Documento programmatico relativo alla politica dell’immigrazione e degli stranieri nel territorio dello Stato, a norma dell’art. 3 della legge 6 marzo 1998,n.40.

2001-2003

 

 

 

 

 

 

 

Approvato dal Consiglio dei Ministri il 15-03-2001

 

 

 

 

 

 

Indice

 

Introduzione

p.   2

Capitolo I: Gli immigrati in Italia oggi: un bilancio

p.   8

Appendice 1 (ISTAT): Gli immigrati regolarmente presenti al 1° gennaio 2000

p. 19

Capitolo II: Contrasto dell’immigrazione illegale

p. 25

Appendice 2: statistiche

p. 36

Capitolo III: Azioni e interventi sul piano internazionale

p. 39

Capitolo IV: Politiche di integrazione

p. 50

Capitolo V: Linee generali per la definizione dei flussi di ingresso nel   territorio italiano

p. 62

Appendice 3: Elementi conoscitivi di supporto alla definizione dei flussi di ingresso nel territorio italiano, 2001-2003

p. 72

Appendice 4:flussi di lavoratori extracomunitari nel 2000, (Ministero dell’Interno)

p. 86

Principali direttrici d’azione

p. 87

 

 

 


Introduzione

 

  1. Un fenomeno globale e strutturale.

I movimenti migratori sono un fenomeno molto visibile della nostra epoca, ma non per questo nuovo. L’Italia è diventata paese di immigrazione netta in maniera stabile solo dal 1972, mentre prima di allora aveva assistito all’emigrazione di fortissimi contingenti di concittadini, fino a 800.000 all’anno nel periodo più grave del fenomeno. Nel valutare le politiche specifiche condotte a livello locale, nazionale ed europeo, non si può né dimenticare la nostra storia né perdere di vista la dimensione complessiva del problema migratorio. La situazione che l’Italia affronta non è una particolarità nazionale risolvibile in maniera isolata. Vi sono oggi 150 milioni di emigranti e di rifugiati nel mondo, presenti in tutti i paesi ricchi. Secondo l’OIM tra il 1970 ed il 1990 i paesi oggetto di afflussi massicci di migranti sono passati da 39 a 67, mentre quelle origine di flussi importanti sono passati da 29 a 55.

 

Le cause di questi movimenti sono le crescenti disuguaglianze tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo, la povertà, la sovrappopolazione, i conflitti bellici e l’oppressione politica che spingono verso la ricerca di un mondo migliore. Secondo la Banca Mondiale, il reddito pro capite nei 20 paesi più ricchi del mondo è 37 volte quello nei venti paesi più poveri, ed il differenziale è raddoppiato negli ultimi 40 anni. In aggiunta alle forze che spingono all’emigrazione in maniera strutturale e regolare, negli anni novanta i cambiamenti di regime nei paesi dell’Europa centro-orientale hanno portato ad un ulteriore ondata migratoria, che sta però già perdendo di intensità.

 

In questo frangente, l’Italia è particolarmente esposta a causa delle sua caratteristica di frontiera esterna dell’Unione europea e della sua posizione geografica al centro del Mediterraneo, che mette in comunicazione Europa, Africa e Asia, con una lunghissima frontiera marittima. Alla grande conquista del diritto garantito ai nostri cittadini di poter circolare liberamente all’interno dei Paesi aderenti all’accordo di Schengen ha corrisposto l’esigenza di rafforzare il controllo delle frontiere italiane verso i paesi extra-U.E.

 

            Al di là delle esasperazioni legate a episodi di criminalità, gravi e da non sottovalutare ma non rappresentativi dell’insieme della popolazione immigrata, è necessario mantenere una visione obbiettiva del fenomeno migratorio, impegnandosi sia nella difesa dell’ordine pubblico e della sicurezza dei cittadini, che nell’integrazione degli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia. Volersi sottrarre con un atteggiamento di chiusura alle trasformazioni rese necessarie dall’immigrazione non è né possibile, né lungimirante. Solo una politica di apertura limitata e governata, nel rispetto delle leggi che regolano l’entrata nel paese, con un graduale processo di integrazione commisurato alle capacità di accoglienza dell’Italia, è in grado di contenere la pressione migratoria proveniente dal resto del mondo. In caso di chiusura o di restringimento dei canali legali di accesso all’Italia, si inasprirebbe la pressione delle entrate irregolari, con tutte le ovvie conseguenze in termini di maggiori opportunità per i mercanti di esseri umani e per le organizzazioni criminali.

 

            Il fenomeno migratorio regolare inoltre si manifesta in almeno tre diverse forme, troppo spesso confuse nella comunicazione mediatica e politica quotidiana, ma che richiedono politiche differenziate. Si tratta di lavoratori stranieri, di rifugiati, richiedenti asilo e protezione temporanea per motivi umanitari ed infine di ricongiungimenti familiari. Il governo italiano programma i flussi di lavoratori extracomunitari, in funzione delle esigenze del mercato del lavoro, ma non può contingentare i diritti umani (diritto al ricongiungimento familiare e diritto di asilo), per la cui protezione ha sottoscritto convenzioni internazionali (dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo alla Convenzione di Ginevra, alla Convenzione di Dublino e alla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea) e accordi multilaterali, impegnandosi al rispetto di valori europei in merito, ribaditi anche dal recente rapporto dei saggi UE sulle sanzioni contro l’Austria..

 

  1. Un fenomeno problematico, da disciplinare con rigore e realismo

L’applicazione della legge 40/1998 (Napolitano-Turco) ha permesso di contrastare con determinazione l’immigrazione irregolare grazie all’adozione di nuove misure specifiche. Il problema non è risolto, così come non è risolto in nessun paese europeo, né negli Stati Uniti, ma è tenuto sotto controllo con maggiore successo. Nel triennio 1998-2000, l’azione istituzionale volta a contrastare le diverse forme di illegalità connesse, a vario titolo, ai fenomeni migratori ha conosciuto un deciso salto di qualità, di cui si vedono importanti risultati.

 

In primo luogo, è stato rafforzato il sistema dei controlli alle frontiere nazionali, sia sotto il profilo delle risorse umane ad esso destinate, sia sotto il profilo della tecnologia utilizzata, acquistata anche avvalendosi di risorse comunitarie (radar mobili, sale operative informatizzate, sistemi radio, mezzi blindati etc.). I risultati di questo potenziamento sono tangibili, sotto forma di controllo del fenomeno e di un cospicuo aumento, del numero complessivo dei migranti clandestini respinti alla frontiera o in prossimità di essa.

 

       E’ proseguita, inoltre, l’azione volta a spostare i controlli al di fuori del territorio nazionale, verso i paesi di origine e di transito. Da questo punto di vista, il rinnovo recente (luglio 2000) dell’accordo di cooperazione di polizia con l’Albania ha un valore strategico.I risultati che sono stati raggiunti sull’altro versante Adriatico dalla missione bilaterale che ha visto la collaborazione delle forze di polizia italiane con la polizia albanese sono stati molto importanti. La “fascia di sicurezza” che stiamo costruendo intorno al nostro paese si va ampliando e rafforzando.

 

Oltre ai controlli “a monte”, è stata potenziata anche l’attività volta a contrastare l’immigrazione clandestina “a valle”, ossia dopo l’ingresso sul territorio nazionale. In particolare, nel triennio sono stati fatti passi avanti decisivi sul terreno delle espulsioni. Grazie a un’azione di controllo sempre più intensa e capillare sul territorio nazionale, accompagnata da un intenso sforzo diplomatico volto a sottoscrivere e a rendere operativi accordi di riammissione con tutti i maggiori paesi di emigrazione e di transito verso l’Italia. Dal 1997 sono entrati in vigore quindici accordi di riammissione e sette altri sono stati firmati, mentre sono attualmente in corso negoziati con sette paesi e contatti con cinque. Per dare piena efficacia a tali accordi ed intrecciare rapporti di solida e costante cooperazione con i paesi di provenienza, sono stati messi a punto veri e propri pacchetti di misure, che possono includere, a seconda dei casi, assistenza diretta, cooperazione allo sviluppo, ma anche quote privilegiate di immigrazione di lavoratori.

