La nuova legge sull’immigrazione e la fase dell’operatività

di mons. Guerino Di Tora, direttore Caritas diocesana di Roma

Roma, 29 febbraio 2000 — Anticipazioni del Dossier Statistico Immigrazione

L’odierno incontro è per noi di grande rilevanza perché si colloca nel periodo del Grande Giubileo dell’anno 2000, perché costituisce il decimo appuntamento annuale del "Dossier Statistico sull’Immigrazione" e perché richiede di confrontarsi con la fase di piena operatività della nuova legge sull’immigrazione. In questo mio intervento voglio parlare di quattro punti: dell’importanza dell’immigrazione come fenomeno sociale, delle buone ragioni delle politiche di integrazione , della necessità di una programmazione adeguata dei flussi e del pericolo di lasciare i diritti degli immigrati confinati a livello formale.

Il primo punto è dedicato all’importanza dell’immigrazione come fenomeno sociale, fenomeno che non può essere trascurato a livello legislativo.

Come comunità ecclesiale, in completa consonanza con il magistero pontificio, consideriamo l’immigrazione un segno dei tempi, e perciò stesso di fondamentale rilevanza nella nostra attività pastorale. Occuparci degli immigrati non è qualcosa di opzionale ma costituisce parte integrante della missione della Chiesa, che non può considerarsi avulsa dai problemi della società. Come di consueto intendiamo continuare a vivere il grande valore della solidarietà insieme a tutte le persone di buona volontà. E’ questo il motivo che ci porta a reagire contro le strumentalizzazioni politiche e a sottolineare che questo fenomeno, nell’insegnamento del Pontefice, nonostante i problemi che possono presentarsi, viene considerato sostanzialmente positivo e meritevole di un inquadramento più aperto e più rispettoso della dignità delle persone coinvolte.

E’ stata approvata una legge che ha consentito di fare notevoli passi in avanti. Nell’ambito ecclesiale e in quello associativo, durante la fase di approvazione della legge e dei suoi strumenti applicativi, sono state formulate proposte e valutazioni anche critiche. Ora, a due anni dalla sua entrata in vigore, è tempo di adoperarsi per la sua piena operatività. E’ infatti a livello applicativo che si annidano le insidie più pericolose, perché rischiano di essere ridimensionate le innovazioni legislative in materia di diritti degli immigrati, di integrazione e di meccanismi di accesso al mercato del lavoro.

Inoltre, come avviene per tutti gli strumenti legislativi ed è espressamente previsto dalla legge 40 del 1\998, bisognerà procedere agli opportuni aggiustamenti sulla base dell’esperienza maturata. Noi auspichiamo fermamente che le proposte del Governo siano aperte, coraggiose e ferme, anche al fine di contrastare eventuali giochi al ribasso.

Con la circostanza chiediamo anche un maggiore impulso perché possa essere approvata la legge sul diritto d'asilo, ormai da troppi mesi giacente presso la Commissione Affari Costituzionali della Camera dei deputati, ed auspichiamo che vengano recepite le proposte delle organizzazioni sociali già discusse con il Governo e con il relatore del provvedimento.

In questo secondo punto intendo perorare con grande convinzione le ragioni delle politiche di integrazione.

Come è stato detto con perspicacia da Giovanni Paolo II, nel nuovo secolo le migrazioni accompagneranno in misura più consistente i paesi ricchi e le loro società saranno segnate sempre più dalla presenza di differenti culture. La saggezza storica non consiste nel negare ciò che è evidente e che si colloca al di sopra delle nostre forze, bensì nell’incanalare i processi strutturali, potenziandone gli aspetti positivi.

Come sempre è avvenuto nella storia, l’incontro tra diversi può dare l’avvio a un fruttuoso confronto dialettico in grado di arricchire noi stessi e i nuovi venuti. Si richiedono regole chiare, che garantiscano il rispetto di ciò che è essenziale nel nostro sistema societario e ne favoriscano l’apertura a ciò che è essenziale per gli immigrati. Il concetto di società laica, inteso come contenitore non ostile alla dimensione religiosa ma aperto anche a chi religioso non è, può costituire la piattaforma che non mortifica né gli uni né gli altri:

Per il fatto che certe realtà religiose o culturali solo ora vivono a contatto, dopo essere rimaste lontane per secoli, può anche comportare problemi di non trascurabile difficoltà. A niente serve, però, enfatizzare i toni e inasprire gli animi, trascurando la sostanza della posta in gioco, E’ quanto è avvenuto, a mio avviso, a proposito dei matrimoni cristiano-musulmani, senza che sia stata recepita nella sua esatta portata la posizione quanto mai saggia dei vescovi italiani. Non è segno di chiusura raccomandare il superamento di un atteggiamento di faciloneria nell’accostare due tradizioni religiose, vicine per la fede monoteista ma da raccordare meglio per quanto riguarda la tutela giuridica della donna cristiana e il rispetto della fede del marito cristiano. Ritengo però che, evitando un confronto superficiale, si possa arrivare a mediazioni proficue.

