Carissimi,

 

un evento si sta per abbattere sul Parlamento italiano, sugli stranieri e sui giuristi che si occupano in modo serio e concreto di immigrazione: l'esame del disegno di legge che il Consiglio dei Ministri ha iniziato il 9 agosto 2001.

 

Premetto che dai dispacci di agenzia sembra che la discussione durante la seduta del Consiglio dei Ministri sia stata assai vivace e che il testo dello schema di disegno di legge (che vi allego nella sintesi comparsa sul sito de La Padania) sarà rimaneggiato, perchè molti ministri ne hanno avuto visione poche ore prime e hanno fatto forti obiezioni. Chi leggerà quel testo non potrà che rallegrarsene.

La discussione su quella bozza proseguirà in una seduta di settembre-ottobre prossimo e dunque sembra che tutto sia ancora in discussione.

 

Il comunicato ufficiale circa la riunione del Consiglio dei Ministri si limita a quanto segue (dal sito ufficiale della Presidenza del Consiglio dei Ministri <http://www.governo.it>www.governo.it) e, si badi, si tratta di vaghi principi generali che in gran parte riproducono quei medesimi concetti che già in giugno erano stati espressi dal vicepresidente del consiglio Fini in Parlamento in risposta ad interpellaze ed interrogazioni:

 

 

Il Vicepresidente Fini ed il Ministro Bossi hanno svolto una relazione illustrativa sul disegno di legge che introduce significative modifiche al Testo Unico n. 286 del 1998, in materia di immigrazione rese necessarie dall’esperienza dei primi tre anni di vigenza che hanno mostrato lacune e provocato difficoltà applicative.

Il provvedimento, coerente con gli impegni assunti dall’attuale maggioranza durante la campagna elettorale, tiene conto, oltre che dei mutamenti in corso del fenomeno in Italia e in Europa, della proposta di Direttiva che, dopo essere stata approvata dalla Commissione europea, è attualmente al vaglio del Consiglio europeo. In particolare, le innovazioni concernono:

a) orientamento della cooperazione internazionale e degli aiuti all’adozione da parte degli Stati non appartenenti alla UE di politiche di effettivo contrasto nei confronti dello sfruttamento criminale dell’immigrazione clandestina e quindi di concorde lotta al traffico degli esseri umani e ai traffici illeciti a questo connessi (droga, armi, prostituzione);

b) integrazione degli extra-comunitari fondata sul reale inserimento nel mondo del lavoro;

c) durata del permesso di soggiorno commisurata alla durata del lavoro;

d) fissazione delle quote, con uno o più decreti annuali, sulla base dell’inserimento nel mondo del lavoro;

e) limitata regolarizzazione per gli immigrati, già regolari e già in possesso di un permesso di soggiorno, che hanno perso il lavoro e hanno superato il limite massimo di iscrizione nelle liste di collocamento;

f) eliminazione dell’istituto dello sponsor;

g) effettività dell’espulsione per il clandestino, invertendo la logica che finora ha reso praticata in via principale l’intimazione ad allontanarsi dal territorio nazionale;

h) razionalizzazione dei ricongiungimenti familiari, al fine di ricondurre l’istituto nell’alveo della famiglia così come riconosciuta dalla Costituzione;

i) procedura accelerata per il riconoscimento del diritto di asilo;

j) coordinamento e monitoraggio della nuova normativa attraverso un apposito Comitato nazionale, che viene istituzionalizzato.

 

In realtà dall'esame di quel comunicato e della sintesi che vi allego appare un quadro assai confuso.

 

Preliminarmente si ricordi che il programma in materia di immigrazione  del PIANO DI GOVERNO PER UNA INTERA LEGISLATURA, cioè del programma della Casa delle libertà tratto dal sito di Forza Italia (<http://www.forza-italia.it/elettorale/piano_governo/index.html>http://www.forza-italia.it/elettorale/piano_governo/index.html), nonchè di quanto si legge in materia di immigrazione nel patto-pre-elettorale CdL - Lega Nord (<http://www.leganord.org/elezioni/2001/patto2001.pdf>http://www.leganord.org/elezioni/2001/patto2001.pdf) non prevedeva affatto tutto quanto lo schema di disegno di legge sembrerebbe includere, ma anzi i testi sono laconici.

