Cap. IV) Politiche di integrazione
Lo stato di realizzazione del modello di
integrazione adottato e gli obiettivi prioritari per il futuro.
Si ritiene utile seguire il modello di
integrazione ragionevole, proposto nel rapporto 1999 dalla Commissione per le
politiche di integrazione degli immigrati. Secondo questo modello i principali
obiettivi da perseguire sono la tutela dell’ “integrità
della persona” e la costruzione di
un’ “interazione a basso conflitto” tra immigrati e
cittadini, tra nazionali e nuove minoranze. Le politiche di integrazione devono
essere dirette, da una parte, ad assicurare agli stranieri presenti nel nostro
paese basi di partenza nell’accesso a beni e servizi e, più in
generale, condizioni di vita decorose. Un’interazione a basso conflitto
implica che le politiche di integrazione si rivolgono anche e forse soprattutto
ai cittadini italiani e non solo agli stranieri che vivono e lavorano in
Italia.
All’interno delle misure destinate a
garantire l’integrità della persona, fondamentale importanza
rivestiranno anche nei prossimi anni quelle dirette a “premiare la
legalità” di chi, facendo uso di strumenti ormai finalmente
operanti a pieno regime quali l’ingresso per lavoro nell’ambito dei
flussi, l’ingresso con sponsorizzazione e i ricongiungimenti familiari, è
entrato regolarmente nel nostro paese. Nella direzione di premiare la
legalità e la residenza regolare di lungo periodo, alcune importanti
realizzazioni hanno avuto luogo nel corso del 2000: il rilascio delle prime
carte di soggiorno e l’attuazione dell’istituto dello sponsor per
ricerca di lavoro.
Perciò
sembra necessario creare le condizioni che permettano di mantenere la
stabilità della permanenza legale, evitando
automatismi nell’applicazione della legge che possano produrre
“ricadute” nell’illegalità. A questo scopo, gli
strumenti da privilegiare sembrano essere il monitoraggio costante sul
funzionamento delle misure che regolano il soggiorno, che ne rilevi i punti di
criticità, e l’adozione di misure dirette a realizzare una
maggiore semplificazione amministrativa delle procedure.
Maggiore
impulso dovrà essere dato alle misure dirette ad assicurare agli
stranieri regolari il pieno esercizio dei diritti loro
riconosciuti. Un problema di mancato esercizio dei diritti si rileva tuttora
sia nel campo della salute, che in quello della scuola. Per quanto riguarda il
primo settore, dati a livello locale fanno presumere che circa il 30% dei
regolari, aventi per legge diritto all’assistenza sanitaria a condizione
di parità con i cittadini italiani, non si è mai iscritto al
Servizio Sanitario Nazionale, condizione preliminare per l’accesso
all’assistenza. Per quanto riguarda l’istruzione, il numero di
alunni stranieri che frequentano le nostre scuole corrisponde a poco più
della metà del numero di
minori stranieri che risultano soggiornare in Italia. I dati relativi alla
frequenza scolastica prendono in considerazione ovviamente solo i minori in
età scolare, dai tre anni in su. Tuttavia, anche in considerazione del
fatto che a scuola possono andare anche i minori irregolari, mentre i dati sulla
presenza riguardano solo i regolari, la discrepanza tra soggiornanti e
frequentanti appare un aspetto preoccupante. In entrambi i contesti sarà
necessario adottare misure che consentano di ridurre progressivamente, e poi di
eliminare, il divario tra quanti hanno diritto all’assistenza sanitaria e
all’istruzione e quanti effettivamente ne usufruiscono.
Carattere di priorità dovrà
essere riconosciuto all’obiettivo di eliminare o quantomeno ridurre le
barriere, tanto di tipo prettamente linguistico o, più in generale,
culturale, quanto di tipo organizzativo, che ostacolano la fruibilità
dei servizi da parte degli immigrati.
L’esistenza di ostacoli che impediscono l’esercizio del diritto di
accesso ai servizi è particolarmente evidente nel settore dei servizi
sanitari e sociali. Gli ostacoli di tipo culturale in senso ampio comprendono
non solo la lingua, ma sia le difficoltà legate ad una non buona
comprensione da parte degli stranieri del funzionamento dei servizi, sia ad una
concezione diversa della malattia o del bisogno, ad aspettative diverse
rispetto alla cura, alla assistenza, al rapporto tra operatore e utente.
In questo ambito la priorità deve
essere data alla formazione specifica degli operatori posti a contatto con l’utenza immigrata e alla diffusione del
ricorso ai mediatori culturali.
La figura del mediatore culturale è
stata introdotta per la prima
volta dal Testo unico sull’immigrazione, come figura “ponte”
tra gli immigrati, portatori di una diversa cultura di origine e di specifiche
esigenze, e il contesto dei servizi e delle istituzioni italiane. Sembra
tuttavia necessaria una più precisa determinazione del ruolo e
dell’ambito di intervento dei mediatori culturali, così come
l’uniformazione secondo standard comuni del loro percorso formativo, oggi
completamente delegato ai differenti orientamenti dei singoli enti che li
formano e li utilizzano.
Altre barriere sono di tipo organizzativo,
risolvibili con una maggiore flessibilità dei servizi e degli orari, che consenta di venire incontro ad esigenze proprie dell’utenza
immigrata (ma non solo), e con misure dirette a semplificare e chiarire
procedure burocratiche spesso oscure (anche ai nazionali).
Un ulteriore sforzo dovrà essere
diretto a diffondere maggiormente, tra gli stranieri, ma anche tra gli operatori
che si trovano a contatto con l’utenza immigrata, l’informazione
sui diritti e sulla legge. I problemi di accesso ai
servizi sono spesso determinati sia da carenze di informazione e di
consapevolezza dei propri diritti da parte degli utenti, sia di scarsa
informazione sui propri obblighi da parte degli erogatori.
In prospettiva le politiche
sociali dirette agli immigrati dovrebbero essere inserite nelle politiche
sociali generali. Sembra opportuno prendere le mosse da normative recenti quali
la disciplina dell’assegno di maternità e del reddito minimo di
inserimento, che comprendono tra i potenziali beneficiari, a condizioni di
parità con gli italiani, gli immigrati regolarmente residenti, per
riflettere su una possibile riforma del sistema degli ammortizzatori sociali che, partendo dalla considerazione degli immigrati
quali componenti ormai strutturali della società, li inserisca tra i
beneficiari di misure generali di sostegno socio-economico. E’
d’altronde lo stesso T.U. sull’immigrazione a stabilire il
principio dell’equiparazione ai cittadini italiani degli stranieri
titolari di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non
inferiore ad un anno per quanto riguarda la “fruizione delle provvidenze
e delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale”.
Si segnalano inoltre alcune
difficoltà di fondo sia strutturali che politiche che è
necessario impegnarsi a rimuovere nel prossimo periodo:
- Il ritardo nell’emanazione delle
leggi regionali di adeguamento al testo unico rischia di ostacolare la piena
operatività della normativa a livello locale. Prima
dell’emanazione della legge 40/98 la produzione legislativa regionale in
materia di immigrazione ha avuto sotto molti aspetti un carattere innovativo,
prevedendo istituti giuridici e strategie operative che in qualche caso sono
stati recepiti dalla stessa legge nazionale. Adesso, tuttavia, dopo il
completamento del percorso che ha condotto alla piena attuazione del testo
unico e del regolamento di attuazione, è necessario uno sforzo di
adeguamento omogeneo delle leggi regionali per evitare che la legge venga
applicata in maniera più o meno completa a seconda delle condizioni
locali di adeguamento.
- La mancanza di un centro di
impulso e coordinamento politico unitario a livello locale, rappresenta un
altro problema di fondo che dovrebbe essere affrontato compiutamente. Infatti a
livello locale spesso la delega per l’immigrazione viene affidata ad un
assessorato prioritariamente deputato ad altro, che, nella maggior parte dei
casi, è quello per l’assistenza sociale quando non quello per la sicurezza.
Gli immigrati rappresentano ormai una
componente strutturale del mercato del lavoro italiano, costituendo circa il 3%
della forza lavoro. Si stima che nel corso del 2000 uno ogni dieci nuovi
assunti sia stato un lavoratore immigrato.
Un elemento di forte
criticità è rappresentato dall’ampio settore del lavoro
nero. Secondo rilevazioni dell’INPS e del Ministero del Lavoro una quota
che oscilla tra un terzo e un quarto degli immigrati titolari di permesso di
soggiorno per motivi di lavoro non è in regola con i contributi. Le misure dirette a favorire l’emersione
del lavoro sommerso rappresentano quindi senza dubbio una priorità,
infatti un forte settore informale, oltre a sottrarre risorse allo Stato e agli
enti previdenziali, agisce da potente fattore di attrazione
dell’immigrazione irregolare verso l’Italia.
Le misure da adottare per
combattere il lavoro irregolare degli stranieri non sono diverse da quelle
destinate a ridurre il lavoro irregolare svolto dagli italiani: si tratta di
aumentare i controlli, rendere più gravi le sanzioni e meno onerosa la
contribuzione per il lavoro regolare. Sarebbe anche opportuno avviare un
monitoraggio che consenta di valutare se e in che misura il lavoro irregolare
degli stranieri si stia “sganciando” dalla irregolarità del
soggiorno, tenuto comunque conto del fatto che i lavoratori immigrati sono in
condizioni di maggiore ricattabilità e vulnerabilità rispetto
agli italiani quanto alla scelta del tipo di lavoro e alla possibilità
di optare per un rapporto regolare.