 

Un ausilio importante in questo campo è venuto dalla realizzazione delle rete periferica di collegamento con le Questure del sistema AFIS, per il confronto elettronico di impronte digitali, per il quale le risorse aggiuntive sono state previste proprio dalla legge n.40/1998.

 

            Dal 1998 è aumentato significativamente sia il numero di irregolari espulsi con intimazione (cresciuti da 44.000 a 53.000), che di quelli rimpatriati, per i quali si ha la certezza che siano stati allontanati dal territorio nazionale (72.000 nel 1999 e 56.000 nei primi dieci mesi del 2000 contro 54.000 nell’intero 1998). Il numero di sbarchi è calato fortemente sia sulle coste pugliesi in provenienza dall’Albania che su quelle siciliane in provenienza dalla Tunisia, a conferma dell’importanza della collaborazione bilaterale avviata con i due paesi. Rimane preoccupante la dimensione del fenomeno dei flussi provenienti dall’Albania e dalla Turchia, ma che in larghissima parte riguarda soggetti provenienti da paesi e da situazioni che legittimano una richiesta di asilo o di protezione umanitaria e che, pertanto, non possono essere respinti.

 

Infine, la lotta all’immigrazione clandestina si è arricchita di una dimensione più propriamente investigativa, volta a smantellare le organizzazioni criminali che ormai controllano il fenomeno quasi integralmente. I risultati conseguiti dalle forze di polizia e dalla magistratura italiana in questo campo sono testimoniati dai dati relativi alle denunce a agli arresti di soggetti ritenuti responsabili di tali gravi reati.

 

Ma il traffico di migranti clandestini non è purtroppo l’unica forma di criminalità connessa al fenomeno dell’immigrazione. Una fascia minoritaria della popolazione straniera presente sul nostro territorio, per lo più irregolare o clandestina, risulta coinvolta in fenomeni di criminalità comune ed in nuove forme di criminalità organizzata.

 

  1. Una risorsa per l’Italia, da gestire con lungimiranza

Sebbene la questione della sicurezza e del contrasto all’immigrazione irregolare e clandestina sia un punto centrale dell’azione del governo, non si può alimentare una confusa sovrapposizione tra immigrazione e criminalità, né ridurre tutto questo complesso fenomeno ad un mero elemento di disturbo dell’ordine pubblico.

 

L’Italia riceve un grande contributo dalla grande maggioranza degli stranieri presenti sul suo territorio e non sarebbe in grado di risolvere senza di essi una parte importante dei suoi problemi attuali. Le sfide che ci attendono richiederanno sempre di più il sostegno dei lavoratori stranieri.

 

Già oggi la popolazione italiana si ridurrebbe senza il contributo degli immigrati: secondo le previsioni dell’ONU, in assenza di afflussi dall’esterno di qui al 2050 la popolazione italiana calerà del 28,5%. Nessuna società riesce a mantenere il suo dinamismo, la sua capacità di crescere e di modernizzarsi di fronte a perdite di popolazione così importanti. Il calo preoccupante della natalità in Italia (1,2 figli per donne fertili, il secondo più basso dell’Unione Europea, largamente inferiore alla soglia di sostituzione di 2 figli per donna) e l’invecchiamento della popolazione, pongono il problema di garantire una popolazione in età lavorativa sufficiente per sostenere i costi del sistema sanitario, del sistema pensionistico, oltre che di offrire assistenza agli anziani, nelle attività di cura e di aiuto domestico. Già oggi gli immigrati danno un contributo significativo al mantenimento del sistema di sicurezza sociale in Italia, versando più tasse e contributi di quanto non ricevano in termini di servizi pubblici.

 

Naturalmente non tutti gli squilibri demografici italiani possono essere scaricati sulle politiche migratorie, e tale non è l’obiettivo del governo, che comunque deve privilegiare le politiche di sostegno alle famiglie con bambini e alle politiche tese ad incentivare una maggiore partecipazione degli italiani al mercato del lavoro.

 

Resta il fatto che il mercato del lavoro italiano ha cominciato ad esprimere forti richieste di manodopera straniera già da vari anni ed il fenomeno sta assumendo dimensioni crescenti in coincidenza con la riduzione del tasso di disoccupazione a livello nazionale che si traduce nel pieno impiego in alcune zone del Nord Italia. La combinazione apparentemente paradossale di disoccupazione e carenza di manodopera disponibile si spiega con la segmentazione del mercato del lavoro sia dal punto di vista geografico che professionale. La disoccupazione meridionale si trasforma in immigrazione interna verso il nord solo in maniera limitata (poco più di 50.000 trasferimenti di residenza dal sud al nord ogni anno, con una leggera tendenza all’aumento), a causa degli alti costi personali, sociali e finanziari che ne conseguono, in particolare con la perdita della rete di sostegno familiare e del beneficio della casa di proprietà.

 

Esistono poi dei lavori rifiutati dagli italiani: da alcuni lavori pesanti o pericolosi nelle fabbriche e nell’edilizia ai lavori stagionali nell’agricoltura o nell’industria turistico-alberghiera. Senza il contributo straniero, in alcuni specifici settori molte piccole fabbriche, e piccole e medie imprese dovrebbero chiudere o ridurre drasticamente la produzione. Inoltre esistono settori che richiedono competenze specifiche, scarsamente disponibili in Italia, in particolare per infermieri e specialisti delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Per tutte queste ragioni gli immigrati costituiscono una componente indispensabile dell’economia italiana e della costruzione del benessere quotidiano di tutti noi. Il ridotto tasso di partecipazione degli immigrati al mercato del lavoro misurato nelle statistiche ufficiali riflette una debolezza contrattuale che li porta spesso nel settore informale. Le misure per l’emersione del lavoro nero previste dalla Finanziaria del 2001 aiuteranno a emergere anche i lavoratori stranieri regolari ma impiegati in nero, che contribuiranno così anche al finanziamento del sistema sociale italiano.

 

  1. Affinare il sistema di programmazione degli ingressi, per metterlo più direttamente al servizio dello sviluppo economico e sociale

La politica di flussi programmati di lavoratori stranieri sta entrando a regime, dando i primi frutti proprio nel 2000. Si tratta di una politica coraggiosa e innovativa, che tiene conto delle esperienze dei paesi con più lunga tradizione migratoria come gli USA, il Canada e l’Australia, senza riprendere acriticamente modelli amministrativi diversi, ma anzi fornendo una risposta originale che può rappresentare un modello condiviso in Europa. Per molti paesi esteri le scelte italiane sono un modello da seguire con interesse. La Spagna ha recentemente adottato un politica di quote migratorie, il governo francese ne sta discutendo, il governo inglese ha appena rilanciato il dibattito. A livello di Unione Europea, nel complesso si registrano importantissime innovazioni strategiche coerenti con l’esperienza già avviata in Italia.

 

E’ utile sottolineare l'importanza della cooperazione e della collaborazione da parte dei paesi di origine e la validità di strumenti quali le quote privilegiate, la realizzazione dell’anagrafe informatizzata e la predisposizione di liste di lavoratori, che coinvolgendo - come in Tunisia - la autorità locali le responsabilizzi maggiormente ad una gestione dei flussi più attenta, ovvero che sulla base di progetti specifici realizzi trasparenza ed efficacia nella definizione delle liste come è avvenuto in Albania con l’intervento dell’O.I.M..