 

In gran parte quei pricncipi possono essere tradotti nientemeno che in una migliore e diversa attuazione della legislazione vigente (a parte le incentivazioni fiscali) e anzi, l'insistenza sulle quote e sul lavoro avrebbe potuto addirittura tradursi in una più realistica politica delle quote (esclusa l'inefficace e controproducente soppressione degli ingressi per inserimento nel mercato del lavoro).

  

 

 

E' dunque importante ricordare quei testi:

 

Nel programma generale della CdL si prevede quanto segue:

 

- nei "Pilastri culturali" (cioè all'inizio di tutto il programma) del Piano di governo della CdL nel pilastro n. 5) sicurezza si legge quanto segue:

 

 

 

Il fenomeno della immigrazione deve perdere il carattere di emergenza. La libertà di circolazione delle persone in tutto il pianeta è un diritto naturale. Ma ogni società ha altrettanto forte il diritto a proteggere i propri interessi, la propria identità, il proprio futuro.

L'aumento di criminalità dovuto all'immigrazione clandestina produce un atteggiamento genericamente negativo verso la presenza di extracomunitari nel nostro Paese. Di fronte a ciò non si può reagire accusando i cittadini di razzismo, ma si deve garantire la loro sicurezza. Il modo migliore per prevenire il possibile diffondersi di sentimenti xenofobi è un serio controllo dell'immigrazione clandestina.

Serve una politica rigorosa, che funzioni da barriera e non più come richiamo per nuovi e maggiori flussi di immigrazione indiscriminata. Occorre un controllo rigoroso delle frontiere. Occorre identificare nel lavoro e non nella clandestinità la condizione base di ingresso nel Paese. Occorre accogliere dignitosamente e rispettosamente gli immigrati che vengono in Italia per lavorare legalmente e contribuiscono alla ricchezza nazionale. Occorre invece contrastare severamente coloro che vengono in Italia per delinquere.

 

 

- nell'ambito del punto 3 "Progetto per la prevenzione dei reati" si legge alla voce 3.1 "sicurezza" quanto segue:

 

 

 

10) Regolamentare l'immigrazione clandestina, fattore di criminalità. Ogni anno, le Regioni, dopo un'analisi congiunta con sindacati e imprese, definiscono le possibilità di accoglienza. Il Governo deve stanziare aiuti finanziari condizionati a programmi concreti _e sospendere gli aiuti ai Paesi che non reprimono adeguatamente l'emigrazione clandestina. Creazione di una banca dati per l'identificazione attraverso le impronte digitali ed espulsione immediata dei clandestini.

 

Poi nella tempistica di realizzazione del programma si legge che entro 1 anno (o meglio entro i 9 mesi successivi ai primi 100 giorni del Governo) tra le diverse misure che si adotteranno ci sono le seguenti:

 

 

 

3. Legge e ordine, immigrazione e sicurezza

Stop all'immigrazione clandestina e rinvigorimento della lotta alla criminalità. Esclusi i casi umanitari, entra in Italia solo chi vuole lavorare e ne ha la realistica possibilità. Non, come finora, quote di extracomunitari, ma quote di operai, di falegnami, di infermieri, ecc., con in mano un contratto di lavoro. Detassazione degli aiuti indirizzati nei Paesi di origine dell'immigrazione.

 

 

 

Nel Patto pre-elettorale tra CdL e Lega Nord si legge quanto segue in materia di immigrazione:

 

 

 

L'immigrazione va controllata. Non la può e non la vuole controllare la sinistra, che per sopravvivere punta proprio sui voti degli immigrati.

