria. L’attuazione dello stesso si è resa, peraltro, indispensabile, a seguito della più recente giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione che ha definitivamente negato la natura meramente programmatica dell’articolo in esame, riconoscendo che il diritto di asilo è immediatamente azionabile di fronte al giudice ordinario parallelamente o indipendentemente dalla richiesta dello status di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951.

Il disegno di legge in esame intende ammodernare ulteriormente l’ordinamento giuridico italiano integrando le previsioni contenute nella Convenzione di Ginevra del 1951 in materia di rifugiati. Quest’ultima, infatti, fa riferimento a persecuzioni contro singoli individui poste in essere per motivi di razza, di religione, di nazionalità, di appartenenza ad un determinato gruppo sociale o a causa delle opinioni politiche degli interessati. Il disegno di legge introduce, quali cause di persecuzioni che danno titolo al diritto di asilo, quelle fondate sul sesso e sull’appartenenza ad un gruppo etnico, discriminazioni che l’attuale sensibilità in materia di diritti umani e civili ha chiaramente individuato come particolarmente odiose ed insopportabili. Allo stesso tempo vengono introdotte novità procedimentali volte a limitare l’utilizzazione strumentale della richiesta di asilo.

Sotto il profilo dei diritti dei richiedenti asilo e dei rifugiati, inoltre, si opera un salto di qualità notevole, prevedendo una strumentazione che dovrebbe permettere una tutela complessiva degli interessati, sia sotto il profilo delle garanzie agli stessi riconosciute nell’ambito del procedimento amministrativo diretto al riconoscimento del diritto in parola, sia sotto il profilo degli interventi assistenziali e di integrazione necessari ad assicurare agli stessi una permanenza dignitosa nel nostro Paese.

Il Governo è fortemente interessato all’approvazione del disegno di legge in parola che potrebbe costituire uno dei momenti più significativi, sotto il profilo ideale e dei valori affermati, di questa legislatura.

Sotto il profilo statistico, si rileva che nel 1998 sono state presentate circa 13.000 richieste di asilo e che per il 1999 la stima si attesta intorno 20.000 domande (per un numero complessivo di oltre 30.000 persone ove si tenga conto anche dei minori che fanno parte dei nuclei familiari dei richiedenti asilo). L’asilo viene concesso, mediamente, nel 10% dei casi.

Se si riflette sul dato che, negli anni precedenti (ad eccezione del 1991), la media delle richieste era inferiore alle 2000, si rileva immediatamente come vi sia stato un aumento esponenziale delle richieste che può essere dovuto a molteplici fattori. Si rileva, previamente, che l’Italia, dopo essere stata per quasi 100 anni un Paese di emigrazione si è trasformata in un Paese di immigrazione, in particolare a partire dagli anni ottanta. Si soggiunge che mentre fino alle soglie del presente decennio la maggioranza delle persone in cerca di protezione internazionale giungeva nel nostro Paese in transito verso altre Nazioni, meta finale del loro viaggio, la diminuita disponibilità di queste ultime (Stati Uniti d’America, Canada, Australia, ecc.) ad accogliere immigrati e le migliorate condizioni economiche generali dell’Italia, hanno determinato la sua trasformazione in Paese che è anche di destinazione finale dei rifugiati. Bisogna, inoltre, tenere conto del fatto che, fino al 1990, per l’Italia vigeva una riserva geografica, in base alla quale lo Status di rifugiato poteva venire concesso ai soli cittadini provenienti da Paesi europei. Peraltro, il mutato contesto internazionale, a seguito dei fatti del 1989 e della fine della guerra fredda (che ha reso gli ex Paesi comunisti dell’est europeo più permeabili nonché, in taluni casi, preda di gravi crisi economiche e sociali nonché, di situazioni di violenza generalizzata e di guerra civile) nonché l’accresciuta facilità tecnica di spostarsi da un luogo all’altro del Pianeta ha reso la generale pressione migratoria molto più marcata che in precedenza. Si ritiene, inoltre, con particolare riguardo all’Italia, che l’approvazione della legge n.40/98, che introduce meccanismi che rendono più difficoltoso che in precedenza, permanere sul territorio nazionale in uno stato di irregolarità, abbiano favorito il ricorso strumentale alle procedure predisposte in tema di asilo determinando così, in parte, la crescita esponenziale delle domande di asilo cui si è fatto accenno.

Con riferimento alla attuale politica dell’integrazione dei rifugiati nel nostro Paese, si fa presente che la stessa può articolarsi facendo riferimento alle seguenti fasi storiche:

Gli anni ottanta, durante i quali si assiste alla nascita dei primi programmi di integrazione a favore dei rifugiati;

Gli anni novanta, che si aprono con il ritiro della riserva geografica e sono caratterizzati da un mutamento profondo, sotto il profilo in esame, del nostro Paese che comincia a caratterizzarsi come meta finale del percorso di un numero crescente di rifugiati;

Il periodo più recente e l’immediato futuro, in cui le esperienze acquisite nel decennio che sta per finire vengono elaborate al fine di formulare un approccio maturo alla tematica dell’integrazione dei rifugiati.

L’Italia, nel ratificare la Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati (con L.722/1954), come già accennato, pose una riserva geografica che limitava la possibilità di riconoscere lo status di rifugiato esclusivamente a cittadini di Paesi europei, riserva che è stata ritirata con la legge n.39/1990.

Nel periodo compreso tra il 1954 ed il 1990, tutti i richiedenti asilo extraeuropei potevano, comunque, rivolgersi alla delegazione dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR) in Italia per essere riconosciuti come rifugiati sotto il mandato dello stesso Alto Commissariato. Il compito di identificare i rifugiati e dare loro protezione internazionale deriva infatti dallo stesso statuto dell’ACNUR ed è applicabile in tutti i Paesi indipendentemente dalla Convenzione del 1951.

L’esistenza di due tipi di rifugiati, quelli riconosciuti dal Governo Italiano e quelli sotto mandato dell’Alto Commissariato, ha richiesto, all’inizio degli anni ottanta, l’avvio di due distinti programmi diretti ad agevolare l’integrazione degli stessi.

Un programma, a cura esclusiva dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, previsto in favore delle persone in cerca di protezione internazionale in Italia, provenienti da Paesi extraeuropei.

L’altro, posto in essere sulla base di un accordo tra il Ministero dell’Interno e l’ACNUR, in favore dei rifugiati europei.

La natura di questo programma è stata caratterizzata dalla tipologia dei beneficiari, costituiti in massima parte da persone non più giovani che non erano riuscite ad ottenere un visto per l’emigrazione verso Paesi terzi (come il Canada o gli Stati Uniti). L’Italia, infatti, si caratterizza, per l’intero decennio, come Paese essenzialmente di transito delle persone in cerca di protezione internazionale, principalmente interessate ad emigrare, in via definitiva, verso altri Paesi.

Il tipo di sostegno, pertanto, che veniva richiesto ed offerto, si limitava a piccoli contributi finanziari, volti a sostenere alcune delle spese dei rifugiati, in relazione a esigenze ordinarie di vita connesse alla salute o alla gestione del bilancio familiare.

Con la legge n.39/1990 viene, come sopra indicato, ritirata la riserva geografica apposta in sede di ratifica della Convenzione di Ginevra del 1951 mentre l’Italia diviene la meta finale di molti dei rifugiati. Tali fattori impongono una rimodulazione del programma posto in essere del Ministero dell’Interno sulla base dell’accordo con l’ACNUR. I fondi disponibili passano dai 100 milioni di lire del 1991 agli oltre 10 miliardi di lire del 1999 (tale cifra dovrà, tuttavia, finanziare anche gli interventi che saranno necessari quando verrà approvata la nuova legge in tema di asilo). I tipi di interventi possibili vengono dettagliatamente identificati, includendo oltre a quelli ordinari di carattere prettamente assistenziale, anche finanziamenti connessi a progetti di integrazione lavorativa o allo svolgimento di studi presso le scuole o le università italiane. Tali interventi sono stati disposti, nel 1998, a favore di oltre 850 rifugiati, mentre nel 1999 riusciranno a coinvolgere, ragionevolmente, oltre 1200 dei potenziali beneficiari.

Gli anni novanta, inoltre, vedono affacciarsi, nel ruolo di attori di primo rilievo nella politica di integrazione dei rifugiati, oltre all’Unione europea, alcuni enti locali particolarmente sensibili a tale tematica nonché le organizzazioni non governative. Sembra molto importante richiamare l’esperienza propria del comune di Milano, tra più attivi nel settore in parola, che ha garantito, in particolare attraverso lo strumento delle borse-lavoro, un elemento fondamentale dell’integrazione dei rifugiati nel contesto socio-culturale italiano. Di grande interesse, inoltre, l’impegno della Regione Liguria che, in collaborazione con la Prefettura di Imperia, sta predisponendo un piano di integrazione che consiste in un primo avviamento al lavoro, impiegando i rifugiati in lavori di risanamento ambientale. La forma individuata per la realizzazione di questo progetto è, ancora una volta, la borsa-lavoro che sembra l’unica in grado di soddisfare la complessa legislazione di settore. L’opera importante delle organizzazioni non governative nel settore in esame può essere esemplificata, facendo riferimento alle attività, tra l’altro, del Consiglio Italiano per i Rifugiati, impegnato, con altre organizzazioni non governative, in un progetto significativo denominato ‘Da assistiti a risorse’, co-finanziato per un triennio dall’Unione europea con i fondi destinati all’integrazione dei rifugiati.

