IMMIGRATI
Centri
da chiudere
PIETRO MASSAROTTO *
Come coordinamento di associazioni antirazziste nonché di singoli
cittadini, in merito all'intervista rilasciata da Sergio
Briguglio e pubblicata sabato 2 settembre sui centri di
detenzione per stranieri, i cosiddetti "lager", ci sentiamo di
dovere una replica. Per cominciare, va precisato che il
cosiddetto "gruppo di esponenti dell'associazionismo" contattato
a suo tempo dal Viminale ha registrato fin da subito
numerosissime defezioni, provenienti sia dall'area laica sia da
quella cattolica. Di fatto, la sbandierata "carta dei diritti" è
stata stesa con la collaborazione di solo qualche esponente del
variegato mondo delle associazioni e oltretutto della parte
minoritaria. La non adesione, iniziale o successiva, a detto
progetto regolamentare è stata dovuta in buona misura a una
duplice motivazione: in primis, per la considerazione che
partecipare significava altresì sostanzialmente approvare lo
spirito di emarginazione ed esclusione dei migranti che regge
l'attuale normativa sull'immigrazione e, in secundis, per la
valutazione che con l'eventuale parziale collaborazione alla
stesura di un testo di definizione dei diritti dei migranti
all'interno di una struttura restrittiva si sarebbe fornito il
destro alle autorità di ri-presentare i "lager" (gli stessi di
prima e quelli in costruzione) come più belli, più efficienti e
soprattutto più umani ("d'altronde è d'accordo anche
l'associazionismo...", o meglio una sua piccola parte, ma questo
non si renderà noto). Purtroppo, i timori si sono avverati. La
partecipazione alla "carta dei diritti" da parte di pochi già si
ripercuote su tutti. La forte protesta dell'ultimo anno degli
immigrati, dei cittadini, dei centri sociali, delle associazioni
e delle altre realtà, con migliaia di partecipanti in piazza, che
si batteva per la libera circolazione delle persone e si opponeva
esplicitamente al concetto stesso di campo di detenzione col
chiederne non solo la chiusura ma proprio la cancellazione
normativa, viene ora "declassata" a semplice movimento per
l'umanizzazione. Si tenta, in altre parole, di accreditare il
concetto che l'associazionismo in fondo accetti come male
necessario il meccanismo contorto della "detenzione
amministrativa" (senza reato e senza garanzie) e sia, dunque,
solo interessato a tutelare i diritti residui dei reclusi,
accantonando il più grande: la libertà. Ribadiamo che ciò
fortemente non è. Noi e, crediamo, la maggioranza delle
associazioni antirazziste, non ci sentiamo rappresentati dai
(pochi) partecipanti alla stesura della "carta dei diritti" e ne
rigettiamo lo spirito. L'obiettivo continua a restare la
cancellazione dei centri di detenzione e non il suo semplice e,
fra l'altro, dubbio miglioramento. Significativamente le poche
misure previste dalla "carta" (separazione donna-uomo, colloqui
con i visitatori esterni, possibilità di usare il cellulare,
libertà di culto...) si riferiscono a diritti elementari già
affermatisi nella prassi oppure già previsti dalla precedente
normativa o, ancora, da sempre vigenti nelle carceri (perché,
infatti, sono le carceri il modello di riferimento). I
diritti-sorgente, quelli che sono stati violati a monte e per i
quali ci si ritrova detenuti, per la "carta" non rilevano, non
esistono. Già, perché ci si deve ricordare che, fra l'altro:
- il migrante finisce in un centro di detenzione per aver violato
una semplice disposizione amministrativa;
- ci sono solo 48 ore per proporre il ricorso avverso la
detenzione;
- ci sono solo cinque giorni per proporre il ricorso avverso
l'espulsione;
- l'opposizione all'espulsione non interrompe la procedura di
espulsione stessa (dunque, si può anche aver ragione, ma nel
frattempo ci si può ritrovare all'estero);
- l'espulsione inibisce il rientro in Italia per cinque anni.
Sergio Briguglio sostiene che, se esiste una regolamentazione,
allora ci deve essere una sanzione. Ma la sanzione c'era e c'è,
ed è pesante: l'espulsione (che, per inciso e per chiarezza,
neppure accettiamo). Forse non basta? Aggiungiamo noi che la
sanzione deve essere adeguata alla violazione e che il semplice
mancato rispetto di qualche normativa sui visti d'ingresso non
può mai implicare la detenzione, per di più amministrativa e
senza garanzie procedurali. In ultimo, l'intervista pare alludere
al fatto che l'intervento delle associazioni risolverebbe il
problema della dignità e dei diritti dei trattenuti. Ma questa ci
pare una pura e semplice petizione di principio. La dignità e i
diritti dell'uomo devono essere garantiti sempre e in ogni caso
dalla legge e applicati dallo Stato e dalle sue strutture, non
dall'associazionismo in funzione di co-gestione. Lo scopo delle
associazioni antirazziste resta, fra gli altri, ancora quello di
vigilare sulle violazioni della legalità e non quello di
collaborare alle violazioni stesse.
(avvocato del Coordinamento antirazzista milanese)
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