 

Il controllo dell'immigrazione si può invece e si deve fare: con una politica estera rigorosa, che non funzioni più come richiamo per nuovi e maggiori flussi di immigrazione indiscriminata ma come barriera; con frontiere non più colabrodo; identificando nel lavoro e non nella clandestinità la condizione base di ingresso nel Paese; reprimendo duramente le nuove mafie, balcaniche ed orientali, e non convivendo di fatto con queste.

 

 

 

 

Circa lo schema di disegno di legge è inutile scendere in eccessivi dettagli perchè si dispone di un testo che è soltanto una sintesi  di un testo (di ben 22 articoli!) che è stato poi criticato da diversi ministri e che sarà rimaneggiato.

 

Basteranno alcune osservazioni di fondo:

 

1) da punto di vista stilistico-politico è importante ricordare che contrariamente a ciò che afferma il ministro Bossi il testo non è affatto un'abrogazione del T.U. sull'immigrazione, bensì una correzione - non troppo consistente da punto vista quantitativo - di alcune sue norme. 

Inoltre in parte si riprendono concetti che già facevano parte del ddl che era stato approvato dalla Camera a dicembre 2000 col voto determinante del centro sinistra (cfr. gli artt. 2 e 3) e del ddl Bossi-Berlusconi-Tremonti (artt. 1 e 4). In sè considerate le modifiche sintizzate nei primi 3 articoli non sembrano toccare direttamente  la condizione giuridica dello straniero, ma si limitano a migliorare l'efficacia delle politiche migratorie sul piano interno ed internazionale e non sembrano presentare particolari problemi, ancxhe se è opuinabile che si debba modificare il testo unico sull'immigrazione e non provvedere con la prossima legge finanziaria (per l'art.1) e con provvedimenti amministrativi (art. 2 e 3).

 

2) circa il "contratto di soggiorno" (art.4) è evidente che si tratta di una misura di scarsa concretezza ed efficacia.

In primo luogo lo schema sembra riproporre misure già in vigore:

- la firma di un contratto di lavoro subordinato prima dell'ingresso per lavoro è già attualmente prevista dall'art. 22 T.U.

- la durata dei permessi di soggiorno per lavoro è la stessa già oggi prevista dall'art. 5 T.U.

In secondo luogo l'istituzione di un ruolo di immigrazione presso i consolati a cui potrebbe accedere chi ha sottoscritto il contratto è assai bizzarra: si riprende un sistema analogo a ciò che già oggi è previsto dall'art. 21 T.U. (lAILE, anagrafe informatizzata dei lavoratori extracomunitari), ma lo si lega ad un contratto di lavoro e ad un codice fiscale che di fatto già da un decennio era rilasciato proprio all'ingresso in Italia.

In terzo luogo rilasciare in carta magnetica il permesso di soggiorno irrigidisce inutilmente una disciplina che già oggi è regolata da norme comunitarie.

In quarto luogo il "contratto di soggiorno" legato al lavoro appare un concetto prevalentemente ideologico: contrariamente a quanto affermato pubblicamente dal ministro Bossi, il testo conferma che l'ingresso in Italia dello straniero avviene non soltanto per lavoro, ma anche per altri motivi (ricongiungimento familiare, asilo ecc.) e inoltre l'art. 13 conferma che in caso di perdita del posto di lavoro lo straniero non è costretto a lasciare il territorio nazionale, ma ha diritto di restarvi per trovare un altro posto di lavoro (anche se il periodo è inopinatamente ridotto a soli 6 mesi, dimenticando così i casi dei corsi di riqualificazione professionale ecc., e legando eccessivamente il destino dello straniero regolarmente soggiornante con l'andemento del mercato del lavoro). 

 

3) l'art. 5 irrigidisce il sistema dei permessi di soggiorno, prescrivendo che la conversione di un permesso di soggiorno in un permesso di soggiorno per lavoro sia sottoposta all'obbligo della sottoscrizione del contratto di lavoro

 

4) l'art. 6 ripristina la sanzione pecuniaria (come già prevedeva il T.U.L.P.S.) nel caso di mancata segnalazione dell'ospitante e del datore di lavoro. Per quest'ultimo caso si tratta di un'inutile duplicazione di adempimenti (già l'ospitante deve fare la denuncia) e di irrigidimento che contrasta con la ripetuta esigenza di flessibilità del mercato del lavoro.

