Cap. IV) Politiche di integrazione

 

 

 

 

Lo stato di realizzazione del modello di integrazione adottato e gli obiettivi prioritari per il futuro.

 

Si ritiene utile seguire il modello di integrazione ragionevole, proposto nel rapporto 1999 dalla Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati. Secondo questo modello i principali obiettivi da perseguire sono la tutela dell’ “integrità della persona” e la costruzione di  un’ “interazione a basso conflitto” tra immigrati e cittadini, tra nazionali e nuove minoranze. Le politiche di integrazione devono essere dirette, da una parte, ad assicurare agli stranieri presenti nel nostro paese basi di partenza nell’accesso a beni e servizi e, più in generale, condizioni di vita decorose. Un’interazione a basso conflitto implica che le politiche di integrazione si rivolgono anche e forse soprattutto ai cittadini italiani e non solo agli stranieri che vivono e lavorano in Italia.

 

All’interno delle misure destinate a garantire l’integrità della persona, fondamentale importanza rivestiranno anche nei prossimi anni quelle dirette a “premiare la legalità” di chi, facendo uso di strumenti ormai finalmente operanti a pieno regime quali l’ingresso per lavoro nell’ambito dei flussi, l’ingresso con sponsorizzazione e i ricongiungimenti familiari, è entrato regolarmente nel nostro paese. Nella direzione di premiare la legalità e la residenza regolare di lungo periodo, alcune importanti realizzazioni hanno avuto luogo nel corso del 2000: il rilascio delle prime carte di soggiorno e l’attuazione dell’istituto dello sponsor per ricerca di lavoro.

Perciò sembra necessario creare le condizioni che permettano di mantenere la stabilità della permanenza legale, evitando automatismi nell’applicazione della legge che possano produrre “ricadute” nell’illegalità. A questo scopo, gli strumenti da privilegiare sembrano essere il monitoraggio costante sul funzionamento delle misure che regolano il soggiorno, che ne rilevi i punti di criticità, e l’adozione di misure dirette a realizzare una maggiore semplificazione amministrativa delle procedure.

 

Maggiore impulso dovrà essere dato alle misure dirette ad assicurare agli stranieri regolari il pieno esercizio dei diritti loro riconosciuti. Un problema di mancato esercizio dei diritti si rileva tuttora sia nel campo della salute, che in quello della scuola. Per quanto riguarda il primo settore, dati a livello locale fanno presumere che circa il 30% dei regolari, aventi per legge diritto all’assistenza sanitaria a condizione di parità con i cittadini italiani, non si è mai iscritto al Servizio Sanitario Nazionale, condizione preliminare per l’accesso all’assistenza. Per quanto riguarda l’istruzione, il numero di alunni stranieri che frequentano le nostre scuole corrisponde a poco più della metà  del numero di minori stranieri che risultano soggiornare in Italia. I dati relativi alla frequenza scolastica prendono in considerazione ovviamente solo i minori in età scolare, dai tre anni in su. Tuttavia, anche in considerazione del fatto che a scuola possono andare anche i minori irregolari, mentre i dati sulla presenza riguardano solo i regolari, la discrepanza tra soggiornanti e frequentanti appare un aspetto preoccupante. In entrambi i contesti sarà necessario adottare misure che consentano di ridurre progressivamente, e poi di eliminare, il divario tra quanti hanno diritto all’assistenza sanitaria e all’istruzione e quanti effettivamente ne usufruiscono.

 

Carattere di priorità dovrà essere riconosciuto all’obiettivo di eliminare o quantomeno ridurre le barriere, tanto di tipo prettamente linguistico o, più in generale, culturale, quanto di tipo organizzativo, che ostacolano la fruibilità dei servizi da parte degli immigrati. L’esistenza di ostacoli che impediscono l’esercizio del diritto di accesso ai servizi è particolarmente evidente nel settore dei servizi sanitari e sociali. Gli ostacoli di tipo culturale in senso ampio comprendono non solo la lingua, ma sia le difficoltà legate ad una non buona comprensione da parte degli stranieri del funzionamento dei servizi, sia ad una concezione diversa della malattia o del bisogno, ad aspettative diverse rispetto alla cura, alla assistenza, al rapporto tra operatore e utente.

In questo ambito la priorità deve essere data alla formazione specifica degli operatori posti a contatto con l’utenza immigrata e alla diffusione del ricorso ai mediatori culturali.

La figura del mediatore culturale è stata introdotta  per la prima volta dal Testo unico sull’immigrazione, come figura “ponte” tra gli immigrati, portatori di una diversa cultura di origine e di specifiche esigenze, e il contesto dei servizi e delle istituzioni italiane. Sembra tuttavia necessaria una più precisa determinazione del ruolo e dell’ambito di intervento dei mediatori culturali, così come l’uniformazione secondo standard comuni del loro percorso formativo, oggi completamente delegato ai differenti orientamenti dei singoli enti che li formano e li utilizzano.

Altre barriere sono di tipo organizzativo, risolvibili con una maggiore flessibilità dei servizi e degli orari, che consenta di venire incontro ad esigenze proprie dell’utenza immigrata (ma non solo), e con misure dirette a semplificare e chiarire procedure burocratiche spesso oscure (anche ai nazionali).

Un ulteriore sforzo dovrà essere diretto a diffondere maggiormente, tra gli stranieri, ma anche tra gli operatori che si trovano a contatto con l’utenza immigrata, l’informazione sui diritti e sulla legge. I problemi di accesso ai servizi sono spesso determinati sia da carenze di informazione e di consapevolezza dei propri diritti da parte degli utenti, sia di scarsa informazione sui propri obblighi da parte degli erogatori.

 

In prospettiva le politiche sociali dirette agli immigrati dovrebbero essere inserite nelle politiche sociali generali. Sembra opportuno prendere le mosse da normative recenti quali la disciplina dell’assegno di maternità e del reddito minimo di inserimento, che comprendono tra i potenziali beneficiari, a condizioni di parità con gli italiani, gli immigrati regolarmente residenti, per riflettere su una possibile riforma del sistema degli ammortizzatori sociali che, partendo dalla considerazione degli immigrati quali componenti ormai strutturali della società, li inserisca tra i beneficiari di misure generali di sostegno socio-economico. E’ d’altronde lo stesso T.U. sull’immigrazione a stabilire il principio dell’equiparazione ai cittadini italiani degli stranieri titolari di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno per quanto riguarda la “fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale”.

 

Si segnalano inoltre alcune difficoltà di fondo sia strutturali che politiche che è necessario impegnarsi a rimuovere nel prossimo periodo:

- Il ritardo nell’emanazione delle leggi regionali di adeguamento al testo unico rischia di ostacolare la piena operatività della normativa a livello locale. Prima dell’emanazione della legge 40/98 la produzione legislativa regionale in materia di immigrazione ha avuto sotto molti aspetti un carattere innovativo, prevedendo istituti giuridici e strategie operative che in qualche caso sono stati recepiti dalla stessa legge nazionale. Adesso, tuttavia, dopo il completamento del percorso che ha condotto alla piena attuazione del testo unico e del regolamento di attuazione, è necessario uno sforzo di adeguamento omogeneo delle leggi regionali per evitare che la legge venga applicata in maniera più o meno completa a seconda delle condizioni locali di adeguamento.

- La mancanza di un centro di impulso e coordinamento politico unitario a livello locale, rappresenta un altro problema di fondo che dovrebbe essere affrontato compiutamente. Infatti a livello locale spesso la delega per l’immigrazione viene affidata ad un assessorato prioritariamente deputato ad altro, che, nella maggior parte dei casi, è quello per l’assistenza sociale quando non quello per la sicurezza.

 

Lavoro

Gli immigrati rappresentano ormai una componente strutturale del mercato del lavoro italiano, costituendo circa il 3% della forza lavoro. Si stima che nel corso del 2000 uno ogni dieci nuovi assunti sia stato un lavoratore immigrato.

Un elemento di forte criticità è rappresentato dall’ampio settore del lavoro nero. Secondo rilevazioni dell’INPS e del Ministero del Lavoro una quota che oscilla tra un terzo e un quarto degli immigrati titolari di permesso di soggiorno per motivi di lavoro non è in regola con i contributi. Le misure dirette a favorire l’emersione del lavoro sommerso rappresentano quindi senza dubbio una priorità, infatti un forte settore informale, oltre a sottrarre risorse allo Stato e agli enti previdenziali, agisce da potente fattore di attrazione dell’immigrazione irregolare verso l’Italia.

Le misure da adottare per combattere il lavoro irregolare degli stranieri non sono diverse da quelle destinate a ridurre il lavoro irregolare svolto dagli italiani: si tratta di aumentare i controlli, rendere più gravi le sanzioni e meno onerosa la contribuzione per il lavoro regolare. Sarebbe anche opportuno avviare un monitoraggio che consenta di valutare se e in che misura il lavoro irregolare degli stranieri si stia “sganciando” dalla irregolarità del soggiorno, tenuto comunque conto del fatto che i lavoratori immigrati sono in condizioni di maggiore ricattabilità e vulnerabilità rispetto agli italiani quanto alla scelta del tipo di lavoro e alla possibilità di optare per un rapporto regolare.

Si possono prevedere anche alcune misure specifiche: è necessario seguire i percorsi lavorativi di chi ha fatto ingresso in Italia con sponsorizzazione o per ricongiungimento familiare, per non alimentare il lavoro nero con immigrati regolari. In una prospettiva più generale, un monitoraggio di questo tipo si rivelerebbe strumento utile anche per le valutazioni relative ai flussi di ingresso per lavoro.

 

Sembra inoltre opportuno favorire il ricorso degli immigrati ai contratti di formazione lavoro (attualmente utilizzati solo nel 5% degli avviamenti al lavoro) e di apprendistato, che riducono i costi per le imprese e costituiscono ottime opportunità per gli stranieri.

