VERSO UNA POLITICA EUROPEA DELL’IMMIGRAZIONE ED UN REGIME COMUNE IN MATERIA DI ASILO

 

 

1. UNA “RIVOLUZIONE” IN CORSO

 

a)     Con le due comunicazioni su IMMIGRAZIONE ed ASILO presentate dalle Commissione a fine novembre 2000 si è compiuto, attraverso la proposta di una strategia di medio-lungo termine, un passo importante sulla strada di un ruolo di governo dell’UNIONE EUROPEA su questioni da tempo riconosciute come comuni ma tuttora mantenute all’interno delle regole della sovranità nazionale.

L’innovazione è di rilievo “costituzionale” ed è sintomo di un cambiamento radicale ed in gran parte irreversibile, maturato tutto sommato in un arco di tempo assai breve, per il quale non è fuori luogo il termine “rivoluzione”. Nelle pagine che seguono, la “rivoluzione” in atto verrà analizzata tentando di metterne a fuoco cause, contenuti ed esiti possibili.

 

b)     Il Trattato CE, modificato dal Trattato di Amsterdam, definisce nel titolo IV, articoli 61, 62 e 63, gli ambiti di intervento per la costruzione dello spazio comune di liberà, giustizia e sicurezza. Per quel che riguarda l’immigrazione gli obiettivi da raggiungere entro il 2001 riguardano:

-       misure volte ad assicurare la libera circolazione delle persone…insieme a misure di accompagnamento direttamente collegate in materia di controlli alle frontiere esterne, asilo e immigrazione;

-       misure volte a garantire, …che non vi siano controlli sulle persone, sia cittadini dell’Unione sia cittadini dei paesi terzi, all’atto dell’attraversamento delle frontiere interne;

-       norme e procedure cui gli Stati membri devono attenersi per l’effettuazione di controlli sulle persone alle frontiere esterne;

-       regole in materia di visti relativi a soggiorni previsti di durata non superiore a tre mesi;

-       misure che stabiliscono a quali condizioni i cittadini dei paesi terzi hanno libertà di spostarsi all’interno del territorio degli Stati membri per un periodo non superiore a tre mesi;

-       condizioni di ingresso e soggiorno e norme sulle procedure per il rilascio da parte degli Stati membri di visti a lungo termine e di permessi di soggiorno;

-       immigrazione e soggiorno irregolari, compreso il rimpatrio delle persone in soggiorno irregolare;

-       misure che definiscono con quali diritti e a quali condizioni i cittadini dei Paesi terzi che soggiornano legalmente in uno Stato membro possono soggiornare in altri Stati membri.

Il quadro strategico per la comuntarizzazione nell’ambito della costruzione di uno “Spazio comune di libertà, giustizia e sicurezza” viene definito al vertice di Tampere del 15-16 ottobre 1999, le cui conclusioni, insieme al Piano d’Azione approvato dal Consiglio Europeo di Vienna del 1998, formano altresì le basi per il “Programma di lavoro” della Commissione e degli Stati membri.

Vale la pena di sottolineare il carattere insieme fondativo e strategico attribuito alle decisioni del vertice dei capi di governo a Tampere, peraltro il primo della storia dell’Europa Unita dedicato esclusivamente alle politiche costitutive dello “Spazio di libertà, sicurezza e giustizia”, cioè l’innovazione istituzionale più grande del Trattato di Amsterdam.

Alle conclusioni di Tampere fa normalmente riferimento tutta la produzione politica-legislativa che si è avviata nell’anno in corso in materia di immigrazione e asilo (così come nei settori giustizia e lotta al crimine) e costituisce, sul piano politico, un importante elemento comune di partenza tra le istituzioni e i Paesi membri.

Le conclusioni di Tampere individuano alcuni principi fondamentali o “capisaldi”:

la libertà garantita ai cittadini europei "non dovrebbe tuttavia, essere considerata appannaggio elusivo dei cittadini dell’Unione” e ciò richiede "che l’Unione elabori politiche comuni in materia di asilo e immigrazione, considerandone nel contempo l’esigenza di un controllo coerente alle frontiere esterne per arrestare l’immigrazione clandestina e combattere coloro che la organizzano commettendo reati internazionali ad essa collegati”.