Si possono prevedere anche alcune
misure specifiche: è necessario seguire i percorsi lavorativi di chi ha
fatto ingresso in Italia con sponsorizzazione o per ricongiungimento familiare,
per non alimentare il lavoro nero con immigrati regolari. In una prospettiva
più generale, un monitoraggio di questo tipo si rivelerebbe strumento
utile anche per le valutazioni relative ai flussi di ingresso per lavoro.
Sembra inoltre opportuno favorire
il ricorso degli immigrati ai contratti di formazione lavoro (attualmente
utilizzati solo nel 5% degli avviamenti al lavoro) e di apprendistato, che
riducono i costi per le imprese e costituiscono ottime opportunità per
gli stranieri.
Un settore cui sarà necessario
dedicare maggior attenzione è quello del lavoro autonomo, considerando
che i permessi per questo tipo di lavoro sono passati dal 4,1% del 1998 al 5,4%
del 1999. Il lavoro autonomo degli immigrati costituisce quindi un settore in
crescita che richiederà, da una parte, maggiori controlli finalizzati a
individuare e reprimere eventuali situazioni di sfruttamento o scarsa tutela
dei dipendenti, dall’altra, l’elaborazione una strategia di
supporto all’imprenditorialità immigrata.
Pur essendo spesso dotati di un
buon livello di istruzione, gli immigrati sono nella maggior parte dei casi
collocati nel mercato del lavoro italiano ai più bassi livelli di
qualifica professionale. Questo appiattimento comporta un grave sotto-utilizzo
di capacità e risorse umane che vengono di fatto sprecate e la
diffusione di un’immagine stereotipata del lavoratore immigrato, la cui
utilità per l’economia e per la società è sempre
confinata in ambiti limitati. Sembrano quindi prioritariamente da promuovere
iniziative tendenti a incentivare la mobilità sul mercato del lavoro degli stranieri, in modo da consentirne l’uscita da
“settori-ghetto” quali il lavoro domestico per le donne e i bassi
profili professionali dell’industria e del terziario per gli uomini.
Sembra inoltre fortemente necessario ridurre lo sfasamento tra il livello di
istruzione e la collocazione professionale e facilitare l’accesso degli
immigrati a lavori “visibili” e tenuti in buona considerazione,
quali, per esempio, l’operatore di sportello.
Un maggiore impulso dovrà inoltre
essere dato ai servizi di orientamento al lavoro diretti agli immigrati, ai
meccanismi che favoriscono l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, a
moduli di formazione professionale più efficaci e mirati che comprendano
anche l’insegnamento base della lingua italiana e cognizioni di base
civiche e giuridiche.
L’inserimento
scolastico di bambini e giovani immigrati costituisce una delle condizioni
fondamentali per l’integrazione sociale e professionale dei minori
stranieri e delle loro famiglie e per la realizzazione di pari
opportunità di partenza.
Gli alunni con cittadinanza non
italiana che frequentano le nostre scuole sono oggi venti volte più
numerosi di quelli registrati nell’anno scolastico 1983/84, quando
costituivano appena lo 0.06% della popolazione scolastica complessiva.
Nell’anno scolastico 1999-2000,
più di 119.000 alunni stranieri hanno frequentato le scuole italiane,
rappresentando l’1,47% dell’intera popolazione scolastica.
L’Istat ha stimato la
presenza in Italia al 1 gennaio 2000 di circa 230.000 minori stranieri. I dati
relativi alla frequenza scolastica prendono in considerazione ovviamente solo i
minori in età scolare, dai tre anni in su. Tuttavia – come si
è già osservato-
anche in considerazione del fatto che a scuola possono andare anche i
minori irregolari, mentre i dati sulla presenza riguardano solo i regolari, la discrepanza
tra soggiornanti e frequentanti appare un dato preoccupante, soprattutto nel
meridione. Maggiori sforzi dovranno essere compiuti nei prossimi anni per
diminuire il divario e realizzare compiutamente la norma del testo unico
sull’immigrazione che prevede il diritto-obbligo scolastico per i bambini
stranieri allo stesso modo in cui lo si prevede per gli italiani. Anche in
questo ambito le misure da adottare sembrano dover essere solo in parte
specificamente destinate agli immigrati, costituendo l’evasione
dell’obbligo scolastico un fenomeno diffuso anche e in primo luogo tra la
popolazione scolastica “nativa”, soprattutto nelle regioni
meridionali. Deve quindi essere affrontato con strumenti di carattere generale
e strutturale, che siano diretti a colmare determinate carenze del sistema
scolastico nel suo complesso.
Accanto ai problemi
dell’accesso, andranno meglio affrontati nei prossimi anni i problemi
dell’inserimento e del successo
scolastico.
Sono diversi i dati che segnalano
come i bambini e i ragazzi stranieri che frequentano le scuole italiane
incontrino maggiori difficoltà a scuola rispetto ai loro coetanei
italiani. Nonostante l’incompletezza dei dati attualmente disponibili, si
può affermare che tra gli studenti stranieri il tasso di insuccessi
scolastici e di abbandoni risulta essere più alto di quello relativo
agli studenti italiani e la forbice tende ad allargarsi nel passaggio tra le
scuole elementari e le medie. Gli studenti stranieri che proseguono i propri
studi a livello di scuola superiore scelgono più frequentemente degli
italiani gli istituti tecnici e professionali, per ragioni evidentemente legate
ad un più immediato approccio al mondo del lavoro permesso da questo
tipo di studi. L’elaborazione di percorsi scolastici più
fortemente orientati al mondo del lavoro costituirebbe uno strumento importante
per combattere l’abbandono scolastico, di cui beneficerebbero senza
dubbio anche studenti italiani.
La condizione dei bambini figli
di immigrati privi di permesso di soggiorno è spesso caratterizzata da
difficoltà di inserimento. La legge ne permette la regolare iscrizione a
scuola, ma molto spesso il loro inserimento scolastico trova ostacoli nella
condizione di illegalità e il contatto con i genitori è per ovvie
ragioni quasi totalmente assente. Si assiste inoltre ad un forte assenteismo da
parte di questi bambini e ragazzi, sempre determinato dalla posizione illegale
delle loro famiglie.
Un problema molto diffuso tra gli
alunni stranieri è rappresentato dal divario tra l’età del
minore e la classe in cui viene inserito in Italia. Nonostante che la legge 40
indichi come criterio guida quello di inserire gli alunni stranieri nella
classe immediatamente successiva a quella conclusa con successo nel paese di
origine, spesso una scarsa conoscenza della lingua italiana induce le
autorità scolastiche a inserire lo studente straniero in una classe
composta da alunni molto più piccoli. Questo sfasamento tra età
anagrafica e classe di inserimento, che si fa sempre più frequente mano
a mano che si procede verso i gradi più alti dell’istruzione, si
rivela dannoso tanto psicologicamente quanto pedagogicamente per l’alunno
straniero. Per evitarlo, si
dovrà puntare molto di più in futuro su programmi
personalizzati di inserimento e di istruzione.
Alcune misure specifiche possono
facilmente essere individuate.
Una maggiore attenzione è
da destinare alla formazione degli insegnanti che di fronte agli alunni
stranieri si trovano spesso privi di strumenti e di preparazione adeguata. La
formazione dei docenti dovrà comprendere non solo metodi e materie di
insegnamento ma anche strumenti che permettano di rapportarsi alle bambine e ai
bambini stranieri e alle loro famiglie, di comprendere codici di comunicazione
verbale e non verbale appartenenti a culture diverse. Inoltre una formazione
specifica è necessaria per l’insegnamento dell’italiano come
lingua seconda.
Gli stessi sistemi di valutazione
dell’alunno straniero dovrebbero essere ripensati come metodi di
valutazione comprensivi anche della lingua e della cultura per evitare che una
valutazione inadeguata, o perché eccessivamente rigida o perché
eccessivamente blanda, produca come primo effetto l’abbandono scolastico
da parte degli alunni stranieri. Il sostegno scolastico agli alunni stranieri,
supportato da soli 14 milioni annui concessi alle scuole che presentano un
tasso di stranieri superiore al 10%, dovrà essere rafforzato e
prolungato. Spesso tale fase di sostegno termina prima di aver potuto produrre
risultati visibili.
Anche nell’ambito della scuola la
figura del mediatore linguistico e culturale si è rivelata in grado di
facilitare l’inserimento e di svolgere funzioni di supporto e di
assistenza, sia in termini di conoscenza delle culture di cui sono portatori i
bambini immigrati, sia come sostegno agli stessi bambini nella fase di
adattamento alla scuola. Il mediatore, inoltre, può svolgere un ruolo
non trascurabile proprio in quel dialogo con le famiglie che si considera
fondamentale nell’accoglienza.
La diffusione di corsi di
lingua e cultura italiana, a tutti i
livelli, sia per bambini che per adulti costituisce un altro obiettivo
importante. Per quanto riguarda i bambini e i ragazzi in età scolare,
gli interventi finalizzati all’insegnamento della lingua di studio
andranno strutturati tenendo conto delle lingue di origine e realizzati
all’interno delle classi di appartenenza e in laboratori interculturali e
interlingue appositamente istituiti presso le scuole. Le esperienze in questa
direzione, già realizzate in Italia, hanno prodotto risultati positivi.
