07 Novembre 2000
 
 
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Tuttiflussi, istruzioni per l'uso
Chi e come decide quanti stranieri possono (per legge) arrivare in Italia? CINZIA GUBBINI

Il ministero del lavoro ha annunciato ufficialmente, ieri, la volontà del governo di varare il nuovo decreto flussi per il 2001 entro dicembre. La presidenza del consiglio dei ministri dirà cioè quanti immigrati potranno entrare legalmente in Italia nel corso del prossimo anno, secondo le modalità contemplate dal testo unico 286 del '98 (il regolamento che attua la legge Turco-Napolitano, ndr). E' questa l'unica strada che - a tutt'oggi - uno straniero ha per arrivare in Italia "come legge comanda". In parole povere, il decreto flussi è lo strumento con cui il governo apre le frontiere del territorio italiano. La regolarizzazione, ovviamente, è prevista solo per lavoro e può avvenire per "chiamata nominativa", per sponsorizzazione (o prestazione di garanzia), per lavoro autonomo (in genere con spazi risicati) o ancora convertendo un permesso di soggiorno per motivi di studio in permesso di soggiorno per lavoro. Esiste poi la regolarizzazione attraverso il ricongiungimento familiare e quella per diritto d'asilo e assistenza umanitaria. Ma quest'ultima è un'altra (triste) storia.
Il decreto flussi dello scorso anno fissava un tetto massimo di 63 mila ingressi, una cifra che si è rivelata ben presto ampiamente insufficiente. Il 21 giugno scorso la Confindustria chiedeva infatti di "rimpolpare" il decreto, ma quando il governo annunciò 40 mila nuove entrate, la destra si inalberò bloccando tutto. A malapena si riuscì ad assicurare una "manciata" di lavoratori stagionali. Risultato? Da parecchi mesi le quote sono "chiuse" e gli Uffici provinciali del lavoro sono sommersi di richieste di regolarizzazione bloccate. Si allarga così la quota di lavoro in nero.

Quanti "nuovi" immigrati?

Il problema, quindi, in prima battuta si è incarnato in una palese sottovalutazione del fabbisogno di "manodopera immigrata". E per il prossimo anno? Si vocifera che gli ingressi saranno 100 mila, ma pare ci sia chi vorrebbe definire quote più basse. Peccato che l'economia continui a tirare, e infatti c'è già pronto uno studio condotto da Unioncamere secondo cui il fabbisogno di manodopera straniera dell'area industriale per il 2001 sarebbe di 200 mila 589 unità, ossia il 24% delle assunzioni totali previste per il 2001. I nuovi assunti immigrati finiranno perlopiù nelle aziende del nord Italia. Uno studio dell'Isfol dimostra infatti che nel biennio '99-2000 delle circa 200 mila assunzioni previste a favore dei lavoratori immigrati, il 67% è stato "esautorato" dalle richieste del nord, e in particolare del nordest.

Dove andranno i "fortunati"?

Ma a chiedere lavoratori stranieri non sono solo le aziende, piccole, medie e grandi, ma anche le famiglie. Illuminante l'esempio della provincia di Genova. Qui il 25% della popolazione supera i 65 anni d'età e moltissime famiglie si rivolgono all'Ufficio provinciale del lavoro per chiedere di poter regolarizzare gli stranieri che svolgono la mansione di assistenza agli anziani. L'anno scorso la quota riservata dal Ministero del lavoro a Genova è stata di 250 unità: finita in un batter d'occhio, le richieste sono state quattromila. Un altro enorme nodo nella matassa delle "quote", infatti, è che il ministero del lavoro - sentiti i suoi uffici periferici - stabilisce quanti stranieri possono essere ragolarizzati in una data provincia. Attenzione, la legge non lo prevede, ma è uno stratagemma che il ministero utilizza per non ritrovarsi nel caos. Il motivo è vecchio come il cucco: manca un sistema informatizzato e quindi se venisse annunciata solo la quota nazionale (mettiamo 63 mila) nessun Ufficio provinciale sarebbe in grado di capire quante unità sono già state utilizzate nelle altre province d'Italia.

