09 Settembre 2000
 
 
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IMMIGRATI
Centri da chiudere
PIETRO MASSAROTTO *


Come coordinamento di associazioni antirazziste nonché di singoli cittadini, in merito all'intervista rilasciata da Sergio Briguglio e pubblicata sabato 2 settembre sui centri di detenzione per stranieri, i cosiddetti "lager", ci sentiamo di dovere una replica. Per cominciare, va precisato che il cosiddetto "gruppo di esponenti dell'associazionismo" contattato a suo tempo dal Viminale ha registrato fin da subito numerosissime defezioni, provenienti sia dall'area laica sia da quella cattolica. Di fatto, la sbandierata "carta dei diritti" è stata stesa con la collaborazione di solo qualche esponente del variegato mondo delle associazioni e oltretutto della parte minoritaria. La non adesione, iniziale o successiva, a detto progetto regolamentare è stata dovuta in buona misura a una duplice motivazione: in primis, per la considerazione che partecipare significava altresì sostanzialmente approvare lo spirito di emarginazione ed esclusione dei migranti che regge l'attuale normativa sull'immigrazione e, in secundis, per la valutazione che con l'eventuale parziale collaborazione alla stesura di un testo di definizione dei diritti dei migranti all'interno di una struttura restrittiva si sarebbe fornito il destro alle autorità di ri-presentare i "lager" (gli stessi di prima e quelli in costruzione) come più belli, più efficienti e soprattutto più umani ("d'altronde è d'accordo anche l'associazionismo...", o meglio una sua piccola parte, ma questo non si renderà noto). Purtroppo, i timori si sono avverati. La partecipazione alla "carta dei diritti" da parte di pochi già si ripercuote su tutti. La forte protesta dell'ultimo anno degli immigrati, dei cittadini, dei centri sociali, delle associazioni e delle altre realtà, con migliaia di partecipanti in piazza, che si batteva per la libera circolazione delle persone e si opponeva esplicitamente al concetto stesso di campo di detenzione col chiederne non solo la chiusura ma proprio la cancellazione normativa, viene ora "declassata" a semplice movimento per l'umanizzazione. Si tenta, in altre parole, di accreditare il concetto che l'associazionismo in fondo accetti come male necessario il meccanismo contorto della "detenzione amministrativa" (senza reato e senza garanzie) e sia, dunque, solo interessato a tutelare i diritti residui dei reclusi, accantonando il più grande: la libertà. Ribadiamo che ciò fortemente non è. Noi e, crediamo, la maggioranza delle associazioni antirazziste, non ci sentiamo rappresentati dai (pochi) partecipanti alla stesura della "carta dei diritti" e ne
rigettiamo lo spirito. L'obiettivo continua a restare la cancellazione dei centri di detenzione e non il suo semplice e, fra l'altro, dubbio miglioramento. Significativamente le poche misure previste dalla "carta" (separazione donna-uomo, colloqui con i visitatori esterni, possibilità di usare il cellulare, libertà di culto...) si riferiscono a diritti elementari già affermatisi nella prassi oppure già previsti dalla precedente normativa o, ancora, da sempre vigenti nelle carceri (perché, infatti, sono le carceri il modello di riferimento). I diritti-sorgente, quelli che sono stati violati a monte e per i quali ci si ritrova detenuti, per la "carta" non rilevano, non esistono. Già, perché ci si deve ricordare che, fra l'altro:
- il migrante finisce in un centro di detenzione per aver violato una semplice disposizione amministrativa;
- ci sono solo 48 ore per proporre il ricorso avverso la detenzione;
- ci sono solo cinque giorni per proporre il ricorso avverso l'espulsione;
- l'opposizione all'espulsione non interrompe la procedura di espulsione stessa (dunque, si può anche aver ragione, ma nel frattempo ci si può ritrovare all'estero);
- l'espulsione inibisce il rientro in Italia per cinque anni.
Sergio Briguglio sostiene che, se esiste una regolamentazione, allora ci deve essere una sanzione. Ma la sanzione c'era e c'è, ed è pesante: l'espulsione (che, per inciso e per chiarezza, neppure accettiamo). Forse non basta? Aggiungiamo noi che la sanzione deve essere adeguata alla violazione e che il semplice mancato rispetto di qualche normativa sui visti d'ingresso non può mai implicare la detenzione, per di più amministrativa e senza garanzie procedurali. In ultimo, l'intervista pare alludere al fatto che l'intervento delle associazioni risolverebbe il problema della dignità e dei diritti dei trattenuti. Ma questa ci pare una pura e semplice petizione di principio. La dignità e i diritti dell'uomo devono essere garantiti sempre e in ogni caso dalla legge e applicati dallo Stato e dalle sue strutture, non dall'associazionismo in funzione di co-gestione. Lo scopo delle associazioni antirazziste resta, fra gli altri, ancora quello di vigilare sulle violazioni della legalità e non quello di collaborare alle violazioni stesse.

(avvocato del Coordinamento antirazzista milanese)

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