 

Un settore cui sarà necessario dedicare maggior attenzione è quello del lavoro autonomo, considerando che i permessi per questo tipo di lavoro sono passati dal 4,1% del 1998 al 5,4% del 1999. Il lavoro autonomo degli immigrati costituisce quindi un settore in crescita che richiederà, da una parte, maggiori controlli finalizzati a individuare e reprimere eventuali situazioni di sfruttamento o scarsa tutela dei dipendenti, dall’altra, l’elaborazione una strategia di supporto all’imprenditorialità immigrata.

 

Pur essendo spesso dotati di un buon livello di istruzione, gli immigrati sono nella maggior parte dei casi collocati nel mercato del lavoro italiano ai più bassi livelli di qualifica professionale. Questo appiattimento comporta un grave sotto-utilizzo di capacità e risorse umane che vengono di fatto sprecate e la diffusione di un’immagine stereotipata del lavoratore immigrato, la cui utilità per l’economia e per la società è sempre confinata in ambiti limitati. Sembrano quindi prioritariamente da promuovere iniziative tendenti a incentivare la mobilità sul mercato del lavoro degli stranieri, in modo da consentirne l’uscita da “settori-ghetto” quali il lavoro domestico per le donne e i bassi profili professionali dell’industria e del terziario per gli uomini. Sembra inoltre fortemente necessario ridurre lo sfasamento tra il livello di istruzione e la collocazione professionale e facilitare l’accesso degli immigrati a lavori “visibili” e tenuti in buona considerazione, quali, per esempio, l’operatore di sportello.

Un maggiore impulso dovrà inoltre essere dato ai servizi di orientamento al lavoro diretti agli immigrati, ai meccanismi che favoriscono l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, a moduli di formazione professionale più efficaci e mirati che comprendano anche l’insegnamento base della lingua italiana e cognizioni di base civiche e giuridiche.

Più in generale, le politiche del lavoro per gli immigrati non possono essere pensate e realizzate disgiuntamente da strategie dirette a favorire l’inclusione sociale, a combattere marginalità e disagio, per disincentivare il fenomeno della visibilità degli immigrati in quanto lavoratori e della invisibilità in quanto cittadini.

 

Istruzione

L’inserimento scolastico di bambini e giovani immigrati costituisce una delle condizioni fondamentali per l’integrazione sociale e professionale dei minori stranieri e delle loro famiglie e per la realizzazione di pari opportunità di partenza.

Gli alunni con cittadinanza non italiana che frequentano le nostre scuole sono oggi venti volte più numerosi di quelli registrati nell’anno scolastico 1983/84, quando costituivano appena lo 0.06% della popolazione scolastica complessiva.

Nell’anno scolastico 1999-2000, più di 119.000 alunni stranieri hanno frequentato le scuole italiane, rappresentando l’1,47% dell’intera popolazione scolastica.

L’Istat ha stimato la presenza in Italia al 1 gennaio 2000 di circa 230.000 minori stranieri. I dati relativi alla frequenza scolastica prendono in considerazione ovviamente solo i minori in età scolare, dai tre anni in su. Tuttavia – come si è già osservato-  anche in considerazione del fatto che a scuola possono andare anche i minori irregolari, mentre i dati sulla presenza riguardano solo i regolari, la discrepanza tra soggiornanti e frequentanti appare un dato preoccupante, soprattutto nel meridione. Maggiori sforzi dovranno essere compiuti nei prossimi anni per diminuire il divario e realizzare compiutamente la norma del testo unico sull’immigrazione che prevede il diritto-obbligo scolastico per i bambini stranieri allo stesso modo in cui lo si prevede per gli italiani. Anche in questo ambito le misure da adottare sembrano dover essere solo in parte specificamente destinate agli immigrati, costituendo l’evasione dell’obbligo scolastico un fenomeno diffuso anche e in primo luogo tra la popolazione scolastica “nativa”, soprattutto nelle regioni meridionali. Deve quindi essere affrontato con strumenti di carattere generale e strutturale, che siano diretti a colmare determinate carenze del sistema scolastico nel suo complesso.

 

Accanto ai problemi dell’accesso, andranno meglio affrontati nei prossimi anni i problemi dell’inserimento e del successo scolastico.

Sono diversi i dati che segnalano come i bambini e i ragazzi stranieri che frequentano le scuole italiane incontrino maggiori difficoltà a scuola rispetto ai loro coetanei italiani. Nonostante l’incompletezza dei dati attualmente disponibili, si può affermare che tra gli studenti stranieri il tasso di insuccessi scolastici e di abbandoni risulta essere più alto di quello relativo agli studenti italiani e la forbice tende ad allargarsi nel passaggio tra le scuole elementari e le medie. Gli studenti stranieri che proseguono i propri studi a livello di scuola superiore scelgono più frequentemente degli italiani gli istituti tecnici e professionali, per ragioni evidentemente legate ad un più immediato approccio al mondo del lavoro permesso da questo tipo di studi. L’elaborazione di percorsi scolastici più fortemente orientati al mondo del lavoro costituirebbe uno strumento importante per combattere l’abbandono scolastico, di cui beneficerebbero senza dubbio anche studenti italiani.

La condizione dei bambini figli di immigrati privi di permesso di soggiorno è spesso caratterizzata da difficoltà di inserimento. La legge ne permette la regolare iscrizione a scuola, ma molto spesso il loro inserimento scolastico trova ostacoli nella condizione di illegalità e il contatto con i genitori è per ovvie ragioni quasi totalmente assente. Si assiste inoltre ad un forte assenteismo da parte di questi bambini e ragazzi, sempre determinato dalla posizione illegale delle loro famiglie.

Un problema molto diffuso tra gli alunni stranieri è rappresentato dal divario tra l’età del minore e la classe in cui viene inserito in Italia. Nonostante che la legge 40 indichi come criterio guida quello di inserire gli alunni stranieri nella classe immediatamente successiva a quella conclusa con successo nel paese di origine, spesso una scarsa conoscenza della lingua italiana induce le autorità scolastiche a inserire lo studente straniero in una classe composta da alunni molto più piccoli. Questo sfasamento tra età anagrafica e classe di inserimento, che si fa sempre più frequente mano a mano che si procede verso i gradi più alti dell’istruzione, si rivela dannoso tanto psicologicamente quanto pedagogicamente per l’alunno straniero. Per  evitarlo, si dovrà puntare molto di più in futuro su programmi personalizzati di inserimento e di istruzione.

Alcune misure specifiche possono facilmente essere individuate.

Una maggiore attenzione è da destinare alla formazione degli insegnanti che di fronte agli alunni stranieri si trovano spesso privi di strumenti e di preparazione adeguata. La formazione dei docenti dovrà comprendere non solo metodi e materie di insegnamento ma anche strumenti che permettano di rapportarsi alle bambine e ai bambini stranieri e alle loro famiglie, di comprendere codici di comunicazione verbale e non verbale appartenenti a culture diverse. Inoltre una formazione specifica è necessaria per l’insegnamento dell’italiano come lingua seconda.

Gli stessi sistemi di valutazione dell’alunno straniero dovrebbero essere ripensati come metodi di valutazione comprensivi anche della lingua e della cultura per evitare che una valutazione inadeguata, o perché eccessivamente rigida o perché eccessivamente blanda, produca come primo effetto l’abbandono scolastico da parte degli alunni stranieri. Il sostegno scolastico agli alunni stranieri, supportato da soli 14 milioni annui concessi alle scuole che presentano un tasso di stranieri superiore al 10%, dovrà essere rafforzato e prolungato. Spesso tale fase di sostegno termina prima di aver potuto produrre risultati visibili.

 

Anche nell’ambito della scuola la figura del mediatore linguistico e culturale si è rivelata in grado di facilitare l’inserimento e di svolgere funzioni di supporto e di assistenza, sia in termini di conoscenza delle culture di cui sono portatori i bambini immigrati, sia come sostegno agli stessi bambini nella fase di adattamento alla scuola. Il mediatore, inoltre, può svolgere un ruolo non trascurabile proprio in quel dialogo con le famiglie che si considera fondamentale nell’accoglienza.

E’ necessario instaurare forme di comunicazione chiara e costante tra la scuola e i genitori degli alunni stranieri anche allo scopo di migliorare la conoscenza e la padronanza di meccanismi burocratici, quali le modalità di iscrizione. I genitori degli alunni stranieri dovranno essere stimolati ad un maggior coinvolgimento e  partecipazione ai lavori degli organi democratici della scuola. Il dialogo con i genitori e le Comunità di provenienza, svolto con continuità e non in maniera occasionale, assume una rilevanza fondamentale per un inserimento non traumatico nel contesto scolastico e sociale.

 

La diffusione di corsi di lingua e cultura italiana, a tutti i livelli, sia per bambini che per adulti costituisce un altro obiettivo importante. Per quanto riguarda i bambini e i ragazzi in età scolare, gli interventi finalizzati all’insegnamento della lingua di studio andranno strutturati tenendo conto delle lingue di origine e realizzati all’interno delle classi di appartenenza e in laboratori interculturali e interlingue appositamente istituiti presso le scuole. Le esperienze in questa direzione, già realizzate in Italia, hanno prodotto risultati positivi.

 

Il riconoscimento dell’importanza della lingua come strumento di integrazione è anche alla base del progetto pilota per la costituzione di un sistema nazionale per l’insegnamento dell’italiano di base agli immigrati adulti. Infatti la maggior parte degli immigrati giunge nel nostro paese senza conoscere la lingua italiana e si trova a dover affrontare, in una penalizzante situazione di disagio linguistico, innumerevoli impegni e ostacoli. Il progetto di insegnamento dell’italiano di base è stato pensato proprio al fine di ridurre questa condizione di disagio e di creare pari opportunità. L’obiettivo prioritario del progetto attraverso l’immediata attivazione, in via sperimentale, di circa 50 Centri Territoriali per l’Educazione Permanente degli Adulti è di diffondere il più possibile tra gli immigrati la conoscenza di queste strutture quali centri di formazione linguistica per l’insegnamento della lingua italiana, compresi nell’ambito del sistema integrato di educazione e formazione permanente previsto dalla delibera della Conferenza Unificata del 2 marzo 2000, in modo che per gli immigrati diventino punti di riferimento per le necessità di apprendimento della lingua italiana.