La politica italiana dell’integrazione dei rifugiati emerge, pertanto, dal decennio che si chiude, arricchita nel numero e nella qualità degli attori coinvolti. Allo stesso tempo tale politica si deve confrontare con le esigenze, nuove per il nostro Paese, poste da un crescente numero di rifugiati che intendono stabilirsi in modo permanente in Italia e che, pertanto, richiedono un’adeguata opera di sostegno per garantire una loro effettiva integrazione nel nostro Paese del quale possono divenire un importante risorsa.

Tale premessa, allo stesso tempo culturale e pragmatica, si trova a fondamento delle previsioni, in materia di integrazione dei rifugiati, contenute nel disegno di legge sull’asilo, approvato dal Senato della Repubblica e, attualmente, all’esame della Camera dei Deputati (AC5381).

La normativa in esame permetterà, tra l’altro, di superare l’attuale penosa diacronia tra misure che hanno una durata limitata per legge e un procedimento che, spesso, ha una durata molto superiore.

Si è, pertanto, previsto che gli interessati in attesa di essere ascoltati dalla Commissione Centrale debbano godere di una appropriata assistenza, da parte degli enti locali (che possono ottenere, conseguentemente, un rimborso a carico del Ministero dell’Interno), per tutta la durata del procedimento. Inoltre è possibile, per gli stessi, fruire di tutti i necessari trattamenti sanitari.

Per coloro che ottengono il riconoscimento del diritto di asilo sono, inoltre, previste attività di integrazione, che debbono essere svolte dagli enti locali i quali possono, a tal fine, utilizzare il prezioso contributo delle organizzazioni non governative. Le attività in esame dovranno includere programmi di lingua italiana e progetti di integrazione lavorativa, garantendosi, inoltre, l’assimilazione dei rifugiati ai profughi italiani in materia di riserva di alloggi e di edilizia economica e popolare nonché misure di assistenza, anche economica, in particolare nel primo periodo successivo al riconoscimento del loro status.

 

La protezione temporanea. La guerra nell’area balcanica e l’esodo dal Kossovo.

 

Nell’ultimo decennio è emersa e si è imposta una nuova forma di protezione internazionale denominata protezione temporanea. Quest’ultima non risulta ancora oggetto di una codificazione internazionale e, pertanto, assume sfumature diverse anche nell’ambito degli Stati membri dell’Unione Europea (si è tuttavia accennato, nel capitolo relativo alle attività svolte nell’ambito internazionale, all’intenso dibattito in atto, su questa materia, all’interno dell’Unione).

L’istituto in esame è volto, sostanzialmente, ad assicurare protezione a gruppi di persone che fuggono dal proprio Paese, sconvolto dalla violenza generalizzata o dalla guerra, pur non essendo stati oggetto di persecuzioni individuali. Tali persone, pertanto, non potrebbero ottenere, nella maggior parte dei casi, la protezione prevista dalla Convenzione di Ginevra sui rifugiati o l’asilo, in quanto tali tradizionali forme di protezione internazionale sono concesse su base individuale, in conseguenza di una situazione propria e peculiare del richiedente. La protezione temporanea, invece, è concessa sulla base della sola appartenenza ad un certo gruppo, in fuga dal Paese di origine, per le motivazioni sopra accennate. Caratteristica della protezione temporanea è, evidentemente, quella di essere legata all’evoluzione della situazione nel Paese di origine degli sfollati, dovendo gli stessi, tendenzialmente, farvi ritorno una volta che siano cessati gli eventi che hanno determinato la fuga e la temporanea impossibilità al rimpatrio.

L’Italia ha dovuto affrontare, nel corso degli anni novanta, molteplici situazioni che presentavano le caratteristiche sopra indicate e, sulla base dell’esperienza acquisita, ha elaborato strumenti sempre più affinati per affrontarle.

In particolare, il flusso di profughi dalla ex Jugoslavia, causato dalla guerra seguita alla dichiarazione di indipendenza di alcune delle Repubbliche che costituivano la Federazione, ha comportato l’adozione di una legge specifica (L.390/92) che ha disciplinato lo status e le opportunità per gli sfollati da quell’area nel nostro Paese. Nel 1997 si è poi dovuta affrontare l’emergenza causata dall’afflusso di profughi albanesi sul territorio nazionale, a causa dei gravi disordini scoppiati in quel Paese. Si è provveduto con alcuni decreti legge, successivamente convertiti in legge, che hanno delineato uno status giuridico e le opportunità per gli interessati, calibrate in relazione alla specifica emergenza in atto.

Il lunghissimo perdurare del conflitto nella ex Jugoslavia (ed in particolare nella repubblica di Bosnia-Erzegovina), conclusosi solo con gli accordi di Dayton del 1995, ha determinato un radicamento degli sfollati sul nostro territorio nazionale che ha reso irrealistico un rimpatrio forzato degli stessi verso un Paese ormai molto differente da quello che avevano conosciuto. Parimenti, alcuni degli sfollati albanesi del 1997, al termine dell’emergenza in Albania, avevano dimostrato un certo radicamento nel nostro Paese, in particolare in quanto destinatari di offerte di lavoro e dotati di capacità autonoma di dotarsi di un alloggio (in mancanza di tale radicamento gli stessi sono stati rimpatriati volontariamente o in via coattiva). Pertanto il Governo, con il D.P.R. 6 agosto 1998, ha permesso che i titolari di un permesso di soggiorno concesso a seguito della protezione temporanea offerta nel nostro Paese, potessero ottenere una conversione dello stesso in un permesso di soggiorno ordinario per lavoro. Con ciò si è ritenuto di offrire una soluzione di lungo termine agli sfollati che avessero ormai, per diversi motivi, legami solidi con il nostro Paese (circa 50.000 persone).

Il ripetersi dei fenomeni di afflussi cospicui di sfollati sul territorio nazionale ha reso necessaria l’elaborazione di uno strumento giuridico più agile della legge, da adottare nelle situazioni di emergenza. In assenza di una normativa primaria di carattere generale che tipizzasse le situazioni in parola, infatti, era stato necessario adottare, ad ogni nuova emergenza, uno o più decreti-legge ed affrontare il successivo percorso parlamentare di conversione degli stessi. Tale procedimento, evidentemente, può dimostrarsi difficilmente compatibile con la gestione di fenomeni che possono avere manifestazioni ed evoluzioni caratterizzate dalla rapidità. La legge n.40/98 ha, pertanto, previsto, come già accennato, che ‘con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri…sono stabilite… le misure di protezione temporanea da adottarsi, anche in deroga alle disposizioni della presente legge, per rilevanti esigenze umanitarie, in occasione di conflitti, disastri naturali o altri eventi di particolare gravità in Paesi non appartenenti all’Unione Europea’ (articolo 18).

Tale norma è stata utilizzata, per la prima volta, nella primavera del 1999, per concedere la protezione temporanea nel nostro Paese agli sfollati dal Kossovo e dalla regione balcanica in genere.

Per fronteggiare l'esodo dei profughi in fuga dal Kossovo sono state adottate una serie di iniziative, sul duplice piano interno ed internazionale.

In primo luogo, il Governo italiano ha avviato, nel quadro della c.d. "Missione Arcobaleno" d'intesa con gli organismi umanitari internazionali, in particolare con l'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR) e con l'Organizzazione Internazionale delle Migrazioni (OIM) una serie di interventi in Albania e nella ex Repubblica Federale Jugoslava di Macedonia, volti ad assicurare l'assistenza dei profughi nel frattempo giunti nei centri di accoglienza, lì appositamente allestiti.

Sul territorio nazionale, sono state assunte iniziative umanitarie rivolte all'accoglienza dei profughi, che hanno visto il diretto coinvolgimento, sotto il coordinamento del Ministero dell’interno, degli Enti locali, di diversi soggetti pubblici o privati e di associazioni di volontariato.

Il 26 marzo 1999, pochi giorni dopo l'inizio delle operazioni NATO, il Presidente del Consiglio dei Ministri, con apposito decreto, ha dichiarato lo stato di emergenza per fronteggiare l'eventuale, eccezionale esodo delle popolazioni provenienti dalle zone di guerra, successivamente prorogato in data 18 giugno fino al 31.12.1999.

Sulla base dello stato di emergenza, il Ministro dell'interno, nella sua qualità di delegato al coordinamento della protezione civile, ha adottato diverse ordinanze, tra cui quella dell'11 maggio 1999 con la quale è stata disposta l'attivazione e la gestione del Centro di accoglienza individuato nella ex-base militare di Comiso (RG).

Successivamente all’attivazione del Centro di Comiso e fino al giorno 30 maggio si è provveduto a porre in essere tutte le necessarie attività di accoglienza in conseguenza del trasferimento a Comiso, in provenienza dal Campo di Stenkovac nella Ex Repubblica Federale Jugoslava di Macedonia (FYROM), di un numero complessivo di 5.816 profughi suddivisi in:

- 2759 uomini;

- 3057 donne:

- di cui 2312 bambini e ragazzi rientranti nella fascia di età da 0 a 16 anni.