 

Riguardo alla possibilità di nuove quote privilegiate si dovrà tener conto delle richieste pervenute da altri paesi, particolarmente da quelli che mostrano sensibile attenzione al controllo delle frontiere, ma anche verso quelli i cui lavoratori sono particolarmente richiesti dal nostro mercato.

 

Le principali novità del documento 2001-03 consistono nel tentativo di affinare i legami tra entrate di stranieri e mercato del lavoro, al fine di facilitare l’integrazione degli immigrati, fornendo al contempo all’economia italiana le risorse lavorative che le sono necessarie, predisponendo gli strumenti necessari (anagrafe informatica). Ovviamente l’approfondimento degli aspetti relativi al lavoro non deve indurre tentazioni economicistiche che compromettano l’equilibrio complessivo della politica migratoria propria di un Paese avanzato. Per quanto attiene alla immigrazione per lavoro, uno degli obiettivi di questo documento è contribuire ad una maggiore articolazione nel futuro del sistema delle quote, in particolare riservando la possibilità di prevedere quote specifiche nel decreto flussi per professionalità particolarmente carenti. I settori ai quali i prossimi decreti flussi dovranno prestare particolare attenzione saranno quelli della tecnologia dell’informazione e della comunicazione (informatica e new economy), come pure della sanità (infermieri). Ovviamente questo documento non contiene indicazioni specifiche sulle quote per i prossimi anni, che saranno determinate dai singoli decreti flussi, alla luce delle fattori indicati in questo documento e sintetizzati per la parte economica nella tabella seguente.

 

 

 

Fattori economici da tenere in conto per la determinazione del fabbisogno di lavoratori extracomunitari

Fattori incrementali

Fattori decrementali

Rilevazioni dei fabbisogni tramite verifica, analisi e consultazioni da parte del Ministero del lavoro, anche tramite le Direzioni Regionali del Lavoro

Livello e evoluzione della disoccupazione italiana, con riferimento alla sua distribuzione geografica

Dati Regioni e degli enti territoriali

Mobilità interna

Contributo CNEL, parti sociali e organizzazioni del privato sociale e del volontariato

Capacità di aumentare la partecipazione forza lavoro interna

Richiesta di lavoratori stranieri da parte delle imprese e studi di job vacancies (dati Excelsior Unioncamere, ISFOL-CSA e altri disponibili)

Congiuntura economica (rispetto alle capacità di assorbimento strutturale di lavoro)

Richiesta di lavoratori dell’alta tecnologia. (Dati Assinform, dati Ministero dell’Industria)

Capacità interna di formazione figure professionali carenti

Rilevazione dei fabbisogni degli operatori sanitari (Ministero della Sanità)

Disoccupazione stranieri già presenti in Italia

Domanda di servizi alla persona-lavoro domestico

Problematiche di inserimento, in particolare alloggiative

Eccesso di domanda da parte delle imprese rispetto alle quote dell’ultimo decreto flussi e velocita di esaurimento quote anno precedente

Altre entrate migratorie regolari extraquote inseribili nel mercato del lavoro (rifugiati, ricongiungimenti familiari)

Altri

Effetti regolarizzazione

 

Altri

 

Le politiche di integrazione della popolazione straniera sono un complemento fondamentale alle politiche per la sicurezza e per il lavoro. Sostenere il progetto di vita degli immigrati significa offrire delle prospettive di miglioramento proporzionato agli sforzi fatti in quanto individui portatori di diritti e non in quanto semplici braccia da nascondere dopo l’uso. La civiltà di una nazione si misura anche dall’accoglienza data ai rifugiati bisognosi di asilo e agli immigrati.

 

  1. Un apparato normativo moderno e adeguato, ma suscettibile di perfezionamenti

La portata e l’impatto del fenomeno migratorio richiedono politiche complesse e continue nel tempo, guidate da una visione chiara delle prospettive future. Gli italiani hanno diritto di sapere che la situazione è governata, e che l'integrazione degli immigrati non deve trascurare l'integrità dei nazionali. Per impostare adeguatamente le linee programmatiche del prossimo triennio, si è scelto di cominciare da un bilancio dei risultati prodotti dalla legge 40-1998. Nel far ciò è necessario tener conto della lunga fase transitoria che ha portato a regime solo nel 2000 gran parte della legge.

 

L’approccio seguito da questo governo è stato quello di affrontare le spinte dall’esterno e dall’interno in un ottica positiva e non meramente repressiva, combattendo l’immigrazione clandestina da un lato, ma lasciando spazi di apertura e di ingresso legale, richiesti dal sistema economico, sia per scoraggiare l’immigrazione clandestina, che per offrire opportunità. Integrare è più efficace che limitarsi a reprimere. Lo scopo della politica migratoria è affrontare il futuro con realismo e con fiducia, mettendo al primo posto le preoccupazioni ed i bisogni degli italiani in un quadro di scelte razionali pienamente coerenti con le esigenze di medio e lungo termine del paese.

 

Con il decreto del Presidente del Consiglio del 2 agosto 2000, è stato costituito il comitato per il coordinamento interministeriale per le politiche di immigrazione, presieduto dallo stesso Presidente del Consiglio. Il comitato dei ministri, con il supporto del comitato tecnico, svolge il ruolo di snodo di coordinamento ad alto livello. In questo ambito, al fine di valorizzare il necessario rapporto con le Regioni e con gli enti locali, e viste le loro importanti responsabilità, è stata prevista la partecipazione delle Regioni, delle Province e dei Comuni ai procedimenti per la definizione delle quote annuali di ingresso di lavoratori extracomunitari in Italia, oltre a quello già previsto per il documento di programmazione triennale, mediante l’acquisizione di un parere preventivo della Conferenza Unificata.

 

La struttura del documento si articola in cinque capitoli e alcune appendici a cura dell’ISTAT e del Ministero del Lavoro e ISFOL. I tre ultimi capitoli riprendono analoghe parti del documento 1998-2000 e riguardano la proiezione internazionale del fenomeno, le politiche di integrazione e le linee generali per la definizione dei flussi di ingresso di lavoratori extracomunitari sul territorio italiano. Sono stati inoltre aggiunti due capitoli addizionali. Il primo fornisce un bilancio dei risultati ottenuti nei primi due anni di applicazione della legge Napolitano-Turco, in modo da impostare le politiche future sulla conoscenza dei risultati raggiunti. Il secondo si concentra sulla tematica del contrasto all’immigrazione clandestina e all’irregolarità.

 

 


 

Capitolo I) Gli immigrati in Italia oggi: un bilancio

 

            Nel febbraio del 1998 fu approvata la legge Napolitano – Turco. L’attuazione degli istituti previsti dalla legge, notevolmente complessa, fu affidata ad un tavolo informale presieduto dal ministro dell’interno: al tavolo parteciparono non solo rappresentanti di tutti i ministeri, ma anche rappresentanti di organizzazioni del volontariato, dei sindacati e dell’Università.

Dalla fine di febbraio a metà ottobre del 1998 il tavolo, e quindi il governo, produsse:

-       la “Relazione sulla presenza straniera in Italia” che, per la prima volta, fornì dati ufficiali sulla popolazione straniera in Italia, proponendo una prima stima quantitativa e qualitativa delle situazioni irregolari

-       il decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 che raccolse in un Testo Unico le norme della legge 40 e le altre norme ancora in vigore concernente la materia in questione;

-       il Documento programmatico che delineò le direttrici politiche in materia di immigrazione alle quali Governo si impegnò ad attenersi per i successivi tre anni;

-       il decreto di programmazione dei flussi per l’ultimo scorcio dell’anno 1998, emanato il 16 ottobre, che aggiungeva altri 38.000 ingressi ai 20.000 previsti da quello del 27 dicembre 1997, emanato con decreto interministeriale e con le procedure dell’allora vigente legge Martelli.