Insieme, vengono definiti gli “elementi di una politica comune in materia di ASILO E MIGRAZIONE”:

1)            Partenariato con i Paesi di origine

2)            Regime comune in materia di asilo

3)            Equo trattamento dei cittadini dei Paesi terzi

4)            Gestione più efficace dei flussi migratori

 

 

Di particolare interesse sono l’affermazione (punto 11) della “necessità di un approccio generale al fenomeno della migrazione che abbracci le questioni connesse alla politica, ai diritti umani ed allo sviluppo dei Paesi e Regioni di ripresa e di transito” e l’orientamento secondo cui, ai fini dell’equo trattamento, “alle persone che hanno soggiornato legalmente in uno stato membro per un periodo di tempo da definire e che sono in possesso di un permesso di soggiorno di lunga durata dovrebbe essere garantita in tale Stato membro una serie di diritti uniformi il più possibile simili a quelli di cui beneficiano i cittadini dell’UE, ad esempio il diritto ad ottenere la residenza, ricevere un’istruzione, esercitare un’attività in qualità di lavoratore dipendente o autonomo; va inoltre riconosciuto il principio della non discriminazione rispetto ai cittadini dello Stato di soggiorno. Il Consiglio europeo approva l’obiettivo di offrire ai cittadini dei Paesi terzi che soggiornano legalmente in maniera prolungata l’opportunità di ottenere la cittadinanza dello Stato membro in cui risiedono”.

Altrettanto rilevanti le indicazioni per un approccio comprensivo alla questione di come gestire i flussi migratori (cooperazione tra i paesi di origine e transito, politica comune in materia di visti e documenti falsi, lotta alla tratta di esseri umani ed allo sfruttamento economico di migranti, cooperazione ed assistenza tecnica tra i servizi degli stati membri alle frontiere).

Inoltre, su mandato di  Tampere, la Commissione ha avviato un meccanismo di attuazione e di verifica attraverso la presentazione di un quadro di controllo (lo “scoreboard”) col compito di esaminare puntualmente “i progressi compiuti per attivare le misure necessarie a rispettare le scadenze” fissate dal Trattato. Lo “scoreboard” si distingue per un approccio fortemente pragmatico ed operativo e per l’aspirazione a trasformarsi in uno strumento di pianificazione permanente rivolto all’esterno e trasparente.

 

 

2. IL NUOVO APPROCCIO INTEGRATO

 

Già nelle conclusioni di Tampere veniva affermata la necessità di un nuovo approccio globale (“A new comprehensive approach”) in chiara discontinuità con le politiche fin qui seguite a partire dagli anni ‘70.

Si stava già allora (ottobre 1999) sviluppando una riflessione critica che sarebbe poi ulteriormente continuata nel corso del 2000, rilanciata e rafforzata dalla concreta evidenza dei trend economici e demografici.

Nonostante le diffidenze e la riluttanza degli Stati membri a cedere porzioni di sovranità in un settore delicatissimo, cominciava a delinearsi una consapevolezza sempre più profonda delle interdipendenze che legano gli Stati membri tra loro di fronte alle sfide transnazionali rappresentate dalle migrazioni forzate di massa e dalle migrazioni clandestine (le due categorie di fenomeni, peraltro, tendono sempre più spesso a sovrapporsi).

Si è cioè cominciato anche a livelli politici (Commissione, Consiglio, Stati membri) a interrogarsi se le politiche basate sulla restrizione degli ingressi a limitate categorie di persone, mantenendo nel contempo l’ammissione per ragioni umanitarie, siano ancora compatibili con le esigenze dell’Europa all’inizio del 21° secolo.

Molti paesi stanno sperimentando processi di alta crescita economica, che rinviano a crescenti pressioni da parte del mondo economico per riaprire canali legali di immigrazione. Paesi come la Germania, l’Olanda, l'Irlanda, l'Italia, la Spagna ed il Regno Unito, hanno già in corso dei programmi di ammissione di lavoratori stranieri per colmare i vuoti in certi settori che risentono della carenza di manodopera.