Nel periodo in considerazione, sono state, inoltre, registrate, all'interno del Centro, n. 12 nascite.

Gli sfollati sono stati trasportati dal territorio macedone a Catania con 36 velivoli militari e civili e da Catania a Comiso con 26 autobus militari.

Dal 30 maggio in poi, momento in cui si è ritenuta conclusa la prima fase della operazione umanitaria in atto, si è provveduto alla gestione ed assistenza della popolazione Kossovara ospite, sino al giorno 6 luglio 1999, data in cui ha avuto inizio il ponte aereo per il rimpatrio dei profughi in Kossovo, che si è conclusa il giorno 20 luglio 1999 con il rientro di 3.894 ospiti.

In particolare, il rimpatrio è avvenuto con l'utilizzo, di 18 autobus militari che hanno curato il trasporto da Comiso a Catania, di 28 velivoli militari e civili e di 149 Autobus che hanno curato il trasporto da Skopie (capitale della FYROM) alle varie località del Kossovo

Durante tutto il periodo di gestione 1.792 sono stati gli sfollati che, ottenuto il permesso di soggiorno, hanno lasciato il Centro, senza più farvi rientro, per recarsi in altre città italiane o per varcare clandestinamente la frontiera verso Stati quali la Francia, la Germania, e la Svizzera, per il ricongiungimento con parenti ivi residenti.

In data 31 agosto 1999, si è conclusa l'ospitalità presso la ex base militare di Comiso essendo stati gli sfollati ancora presenti trasferiti nei Centri di seconda accoglienza.

Gli sfollati, nel periodo di permanenza all'interno del Centro, hanno usufruito di vitto ed alloggio, nonché di tutta l'assistenza medica necessaria.

Per la effettuazione della assistenza in favore degli sfollati dal Kossovo ospitati nel Centro di Comiso, è stata molto importante l’opera del volontariato che si ritiene abbia pienamente corrisposto alle necessità degli stessi dimostrando la piena maturità che le associazioni impegnate nel sociale hanno raggiunto nel nostro Paese.

Fin dall'inizio è stato effettuato un censimento anagrafico degli sfollati, con la registrazione dei nominativi dei presenti nonché dei componenti di ogni nucleo familiare, delle date di nascita, delle professioni e della residenza all'interno del Centro.

Particolare cura è stata riservata ai minori (2312 in totale) rientranti nelle fasce di età sotto

indicate:

0-2 anni 383 9-10 anni 282

3-4 anni 291 11-12 anni 233

5-6 anni 296 13-14 anni 278

7-8 anni 288 15-16 anni 261

A tutti i piccoli ospiti è stata riservata una maggiore attenzione sia nella fase di accoglienza che in quella di permanenza al Centro attraverso specifiche attività didattiche e ludiche nonché progetti specifici.

Particolare rilevanza hanno avuto tutte le attività didattiche che, grazie all'impegno degli sfollati che avessero la qualifica di insegnanti presenti nel Centro, che hanno consentito l'apertura di una scuola materna e di una scuola elementare riproponente gli stessi standard formativi del loro Paese.

E' stata, inoltre, attivata una scuola di italiano per 500 adulti.

Parimenti è stata ottimizzata l'attività, ludica sportiva con progetti finalizzati allo svago dei bambini e ragazzi nonché quelli attinenti alle fasi ricreative quali gite culturali nei Comuni vicini e giornate balneari nella vicina Marina di Ragusa.

Grazie alle molteplici donazioni di Enti ed Amministrazioni è stato possibile attrezzare gli ambienti scolastici, fornire ai ragazzi materiale mirato per esigenze reali.

Molte scuole Organizzazioni ed Enti, sensibili al problema della solidarietà per gli sfollati, hanno proposto e realizzato nel Centro spettacoli musicali e teatrali utili per migliorare l'integrazione culturale e le condizioni di vita all'interno del Campo.

Per migliorare la qualità della vita degli sfollati si è favorito per un avviamento degli stessi all'attività lavorativa secondo le proprie professionalità.

In via generale, e dunque non solo in favore degli sfollati presenti a Comiso, il 12 maggio 1999 il Presidente del Consiglio dei Ministri, in conformità con quanto stabilito dall'articolo 20 del T.U. n. 286/98 (che ha sostituito il più volte menzionato articolo 18 della L. 40/98) ha emanato, come sopra ricordato, un decreto recante specifiche misure di protezione temporanea, ai fini umanitari, a favore delle persone provenienti dalle zone di guerra dell'area balcanica. In virtù di tale decreto gli sfollati entrati in Italia successivamente al 26 marzo 1999 hanno ottenuto dai Questori un permesso di soggiorno per motivi di protezione temporanea, valido, per il solo territorio nazionale, fino al 31 dicembre 1999 (anche per motivi di studio e di lavoro), e rinnovabile, dopo la prima scadenza, con cadenza semestrale, sino al permanere delle esigenze di protezione.

Il Governo ha concesso una proroga fino al 30.06.2000 di tali permessi di soggiorno, mediante un apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.

Il decreto in argomento contempla altresì il rimpatrio degli stranieri beneficiari delle misure di protezione, che dovrà comunque avvenire in condizioni che assicurino il pieno rispetto della dignità degli interessati e della loro sicurezza ed eventualmente avvalendosi della collaborazione di organizzazioni nazionali, internazionali o intergovernative specializzate.

Si evidenzia, infine, che risultano essere stati rilasciati, in virtù di tali disposizioni, oltre n. 18.000 permessi di soggiorno per protezione temporanea.

A favore dei profughi sono stati forniti soccorso ed assistenza nei centri e nelle strutture esistenti ed in quelle all’uopo attivate, tramite le prefetture.

Il numero massimo degli assistiti è stato raggiunto nel mese di maggio 1999 ed è stato pari a circa 8.000 unità oltre a quelle accolte nel centro di Comiso a cura del Dipartimento della Protezione Civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Sotto il profilo statistico, si rileva che l'immigrazione irregolare di cittadini jugoslavi di etnia albanese provenienti dalla regione del Kossovo ha fatto registrare fin dal 1997 e durante tutto il 1998 un progressivo incremento, assumendo dimensioni sempre più importanti, a partire dagli ultimi mesi del 1998, fino a raggiungere l'andamento massimo in contestualità con il fallimento dei tentativi di mediazione internazionali per comporre la crisi in atto e l'inizio (24 marzo 1999) delle operazioni belliche nell’area balcanica.

Il flusso dei kossovari ha seguito le normali rotte di transito dell’immigrazione illegale proveniente dai balcani privilegiando, in particolare, le coste pugliesi che, per vocazione geografica, costituiscono da tempo il principale ‘varco d'ingresso’ per l’Italia e, attraverso il nostro Paese, per gli altri Stati membri dell’Unione Europea.

Solo nell’ultimo periodo del conflitto, un consistente flusso di profughi kossovari è arrivato anche attraverso il confine italo-sloveno. Con l'inizio delle ostilità, infatti, detti stranieri, in alternativa al tradizionale itinerario adriatico (dall'Albania ed, in misura minore, dal Montenegro verso le coste pugliesi), hanno sperimentato nuovi corridoi di fuga, alcuni dei quali conducevano, come indicato, alla frontiera italo-slovena.

La reale portata del fenomeno è desumibile dall'analisi dei seguenti dati:

clandestini sbarcati durante il periodo 1. 1.99 - 23.3.99: n. 6.835 (di cui 3.318 kossovari);

clandestini sbarcati durante il periodo 24.3.99 - 10.6.99: n. 16.970 (di cui 14.199 kossovari);

clandestini sbarcati durante il periodo 11. 6.99 -30.9.99 n. 17.088 (di cui 5.260 kossovari)

Pertanto, il totale degli stranieri sbarcati dall'1.1.99 al 30.9.99 è pari a 40.893 (di cui 22.777 kossovari)

Le dimensioni e la gravità del fenomeno, con particolare riferimento all'attività delle organizzazioni criminali dedite al trasporto, via mare, dei clandestini, sono rese ancor più evidenti dal numero delle persone tratte in arresto per favoreggiamento dell'immigrazione illegale (257 - per lo più scafisti albanesi) e dei natanti sequestrati (106) nel quadro dei servizi di coordinata vigilanza effettuati dalle Forze di Polizia, dalla Marina Militare e dalla Capitaneria di Porto in applicazione dell'apposito Piano operativo adottato, a suo tempo, dal Prefetto di Bari.

Da rilevare, peraltro, l'ulteriore fenomeno, registrato a partire dalla seconda metà di maggio del 1999, relativo all'arrivo, nei porti di Bari e di Brindisi, di consistenti gruppi di profughi kossovari, muniti di documenti falsi, a bordo dei traghetti di linea che quotidianamente collegano i suddetti porti con quelli albanesi di Valona e Durazzo.

Ricorrendo a tale espediente, sono giunti in Puglia, nel periodo compreso tra il 21 maggio e il 5 agosto 1999, ben 8.562 kossovari. Dopo tale data, non sono stati registrati ulteriori arrivi di profughi a bordo di navi di linea.

Per quanto riguarda l'evoluzione del fenomeno in argomento dopo la cessazione del conflitto e l'ingresso, nel Kossovo, delle forze militari operanti sotto l'egida dell'O.N.U. vi è stato un sensibile, progressivo decremento registrato nel numero di profughi giunti sulle coste pugliesi, sia clandestinamente, ricorrendo agli ‘scafisti’ albanesi, sia a bordo dei traghetti di linea, utilizzando falsi documenti di viaggio.

