L’attuale clima elettorale, già notevolmente
imbarbarito, è reso ancora più scomposto e gravido di rischi
dall’uso strumentale del tema dell’immigrazione da parte della
destra. Un tema-bersaglio, che serve a raccogliere e a far fruttare quanto la
destra ha seminato negli anni più recenti: l’intossicazione
dell’opinione pubblica tramite il veleno del pregiudizio e della
xenofobia, somministrato quotidianamente attraverso dichiarazioni, iniziative
parlamentari, referendum, manifestazioni, campagne propagandistiche, e un abile
e cinico utilizzo dei mass media.
Tutti gli indicatori concorrono a mostrare che, grazie
all’attivazione del ciclo perverso: senso comune xenofobo –
propaganda politica - legittimazione e rafforzamento del senso comune, il razzismo
sembra essere diventato parte dell’idioma culturale nazionale. La subalternità del
centro-sinistra, e della sinistra moderata in particolare, a un tale idioma non
è servita minimamente a scalfire la capacità di presa della
destra su questo terreno ed ha contribuito a legittimare il senso comune
xenofobo. Si è perseguita - e si continua a perseguire - una strategia
suicida, consistente nel competere con la destra sul terreno che le è
proprio: per fare qualche esempio, la rivendicazione della primogenitura della
“trovata” delle impronte digitali, l’applicazione della legge
40/99 (la cosiddetta Turco-Napolitano) quasi esclusivamente nel versante
repressivo, il vantarsi pubblicamente dei successi repressivi (centri di
detenzione ed espulsioni), il martellamento sul tema della sicurezza.
Intanto, pochissimi sono i passi avanti compiuti sul terreno
della regolarizzazione, dell’inserimento sociale e della
cittadinizzazione degli immigranti, i soli efficaci antidoti al veleno del
razzismo e della xenofobia. Quanto alla legge sull’immigrazione in
vigore, la sua applicazione [sb1]si
è concentrata sulle misure repressive, eludendo quasi totalmente le poche misure miranti al
conferimento di diritti civili e sociali. Quello che era stato uno degli
impegni solennemente assunti dal governo, ripetutamente sbandierato dalla
ministra Turco, cioè il diritto di voto nelle elezioni amministrative ai
cittadini extracomunitari, è stato totalmente disatteso; per non parlare
dell’impegno relativo a un’iniziativa legislativa per rendere agli
stessi cittadini extracomunitari meno discriminatoria, più garantista e
più agevolmente percorribile l’acquisizione della cittadinanza
italiana.
Il fenomeno migratorio è sintomo ed esito delle contraddizioni
laceranti del modello di “sviluppo” neoliberista, che concentra al
massimo poteri, ricchezze e prerogative, e impoverisce la gran parte della
popolazione mondiale.
Se l’immigrazione genera allarme in una parte
dell’opinione pubblica è perché gli immigrati sono deboli
sul piano dei diritti sociali, civili e politici, e dunque sono i capri
espiatori ideali a cui attribuire il disagio, l’insicurezza e
l’incertezza del futuro generati dal modello neoliberista.
Di fronte a un tale quadro, il Prc non può mettere la sordina al
tema dell’immigrazione nel corso della campagna elettorale e oltre. Non
è solo un principio etico quello che ci impone di contrastare la xenofobia
e la tentazione del razzismo, alimentati dalla martellante
propaganda “sicuritaria”: è che in un contesto avvelenato e
imbarbarito dall’intolleranza è difficile costruire
“isole” di convivenza e di solidarietà, è ardua l’espressione
del conflitto sociale, è quasi impossibile parlare di comunismo o anche
solo di uguaglianza e libertà; infine, un tale clima, governando le
destre, sarebbe propizio a svolte antigarantiste e repressive, se non
autoritarie.
E’ dunque anche il realismo politico che deve indurci
ad agitare questo tema, sottraendoci alla tentazione di eluderlo o di
marginalizzarlo. Esso va trattato esplicitamente e in positivo, indicando
obiettivi di programma che favoriscano la convivenza fra uguali e diversi, l’inserimento
sociale e la cittadinizzazione degli stranieri.