L’intercultura è la connotazione del nostro futuro: questa dimensione può essere rifiutata o sopportata a mala pena oppure responsabilmente assunta e sviluppata in senso positivo. Si richiede un grande impegno di mediazione da parte nostra e degli stessi immigrati. In questo sforzo sono coinvolte le strutture pubbliche e le organizzazioni sociali italiani per vincere le sacche di resistenza che si ritrovano nella società italiane. Ma anche le espressioni organizzate degli immigrati, e cioè le associazioni come riconosce la legge 40 del 1998, sono chiamate ad avvicinare l’intera popolazione immigrata alla nuova società che li accoglie, aiutando anche noi a individuare i cambiamenti che renderebbero più agevole l’integrazione. Gli immigrati sono bisognosi di maggiore autonomia, non per andare contro di noi ma per essere come noi: essi vogliono essere pienamente protagonisti e aspettano che noi li aiutiamo ad assumere pienamente le loro responsabilità

Tutti abbiamo da imparare, tutti abbiamo da cambiare, tutti abbiamo da sperimentare con umiltà e con grande tenacia, L'intercultura è un capitolo appena aperto, dove molto resta da scrivere. Per prepararci al futuro è importante liberarci dal peso di un passato, che ci rende incapaci di riconoscere.

La Caritas di Roma ha imparato questa grande lezione nella decennale esperienza del "Forum per l’intercultura", nel cui ambito ha cercato di mettere in rete, insieme agli italiani, le associazioni di immigrati e gli esperti immigrati.

Perché questo grande disegno di integrazione si realizzi, sono auspicabili varie cose:

  1. nella prossima programmazione triennale devono essere notevolmente aumentati i fondi per le politiche di integrazione, attualmente pari a 67 miliardi l’anno;
  2. le regioni e gli altri enti locali sono chiamate ad acquistare una visione più chiara e più organica nell’allocazione delle risorse;
  3. tutti dobbiamo renderci conto dell’impatto crescente delle seconde generazioni (circa i due terzi dei minori stranieri sono nati in Italia, anche se per lo più sono dei "desaparecidos" a livello di statistiche) e dell’imminenza delle terze generazioni.

Bisogna insistere su un’adeguata politica di programmazione dei flussi.

Nel sistema degli accordi internazionali in vigore attualmente mancano i presupposti perché si attui in maniera generalizzata la libera circolazione dei migranti da tutti i paesi; ciononostante, in un contesto che si dichiara improntato alle prospettive di globalizzazione, bisogna inserire più elementi di liberismo per non penalizzare gli uomini rispetto alle merci. Schierarsi per la legalità significa programmare quote di ingresso realistiche e attivare tutti i meccanismi d’ingresso previsti dalla nuova legge.

Un anno fa l’intervento, con cui presentavo la precedente edizione del "8Dossier Statistico sull’Immigrazione", conteneva solo degli auspici perché mancavano il regolamento di esecuzione e di altri decreti applicativi della legge. Oggi è invece possibile tirare i primi bilanci.

L’attuale decreto di programmazione innanzi tutto ha il merito di voler chiudere le pendenze del passato (la regolarizzazione del 1998) senza pregiudicare l’apertura la futuro (quote in entrata). Solo con la previsione di nuove quote siamo in grado di contrastare la creazione di nuove sacche di irregolarità.

Deve ritenersi realistica in prima battuta la quota di 63.000 nuovi ingressi di lavoratori nel 2000, che proprio in questo mese di febbraio è stata proposta con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri al fine di rispondere al fabbisogno di manodopera per lo svolgimento dei lavori a tempo indeterminato e a carattere stagionale. A questa forza lavoro si aggiungono le persone entrate a motivo di ricongiungimento familiare che, in base alla nuova normativa, possono inserirsi nel mercato occupazionale.

E’ anche positivo il fatto che il decreto faccia riserva di ritornare sulla materia con un provvedimento aggiuntivo, qualora le quote stabilite dovessero rivelarsi insufficienti rispetto alle necessità.

Non è il caso di parlare di una invasione di stranieri, anche se il mercato di lavoro ancora alle prese con un alto tasso di disoccupazione, E’ risaputo, infatti, che vi sono aree territoriali e settori nei quali la mancata immissione di manodopera immigrata sarebbe di pregiudizio alla produzione. Come anche sono conosciute le proiezioni sull’andamento demografico negativo, per cui è richiesto l’ingresso annuale di un consistente numero di stranieri per salvaguardare un certo equilibrio demografico.

L’articolazione del decreto sui flussi è abbastanza complessa e per alcuni aspetti perfezionabile. Senza entrare nei dettagli, si possono fare queste osservazioni sul piano più generale:

Una cosa dev’essere chiara: per contrastare il traffico di manodopera e le vie dell’illegalità bisogna diffondere e rendere facilmente comprensibili le vie legali: opuscoli in varie lingue, campagne informative, attivazione delle rappresentanze diplomatiche e consolari. I trafficanti rischiano di essere più efficaci nelle loro strategie informative, come dice questa scritta letta sui muri di Bucarest: "Porto illegalmente persone in Italia e assicuro un posto di lavoro".