E’ significativo in tale contesto che perfino i ministri europei degli interni e della giustizia (a cui finora è stata affidata la primaria se non esclusiva responsabilità di governo dei processi di immigrazione in forza dell’approccio di mero controllo) nel recente Consiglio Giustizia e Affari Interni di Marsiglia (28 Luglio 2000), hanno cominciato a ipotizzare politiche più rispondenti alle necessità correnti del mercato del lavoro.

A Tampere il Consiglio aveva concordato di "procedere sulla base di una valutazione comune sia degli sviluppi economici e demografici all’interno dell’Unione, sia della situazione nei Paesi d’origine, tenendo conto non solo delle capacità di accoglienza dei singoli Stati membri, ma anche dei loro legami storici e culturali con tali Paesi". Su questa base la Commissione definisce il suo nuovo approccio:

 

(…) non è possibile definire un’impostazione integrata in materia di immigrazione senza considerare gli effetti di tali politiche sulla società ospitante e gli immigrati stessi. Le condizioni sociali che questi devono affrontare, l’atteggiamento della popolazione ospitante e la presentazione da parte dei leaders politici dei vantaggi della diversità e delle società pluralistiche sono fondamentali per il successo delle politiche dell’immigrazione. Pertanto – e i due aspetti sono strettamente connessi – la presente comunicazione affronta anche l’integrazione politica nel contesto definito a Tampere, in particolare l’equo trattamento dei cittadini dei Paesi terzi che soggiornano legalmente nell’Unione e la promozione della diversità. A tale riguardo viene anche esaminata l’incidenza della Carta fondamentale dei diritti.

 

Sono qui da rilevare soprattutto la presa in considerazione degli effetti economici sui Paesi sia di accoglienza che di origine e la riaffermazione della necessità anche per garantire una buona gestione dei flussi migratori, di politiche per l’equo trattamento dei cittadini di Paesi terzi.

 

 

3. GLI ASSI FONDAMENTALI DELL’APPROCCIO INTEGRATO

 

 

Si considera innanzitutto necessario sviluppare una politica maggiormente “proattiva” che riconosca che la pressione migratoria è destinata a continuare, e che ci sono benefici che una “ordinata immigrazione” può portare all’Europa, agli stessi migranti ed anche ai loro paesi di origine. In un tale contesto di crescita “governata” dell’immigrazione legale il superamento dell’opzione zero non solo non avrebbe effetti negativi, ma nei fatti potrebbe contribuire alla crescita sia economica che demografica.

Per realizzare tali benefici, comunque, l’immigrazione dovrebbe essere vista come un processo flessibile di movimento fra paesi piuttosto che un flusso unidirezionale. Nell’ambito di un tale scenario i movimenti migratori possono cambiare direzione, aumentare o diminuire in relazione alla evoluzione delle condizioni economiche e demografiche, tanto nei paesi di accoglienza, che in quelli di emigrazione. Allo scopo di governare e gestire i flussi con successo e tagliare l’immigrazione illegale, l’Unione Europea deve adottare un approccio coordinato con i paesi di origine.

I benefici di una politica più aperta e più flessibile combinata con il coordinamento delle politiche chiamate a ridurre i “push factors” nei paesi di origine ed a rafforzare i controlli di frontiera, avrebbe anche il positivo effetto di ridurre l’immigrazione illegale. La disponibilità di canali legali addizionali per l’immigrazione potrebbe inoltre portare ad una riduzione della pressione sul sistema dell’asilo a tutto beneficio dei casi davvero bisognosi di protezione.

Le conclusioni derivate da questa premessa portano la Commissione a delineare una politica “comprehensive”, affrontando tutti i temi (economici, sociali, politici ed umanitari) legati al fenomeno migratorio e quindi prospettando la necessità di un forte coordinamento tra l’azione dei governi e i partners sociali, le associazioni, le autorità locali e regionali.