Alla diffusione dell’insegnamento della lingua dovrà essere abbinata l’introduzione di un certificato ufficiale di conoscenza della lingua italiana, analogo a quello che esiste in diversi paesi europei, differenziato in vari livelli, così come proposto dalla Commissione per le politiche di integrazione.

Nell’ambito dell’istruzione per gli adulti un ulteriore obiettivo da perseguire è costituito dalla razionalizzazione della rete esistente di corsi pomeridiani e serali finalizzati al rilascio di titoli di studio nonché da una maggiore diffusione tra gli immigrati delle informazioni relative a tali corsi.

 

Università Nell’anno accademico 1997/98 risultano iscritti ai corsi di laurea e ai corsi di diploma universitario 24.010 studenti stranieri, di cui circa 14.000 provenienti da paesi comunitari o comunque a sviluppo avanzato (di cui più di 10.000 dalla Grecia). Nell’anno accademico 1998/99 risultano iscritti 20.999 studenti stranieri, di cui circa 11.000 provenienti da paesi a sviluppo avanzato (8000 solo dalla Grecia). Al momento, per l’anno accademico 1999/2000 sono disponibili solo dati parziali dai quali emerge un totale di 16.550 studenti stranieri iscritti.

Più della metà degli studenti universitari stranieri proviene quindi, negli anni più recenti, da paesi a sviluppo avanzato. Un maggiore sforzo dovrà essere compiuto nei prossimi anni per favorire l’accesso all’istruzione universitaria degli studenti provenienti da paesi a forte pressione migratoria, sia prevedendo un congruo numero di ingressi annuali per studio, sia agevolando, anche in termini economici, l’accesso all’università per chi già vive in Italia. Alcuni passi in questa direzione sono già stati compiuti: il Decreto Interministeriale MURST – MAE - INTERNI fissa a 20.220 unità la quota di ingressi per studio dell’anno accademico 2000-2001; inoltre sono stati recentemente modificati i parametri relativi al calcolo del reddito per la concessione di borse di studio a studenti stranieri.

 

Alloggio

Il contesto abitativo rappresenta a tutt’oggi un ambito di grave e generalizzato disagio per gli immigrati presenti nel nostro paese. Questo disagio appare in gran parte causato dalle caratteristiche generali del mercato degli alloggi in Italia, in cui tanto l’offerta generale di abitazioni in affitto quanto quella più specifica di abitazioni sociali sono notevolmente inferiori alle medie europee. Si stima che circa un terzo della popolazione immigrata viva in condizioni di disagio abitativo e all’incirca un quinto sia senza  dimora. Inoltre il progressivo stabilizzarsi degli immigrati, segnalato dall’aumento dei ricongiungimenti familiari e delle nascite di bambini, comporta un aumento della domanda di abitazioni adatte a famiglie e non più di mere strutture di accoglienza. L’aumentata domanda di case in affitto si scontra con un mercato dell’affitto rigido e limitato, ma anche con la diffidenza di molti proprietari ad affittare a stranieri.

Questo è forse in assoluto l’ambito dove meno necessarie appaiono misure specifiche per gli immigrati e dove, al contrario, gli stranieri risentono, in misura aggravata dalla mancanza di reti familiari di supporto, della debolezza delle politiche di carattere generale dirette a ridurre il disagio e l’esclusione abitativa delle fasce più deboli della popolazione.

Tanto la gestione dei centri di prima accoglienza, quanto la realizzazione delle altre modalità alloggiative previste dalla legge 40/98 per gli immigrati e per gli italiani in situazione di difficoltà sono in larga parte di competenza delle regioni e degli enti locali. Le politiche abitative pubbliche sono state trasferite, in attuazione del decreto legislativo 112/98, alle regioni cui spetta adesso avviare una nuova fase caratterizzata anche da scelte innovative.

Dai dati relativi al 1998 emanati dalla Direzione Centrale Documentazione del Ministero dell’Interno, risultano 17.200 posti letto offerti da un complesso di 820 strutture residenziali per stranieri, di cui 322 pubbliche, 428 private e 70 miste. Il 75% di queste strutture residenziali si trova al Nord del paese, il 14 % al Centro e il restante 12 % si divide tra Sud e Isole.

I centri di prima accoglienza continuano ad essere una componente necessaria del quadro di offerta di soluzioni abitative agli immigrati, ma devono essere posti in condizione di svolgere la funzione loro propria, caratterizzata prevalentemente dalla temporaneità e dalla flessibilità dell’accoglienza. Devono cioè poter rispondere a bisogni urgenti di accoglienza per periodi limitati di tempo, con un frequente ricambio delle persone ospitate. Da assumere con carattere di priorità saranno quindi le misure dirette ad aumentare, quantitativamente e qualitativamente, la gamma di possibilità abitative percorribili fuori del centro di accoglienza.

Occorre, da parte delle regioni e degli enti locali, incentivare l’offerta di alloggi ordinari in affitto a prezzi calmierati, ma anche sostenere progetti di accompagnamento e supporto all’acquisto destinati a quelle famiglie immigrate che avrebbero la disponibilità economica che consente l’accensione di un mutuo e l’acquisto di una casa ma spesso incontrano rilevanti difficoltà pratiche. 

Occorrerà incentivare maggiormente esperienze-pilota che hanno prodotto buoni risultati negli ultimi anni in Italia, ma anche negli altri paesi europei, quali i progetti di recupero e ristrutturazione del patrimonio immobiliare esistente, da realizzare con contributi regionali, le agenzie di intermediazione immobiliare, che consentono di superare alcune diffidenze dei proprietari di immobili, l’accesso agli alloggi ordinari a prezzi sociali o calmierati. Maggiore impulso dovrebbe inoltre essere dato alla realizzazione degli “alloggi sociali” previsti dalla legge 40, che, costituendo una soluzione alloggiativa intermedia tra il centro di prima accoglienza e l’abitazione vera e propria, contribuirebbero a decongestionare le strutture di accoglienza emergenziale.

Nella migliore tradizione degli imprenditori illuminati di inizio ‘900, sarebbe importante che anche gli imprenditori, che esprimono con forza l’esigenza di manodopera straniera, si assumessero la responsabilità di partecipare, insieme agli enti locali e alle associazioni, alla ricerca di soluzioni abitative per i lavoratori stranieri.

Da non sottovalutare è inoltre la misura in cui le difficoltà a trovare un alloggio in affitto sono aggravate dalla diffidenza dei proprietari, se non da veri e propri pregiudizi, nei confronti degli stranieri. Per questo occorre individuare soggetti che svolgano una funzione specifica di “accompagnamento” degli stranieri all’affitto e all’acquisto, ma anche una più generale attività di mediazione sociale tra tutti i protagonisti (inquilini, proprietari, vicini di casa…).

 

 

Salute

Recenti indagini confermano quanto sia ancora nettamente prevalente tra gli stranieri che vivono attualmente in Italia il cosiddetto “effetto migrante sano”, ovvero una situazione di base di buona salute che caratterizza la grande maggioranza degli stranieri che arrivano in Italia. Lungi dall’essere pericolosi portatori di malattie esotiche, gli immigrati giungono nel nostro paese con un patrimonio di salute, fisica e mentale, senza il quale non avrebbero potuto affrontare l’avventura migratoria, e che rischia di essere progressivamente eroso dalle cattive condizioni di vita, di lavoro, di alloggio in Italia.

All’interno di questo contesto generale, tuttavia, emergono alcune aree critiche a cui dovrà essere rivolta maggiore attenzione nei prossimi anni. La progressiva stabilizzazione degli immigrati nel nostro paese sta provocando un aumento tra la popolazione immigrata di bambini e di anziani, entrambe categorie con specifiche esigenze di salute. Nell’area ginecologica e pediatrica  si riscontrano alcune patologie più frequenti tra gli immigrati che tra gli italiani, causate anch’esse da precarie condizioni di vita e in alcuni casi da carenze informative che sarà necessario affrontare più compiutamente nel prossimo futuro.

L’assistenza sanitaria è inoltre uno dei settori in cui emergono con più evidenza fattori di diversa natura che ostacolano l’accesso ai servizi da parte dell’utenza immigrata. Diverse misure per eliminare tali barriere sono già state indicate nella prima parte della sezione dedicata all’integrazione di questo documento.

Si tratta, in generale, di mettere mano ad un riorientamento complessivo dei servizi sanitari alla luce delle esigenze dell’utenza immigrata: formazione del personale improntata ad una maggiore conoscenza del fenomeno migratorio e ad una accresciuta capacità di lettura del bisogno dell’utenza straniera; maggiore flessibilità degli orari di apertura; disponibilità di servizi di interpretariato; approccio multidisciplinare da parte degli operatori dei servizi. Anche l’offerta di metodi terapeutici tradizionali da parte del servizio pubblico può andare incontro ad esigenze importanti dell’utenza immigrata e nello stesso tempo rappresentare per gli italiani un’occasione di approccio a metodi terapeutici alternativi.

 

Ancora più a monte della questione di come facilitare l’accesso ai servizi, occorre avviare un monitoraggio su scala nazionale che consenta di verificare quanti titolari del diritto all’assistenza sanitaria, non lo hanno mai esercitato, dal momento che non si sono mai iscritti al Servizio sanitario nazionale. Occorrerà rimuovere le cause di questo mancato esercizio di un diritto fondamentale, principalmente con una adeguata opera di informazione.