A partire dalla fine di giugno del 1999 è stato riscontrato l'arrivo sulle coste pugliesi, per lo più a bordo di pescherecci ed altre navi in pessime condizioni d'uso (c.d. ‘carrette del mare’) provenienti da Bar e dai porti minori dei Montenegro, di numerosi cittadini jugoslavi di etnia Rom, che si dichiaravano in fuga dal Kossovo per timore di rappresaglie da parte delle milizie albanesi dell'Esercito di Liberazione Albanese (UCK) insediatesi in quella regione al termine dei conflitto.

A fronte di tale ulteriore esodo, quantificabile in 7448 jugoslavi di etnia Rom giunti in Puglia nel periodo compreso tra il 29 giugno e il 25 agosto 1999, e considerata la cessazione dello stato di belligeranza nell'area balcanica che ha comportato il venir meno delle condizioni poste alla base delle misure di protezione temporanea di cui al citato D.P.C.M. del 12 maggio 1999, si è provveduto, in data 5 agosto u.s., con circolare a firma del Ministro dell’Interno a disporre l’applicazione, in luogo delle procedure ‘speciali’ introdotte dal citato D.P.C.M., delle norme ordinarie del D.Lgs. 25 luglio 1998, n.286 in materia di ingresso e soggiorno dello straniero nel territorio dello Stato. Una parte degli sfollati così giunti sul territorio nazionale ha, pertanto, presentato domanda di asilo, ai sensi della vigente legislazione in materia.

La circolare indicata, peraltro, non ha comportato alcuna modifica delle situazioni giuridiche soggettive sorte, prima del 5 agosto 1999, in virtù del D.P.C.M. in argomento e tanto meno delle garanzie previste dalle vigenti disposizioni in materia di asilo.

Da ultimo si rileva che, complessivamente, dal 1 gennaio al 30 ottobre 1999 sono transitati nei centri di temporanea accoglienza (costituiti in base alla L.563/1995) o in quelli attivati per l’emergenza umanitaria del Kossovo, compresa la ex base militare di Comiso, oltre 34.000 stranieri provenienti dall’area balcanica.

 

 

La protezione sussidiaria

 

 

Il termine protezione sussidiaria ha carattere residuale rispetto alle grandi categorie concettuali dell’asilo, dello status di rifugiato e della protezione temporanea sopra delineate.

Con lo stesso si individuano, infatti, genericamente, le altre forme di protezione internazionale che uno straniero o un apolide può richiedere nel nostro Paese.

Attualmente la protezione sussidiaria, in Italia, si esprime nella concessione di un permesso di soggiorno per motivi umanitari individuali (articolo 5, comma 6 TU 286/98) e per motivi di protezione sociale (articolo 18, TU 286/98).

Il permesso di soggiorno per motivi umanitari individuali viene concesso, con atto discrezionale del Questore, in molteplici situazioni, in particolare quando lo straniero, pur non ottenendo il riconoscimento dello status di rifugiato (perché, ad esempio, lo stesso non è stato oggetto di una persecuzione individuale e, pertanto, non ricorrono i presupposti previsti dalla Convenzione di Ginevra per riconoscergli tale status), si troverebbe esposto, in caso di rimpatrio, a rischi concernenti beni fondamentali della sua persona, ad esempio per essere in atto, nel suo Paese, una guerra civile (risultano attualmente concessi, a tale titolo, 1679 permessi di soggiorno).

Anche tale forma di protezione internazionale troverà una migliore e più completa regolamentazione quando verrà approvato il disegno di legge in tema di asilo a cui si è fatto accenno nel precedete paragrafo, in quanto nello stesso si prevede un intervento diretto della Commissione Centrale per il Diritto di Asilo nella concessione della protezione in parola e nella sua periodica revisione, nonché i diritti che dalla stessa discendono.

Il permesso di soggiorno per protezione sociale rappresenta un’importante innovazione della legge 40/98.

Ai fini del rilascio di tali permessi di soggiorno è fondamentale anche il ruolo degli Enti locali ed il lavoro delle Associazioni che operano in contatto con le donne interessate e si fanno garanti per le stesse, nel rapporto con gli organi di polizia e giudiziari.

La scelta di aiutare in ogni modo possibile coloro che vogliono sfuggire a trafficanti criminali è fondamentale per ridurre il fenomeno della tratta delle donne al fine, principalmente, del loro impiego nella prostituzione.

L’articolo 18 del TU 286/98 è una norma veramente innovativa per due ragioni. La prima è che la sua finalità è prioritariamente la protezione sociale della persona che è stata vittima del traffico; la seconda è che l’articolo 18 sgancia la connessione del permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale dalla necessaria collaborazione nelle indagini.

Il presupposto per il rilascio del permesso di soggiorno consiste nell’accertamento di ‘ …situazioni di violenza o di grave sfruttamento, nei confronti di uno straniero ed emergano concreti pericoli per la sua incolumità per effetto dei tentativi di sottrarsi ai condizionamenti di un’associazione dedita ad uno dei predetti delitti o delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o del giudizio…’.

L’obiettivo della norma sul permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale è quello di riuscire a sottrarre al racket della criminalità organizzata il maggior numero possibile di donne e ragazze.

La scommessa è, pertanto, costituita dalla concessione del permesso di soggiorno a tutte coloro che vogliono affrancarsi da una condizione di vera e propria schiavitù.

L’approfondimento della tematica in esame è un impegno del Governo in quanto permangono alcuni ostacoli al pieno svolgimento dello spirito che ha animato il legislatore, in particolare quando la donna interessata, pur intendendo collaborare, è già stata destinataria di un provvedimento di espulsione.

Un segnale particolarmente significativo, della volontà del Governo di dare piena attuazione alla normativa in esame, può essere individuato nell’emanazione, in data 11.11.1998, del decreto del Ministro per le pari opportunità istitutivo della Commissione interministeriale che ha il compito di dare piena attuazione all’articolo 18 del TU 286/98 che dovrà, tra l’altro, valutare i progetti finalizzati alla realizzazione delle misure di protezione sociale delle persone beneficiarie del permesso di soggiorno in esame.

 

 

CAPITOLO IV

Dispositivi di vigilanza e controllo delle frontiere

 

L'applicazione dell'Accordo di Schengen e, soprattutto, la crescita esponenziale del fenomeno dell'immigrazione clandestina hanno determinato l'esigenza di procedere ad una verifica, particolarmente attenta, delle articolazioni periferiche della strutture delle forze di polizia destinate alla sicurezza della linea di confine.

Per quanto concerne il Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’interno, le novità di maggior rilievo hanno riguardato l'accostamento delle funzioni di polizia di frontiera e di polizia di immigrazione, processo peraltro già realizzato con l'istituzione del competente Servizio Immigrazione e Polizia di Frontiera nell'ambito della Direzione Centrale della Polizia Stradale, Ferroviaria, di Frontiera e Postale.

L’adeguamento strutturale riguarda, in particolare, le attività tradizionalmente affidate agli Uffici Stranieri delle Questure che si pongono a fianco di quelle di Polizia di Frontiera in modo tale che, anche attraverso un profilo formale, possa meglio affermarsi la sostanza delle novità rappresentate da una lettura sinergica dei due campi di attività rispetto al fenomeno dell'immigrazione.

Sul piano organizzativo si è poi ritenuto opportuno di superare la tradizionale ripartizione in polizia di frontiera terrestre, aerea e marittima, prevedendo semplicemente Uffici di Polizia di Frontiera con le rispettive articolazioni periferiche minori: sezioni, sottosezioni e porti; con la previsione di un incremento di quattro zone di frontiera, di sei nuovi presidi e, infine, di un potenziamento dell'organico rispetto all'attuale, di 1.400 unità, passando dalle 5.205 alle 6.600.

Per quanto riguarda l'adeguamento dei mezzi di supporto tecnico per i presidi di frontiera, anche in virtù dei possibili controlli che potranno essere effettuati dalla Commissione Frontiere Schengen, sulla base della decisione del 16.9.98 del Comitato Esecutivo Schengen, volta a verificare la corretta applicazione delle procedure previste dalla relativa Convenzione di attuazione, sono in corso di definizione specifiche progettualità tecniche.

Nell’ambito di tale programmazione si prevede, tra l’altro, l'acquisizione di adeguate infrastrutture e tecnologie avanzate, finalizzate al controllo delle frontiere esterne maggiormente esposte al fenomeno immigratorio, quali ad esempio le regioni meridionali del paese unitamente ad un collaterale potenziamento della dotazione di ogni Ufficio di frontiera di apparecchiature informatiche e di automezzi.

Sotto il profilo operativo, particolare impulso è stato dato all'attivazione dei piani di coordinata vigilanza soprattutto nelle due regioni maggiormente esposte ai flussi migratori, Puglia e Friuli Venezia Giulia. Il rafforzamento delle attività ha consentito di ottenere, nel primo semestre del 1999, un aumento consistente nell’individuazione degli stranieri irregolari nella zona di confine italo-sloveno rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente (2212 a fronte di 1156, pari ad un aumento del 53%).