Gli assi di questo “new comprehensive approach” sono per la Commissione costituite da cinque politiche:

a)     Nuovi canali per l’immigrazione legale

b)    Lotta all’immigrazione illegale

c)     Politiche di immigrazione a largo spettro

d)    Partnership con i paesi di origine

e)     Ammissione per ragioni umanitarie.

 

3.1 Nuovi canali per l’immigrazione legale

Una immigrazione selezionata, che vada incontro ai fabbisogni economici sia di manodopera qualificata che non, è già praticata in numerosi paesi.

Tenuto conto della attuale situazione del mercato del lavoro e della contingenza economica, la Commissione ritiene che sia giunto il momento di rivedere i fabbisogni sul lungo periodo dell’Unione nel suo complesso, di fare una stima della capacità di assorbimento delle attuali risorse e di definire una politica che consenta l’ingresso di cittadini extracomunitari da impiegare in quei settori che maggiormente  richiedono manodopera.

Questo costituisce inoltre un’opportunità per rafforzare le politiche che combattono forme di lavoro irregolare in conformità con le norme già esistenti che regolamentano i rapporti tra lavoratori di paesi terzi e datori di lavoro.

Numerose sono le questioni-chiave poste da un simile approccio che richiedono una risoluzione a livello europeo: stabilire o meno delle quote per particolari settori e fissare i criteri per il processo di selezione (a carico dei governi nazionali o delle forze economiche); discutere lo status da concedere agli immigrati in base alla durata del loro soggiorno (a differenti periodi di permanenza deve corrispondere una diversa  tipologia di permesso per permettere agli immigrati di mantenere i contatti con il proprio paese di origine); predisporre strumenti per mitigare gli effetti che questa politica può produrre sui paesi d’origine (in particolare per la perdita di personale altamente qualificato) e assicurare che i benefici si mantengano nel lungo periodo.

 

3.2   Combattere l’immigrazione illegale

La Commissione ritiene che una politica più trasparente e aperta nei confronti della immigrazione legale eviterà il massiccio ricorso alla modalità della richiesta di asilo (attualmente il principale canale di ingresso legale) e ridurrà le pressioni che alimentano l’immigrazione illegale, il traffico di esseri umani, l’ingresso clandestino e lo sfruttamento economico dei migranti.

Una più stretta collaborazione tra gli Stati Membri finalizzata ad un puntuale controllo delle frontiere esterne dell’Unione, l’armonizzazione della legislazione penale e la lotta alle organizzazione criminali, come stabilito nel Quadro di Controllo, contribuirà a ridurre l’immigrazione illegale.

 

 

 

3.3   Equo trattamento dei cittadini extracomunitari e politiche di integrazione

Basato anch’esso sulle conclusioni di Tampere, il principio di equo trattamento ha già trovato un’espressione legislativa apprezzabile prima nell’art. 13 del Trattato CE e pio nelle conseguenti misure legislative (Direttiva 2000/43 che stabilisce il principio dell’equo trattamento, Direttiva che stabilisce un quadro per l’eliminazione della discriminazione nel mercato del lavoro, Programma d’azione contro le discriminazioni). La Commissione si dimostra qui consapevole che tuttavia le misure varate non sono ancora sufficienti, e soprattutto che mancano le misure necessarie per avviare e garantire processi efficaci di integrazione. L’adozione di una tabella di marcia (“scoreboard”) impegnativa, e finora rispettata, è stata senza dubbio un passo importante. Sembrano però ancora lontane, soprattutto a seguito delle riserve di alcuni Stati membri, misure fondamentali come la Direttiva sul ricongiungimento familiare e quella sulle procedure d’asilo; e ancor più quelle sui diritti dei residenti di lungo termine e sui diritti dei cittadini di Paesi terzi non in regola con le norme sull’ingresso e il soggiorno.

 

3.4   Partnership con i Paesi di origine

Il Consiglio di Tampere ha stabilito che sviluppare un approccio multisettoriale sul tema dell’immigrazione significa affrontare le questioni dei diritti umani e dello sviluppo in collaborazione con i paesi d’origine.