Come si fa a "mettere in regola"?

Ma i problemi non finiscono qui. Regolarizzare uno straniero, come ben sanno migliaia e migliaia di italiani, equivale a una corsa a ostacoli. Per dirne una: se una famiglia volesse assumere una colf a tempo parziale dovrebbe avere un reddito minimo che si aggira sugli 80 milioni (ogni città ha i suoi parametri: a Genova sono 81, a Napoli 72, a Milano 87). Ovviamente tale soglia è stata prevista per garantire un reddito dignitoso allo straniero. Peccato che per i lavoratori domestici stranieri assunti part-time la legge preveda un reddito minimo di sole 850 mila lire mensili, raggiungibili anche attraverso più rapporti di lavoro. Allora più che una garanzia per lo straniero, c'è il rischio che livelli di reddito così alti servano a scoraggiare la richiesta (e la regolarizzazione) di lavoratori immigrati.
L'esperienza dell'ufficio immigrati della Cgil di Genova, in cui lavora Saaleh Zaghloul, conferma il sospetto: "La gente viene per regolarizzare uno straniero, e poi rinuncia. Ci credo, ci sono delle regole assurde, troppo restrittive. Invece di invogliare chi si presenta per versare i contributi gli si fa capire che è più facile farli lavorare al nero. Addirittura, fino allo scorso anno, un'impresa poteva richiedere manodopera straniera solo se assicurava un contratto di almeno due anni. Figurarsi, nell'epoca della flessibilità... Insomma, ci si trova di fronte a un muro. Peraltro la maggior parte degli uffici provinciali del lavoro storce la bocca di fronte all'autocertificazione, e quindi ti chiedono decine di documenti".
Per non parlare del fatto che il decreto flussi prevede l'entrata legale, e quindi non si possono - teoricamente - regolarizzare stranieri già presenti sul territorio italiano clandestinamente (alla faccia dell'incontro tra domanda e offerta). Quindi, lo straniero deve tornare nel proprio paese, ricevere il contratto da parte del datore di lavoro, presentarsi al consolato, rinviare il contratto firmato, e solo a questo punto il datore di lavoro si potrà ripresentare all'Ufficio del lavoro e lo straniero potrà entrare "in pompa magna".

Le liste che non ci sono

Ovviamente la legge non prevede che il lavoratore debba tornare nel proprio paese (questo è l'unico éscamotage nelle mani di chi vuole assumere un clandestino): il datore di lavoro dovrebbe servirsi delle liste internazionali previste dall'articolo 21 del testo unico. Secondo il disegno del legislatore, infatti, lo straniero che decide di emigrare dovrebbe iscriversi a una lista presso il consolato italiano nel proprio paese, indicando la mansione che è in grado di espletare, e aspettare pazientemente che un datore di lavoro lo chiami. Ora, pretendere ciò equivale a rivoluzionare il sistema migratorio internazionale, ma comunque il bello è che le liste non sono mai state istituite. Sono in corso di realizzazione.
Intorno a questo progetto, tuttavia, si sta lavorando alacremente: proprio ieri, in un convegno a Roma, è stata presentata la nuova anagrafe informatizzata, consultabile su internet (al sito www. digimpiego.aile.it).
Alle liste lavorano i consolati e le ambasciate: un punto dolente, questo, visto che le rappresentanze italiane all'estero non sempre brillano per trasparenza (vedi Moldavia e Nigeria). "Al di là delle potenziali irregolarità - osserva Sergio Briguglio - rimane il fatto che da due anni e mezzo consolati e ambasciate non hanno fatto questo lavoro". Briguglio propone una soluzione: "Lo straniero potrebbe segnalare la propria disponibilità spedendo una lettera raccomandata al ministero degli interni, o mettendosi in contatto con il ministero per via telematica".

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