SANATORIE,ESPULSIONI,CLANDESTINITA’, MERCATO DEL LAVORO. UNA PROPOSTA PER UNA SOLUZIONE POSSIBILE.

 

 

 

GLI EFFETTI PERVERSI DELLA SANATORIA

 

Negli ultimi due anni abbiamo dovuto, per l’ ennesima volta , assistere agli effetti prodotti dalla sanatoria. I migranti per potere uscire dalla condizione di “invisibile”, di clandestino, hanno tentato questa strada dovendo produrre prove della loro presenza in Italia arrampicandosi sui proverbiali specchi. Chi non ha avuto la “fortuna” di finire in ospedale o essere fermato dalla polizia è stato costretto a produrre certificazioni fasulle. Analoga situazione si è verificata per la certificazione delle condizioni lavorative e di quelle abitative.Queste premesse hanno fatto si che solo a Milano circa 30.000 delle 63.000 domande presentate inizialmente non hanno dato corso all’iter della sanatoria ma solo al rilascio del cedolino. Le pratiche rimanenti hanno spesso alimentato un giro di affari di svariati miliardi, in alcuni casi la documentazione e il fare seguire la pratica è costata al singolo migrante anche quindici milioni, finiti nelle tasche dei procacciatori di prove, dei finti datori di lavoro e di alloggio,di più o,spesso, meno efficienti avvocati e di funzionari corrotti. In ultima analisi l’ avere attribuito l’ onere della prova al migrante  ha alimentato un vasto tessuto criminale procrastinando le condizioni di precarietà e ricattabilità di chi ha tentato, spesso invano, questa strada. I tempi biblici di verifica da parte del Ministero degli Interni hanno causato la perdita di opportunità di lavoro e determinato un “effetto gabbia” che impediva a chi non era ancora in possesso del permesso di soggiorno di tornare anche temporaneamente al proprio paese di origine. A poco sono valsi i tentativi di porre rimedio ad alcune di queste condizioni con circolari e provvedimenti tardivi ,spesso di difficile comprensione, assolutamente ignoti ai diretti interessati e ai potenziali datori di lavoro.

 

 

 

IL FALLIMENTO DELLA POLITICA DELLE ESPULSIONI

 

 

 

Questa situazione protratta per oltre due anni ha esasperato gli animi e ha posto le premesse  per le mobilitazioni, se  pur non coordinate e avvenute in tempi e condizioni differenti, a Napoli, Brescia e Roma.Alcune di queste mobilitazioni, Brescia in particolare, hanno raggiunto risultati notevoli a livello locale e non. Oggi agli stessi risultati sembra prossima Roma. Ma, mentre in queste città si assiste ad una vittoria dei migranti , nel resto della penisola le questure si fanno ogni giorno più rigide e fiscali e, alla consueta lentezza della sanatoria, aggiungono un notevole rallentamento accompagnato da un elevato numero di rigetti nelle pratiche di rinnovo dei permessi già esistenti. Nel frattempo i migranti che non sono riusciti ad accedere alla sanatoria o sono arrivati successivamente si calcola che ammontino ormai a oltre 200.000. Qualcuno invoca già una nuova sanatoria ma, se mai fosse concessa, darebbe nuovamente origine ad una orgiastica compravendita di prove e requisiti falsi per certificare situazioni reali. Inoltre rimarrebbe inalterato uno dei vizi di fondo della legge 40 che prevede il passaggio da regolare a irregolare con il venir meno dei requisiti necessari per il permesso di soggiorno ma non prevede in alcun modo il percorso contrario ovvero l’ emersione dalla clandestinità. Contemporaneamente riapre il tristemente noto CPT di via Corelli a Milano e più di una questura in Italia invoca l’ apertura di centri analoghi nei rispettivi territori di competenza. Le motivazioni addotte per l’apertura dei CPT sono sempre le stesse. Scopo dichiarato combattere la criminalità proponendo così ancora una volta l’ equazione  immigrazione uguale crimine. La realtà, come invece ben sappiamo, è che in molte città, ad esempio Milano, i crimini violenti sono in costante calo da anni. Inoltre la politica delle espulsioni difficilmente riesce ad incidere  sul crimine organizzato. Chi ne fa parte è spesso in possesso di regolari documenti ottenuti tramite i canali più disparati. Le condizioni invece sono ben differenti per chi è fuori da questa rete di protezione. Sostanzialmente le espulsioni finiscono con il colpire semplicemente i soggetti più deboli che di reati non ne hanno commessi affatto. Inoltre se la politica delle espulsioni si proponeva di contenere e controllare i flussi migratori possiamo tranquillamente affermare che nel perseguire questo obbiettivo ha miseramente fallito.  Complice l’ inefficienza della politica dei flussi la catena dei migranti che continuano ad arrivare in Italia come clandestini alla ricerca di un reddito non si è affatto interrotta.