 

Fra quelli elencati riveste particolarissima rilevanza il Documento programmatico che, ai sensi dell’articolo 3[1] del Testo Unico, precisa le linee programmatiche alle quali il Governo intende attenersi per il successivo triennio. Un impegno almeno triennale fu ritenuto indispensabile dal legislatore per la complessità del fenomeno immigrazione, poco incline, per i risvolti politici e per la delicatezza delle situazioni sulle quali incide, ad esser trattato con interventi improvvisi e dettati dalla situazione contingente. Per rafforzarne la pregnanza, l’autorevolezza e la stabilità, la legge impone, per il Documento programmatico, un iter formativo particolarmente complesso che coinvolge numerosi enti, Enti locali, forze sociali e Commissioni parlamentari.

            Per fissare fin da subito le linee governative in materia, il Testo Unico imponeva al Governo di predisporre il primo Documento programmatico entro novanta giorni dall’entrata in vigore della legge. Si raggiungeva così subito lo scopo di esplicitare immediatamente il programma legislativo per poterlo poi perseguire sulla base di premesse acquisite.

            La complessità degli adempimenti necessari ha occupato gran parte del periodo di applicazione della programmazione triennale del primo documento. La legge  Napolitano – Turco, senz’altro fra le più avanzate d’Europa, è una normativa complessa che prevede, per il suo funzionamento, oltre 60 adempimenti fra regolamenti, decreti ministeriali, interministeriali, costituzione di comitati ed organismi etc., in una articolazione che solo oggi, a poco più di due anni dall’approvazione della legge, è compiutamente definita.

Pertanto non sempre e non tutte le azioni previste dal primo Documento programmatico hanno potuto trovare, nel triennio, piena esecuzione. Il primo Documento programmatico che possa realmente indicare le attività previste dell’esecutivo per il triennio, utilizzando appieno tutti gli strumenti previsti dal Testo Unico, deve quindi considerarsi questo, relativo alla programmazione 2001 – 2003.

 

 

Dal Documento programmatico del 1998 a quello del 2001

 

Prima di affrontare il necessario bilancio del triennio trascorso e di tracciare  gli obiettivi che il Governo intende perseguire in quello prossimo, appare opportuno ripercorrere alcuni eventi che hanno caratterizzato il triennio appena trascorso

 

La legge n.40/1998 prevedeva la immediata efficacia delle norme relative al contrasto della immigrazione clandestinia mentre richiedeva l’emanazione di un regolamento per larga parte delle misure relative agli ingressi ed all’inserimento nel mercato del lavoro.

Il Regolamento di attuazione, pur predisposto dal Governo nei centottanta giorni previsti, fu pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale solo il 3 novembre 1999, circostanza che non consentì l’attuazione  degli istituti più innovativi, come ad esempio lo sponsor, demandati appunto al regolamento

Un altro problema attuativo derivò dalle vicende relative alla esigenza di regolarizzare la posizione dei cittadini extracomunitari socialmente inseriti nel nostro paese alla data di entrata in vigore della nuova disciplina legislativa, benché privi di un regolare permesso di soggiorno.

 La legge Napolitano – Turco, non conteneva alcuna previsione inerente la regolarizzazione, benché un provvedimento in tale senso fosse stato richiesto con un ordine del giorno[2] approvato dal Senato in occasione del voto finale sulla stessa legge n.40/1998. che impegnava il Governo a valutare proposte ed iniziative per l’emersione dell’area dell’irregolarità.

In coerenza con gli impegni assunti con l’accoglimento dell’ordine del giorno, il primo Documento programmatico disponeva che:

 “In considerazione delle risultanze sulla presenza degli stranieri in Italia, anche in situazioni di  irregolarità, il completamento del contingente relativo al 1998, potrà essere riservato a lavoratori stranieri che possano dimostrare con elementi oggettivi di essere già presenti in Italia prima dell’entrata in vigore della legge 6 marzo 1998, n. 40 e che possano dimostrare di avere un rapporto di lavoro in corso ovvero un formale impegno di assunzione, comprovati entrambi dall’assenso del datore di lavoro. Inoltre, in via eccezionale, per il 1998 e, in parte minore, per il 1999, potrà essere consentito, per un limitato contingente di lavoratori presenti in Italia anche in situazione di irregolarità, l’attivazione del meccanismo delle garanzie prestate da terzi ai sensi dell’art. 21 [ora art. 23 T.U.], con il rilascio di un permesso di soggiorno per un anno ai fini di inserimento nel mercato del lavoro.”

 

Il Governo intendeva dunque procedere alla regolarizzazione chiesta dal Senato mediante l’assorbimento delle posizioni irregolari in specifiche previsioni nel decreto flussi del 1998 con le condizioni su specificate e, negli anni successivi, – una volta emanato il Regolamento di attuazione - anche mediante l’istituto dello sponsor in specifiche imputazioni di successivi decreti flussi, emanati anche più volte l’anno, secondo le possibilità di assorbimento del mercato del lavoro.

 

In seguito al dibattito svolto nelle Commissioni parlamentari il Governo decise di dare valenza legislativa alla regolarizzazione e di esaurire tutte le richieste degli interessati nello stesso anno, scaricando i successivi decreti flussi dalla quota della regolarizzazione. Utilizzando lo strumento del correttivo previsto dalla legge 40, fu emanato il decreto legislativo 13 aprile 1999 numero 113[3], che modificò l’articolo 49 del Testo Unico ponendo in esso, al comma 1 bis, i requisiti necessari per la regolarizzazione e previsti dal decreto flussi del 1998: “Agli stranieri già presenti nel territorio dello Stato anteriormente all’entrata in vigore della legge 6 marzo 1998 numero 40 in possesso dei requisiti stabiliti dal decreto di programmazione dei flussi per il 1998 emanato ai sensi articolo 3, comma 4, in attuazione del documento programmatico di cui articolo 3, comma 1, che abbiano presentato la relativa domanda con le modalità e nei termini previsti dal medesimo decreto, può essere rilasciato il permesso di soggiorno per i motivi ivi indicati. Per gli anni successivi al 98 gli ingressi per motivi di lavoro di cui articolo 3 comma 4, restano disciplinati secondo le modalità ivi previste. In mancanza dei requisiti richiesti per l’ingresso nel territorio dello Stato, si applicano le misure previste dal presente testo unico”.

 

Con lo stesso correttivo vennero rese più severe le norme per contrastare il fenomeno dei cosiddetti “scafisti”, prevedendo per costoro l’arresto obbligatorio e l’impossibilità di alienare i mezzi di trasporto utilizzati, se non in favore delle Forze dell’ordine, nonché disciplinando meglio il ricorso avverso il provvedimento di espulsione. Lo strumento del correttivo era già stato utilizzato[4] nell’ottobre del ’98 per disciplinare la donazione di mezzi tecnici ad altri Paesi per agevolarne il controllo dell’emigrazione clandestina.

 

Nel marzo del 1999 ebbe inizio il conflitto nel Kossovo, a seguito del quale oltre 30 mila fra kossovari, albanesi, serbi e montenegrini si riversarono sul territorio italiano, tanto che, per la prima volta, fu necessario attuare le norme sulla protezione temporanea previste dall’art. 20 del Testo Unico. Il 12 maggio 1999 il Presidente del Consiglio dei Ministri firmò un Decreto[5] che accordava un permesso di soggiorno, esteso al lavoro e della durata di un anno, agli sfollati provenienti dalle zone interessate agli eventi bellici.