 

 

Lotta alla discriminazione

Gli articoli 43 e 44 del testo unico sull’immigrazione, che prevedono un’ampia nozione di discriminazione e la possibilità di ricorrere ad una azione civile contro atti discriminatori, sono tuttora poco applicati e poco conosciuti. Il livello di diffusione di nel nostro paese di atti discriminatori, tanto profondamente lesivi della dignità degli stranieri quanto segni evidenti della mancanza di interazione positiva tra stranieri e italiani, è a tutt’oggi oggetto di segnalazioni sparse e non di un monitoraggio adeguato e capillare. Questo è un ambito in cui un costante impegno dovrà essere profuso nel prossimo futuro, sia nella direzione di diffondere maggiormente tra gli immigrati e tra gli operatori legali la conoscenza di questa parte della legge 40, sia nella direzione dell’istituzione, da parte delle Regioni, dei centri di osservazione, informazione e assistenza legale per le vittime di discriminazioni che la stessa legge affida alla loro competenza. A tutt’oggi non risulta istituito alcuno di questi centri, si verifica, quindi, una lacuna tanto di monitoraggio del fenomeno quanto di informazione e tutela che è necessario impegnarsi a colmare.

 

 

Diritti di rappresentanza e di cittadinanza

La rappresentanza degli immigrati si esprime concretamente attraverso le grandi associazioni di volontariato, i sindacati, le associazioni degli immigrati stessi. Le associazioni di immigrati, nate spesso da forme di aggregazione spontanea e poi passate ad una strutturazione più formale, sono oggi impegnate soprattutto in iniziative culturali, educative e sociali attraverso le quali svolgono un ruolo importante di mantenimento dell’identità culturale della comunità etnica e di mediazione con la società di accoglienza. Nonostante l’importanza della funzione di cui si fanno carico, le associazioni di immigrati risentono spesso di una fragilità organizzativa e finanziaria,  di difficoltà logistiche, di difficoltà ad informarsi e ad informare i propri associati. Per favorire la crescita professionale di queste forme associative e la valorizzazione del loro capitale umano, sarebbe necessario un maggior sostegno da parte degli enti locali, sia in termini di messa a disposizione di sedi e mezzi sia in termini di contributi finanziari.

Sia a livello nazionale, nell’ambito della Consulta per i problemi degli stranieri immigrati e delle loro famiglie, che a livello locale, con la costituzione dei Consigli territoriali, ormai operanti in ogni provincia, si sono poste le basi per favorire la visibilità e la partecipazione delle associazioni di immigrati alla vita collettiva. Queste sono le basi di partenza da cui occorrerà prendere le mosse per fornire agli immigrati che vivono e lavorano nel nostro paese una voce in capitolo sulle decisioni che li riguardano. Per quanto riguarda i Consigli territoriali, una più chiara esplicitazione dei loro compiti e una maggiore chiarezza nei criteri di scelta delle associazioni chiamate a farne parte contribuirebbero ad accrescerne la rappresentatività e l’efficacia, insieme ad un ampliamento del numero delle associazioni di immigrati che li compongono. 

Sul versante dell’ampliamento dei diritti dei lungo residenti e del loro “percorso di cittadinanza” si registra, invece, una stasi che è necessario impegnarsi a superare: la riforma delle norme sull’acquisizione della cittadinanza italiana e l’attribuzione del voto locale agli stranieri restano obiettivi di fondo cui si continuerà a dedicare impegno ed attenzione.

 

 

Risorse

A partire dal 2000 è entrato pienamente a regime il sistema di funzionamento del Fondo nazionale per le politiche migratorie, così come previsto dal Testo unico. Si tratta di un fondo ampiamente regionalizzato, nella gestione del quale lo Stato centrale mantiene, oltre ad una piccola quota, la funzione di indirizzo e di verifica dell’utilizzo da parte delle regioni. La quota di spettanza delle amministrazioni centrali in futuro potrà sempre di più essere utilizzata per il finanziamento di progetti pilota, di volta in volta individuati, che forniscono soluzioni sperimentali in determinate aree critiche.

Il Fondo nazionale per le politiche migratorie, di entità limitata, viene troppo spesso identificato con le risorse destinate a politiche dirette ai cittadini stranieri tout court. Si tratta di un errore di fondo che ci si dovrà impegnare a rimuovere. La natura stessa del Fondo nazionale per le politiche migratorie giustifica e spiega i limiti della sua dotazione finanziaria. Non si tratta di finanziare e realizzare “politiche speciali” per gli stranieri, al contrario, le politiche generali e le risorse generali destinate a finanziarle devono comprendere gli immigrati regolarmente soggiornanti nei medesimi termini dei cittadini italiani che si trovano nelle stesse condizioni. Il Fondo per le politiche migratorie è invece destinato a finanziare politiche dirette a ristabilire pari opportunità di partenza tra cittadini stranieri e italiani.

 

Alcune linee d’azione innovative

Sulla falsariga di alcuni progetti pilota già realizzati, sembra opportuno promuovere momenti di concertazione tra amministrazioni centrali e locali, anche prevedendo il coinvolgimento delle imprese, dei sindacati, delle associazioni degli immigrati, del volontariato e dei consigli territoriali.

Un vero e proprio progetto pilota di questo tipo è in corso di realizzazione nell’area del Nord-Est, Veneto e Friuli-Venezia Giulia.

In Veneto, i sindacati e l’associazione degli industriali hanno firmato un accordo regionale che disciplina la partecipazione degli immigrati a corsi di lingua italiana. La Regione Veneto ha istituito un “Tavolo unico regionale in materia di immigrazione” in collaborazione con il Dipartimento per gli Affari Sociali, gli Enti Locali e le parti sociali, per favorire l’integrazione degli immigrati utilizzando gli strumenti della formazione linguistica e professionale, della politica abitativa, dei servizi all’immigrazione e della programmazione dei flussi.

In Friuli-Venezia Giulia, a Pordenone e a Udine, sono stati invece siglati accordi a livello territoriale tra i sindacati e le associazioni degli industriali per favorire l’apprendimento della lingua italiana.

Si tratta di esperienze significative che possono indicare un percorso proficuo anche per i prossimi anni, in cui sarà sempre più necessario il coinvolgimento delle Regioni, degli enti locali, delle parti sociali e delle associazioni nella gestione delle misure di integrazione degli stranieri.

 

Istituzione del riconoscimento “Migliore progetto per una Città multi-culturale” in collaborazione con l’ANCI

Si ritiene necessario introdurre delle ulteriori forme di attuazione delle politiche di integrazione sociale in favore dei cittadini stranieri regolarmente soggiornanti sul territorio dello stato per consentirne una più ampia diffusione e partecipazione da parte dei Comuni sulla scorta delle esperienze finora prodotte anche sulla base della legge 40/1998. A due anni dall’attuazione del T:U: sulle politiche dell’immigrazione risulta necessario proseguire nel percorso di sostegno delle città italiane nell’impegno sulle politiche di integrazione sociale, introducendo nuove occasioni per migliorare i servizi in favore dei cittadini stranieri; è questa l’opportunità di rendere più intenso e capillare il coinvolgimento dei Comuni su tali tematiche, promovendo iniziative di supporto alle azioni da questi messe in atto con interventi mirati all’inserimento sociale nella comunità locale.

 


Priorità per le misure di integrazione

 

Target Group

Ambiti di attività

Interventi strutturali

Amministrazioni regionali

·       Emanazione delle leggi regionali di adeguamento al Testo unico.

Amministrazioni regionali e locali

·       Individuazione di un assessorato ad hoc che costituisca un centro di impulso e coordinamento politico unitario.

Rilevazione dello stato di integrazione

Associazioni e organizzazioni degli immigrati

  • Valorizzazione delle strutture di rappresentanza e dei Consigli territoriali, soprattutto nella componente dell’associazionismo immigrato

Tutti gli stranieri, ma anche i cittadini di origine straniera

  • Istituzione dei centri di osservazione regionali anti-discriminazione

Immigrati regolari

  • Monitoraggio sulla iscrizione al SSN da parte degli immigrati regolari.

Ricercatori, Istituti universitari, Operatori, Enti locali, Commissione per l’integrazione

  • Ricognizione e valorizzazione di esperienze di integrazione realizzate a livello locale

Politiche sociali

Immigrati, richiedenti asilo, rifugiati

  • Realizzazione degli alloggi sociali previsti dal T.U.
  • Ampliamento delle possibilità e delle modalità alloggiative che consentano il turn-over degli ospiti dei centri di accoglienza.
  • Ampliamento della offerta di alloggi ordinari in affitto a prezzi calmierati.
  • Progetti di accompagnamento all’acquisto.
  • Promuovere la creazione di agenzie di intermediazione e di garanzia per favorire l’accesso degli immigrati al mercato delle abitazioni anche per pervenire situazioni di discriminazioni.

Lavoratori stranieri

  • Servizi di orientamento al lavoro.
  • Formazione professionale mirata.
  • Lavoro autonomo: sostegno all’imprenditorialità immigrata; maggiori controlli diretti a reprimere eventuali situazioni di sfruttamento.

Donne

  • Realizzazione di alloggi per madri sole con bambini sotto i tre anni.
  • Consulenza per normativa sul lavoro domestico.
  • Consulenza legale per vittime di molestie sessuali.
  • Formazione sul diritto di famiglia.
  • Mediatori culturali nei consultori

Bambini e studenti stranieri

  • Supporto all’apprendimento della lingua.
  • Facilitazioni per l’accesso agli asili-nido.
  • Maggiore orientamento al mondo del lavoro dei percorsi scolastici.
  • Formazione degli insegnanti.
  • Sostegno alle scuole che presentano un tasso di studenti stranieri superiore al 10%.
  • Rafforzamento dei canali di comunicazione tra la scuola e i genitori degli alunni stranieri.

Soggetti svantaggiati

  • Assistenza malati lungo degenti.
  • Assistenza e gratuito patrocinio per i detenuti.
  • Misure di protezione per le vittime della tratta e dello sfruttamento sessuale.

