(Sergio Briguglio 3/4/2001)
PROPOSTE
PER UN PROGRAMMA DI LEGISLATURA SU IMMIGRAZIONE E ASILO
Le proposte contenute in questa nota mirano a
configurare un assestamento del quadro normativo sulla condizione giuridica
dello straniero in Italia atto ad eliminare i principali difetti e le
piu’ gravi lacune di quello attualmente vigente. Tali proposte sono il
frutto dell’esperienza maturata tramite il lavoro di collegamento tra
istituzioni, associazioni e organismi attivi nel campo dell’immigrazione
e dell’asilo.
Perche’ il flusso migratorio non sia
costretto a intraprendere vie illegali e’ indispensabile che siano creati
canali di accesso effettivamente percorribili da quanti aspirino a fare
ingresso in Italia. A questo scopo e’ necessario che la periodica
determinazione delle quote massime ammesse nel nostro Paese non sia ispirata a
criteri eccessivamente restrittivi, ma tenga conto della consistente domanda di
manodopera avanzata dalle imprese e dalle famiglie italiane. E’
pero’ anche necessario che i meccanismi di ingresso previsti dalla legge
non si traducano, all’atto pratico, in un ostacolo insormontabile per
migranti e datori di lavoro.
L’incontro diretto (sul posto) tra domanda
e offerta di lavoro rappresenta il requisito fondamentale per la costituzione
di un rapporto di lavoro. Tale incontro risulta gravemente ostacolato dalle
norme relative alla “chiamata nominativa” da parte di un datore di
lavoro (la chiamata deve riferirsi a un lavoratore ancora residente all’estero),
ma e’ reso possibile, in linea teorica, dalle disposizioni relative
all’ingresso per inserimento nel mercato del lavoro. Questa forma di
ingresso permette di cercare sul posto un’opportunita’ di lavoro,
ed e’ consentita, entro i limiti della quota appositamente definita dal
decreto di programmazione dei flussi, per coloro che siano coperti dalla
garanzia prestata da uno “sponsor”. Tuttavia, dovendo riguardare,
anche in questo caso, stranieri ancora residenti all’estero, l’ingresso
“sponsorizzato” risulta precluso per tutti quegli aspiranti
immigrati che non abbiano gia’ rilevanti legami con potenziali sponsor in
Italia.
Positivamente, la legge prevede che, qualora le
richieste di prestazione di garanzia non coprano, entro un termine prefissato, la
quota massima stabilita dal decreto, possano fare ingresso in Italia stranieri
capaci di “auto-sponsorizzarsi”, nell’ordine corrispondente
alla anzianita’ di iscrizione in liste di prenotazione tenute nelle
ambasciate e nei consolati italiani.
La possibilita’ di un ingresso
auto-garantito risolverebbe il problema di quanti non abbiano gia’
stabilito legami con soggetti (datori di lavoro o sponsor) residenti in Italia.
A tutt’oggi, pero’, le nostre rappresentanze diplomatiche non hanno
provveduto all’istituzione delle liste. In mancanza di opportunita’
di ingresso legale, a chi aspiri a migrare in Italia per lavoro non resta che
fare ingresso per altri motivi (turismo, per esempio) o in condizioni illegali
e cercare sul posto un soggetto disposto ad avviare la procedura di chiamata
nominativa o di prestazione di garanzia. A valle di un temporaneo rimpatrio
(problematico, se il soggiorno in Italia e’ stato irregolare), lo
straniero rientrera’ in Italia dopo essersi munito di regolare visto di
ingresso.
Per rendere possibile l’incontro diretto
tra lavoratori e datori di lavoro, ed evitare allo stesso tempo queste forme di
aggiramento della normativa (o, nella migliore delle ipotesi – ingresso
per turismo -, questo dannoso spreco di risorse), e’ opportuna l’adozione
delle due misure seguenti
1) Dare effettivita’ alle disposizioni
sull’ingresso auto-garantito, con l’istituzione di liste di
prenotazione nei consolati italiani (in tutti i paesi di emigrazione verso
l’Italia) o, qualora questo non risulti possibile, con
l’istituzione di un’unica lista centralizzata presso uno dei
ministeri competenti (es.: Ministero del lavoro), cui gli stranieri possano
accedere anche per posta o per via telematica.