Ulteriori risorse di uomini, da destinare al contrasto dell’immigrazione illegale, saranno a breve disponibili a seguito dell’applicazione dell'articolo 5 della legge n. 217/92, che prevede la possibilità di devolvere i controlli di sicurezza presso gli aeroporti che non comportano l'esercizio di possibile potestà, ad enti od organizzazioni private. La devoluzione di detti servizi, resa possibile dall’emanazione del regolamento di attuazione della legge (decreto ministeriale n. 85 del 29 gennaio 1999 in materia di affidamento in concessione dei servizi di sicurezza in ambito aeroportuale), consentirà il recupero del personale della Polizia di Stato in servizio presso gli Uffici di Frontiera ed impiegati attualmente nelle attività di controllo in via di affidamento ai privati.

 

I centri di permanenza temporanea e assistenza

 

I centri di permanenza temporanea e assistenza di cui all’art.14 del decreto legislativo n.286 del 1998 rappresentano lo strumento prescelto per garantire una più efficace esecuzione del provvedimento di restituzione al paese d’origine dello straniero entrato irregolarmente nel territorio nazionale.

Costituiscono, pertanto, per le loro finalità uno degli elementi preordinati ad assicurare l’effettivo funzionamento delle procedure espulsive che, in base al sistema delineato nella riforma del 1998, è preliminare al regolare esercizio di una politica dell’immigrazione basata sulla programmazione annuale delle quote dei flussi di ingressi nel territorio nazionale.

In armonia a quanto previsto da altri ordinamenti europei, con il nuovo istituto si sono volute destinare specifiche strutture alla permanenza, sotto il controllo dell’Autorità giudiziaria, degli stranieri destinatari di provvedimenti di espulsione o di respingimento; il trattenimento per un periodo temporaneo (massimo 30 giorni) viene utilizzato per superare gli ostacoli che si pongono all’effettiva esecuzione del provvedimento.

Per l’individuazione dei centri la norma richiede l’adozione di un decreto del Ministro dell’interno di concerto con i Ministri del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e per la solidarietà sociale.

 

La prima fase di istituzione — 1998

Le caratteristiche particolari dei centri, normativamente previste, richiedono che la struttura, pur finalizzata ad una permanenza obbligatoria dello straniero, sotto il controllo dell’autorità giudiziaria, garantisca condizioni di vivibilità interne non lesive della dignità umana e una completa libertà di corrispondenza anche telefonica verso l’esterno.

Tali particolarità hanno comportato una attenta e non facile ricerca, avviata contemporaneamente all’approvazione della legge, di aree o strutture idonee all’istituzione dei centri sulla scorta di una preliminare pianificazione di massima. La pianificazione è stata improntata ad un criterio quantitativo collegato alla consistenza e frequenza degli sbarchi di clandestini nelle aree più esposte al fenomeno (Sicilia, Puglia e Calabria).

Contemporaneamente alla realizzazione di detta pianificazione, è stato necessario attivare tempestivamente, sempre attraverso apposita decretazione, numerosi centri, anche a carattere provvisorio, per far fronte ai numerosi sbarchi di clandestini avvenuti, a pochi mesi dell’approvazione della legge, durante i mesi di giugno, luglio e agosto del 1998.

Superata l’emergenza estiva, che ha coinvolto le sole regioni meridionali, con l’intento di riprendere l’azione di programmazione e pianificazione a livello nazionale è stato istituito presso il Ministero dell’interno, nel mese di ottobre del 1998, un apposito gruppo tecnico che, oltre a definire le caratteristiche di base da rispettare nell’allestimento di dette strutture, ha provveduto ad indicare alcune priorità da tenere presenti nella dislocazione territoriale dei nuovi centri.

La programmazione elaborata si articola in due fasi: la prima destinata alla realizzazione di una rete di strutture basata su centri da istituire in alcune grandi città, nelle aree di confine e in quelle maggiormente esposte al fenomeno dell’immigrazione illegale. Sono previsti, inoltre, alcuni centri specificamente dedicati al transito e allo smistamento degli stranieri interessati in altri centri. Ciò in attesa che si realizzi, mediante la seconda fase, la definizione, a regime, di una compiuta rete nazionale attraverso l’attivazione di almeno un centro per ogni regione.

Alla data del 31 dicembre 1998, quindi a soli 8 mesi dal momento in cui si sono rese tecnicamente disponibili le specifiche risorse finanziarie che hanno concretamente consentito la realizzazione delle strutture, risultavano attivati n.21 centri di cui n.11 operativi o di immediata attivazione, n.2 in adeguamento strutturale (Lampedusa e Agrigento) e n.8, attivati durante l’emergenza estiva di quell’anno, non più operativi in quanto ritenuti non rispondenti ai nuovi criteri di idoneità. Alcuni centri (in particolare quelli di Bari-Palese, Lecce-Melendugno, Catanzaro-Lametia Terme, Caltanissetta-Pian del Lago, Palermo-Termini Imerese) venivano, a quella data, utilizzati esclusivamente a fini umanitari anche per l’accoglienza di stranieri in attesa di formalizzazione della loro richiesta di asilo, ai sensi della legge 29 dicembre 1995, n.563 ( legge "Puglia").

 

I centri di permanenza temporanea e assistenza 1999

Nel corso del 1999 si è continuato nel progressivo completamento della programmata pianificazione di dette strutture. Sono divenuti infatti operativi i centri di Milano, da gennaio; quello di Otranto, da febbraio; quello di Torino, da aprile; dal mese di settembre è stato attivato, inoltre, il centro di Roma-Ponte Galeria (2° lotto) mentre a breve è prevista l’apertura del centro di Brindisi-Restinco, e la riapertura di quelli di Agrigento e di Caltanissetta le cui ristrutturazioni sono in avanzato stato di realizzazione. Sono state inoltre effettuate e già completate le ristrutturazioni dei centri di Ragusa, e Lampedusa.

Sempre nel 1999 sono stati predisposti i decreti istitutivi dei centri di Bologna e Trapani 2, che dovrebbero poter entrare in funzione entro il primo semestre del 2000 unitamente a quelli di Bari-Palese 2 e di Livorno.

Pertanto i centri decretati dall’approvazione della legge n. 40 del 1998 risultano, ad oggi, complessivamente 31 di cui:

a) 13 operativi e 2 in ristrutturazione: i centri operativi sono collocati a Torino, Milano, Roma, Brindisi — Francavilla Fontana, Lecce "Badessa", Lecce —Melendugno, Catania, Trapani, Palermo — Termini Imerese, Ragusa, Catanzaro- Lametia Terme. A questi sono da aggiungere due centri dedicati alle operazioni d’identificazione e smistamento situati a Lampedusa (Ag) e Otranto (Le). La disponibilità complessiva di posti è di circa 1.500, che diventeranno di oltre 1.700 una volta completati i lavori dei due centri in ristrutturazione (Agrigento e Caltanissetta). A tale ricettività va aggiunta quella di due centri (Bari - Palese e Livorno-Rosignano Marittimo) che, come già ricordato, sono stati utilizzati per l’accoglienza umanitaria connessa alla recente emergenza del Kosovo o per gli interventi assistenziali a carattere temporaneo per i richiedenti asilo;

b) 3 sono in via di realizzazione: Brindisi "Restinco", Bologna e Trapani 2;

c) 11 sono stati disattivati o la loro realizzazione sospesa a seguito di ulteriori approfondimenti che ne hanno evidenziato l’inidonetà.

d) 2 strutture sono in corso di progettazione e destinate a sostituire gli attuali centri; Bari-Palese 2 e Milano 2;

Entro il prossimo anno si ha in programma di rendere disponibili per il trattenimento degli espellendi oltre 2.000 posti ai quali se ne dovrebbero aggiungere altri qualora si concludano positivamente ulteriori rilevanti istruttorie, attualmente in corso, relative alla eventuale istituzione dei centri di Gorizia, Brescia, Crotone e Siracusa.

Sia nella fase di istituzione che in quella di gestione dei centri, costante è stata la preoccupazione di assicurare l’ottimale rispetto delle prescrizioni legislative sul trattamento degli stranieri in attesa di espulsione.

Come già evidenziato, la novità dell’istituto per l’ordinamento italiano, attuato almeno nella prima fase sulla base di fattori emergenziali avvenuti nell’estate del 1998, hanno indotto alla ricerca di un modello strutturale e di gestione da verificare e perfezionare in base all’esperienza acquisita. Modello che opportunamente valutato potrà trasferirsi alle altre strutture in via di realizzazione al fine di garantire l’omogeneità degli interventi sul territorio nazionale.

Il profilo strutturale è stato, nella prima fase di realizzazione dei centri, condizionato dall’emergenza di reperire, nell’immediato, immobili, preferibilmente demaniali, che risultassero disponibili nelle aree interessate.

Ciò ha comportato delle scelte, imposte da fattori contingenti, che hanno portato alla realizzazione di centri caratterizzati dalla temporaneità della loro operatività.

In particolare, l’emergenza del 1998 ha indotto, a fronte dell’impossibilità di realizzare in breve tempo l’opera progettata e realizzata per la specifica finalità, a privilegiare minimi adeguamenti strutturali su immobili comunque reperiti oppure alla realizzazione del centro su aree disponibili utilizzando moduli prefabbricati o containers.