Il riconoscimento
dell’importanza della lingua come strumento di integrazione è
anche alla base del progetto pilota per la costituzione di un sistema nazionale
per l’insegnamento dell’italiano di base agli immigrati adulti.
Infatti la maggior parte degli immigrati giunge nel nostro paese senza
conoscere la lingua italiana e si trova a dover affrontare, in una penalizzante
situazione di disagio linguistico, innumerevoli impegni e ostacoli. Il progetto
di insegnamento dell’italiano di base è stato pensato proprio al
fine di ridurre questa condizione di disagio e di creare pari
opportunità. L’obiettivo prioritario del progetto attraverso
l’immediata attivazione, in via sperimentale, di circa 50 Centri
Territoriali per l’Educazione Permanente degli Adulti è di
diffondere il più possibile tra gli immigrati la conoscenza di queste
strutture quali centri di formazione linguistica per l’insegnamento della
lingua italiana, compresi nell’ambito del sistema integrato di educazione
e formazione permanente previsto dalla delibera della Conferenza Unificata del
2 marzo 2000, in modo che per gli immigrati diventino punti di riferimento per
le necessità di apprendimento della lingua italiana.
Alla diffusione dell’insegnamento
della lingua dovrà essere abbinata l’introduzione di un
certificato ufficiale di conoscenza della lingua italiana, analogo a quello che
esiste in diversi paesi europei, differenziato in vari livelli, così
come proposto dalla Commissione per le politiche di integrazione.
Nell’ambito
dell’istruzione per gli adulti un ulteriore obiettivo da perseguire
è costituito dalla razionalizzazione della rete esistente di corsi
pomeridiani e serali finalizzati al rilascio di titoli di studio nonché
da una maggiore diffusione tra gli immigrati delle informazioni relative a tali
corsi.
Università Nell’anno accademico 1997/98 risultano
iscritti ai corsi di laurea e ai corsi di diploma universitario 24.010 studenti
stranieri, di cui circa 14.000 provenienti da paesi comunitari o comunque a
sviluppo avanzato (di cui più di 10.000 dalla Grecia). Nell’anno
accademico 1998/99 risultano iscritti 20.999 studenti stranieri, di cui circa
11.000 provenienti da paesi a sviluppo avanzato (8000 solo dalla Grecia). Al
momento, per l’anno accademico 1999/2000 sono disponibili solo dati
parziali dai quali emerge un totale di 16.550 studenti stranieri iscritti.
Più della metà
degli studenti universitari stranieri proviene quindi, negli anni più
recenti, da paesi a sviluppo avanzato. Un maggiore sforzo dovrà essere
compiuto nei prossimi anni per favorire l’accesso all’istruzione
universitaria degli studenti provenienti da paesi a forte pressione migratoria,
sia prevedendo un congruo numero di ingressi annuali per studio, sia agevolando,
anche in termini economici, l’accesso all’università per chi
già vive in Italia. Alcuni passi in questa direzione sono già
stati compiuti: il Decreto Interministeriale MURST – MAE - INTERNI fissa
a 20.220 unità la quota di ingressi per studio dell’anno
accademico 2000-2001; inoltre sono stati recentemente modificati i parametri
relativi al calcolo del reddito per la concessione di borse di studio a
studenti stranieri.
Tanto la gestione dei centri di prima
accoglienza, quanto la realizzazione delle altre modalità alloggiative
previste dalla legge 40/98 per gli immigrati e per gli italiani in situazione
di difficoltà sono in larga parte di competenza delle regioni e degli
enti locali. Le politiche abitative pubbliche sono state trasferite, in
attuazione del decreto legislativo 112/98, alle regioni cui spetta adesso
avviare una nuova fase caratterizzata anche da scelte innovative.
Dai dati relativi al 1998 emanati dalla
Direzione Centrale Documentazione del Ministero dell’Interno, risultano
17.200 posti letto offerti da un complesso di 820 strutture residenziali per
stranieri, di cui 322 pubbliche, 428 private e 70 miste. Il 75% di queste
strutture residenziali si trova al Nord del paese, il 14 % al Centro e il restante
12 % si divide tra Sud e Isole.
I centri di prima accoglienza continuano ad
essere una componente necessaria del quadro di offerta di soluzioni abitative
agli immigrati, ma devono essere posti in condizione di svolgere la funzione
loro propria, caratterizzata prevalentemente dalla temporaneità e dalla
flessibilità dell’accoglienza. Devono cioè poter rispondere
a bisogni urgenti di accoglienza per periodi limitati di tempo, con un
frequente ricambio delle persone ospitate. Da assumere con carattere di priorità
saranno quindi le misure dirette ad aumentare, quantitativamente e
qualitativamente, la gamma di possibilità abitative percorribili fuori
del centro di accoglienza.
Occorre, da parte delle regioni e degli enti
locali, incentivare l’offerta di alloggi ordinari in affitto a prezzi
calmierati, ma anche sostenere progetti di accompagnamento e supporto
all’acquisto destinati a quelle famiglie immigrate che avrebbero la
disponibilità economica che consente l’accensione di un mutuo e l’acquisto
di una casa ma spesso incontrano rilevanti difficoltà pratiche.
Occorrerà incentivare maggiormente
esperienze-pilota che hanno prodotto buoni risultati negli ultimi anni in
Italia, ma anche negli altri paesi europei, quali i progetti di recupero e
ristrutturazione del patrimonio immobiliare esistente, da realizzare con
contributi regionali, le agenzie di intermediazione immobiliare, che consentono
di superare alcune diffidenze dei proprietari di immobili, l’accesso agli
alloggi ordinari a prezzi sociali o calmierati. Maggiore impulso dovrebbe
inoltre essere dato alla realizzazione degli “alloggi sociali”
previsti dalla legge 40, che, costituendo una soluzione alloggiativa intermedia
tra il centro di prima accoglienza e l’abitazione vera e propria, contribuirebbero
a decongestionare le strutture di accoglienza emergenziale.
Nella migliore tradizione degli imprenditori
illuminati di inizio ‘900, sarebbe importante che anche gli imprenditori,
che esprimono con forza l’esigenza di manodopera straniera, si
assumessero la responsabilità di partecipare, insieme agli enti locali e
alle associazioni, alla ricerca di soluzioni abitative per i lavoratori
stranieri.
Da non sottovalutare è inoltre la
misura in cui le difficoltà a trovare un alloggio in affitto sono
aggravate dalla diffidenza dei proprietari, se non da veri e propri pregiudizi,
nei confronti degli stranieri. Per questo occorre individuare soggetti che
svolgano una funzione specifica di “accompagnamento” degli
stranieri all’affitto e all’acquisto, ma anche una più
generale attività di mediazione sociale tra tutti i protagonisti
(inquilini, proprietari, vicini di casa…).
Salute
Recenti indagini confermano quanto sia
ancora nettamente prevalente tra gli stranieri che vivono attualmente in Italia
il cosiddetto “effetto migrante sano”, ovvero una situazione di
base di buona salute che caratterizza la grande maggioranza degli stranieri che
arrivano in Italia. Lungi dall’essere pericolosi portatori di malattie
esotiche, gli immigrati giungono nel nostro paese con un patrimonio di salute,
fisica e mentale, senza il quale non avrebbero potuto affrontare
l’avventura migratoria, e che rischia di essere progressivamente eroso
dalle cattive condizioni di vita, di lavoro, di alloggio in Italia.
All’interno di questo contesto
generale, tuttavia, emergono alcune aree critiche a cui dovrà essere
rivolta maggiore attenzione nei prossimi anni. La progressiva stabilizzazione
degli immigrati nel nostro paese sta provocando un aumento tra la popolazione
immigrata di bambini e di anziani, entrambe categorie con specifiche esigenze
di salute. Nell’area ginecologica e pediatrica si riscontrano alcune patologie più frequenti tra gli
immigrati che tra gli italiani, causate anch’esse da precarie condizioni
di vita e in alcuni casi da carenze informative che sarà necessario
affrontare più compiutamente nel prossimo futuro.
L’assistenza sanitaria è
inoltre uno dei settori in cui emergono con più evidenza fattori di
diversa natura che ostacolano l’accesso ai servizi da parte
dell’utenza immigrata. Diverse misure per eliminare tali barriere sono
già state indicate nella prima parte della sezione dedicata
all’integrazione di questo documento.
Si tratta, in generale, di mettere mano ad
un riorientamento complessivo dei servizi sanitari alla luce delle esigenze
dell’utenza immigrata: formazione del personale improntata ad una
maggiore conoscenza del fenomeno migratorio e ad una accresciuta
capacità di lettura del bisogno dell’utenza straniera; maggiore
flessibilità degli orari di apertura; disponibilità di servizi di
interpretariato; approccio multidisciplinare da parte degli operatori dei
servizi. Anche l’offerta di metodi terapeutici tradizionali da parte del
servizio pubblico può andare incontro ad esigenze importanti
dell’utenza immigrata e nello stesso tempo rappresentare per gli italiani
un’occasione di approccio a metodi terapeutici alternativi.
