Il ministero del lavoro ha annunciato ufficialmente, ieri,
la volontà del governo di varare il nuovo decreto flussi per il
2001 entro dicembre. La presidenza del consiglio dei ministri
dirà cioè quanti immigrati potranno entrare legalmente in Italia
nel corso del prossimo anno, secondo le modalità contemplate dal
testo unico 286 del '98 (il regolamento che attua la legge
Turco-Napolitano, ndr). E' questa l'unica strada che - a
tutt'oggi - uno straniero ha per arrivare in Italia "come legge
comanda". In parole povere, il decreto flussi è lo strumento con
cui il governo apre le frontiere del territorio italiano.
La regolarizzazione, ovviamente, è prevista solo per lavoro e può
avvenire per "chiamata nominativa", per sponsorizzazione (o
prestazione di garanzia), per lavoro autonomo (in genere con
spazi risicati) o ancora convertendo un permesso di soggiorno per
motivi di studio in permesso di soggiorno per lavoro. Esiste poi
la regolarizzazione attraverso il ricongiungimento familiare e
quella per diritto d'asilo e assistenza umanitaria. Ma
quest'ultima è un'altra (triste) storia.
Il decreto flussi dello scorso anno fissava un tetto massimo di
63 mila ingressi, una cifra che si è rivelata ben presto
ampiamente insufficiente. Il 21 giugno scorso la Confindustria
chiedeva infatti di "rimpolpare" il decreto, ma quando il governo
annunciò 40 mila nuove entrate, la destra si inalberò bloccando
tutto. A malapena si riuscì ad assicurare una "manciata" di
lavoratori stagionali. Risultato? Da parecchi mesi le quote sono
"chiuse" e gli Uffici provinciali del lavoro sono sommersi di
richieste di regolarizzazione bloccate. Si allarga così la quota
di lavoro in nero.
Quanti "nuovi" immigrati?
Il problema, quindi, in prima battuta si è incarnato in una
palese sottovalutazione del fabbisogno di "manodopera immigrata".
E per il prossimo anno? Si vocifera che gli ingressi saranno 100
mila, ma pare ci sia chi vorrebbe definire quote più basse.
Peccato che l'economia continui a tirare, e infatti c'è già
pronto uno studio condotto da Unioncamere secondo cui il
fabbisogno di manodopera straniera dell'area industriale per il
2001 sarebbe di 200 mila 589 unità, ossia il 24% delle assunzioni
totali previste per il 2001. I nuovi assunti immigrati finiranno
perlopiù nelle aziende del nord Italia. Uno studio dell'Isfol
dimostra infatti che nel biennio '99-2000 delle circa 200 mila
assunzioni previste a favore dei lavoratori immigrati, il 67% è
stato "esautorato" dalle richieste del nord, e in particolare del
nordest.
Dove andranno i "fortunati"?
Ma a chiedere lavoratori stranieri non sono solo le aziende,
piccole, medie e grandi, ma anche le famiglie. Illuminante
l'esempio della provincia di Genova. Qui il 25% della popolazione
supera i 65 anni d'età e moltissime famiglie si rivolgono
all'Ufficio provinciale del lavoro per chiedere di poter
regolarizzare gli stranieri che svolgono la mansione di
assistenza agli anziani. L'anno scorso la quota riservata dal
Ministero del lavoro a Genova è stata di 250 unità: finita in un
batter d'occhio, le richieste sono state quattromila. Un altro
enorme nodo nella matassa delle "quote", infatti, è che il
ministero del lavoro - sentiti i suoi uffici periferici -
stabilisce quanti stranieri possono essere ragolarizzati
in una data provincia. Attenzione, la legge non lo prevede, ma è
uno stratagemma che il ministero utilizza per non ritrovarsi nel
caos. Il motivo è vecchio come il cucco: manca un sistema
informatizzato e quindi se venisse annunciata solo la quota
nazionale (mettiamo 63 mila) nessun Ufficio provinciale sarebbe
in grado di capire quante unità sono già state utilizzate nelle
altre province d'Italia.