Pur con le caratteristiche evidenziate, elemento prioritario e essenziale nella definizione degli "standars" strutturali è stato quello di assicurare, nel breve periodo di trattenimento normativamente stabilito, condizioni di permanenza non lesive della dignità umana e, comunque, sempre compatibili con le necessarie misure di sicurezza poste a tutela anche degli stessi stranieri. Ciò anche al fine di evitare l’insorgere, favorito dalle condizioni di permanenza obbligata, di possibili situazioni conflittuali originate dall’appartenenza degli ospiti ad etnie di diversa cultura, religione e tradizioni.

Superata la prima fase, che ha consentito comunque di acquisire rilevanti esperienze sui modelli strutturali, si è avviata la realizzazione delle strutture definitive, attivando, in particolare, Roma - Ponte Galeria 2° lotto e progettando, sulla base degli elementi acquisiti, i centri di Milano 2° lotto, Bologna e Trapani 2, che diverranno operativi nel corso del 2000.

Per quanto concerne la gestioni dei centri, l’assistenza degli stranieri - in ossequio alle disposizioni normative - è stata affidata, sulla base di specifiche convenzioni, ad enti o organizzazioni con comprovata esperienza nel settore solidaristico e assistenziale.

Si è ritenuto che quel delicato e complesso rapporto umano e relazionale, che si instaura all’interno del centro, con l’ospite straniero soggetto ad espulsione debba essere curato da personale esperto nel campo delle relazioni sociali e con specifiche esperienze nell’attività di assistenza dei ceti più deboli.

La comprensione dei rilevanti riflessi psicologici collegati ad un ritorno forzoso nel Paese di origine rappresenta un elemento prioritario da tenere in considerazione non solo sotto il prevalente profilo umanitario ma anche per garantire la regolare convivenza all’interno del centro.

In particolare, in sette dei centri attualmente operativi, la gestione è curata dalla Croce Rossa Italiana. Nei tre operativi in provincia di Lecce, ad uno provvede un Ente religioso, con una formazione specifica nell’accoglienza degli immigrati come l’Arcidiocesi di Lecce; all’altro, la Provincia, tramite una associazione di volontariato, anch’essa specializzata nel settore. In quelli di Otranto e Brindisi la gestione è curata dall’Ente comunale; mentre nel centro di Lametia Terme è stata affidata ad una cooperativa di solidarietà sociale.

A Trapani, dopo una prima esperienza con l’Ente comunale, attualmente alla gestione provvede direttamente la Prefettura.

Il tentativo che si vuole perseguire nel settore, in attuazione di quei profili inscindibili di legalità e solidarietà cui è improntata la legge sull’immigrazione, è di evitare di seguire la pur facile assimilazione dei centri di permanenza temporanea e assistenza a strutture detentive, accentuando, invece, le caratteriste umanitarie e sociali. Il percorso intrapreso richiede la più ampia e aperta collaborazione di tutte le forze sociali comunque interessate all’immigrazione. Il coinvolgimento richiesto deve, peraltro, improntarsi alla consapevolezza che solo il contenimento dei flussi irregolari, di cui i centri rappresentano uno degli elementi fondamentali, può consentire la regolare gestione del fenomeno immigratorio, assicurando, nel contempo, le condizioni per l’ottimale integrazione delle forme di migrazione regolari. Anche in tal modo si potranno dissipare quei dubbi e quei timori che a volte alcuni settori dell’opinione pubblica manifestano, dovuti spesso ad una non sufficiente informazione sulla normativa in materia.

 

Utilizzazione dei centri di permanenza temporanea e assistenza

Nel corso del 1998, a decorrere dal luglio, nei centri sono stati ospitati n.5007 stranieri con una permanenza media di circa 20 giorni. Di questi:

n.2.858 pari al 57,08% sono stati espulsi o respinti;

n.1.029 pari al 20,55% sono stati dimessi al termine dei 30 giorni previsti quale periodo massimo di trattenimento nei centri;

n.641 pari al 12,80 % hanno chiesto asilo;

n.230 pari al 4,59% si sono allontanati arbitrariamente dai centri eludendo la vigilanza;

n.194 pari al 3,87% sono stati tratti in arresto per motivi diversi;

n.55 pari all’1,10% sono stati dimessi per mancata convalida dei provvedimenti di trattenimento da parte delle competenti Autorità Giudiziaria.

Nel corso del 1999 e sino al 20 settembre, nei centri attivati sono stati ospitati n.5.864 stranieri di cui:

n.2.559 pari al 43,64% sono stati espulsi o respinti;

n.2.370 pari al 40,42% sono stati dimessi al termine dei 30 giorni previsti quale periodo massimo di trattenimento nei centri;

n.219 pari al 3,73 sono stati dimessi per motivi vari (ad esempio cure mediche, accertato stato di gravidanza, ecc.);

n.257 pari al 4,38 % hanno chiesto asilo;

n.275 pari al 4,69% si sono allontanati arbitrariamente dai centri eludendo la vigilanza;

n.31 pari al 0,53% sono stati tratti in arresto per motivi diversi;

 

n.153 pari al 2,61% sono stati dimessi per mancata convalida dei provvedimenti di trattenimento da parte delle competenti Autorità Giudiziaria.

Dai dati emerge che nel primo periodo di attivazione (luglio 1998 - settembre 1999) del sistema voluto dalla legge n.40 del 1998 le espulsioni eseguite tramite la permanenza nei centri sono state superiori al 50 per cento dei transitati nelle strutture di permanenza.

 

 

Interventi assistenziali a favore di stranieri irregolari ai sensi della legge 29 dicembre 1995, n.563.

 

Gli interventi straordinari a carattere assistenziale a favore di stranieri irregolari in condizione di non trattenimento e l’eventuale istituzione di centri per la loro accoglienza trovano il loro supporto normativo nel decreto legge n.451 del 1995, convertito nella legge n.563/1995 (cosiddetta legge "Puglia") e, più in particolare nel successivo regolamento di attuazione n.233 del 1996 che, oltre a disporre l’istituzione di tre centri in Puglia (Brindisi, Lecce e Otranto ) ha previsto anche la possibilità che i Prefetti possano attivare, su tutto il territorio nazionale, strutture provvisorie o predisporre, comunque, interventi in favore di stranieri irregolari bisognosi di assistenza, limitatamente al tempo necessario alla loro identificazione, finalizzata o alla espulsione o, eventualmente, alla regolarizzazione (nel caso, ad esempio, dei richiedenti asilo).

Le ipotesi considerate si riferiscono, quindi, a quegli episodi in cui, a fronte di un considerevole numero di stranieri sbarcati sulle coste o intercettati sul territorio, si determini la necessità di provvedere ad un approfondimento delle singole situazioni personali prima dell’adozione del provvedimento di espulsione o di respingimento, presupposto necessario per il trattenimento nei centri di cui all’art.14 del testo unico.

Sussiste in tutti questi casi l’esigenza di provvedere, in via prioritaria, ad assicurare l’assistenza ed il soccorso degli stranieri irregolari in "attesa d’identificazione" (così l’art.2 del d.l.n.451 convertito con la legge n .563/1995) nel periodo in cui tali attività non possono ancora effettuarsi, in assenza del formale provvedimento espulsivo, nello specifico centro di permanenza ovvero perché vi sarà la successiva regolarizzazione della loro posizione come richiedenti asilo. Tali situazioni hanno un carattere temporale e di emergenza in quanto, secondo le rispettive fattispecie, una volta adottata l’espulsione o il respingimento lo straniero viene successivamente ospitato nel più vicino centro di cui trattasi oppure si provvede all’erogazione dello specifico contributo previsto per i richiedenti asilo dall’art.1 della legge n.39/1990 (lire 34.000 per 45 giorni). In tale ultimo caso, il richiedente asilo, in quanto straniero regolarmente soggiornante può usufruire, alternativamente al contributo, alle misure di accoglienza disposte dagli Enti locali ai sensi dell’art.40 del decreto legislativo n.286 del 1998.

Le misure assistenziali di cui alla citata legge n.563/1995 assumono, pertanto, un ruolo essenziale nel settore dell’assistenza agli stranieri entrati irregolarmente nel territorio nazionale, in quanto unici strumenti, normativamente previsti, per attivare l’accoglienza umanitaria nel periodo transitorio necessario alle operazioni d’identificazione e alle conseguenti determinazioni relative all’eventuale provvedimento di allontanamento o di rilascio del permesso di soggiorno per richiesta di asilo.

Facendo ricorso alla normativa della c.d. legge "Puglia" si è potuto, pertanto, di far fronte alle esigenze umanitarie connesse ai consistenti sbarchi d’irregolari avvenuti durante l’estate del 1998, relativi soprattutto a cittadini di etnia curda (di nazionalità turca o irachena) nonché a quelli dell’autunno dello stesso anno che ha visto l’arrivo dei primi cittadini di etnia kossovara. In entrambi i casi gli interventi sono stati effettuati nelle more della formalizzazione dell’applicazione delle procedure in materia di asilo. Gli interventi attivati in base alla stessa legge hanno inoltre consentito l’assistenza dei profughi provenienti dal Kossovo nelle more dell’adozione del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 12 maggio 1999.