La rappresentanza degli immigrati
si esprime concretamente attraverso le grandi associazioni di volontariato, i
sindacati, le associazioni degli immigrati stessi. Le associazioni di
immigrati, nate spesso da forme di aggregazione spontanea e poi passate ad una
strutturazione più formale, sono oggi impegnate soprattutto in
iniziative culturali, educative e sociali attraverso le quali svolgono un ruolo
importante di mantenimento dell’identità culturale della
comunità etnica e di mediazione con la società di accoglienza.
Nonostante l’importanza della funzione di cui si fanno carico, le
associazioni di immigrati risentono spesso di una fragilità
organizzativa e finanziaria, di
difficoltà logistiche, di difficoltà ad informarsi e ad informare
i propri associati. Per favorire la crescita professionale di queste forme
associative e la valorizzazione del loro capitale umano, sarebbe necessario un
maggior sostegno da parte degli enti locali, sia in termini di messa a
disposizione di sedi e mezzi sia in termini di contributi finanziari.
Sia a livello nazionale, nell’ambito
della Consulta per i problemi degli stranieri immigrati e delle loro famiglie,
che a livello locale, con la costituzione dei Consigli territoriali, ormai
operanti in ogni provincia, si sono poste le basi per favorire la
visibilità e la partecipazione delle associazioni di immigrati alla vita
collettiva. Queste sono le basi di partenza da cui occorrerà prendere le
mosse per fornire agli immigrati che vivono e lavorano nel nostro paese una voce
in capitolo sulle decisioni che li riguardano. Per quanto riguarda i Consigli
territoriali, una più chiara esplicitazione dei loro compiti e una
maggiore chiarezza nei criteri di scelta delle associazioni chiamate a farne
parte contribuirebbero ad accrescerne la rappresentatività e
l’efficacia, insieme ad un ampliamento del numero delle associazioni di
immigrati che li compongono.
Sul versante dell’ampliamento dei
diritti dei lungo residenti e del loro “percorso di cittadinanza”
si registra, invece, una stasi che è necessario impegnarsi a superare:
la riforma delle norme sull’acquisizione della cittadinanza italiana e
l’attribuzione del voto locale agli stranieri restano obiettivi di fondo
cui si continuerà a dedicare impegno ed attenzione.
Risorse
A partire dal 2000 è entrato
pienamente a regime il sistema di funzionamento del Fondo nazionale per le
politiche migratorie, così come previsto dal Testo unico. Si tratta di
un fondo ampiamente regionalizzato, nella gestione del quale lo Stato centrale
mantiene, oltre ad una piccola quota, la funzione di indirizzo e di verifica
dell’utilizzo da parte delle regioni. La quota di spettanza delle
amministrazioni centrali in futuro potrà sempre di più essere
utilizzata per il finanziamento di progetti pilota, di volta in volta
individuati, che forniscono soluzioni sperimentali in determinate aree
critiche.
Il Fondo nazionale per le politiche
migratorie, di entità limitata, viene troppo spesso identificato con le
risorse destinate a politiche dirette ai cittadini stranieri tout court. Si tratta di un errore di fondo che ci si dovrà impegnare a
rimuovere. La natura stessa del Fondo nazionale per le politiche migratorie
giustifica e spiega i limiti della sua dotazione finanziaria. Non si tratta di
finanziare e realizzare “politiche speciali” per gli stranieri, al
contrario, le politiche generali e le risorse generali destinate a finanziarle
devono comprendere gli immigrati regolarmente soggiornanti nei medesimi termini
dei cittadini italiani che si trovano nelle stesse condizioni. Il Fondo per le
politiche migratorie è invece destinato a finanziare politiche dirette a
ristabilire pari opportunità di partenza tra cittadini stranieri e
italiani.
Sulla falsariga di alcuni progetti pilota
già realizzati, sembra opportuno promuovere momenti di concertazione tra
amministrazioni centrali e locali, anche prevedendo il coinvolgimento delle
imprese, dei sindacati, delle associazioni degli immigrati, del volontariato e
dei consigli territoriali.
Un vero e proprio progetto pilota
di questo tipo è in corso di realizzazione nell’area del Nord-Est,
Veneto e Friuli-Venezia Giulia.
In Veneto, i sindacati e
l’associazione degli industriali hanno firmato un accordo regionale che
disciplina la partecipazione degli immigrati a corsi di lingua italiana. La
Regione Veneto ha istituito un “Tavolo unico regionale in materia di
immigrazione” in collaborazione con il Dipartimento per gli Affari
Sociali, gli Enti Locali e le parti sociali, per favorire l’integrazione
degli immigrati utilizzando gli strumenti della formazione linguistica e
professionale, della politica abitativa, dei servizi all’immigrazione e
della programmazione dei flussi.
In Friuli-Venezia Giulia, a
Pordenone e a Udine, sono stati invece siglati accordi a livello territoriale
tra i sindacati e le associazioni degli industriali per favorire
l’apprendimento della lingua italiana.
Si tratta di esperienze
significative che possono indicare un percorso proficuo anche per i prossimi
anni, in cui sarà sempre più necessario il coinvolgimento delle
Regioni, degli enti locali, delle parti sociali e delle associazioni nella
gestione delle misure di integrazione degli stranieri.
Istituzione del riconoscimento
“Migliore progetto per una Città multi-culturale” in
collaborazione con l’ANCI
Si ritiene necessario introdurre delle
ulteriori forme di attuazione delle politiche di integrazione sociale in favore
dei cittadini stranieri regolarmente soggiornanti sul territorio dello stato
per consentirne una più ampia diffusione e partecipazione da parte dei
Comuni sulla scorta delle esperienze finora prodotte anche sulla base della
legge 40/1998. A due anni dall’attuazione del T:U: sulle politiche
dell’immigrazione risulta necessario proseguire nel percorso di sostegno
delle città italiane nell’impegno sulle politiche di integrazione
sociale, introducendo nuove occasioni per migliorare i servizi in favore dei
cittadini stranieri; è questa l’opportunità di rendere
più intenso e capillare il coinvolgimento dei Comuni su tali tematiche,
promovendo iniziative di supporto alle azioni da questi messe in atto con
interventi mirati all’inserimento sociale nella comunità locale.
Priorità per le misure
di integrazione
Target Group
|
Ambiti di attività
|
Interventi strutturali
|
|
Amministrazioni
regionali
|
·
Emanazione delle leggi regionali di adeguamento al Testo unico.
|
Amministrazioni
regionali e locali
|
·
Individuazione di un assessorato ad hoc che costituisca un centro di
impulso e coordinamento politico unitario.
|
Rilevazione dello stato di
integrazione
|
|
Associazioni e organizzazioni
degli immigrati |
|
Tutti gli stranieri, ma anche i
cittadini di origine straniera |
|
Immigrati regolari |
|
Ricercatori, Istituti
universitari, Operatori, Enti locali, Commissione per l’integrazione |
|
Politiche sociali
|
|
Immigrati, richiedenti asilo, rifugiati |
|
Lavoratori stranieri |
|
Donne |
|
Bambini e studenti stranieri |
|
Soggetti svantaggiati |
|
Adulti e bambini stranieri |
|
Tutti gli stranieri |
|
Servizi pubblici |
|
Amministrazioni e operatori pubblici |
|
Informazione |
|
Tutti gli immigrati e in particolare i nuovi arrivati |
|
Tutti gli stranieri, ma anche i cittadini di origine
straniera, le associazioni |
|
Italiani e stranieri soggiornanti in Italia |
|
Famiglie immigrate |
|
Immigrati lungo residenti |
|
Cittadini italiani |
|
Paesi di provenienza dei maggiori flussi di immigrazione |
|
Tutti (immigrati, operatori, amministrazioni) |
|
Cap. V) Linee generali per la definizione dei
flussi di ingresso nel territorio italiano
Il presente documento, che ha lo
scopo di illustrare i principi fondamentali della politica
dell’immigrazione per il triennio 2001-2003, si ricollega naturalmente
con il documento del triennio precedente in una soluzione di continuità,
per quanto riguarda le priorità, le finalità, gli strumenti e le
procedure indicate. Si ritiene pertanto di assumerne tutti i contenuti.
Con l’entrata in vigore
della legge 40/98, il Ministero del Lavoro si è trovato nella
necessità di impartire opportune direttive ai propri uffici periferici
per l’applicazione delle disposizioni immediatamente esecutive della legge
stessa, successivamente confluita nel T.U. 286/98. In attesa
dell’emanazione del Regolamento di attuazione di cui all’art.1,
comma 6, della legge predetta, si è fronteggiato il problema della transizione fra la vecchia
normativa ed il sistema innovativo della nuova legge.
A distanza di un anno
dall’emanazione del Regolamento di attuazione di cui al DPR 394/99, il
Ministero del Lavoro Direzione Generale per l’impiego si sta adoperando
con l’obiettivo di completare l’attuazione della normativa sull’immigrazione,
valorizzandone gli aspetti innovativi, con riferimento anche alla complessiva
riforma degli assetti istituzionali e delle politiche di governo nel mercato
del lavoro e alle nuove competenze degli enti locali in materia di politiche
del lavoro stabilite dal decreto
legislativo 469/97. Lo Stato è competente in materia di programmazione
dei flussi migratori per lavoro ed ha funzioni do coordinamento, programmazione
e monitoraggio nel collocamento lavorativo e nelle politiche del lavoro,
operando in un quadro di coerenza e sinergie. Nel processo di definizione dei
flussi la legge stessa prevede l’intervento degli enti territoriali
(Regioni, Province, Comuni) quali interlocutori naturali nell’ambito
delle varie realtà locali e, come previsto dal decreto del Presidente
del Consiglio dei Ministri del 2 agosto 2000, con l’acquisizione di un
parere preventivo della Conferenza Unificata sull’emanazione dei decreti
flussi annuali.