2) Consentire, ai titolari di permesso di
soggiorno di breve durata (es.: per motivi di turismo, visita, cura, affari,
etc.)
a) lo svolgimento di
attivita’ occasionali di lavoro autonomo (anche in forma di prestazioni
lavorative saltuarie);
b) il rinnovo del permesso per
un ulteriore breve periodo quando lo straniero sia in grado di dimostrare il
possesso di mezzi di sostentamento non inferiori all’importo
dell’assegno sociale per il periodo di soggiorno, la disponibilita’
di alloggio e la titolarita’ di un’assicurazione sanitaria;
c) la conversione del permesso
in un permesso di soggiorno per lavoro o per inserimento nel mercato del
lavoro, quando risultino soddisfatti i requisiti sostanziali per il rilascio di
un tale permesso (certificata opportunita' di lavoro o prestazione di garanzia
e rispetto del limite stabilito dal decreto di programmazione dei flussi).
In tal modo, il percorso di ricerca di
un’opportunita’ di lavoro stabile in Italia o di una
sponsorizzazione, oggi sostanzialmente costretto a restare nascosto
nell’illegalita’, potrebbe avvenire alla luce del sole e in
condizioni pienamente legali.
Un problema specifico cui
vanno incontro coloro che aspirino a entrare in Italia per svolgere
attivita’ non occasionale di lavoro autonomo e’ poi rappresentato
dal requisito di disponibilita’ di un reddito non inferiore al livello al
di sotto del quale e’ prevista l’esenzione dalla partecipazione
alla spesa sanitaria (oggi, circa sedici milioni annui). Questa previsione
intende comprensibilmente evitare che siano alimentate attivita’ imprenditoriali
prive di rilevanza economica e tali da tradursi in un aggravio per il sistema
di sicurezza sociale. Tuttavia, se si tiene conto del fatto che le prestazioni
di servizi occasionali si configurano proprio come attivita’ di lavoro
autonomo, piuttosto che subordinato, e che e’ estremamente improbabile
che chi intenda svolgere in Italia tali attivita’ disponga in patria di
un simile reddito, si vede come un’interpretazione restrittiva della
disposizione in oggetto rischi di precludere l’ingresso di lavoratori che
potrebbero trovare un utile collocazione nel mercato italiano. E’
opportuno allora che il requisito di reddito si intenda associato alla
procedura di rinnovo del permesso, non a quella di rilascio o di conversione,
stante la difficolta', per lo straniero proveniente da un Paese in via di
sviluppo, di dimostrare, prima dell'ingresso o dell’effettivo avvio
dell’attivita’, la prescritta disponibilita' di reddito.
Il principale ostacolo al ricongiungimento
familiare e’ rappresentato oggi dalla disposizione in base alla quale il
richiedente deve dimostrare di disporre di un alloggio che soddisfi i requisiti
previsti dalle leggi regionali per l’edilizia popolare. Tali requisiti
sono, nei fatti, troppo stringenti, tanto da risultare non soddisfatti dalle
abitazioni di cui dispongono moltissime famiglie italiane. La disposizione deve
essere quindi corretta, tenendo conto del prevalente diritto al ristabilimento
dell’unita’ familiare.
La legge prevede che il rilascio e il rinnovo
del permesso di soggiorno debba essere concesso o negato entro venti giorni
dalla presentazione della domanda. Nei fatti, tale limite risulta raramente
rispettato dalla pubblica amministrazione. Ne consegue un grave danno per lo
straniero richiedente, che non puo’ godere, nelle more del rilascio o del
rinnovo, dei diritti associati al possesso del permesso. Tale danno puo’
essere eliminato stabilendo che la ricevuta della richiesta di rilascio o
rinnovo del permesso e’ utilizzabile a tutti gli effetti (in particolare
per il reingresso in Italia in esenzione da visto) come permesso di soggiorno,
fino alla decisione dell’amministrazione sulla richiesta.