 

Restituzione degli stranieri irregolari ai Paesi di provenienza

 

Alla data del 31 ottobre del 1999 risultano rimpatriati, in esecuzione di provvedimenti di allontanamento dal territorio nazionale, complessivamente n.60.724 stranieri. In tale numero sono compresi i respinti alla frontiera (31.079), i respinti del questore ai sensi dell’art.10, comma 2, del testo unico (9.878), le espulsioni effettivamente eseguite (9.168), le espulsioni con provvedimento dell’autorità giudiziaria (463) e gli stranieri irregolari, respinti o espulsi, restituiti ai Paesi di provenienza in base agli accordi di riammissione (10.136).

Tale ultimo dato numerico è stato considerato separatamente, pur non avendo una propria autonomia provvedimentale richiedendo comunque come presupposto l’adozione dell’espulsione o del respingimento, al fine di valutare l’apporto degli accordi di riammissione nell’agevolazione dell’esecuzione dei provvedimenti di rimpatrio.

Nello stesso periodo le espulsioni solo intimate sono state 31.198.

 

Ripartizione percentuale allontanamenti 1999

 

 

 

 

 

Nel corso del 1998 gli allontanamenti eseguiti sono stati complessivamente 54.135. Tale numero, riferito ad un anno di transizione da una disciplina all’altra, comprende gli allontanamenti eseguiti con l’applicazione della precedente disciplina prevista dalla legge n.39/1990 (legge Martelli) e quelli derivati dai nuovi procedimenti introdotti dalla legge n.40/1998.

 

Nel 1998 le espulsioni intimate sono state 44.121.

 

 

Dalla comparazione numerica tra i due periodi (peraltro per il 1999 solo 10 mesi), si evidenzia un "trend" di crescita di poco superiore al 12 per cento.

La tendenza in aumento si andava delineando già nel corso del 1998 con il passaggio dall’una all’altra disciplina.

Infatti, alla data di entrata in vigore della legge n.40 (26 marzo 1998) le espulsioni intimate sono state 11.861 e 1.567 quelle eseguite. Alla stessa data i respinti alla frontiera risultano essere 7.798. Complessivamente, pertanto, a quella data sono stati eseguiti 9.365 provvedimenti di allontanamento di stranieri irregolari.

Dalla data del 27 marzo al 31 dicembre dello stesso anno, mentre le espulsioni intimate risultano in 32.260 e quelle eseguite 6.979, con un numero di respinti alla frontiera pari a 21.795. A tali dati vanno aggiunti quelli derivanti dal nuovo istituto del respingimento da parte questore pari a 15.564. Il totale complessivo dei provvedimenti di allontanamento effettivamente eseguiti con la nuova disciplina ammonta, pertanto, è pari a 44.770.

 

 

 

I dati indicati, pur relativi a diversi periodi temporali (rispettivamente meno di 3 mesi e più di 9), rilevano, con la applicazione della nuova normativa, una progressiva crescita nell’esecuzione dei provvedimenti di rimpatrio.

Ancora più evidente risulta il trend di crescita se il confronto viene effettuato tra il 1999 e il 1997, periodo quest’ultimo in cui fu interamente applicata la disciplina della legge "Martelli".

Nel corso di quell’anno, infatti, gli allontanamenti, comprensivi dei respinti alla frontiera e delle espulsioni eseguite, risultano pari a 49.079 a fronte dei n.60.724 del 1999 (aumento pari a oltre il 23 %).

 

 

 

Dalle tabelle riportate in appendice, cui si rinvia per una più attenta valutazione, da comparare anche con i dati relativi all’esecuzione dei rimpatri dei trattenuti presso i centri di permanenza temporanea e assistenza, evidenziano che gli strumenti di contrasto dell’immigrazione irregolare, introdotti dalla nuova normativa, grazie anche al costante impegno degli operatori delle Forze di polizia, hanno consentito di migliorare l’efficacia dell’esecuzione dei rimpatri forzosi così come auspicato al momento della loro formalizzazione legislativa.

La progressiva puntualizzazione, attualmente in corso, dei meccanismi e delle procedure di allontanamento unitamente all’istituzione di nuovi centri di permanenza temporanea e assistenza dovrebbe consentire un ulteriore miglioramento del rapporto tra espulsioni intimate e quelle effettivamente eseguite.

Ulteriori margini di ottimizzazione dei risultati potranno derivare dalla conclusione di nuovi accordi di riammissione con i Paesi di origine dei flussi dell’immigrazione clandestina.

 

 

APPENDICE

INDICE FONTI NORMATIVE ED AMMINISTRATIVE

 

L’attuale assetto normativo in materia di immigrazione trae origine, come noto, dall’emanazione della Legge 6 marzo 1998, n.40, trasfusa successivamente nel Testo Unico delle disposizioni in materia di immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, approvato con Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n.286. Si riportano di seguito in ordine cronologico gli atti normativi ed amministrativi adottati successivamente.

 

6.7.1998 Ai sensi dell’articolo 46 del Testo Unico, con Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, viene costituita, presso il Dipartimento per gli Affari Sociali, la Commissione per le politiche di integrazione.

L’organo ha il compito di predisporre per il Governo il rapporto annuale sullo stato di attuazione delle politiche per l’integrazione degli immigrati, di formulare proposte di interventi di adeguamento di tali politiche, nonché di fornire risposta a quesiti posti dal Governo in ordine alle politiche per l’immigrazione, interculturali, e gli interventi contro il razzismo.

 

6.8.1998 Viene adottata la Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri, pubblicata sulla G.U. dell’8 agosto 1998, n. 184, concernente "disposizioni per l’adeguamento di alcune tipologie di permessi di soggiorno rilasciati per motivi umanitari alla normativa introdotta con la legge 6 marzo 1998, n.40, recante la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero".

 

28.9.1998 Con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, pubblicato sulla G.U. 19 novembre 1998, n.271, sottoscritto per delega dal Ministro per gli Affari Sociali, di concerto con il Ministro dell’Interno, è stato attuato il riparto tra lo Stato e le Regioni del Fondo nazionale per le politiche migratorie, relativamente all’anticipazione dell’80% dello stanziamento del Fondo stesso per l’anno 1998.

 

28.9.1998 Con decreto del Ministro per la Solidarietà Sociale è stata integrata la composizione della Commissione per le politiche di integrazione istituita con D.P.C.M. 6 luglio 1998.

 

16.10.1998 Viene adottato il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri pubblicato sulla G.U. del 24 ottobre 1998, n.249, di integrazione del Decreto interministeriale 24.12.1997.

Ai sensi del documento programmatico la programmazione dei flussi migratori deve tenere conto del fabbisogno stimato dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale per un triennio, a partire dall’anno 1998. Si è reso, così, necessario integrare il decreto interministeriale, datato 24 dicembre 1997, che già regolava, per il 1998, le quote di ingresso dei cittadini stranieri per motivi di lavoro.

Il provvedimento integrativo in esame ha disciplinato i requisiti richiesti, le modalità ed i termini per la presentazione delle domande, fissando quale quota massima aggiuntiva a quella già stabilita con il decreto del 1997, quella di 38.000 persone e raggiungendo, così, per l’anno 1998, la previsione totale di 58.000 unità.

 

19.10.1998 Con Decreto Legislativo n.380, pubblicato sulla G.U. del 3 novembre 1998, n.257, sono state introdotte disposizioni correttive dell’articolo 11 del Decreto Legislativo n. 286/98, tendenti a rafforzare le politiche di contenimento dell’immigrazione clandestina, attuando, attraverso una programmazione pluriennale di interventi straordinari per l’acquisizione di impianti e mezzi tecnico-logistici, una più stretta collaborazione con i Paesi d’origine;

 

26.10.1998 Ai sensi dell’articolo 42 del Testo Unico, con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, è stata istituita, presso il Dipartimento per gli Affari Sociali della Presidenza del Consiglio dei Ministri, la Consulta per i problemi degli stranieri immigrati e delle loro famiglie. La Consulta, presieduta dallo stesso Ministro per la Solidarietà Sociale, ha il compito di acquisire le osservazioni degli enti e delle associazioni nazionali maggiormente attivi nell’assistenza e nell’integrazione degli immigrati, nonché di curare il raccordo con i Consigli territoriali e l’esame delle problematiche relative alla condizione degli stranieri immigrati.

 

30.11.1998 Con Decreto del Ministro per la Solidarietà Sociale, di concerto con il Ministro del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica, sono stati stabiliti i rimborsi e i compensi spettanti ai componenti della Commissione per le politiche di integrazione istituita con D.P.C.M. 6 luglio 1998.

 

10.12.1998 Viene insediato, presso il CNEL, l’Organismo Nazionale di Coordinamento per le politiche di integrazione sociale degli stranieri.

L’ambito di intervento dell’organismo, previsto dall’art.42, comma 3 del T.U., è volto alla implementazione delle politiche locali di integrazione, cui si è cercato di dare attuazione attraverso una sua articolazione in gruppi di lavoro.

 

17.12.1998 Con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, pubblicato sulla G.U. 18 marzo 1999, n.64, viene effettuato il riparto del residuo del 20% dello stanziamento del Fondo nazionale per le politiche migratorie per l’anno 1998.

 

29.1.1999 Viene approvato dal Consiglio dei Ministri, in via preliminare, il testo del Regolamento di attuazione del T.U. delle leggi sull’immigrazione adottato con D.L.vo n.286/1998.