Il Ministero del Lavoro –
in particolare, il Servizio per i problemi dei lavoratori immigrati extracomunitari
e delle loro famiglie, presso la Direzione Generale per l’Impiego –
sta inoltre attivando una struttura di sintesi per l’affinamento tecnico
dell’individuazione dei fabbisogni. Architrave della strumentazione è
l’anagrafe, come strumento d’incrocio tra domanda e offerta, ma
anche di monitoraggio e valutazione. A tal proposito, la normativa
sull’immigrazione prevede che il Ministero del Lavoro fornisca, in modo
articolato per qualifiche o mansioni, le indicazioni sull’andamento dell’occupazione
e dei tassi di disoccupazione, a livello nazionale e regionale, nonché
il numero dei cittadini stranieri non appartenenti all’Unione Europea
iscritti nelle liste di collocamento. Tale attività, portata a sintesi
nella struttura di coordinamento soprarichiamata, è svolta
parallelamente all’attivazione dell’anagrafe. Un ulteriore filone
centrale di attività è rappresentato dalla correlazione delle
politiche di inserimento dei lavoratori immigrati con il Piano Nazionale per
l’Occupazione, considerato che uno dei pilastri riguarda le politiche di
pari opportunità.
Le politiche di governo
dell’immigrazione per motivi di lavoro sono una componente importante
dell’insieme delle politiche per l’immigrazione. A riguardo non
sono mancate le analisi sul fronte dell’offerta di lavoro dei cittadini
immigrati che complessivamente confermano il carattere strutturale
dell’immigrazione.
Su piano della domanda, la necessità di armonizzare i
flussi di ingresso dei lavoratori extracomunitari con le possibilità
offerte dal mercato del lavoro nazionale, evidenzia l’importanza di una
rilevazione efficiente e puntuale del fabbisogno interno, che deve tener conto tanto delle esigenze
espresse a livello territoriale del partenariato sociale e degli attori
istituzionali, quanto dei dati previsionali relativi all’andamento
dell’economia italiana nel suo complesso, così come emerge da
differenti analisi. Il Ministero del Lavoro opererà nelle due direzioni,
in ottemperanza delle prescrizioni normative. Il ruolo del Ministero del lavoro
è, del resto, ben evidenziato nell’art.21 del Testo Unico
sull’Immigrazione (Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286 ), che
ribadisce come “i decreti annuali devono tenere conto delle indicazioni
fornite, in modo articolato per qualifiche o mansioni, dal Ministero del lavoro
e della Previdenza Sociale sull'andamento dell'occupazione e dei tassi di
disoccupazione a livello nazionale e regionale, nonché sul numero dei
cittadini stranieri non appartenenti all'Unione europea iscritti nelle liste di
collocamento”.
Le analisi di monitoraggio,
quindi, deve schematicamente prevedere due livelli di analisi:
a) Una rilevazione dei fabbisogni a livello regionale, promossa attraverso
l’azione di monitoraggio delle Direzioni Regionali Del Lavoro, che tenga
conto, sia delle necessità in termini quantitativi, sia dei fabbisogni
professionali. Tale indagine è indispensabile, inoltre, per la
programmazione della ripartizione territoriale delle autorizzazioni e sarà
condotta dal Ministero del Lavoro Direzione Generale per l’Impiego con le
Regioni, gli Enti territoriali e le Parti Sociali, esaminando sia gli aspetti
qualitativi che quantitativi della definizione dei flussi. Sono, inoltre,
già state impartite indicazioni in tal senso, ed in particolare con
Lettera Circolare n° 451 del Novembre 2000. Inoltre, l’elaborazione
dei i dati relativi all’immigrazione per ragioni di lavoro fornisce
attendibili elementi nella lettura complessiva della domanda e permette
l’individuazione di interventi specifici.
b) La promozione di strumenti di rilevazione complessi che analizzino le
dinamiche occupazionali del sistema economico italiano nei diversi settori
produttivi (come, ad esempio, gli studi Excelsior di Unioncamere promossa dal
Ministero del Lavoro, l’indagine Isfol-CSA e i rapporti
dell’associazione Assinform)
A fronte di tali rilevazioni,
occorre poi ponderare i fabbisogni
emersi con i dati previsionali dell’economia italiana, e con le dinamiche
interne all’offerta di lavoro straniera, evidenziandone i tassi di
occupazione e le tipologie professionali maggiormente compatibili con le
esigenze del mondo imprenditoriale.
La riforma del mercato del lavoro e, in particolare, le novità
introdotte dal Decreto Legislativo 181/2000 e dalla riforma del collocamento
ordinario di prossima emanazione, consentono al Ministero del Lavoro, Direzione
Generale per l’Impiego, di fornire al Governo gli elementi per valutare
il dato relativo ai tassi occupazionali e disoccupazionali degli stranieri
già residenti regolarmente
in Italia.
Lo strumento principale nell’analisi
territoriale del fabbisogno lavorativo è rappresentato
dall’anagrafe informatizzata, che è stata avviata in via
sperimentale con l’Albania, nella prospettiva di estenderne la portata.
Infatti nel 2001 si intende sperimentare in tutto il territorio nazionale la
formula già avviata con l’Albania. Si sottolinea, inoltre, che
l’anagrafe costituisce un importante mezzo di contrasto al lavoro nero,
nelle politiche che ne favoriscono l’emersione.
La più volte richiamata
necessità di una corretta definizione dei flussi di ingresso, sia sul
piano quantitativo che su quello qualitativo, attraverso meccanismi che
promuovano l’incontro tra domanda interna di lavoro e offerta dei
lavoratori extracomunitari, trova applicazione nell’Anagrafe
Informatizzata dei Lavoratori Extracomunitari (AILE), implementata dalla
Direzione Generale per l’impiego del Ministero del Lavoro. A tale sistema
informatizzato faceva, inoltre specifico riferimento il documento di
programmazione dei flussi 1998-2000.
La costituzione dell’AILE,
prevista dal T.U. 286/98 all’art. 21 comma 7 ad opera del Ministero del
Lavoro- Direzione Generale,
secondo il D.P.R. 394/99 art. 32 comma 3, rappresenta un efficace
sistema per la selezione dei lavoratori immigrati in base alle richieste degli
imprenditori italiani. Il progetto si impernia sulla costituzione di una banca
dati anagrafica dei lavoratori extracomunitari in base ad un modello unico,
approvato con Decreto Ministeriale il 4 settembre del 2000, al fine di
registrare le competenze professionali e linguistiche degli aspiranti
lavoratori non comunitari (si veda allegato). Il funzionamento del sistema,
inoltre, è garantito da una rete informatizzata (tramite la rete
pubblica internet e la rete RUPA, Rete Unitaria della Pubblica Amministrazione) che permette una rapida interazione
dei soggetti coinvolti nelle procedure di ingresso quali, oltre al Ministero
del Lavoro stesso, i Centri per l’impiego, le Province, l’INPS, le
Ambasciate, le Aziende, gli Enti di formazione e le Questure
L’anagrafe, quindi,
consente a chiunque in possesso di collegamento internet, la consultazione
delle professionalità disponibili tra i lavoratori stranieri inseriti
nel data base anagrafico e, ai soggetti registrati, la possibilità di
accedere ai dati personali degli iscritti e di avviare le procedure di
autorizzazione.
Oltre all’evidente vantaggio
derivante dalla possibilità di selezione per qualifiche, il sistema
dell’AILE favorisce, quindi, una gestione efficiente delle procedure di
avviamento e di ingresso dei lavoratori stranieri. Inoltre, attraverso la
velocizzazione nelle interazioni tra i diversi soggetti coinvolti, viene reso
più agevole il controllo sul corretto iter delle pratiche e sui fenomeni
legati all’economia sommersa e facilita, attraverso la semplificazione
amministrativa, il processo di adeguamento degli ingressi alle reali esigenze
del mercato interno.
Infatti, la costruzione di una
rete di comunicazione efficiente è un passo fondamentale per la
definizione di un archivio unitario ed aggiornato presso l’INPS sui
lavoratori stranieri presenti nel paese, attraverso un efficace scambio di
informazioni tra l’istituto e gli altri attori coinvolti. In questo modo
sarà più agevole la verifica delle posizioni lavorative dei
cittadini extracomunitari (con conseguente maggior controllo sui fenomeni
legati all’economia sommersa) e più puntuale e completa la lettura
dati relativi all’offerta di lavoro degli extracomunitari presenti sul
territorio.
In questo senso, l’Anagrafe
Informatizzata si rivela uno strumento di indubbia utilità nella fase di
programmazione dei flussi, in quanto permette di rilevare informazioni, sia in
termini quantitativi che qualitativi, sulle richieste di lavoratori da parte
degli imprenditori italiani.
Il sistema centrale del Ministero del Lavoro
governa l’intero progetto e presso di esso risiede il data base, detto sistema
centrale è operativo 24 ore on-line tramite la rete internet .