 

5) l'elevamento da 5 a 8 anni della durata del soggiorno regolare quale presupposto richiesto per il rilascio della carta di soggiorno (art. 7) contrasta con gli scopi di integrazione sociale degli stranieri regolarmente soggiornanti e dunque appare un irrigidimento inutile ed è inoltre contrario alla recente proposta di direttiva della Commissione europea sui soggiorni di lunga durata, il cui presupposto di durata massima prevista è proprio 5 anni. Inoltre la norma appare in controtendenza con le recenti leggi di altri Paesi europei (Germania) che prevedono il periodo di 8 anni come presupposto non per il rilascio di un permesso di lunga durata, bensì per la concessione della cittadinanza.

 

6) il potenziamento del coordinamento dei controlli di frontiera previsto dall'art. 8 è teoricamente auspicabile, ma non si comprende perchè sia necessario a tal fine attendere una modifica legislativa.

 

7) le disposizioni penali e processuali contro le immigrazioni clandestine previste nell'art. 9 sembrano riprodurre misure già proposte nella precedente legislatura e introducono il reato di favoreggiamento dell'ingresso a fine di transito verso altri Stati così ponendo fine alla controversa interpretazione riduttiva data dalla giurisprudenza della fattispecie già oggi prevista dall'art. 12 T.U.

 

8) la disciplina dell'espulsione amministrativa prevista dall'art. 10 rende ordinario il regime dell'esecutorità dell'espulsione amministrativa stessa, salvo che nei casi di straniero a cui il permesso sia scaduto da più di 60 giorni e non ne sia stato richiesto il rinnovo, rende più certi i tempi per il nulla osta dell'A.G., raddoppia il periodo di divieto di rientro e trasforma il rientro illegale dell'espulso in delitto (con pene più che raddoppiate e  processo per direttissima). L'esecutorietà immediata dell'espulsione amministrativa - misura che di per sè può essere legittimamente scelta dallo Stato (a condizione di sapere se e come sia effettivamente eseguibile)- è però incostituzionale in questa forma sotto due priofili. In primo luogo viola la riserva di giurisdizione prevista dall'art. 13 Cost.: come ha confermato la sent. n. 105/2001 della Corte costituzionale l'accompagnamento immediato alla frontiera è una misura limitataiva della libertà personale che deve essere disposta e/o convalidata dall'autorità giudiziaria . In secondo luogo si viola la riserva rinforzata di legge prevista dall'art. 10, comma 2 Cost., nella parte in cui si viola l'art. 1 del Prot. n. 7 Conv. eur. dir. uomo del 22 novembre 1984, ratificato e reso esectivo con legge 9 aprile 1990 n. 98, che impone di lasciare agli stranieri già regolarmente soggiornanti un termine per potersi di difendere contro l'espulsione prima che questa sia eseguita.

 

 

9) Il raddoppio a 60 giorni del termine massimo del trattenimento nei centri di permanenza dello straniero espulso o respinto e la previsione di una sanzione penale per lo straniero uscito dal centro alla scadenza che non lasci il territorio nazionale, con ulteriore espulsione coattiva, sono misure che da sole sono di assai dubbia efficacia. Se infatti il problema è la difficoltà di identificazione della persona da allontanare allora tale problema resterà anche dopo che lo straniero sia dimesso dal centro e dunque nessun rimedio è efficace all'ineffettività se non è accompagnato dall'effettiva stipulazione ed entrata in vigore di precisi accordi di riammissione con i Paesi di origine. Con i Paesi con cui simili accordi sono in vigore è più che sufficiente l'attuale termine masssimo di trattenimento di 30 giorni. Ma per stipulare tali accordi non occorre alcuna modifica legislativa, bensì una forte azione del Governo che svolga le opportune azioni nei confronti dei Governi di quei Paesi a livello diplomatico bilaterale e multilaterale. In tal senso la norma si rivela inutilmente costosa, sia in termine di restrizione della libertà personale, sia in termini di oneri finanziari da sostenere per l'estensione del numero dei centri di permanenza (come confermano le stime dell'art. 22).