Fino ad ora, infatti, lo studio delle modalità per ridurre i fattori di spinta all’immigrazione nei paesi di origine  è stato  focalizzato unicamente sullo sviluppo economico.

Un passo iniziale in controtendenza è stato fatto con il nuovo approccio integrato stabilito dal lavoro del Gruppo ad Alto livello sull’Asilo e l’Immigrazione che ha elaborato sei piani di azione per paesi o regioni specifiche, basati su un approccio coerente che comprende il dialogo con i paesi coinvolti, la cooperazione e il co-sviluppo.

Il co-sviluppo è un’idea innovatrice che configura uno sviluppo parallelo e sinergico del Paese di origine e di quello di destinazione, in cui il migrante funge da scintilla iniziale e da fattore trainante. Occorre peraltro dare una definizione più accurata del co-sviluppo per poterlo valutare bene.

 

3.5  Ammissione per ragioni umanitarie

Il diritto a richiedere asilo deve essere tutelato. Come stabilito nel Consiglio di Tampere, l'obiettivo del sistema di politica di asilo comune deve essere la piena applicazione della Convenzione di Ginevra e, sul lungo periodo, la creazione di una procedura di asilo comune e di uno status uniforme in tutta l'Unione.

La Commissione ha presentato una proposta per un regime di protezione temporanea degli sfollati e dei profughi che necessitano di una protezione internazionale. Al contempo, il Consiglio sta discutendo la proposta della Commissione per stabilire un Fondo Europeo per i Rifugiati e promuovere un bilanciamento degli sforzi tra gli Stati membri nel ricevere rifugiati e profughi. Comunque la strategia in materia è trattata dalla Comunicazione specifica.

 

 

4. ALCUNE PRIME VALUTAZIONI POLITICHE

 

Un'accoglienza positiva

In generale la Comunicazione è stata accolta in modo positivo nei diversi ambienti (Governi, forze economiche e sociali, associazioni e mondo della ricerca) sia pure con livelli diversi di approfondimento e di adesione.

Probabilmente le due caratteristiche più innovative (la definizione di una strategia a medio-lungo termine e l'infrangersi di un tabù pluridecennale come l'"opzione zero") hanno confermato di rispondere a esigenze ormai mature e diffuse.

In più, il carattere giustamente "aperto" dato al documento e l'intenzione dichiarata di favorire un dibattito ampio ed articolato nel corso di tutto il 2001, fino alla conferenza prevista per novembre sotto presidenza belga, hanno fornito a chi ne aveva bisogno garanzie di gradualismo e di partecipazione.

Pur con alcuni distinguo, non secondari, di qualche delegazione, a fine dicembre il Comitato Strategico su immigrazione ed asilo del Consiglio ha espresso un "giudizio largamente positivo" sia per quanto riguarda "l'analisi del fenomeno che la strategia (…) e gli strumenti che intende presentare per la sua messa in opera".

In modo ancora informale, anche le reti europee di ONG interessate hanno espresso soddisfazione per la nuova impostazione, pur riservandosi di far conoscere le proprie valutazioni critiche.

 

Necessità di garantire nella fase di attuazione l'approccio integrato

Si tratta di una vera e propria questione politica preliminare, da cui dipende la credibilità stessa della strategia proposta ed il raggiungimento degli obiettivi dichiarati.

I ritardi di approvazione delle direttive su ricongiungimento famigliare e procedure d'asilo sono un campanello d'allarme inquietante, soprattutto sulla sorte dei provvedimenti-chiave annunciati (come la direttiva sui diritti dei residenti di lungo termine) per realizzare l'approccio integrato.

Il rischio è quello del determinarsi di una sfasatura pericolosa per la coesione sociale tra nuove politiche di ammissione e politiche di integrazione.

Un secondo nodo problematico sta nella necessità che a questa nuova impostazione integrata corrispondano forme di coordinamento tra settori del tutto a livello UE.

Lo stesso problema vale all'interno di ogni Stato membro, dato che le politiche migratorie nazionali dovranno concorrere a realizzare l'approccio integrato: ed anche qui le cose non paiono essere soddisfacenti.