Il cuore del sistema è la
banca dati, il suo ruolo è di gestire l’archivio centrale generale
( Anagrafe nominativa e professionale dei cittadini extracomunitari) e di
scambiare informazioni con i vari attori interessati ( Direzioni Provinciali
del Lavoro, Direzioni Regionali del Lavoro, Aziende, INPS, OIM, OIL, Enti di
Formazione, Questure e Ambasciate).
Il colloquio con il mondo esterno
avviene tramite un sito web costruito per lavorare in modalità pubblica
con tutti gli interlocutori “pubblici” non accreditati e
riconosciuti dal sistema, ovvero pubblicando i dati contenuti nel data base
escludendo quelli sensibili come previsto dalla legge sulla privacy, ed in modalità
privata con le DPL per gestire le pratiche di richiesta e rilascio delle
autorizzazioni al lavoro, con le aziende che richiedono l’iscrizione allo
stesso con username e password di accesso per la consultazione della banca dati
completa con ricerca per qualifica professionale , con gli enti di formazione
solo per la parte destinata alla gestione dei corsi di orientamento e
formazione previsti e con l’INPS che come previsto dal D.P.R.394 ha
accesso alla banca dati completa ed aggiornata.
Allo stato attuale, alcune DPL
(Ancona, Bari, Bologna, e Treviso) sono già collegate all’AILE su
rete privata, mentre la connessione di tutte Direzioni Provinciali è
prevista entro il 2001. L’accesso al sistema è comunque già
garantito attraverso la rete pubblica Internet.
Altro punto fondamentale del
progetto è la possibilità, dall’anno 2001, di inserire,
direttamente sul sito AILE, da parte di tutti gli attori, DPL, parti sociali,
parti datoriali e aziende accreditate, i fabbisogni previsionali per
l’anno seguente suddivisi per qualifiche professionali e mappati per
territorio nazionale.
Inoltre, la sperimentazione di
meccanismi di selezione dei lavoratori immigrati tramite l’Anagrafe
Informatizzata, è stata già avviata per l’Albania, con la
quale esiste anche un accordo sul lavoro stagionale, e prevede, oltre ad
avviare un flusso regolare ed ordinato di lavoratori immigrati albanesi, anche
l’orientamento e la formazione professionale degli stessi tramite fondi
nazionali e comunitari. Il meccanismo appena descritto, basandosi su una selezione
di tipo qualitativo degli ingressi, richiede un efficiente sistema di
certificazione delle competenze inserite nei curricola degli aspiranti
lavoratori extracomunitari. Al momento, per quel che riguarda le iscrizioni dei
lavoratori albanesi, tale certificazione è garantita dalla
collaborazione con l’OIM, attraverso una convenzione stipulata tra il
Ministero del Lavoro e l’organismo stesso.
Il Ministero del Lavoro e della Previdenza
Sociale, in data 20.12.1999, ha stipulato una Convenzione con l’OIM per
la realizzazione del progetto d’ingresso ordinato e programmato e di
orientamento e di formazione professionale di aspiranti lavoratori albanesi,
nel rispetto del D.P.C.M. 8.2.2000, attraverso l’attivazione di un
sistema per la selezione, secondo normativa, in Albania di lavoratori albanesi
potenzialmente collocabili in Italia.
L’iniziativa si colloca
nell’ambito delle misure approvate dalla Presidenza del Consiglio dei
Ministri (Tavolo di Lavoro Puglia – in particolare con l’Albania)
con l’obiettivo di assistere l’emigrazione regolare di lavoratori
albanesi verso l’Italia, in attuazione della recente normativa italiana
sulla migrazione e degli impegni bilaterali sottoscritti tra Italia e Albania.
In merito, si intende dare attuazione a tale progetto anche nei prossimi anni.
L’iniziativa prevede le seguenti
attività:
- Verifica delle attitudini e delle professionalità dei candidati
sulla base delle loro qualifiche, in relazione ai settori interessati dal
fabbisogno del mercato del lavoro italiano;
- La raccolta e la registrazione dei dati relativi alle generalità
ed dalle professionalità in possesso dei candidati in un’apposita
banca dati da mettere a disposizione di tutte le associazioni imprenditoriali
interessate ad assumere manodopera extracomunitaria;
- L’assistenza per i viaggio dall’Albania dei lavoratori
albanesi assunti sino alla destinazione finale in Italia.
L’OIM, nell’ambito di un
programma iniziato a marzo del 2000, sta inserendo, in un programma
appositamente elaborato, i dati relativi ai lavoratori albanesi, certificandone
la conoscenza linguistica e professionale. Allo stato attuale sono state
intervistati 2332 candidati, di cui 1264 sono stati selezionati e registrati
nella banca dati. Inoltre, la certificazione cui si è fatto riferimento
è stata condotta sulla base di 22 test professionali e 15 test di lingua
italiana, utilizzati per la selezione dei candidati in Albania ed elaborati
secondo le indicazioni delle 33 professioni maggiormente richieste dagli
imprenditori italiani sulla base di uno studio condotto da Unioncamere con il
Ministero del Lavoro.
Il Ministero del Lavoro insieme agli Affari
Esteri e all’Interno ha messo a punto una scheda tipo, denominata
convenzionalmente Modello Unico, per la rilevazione delle disponibilità
di lavoro all’estero e dei precedenti lavorativi, in conformità a
quanto previsto dagli artt. 22 e 24 del T.U. predetto sulla richiesta di lavoro
da parte dei datori interessati in base alle liste costituite presso ciascun
paese estero che ha stipulato Accordi in materia di lavoro. La scheda
consentirà l’uniforme predisposizione delle liste e
l’implementazione della anagrafe ed è uno degli strumenti previsti
dalla normativa.
Inoltre è stata avviata una campagna
informativa e di sensibilizzazione in Italia per la massima diffusione
dell’iniziativa presso gli enti coinvolti, con un raccordo con il
progetto “Orientamento, formazione professionale e consulenza a favore di
migranti e profughi dalla Regione Balcanica” finanziato dal Ministero del Lavoro e dal Fondo Sociale Europeo,
nell’ambito dell’iniziativa comunitaria OCCUPAZIONE/INTEGRA.
Nell’ambito di tale progetto sono stati realizzati incontri con
rappresentanti istituzionali regionali e provinciali responsabili per le Politiche del Lavoro e con le
Associazioni datoriali dei vari settori dell’economia. Complessivamente
la sperimentazione consentirà di valutare un “modello di
intervento” che colleghi la strumentazione dei flussi, prevedendo
formazione per gli inserimenti. Ciò nonostante le inevitabili
difficoltà derivanti dalla complessità della situazione albanese.
L’elevata
eterogeneità del sistema produttivo italiano si riflette sul mercato del
lavoro, determinando “submercati” a livello territoriale che
presentano specificità e dinamiche diverse tra loro. La differenziazione
suggerisce come sia necessario, attraverso l’attivazione degli organismi
locali, l’implementazione delle attività di ricerca e rilevazione
del fabbisogno nei differenti contesti del territorio nazionale. Tali
attività dovrebbero interessare sia gli enti territoriali (Regioni,
comuni e province), sia gli enti e gli organismi che sono usualmente coinvolti
dal fenomeno migratorio, vale a dire le parti sociali datoriali e dei
lavoratori, e le organizzazioni del volontariato e del privato sociale che, a
vario titolo, si interessano delle problematiche inerenti l’immigrazione.
L’analisi a livello locale,
quindi, non dovrà rilevare soltanto le richieste del mondo
imprenditoriale, ma analizzare anche le modalità e le problematiche di
inserimento delle comunità immigrate nel territorio, con particolare
riferimento alle difficoltà nella disponibilità degli alloggi.
Tale attività di monitoraggio è stata già implementata dal
Ministero del Lavoro Direzione Generale per l’Impiego, attraverso
l’attivazione delle relative Direzioni Regionali, che sono state chiamate
a rilevare il fabbisogno di manodopera straniera, per settori economici, nelle
relative province di competenza, valutandone oltre che la tipologia
contrattuale (a tempo determinato, indeterminato o per lavoro stagionale),
anche gli aspetti qualitativi. In questa prima fase non si ritiene, in ogni
caso, di operare la previsione di decreti di programmazione dei flussi
articolati per qualifiche, con l’intendimento, tuttavia, di approfondire
tale aspetto a seguito dell’attivazione dell’anagrafe
informatizzata dei lavoratori immigrati.
È
necessario, inoltre, rivolgere l’attenzione non solo ai bisogni delle
imprese, ma anche a quelli provenienti da altri settori dell’economia
nonchè dalle famiglie.
Confronto delle
analisi con i dati previsionali relativi all’andamento
dell’economia italiana
Nella fase successiva occorrerà
raccogliere le informazioni provenienti dalle diverse realtà
territoriali e confrontarle con i dati relativi alle dinamiche occupazionali,
sia dei lavoratori stranieri che di quelli italiani, attraverso le rilevazioni
presso i Centri per l’impiego delle singole Province e Regioni. Il ruolo
di coordinamento del Ministero del Lavoro Direzione Generale per
l’impiego e di collegamento tra l’Amministrazione centrale e quelle
Periferiche attraverso le Direzioni Regionali del Ministero del Lavoro risulta
quindi cruciale, al fine di armonizzare i fabbisogni delle singole aree al
contesto nazionale nel suo insieme, anche in relazione ai dati previsionali
relativi all’economia italiana.