 

10) La suddivisione per regioni, province e comuni della determinazione dei flussi di ingresso (art. 12) appare irrealizzabile. In primo luogo nel vigente ordinamento i fabbisogni lavorativi sono rilevati a livello provinciale. In secondo luogo non si comprende quale sia l'efficacia di tale suddivisione territoriale, se cioè  finisca per limitare in modo incostituzionale la libertà di circolazione e soggiorno nelle diverse zone del territorio italiano degli stranieri regolarmente soggiornante o la loro possibilità di instaurare rapporti di lavoro.

 

11) La nuova disciplina del lavoro subordinato prevista dagli artt. 13 e 14 in realtà ritorna al passato, ripristinando un sistema che fino al 1998 non ha affatto limitato l'immigrazione, ma al contrario ha determinato un blocco dei nuovi ingressi regolari per lavoro e ha perciò incentivato il ricorso massiccio all'immigrazione clandestina e ha così costretto il legislatore ad intervenire nel 1987, nel 1990, nel 1995 e nel 1998 con provvedimenti di regolarizzazione.

   In primo luogo l'abrogazione degli ingressi per inserimento nel mercato del lavoro dimentica che dal punto di vista antropologico tutte le migrazioni per lavoro (inclusa quella italiana) sono avvenute non tanto attraverso le vie ufficiali, bensì attraverso la cosiddetta "catena migratoria" dei connazionali che aiutano i nuovi ingressi di amici e parenti e ne orientano l'inserimento sociale e lavorativo. In tal senso il fatto che nel 2000 e nel 2001 la maggioranza dei garanti (sponsors) sia stata straniera non è affatto una circostanza da guardare con sospetto (al contrario qualche sospetto di elusione potrebbe far sorgere il garante italiano...), bensì è la conferma che l'inserimento nel mercato del lavoro incanala, controlla e fa venire alla luce il naturale movimento migratorio che altrimenti si affiderebbe a canali criminali e clandestini. A ciò si aggiunga che tale canale è indispensabile per quei tipi di lavori di fiducia che esigono un incontro diretto sul territorio tra datore di lavoro e lavoratore (p. es. lavoro domestico, assistenza alle persone ecc.). La soppressione di tale nuova via appare dunque del tutto controproducente per chi voglia davvero prevenire efficacemente l'immigrazione clandestina.

   In secondo luogo si prevede come unica modalità di ingresso per lavoro subordianto quella tramite l'autorizzazione al lavoro su richiesta di un datore di lavoro italiano. La procedura in realtà riproduce quella già oggi prevista l'art. 22 T.U. (aggiornandola alla recente istituzione degli uffici territoriali del Governo che hanno inglobato anche le Direzioni provinciali del lavoro), ma aggiunge agli obblighi del datore di lavoro quelli di garantire le spese del rientro in patria dello straniero. Tale obbligo - che nella prassi italiana fu in vigore fino al 1986 - costituisce un onere eccessivo e inutile per il datore di lavoro e ciò irrigidisce il mercato del alvoro e finisce con l'incentivare il ricorso all'immigrazione clandestina.

 

12) La previsione dell'espulsione immediata per lo straniero che commercia, produce o distribuisce prodoti falsi e contraffatti non suscita particolari problemi, salva l'esigenza di rispettare la riserva di giurisdizione prevista dall'art. 13 Cost. Ragioni di equità impongono peraltro di interrogarsi se sanzioni aggravate non debbano essere previste anche per il cittadino che allo straniero tali merci consegni.

 

13) L'art. 16 esclude dal ricongiungimento familiare i genitori a carico e i parenti entro il terzo grado, ma la norma si pone in radicale contrasto con la proposta di direttiva sul ricongiungimento familiare in corso di approvazione a livello dell'Unione europea.