 

 

 

CLANDESTINITA’ E MERCATO DEL LAVORO

 

 

 

Chi arriverà, seppure con difficoltà, finirà con il trovare comunque un impiego nell’edilizia, in agricoltura, nella ristorazione, presso artigiani o altro ancora. Molti finiranno con l’ incrementare le file dei collaboratori domestici utili surrogati a basso costo  di un welfare che viene a mancare o è comunque difficilmente accessibile per via dei costi elevati. E’ sufficiente comparare le 600.000 lire mensili pagate ad alcune domestiche per riordinare una casa accudire i bambini e l’eventuale anziano con i costi di un asilo e di una casa di riposo per rendersi conto della funzione di ammortizzatore sociale che l’immigrazione esercita in questo settore. Soggetti al caporalato, costretti ad accettare i lavori più disagevoli, pericolosi, peggio pagati i migranti sono oggi il serbatoio di manodopera naturale di ampi strati dell’economia sommersa. Come se ciò non bastasse la clandestinità può avere costi molto elevati, basta pensare alle 500.000 al mese per una branda affittata in uno scantinato o in una soffitta con altre dieci persone. Impossibilitati di fatto ad esercitare i propri diritti fino a quando rimangono nella condizione di clandestini molti non vengono e non verranno pagati per il lavoro svolto oppure verranno cacciati dal padrone di casa per essere sostituiti con un migrante più “remunerativo”.  Denunciare il fatto in qualsiasi commissariato o stazione dei carabinieri equivale a denunciare se stessi correndo il rischio dell’espulsione. I Centri di Permanenza Temporanea finiscono con l’essere un ulteriore elemento di ricatto e di pressione indiretta che contribuisce a ridurre le possibilità rivendicative e di difesa del lavoratore immigrato e ne comprime quindi ulteriormente il costo come manodopera. Questo ottiene il paradossale effetto di rendere ancora più conveniente all’economia sommersa l’ impiego di manodopera clandestina dilatandone la richiesta e, in ultima analisi, incentivando un fattore attrattivo del fenomeno migratorio raggiungendo così al fine un risultato opposto a quello che si dichiara di perseguire.

 

 

 

TEMPI DURI ANCHE PER I REGOLARI

 

 

 

Se il migrante clandestino è già un lavoratore menomato nei propri diritti e messo forzatamente in concorrenza con i lavoratori italiani tempi duri si preannunciano anche per i migranti regolari.Impossibilitati ad avvalersi in maniera diretta del lavoro nero e probabilmente messi in allarme dal calo della disoccupazione in alcune regioni del nord, calo che storicamente ha sempre favorito processi rivendicativi con conseguente aumento del costo della manodopera, esponenti della Confindustria hanno più volte sollecitato il governo ad aumentare i flussi di ingresso dei migranti regolari. L’aumento dei flussi però non è certo considerata misura sufficiente tant’ è che a   Milano, palestra privilegiata delle politiche del centrodestra, si vanno sperimentando nuove forme contrattuali come il “Patto per il lavoro”. Non paghi dell’attuale frammentazione contrattuale con questo accordo si introducono contratti nuovi, tutt’ altro che migliorativi dei precedenti, che prevedono redditi non più legati specificatamente ad un lavoro ma ad una condizione, una tra tutte, la condizione di immigrato. Se questa tendenza si affermasse anche a livello nazionale avremmo rinchiuso i migranti in una sorta di “apartheid” contrattuale che non danneggerà solo loro ma, indirettamente colpirà anche i lavoratori italiani come già sta avvenendo nel mercato del lavoro nero. Come si può evincere da quanto esposto finora l’immigrazione non rappresenta un fenomeno che è possibile affrontare esclusivamente in termini di razzismo-antirazzismo ma è anche, e forse in questo momento soprattutto, un problema di politica del lavoro e dell’occupazione. Condizione imprescindibile per tutelare i migranti nei loro diritti e salvaguardare gli italiani da una concorrenza alla quale non potrebbero far fronte è riportare i due gruppi di lavoratori su un piano di parità dei diritti e non concorrenza salariale. Sostanzialmente emerge la necessità di combattere la clandestinità non con la persecuzione dei migranti, assolutamente inutile e controproducente, ma attaccando direttamente il mercato del lavoro nero e la disparità salariale.