Di particolare importanza a tal
proposito, è l’utilizzo di strumenti previsionali relativi ai
singoli studi di settore (quali quelli promossi da Unioncamere, Isfol-CSA e
Assinform), al fine di contestualizzare le singole rilevazioni in un quadro
economico di più ampio respiro, sia nazionale che internazionale.
Infatti, basare la politica di programmazione dei flussi semplicemente sui
fabbisogni strettamente contingenti rischierebbe di portare ad una definizione
nel numero degli ingressi non compatibile con logiche di medio periodo.
Occorre, perciò, che le quantificazioni tengano conto delle possibili
conseguenze di fasi congiunturali negative e del grado di crescita dei singoli
settori dell’economia, al fine di prevenire pericolose conseguenze
occupazionali sulla manodopera immigrata con basso livello di qualifica.
Per ciò che concerne
l’incentivazione di ingressi di forza lavoro straniera altamente
qualificata, è bene affiancare agli studi che rilevano la carenza di alcune
tipologie professionali, i dati relativi al sistema formativo italiano, in modo
da stimare la potenziale offerta di lavoro per gli anni seguenti, attraverso le
informazioni fornite dal Ministero della Pubblica Istruzione e da quello
dell’Università e della Ricerca Scientifica.
L’elevato livello di
mobilità della popolazione immigrata non consente di circoscrivere i
flussi di ingresso ad una singola area territoriale. È inevitabile,
infatti, che parte dei lavoratori immigrati destinati ad una regione si
spostino verso altre zone del territorio, rendendo quindi necessaria una
percezione complessiva tanto dei fabbisogni quanto delle problematiche relative
all’integrazione.
È bene sottolineare, a
questo proposito, l’importanza di interventi in itinere correttivi nella
determinazione dei flussi annuali. La facoltà di licenziare
nell’anno più di un decreto di programmazione dei flussi,
suggerisce la lettura prudenziale delle richieste da parte delle organizzazioni
datoriali, da un lato favorendo meccanismi di ingresso (attraverso
l’Anagrafe Informatizzata degli Immigrati) che privilegino le
professionalità maggiormente richieste, e dall’altro promuovendo
un’azione di verifica dell’adeguatezza delle quote previste,
attraverso l’esame della velocità di “copertura” delle
stesse. In questo senso appare opportuno sottolineare come il passaggio da una
politica di controllo dei flussi di tipo quantitativo ad una di tipo
qualitativo non può che esserne una naturale evoluzione. Come già
accennato, infatti il decreto flussi, infatti non opera una distinzione degli
ingressi per tipologia professionale, inglobando le qualifiche di basso e di
alto livello in un unico aggregato. A tal proposito, sembra però
opportuno lasciare a detti decreti 2001/2003 la scelta sull’introduzione
di distinte quote per esigenze del settore sanità e del settore
dell’alta tecnologia.In generale, fermo restando la predetta riserva, non
sembra qui opportuno stabilire che all’interno dei decreti di
programmazione dei flussi migratori vengano fissate quote espressamente
dedicate a tipologie professionali specifiche, relative a
professionalità di alto livello e poco presenti nell’offerta di
lavoro nazionale (da non confondersi con le figure richiamate dall’art.
27 del T.U. che, per scelta legislativa, non rientrano nelle quote annualmente
fissate).
È bene comunque
sottolineare l’importanza di tale carenza relativamente agli effetti sul
rallentamento della crescita dei settori economici di più recente
sviluppo (in particolare quelli legati all’informatica e alle
comunicazioni) e ribadire l’esigenza di individuare meccanismi che facilitino
l’ingresso di lavoratori stranieri con competenze adeguate alle richieste
del mondo imprenditoriale.
A questo proposito può essere utile
citare i dati emersi dall’analisi del fabbisogno formativo del personale
sanitario, ad opera del Ministero della Sanità. Tale ricerca evidenzia
come, già dal 1993, sia netta la diminuzione nei diplomi per
“infermieri professionali”, in ragione di una progressiva mancanza
di attrazione verso questo tipo di professione. Tale deficienza ha generato,
negli anni, un eccesso di domanda quantificabile in 3.451 unità
nell’anno 2000, 3.199 nel 2001 e 1.817 nel 2002. A fronte di tali
carenze, sono stati quindi individuati i paesi extracomunitari nei quali la
formazione è assimilabile a quella europea, al fine di sopperire al
deficit al di offerta. È evidente che, nelle decisioni finali in merito
ai decreti di programmazione dei flussi, occorrerà generalmente valutare
anche l’incidenza della politiche per la mobilità interna con
riguardo non solo ai lavoratori extracomunitari, ma anche a quelli nazionali e
,in un contesto più ampio, a quelli europei, al fine di evidenziare
quale percentuale di posti disponibili possa essere soddisfatta ricorrendo
esclusivamente a cittadini extracomunitari.
Sembra comunque necessario lo studio di
“filtri qualitativi” che favoriscano i soggetti dotati di elevate
credenziali formative. A riguardo si può ipotizzare l’utilizzo di
più decreti flussi ,come già richiamato in precedenza, anche in
relazione agli elementi informativi forniti periodicamente dal Ministero del Lavoro in merito.
La rilevazione istruttoria del
Ministero del Lavoro continuerà periodicamente, coinvolgendo Regioni,
Provincie, Centri ed Enti di ricerca, Parti Sociali. Si potrà, in tal
modo, contribuire ad intercettare i fabbisogni per il medio periodo
nonché quelli espressi dalle famiglie. Come già sù
accennato, il Ministero del Lavoro – Servizio per i problemi dei
lavoratori immigrati extracomunitari e delle loro famiglie presso la Direzione
Generale per l’Impiego - sta attrezzando, al riguardo, una apposita
struttura, che opererà anche utilizzando l’anagrafe informatizata.
Relativamente alla discriminazione degli
ingressi in relazione alle categorie professionali più richieste, un
discorso analogo ai precedenti può essere fatto anche per gli ingressi
con per prestazione di garanzia per l'accesso al lavoro, previsto
dall’Art 3 del Testo Unico, Decreto Legislativo n.286/98. Appare
necessaria, infatti, la verifica della percentuale e della qualifica degli
immigrati che hanno trovato collocamento nel mercato del lavoro, anche in
relazione alle differenti
tipologie di percorsi di inserimento seguite. Pare, inoltre, opportuno
sottolineare la necessità di approfondire la possibilità di
circoscrivere questo strumento ai lavoratori provenienti da Paesi con i quali
non siano già in vigore accordi in merito a quote riservate, in modo da
costruire tra le Autorità nazionali in un processo di
responsabilizzazione reciproca, al fine di garantire un efficiente meccanismo
di incontro tra la Domanda e l’Offerta di Lavoro.
Per quanto riguarda il lavoro
stagionale, si ritiene opportuno evidenziare la pressante necessità di
dover corrispondere tempestivamente alle esigenze del mercato del lavoro, con
flussi di ingresso aventi il carattere della fluidità, in quanto
collegati ad un soggiorno temporaneo strettamente rapportato alla
stagionalità delle suddette esigenze. Ne discende che, ovviamente, non
emergano situazioni problematiche di integrazione sociale, mentre acquistano
rilevanza quelle riguardanti l’accoglienza e l’assicurazione della
parità delle condizioni di lavoro rispetto ai lavoratori italiani. A
tale proposito, un ruolo importante riveste l’Accordo sul lavoro stagionale
dell’8/2/2000, stipulato fra il Ministero del Lavoro e le parti sociali,
con cui si procede all’attuazione delle disposizioni dell’art.24,
comma 5, del T.U. 286/98 che prevede l’intervento degli organismi locali
nella stipula di convenzioni in materia. A seguito delle predette esigenze,
l’adozione di un Decreto Ministeriale, a firma del Ministro del Lavoro in
data 8 giugno 2000, per l’ingresso di 20.000 lavoratori stagionali,
appare pienamente rispondente alla richiesta del mercato del lavoro stagionale,
quale mercato dotato di particolare espansione in relazione ai periodi di
“picco” stagionale.
Particolare attenzione sarà prestata
alla formazione professionale, anche in loco.
Appare opportuno, infine, precisare come,
per quanto in linea con una politica migratori di tipo
“qualitativo”, la promozione di attività di formazione
professionale per immigrati nei paesi d’origine non debba e non possa
tradursi in una selezione di fatto degli stessi ad opera di soggetti privati,
compito che, istituzionalmente, spetta all’autorità pubblica
centrale. I privati potranno, però, procedere alla selezione dopo la
preselezione rappresentata dalla istituzione delle liste di implementazione
dell’anagrafe.
Politica di
programmazione dei flussi e interventi di inserimento lavorativo: i differenti
ambiti di intervento dell’autorità centrale e degli organismi
territoriali.
Il Decreto Legislativo n. 469/97 disciplina il conferimento alle
Regioni e agli enti locali, di funzioni e compiti relativi non solo al
collocamento ma anche alle politiche attive del lavoro, riservando, invece,
allo Stato un ruolo generale di indirizzo, promozione e coordinamento.