Adulti e bambini stranieri

  • Programmi per l’apprendimento della lingua italiana per minori e adulti.
  • Certificazione ufficiale del grado di conoscenza della lingua.
  • Tutela della cultura d’origine.
  • Razionalizzazione della rete di corsi per il rilascio di titoli di studio e maggiore diffusione delle informazioni relative a questi corsi tra i cittadini stranieri.

Tutti gli stranieri

  • Istituzione di sportelli informativi.

Servizi pubblici

  • Formazione specifica degli operatori che si trovano a contatto con l’utenza immigrata.
  • Favorire l’accesso ai servizi anche attraverso la valorizzazione dell’attività dei mediatori culturali.
  • Definizione del ruolo e dell’ambito di intervento dei mediatori culturali.

Amministrazioni e operatori pubblici

  • Semplificazione delle procedure amministrative.
  • Sostegno alle rappresentanze delle comunità degli stranieri al fine di favorire la partecipazione alla vita della realtà locale.

Informazione

Tutti gli immigrati e in particolare i nuovi arrivati

  • Informazione-Orientamento sui servizi pubblici, le procedure burocratiche, le istituzioni italiane

Tutti gli stranieri, ma anche i cittadini di origine straniera, le associazioni

  • Diffusione delle informazioni relative alla tutela anti-discriminazione

Italiani e stranieri soggiornanti in Italia

  • Favorire relazioni a basso conflitto tra immigrati e italiani sfatando luoghi comuni e promuovendo la conoscenza reciproca

Famiglie immigrate

  • Campagna di informazione e sensibilizzazione contro le mutilazioni genitali sulle bambine

Immigrati lungo residenti

  • Informazione sulla carta di soggiorno e sui diritti e doveri di cittadinanza

Cittadini italiani

  • Informazione su immigrazione e altre culture

Paesi di provenienza dei maggiori flussi di immigrazione

  • Informazione sulle procedure di ingresso e soggiorno in Italia

Tutti (immigrati, operatori, amministrazioni)

  • Campagna informativa sul T.U. sull’immigrazione e sulle leggi regionali di adeguamento

 


Cap. V) Linee generali per la definizione dei flussi di ingresso nel territorio italiano

 

 

 

 

 

Il presente documento, che ha lo scopo di illustrare i principi fondamentali della politica dell’immigrazione per il triennio 2001-2003, si ricollega naturalmente con il documento del triennio precedente in una soluzione di continuità, per quanto riguarda le priorità, le finalità, gli strumenti e le procedure indicate. Si ritiene pertanto di assumerne tutti i contenuti.

 

Con l’entrata in vigore della legge 40/98, il Ministero del Lavoro si è trovato nella necessità di impartire opportune direttive ai propri uffici periferici per l’applicazione delle disposizioni immediatamente esecutive della legge stessa, successivamente confluita nel T.U. 286/98. In attesa dell’emanazione del Regolamento di attuazione di cui all’art.1, comma 6, della legge predetta, si è  fronteggiato il problema della transizione fra la vecchia normativa ed il sistema innovativo della nuova legge.

 

A distanza di un anno dall’emanazione del Regolamento di attuazione di cui al DPR 394/99, il Ministero del Lavoro Direzione Generale per l’impiego si sta adoperando con l’obiettivo di completare l’attuazione della normativa sull’immigrazione, valorizzandone gli aspetti innovativi, con riferimento anche alla complessiva riforma degli assetti istituzionali e delle politiche di governo nel mercato del lavoro e alle nuove competenze degli enti locali in materia di politiche del lavoro  stabilite dal decreto legislativo 469/97. Lo Stato è competente in materia di programmazione dei flussi migratori per lavoro ed ha funzioni do coordinamento, programmazione e monitoraggio nel collocamento lavorativo e nelle politiche del lavoro, operando in un quadro di coerenza e sinergie. Nel processo di definizione dei flussi la legge stessa prevede l’intervento degli enti territoriali (Regioni, Province, Comuni) quali interlocutori naturali nell’ambito delle varie realtà locali e, come previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 2 agosto 2000, con l’acquisizione di un parere preventivo della Conferenza Unificata sull’emanazione dei decreti flussi annuali.

Il Ministero del Lavoro – in particolare, il Servizio per i problemi dei lavoratori immigrati extracomunitari e delle loro famiglie, presso la Direzione Generale per l’Impiego – sta inoltre attivando una struttura di sintesi per l’affinamento tecnico dell’individuazione dei fabbisogni. Architrave della strumentazione è l’anagrafe, come strumento d’incrocio tra domanda e offerta, ma anche di monitoraggio e valutazione. A tal proposito, la normativa sull’immigrazione prevede che il Ministero del Lavoro fornisca, in modo articolato per qualifiche o mansioni, le indicazioni sull’andamento dell’occupazione e dei tassi di disoccupazione, a livello nazionale e regionale, nonché il numero dei cittadini stranieri non appartenenti all’Unione Europea iscritti nelle liste di collocamento. Tale attività, portata a sintesi nella struttura di coordinamento soprarichiamata, è svolta parallelamente all’attivazione dell’anagrafe. Un ulteriore filone centrale di attività è rappresentato dalla correlazione delle politiche di inserimento dei lavoratori immigrati con il Piano Nazionale per l’Occupazione, considerato che uno dei pilastri riguarda le politiche di pari opportunità.

 

 

Definizione del fabbisogno interno di manodopera straniera

 

Le politiche di governo dell’immigrazione per motivi di lavoro sono una componente importante dell’insieme delle politiche per l’immigrazione. A riguardo non sono mancate le analisi sul fronte dell’offerta di lavoro dei cittadini immigrati che complessivamente confermano il carattere strutturale dell’immigrazione.

 Su piano della domanda, la necessità di armonizzare i flussi di ingresso dei lavoratori extracomunitari con le possibilità offerte dal mercato del lavoro nazionale, evidenzia l’importanza di una rilevazione efficiente e puntuale del fabbisogno interno, che deve  tener conto tanto delle esigenze espresse a livello territoriale del partenariato sociale e degli attori istituzionali, quanto dei dati previsionali relativi all’andamento dell’economia italiana nel suo complesso, così come emerge da differenti analisi. Il Ministero del Lavoro opererà nelle due direzioni, in ottemperanza delle prescrizioni normative. Il ruolo del Ministero del lavoro è, del resto, ben evidenziato nell’art.21 del Testo Unico sull’Immigrazione (Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286 ), che ribadisce come “i decreti annuali devono tenere conto delle indicazioni fornite, in modo articolato per qualifiche o mansioni, dal Ministero del lavoro e della Previdenza Sociale sull'andamento dell'occupazione e dei tassi di disoccupazione a livello nazionale e regionale, nonché sul numero dei cittadini stranieri non appartenenti all'Unione europea iscritti nelle liste di collocamento”.

Le analisi di monitoraggio, quindi, deve schematicamente prevedere due livelli di analisi:

 

a)     Una rilevazione dei fabbisogni a livello regionale, promossa attraverso l’azione di monitoraggio delle Direzioni Regionali Del Lavoro, che tenga conto, sia delle necessità in termini quantitativi, sia dei fabbisogni professionali. Tale indagine è indispensabile, inoltre, per la programmazione della ripartizione territoriale delle autorizzazioni e sarà condotta dal Ministero del Lavoro Direzione Generale per l’Impiego con le Regioni, gli Enti territoriali e le Parti Sociali, esaminando sia gli aspetti qualitativi che quantitativi della definizione dei flussi. Sono, inoltre, già state impartite indicazioni in tal senso, ed in particolare con Lettera Circolare n° 451 del Novembre 2000. Inoltre, l’elaborazione dei i dati relativi all’immigrazione per ragioni di lavoro fornisce attendibili elementi nella lettura complessiva della domanda e permette l’individuazione di interventi specifici.

 

b)    La promozione di strumenti di rilevazione complessi che analizzino le dinamiche occupazionali del sistema economico italiano nei diversi settori produttivi (come, ad esempio, gli studi Excelsior di Unioncamere promossa dal Ministero del Lavoro, l’indagine Isfol-CSA e i rapporti dell’associazione Assinform)

 

A fronte di tali rilevazioni, occorre poi  ponderare i fabbisogni emersi con i dati previsionali dell’economia italiana, e con le dinamiche interne all’offerta di lavoro straniera, evidenziandone i tassi di occupazione e le tipologie professionali maggiormente compatibili con le esigenze del mondo imprenditoriale.  La riforma del mercato del lavoro e, in particolare, le novità introdotte dal Decreto Legislativo 181/2000 e dalla riforma del collocamento ordinario di prossima emanazione, consentono al Ministero del Lavoro, Direzione Generale per l’Impiego, di fornire al Governo gli elementi per valutare il dato relativo ai tassi occupazionali e disoccupazionali degli stranieri già residenti  regolarmente in Italia.

 

Analisi territoriale del fabbisogno lavorativo. Anagrafe Informatizzata dei Lavoratori Extracomunitari

Lo strumento principale nell’analisi territoriale del fabbisogno lavorativo è rappresentato dall’anagrafe informatizzata, che è stata avviata in via sperimentale con l’Albania, nella prospettiva di estenderne la portata. Infatti nel 2001 si intende sperimentare in tutto il territorio nazionale la formula già avviata con l’Albania. Si sottolinea, inoltre, che l’anagrafe costituisce un importante mezzo di contrasto al lavoro nero, nelle politiche che ne favoriscono l’emersione.

La più volte richiamata necessità di una corretta definizione dei flussi di ingresso, sia sul piano quantitativo che su quello qualitativo, attraverso meccanismi che promuovano l’incontro tra domanda interna di lavoro e offerta dei lavoratori extracomunitari, trova applicazione nell’Anagrafe Informatizzata dei Lavoratori Extracomunitari (AILE), implementata dalla Direzione Generale per l’impiego del Ministero del Lavoro. A tale sistema informatizzato faceva, inoltre specifico riferimento il documento di programmazione dei flussi 1998-2000.