L’immigrazione è anche in Italia, come in tutti i paesi
dell’Unione europea, un fenomeno consolidato da più di
vent’anni, un dato permanente e strutturale, un elemento che contribuisce
alla ricchezza, economica e culturale, del Paese. Ad esso occorre rapportarsi
col massimo di apertura, di solidarietà, di realismo politico. E’
il realismo che impone di mettere in atto politiche volte alla
regolarizzazione, all’inserimento sociale e all’uguaglianza dei
diritti degli “stranieri” che vivono e lavorano nel nostro Paese:
questi sono i soli efficaci antidoti al veleno del razzismo e della xenofobia.
L’esperienza dei paesi di antica immigrazione ci insegna che
più si rafforzano e si generalizzano le misure repressive, più si
blindano le frontiere e si incrementa il proibizionismo, più cresce
l’area della “clandestinità” e della
marginalità sociale, e conseguentemente lo sfruttamento selvaggio della
forza-lavoro immigrata, la potenziale devianza e la microcriminalità.
Solo prospettando agli immigranti la convenienza dell’ingresso
legale, a partire dalla garanzia di canali d’ingresso legale
realisticamente percorribili, regolati da norme più ampie e flessibili;
conferendo a chi non ce l’ha il permesso di soggiorno in cambio
dell’accertamento dell’identità personale; programmando una regolarizzazione
permanente in presenza di requisiti obiettivi –quali il
lavoro, l’alloggio, i legami sociali e familiari- è possibile
pensare di sconfiggere il traffico di “clandestini” e nel contempo
rassicurare l’opinione pubblica.
Inoltre, va garantito un effettivo diritto d’asilo (l’Italia,
com’è noto, fra i paesi dell’Unione europea è uno dei
più avari nella concessione di questo diritto). La legge sull’asilo
in discussione in Parlamento da gran tempo tarda ad essere approvata. Quando
invece il dare piena attuazione all’art.10 della Costituzione servirebbe
a sottrarre migliaia di profughi e di richiedenti asilo allo sfruttamento dei
trafficanti e al quotidiano rischio di morte.
Infine, occorre garantire la libera circolazione delle
persone eliminando l’obbligatorietà del visto di ingresso per i
soggiorni fino a tre mesi, per motivi di turismo, cultura, affari, visite
familiari, ma anche per lavori stagionali e temporanei.
Negli anni più recenti si è rafforzata la tendenza a
istituire –legalmente o di fatto- un diritto differenziato per
gli stranieri. E’ una tendenza assai pericolosa che mina alla radice lo
spirito della Costituzione e lo stato di diritto. La misura anticostituzionale
del “trattenimento” nei Centri “di permanenza
temporanea” (in realtà, di detenzione) che priva della
libertà personale chi, secondo la legge italiana, non ha commesso alcun
reato; la pratica diffusa dell’espulsione in sostituzione della pena,
anche sulla base del semplice sospetto; quella, ancora più grave della
“doppia pena”, vale a dire l’espulsione dopo
l’espiazione della pena carceraria; la negazione, nei fatti, del diritto
di difesa e di ricorso: tutto ciò configura un diritto speciale per gli
stranieri extracomunitari, ai quali sono negate le garanzie costituzionali.
Occorre opporsi alla moltiplicazione del Centri “di permanenza
temporanea” e battersi per la chiusura di quelli esistenti; contrastare
la “doppia pena” esigere che siano rispettati i principi della
presunzione d’innocenza, del doppio grado di giurisdizione, del diritto
alla difesa e al ricorso effettivi. Di conseguenza si rende ormai necessaria
una revisione della legge 40 (Turco-Napoletano) soprattutto per gli articoli
più repressivi e anticostituzionali (art. 11; 12; 22).