 

1.2.1999 Viene adottato il Decreto interministeriale, pubblicato sulla G.U. del 17 febbraio 1999, n.39, recante nuove disposizioni in materia di ingresso e di soggiorno dei cittadini somali in Italia.

Con il provvedimento in esame vengono adeguate le disposizioni sul rilascio del permesso temporaneo di soggiorno per motivi di lavoro o di studio ai cittadini somali, privi del riconoscimento dello status di rifugiato, alle disposizioni della legge 6 marzo 1998, n. 40 nonché alla normativa comunitaria.

 

13.4.1999 Con il Decreto Legislativo n. 113, pubblicato sulla G.U. del 27 aprile 1999, n.97, si introducono disposizioni correttive al Testo Unico sulla disciplina dell’immigrazione e sulla condizione dello straniero, concernenti principalmente:

- la disciplina del sequestro e della confisca dei beni utilizzati nei reati connessi all’immigrazione clandestina;

- il procedimento riguardante il ricorso avverso il decreto di espulsione;

- i compiti del Comitato dei minori di cui all’articolo 33 del Decreto Legislativo n. 286/98;

- la composizione della Consulta per i problemi degli stranieri immigrati, prevista dall’articolo 42 dello stesso Decreto Legislativo.

E’ altresì disciplinata la regolarizzazione degli stranieri presenti in Italia anteriormente alla data di entrata in vigore della legge n. 40/98, che abbiano presentato, nei termini indicati dal Decreto di programmazione dei flussi per il 1998, la relativa domanda e siano in possesso di tutti i requisiti richiesti, aspetto sul quale si rinvia, per approfondimenti, al capitolo 4.

 

21.4.1999 il Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica delibera l’assegnazione alle Regioni di una quota del Fondo sanitario nazionale 1998, da destinare all’assistenza sanitaria agli stranieri presenti nel territorio nazionale.

 

12.5.1999 Viene adottato il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, pubblicato sulla G.U. del 26 maggio 1999, n.121, recante misure di protezione temporanea a favore delle persone giunte in Italia a seguito del conflitto in atto nelle aree delle regioni balcaniche.

Il decreto, adottato ai sensi dell’articolo 20 del Testo Unico, disciplina, in connessione con la grave situazione di emergenza determinatasi a seguito del massiccio esodo delle popolazioni provenienti dalle zone di guerra dell’area balcanica, le misure di protezione temporanea, ai fini umanitari, necessarie all’accoglimento e all’assistenza, sul territorio italiano, delle persone direttamente coinvolte dagli eventi bellici.

 

13.7.1999 La Corte dei Conti formula alcuni rilevi in merito allo schema di Regolamento di attuazione del T.U. delle leggi sull’immigrazione adottato con D.L.vo n.286/1998.

 

2.8.1999 Viene emanato il Decreto Legislativo n.358 in materia di diritto di soggiorno dei cittadini comunitari.

Il decreto, recante:" "Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 26 novembre 1992, n.470, in attuazione delle direttive 90/364/CEE e 93/96/CEE, concernenti il soggiorno di cittadini comunitari", è stato pubblicato sulla G.U. del 19 ottobre 1999, n.246.

La disciplina comunitaria dei soggetti che hanno cessato la propria attività lavorativa e degli studenti, con la quale venivano soppresse le restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei lavoratori degli Stati membri e delle loro famiglie, ha avuto una prima attuazione con il D.P.R. n.1656/1965.

Con successivo Decreto legislativo n.470/1992, il diritto di soggiorno è stato generalizzato anche agli studenti e ai familiari, tuttavia, le disposizioni relative sono state censurate con parere motivato della Commissione Europea .

Le nuove disposizioni, introdotte dal Decreto Legislativo n.358/1999 riguardano la dimostrazione del possesso di adeguate risorse economico-finanziarie e la documentazione da produrre all’Autorità competente al fine del rilascio del permesso di soggiorno, nonché le modalità per la dimostrazione dei requisiti di reddito minimi richiesti ed i mezzi per comprovare i legami di parentela e di presa a carico dei destinatari delle norme.

L’adozione del provvedimento "de quo" va inquadrata nell’ambito delle disposizioni di cui all’art. 45 della Legge n.40/1998, ove è prevista una delega legislativa al Governo per l’attuazione delle norme comunitarie in materia di ingresso, soggiorno e allontanamento dei cittadini degli Stati membri dell’Unione Europea.

 

4.8.1999 Il Consiglio dei Ministri delibera un nuovo schema di Regolamento, sulla base dei rilievi formulati dalla Corte dei Conti.

 

4.8.1999 Con Direttiva, pubblicata sulla G.U. del 6 settembre 1999, n.209, concernente la programmazione dei flussi di ingresso per lavoro, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha confermato, per l’anno 1999, le quote massime, già definite per l’anno 1998, in relazione agli stranieri non comunitari da ammettere nel territorio dello Stato per motivi di lavoro.

 

6.8.1999 Con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, datato 6 agosto 1999 e pubblicato slla G.U. n.266 del 12 novembre 1999, è stata determinata la ripartizione del Fondo per il 1999.

 

26.10.1999 Viene registrato dalla Corte dei Conti il testo del Regolamento di attuazione del T.U. delle leggi sull’immigrazione adottato con D.L.vo n.286/1998.

 

3.11.1999 viene pubblicato sulla G.U., n.258, supplemento ordinario, il Regolamento di attuazione, adottato in ottemperanza alle disposizioni contenute nell’articolo 1, comma 6 del Testo Unico.

Il Regolamento introduce una puntuale regolamentazione di tutti gli svariati aspetti della disciplina, riguardanti la presenza dello straniero nel territorio dello Stato, e particolarmente:

- le modalità di ingresso e soggiorno, di espulsione e trattenimento;

- le misure di carattere umanitario;

- il settore del lavoro;

- la materia sanitaria, dell’istruzione e delle professioni;

- l’integrazione sociale.

 

9.12.1999 con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, n.535 pubblicato sulla G.U. n. 19 del 25.1.2000, viene adottato il "Regolamento concernente i compiti del Comitato dei minori stranieri a norma dell’art. 33, commi 2 e 2-bis, del decreto legislativo n. 286/98". Con il Regolamento, vengono definiti:

- i compiti del Comitato finalizzati alla vigilanza sulle modalità di soggiorno dei minori stranieri temporaneamente ammessi sul territorio dello Stato ed al coordinamento delle attività delle Amministrazioni interessate;

- i criteri di costituzione ed organizzazione dell’organo;

- i relativi strumenti operativi;

- le procedure di accoglienza dei minori presenti non accompagnati e quelle di ingresso e soggiorno dei minori accolti.

 

18.12.1999 con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, datato 18.12.1999, pubblicato sulla G.U. n.13 del 18.1.2000 viene prevista ai sensi dell’art.57 del D.P.R. 31 agosto 1999, n.394 la istituzione in ciascuna Provincia di un Consiglio territoriale per l’immigrazione.

 

 

 

Iniziative governative "in itinere"

L’esigenza di rendere più incisiva l’azione di contrasto delle fenomenologie connesse all’immigrazione clandestina, ha indotto il Governo a ritenere opportuna l’introduzione, nel contesto dell’attuale quadro normativo, di norme di natura penale volte alla repressione di talune condotte in qualche modo collegate alla strumentalizzazione della clandestinità.

In particolare, va fatta menzione dell’A.C 5506, recante: "Modifiche al Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286, concernenti disposizioni sanzionatorie contro le immigrazioni clandestine in transito".

Il disegno di legge è stato presentato con l’intento di sanare un vuoto legislativo originato dall’articolo 12 del T.U. che, nel prevedere sanzioni penali a carico di coloro che compiono attività dirette a favorire l’ingresso dello straniero nel territorio dello Stato, non contempla la perseguibilità penale di coloro che favoriscano l’ingresso in altri Stati di stranieri illegalmente presenti in Italia.

L’atto parlamentare in argomento, presentato dal Ministro dell’Interno, intende colmare tale lacuna introducendo specifiche disposizioni volte a perseguire penalmente anche coloro che favoriscono, a scopo di lucro, il transito verso Stati esteri di stranieri illegalmente presenti in Italia.

Va fatta menzione, altresì, dell’A.C. 5839 recante: "Misure contro il traffico di persone".

Il disegno di legge, proposto dal Presidente del Consiglio dei Ministri e dai Ministri per le Pari Opportunità e della Giustizia, é volto a sanzionare penalmente coloro che costringono o inducono una persona ad entrare nel territorio dello Stato o a soggiornarvi o ad uscirne o a trasferirsi all’interno dello stesso per scopi illeciti connessi allo sfruttamento e ad altre forme di schiavitù. L’obiettivo principale risulta essere quello di colpire il traffico in qualunque suo segmento, particolarmente quando si tratta del fenomeno complesso del transito, del quale l’ingresso, il soggiorno e lo spostamento all’interno del territorio nazionale sono solo una tappa.

Nell’ambito delle iniziative governative nello specifico settore, va fatta menzione, infine, alla direttiva di prossima pubblicazione, che, ai sensi dell’art. 4, comma 3 del T.U. sull’immigrazione, stabilisce i mezzi di sussistenza che lo straniero deve possedere per soggiornare in Italia.