Uno strumento rilevante di supporto alla volontà politica di mantenere stretto il legame tra gestione dei flussi e integrazione di migranti può e deve essere il coinvolgimento costante delle ONG tanto al livello europeo quanto ai diversi livelli nazionali e regionali.

La pressione delle associazioni per la messa in opera di politiche di integrazione potrebbe efficacemente bilanciare la pressione delle opinioni pubbliche per una politica solo di controllo. La prevalenza di questo orientamento ha infatti già provocato, nell'esperienza di alcuni Stati membri, l'incompleta applicazione di leggi anche complessivamente equilibrate e positive, limitandone l'efficacia operativa e politica.

 

La questione della ripartizione dei poteri/competenze ed oneri tra Unione Europea e Stati membri

È una questione su cui la discussione va lasciata aperta, onde favorire un processo graduale di ridefinizione dei ruoli tra EU e Stati membri, cercando di privilegiare l'obiettivo dell'integrazione e del coordinamento (e quindi della funzionalità) rispetto alla dialettica formalistica tra le competenze. Pare in linea generale appropriato attribuire la definizione della policy a livello europeo e la messa in opera del programma attuativo agli Stati membri.

Le politiche europee dovrebbero comprendere un certo numero di parametri e stabilire chiaramente le responsabilità degli Stati membri, riconoscendo anche il ruolo delle autorità regionali e locali e quello degli stessi migranti.

Ovviamente una condizione essenziale di esercizio in comune delle politiche è data dalla equa soluzione del problema del "burden sharings".

 

Criteri e meccanismi di ammissione

La scelta della Commissione di non fissare obiettivi europei dettagliati, lasciando agli Stati membri la competenza a decidere, appare sensata, soprattutto alla luce del meccanismo di cooperazione/concertazione che si propone agli Stati membri di introdurre.

Tale meccanismo prevederebbe un sistema flessibile di obiettivi indicativi al posto della quota e un metodo di relazioni periodiche da presentare ala Commissione che ne dovrebbe trarre elementi di sintesi, utili per impostare le politiche del periodo successivo (come si vede, si tratta di una procedura simile a quella dei piani nazionali per l'occupazione introdotta dal Consiglio di Lussemburgo del '98).

Per quanto riguarda la definizione di un quadro giuridico comune per l'ammissione, gli impegni assunti nello "scoreboard" (direttiva su condizioni di ingresso e soggiorno per lavoro, studio e formazione) vanno sollecitati.

 

L'ammissione per motivi economici

Anche se va riconosciuto e ribadito il "merito storico" delle ragioni, dell'economia e del mercato del lavoro. Nell'apertura di nuovi canali legali di immigrazione, occorre comunque evitare una lettura schematica che risulti una eccessiva concessione alla considerazione degli immigrati principalmente come forza lavoro. Non solo perché ci sono le atre due grandi componenti degli ingressi (ragioni umanitarie e ricongiungimenti famigliari) che la Commissione, sia con un po’ di sottoesposizione, ci ricorda. Ma anche e soprattutto per il rischio che la soggezione alle regole del mercato, se esasperata, finisca per aprire la strada da un lato a un principio di "diritto di selezione" non del tutto in linea con i principi in materia di diritti fondamentali (e soprattutto potenzialmente costitutivo di un pericoloso precedente) e dall'altro ad una riduzione dell'attenzione alle esigenze dei migranti stessi e dei loro Paesi, subordinate ai bisogni del mercato del lavoro europeo.

Andrebbe anche usato, forse, per riequilibrare un po' l'impostazione, l'argomento che, tra gli effetti economici documentati dalle ricerche va segnalato che gli immigrati contribuisconi ai sistemi di welfare più di quanto non li usino. Infatti pagano come tutti, ma sono generalmente più giovani e più sani della media degli autoctoni. Il risultato è che usano come gli altri alcuni servizi (disoccupazione, cassa integrazione, istruzione, asili), meno alcuni altri (sanità) e quasi per nulla altri ancora (pensioni). L'effetto è quindi un miglioramento dei conti della sicurezza e protezione sociale.