 

14) In base all'art. 17 l’accesso alle misure di integrazione sociale è riservato agli stranieri in regola, ma ciò è già previsto dall'art. 40 T.U., salvo che nei casi in cui il sindaco disponga l'accoglienza temporanea in centri di accoglienza di cladestini per ragioni di emergenza. Se questa è la modifica che si vuole occorre allora prevedere altri luoghi in cui ospitare costoro.

 

15) L'ampiamento di 1.500 unità degli organici della Polizia di stato previsto dall'art. 17 può rivelarsi una misura di apparente efficacia. Da un lato è evidente che prima che il nuovo personale sia in funzione occorreranno alcuni anni dall'entrata in vigore della legge per svolgere i concorsi ed addestrare i vinciotori. Dall'altro lato è evidente che tale misura si rivelerebbe comunque inadatta se non fosse accompagnata dall'istituzione di una vera e propria Specialità all'interno della Polizia di Stato (la Polizia di frontiera e dell'Immigrazione) in cui specializzare nel tempo il nuovo e vecchio personale di polizia addetto alle pratiche relative agli stranieri.

 

16) Le disposizioni in materia di asilo previste dagli articoli 20 e 21 appaiono ambigue sotto vari profili. In primo luogo ci si chiede come sia possibile racchiudere in soli due articoli una disciplina così delicata e complessa su un diritto costituzionalmente garantito e sulla quale sono state recentemente approvate direttive comunitarie (non è dato comprendere se il testo si adegui alle direttive cominitarie sugli standard minimi, sulla protezione temporanea e sul Paese di primo asilo). Non a caso il ddl sul diritto d'asilo che era stato approvato dalla Camera il 7 marzo 2001 conteneva circa 20 articoli e ci si chiede se lo stralcio della disciplina complessiva del diritto d'asilo non rasenti una sommarietà eccessiva sul diritto soggettivo dello straniero che è più tutelato sia a livello costituzionale, sia a livello internazionale.

 

 

In conclusione le osservazioni sopra proposte suggeriscono un profondo ripensamento di quel testo sotto due profili.

 

In primo luogo occorrerebbe rinviare ogni modifica legislativa delle materie che siano oggetto di recenti o imminenti norme dell'Unione europea (lavoro, rticongiungimento familiare, asilo)

 

In secondo luogo per conseguire effettivamente gli scopi espressamente indicati nel programma di governo proposto agli elettori - e per evitare effetti del tutto controproducenti - occorrerebbe chiedersi se prima di addivenire a modifiche legislative non sia invece più urgente provvedere a cambiamenti nell'azione diplomatica e nell'attuazione delle norme vigenti, utilizzando a tal fine l'amplissima discrezionalità che esse lasciano al Governo in carica.

 

Sarebbe auspicabile che un Governo che aveva dichiarato di rappresentare una svolta in tutte le politiche cominci con il cambiare una prassi che è stata comune a tutti i Governi e i Parlamenti della Repubblica: illudere la pubblica opinione e/o illudersi che per ottenere un cambiamento di politiche pubbliche sia sufficiente elaborare un disegno di legge e farlo approvare dal Parlamento senza approfondire se le nuove norme siano davvero necessarie ed efficaci per ottenere gli scopi che si prefigge o, meglio, se occorra un nuovo intervento legislativo o se invece sia più efficace un'impegnativa azione politica, amministrativa e diplomatica per dare una diversa o migliore attuazione alle norme vigenti.

 

Poichè infatti i movimenti migratori non si arrestano certo a seguito di innovazioni delle politiche pubbliche, ma ad essi si adeguano (nel bene e nel male), scelte più ponderate e lungimiranti eviterebbero di far scoprire fra qualche anno che nulla è cambiato e che anzi il fenomeno migratorio resta in gran parte disordinato a causa di improvvide scelte legislative che magari hanno finito per agevolare ancor più quell'immigrazione illegale che volevano evitare.  

 

 

Paolo Bonetti