 

 

 

IL PERMESSO A CHI LAVORA,UNA VIA D’USCITA POSSIBILE

 

 

 

 Per eliminare le condizioni di ricattabilità occorre invertire un principio passando dal “lavori se hai un permesso di soggiorno” al “lavori quindi avrai un permesso di soggiorno”.Per perseguire questo principio non ci si può avvalere di sanatorie a termine che contemplino una pluralità di requisiti con l’onere della prova a carico del migrante.Questo inevitabilmente riattiverebbe il mercato criminale e vessatorio delle prove e la finestra temporale, forzatamente limitata, di una sanatoria ricreerebbe, appena chiusa, le condizioni di sfruttamento e concorrenza che si vogliono attaccare. L’affermazione del principio che chiunque lavori o produca reddito in qualsiasi momento possa uscire dalla clandestinità peraltro non può nemmeno passare per la via giudiziaria. I lunghi tempi di definizione di una causa fanno si che sia di difficile accesso al migrante che inoltre sarebbe costretto ad affrontare altri oneri quali le spese per l’avvocato e rimarrebbe espellibile fino alla definizione della vertenza. Occorre forzatamente passare per un meccanismo di autodenuncia che permetta all’ immigrato di avvalersi dell’ Ispettorato del Lavoro per la verifica della sua reale condizione. Questa azione, che si potrebbe esercitare senza che il datore di lavoro ne venga direttamente a conoscenza se non al momento dell’accertamento da parte dell’ Ispettorato, solleverebbe il migrante dall’ onere di produzione della prova spazzando via, una volta per tutte,il mercato ad essa connesso.  Elemento di garanzia necessario perché questa operazione sia fattibile è la non espellibilità del lavoratore fino al termine dell’iter e, per far si che i tempi non siano ancora una volta biblici, l’introduzione di un limite temporale di 30\60 giorni per la definizione della pratica pena il rilascio del permesso di soggiorno per silenzio assenso. Tutto quanto l’ impianto descritto fino ad ora si regge sul conflitto tra il migrante,che  ha interesse ad emergere dalla clandestinità, e l’ ispettorato del lavoro che ha interesse a verificarne rapidamente la condizione reale per non dare il via al rilascio di uno prima e di centinaia di migliaia di permessi poi senza che vi sia il requisito cardine del lavoro\reddito. Comunque sia anche se l’Ispettorato non effettuasse la verifica il migrante ne trarrebbe comunque vantaggio perché entrerebbe in possesso del tanto agognato permesso e potrebbe, ora sì, intentare la via giudiziaria per far valere i propri diritti senza il timore dell’ espulsione. Se, invece, gli accertamenti fossero stati espletati con esito positivo oltre il permesso di soggiorno l’ iter dovrebbe forzatamente sfociare nell’ inquadramento del lavoratore immigrato nello stesso ruolo e reddito di quello italiano. I vantaggi di un percorso di questo genere sono evidenti poiché da un lato tutelerebbe il migrante eliminando le condizioni di ricattabilità, dall’ altro protegerebbe il lavoratore italiano dalla concorrenza sleale di manodopera a un costo più basso. Sanata, almeno parzialmente, la frattura tra lavoratori italiani e stranieri questa soluzione non permetterebbe di fatto, se applicata in maniera estensiva, nemmeno il sorgere di figure contrattuali legate alla condizione di migrante. Ulteriori effetti benefici sarebbero il passaggio delle competenze per il rilascio del permesso di soggiorno a strutture non del Ministero degli Interni separando, anche nell’ immaginario, la condizione di immigrato da quella di potenziale criminale. Ultimo, ma non meno importante, l’ Ispettorato del Lavoro dovrebbe forzatamente raggiungere una notevole efficienza con positive ricadute anche sui lavoratori italiani. E’ evidente che con l’introduzione del principio lavoro\reddito non perseguiamo lo scopo di legare il permesso, e la sua eventuale revoca o rinnovo, a queste condizioni ma sicuramente applicando questo principio nella fase del rilascio apriremmo una via di uscita, permanente, dalla clandestinità. La soluzione proposta non tocca peraltro tutte le categorie di migranti. Non interessa direttamente gli asilanti e le vittime della tratta che necessitano di soluzioni differenti. In sostanza questa soluzione non è la panacea ne pretende di affrontare l’immigrazione in tutti i suoi aspetti ma rappresenta un tentativo di pensare in positivo, seppur in maniera parziale, una politica alternativa sull’ immigrazione.                     

 

                                                                                      

 

                                                                               

 

                                                                                                      Fabio Parenti