 

La costituzione dell’AILE, prevista dal T.U. 286/98 all’art. 21 comma 7 ad opera del Ministero del Lavoro- Direzione Generale,  secondo il D.P.R. 394/99 art. 32 comma 3, rappresenta un efficace sistema per la selezione dei lavoratori immigrati in base alle richieste degli imprenditori italiani. Il progetto si impernia sulla costituzione di una banca dati anagrafica dei lavoratori extracomunitari in base ad un modello unico, approvato con Decreto Ministeriale il 4 settembre del 2000, al fine di registrare le competenze professionali e linguistiche degli aspiranti lavoratori non comunitari (si veda allegato). Il funzionamento del sistema, inoltre, è garantito da una rete informatizzata (tramite la rete pubblica internet e la rete RUPA, Rete Unitaria  della Pubblica Amministrazione) che permette una rapida interazione dei soggetti coinvolti nelle procedure di ingresso quali, oltre al Ministero del Lavoro stesso, i Centri per l’impiego, le Province, l’INPS, le Ambasciate, le Aziende, gli Enti di formazione e le Questure

 

L’anagrafe, quindi, consente a chiunque in possesso di collegamento internet, la consultazione delle professionalità disponibili tra i lavoratori stranieri inseriti nel data base anagrafico e, ai soggetti registrati, la possibilità di accedere ai dati personali degli iscritti e di avviare le procedure di autorizzazione.

 

Oltre all’evidente vantaggio derivante dalla possibilità di selezione per qualifiche, il sistema dell’AILE favorisce, quindi, una gestione efficiente delle procedure di avviamento e di ingresso dei lavoratori stranieri. Inoltre, attraverso la velocizzazione nelle interazioni tra i diversi soggetti coinvolti, viene reso più agevole il controllo sul corretto iter delle pratiche e sui fenomeni legati all’economia sommersa e facilita, attraverso la semplificazione amministrativa, il processo di adeguamento degli ingressi alle reali esigenze del mercato interno.

 

Infatti, la costruzione di una rete di comunicazione efficiente è un passo fondamentale per la definizione di un archivio unitario ed aggiornato presso l’INPS sui lavoratori stranieri presenti nel paese, attraverso un efficace scambio di informazioni tra l’istituto e gli altri attori coinvolti. In questo modo sarà più agevole la verifica delle posizioni lavorative dei cittadini extracomunitari (con conseguente maggior controllo sui fenomeni legati all’economia sommersa) e più puntuale e completa la lettura dati relativi all’offerta di lavoro degli extracomunitari presenti sul territorio.

 

In questo senso, l’Anagrafe Informatizzata si rivela uno strumento di indubbia utilità nella fase di programmazione dei flussi, in quanto permette di rilevare informazioni, sia in termini quantitativi che qualitativi, sulle richieste di lavoratori da parte degli imprenditori italiani.

Il sistema centrale del Ministero del Lavoro governa l’intero progetto e presso di esso risiede il data base, detto sistema centrale è operativo 24 ore on-line tramite la rete internet .

Il cuore del sistema è la banca dati, il suo ruolo è di gestire l’archivio centrale generale ( Anagrafe nominativa e professionale dei cittadini extracomunitari) e di scambiare informazioni con i vari attori interessati ( Direzioni Provinciali del Lavoro, Direzioni Regionali del Lavoro, Aziende, INPS, OIM, OIL, Enti di Formazione, Questure e Ambasciate).

Il colloquio con il mondo esterno avviene tramite un sito web costruito per lavorare in modalità pubblica con tutti gli interlocutori “pubblici” non accreditati e riconosciuti dal sistema, ovvero pubblicando i dati contenuti nel data base escludendo quelli sensibili come previsto dalla legge sulla privacy, ed in modalità privata con le DPL per gestire le pratiche di richiesta e rilascio delle autorizzazioni al lavoro, con le aziende che richiedono l’iscrizione allo stesso con username e password di accesso per la consultazione della banca dati completa con ricerca per qualifica professionale , con gli enti di formazione solo per la parte destinata alla gestione dei corsi di orientamento e formazione previsti e con l’INPS che come previsto dal D.P.R.394 ha accesso alla banca dati completa ed aggiornata.

 

Allo stato attuale, alcune DPL (Ancona, Bari, Bologna, e Treviso) sono già collegate all’AILE su rete privata, mentre la connessione di tutte Direzioni Provinciali è prevista entro il 2001. L’accesso al sistema è comunque già garantito attraverso la rete pubblica Internet.

 

Altro punto fondamentale del progetto è la possibilità, dall’anno 2001, di inserire, direttamente sul sito AILE, da parte di tutti gli attori, DPL, parti sociali, parti datoriali e aziende accreditate, i fabbisogni previsionali per l’anno seguente suddivisi per qualifiche professionali e mappati per territorio nazionale.

 

Inoltre, la sperimentazione di meccanismi di selezione dei lavoratori immigrati tramite l’Anagrafe Informatizzata, è stata già avviata per l’Albania, con la quale esiste anche un accordo sul lavoro stagionale, e prevede, oltre ad avviare un flusso regolare ed ordinato di lavoratori immigrati albanesi, anche l’orientamento e la formazione professionale degli stessi tramite fondi nazionali e comunitari. Il meccanismo appena descritto, basandosi su una selezione di tipo qualitativo degli ingressi, richiede un efficiente sistema di certificazione delle competenze inserite nei curricola degli aspiranti lavoratori extracomunitari. Al momento, per quel che riguarda le iscrizioni dei lavoratori albanesi, tale certificazione è garantita dalla collaborazione con l’OIM, attraverso una convenzione stipulata tra il Ministero del Lavoro e l’organismo stesso.

 

Il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, in data 20.12.1999, ha stipulato una Convenzione con l’OIM per la realizzazione del progetto d’ingresso ordinato e programmato e di orientamento e di formazione professionale di aspiranti lavoratori albanesi, nel rispetto del D.P.C.M. 8.2.2000, attraverso l’attivazione di un sistema per la selezione, secondo normativa, in Albania di lavoratori albanesi potenzialmente collocabili in Italia.

 

L’iniziativa si colloca nell’ambito delle misure approvate dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri (Tavolo di Lavoro Puglia – in particolare con l’Albania) con l’obiettivo di assistere l’emigrazione regolare di lavoratori albanesi verso l’Italia, in attuazione della recente normativa italiana sulla migrazione e degli impegni bilaterali sottoscritti tra Italia e Albania. In merito, si intende dare attuazione a tale progetto anche nei prossimi anni.

 

L’iniziativa prevede le seguenti attività:

-       Verifica delle attitudini e delle professionalità dei candidati sulla base delle loro qualifiche, in relazione ai settori interessati dal fabbisogno del mercato del lavoro italiano;

-       La raccolta e la registrazione dei dati relativi alle generalità ed dalle professionalità in possesso dei candidati in un’apposita banca dati da mettere a disposizione di tutte le associazioni imprenditoriali interessate ad assumere manodopera extracomunitaria;

-       L’assistenza per i viaggio dall’Albania dei lavoratori albanesi assunti sino alla destinazione finale in Italia.

 

L’OIM, nell’ambito di un programma iniziato a marzo del 2000, sta inserendo, in un programma appositamente elaborato, i dati relativi ai lavoratori albanesi, certificandone la conoscenza linguistica e professionale. Allo stato attuale sono state intervistati 2332 candidati, di cui 1264 sono stati selezionati e registrati nella banca dati. Inoltre, la certificazione cui si è fatto riferimento è stata condotta sulla base di 22 test professionali e 15 test di lingua italiana, utilizzati per la selezione dei candidati in Albania ed elaborati secondo le indicazioni delle 33 professioni maggiormente richieste dagli imprenditori italiani sulla base di uno studio condotto da Unioncamere con il Ministero del Lavoro.

 

Il Ministero del Lavoro insieme agli Affari Esteri e all’Interno ha messo a punto una scheda tipo, denominata convenzionalmente Modello Unico, per la rilevazione delle disponibilità di lavoro all’estero e dei precedenti lavorativi, in conformità a quanto previsto dagli artt. 22 e 24 del T.U. predetto sulla richiesta di lavoro da parte dei datori interessati in base alle liste costituite presso ciascun paese estero che ha stipulato Accordi in materia di lavoro. La scheda consentirà l’uniforme predisposizione delle liste e l’implementazione della anagrafe ed è uno degli strumenti previsti dalla normativa.

 

Inoltre è stata avviata una campagna informativa e di sensibilizzazione in Italia per la massima diffusione dell’iniziativa presso gli enti coinvolti, con un raccordo con il progetto “Orientamento, formazione professionale e consulenza a favore di migranti e profughi dalla Regione Balcanica” finanziato dal Ministero del  Lavoro e dal Fondo Sociale Europeo, nell’ambito dell’iniziativa comunitaria OCCUPAZIONE/INTEGRA. Nell’ambito di tale progetto sono stati realizzati incontri con rappresentanti istituzionali regionali e provinciali responsabili per le  Politiche del Lavoro e con le Associazioni datoriali dei vari settori dell’economia. Complessivamente la sperimentazione consentirà di valutare un “modello di intervento” che colleghi la strumentazione dei flussi, prevedendo formazione per gli inserimenti. Ciò nonostante le inevitabili difficoltà derivanti dalla complessità della situazione albanese.

 

L’elevata eterogeneità del sistema produttivo italiano si riflette sul mercato del lavoro, determinando “submercati” a livello territoriale che presentano specificità e dinamiche diverse tra loro. La differenziazione suggerisce come sia necessario, attraverso l’attivazione degli organismi locali, l’implementazione delle attività di ricerca e rilevazione del fabbisogno nei differenti contesti del territorio nazionale. Tali attività dovrebbero interessare sia gli enti territoriali (Regioni, comuni e province), sia gli enti e gli organismi che sono usualmente coinvolti dal fenomeno migratorio, vale a dire le parti sociali datoriali e dei lavoratori, e le organizzazioni del volontariato e del privato sociale che, a vario titolo, si interessano delle problematiche inerenti l’immigrazione.