Come si fa a "mettere in regola"?
Ma i problemi non finiscono qui. Regolarizzare uno straniero,
come ben sanno migliaia e migliaia di italiani, equivale a una
corsa a ostacoli. Per dirne una: se una famiglia volesse assumere
una colf a tempo parziale dovrebbe avere un reddito minimo che si
aggira sugli 80 milioni (ogni città ha i suoi parametri: a Genova
sono 81, a Napoli 72, a Milano 87). Ovviamente tale soglia è
stata prevista per garantire un reddito dignitoso allo straniero.
Peccato che per i lavoratori domestici stranieri assunti
part-time la legge preveda un reddito minimo di sole 850 mila
lire mensili, raggiungibili anche attraverso più rapporti di
lavoro. Allora più che una garanzia per lo straniero, c'è il
rischio che livelli di reddito così alti servano a scoraggiare la
richiesta (e la regolarizzazione) di lavoratori immigrati.
L'esperienza dell'ufficio immigrati della Cgil di Genova, in cui
lavora Saaleh Zaghloul, conferma il sospetto: "La gente viene per
regolarizzare uno straniero, e poi rinuncia. Ci credo, ci sono
delle regole assurde, troppo restrittive. Invece di invogliare
chi si presenta per versare i contributi gli si fa capire che è
più facile farli lavorare al nero. Addirittura, fino allo scorso
anno, un'impresa poteva richiedere manodopera straniera solo se
assicurava un contratto di almeno due anni. Figurarsi, nell'epoca
della flessibilità... Insomma, ci si trova di fronte a un muro.
Peraltro la maggior parte degli uffici provinciali del lavoro
storce la bocca di fronte all'autocertificazione, e quindi ti
chiedono decine di documenti".
Per non parlare del fatto che il decreto flussi prevede
l'entrata legale, e quindi non si possono - teoricamente
- regolarizzare stranieri già presenti sul territorio italiano
clandestinamente (alla faccia dell'incontro tra
domanda e offerta). Quindi, lo straniero deve tornare nel proprio
paese, ricevere il contratto da parte del datore di lavoro,
presentarsi al consolato, rinviare il contratto firmato, e solo a
questo punto il datore di lavoro si potrà ripresentare
all'Ufficio del lavoro e lo straniero potrà entrare "in pompa
magna".
Le liste che non ci sono
Ovviamente la legge non prevede che il lavoratore debba tornare
nel proprio paese (questo è l'unico éscamotage nelle mani
di chi vuole assumere un clandestino): il datore di
lavoro dovrebbe servirsi delle liste internazionali previste
dall'articolo 21 del testo unico. Secondo il disegno del
legislatore, infatti, lo straniero che decide di emigrare
dovrebbe iscriversi a una lista presso il consolato italiano nel
proprio paese, indicando la mansione che è in grado di espletare,
e aspettare pazientemente che un datore di lavoro lo chiami. Ora,
pretendere ciò equivale a rivoluzionare il sistema migratorio
internazionale, ma comunque il bello è che le liste non sono mai
state istituite. Sono in corso di realizzazione.
Intorno a questo progetto, tuttavia, si sta lavorando
alacremente: proprio ieri, in un convegno a Roma, è stata
presentata la nuova anagrafe informatizzata, consultabile su
internet (al sito www. digimpiego.aile.it).
Alle liste lavorano i consolati e le ambasciate: un punto
dolente, questo, visto che le rappresentanze italiane all'estero
non sempre brillano per trasparenza (vedi Moldavia e Nigeria).
"Al di là delle potenziali irregolarità - osserva Sergio
Briguglio - rimane il fatto che da due anni e mezzo consolati e
ambasciate non hanno fatto questo lavoro". Briguglio propone una
soluzione: "Lo straniero potrebbe segnalare la propria
disponibilità spedendo una lettera raccomandata al ministero
degli interni, o mettendosi in contatto con il ministero per via
telematica".