 

Per questo nel 1999 si soprassedette all’emanazione di un decreto flussi e si procedette ad una direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri[6] che riproponeva la quota di ingressi  fissata per l’anno precedente per complessive 58.000 unità, in conformità di quanto previsto dall’art.3 del T.U.

 

Nell’autunno del 1999, cessato l’afflusso degli sfollati, l’impegno del Governo si rivolse innanzitutto alla completa attuazione degli strumenti previsti dal Testo Unico.

Con D.P.C.M. del 17 marzo 2000 veniva istituito un coordinamento interministeriale presso il Ministero dell’Interno.

            Le riunioni del tavolo di lavoro servirono a preparare in breve tempo la relazione del Ministro dell’interno al Parlamento sullo stato di attuazione del Testo Unico; il decreto interministeriale sui visti di ingresso[7], per la nuova definizione dei motivi di ingresso; la direttiva del Ministro dell’interno sui mezzi di sussistenza che lo straniero deve dimostrare per l’ingresso nel territorio nazionale[8]; il vademecum sull’immigrazione, pubblicazione riassuntiva delle modalità di ingresso in Italia rivolta agli operatori e al pubblico; l’istituzione dei Consigli Territoriali, organi locali di incontro e discussione per risolvere i problemi connessi con l’immigrazione e per far risalire al centro proposte e difficoltà incontrate[9];  il decreto flussi 2000[10].

 

            Dei 63.000 posti preventivati, 28.000 furono riservati alla chiamata diretta del datore di lavoro per lavori a tempo determinato o indeterminato, 2.000 per lavoratori autonomi, 18.000 a lavoratori provenienti da Paesi che hanno sottoscritto accordi di politiche migratorie, i cosiddetti “paesi privilegiati”; e 15.000 a lavoratori assistiti da sponsor. Nel caso della mancata copertura di tutta la quota da parte di sponsor, la residua parte sarebbe stata coperta da “autogaranti” ai sensi del 4° comma dell’art. 23 del Testo Unico.

 

            Quantunque non previsto dalla legge, né da altre disposizioni in materia, la bozza di decreto fu sottoposta anche alla Conferenza Unificata che espresse un parere largamente positivo.

           

            Il nuovo decreto flussi fu accolto con favore da tutte le parti sociali e, con il contributo di tutte le associazioni di volontariato, anche i 15.000 ingressi tramite sponsor vennero coperti nei prescritti 60 giorni e non si fece luogo, quindi, all’ingresso di lavoratori “autogaranti”.

 

            Con D.P.C.M. del 2 agosto 2000 il coordinamento è stato assunto dal Presidente del Consiglio dei Ministri presso la Presidenza del Consiglio – organo deputato dalla legge al coordinamento dei ministeri ed all’attuazione del Testo Unico – costituendo altresì un comitato tecnico a supporto delle decisioni del Comitato dei Ministri, stabilendo, inoltre, il coinvolgimento della Conferenza unificata, delle parti sociali e delle associazioni anche nella procedura relativa all’emanazione dei decreti sui flussi.

 

Le politiche seguite nel 1998-2000 e l’applicazione della nuova legge sull’immigrazione

 

Emigranti economici: la gestione dei flussi di lavoratori extracomunitari

            La gestione del processo migratorio nei suoi vari aspetti rappresenta la questione centrale nell’analisi del fenomeno immigrazione. Le variabili fondamentali di questo processo: la programmazione ed il controllo dei flussi, l’inserimento nel mercato del lavoro e l’integrazione sociale richiedono chiarezza di indirizzi e strumenti adeguati di gestione.

            La consapevolezza della complessità del fenomeno migratorio è alla base della nuova normativa italiana in materia, che ritiene possibile governare il flusso strutturato e programmato  di lavoratori stranieri destinati ad integrarsi nella società italiana.

            Per pervenire ad un effettivo controllo dei flussi, però, non è sufficiente stabilire “a priori” delle quote di ingresso, ma è necessario prevedere delle norme che consentano un ingresso regolare per facilitare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, così da scoraggiare un afflusso clandestino di forza lavoro destinata a svolgere lavoro “in nero”, che costituisce un fattore di indebolimento della politica di programmazione dei flussi.

In questo senso la legge 40/98 ha introdotto strumenti interessanti quale la procedura di ingresso  per ricerca di lavoro tramite uno “sponsor”, italiano o straniero regolarmente soggiornante che garantisce per un anno la permanenza sul territorio nazionale dello straniero e quella dell’ingresso senza garante.

             Quest’ultima procedura è particolarmente innovativa in  quanto consente ad un cittadino straniero, iscritto in apposite liste tenute presso le Rappresentanze diplomatiche italiane all’estero, di richiedere un visto di ingresso per inserimento nel mercato del lavoro dimostrando di avere la disponibilità di mezzi di sostentamento per un ammontare di circa 4 milioni,  una copertura sanitaria, un alloggio idoneo e  una somma occorrente per il rimpatrio. Tale istituto, nel consentire un ingresso regolare per un anno ad uno straniero ad un costo inferiore di quello richiesto dai trafficanti per un ingresso clandestino, costituisce anche un deterrente all’immigrazione irregolare.

            Grazie ai nuovi strumenti normativi il Governo ha potuto, quindi, nel triennio scorso dar avvio gradatamente ad un politica indirizzata a controllare e gestire i flussi di ingresso in base alle reali esigenze provenienti da settori produttivi pur dovendo, prima di intraprendere nel concreto tale linea programmatica, “regolarizzare” posizioni lavorative già costituite di fatto.

             Il percorso per giungere ad un sistema di programmazione dei flussi  “a regime” è stato, infatti, particolarmente articolato, anche in considerazione delle indicazioni fissate dal precedente documento programmatico per l’elaborazione degli appositi decreti interministeriali.

 

PROGRAMMAZIONE PER IL 1998

Nel 1998 la programmazione dei flussi  ha risentito del passaggio tra la normativa precedente (legge 28.2.1990 n.39) e quella attuale. Infatti con un primo decreto del Ministro degli Affari Esteri, datato 24 dicembre 1997, emanato ai sensi dell’art. 2 della legge 39/90, è stato consentito l’ingresso per lavoro a tempo indeterminato e determinato, incluso quello stagionale, fino a 20.000 cittadini extracomunitari.

            Con l’entrata in vigore della legge 40/98 (27 marzo 1998) ed alla luce di quanto indicato nel Documento programmatico, previsto dall’art.3 della stessa legge emanato con D.P.R.5.8.1998, è stata ritenuta necessaria un’integrazione delle quota iniziale. A tale scopo è stato emanato, in data 16 ottobre 1998, un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri con il quale è stato consentito il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato ed autonomo per altre 38.000 unità. Nell’ambito di tale quota massima è stato consentito, in via preferenziale, l’ingresso in Italia di 3000 cittadini albanesi, di 1500 Marocchini  e 1500 Tunisini.

            Entro la quota suddetta veniva consentito il rilascio di un permesso di soggiorno anche per coloro che fossero già presenti in Italia alla data dell’entrata in vigore della legge 40/98, purché in possesso di determinati requisiti (idonea occupazione lavorativa subordinata o autonoma, disponibilità di un alloggio).

            In tal modo è stato dato avvio ad una procedura di regolarizzazione il cui numero, inizialmente limitato alla quota prevista dal D.P.C.M. 16 ottobre 1998, è stato esteso con il Decreto legislativo 13 aprile 1999 a tutti coloro che fossero in possesso dei requisiti prescritti. In tal modo il dato relativo alla “regolarizzazione” è stato, quindi,  conteggiato al di fuori della quota prevista per gli ingressi.