 

L’analisi a livello locale, quindi, non dovrà rilevare soltanto le richieste del mondo imprenditoriale, ma analizzare anche le modalità e le problematiche di inserimento delle comunità immigrate nel territorio, con particolare riferimento alle difficoltà nella disponibilità degli alloggi. Tale attività di monitoraggio è stata già implementata dal Ministero del Lavoro Direzione Generale per l’Impiego, attraverso l’attivazione delle relative Direzioni Regionali, che sono state chiamate a rilevare il fabbisogno di manodopera straniera, per settori economici, nelle relative province di competenza, valutandone oltre che la tipologia contrattuale (a tempo determinato, indeterminato o per lavoro stagionale), anche gli aspetti qualitativi. In questa prima fase non si ritiene, in ogni caso, di operare la previsione di decreti di programmazione dei flussi articolati per qualifiche, con l’intendimento, tuttavia, di approfondire tale aspetto a seguito dell’attivazione dell’anagrafe informatizzata dei lavoratori immigrati.

 

È necessario, inoltre, rivolgere l’attenzione non solo ai bisogni delle imprese, ma anche a quelli provenienti da altri settori dell’economia nonchè dalle famiglie.

 

 

Confronto delle analisi con i dati previsionali relativi all’andamento dell’economia italiana

 

Nella fase successiva occorrerà raccogliere le informazioni provenienti dalle diverse realtà territoriali e confrontarle con i dati relativi alle dinamiche occupazionali, sia dei lavoratori stranieri che di quelli italiani, attraverso le rilevazioni presso i Centri per l’impiego delle singole Province e Regioni. Il ruolo di coordinamento del Ministero del Lavoro Direzione Generale per l’impiego e di collegamento tra l’Amministrazione centrale e quelle Periferiche attraverso le Direzioni Regionali del Ministero del Lavoro risulta quindi cruciale, al fine di armonizzare i fabbisogni delle singole aree al contesto nazionale nel suo insieme, anche in relazione ai dati previsionali relativi all’economia italiana.

 

Di particolare importanza a tal proposito, è l’utilizzo di strumenti previsionali relativi ai singoli studi di settore (quali quelli promossi da Unioncamere, Isfol-CSA e Assinform), al fine di contestualizzare le singole rilevazioni in un quadro economico di più ampio respiro, sia nazionale che internazionale. Infatti, basare la politica di programmazione dei flussi semplicemente sui fabbisogni strettamente contingenti rischierebbe di portare ad una definizione nel numero degli ingressi non compatibile con logiche di medio periodo. Occorre, perciò, che le quantificazioni tengano conto delle possibili conseguenze di fasi congiunturali negative e del grado di crescita dei singoli settori dell’economia, al fine di prevenire pericolose conseguenze occupazionali sulla manodopera immigrata con basso livello di qualifica.

 

Per ciò che concerne l’incentivazione di ingressi di forza lavoro straniera altamente qualificata, è bene affiancare agli studi che rilevano la carenza di alcune tipologie professionali, i dati relativi al sistema formativo italiano, in modo da stimare la potenziale offerta di lavoro per gli anni seguenti, attraverso le informazioni fornite dal Ministero della Pubblica Istruzione e da quello dell’Università e della Ricerca Scientifica.

 

L’elevato livello di mobilità della popolazione immigrata non consente di circoscrivere i flussi di ingresso ad una singola area territoriale. È inevitabile, infatti, che parte dei lavoratori immigrati destinati ad una regione si spostino verso altre zone del territorio, rendendo quindi necessaria una percezione complessiva tanto dei fabbisogni quanto delle problematiche relative all’integrazione.

 

È bene sottolineare, a questo proposito, l’importanza di interventi in itinere correttivi nella determinazione dei flussi annuali. La facoltà di licenziare nell’anno più di un decreto di programmazione dei flussi, suggerisce la lettura prudenziale delle richieste da parte delle organizzazioni datoriali, da un lato favorendo meccanismi di ingresso (attraverso l’Anagrafe Informatizzata degli Immigrati) che privilegino le professionalità maggiormente richieste, e dall’altro promuovendo un’azione di verifica dell’adeguatezza delle quote previste, attraverso l’esame della velocità di “copertura” delle stesse. In questo senso appare opportuno sottolineare come il passaggio da una politica di controllo dei flussi di tipo quantitativo ad una di tipo qualitativo non può che esserne una naturale evoluzione. Come già accennato, infatti il decreto flussi, infatti non opera una distinzione degli ingressi per tipologia professionale, inglobando le qualifiche di basso e di alto livello in un unico aggregato. A tal proposito, sembra però opportuno lasciare a detti decreti 2001/2003 la scelta sull’introduzione di distinte quote per esigenze del settore sanità e del settore dell’alta tecnologia.In generale, fermo restando la predetta riserva, non sembra qui opportuno stabilire che all’interno dei decreti di programmazione dei flussi migratori vengano fissate quote espressamente dedicate a tipologie professionali specifiche, relative a professionalità di alto livello e poco presenti nell’offerta di lavoro nazionale (da non confondersi con le figure richiamate dall’art. 27 del T.U. che, per scelta legislativa, non rientrano nelle quote annualmente fissate).

 

È bene comunque sottolineare l’importanza di tale carenza relativamente agli effetti sul rallentamento della crescita dei settori economici di più recente sviluppo (in particolare quelli legati all’informatica e alle comunicazioni) e ribadire l’esigenza di individuare  meccanismi che facilitino l’ingresso di lavoratori stranieri con competenze adeguate alle richieste del mondo imprenditoriale.

A questo proposito può essere utile citare i dati emersi dall’analisi del fabbisogno formativo del personale sanitario, ad opera del Ministero della Sanità. Tale ricerca evidenzia come, già dal 1993, sia netta la diminuzione nei diplomi per “infermieri professionali”, in ragione di una progressiva mancanza di attrazione verso questo tipo di professione. Tale deficienza ha generato, negli anni, un eccesso di domanda quantificabile in 3.451 unità nell’anno 2000, 3.199 nel 2001 e 1.817 nel 2002. A fronte di tali carenze, sono stati quindi individuati i paesi extracomunitari nei quali la formazione è assimilabile a quella europea, al fine di sopperire al deficit al di offerta. È evidente che, nelle decisioni finali in merito ai decreti di programmazione dei flussi, occorrerà generalmente valutare anche l’incidenza della politiche per la mobilità interna con riguardo non solo ai lavoratori extracomunitari, ma anche a quelli nazionali e ,in un contesto più ampio, a quelli europei, al fine di evidenziare quale percentuale di posti disponibili possa essere soddisfatta ricorrendo esclusivamente a cittadini extracomunitari.

 

Sembra comunque necessario lo studio di “filtri qualitativi” che favoriscano i soggetti dotati di elevate credenziali formative. A riguardo si può ipotizzare l’utilizzo di più decreti flussi ,come già richiamato in precedenza, anche in relazione agli elementi informativi forniti periodicamente  dal  Ministero del Lavoro in merito.

La rilevazione istruttoria del Ministero del Lavoro continuerà periodicamente, coinvolgendo Regioni, Provincie, Centri ed Enti di ricerca, Parti Sociali. Si potrà, in tal modo, contribuire ad intercettare i fabbisogni per il medio periodo nonché quelli espressi dalle famiglie. Come già sù accennato, il Ministero del Lavoro – Servizio per i problemi dei lavoratori immigrati extracomunitari e delle loro famiglie presso la Direzione Generale per l’Impiego - sta attrezzando, al riguardo, una apposita struttura, che opererà anche utilizzando l’anagrafe informatizata.

 

Relativamente alla discriminazione degli ingressi in relazione alle categorie professionali più richieste, un discorso analogo ai precedenti può essere fatto anche per gli ingressi con per prestazione di garanzia per l'accesso al lavoro, previsto dall’Art 3 del Testo Unico, Decreto Legislativo n.286/98. Appare necessaria, infatti, la verifica della percentuale e della qualifica degli immigrati che hanno trovato collocamento nel mercato del lavoro, anche in relazione  alle differenti tipologie di percorsi di inserimento seguite. Pare, inoltre, opportuno sottolineare la necessità di approfondire la possibilità di circoscrivere questo strumento ai lavoratori provenienti da Paesi con i quali non siano già in vigore accordi in merito a quote riservate, in modo da costruire tra le Autorità nazionali in un processo di responsabilizzazione reciproca, al fine di garantire un efficiente meccanismo di incontro tra la Domanda e l’Offerta di Lavoro.

 

Per quanto riguarda il lavoro stagionale, si ritiene opportuno evidenziare la pressante necessità di dover corrispondere tempestivamente alle esigenze del mercato del lavoro, con flussi di ingresso aventi il carattere della fluidità, in quanto collegati ad un soggiorno temporaneo strettamente rapportato alla stagionalità delle suddette esigenze. Ne discende che, ovviamente, non emergano situazioni problematiche di integrazione sociale, mentre acquistano rilevanza quelle riguardanti l’accoglienza e l’assicurazione della parità delle condizioni di lavoro rispetto ai lavoratori italiani. A tale proposito, un ruolo importante riveste l’Accordo sul lavoro stagionale dell’8/2/2000, stipulato fra il Ministero del Lavoro e le parti sociali, con cui si procede all’attuazione delle disposizioni dell’art.24, comma 5, del T.U. 286/98 che prevede l’intervento degli organismi locali nella stipula di convenzioni in materia. A seguito delle predette esigenze, l’adozione di un Decreto Ministeriale, a firma del Ministro del Lavoro in data 8 giugno 2000, per l’ingresso di 20.000 lavoratori stagionali, appare pienamente rispondente alla richiesta del mercato del lavoro stagionale, quale mercato dotato di particolare espansione in relazione ai periodi di “picco” stagionale.

Particolare attenzione sarà prestata alla formazione professionale, anche in loco.