L’impegno dei comunisti è volto
all’allargamento della cittadinanza, intesa come
conferimento e godimento di diritti uguali per tutti coloro che vivono nello
stesso territorio, indipendentemente dall’origine e dalle differenze
culturali e religiose. In questa prospettiva, va rilanciata la rivendicazione
dell’estensione ai cittadini non-comunitari del diritto di voto,
attivo e passivo, nelle elezioni locali, nelle forme previste dal disegno di
legge presentato da parlamentari del Prc.
S’impone, inoltre, una radicale riforma della
legge attuale che regola l’acquisizione della cittadinanza italiana,
fondata sul diritto di sangue e gravemente discriminatoria per i cittadini
non-comunitari. Il disegno di legge in materia presentato dal Prc afferma: chi
nasce sul territorio italiano è di nazionalità italiana; gli
stranieri comunitari e non-comunitari, senza alcuna distinzione, possono diventare,
se lo vogliono, cittadini italiani dopo quattro anni di regolare soggiorno;
è possibile conservare la cittadinanza del paese di provenienza.
Bisogna superare la visione che, intendendo
l'immigrazione come una questione di ordine pubblico, consegna il destino e la
vita degli immigranti nelle mani del ministero degli Interni e delle questure.
Riprendendo una delle più importanti rivendicazioni del movimento
antirazzista, il Prc intende battersi per il trasferimento delle competenze in
materia di rilascio e rinnovo del permesso di soggiorno (nonché di
rilascio della Carta di soggiorno) dalle questure ai comuni di residenza.
Infine bisogna impegnarsi perché la Carta
di soggiorno, prevista dalla legge 40/99 ma sostanzialmente
inapplicata, venga effettivamente rilasciata a quanti soggiornano regolarmente
in Italia da almeno cinque anni.
Il Prc si impegna a sostenere gli immigrati nella
conquista progressiva dell’uguaglianza delle opportunità e dei
diritti sociali, che significa conquista di spazi di riconoscimento e di
legalità; avere garantiti la tutela della propria salute e il diritto
all’istruzione per sé e per i propri figli; la possibilità
di entrare nel mercato del lavoro legale, combattendo il
lavoro nero e lo sfruttamento; avere l’opportunità di procurarsi
un alloggio utilizzando, come i cittadini italiani, il “normale”
mercato degli affitti, eventualmente ricorrendo alla costituzione di
“agenzie di garanzia”, anche a
partecipazione pubblica, al fine di sottrarsi ai ricatti e alle
condizioni-capestro cui devono attualmente sottostare.
Il Prc si impegna a
presentare una legge per regolamentare diritti e doveri dei rom e dei sinti e,
in particolare per garantire: una reale scolarizzazione (con l’impegno
degli EELL per il censimento dei bambini); il recupero della partecipazione
sociale dei bambini in tutte le iniziative degli enti locali (ludoteche, sport,
attività artistiche); lo stanziamento di fondi speciali per la
formazione nel dopo-obbligo scolastico; l’alfabetizzazione degli adulti
(con particolare attenzione per le donne) finalizzata alla consapevolezza dei
diritti sanitari e lavorativi; l’istituzione di piccoli insediamenti
abitativi diffusi e l’iscrizione alle liste per gli alloggi popolari, al
fine di eliminare i “campi”; il riconoscimento delle lingue dei rom
e dei sinti, al pari delle lingue di altre minoranze.
I quasi quindici milioni di stranieri presenti in
Europa costituiscono una sorta di “nazione”. Benché appartengano
all’inedita categoria di ”residenti non cittadini”, essi sono
parte integrante della società europea e contribuiscono alla sua
ricchezza. Pensare di perpetuare la loro esclusione istituzionalizzata,
sancendo così un apartheid di fatto, è gravido di rischi e poco
realistico. Più realistico è prendere in considerazione la
possibilità di accordare la cittadinanza europea a
chiunque risieda regolarmente nell’Unione da almeno cinque anni, senza
subordinarla alla nazionalità degli Stati-membri.
[sb1]Revisione Cartocci