Negli ultimi anni, in Italia, si e' giocata una falsa battaglia politica. La battaglia sull'immigrazione. Da un lato, partiti come la Lega o, con toni piu' ragionati, Alleanza Nazionale hanno fatto dell'opposizione alla crescente presenza straniera uno dei loro vessilli; dall'altro, i partiti del centrosinistra hanno accusato di razzismo i primi e hanno difeso a spada tratta lo slogan europeo: "piena integrazione per gli immigrati regolari, rigoroso contrasto dell'immigrazione clandestina". La distanza tra le posizioni e' stata, nei fatti, molto minore di quanto non sembri. Quello slogan infatti ha finito per sovrapporsi quasi completamente alle posizioni xenofobe, in virtu' del carattere forzatamente illegale della quasi totalita' degli ingressi in Italia, causato dalla mancanza assoluta, fino all'anno scorso, di una politica dei flussi di immigrazione legale.

Una tale politica avrebbe potuto essere praticata fin dal 1990: gia' la legge Martelli, infatti, prevedeva lo strumento - oggi riproposto dalla legge 40 - del decreto di programmazione dei flussi, con cui il governo, annualmente, puo' stabilire quanti lavoratori immigrati possono fare ingresso nel nostro paese, e sulla base di quali criteri. L'applicazione che se ne e' fatta fino al '99, tuttavia, rasenta il ridicolo: ammessi in Italia solo quei lavoratori chiamati nominativamente da un datore di lavoro intenzionato ad assumerli. A prima vista potrebbe sembrare un buon criterio, in linea con un altro slogan rassicurante: "entri in Itaia solo chi ha la certezza di un lavoro". Il problema sta pero' nel fatto che non esiste alcun datore di lavoro disposto ad assumere un lavoratore sconosciuto che si trovi, addirittura, ancora all'estero. L'unico modo a disposizione degli aspiranti immigrati per conquistarsi un'assunzione e' stato cosi', per un decennio, quello di entrare in Italia come turisti o come clandestini, prolungando poi il soggiorno in modo comunque illegale, e trovando sul posto quell'opportunita' che mai li avrebbe raggiunti in patria.

Da questa condizione di illegalita' forzata - dovuta cioe' all'individuazione di un criterio di ingresso legale scollato dalla realta' - gli immigrati sono usciti in due modi: il ricorso a una chiamata postuma - a valle, cioe', di una assunzione irregolare - con grottesco rimpatrio temporaneo del lavoratore, o quello ad una delle ricorrenti sanatorie (quattro dal 1987). Per queste vie, hanno ottenuto il permesso di soggiorno quasi un milione di stranieri, a fronte delle poche decine di migliaia che hanno fatto ingresso in Italia in modo fin dall'inizio regolare. Ciascuno di quel milione di immigrati, per tutto il tempo in cui e' stato privo di permesso di soggiorno, e' stato visto da destra e da sinistra come una minaccia per la societa', un potenziale criminale, qualcuno a cui spiegare, nella migliore delle ipotesi, che, se solo avesse rispettato le leggi sull'immigrazione, sarebbe stato benvenuto, ma cosi'... c'e' Schengen... c'e' l'Europa... Nessuno che riflettesse, in area di governo o di opposizione, sul fatto che "entra chi ha gia' un lavoro" significa "entrano, forse, solo Bill Gates e Ronaldo, ma certo non le colf capoverdiane o i muratori rumeni". Nessuno che spostasse il dibattito politico dal tema delle espulsioni e di come renderle piu' efficaci a quello di come consentire l'ingresso legale in Italia per cercare, sul posto, lavoro. Nessuno che si accorgesse che un milione di regolarizzazioni tardive avrebbero meritato al meccanismo di fatto messo in atto dagli immigrati la dignita' della legalita'.

C'e' voluta un'aria nuova al Ministero dell'interno per dare alla luce il primo decreto di programmazione che contempli possibilita' di ingresso per ricerca di lavoro. Non e' ancora un decreto che preveda cifre pienamente adeguate alle esigenze di ingresso dall'estero presentate da immigrati e mercato del lavoro: in tutto sessantatremila ingressi per il 2000, meta' dei quali ancora riservati alla chiamata nominativa. Tuttavia e' un decreto che contempla strumenti per una ridefinizione flessibile, in corso d'opera, delle quote destinate ai vari tipi di ingresso, e potrebbe essere seguito da un secondo decreto qualora la quota complessiva risultasse esaurita prima della fine dell'anno. Potrebbe allora dare respiro agli immigrati e consentire loro quel percorso legale cui la stragrande maggioranza di loro aspira. E potrebbe dare alla societa', priva dell'assillo della clandestinita', il tempo per aprire gli occhi sugli altri aspetti dellla vita dell'immigrato, che non vive di solo permesso di soggiorno. Il diritto a ricostruire l'unita' familiare, la tutela della salute, l'accesso all'istruzione e alle forme di assistenza sociale, la possibilita' di esercitare attivita' di lavoro autonomo: sono tutti aspetti cui e' interessato lo straniero, ma e' interessata anche la societa' di accoglienza, che avrebbe solo danno dal prolungare la condizione di sradicamento dell'immigrato. Sono contemplati dalla legge 40, ma rischiano di restare lettera morta se l'Italia non si libera da una visione burocratica del rapporto Stato-straniero.

Oggi, per esempio, legge e regolamento pretendono dallo straniero che voglia far entrare il coniuge o i figli che disponga di un appartamento di adeguate dimensioni: quelle sancite dalle leggi sull'edilizia popolare. Si tratta di alloggi che, sulla carta, dovremmo destinare a ciascuna delle famiglie italiane che faticano a trovarne uno, ma che, nei fatti, molto spesso garantiamo solo a pochi notabili dalla faccia di bronzo. E ancora, al lavoratore autonomo si chiede di dimostrare, per l'ingresso, un reddito che gli consentirebbe di campare da nababbo in qualunque paese in via di sviluppo. E tra i lavoratori autonomi figurano non solo commercianti e professionisti, ma anche giardinieri, muratori, imbianchini e tutti quei lavoratori che potrebbero inserirsi dignitosamente nella nostra societa' coprendo il fabbisogno di manodopera nel settore dei piccoli servizi.

Le energie nuove portate dai flussi migratori possono ridare linfa allo sviluppo di un'Italia che invecchia. A condizione che non siano dissipate in una miriade di adempimenti che nulla aggiungono alla sicurezza delle nostre citta', ma moltissimo tolgono alla serenita' dei cittadini stranieri.