            Pertanto, nel complesso, la quota di ingresso per lavoro subordinato ed autonomo nel 1998 è stata pari a 58.000 unità.

            In base ai dati relativi alle autorizzazioni al lavoro concesse, ai visti di ingresso per lavoro subordinato ed ai permessi di soggiorno rilasciati per la stessa tipologia si evidenzia come, in realtà, nell’anno 1998 la quota totale prevista non sia stata completata. Infatti, dalla tabella sottoindicata emerge che sono effettivamente entrati per svolgere attività di lavoro subordinato circa 28.000 stranieri a cui sono stati rilasciati regolari permessi di soggiorno. La leggera divergenza tra i dati relativi alle tre tipologie di provvedimenti è conseguente al completamento dell’iter procedurale già iniziato nell’anno precedente.

            Il minor numero di ingressi per lavoro registrato nel 1998 rispetto alla programmazione è dovuto, in  massima parte, all’avvio delle procedure di regolarizzazione attraverso l’emanazione del decreto flussi integrativo che riservava, di fatto, la quota di ingressi ai possibili regolarizzandi.

 

            Dall’analisi delle  autorizzazioni al lavoro rilasciale dalle Direzioni provinciali del lavoro risulta maggiore la richiesta di manodopera da parte del settore agricolo (n.13.070) e dai servizi (n.11.337) mentre  è minore quella proveniente dall’industria (n.2896).

Per quanto concerne il lavoro autonomo la programmazione del 1998 non ha previsto una quota riservata inserendo tale tipologia, solo però nella previsione del decreto flussi integrativo, nell’ambito della quota totale. Di fatto risultano essere rilasciati per l’anno in questione n. 1745 visti di ingresso per lavoro autonomo.

           

PROGRAMMAZIONE PER IL 1999

            Nel 1999 per mancanza di una tempestiva programmazione attraverso il decreto annuale sui flussi, determinata anche dal prosieguo delle procedure di regolarizzazione, si è provveduto, in virtù del disposto dell’art. 3, comma 4 del D.L. 286/98, a confermare le quote già fissate per l’anno precedente. Con Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 4 agosto 1999 è stata determinata una quota complessiva di  58.000 ingressi, pari a quelli previsti per l’anno 1998 di cui 54.500 per lavoro subordinato e 3.500 per lavoro autonomo. Con questo provvedimento per la prima volta viene riservata una quota definita per quest’ultima tipologia di ingresso.

Dalla tabella, anche per il 1999  in base ai dati relativi alle autorizzazioni al lavoro concesse, ai visti di ingresso per lavoro subordinato ed ai permessi di soggiorno rilasciati per la stessa tipologia, emerge come il tetto di programmazione non sia stato completato essendo assorbita molta della domanda di manodopera dalla regolarizzazione in atto.

            Dai dati del Ministero del Lavoro risulta, inoltre, assai rilevante il numero delle autorizzazione concesse per lavoro stagionale. 20.381 su un totale di 21.570 di autorizzazioni concesse per lavoro a tempo determinato.

            Anche per quanto concerne il lavoro autonomo la quota programmata pari a 3.500 unità non è stata completata essendo stati rilasciati nel corso dell’anno n.1.594 visti per tale tipologia di ingresso.

 

LAVORO SUBORDINATO

 

 

Autorizzazioni al lavoro

Visti di ingresso

Permessi di soggiorno

1998

27.303

30.466

26.063

1999

36.454

35.896

39.405

 

 

PROGRAMMAZIONE PER IL 2000

            Nel 2000 viene emanato, con apposito Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri datato 8 febbraio 2000, il primo decreto di programmazione dei flussi di ingresso ai sensi della normativa in vigore (art. 4 comma 3 decreto legislativo 286/98).

            Tale provvedimento prevede l’ingresso in Italia per svolgere attività di lavoro subordinato anche a carattere stagionale, di lavoro autonomo e per inserimento nel mercato del lavoro di 63.000 stranieri di cui 45.000 provenienti da qualsiasi paese extracomunitario e 18.000 da paesi individuati in ragione della collaborazione da loro offerta nelle politiche migratorie: all’Albania sono stati riservati 6.000 posti, alla Tunisia 3.000, al Marocco 3.000 e altre 6.000 unità a cittadini di altri Paesi extracomunitari che possono sottoscrivere, nel corso dell’anno, specifiche intese di cooperazione in materia migratoria.

            Al fine di poter costantemente conoscere l’effettivo flusso di ingresso si è provveduto a monitorare i dati relativi ai singoli provvedimenti che consentono allo straniero, attraverso un iter stabilito per legge, di entrare regolarmente nel nostro Paese. In particolare sono state   conteggiate le autorizzazioni al lavoro rilasciate dalle Direzioni provinciali del Lavoro, i visti di ingresso di competenza delle Rappresentanze diplomatiche italiane all’estero, le autorizzazioni rilasciate dalle Questure agli “sponsor” per l’ingresso per ricerca di lavoro.

            La novità più rilevante emersa da tali dati riguarda proprio la nuova tipologia di ingresso per ricerca di lavoro. Infatti, il tetto di 15.000 unità relativo alla richiesta di ingresso tramite “sponsor”,  è stato raggiunto in breve tempo. Per quanto concerne l’ingresso senza garante, per l’anno in corso, sono state aperte liste solo presso le Rappresentanze diplomatiche con sede nei Paesi c.d. privilegiati (Albania, Tunisia, Marocco) e risulta sufficientemente consistente il dato relativo ai visti di ingresso rilasciati (1.822 unità al 30.10.2000).

            Nell’anno in corso al fine di poter costantemente conoscere l’effettivo flusso di ingresso è stato affidato al Ministero dell’interno l’incarico di provvedere  al monitoraggio dei dati relativi ai singoli provvedimenti che consentono allo straniero, attraverso un iter stabilito per legge, allo straniero di entrare regolarmente nel nostro Paese. In particolare sono state conteggiate le autorizzazioni al lavoro rilasciate dalle Direzioni provinciali del Lavoro, i visti di ingresso di competenza delle Rappresentanze diplomatiche italiane all’estero, le autorizzazioni rilasciate dalle Questure agli “sponsor” per l’ingresso per ricerca di lavoro.

 

            Alla data del 30 ottobre 2000 risulta quasi del tutto completato il flusso annuale previsto, così come emerge dalle apposite tabelle,  rimanendo un residuo solo per quanto concerne le quote attribuite ai Paesi privilegiati, che, comunque, in base alle richieste pervenute dovrebbero completarsi a breve.

 Si evidenzia, inoltre, che da particolari settori produttivi è pervenuta negli scorsi mesi una richiesta di ampliamento della quota prevista per lavoro subordinato, specie stagionale. Al riguardo, però, il Governo, dopo una consultazione con i rappresentanti degli Enti locali e delle parti sociali ha  ritenuto di non dover  emanare un secondo decreto flussi per l’anno 2000.

 

L'evoluzione della struttura della programmazione dei flussi di lavoratori extracomunitari (1998-2000)

 

Quote privilegiate da paesi a forte pressione migratoria

Contratti nomin di lavoro subordinato

Lavorat autonomi

Inserimento nel mercato del lavoro

Totale

 

Albania

Marocco

Tunisia

Altri

Totale

 

 

 

 

1°Decreto flussi 1998

 

 

 

 

 

 

 

0

20000

2° decreto flussi 1998

3000

1500

1500

0

6000

 

 

0

38000

Totale 1998

3000

1500

1500

0

6000

54500

3500

0

58000

Direttiva PCM 1999

3000

1500

1500

0

6000

54500

3500

0

58000

Decreto flussi 2000

6000

3000

3000

6000

18000

28000

2000

15000

63000

 

Ricongiungimenti familiari

La nuova legge sull’immigrazione attribuisce un forte rilievo al diritto al ricongiungimento familiare dedicando un intero titolo alla materia concernente la famiglia ( Titolo IV “Diritto all’unità familiare e tutela dei minori”).