 

Lo statuto per i residenti di lunga durata: verso una "cittadinanza civile"

È questo uno dei pilastri essenziali del nuovo approccio integrato, quindi della stessa strategia politica proposta. È questa, del resto, una delle sfide lanciate da Tampere sulla base legale degli artt. 63.3 e 63.4 del Trattato.

In attesa della proposta di direttive che la Commissione si appresta a presentare, si potrebbero già individuare alcuni caratteri fondamentali di tale statuto.

Oltre all'eguaglianza di trattamento con i cittadini europei su alcuni diritti essenziali (lavoro, sicurezza e assistenza sociale, scuola dell'obbligo, diritto di associazione) la conseguenza connessa più importante è il diritto di libera circolazione e di soggiorno in un altro Stato membro.

Tra le altre misure di integrazione, va ribadita l'importanza delle forme di partecipazione politica ed in particolare del diritto di voto alle elezioni amministrative, ormai riconosciuto in 6 Stati membri (Svezia, Danimarca, Irlanda, Olanda e da poco Spagna e Belgio - sia pure con la sola riforma costituzionale -).

Più in generale, con questo percorso avviato da Tampere e più che matura nella realtà di una migrazione stabilmente insediata e partecipe, si fa ormai strada il concetto di "cittadinanza civile".

 

La nozione di co-sviluppo

Nata recentemente di fronte al fenomeno crescente della mobilità in una sfera transnazionale, va però liberata dalle possibili ambiguità che la espongono a strumentalizzazioni (spesso sintetizzate nel luogo comune: «aiutiamoli a casa loro»). Si tratta invece di affermare che, alle tradizionali politiche di integrazione basate sulla progressiva acquisizione di diritti, è urgente affiancare iniziative che favoriscano la "integrazione circolare" e valorizzino le potenzialità degli attori immigrati.

È molto interessante quanto affermato dal Presidente Prodi in un recente intervento a proposito delle migrazioni transmediterranee e delle politiche relative:

           L'immigrazione deve diventare un mezzo per promuovere lo sviluppo. Negli anni a venire, il fabbisogno europeo di nuovi lavoratori è destinato a crescere, insieme ai flussi migratori. Soltanto attraverso uno sforzo congiunto da entrambi i lati del Mediterraneo, sarà possibile gestire questa situazione, godendone i benefici potenziali. Le politiche in materia di immigrazione non devono essere puramente reattive, ma orientate al lungo periodo e finalizzate alla creazione, nell'arco dei prossimi trent'anni, di un'area integrata di circa 900 milioni di persone.

 

Altri importanti impegni in questa direzione sono contenuti nella Strategia comune dell'Unione Europea per la Regione Mediterranea, adottata dal Consiglio Europeo di Feira nel giugno 2000:

Lavorando a partire dall'acquis del processo di Barcellona e dalle Conclusioni del Consiglio Europeo di Tampere, l'UE si impegna a:

-       promuovere la trasparenza e l'affidabilità dei sistemi normativi dei Paesi partner al fine di incoraggiare gli investimenti stranieri e di incoraggiare i migranti regolari ad avviare attività in favore del co-sviluppo dei Paesi d'origine;

-       assicurare che le norme in materia di trasferimento dei profitti siano liberalizzate e trovare soluzioni per evitare la doppia tassazione, specialmente nei confronti dei migranti regolari e dei doppi cittadini; […]

-       lavorare con i partner mediterranei per affrontare la questione migratoria, prendendo pienamente in considerazione le realtà economiche, sociali e culturali che questi ultimi hanno di fronte. Un tale approccio richiede la lotta alla povertà, il miglioramento delle condizioni di vita e delle opportunità di impiego, la prevenzione dei conflitti, il consolidamento delle istituzioni democratiche e la garanzia del rispetto dei diritti umani;

-       sviluppare un approccio comune per garantire l'integrazione sociale dei cittadini degli Stati partner mediterranei che abbiano soggiornato legalmente in uno Stato membro per un certo periodo e siano titolari di un titolo di soggiorno di lunga durata, con l'obiettivo di dotarli di uno status giuridico paragonabile a quello dei cittadini europei.