Peraltro, lo stesso Decreto, in materia di politiche dell’immigrazione,
detta una puntuale divisione delle responsabilità. Infatti, rimane
riservata allo Stato – in attuazione dell’art. 1, 3° comma,
lett. f) della c.d. Legge Bassanini, il quale, in via generale, esclude dal
campo di applicazione del conferimento in capo agli enti locali la materia
della “immigrazione” – la “vigilanza (…) dei
flussi di entrata dei lavoratori non appartenenti all'Unione europea”
(art. 1, 3° comma, lett. a). Alle Regioni, e di fatto – per gli
effetti della delega obbligatoria di cui all’art. 4, 1° comma, lett.
a) – alle Province, è invece attribuita la funzione amministrativa
relativa al “collocamento dei lavoratori non appartenenti all'Unione
europea” (art. 2, 1° comma, lett. f). In tale ottica legislativamente
determinata, l’attività di incontro tra domanda ed offerta di
lavoro (“inserimento”) esercitata dall’ente locale, trova il
proprio necessario antecedente logico nell’attività di
programmazione dei “flussi di entrata” a livello nazionale
Il ruolo di “ indirizzo e coordinamento” riservato dalla
Legge allo Stato si è tra l’altro espresso nella realizzazione di
un "masterplan" dei servizi per l'impiego (SPI), indispensabile per
allestire un quadro di riferimento entro cui sviluppare la riforma degli stessi
SPI, valorizzando a tal fine l’utilizzo delle risorse strutturali e strumentali
e il ricorso al cofinanziamento nazionale. Nel “Masterplan” sui
Servizi per l’Impiego si
afferma , espressamente che “il concorso finanziario del FSE
contribuirà”, tra l’altro, alla “progettazione di
interventi appropriati ad un positivo inserimento nell'occupazione dei
lavoratori extra-comunitari”.
A proposito del ruolo svolto dagli SPI deve essere ricordata la linea
procedurale concertata, finalizzata alla individuazione, anche per
l’Italia, di standard qualitativi e quantitativi, “in linea con le
migliori pratiche a livello comunitario”. In tale ottica il Ministero del
Lavoro, insieme a Regioni e Province, si è impegnato, su più
fronti, con l’intento di approdare alla definizione dei su richiamati
standards. Tale processo si è concretizzato, dapprima, con l’Accordo
in materia di standard minimi di funzionamento dei servizi per l’impiego,
tra Ministero, le Regioni e le Province autonome, le Province, i Comuni e
Comunità montane, sancito, il 16 dicembre 1999, presso la c.d.
Conferenza Unificata. Tale Accordo rappresenta un primo passo, lungo il cui
solco si inseriscono anche le “Linee guida per la definizione
di azioni per l’avvio della
funzionalità
dei servizi all’impiego”
definitivamente approvati, sempre dalla Conferenza Unificata, il 26/10/2000.
Proprio nelle “Linee guida”, per favorire l’allargamento
della partecipazione al mercato del lavoro – promovendo
l’occupabilità della forza lavoro, anche di quella più
difficilmente collocabile – viene espressamente menzionato il
“particolare impegno che dovrà essere rivolto
all’inserimento degli immigrati” da parte dei Servizi per
l’impiego locali. Il ministero del Lavoro individuerà
l’autorità competente a riguardo, anche nell’ambito della
programmazione del “Masterplan”. A tal proposito, il Ministero del
Lavoro opererà per individuare difficoltà, trasferire buone
pratiche, secondo logiche di sistema.
Il ruolo degli accordi internazionali
bilaterali
Nell’ottica di un corretto
funzionamento dell’Anagrafe Informatizzata, di cruciale importanza
è la stipula di accordi bilaterali con i governi stranieri (ed in
particolare con quelli per i quali sono già state definite delle quote
riservate), al fine di coinvolgere direttamente le autorità locali nel
processo di implementazione del sistema di selezione dei candidati. La
responsabilizzazione dei governi locali costituisce l’elemento decisivo:
nel 2001, nel 2002 e nel 2003 rappresenterà, infatti, un obiettivo
prioritario.
In questo senso, deve essere
comunque perseguita, affianco ad una politica di programmazione sistematica dei
flussi, un’azione di forte responsabilizzazione delle autorità
governative locali , da tenere in conto anche nelle fasi di assegnazione e
conferma delle quote d’ingresso riservate, che vanno considerate
fortemente vincolate all’impegno dei governi stranieri dell’AILE. A
questo proposito è pensabile, in fase rinegoziale, anche la
possibilità di ridurre o non rinnovare l’ammontare degli ingressi
destinati ad un paese in funzione della mancata ottemperanza agli accordi
stipulati in precedenza.
Un ulteriore elemento di incentivazione
all’utilizzo del meccanismo degli accordi bilaterali è
rappresentato dall’implementazione di programmi di cooperazione allo
sviluppo attivabili tramite il meccanismo della cooperazione internazionale.
Appare rilevante sottolineare la capacità di detti strumenti
nell’attivare “logiche di sistema”, volte al rafforzamento
delle dinamiche di collaborazione con le autorità straniere.
Recente è la realizzazione
dell’accordo con il Governo tunisino che, per completezza e originalità,
rappresenta un sicuro punto di riferimento per la stesura di futuri accordi
finalizzati all’impiego ottimale di quote di ingressi riservate, e
condurrà alla predisposizione di un vero e proprio “modello”
per le iniziative analoghe future. In particolare, tale tipo di collaborazione
può offrire un modello utile anche per altri paesi del Mediterraneo,
inserendosi in una più ampio progetto di politica europea che investe
l’area mediterranea, anche nella prospettiva di creazione di un
Osservatorio generale sull’occupazione nei Paesi che si affacciano sul
bacino del Mediterraneo. Tale aspetto è paraltro di rilevanza non
secondaria di rafforzamento nell’ottica di rafforzamento del partenariato
euromediterraneo, con particolare riferimento al valore sociale e
occupazionale.
In base a tale accordo si è
concertato un programma d’azione finalizzato all’impiego ottimale
dei 3.000 ingressi riservati al paese nel Decreto Flussi 2000, al fine di
favorire l’immigrazione secondo criteri di tipo qualitativo, che rendano
massima la compatibilità tra lavoratore tunisino e mercato del lavoro
italiano.
A questo fine, sono state predisposte,
grazie alla collaborazione delle Autorità tunisine, delle liste
cronologiche (ai sensi dell’art. 4 comma 3 del Decreto di Programmazioni
Flussi 2000, e dell’art. 21 del Testo Unico delle disposizioni
concernenti la disciplina dell’immigrazione) attraverso la selezione dei
candidati e l’identificazione dei loro profili professionali e
scolastici. Tale esercizio è stato formalizzato, inoltre, attraverso
un’intesa sul lavoro, sottoscritta dai rispettivi sottosegretari agli
esteri, il 15 maggio 2000, per disciplinare gli ingressi dei tunisini per lavoro stagionale in Italia.
Come sopra evidenziato, si sottolinea,
pertanto, l’importanza di tale intesa, anche in relazione al più
vasto campo delle politiche bilaterali in materia migratoria.
Inoltre, è in via di conclusione,
grazie alla collaborazione tra i Ministeri del Lavoro dei due Paesi, attraverso
l’Ambasciata italiana a Tunisi, l’opera di omogeneizzazione dei
dati delle schede dei candidati con quelli dell’AILE, al fine di rendere
disponibile quanto prima
l’elenco on-line dei potenziali lavoratori
immigrati.
In un’ottica più generale, gli
accordi bilaterali rimangono uno degli strumenti più appropriati nella
regolamentazione degli ingressi di lavoratori stranieri in Italia, soprattutto
per quel che concerne i flussi provenienti da Nazioni a forte pressione
migratoria , e in particolare per quelli relativi ai paesi che si propongono quali
futuri membri della Comunità Europea. Inoltre accordi bilaterali per
ingressi selezionati dal punto di vista sia quantitativo che qualitativo sono
stati stipulati o sono in corso di discussione. Un ruolo decisivo a tale
riguardo assume la responsabilizzazione dei governi locali.
Si ritiene anche di dover incentivare le
migrazioni di carattere temporaneo, non necessariamente finalizzata
all’ingresso di lavoratori con qualifiche di basso livello
Il Ministero del Lavoro, inoltre,
opererà anche in relazione ai seguenti obiettivi e campi di indagine e
di attività:
1) Attivazione
da parte del Ministero del Lavoro di una campagna informativa (riferimento al
pacchetto anti-discriminatorio dell’UE).
2) La
Direzione Generale per l’Impiego, in collaborazione con l’OIL,
intende effettuare una ricerca finalizzata alla lotta ad ogni forma di
discriminazione contro i lavoratori immigrati Tale ricerca è in corso di
elaborazione con il relativo progetto.
3) Contributo
al monitoraggio, verifica e valutazione dei visti per inserimento nel mercato
del lavoro.
4) Stipula degli accordi tendenti a gestire il fenomeno dei
transfrontalieri non comunitari. Caratteristiche specifiche del Nord Est e
del Nord Ovest.
5) Programmazione legata
anche ad altri fattori, quali la mobilità fra i Paesi UE, fra il Nord e
il Sud dell’Italia in primo luogo, ecc. Rafforzare la mobilità fra
i Paesi Europei. Previsione dei possibili effetti congiunturali negativi,
approfondimenti dei dati relativi a tassi di attività degli stranieri, ecc