Tale previsione normativa si inserisce nell’ambito di una più ampia visione dello straniero regolarmente soggiornante quale soggetto destinatario di una politica di integrazione che offre una prospettiva e una sicurezza della continuità della permanenza legale sul territorio nazionale.

La sicurezza della residenza è, infatti, la condizione primaria per poter programmare il futuro sia dal punto di vista lavorativo che affettivo. Da questa convinzione deriva sia il desiderio di migliorare la propria condizione lavorativa, che  quello di ricongiungersi con i propri familiari.

L’ingresso per ricongiungimento familiare non viene regolamentato dal sistema delle quote e di conseguenza il diritto viene riconosciuto a chiunque abbia i requisiti soggettivi ed oggettivi previsti dalla legge.

Il dato relativo ai ricongiungimenti familiari, comunque, riveste un ruolo importante per la programmazione delle quote per lavoro in quanto i ricongiunti che ne abbiano l’età possono lavorare dal momento dell’ingresso  in Italia.

Nel corso del triennio passato i visti di ingresso per ricongiungimento familiare sono stati n.124.421,  così suddivisi:

 

   1998

47.433

   1999

43.500

   2000 (gennaio-settembre)

33.488

 

Dai dati relativi ai visti suddivisi per nazionalità emerge una prevalenza di richieste da parte dei cittadini marocchini ed albanesi, nel biennio scorso e nell’anno in corso che, rimangono sempre su percentuali assai elevate.

 

 

1998

1999

2000

(gennaio-settembre)

MAROCCO

17,94

22,93

20,55

ALBANIA

18,82

16,94

17,40

 

E’ interessante, invece, rilevare come  si sia verificato un notevole decremento nella richiesta di ingresso per ricongiungimento familiare da parte dei cittadini cinesi.

 

 

1998

1999

2000

(gennaio-settembre)

C I N A

13,15

6,02

3,02

 

Rimane abbastanza costante la richiesta proveniente da altri Paesi di vecchia immigrazione quali le Filippine e la Tunisia.

 

 

1998

1999

2000

(gennaio-settembre)

FILIPPINE

4,15

3,21

5,06

TUNISIA

3,60

3,88

4,62

 

La problematica relativa al ricongiungimento familiare è stata affrontata anche in sede europea. Infatti è’ stato proposto nel corso del Consiglio Giustizia e Affari Interni, tenutosi a Bruxelles il 2 dicembre 1999, un progetto di direttiva della Commissione finalizzato a dare attuazione a quanto previsto dall’art. 63 del trattato di Amsterdam e dal Piano di Azione di Vienna in tema di ammissione nel territorio dell’Unione a scopi di riunificazione familiare.

            La direttiva sul ricongiungimento familiare  è uno dei primi interventi organici della Comunità in tema di asilo e immigrazione dopo l’entrata in vigore del predetto Trattato di Amsterdam.

            L’iniziativa della Commissione  presentata di recente al Parlamento Europeo (secondo la previsione dell’art. 67 del Trattato di Amsterdam,  l’approvazione della direttiva dovrà avvenire all’unanimità del Consiglio, su proposta della Commissione o di uno Stato membro e previa consultazione del Parlamento Europeo), è vista con favore dagli Stati membri e, dall’Italia in particolare, in quanto persegue il fine di garantire un trattamento uniforme tra tutti gli Stati membri nei confronti dei cittadini di Paesi terzi che risiedono legalmente nel territorio dell’Unione e promuove l’integrazione sociale degli stranieri attraverso il sostegno alla famiglia.

            L’obiettivo specifico dell’iniziativa delle Commissione è di istituire un “diritto” al ricongiungimento familiare che possa essere esercitato secondo criteri comuni in tutti gli Stati membri.

 

Ricongiungimenti famigliari, flussi annuali per le nazionalità più numerose, 1998-2000

 

1998

1999

Gen-Sett 2000

Albania

8.925

7.370

5.829

Marocco

8.510

9.977

6.882

Cina

6.238

2.620

1.013

Sri Lanka

3.131

2.494

1.937

Romania

2.183

2.062

2.408

Filippine

1.969

1.307

1.695

India

1.829

2.142

1.808

Tunisia

1.707

1.689

1.548

FYR Macedonia

1.702

2.187

1.508

Perù

1.571

1.576

965

Jugoslavia

1.444

1.397

725

Somalia

921

304

94

Pakistan

910

1.028

717

Egitto

844

786

563

Bangladesh

742

1.092

1.214

Rep.Dominicana

655

799

561

Ghana

532

810

665

Senegal

385

367

380

Costa d'Avorio

329

442

403

Turchia

312

171

181

Polonia

310

242

179

Nigeria

289

354

270

Bulgaria

266

188

176

 

Rifugiati, richiedenti asilo e protezione temporanea

            Come  aveva già evidenziato il primo documento programmatico del Governo relativo agli anni 1998-2000, la problematica dell'asilo, sebbene non direttamente coinvolta in sede di applicazione del Testo Unico n. 286/1998,  va valutata con particolare attenzione in quanto la stessa influenza in modo sensibile l'analisi dei movimenti migratori e dei loro effetti sulle  conseguenti politiche di accoglienza.

 

            Gli ultimi tre anni hanno evidenziato, in Europa, una inversione di tendenza nel senso che ad una progressiva riduzione delle richieste di asilo dal 1993 al 1997, si è passati dal 1998 ad un costante nuovo aumento delle stesse.

 

            Tale tendenza ha coinvolto anche l'Italia sebbene si stia determinando una minore pressione: le 13.000 domande del 1998 sono divenute lo scorso anno 23.500 (anche a seguito della crisi balcanica), mentre la stima per il 2000 si attesta ad un livello valutato in circa 16.000/17.000 domande. Al riguardo va evidenziato che detti dati sono riferiti ai verbali individuali pervenuti alla Commissione Centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato e quindi non tengono conto dei minori che giungono al seguito dei richiedenti asilo e che incidono, in aumento, per circa il 30% soprattutto con riferimento alle richieste di stranieri di etnia curda.

 

            Sebbene il Governo abbia attuato misure di potenziamento della suddetta Commissione Centrale, il repentino aumento delle domande di asilo ha indubbiamente creato, negli ultimi due anni, ritardi nella definizione delle istanze determinando, a caduta, riflessi negativi sull'accoglienza. A legislazione vigente, infatti, lo Stato può garantire ai richiedenti asilo un intervento economico solo per i primi 45 giorni dalla presentazione della domanda. Tutta l'ulteriore assistenza resta pertanto a carico degli enti locali o di organizzazioni umanitarie.

 

            In via più generale e con riguardo alle politiche che dovranno essere portate a compimento nel prossimo triennio, si evidenziano quelle di maggiore rilevanza:

 

a)             sempre più urgente ed indilazionabile è l'approvazione del disegno di legge in materia di diritto di asilo in discussione attualmente alla Camera dei Deputati dopo l'avvenuta approvazione da parte del Senato della Repubblica. La nuova legge, oltre a dare applicazione all'art. 10 della Costituzione, consentirà una più incisiva azione sia nei confronti delle domande a carattere strumentale che oggi pervengono alla Commissione Centrale - attraverso l'introduzione di un  pre-esame volto ad individuare la sussistenza delle condizioni che possono dar luogo al riconoscimento dello status di rifugiato - sia attraverso la realizzazione di un sistema di copertura dei bisogni assistenziali che verranno garantiti dagli enti locali ma con oneri a carico del bilancio statale.