L’ultimo punto è dedicato alla necessità di evitare che i diritti degli immigrati restino confinati sul piano formale.

Mi limiterò ad alcuni aspetti, che però sono più che sufficienti a illustrare il rischio della vanificazione del diritto.

Gli immigrati rischiano di diventare una realtà doppiamente sommersa in un paese che vanta il record europeo del lavoro nero. Ne sa qualcosa l’INPS che riscontro una rilevante differenza tra quanti dovrebbero essere coperti da contribuzione e quanti lo sono effettivamente. La documentazione lavorativa presentata alle Questure, al momento della concessione o del rinnovo del permesso di soggiorno o al momento della regolarizzazione, per una buona parte dei casi è come se venisse meno poco dopo, quando si tratta di pagare effettivamente i contributi previdenziali. L’esiguità dell’attività ispettiva offre ampi margini di impunità ai datori di lavoro italiani, mentre gli immigrati diventano doppiamente sfruttati: non sono sotto l’aspetto previdenziale ma anche per quanto riguarda il diritto di soggiorno e di cittadinanza.

Avviene così che gli immigrati spesso non sono in grado di indicare l’ammontare e le fonti del loro reddito, così come all’occorrenza prescrive la normativa.

A questo inconveniente vanno incontro quanti intendono diventare cittadini italiani attraverso la domanda di naturalizzazione ordinaria, che stabilisce per la maggior parte degli immigrati extracomunitari 10 anni di attesa, una serie di passaggi burocratici defatiganti e anche il controllo dei redditi.

A questa difficoltà vanno incontro anche i potenziali beneficiari della carta di soggiorno, una tra le innovazioni più significative della legge 40\1998, che garantisce una permanenza a tempo indeterminato, introducendo così una certa equiparazione tra immigrati e cittadini e che prevede anche la documentazione del reddito percepito. Peraltro non è questa l’unica difficoltà. Ci sono voluti 12 anni per recepire nel nostro ordinamento questa previsione, tutto sommato di buon senso e caldamente raccomandata dagli organismi internazionali come il Consiglio d’Europa; ci sono voluti 18 mesi per rendere la legge operativa su questo punto, con la pubblicazione del Regolamento di applicazione; tuttavia, ancora non viene rilasciata la carta di soggiorno perché non è pronta la scheda conforme da approvare con decreto del Ministro dell’interno, anche se di per sé basterebbe la semplice dicitura "valida come carta di soggiorno" apposta su un normale permesso di soggiorno. E’ facilmente immaginabile come tutte queste lungaggini possano essere vissute dagli interessati.

A questo clima di illegalità diffusa si può reagire intensificando l’attività ispettiva, che è in grado di esercitare una funzione preventiva e recuperare un notevole ammontare di contributi: tra l’altro non bisogna dimenticare le possibilità offerte a livello informatico tramite i controlli incrociati. Per il settore della collaborazione familiare, dove secondo stime tre su quattro lavorano in nero, si potrebbe anche pensare a detrazioni fiscali che aiuterebbero le famiglie bisognose di assistenza e permetterebbero all’erario di recuperare più di quanto in tal modo erogherebbe, recuperando tra l’altro una tra le evasioni contributive più diffuse.

In conclusione, l’immigrazione costituisce un apporto di novità che esige da parte nostra una mentalità innovativa.

Le nostre paure di fronte al diverso e il fatto che la nuova legge per un certo periodo abbia trovato applicazione solo nella parte repressiva hanno favorito un inquadramento delinquenziale dell’immigrazione. Questo è sbagliato sotto l’aspetto statistico oltre che sotto l’aspetto umano: il "Dossier" non ha mai avallato simili scorciatoie che non portano da nessuna parte e fomentano, invece, un futuro conflittuale. I problemi vanno affrontati senza pregiudizi, senza astrattezze, con rispetto dei diritti fondamentali e con senso di umanità. E’ la stessa impostazione che abbiamo fatto valere nei confronti dei Centri di permanenza temporanea, la cui importanza è inversamente proporzionale all’efficacia che riusciremo ad acquisire nella programmazione dei flussi, garantendo però fin da ora una maggiore tutela delle persone e una più adeguata organizzazione.

L’impegno più urgente è di natura culturale e richiede una nuova messa a fuoco dell’immigrazione. Noi, popolo di migranti, rischiamo di vedere questo grande fenomeno sociale unicamente come qualcosa di patologico. Non è questa la politica da portare avanti nel nuovo secolo, Si richiedono apertura, innovazione, costruzione sulla base del reciproco interesse e del reciproco rispetto. Come è stato detto dal Papa, il grande evento del Giubileo, che con le migrazioni ha connessioni così strette, ci può essere d’aiuto per riscoprire l’immigrazione come opportunità.