 

Appare opportuno, infine, precisare come, per quanto in linea con una politica migratori di tipo “qualitativo”, la promozione di attività di formazione professionale per immigrati nei paesi d’origine non debba e non possa tradursi in una selezione di fatto degli stessi ad opera di soggetti privati, compito che, istituzionalmente, spetta all’autorità pubblica centrale. I privati potranno, però, procedere alla selezione dopo la preselezione rappresentata dalla istituzione delle liste di implementazione dell’anagrafe.

 

Politica di programmazione dei flussi e interventi di inserimento lavorativo: i differenti ambiti di intervento dell’autorità centrale e degli organismi territoriali.

Il Decreto Legislativo n. 469/97 disciplina il conferimento alle Regioni e agli enti locali, di funzioni e compiti relativi non solo al collocamento ma anche alle politiche attive del lavoro, riservando, invece, allo Stato un ruolo generale di indirizzo, promozione e coordinamento. Peraltro, lo stesso Decreto, in materia di politiche dell’immigrazione, detta una puntuale divisione delle responsabilità. Infatti, rimane riservata allo Stato – in attuazione dell’art. 1, 3° comma, lett. f) della c.d. Legge Bassanini, il quale, in via generale, esclude dal campo di applicazione del conferimento in capo agli enti locali la materia della “immigrazione” – la “vigilanza (…) dei flussi di entrata dei lavoratori non appartenenti all'Unione europea” (art. 1, 3° comma, lett. a). Alle Regioni, e di fatto – per gli effetti della delega obbligatoria di cui all’art. 4, 1° comma, lett. a) – alle Province, è invece attribuita la funzione amministrativa relativa al “collocamento dei lavoratori non appartenenti all'Unione europea” (art. 2, 1° comma, lett. f). In tale ottica legislativamente determinata, l’attività di incontro tra domanda ed offerta di lavoro (“inserimento”) esercitata dall’ente locale, trova il proprio necessario antecedente logico nell’attività di programmazione dei “flussi di entrata” a livello nazionale

 

Il ruolo di “ indirizzo e coordinamento” riservato dalla Legge allo Stato si è tra l’altro espresso nella realizzazione di un "masterplan" dei servizi per l'impiego (SPI), indispensabile per allestire un quadro di riferimento entro cui sviluppare la riforma degli stessi SPI, valorizzando a tal fine l’utilizzo delle risorse strutturali e strumentali e il ricorso al cofinanziamento nazionale. Nel “Masterplan” sui Servizi per l’Impiego  si afferma , espressamente che “il concorso finanziario del FSE contribuirà”, tra l’altro, alla “progettazione di interventi appropriati ad un positivo inserimento nell'occupazione dei lavoratori extra-comunitari”.

 

A proposito del ruolo svolto dagli SPI deve essere ricordata la linea procedurale concertata, finalizzata alla individuazione, anche per l’Italia, di standard qualitativi e quantitativi, “in linea con le migliori pratiche a livello comunitario”. In tale ottica il Ministero del Lavoro, insieme a Regioni e Province, si è impegnato, su più fronti, con l’intento di approdare alla definizione dei su richiamati standards. Tale processo si è concretizzato, dapprima, con l’Accordo in materia di standard minimi di funzionamento dei servizi per l’impiego, tra Ministero, le Regioni e le Province autonome, le Province, i Comuni e Comunità montane, sancito, il 16 dicembre 1999, presso la c.d. Conferenza Unificata. Tale Accordo rappresenta un primo passo, lungo il cui solco si inseriscono anche le “Linee  guida  per  la  definizione  di  azioni per  l’avvio  della  funzionalità  dei  servizi  all’impiego” definitivamente approvati, sempre dalla Conferenza Unificata, il 26/10/2000. Proprio nelle “Linee guida”, per favorire l’allargamento della partecipazione al mercato del lavoro – promovendo l’occupabilità della forza lavoro, anche di quella più difficilmente collocabile – viene espressamente menzionato il “particolare impegno che dovrà essere rivolto all’inserimento degli immigrati” da parte dei Servizi per l’impiego locali. Il ministero del Lavoro individuerà l’autorità competente a riguardo, anche nell’ambito della programmazione del “Masterplan”. A tal proposito, il Ministero del Lavoro opererà per individuare difficoltà, trasferire buone pratiche, secondo logiche di sistema.

 

Il ruolo degli accordi internazionali bilaterali

Nell’ottica di un corretto funzionamento dell’Anagrafe Informatizzata, di cruciale importanza è la stipula di accordi bilaterali con i governi stranieri (ed in particolare con quelli per i quali sono già state definite delle quote riservate), al fine di coinvolgere direttamente le autorità locali nel processo di implementazione del sistema di selezione dei candidati. La responsabilizzazione dei governi locali costituisce l’elemento decisivo: nel 2001, nel 2002 e nel 2003 rappresenterà, infatti, un obiettivo prioritario.

 

In questo senso, deve essere comunque perseguita, affianco ad una politica di programmazione sistematica dei flussi, un’azione di forte responsabilizzazione delle autorità governative locali , da tenere in conto anche nelle fasi di assegnazione e conferma delle quote d’ingresso riservate, che vanno considerate fortemente vincolate all’impegno dei governi stranieri dell’AILE. A questo proposito è pensabile, in fase rinegoziale, anche la possibilità di ridurre o non rinnovare l’ammontare degli ingressi destinati ad un paese in funzione della mancata ottemperanza agli accordi stipulati in precedenza.

 

Un ulteriore elemento di incentivazione all’utilizzo del meccanismo degli accordi bilaterali è rappresentato dall’implementazione di programmi di cooperazione allo sviluppo attivabili tramite il meccanismo della cooperazione internazionale. Appare rilevante sottolineare la capacità di detti strumenti nell’attivare “logiche di sistema”, volte al rafforzamento delle dinamiche di collaborazione con le autorità straniere.

 

Recente è la realizzazione dell’accordo con il Governo tunisino che, per completezza e originalità, rappresenta un sicuro punto di riferimento per la stesura di futuri accordi finalizzati all’impiego ottimale di quote di ingressi riservate, e condurrà alla predisposizione di un vero e proprio “modello” per le iniziative analoghe future. In particolare, tale tipo di collaborazione può offrire un modello utile anche per altri paesi del Mediterraneo, inserendosi in una più ampio progetto di politica europea che investe l’area mediterranea, anche nella prospettiva di creazione di un Osservatorio generale sull’occupazione nei Paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo. Tale aspetto è paraltro di rilevanza non secondaria di rafforzamento nell’ottica di rafforzamento del partenariato euromediterraneo, con particolare riferimento al valore sociale e occupazionale.

 

In base a tale accordo si è concertato un programma d’azione finalizzato all’impiego ottimale dei 3.000 ingressi riservati al paese nel Decreto Flussi 2000, al fine di favorire l’immigrazione secondo criteri di tipo qualitativo, che rendano massima la compatibilità tra lavoratore tunisino e mercato del lavoro italiano.

 

A questo fine, sono state predisposte, grazie alla collaborazione delle Autorità tunisine, delle liste cronologiche (ai sensi dell’art. 4 comma 3 del Decreto di Programmazioni Flussi 2000, e dell’art. 21 del Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione) attraverso la selezione dei candidati e l’identificazione dei loro profili professionali e scolastici. Tale esercizio è stato formalizzato, inoltre, attraverso un’intesa sul lavoro, sottoscritta dai rispettivi sottosegretari agli esteri, il 15 maggio 2000, per disciplinare gli  ingressi dei tunisini per lavoro stagionale in Italia.

Come sopra evidenziato, si sottolinea, pertanto, l’importanza di tale intesa, anche in relazione al più vasto campo delle politiche bilaterali in materia migratoria.

 

Inoltre, è in via di conclusione, grazie alla collaborazione tra i Ministeri del Lavoro dei due Paesi, attraverso l’Ambasciata italiana a Tunisi, l’opera di omogeneizzazione dei dati delle schede dei candidati con quelli dell’AILE, al fine di rendere disponibile  quanto prima l’elenco on-line dei potenziali lavoratori immigrati.

 

In un’ottica più generale, gli accordi bilaterali rimangono uno degli strumenti più appropriati nella regolamentazione degli ingressi di lavoratori stranieri in Italia, soprattutto per quel che concerne i flussi provenienti da Nazioni a forte pressione migratoria , e in particolare per quelli relativi ai paesi che si propongono quali futuri membri della Comunità Europea. Inoltre accordi bilaterali per ingressi selezionati dal punto di vista sia quantitativo che qualitativo sono stati stipulati o sono in corso di discussione. Un ruolo decisivo a tale riguardo assume la responsabilizzazione dei governi locali.

 

Si ritiene anche di dover incentivare le migrazioni di carattere temporaneo, non necessariamente finalizzata all’ingresso di lavoratori con qualifiche di basso livello

 

Il Ministero del Lavoro, inoltre, opererà anche in relazione ai seguenti obiettivi e campi di indagine e di attività:

1)    Attivazione da parte del Ministero del Lavoro di una campagna informativa (riferimento al pacchetto anti-discriminatorio dell’UE).

2)    La Direzione Generale per l’Impiego, in collaborazione con l’OIL, intende effettuare una ricerca finalizzata alla lotta ad ogni forma di discriminazione contro i lavoratori immigrati Tale ricerca è in corso di elaborazione con il relativo progetto.

3)    Contributo al monitoraggio, verifica e valutazione dei visti per inserimento nel mercato del lavoro.

4)    Stipula degli accordi tendenti a gestire il fenomeno dei transfrontalieri non comunitari.     Caratteristiche specifiche del Nord Est e del Nord Ovest.

5)     Programmazione legata anche ad altri fattori, quali la mobilità fra i Paesi UE, fra il Nord e il Sud dell’Italia in primo luogo, ecc. Rafforzare la mobilità fra i Paesi Europei. Previsione dei possibili effetti congiunturali negativi, approfondimenti dei dati relativi a tassi di attività degli stranieri, ecc