Nelle more di detta approvazione il Ministero dell'Interno, d'intesa con l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati e l'Associazione Nazionale dei Comuni d'Italia, promuoverà un intervento straordinario, (attraverso una quota parte dei fondi dell'otto per mille  Irpef) al fine di garantire, nell'ambito delle risorse finanziare disponibili, ai richiedenti asilo un'adeguata accoglienza sino alla definizione della loro istanza, sollevando per quanto possibile gli enti locali e il volontariato dall'attuale forte pressione che il fenomeno sta determinando;

 

b)             una sempre maggiore e attenta partecipazione dell'Italia ai lavori che sono in atto o che matureranno, nei prossimi anni, in sede di Unione europea per l'attuazione del previsto processo di  comunitarizzazione  delle materie connesse all'asilo. Più in particolare  il Paese dovrà, necessariamente, attenersi al progetto di "Direttiva del Consiglio" presentata dalla Commissione e relativa a "norme minime in materia di procedura applicabili per la concessione e la revoca dello status di rifugiato".

La proposta, in via di approvazione, vincolerà l'Italia ad adottare metodi e pratiche finalizzate ad una maggiore equità ed efficienza, avvalendosi di strumenti e meccanismi legislativi che mirano al riavvicinamento dei sistemi nazionali e ad un regime europeo comune in materia di asilo.

Di analoga importanza si rivela, sul piano programmatico, l'adeguamento delle condizioni minime di accoglienza in favore dei richiedenti asilo qualora nell'attuale o nella prossima Presidenza europea  verrà approvato dal Consiglio il documento, attualmente all'esame dei gruppi tecnici, relativo ai principi generali che dovranno essere comunque applicati dagli Stati membri nei regimi di assistenza e accoglienza dei richiedenti asilo .

Con riguardo alla Convenzione di Dublino, in materia di Stato competente in ordine all'esame di una domanda di asilo presentata all'interno dell'Unione Europea, è già stato avviato uno studio per una sua modifica nell'ottica del cennato processo di comunitarizzazione della materia.

L'Italia sarà poi impegnata, nel prossimo triennio, nell'utilizzazione del "Fondo Europeo per i Rifugiati" che, nel conglobare tutti i fondi in materia di asilo, renderà di diretta responsabilità statale, la gestione delle risorse da parte degli Stati membri;

 

c)             una più precisa valutazione della ricaduta dei flussi legati alle richieste di asilo sulla  determinazione delle quote annuali di ingresso per lavoro soprattutto qualora l'avvenuta approvazione della nuova legge confermi l'ipotesi, oggi contenuta nel testo, di consentire l'attività lavorativa ai richiedenti asilo qualora la loro istanza non sia definita dopo sei mesi dalla presentazione. Inoltre,  sebbene la percentuale di riconoscimento dello status di rifugiato risulti particolarmente bassa (e comunque inferiore al 10% delle richieste) si dovrà tener conto dell'entrata sul mercato del lavoro degli stranieri riconosciuti rifugiati nonché dell'attuazione nei loro confronti di concreti percorsi di integrazione territoriale e sociale;

 

d)             la conferma del ruolo dell'Italia nelle accoglienze a carattere solidaristico nell'ambito dell'applicazione  dell'art. 20 del Testo Unito n. 286/1998 in materia di regimi di protezione temporanea  offerta a popolazioni che si trovano in particolare stato di pericolo.

Nel ricordare l'incisiva azione svolta dall'Italia nella recente crisi dei balcani ed in particolare dei territori del  Kosovo  (è stata offerta protezione temporanea a oltre 18.000 stranieri provenienti da quell'area ed è stata consentita, per gli stessi eventi, la richiesta di asilo ad ulteriori 12.000 persone) è doveroso rappresentare l'azione svolta negli ultimi anni per pervenire, in sede europea a linee di politica comune  anche in materia di protezione temporanea affinché vengano eliminate sperequazioni negli interventi che i singoli Stati offrono o intendono offrire a fronte di situazioni di emergenza umanitaria.

 


 

 



[1] Articolo 3 del Testo Unico: 1. Il Presidente del Consiglio dei Ministri, sentiti i Ministri interessati, il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, la Conferenza Stato-città e autonomie locali, gli enti e le associazioni nazionali maggiormente attivi nell'assistenza e nell'integrazione degli immigrati e le organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro maggiormente rappresentative sul piano nazionale, predispone ogni tre anni il documento programmatico relativo alla politica dell'immigrazione e degli stranieri nel territorio dello Stato, che è approvato dal Governo e trasmesso al Parlamento. Le competenti Commissioni parlamentari esprimono il loro parere entro trenta giorni dal ricevimento del documento programmatico. Il documento programmatico è emanato, tenendo conto dei pareri ricevuti, con decreto del Presidente della Repubblica ed è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Il Ministro dell'Interno presenta annualmente al Parlamento una relazione sui risultati raggiunti attraverso i provvedimenti attuativi del documento programmatico.

2. Il documento programmatico indica le azioni e gli interventi che lo Stato italiano, anche in cooperazione con gli Stati membri dell'Unione europea, con le organizzazioni internazionali, con le istituzioni comunitarie e con organizzazioni non governative, si propone di svolgere in materia di immigrazione, anche mediante la conclusione di accordi con i Paesi di origine. Esso indica altresì le misure di carattere economico e sociale nei confronti degli stranieri soggiornanti nel territorio dello Stato, nelle materie che non debbono essere disciplinate con legge.

3. Il documento individua inoltre i criteri generali per la definizione dei flussi di ingresso nel territorio dello Stato, delinea gli interventi pubblici volti a favorire le relazioni familiari, l'inserimento sociale e l'integrazione culturale degli stranieri residenti in Italia, nel rispetto delle diversità e delle identità culturali delle persone, purché non confliggenti con l'ordinamento giuridico, e prevede ogni possibile strumento per un positivo reinserimento nei Paesi di origine.

 

[2] L’ordine del giorno (il n.100) impegna il Governo “a valutare … quali siano le opportune proposte ed iniziative, da finalizzare all’emersione dell’area delle irregolarità da attuarsi in modo mirato, per cittadini stranieri che vivono in Italia inseriti in contesti familiari, di lavoro anche autonomo e di studio. Ciò anche con ricorso, da estendersi in ambito nazionale, agli incentivi alle imprese relativi all’emersione dell’economia sommersa e del lavoro nero, già previsti dalla normativa vigente per alcune aree del Paese, con previsioni per specifici comparti dell’impresa produttiva quali potrebbero essere quelli dell’agricoltura, della pesca, delle attività stagionali, dei pubblici esercizi e utilizzando, se necessario, una parte equivalente alle quote annuali previste per la programmazione dei flussi d’ingresso e prevedendo la non punibilità delle pregresse violazioni delle disposizioni amministrative vigenti in materia d’ingresso e soggiorno degli stranieri. 

 

[3] Pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 97 del 22 aprile 1999

[4] D.leg.vo 19 ottobre 1998 n. 380 in Gazzetta ufficiale 3 novembre 1998 n. 257

[5] In Gazzetta Ufficiale 26 maggio 1999 n. 121

[6] Pubblicata su Gazzetta Ufficiale del 6 settembre 1999 n. 209

[7] Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 1° agosto 2000

[8] Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 17 marzo 2000.

[9] D.P.C.M. 18.12.99 in Gazzetta Ufficiale del 18 gennaio 2000 n. 13

[10] Pubblicato sulla gazzetta Ufficiale del 15 marzo 2000.