In ottemperanza al dettato della Convenzione OIL
n. 143 del 24 giugno 1975, ratificata con legge 10
aprile 1981, n. 158, e’ previsto che il lavoratore subordinato che
sia licenziato o che si dimetta non perda, per cio’ stesso, il diritto a
soggiornare in Italia, ma abbia a disposizione almeno un ulteriore anno di
iscrizione nelle liste di collocamento che gli consenta di trovare una nuova
occupazione e di ottenere, conseguentemente, il rinnovo del permesso di
soggiorno. La legge tuttavia non specifica se di questo beneficio debba godere
anche il lavoratore che veda concludersi alla scadenza naturale un rapporto di
lavoro a tempo determinato, ne’ se il beneficio possa essere applicato
piu’ volte (alla conclusione di successivi rapporti di lavoro) per lo
stesso lavoratore. E’ necessario che entrambe le possibilita’ siano
previste esplicitamente. In mancanza di una esplicita previsione, infatti, nel
primo caso risulterebbe preclusa ogni possibilita’ di prolungamento del
soggiorno per i lavoratori che abbiano ottenuto, secondo quanto previsto dalla
legge, un permesso di soggiorno della durata del rapporto di lavoro a tempo
determinato; nel secondo caso, la preclusione scatterebbe alla conclusione del
secondo rapporto di lavoro.
La legge esclude dalla possibilita’ di
ottenere una carta di soggiorno lo straniero che abbia subito condanne per i
reati non colposi previsti dagli articoli 380 e 381 del Codice di procedura
penale. Alcuni di questi reati hanno, nei fatti, rilevanza trascurabile (es.:
danneggiamento aggravato). E’ opportuno che la norma sia rivista con una
adeguata delimitazione dei reati preclusivi. In alternativa, potrebbero essere
considerate preclusive solo le condanne che comportino una pena non inferiore a
un certo limite o per le quali l’espiazione della pena non si sia
conclusa da un congruo numero di anni.
La legge prevede che lo studente, in presenza di
una documentata opportunita’ di lavoro subordinato, o quando sia in
possesso dei requisiti per lo svolgimento di attivita’ non occasionali di
lavoro autonomo, possa convertire il permesso di soggiorno per studio in un
permesso per lavoro (subordinato o autonomo), a condizione che la sua richiesta
rientri nelle quote fissate dal decreto di programmazione dei flussi. Non
esistono, tuttavia, disposizioni atte a stabilire un criterio di precedenza
delle richieste di conversione del permesso rispetto a quelle relative a nuovi
ingressi di lavoratori dall’estero. Non potendosi rinnovare il permesso
per motivi di studio una volta conseguito il titolo, ovvero oltre il terzo anno
fuori corso, lo studente rischia di non poter usufruire della conversione del
permesso e della conseguente stabilizzazione del soggiorno in Italia. E’
opportuno stabilire che le richieste di conversione di permessi per studio in
permessi per lavoro presentate prima della pubblicazione del decreto di
programmazione dei flussi siano esaminate con precedenza rispetto alle
richieste relative a nuovi ingressi.
La legge prevede che, al compimento della
maggiore eta’, il minore titolare di un permesso di soggiorno per motivi
familiari cui non possa essere rilasciata una carta di soggiorno possa comunque
convertire il proprio permesso in un permesso di soggiorno per motivi di lavoro
o di studio, anche in assenza dei requisiti usualmente previsti (ad esempio, la
documentata opportunita’ di lavoro subordinato). Una disposizione simile
consente la conversione del permesso di soggiorno per affidamento, al
compimento della maggiore eta’, in un permesso per motivi di lavoro, di
studio, di inserimento nel mercato del lavoro o di cura. E’ bene che sia
data omogeneita’ alle due disposizioni, con l’allargamento, da una
parte, delle possibilita’ di conversione del permesso per motivi
familiari, e la possibilita’, dall’altra, di conversione del
permesso per affidamento anche in mancanza degli usuali requisiti di legge.
E’ necessario poi che i minori stranieri
in stato di abbandono non subiscano alcuna discriminazione rispetto agli altri
minori. In questi casi, come in tutti gli altri, l’interesse del minore
deve essere considerato prevalente su ogni altra esigenza, secondo quanto
stabilito dalla Convenzione sui diritti del fanciullo
del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva ai sensi della legge 27
maggio 1991, n. 176. In particolare, ogni qual volta non risulti che si
debba e si possa procedere al riaffidamento immediato in patria del minore,
e’ indispensabile che al minore sia data la possibilita’ di
intraprendere, in Italia, un percorso formativo e di accedere ad
attivita’ lavorativa, fatti salvi i requisiti di eta’ previsti
dalla legge. Al compimento della maggiore eta’, poi, il minore deve poter
fruire, a parita’ di condizioni con i coetanei, della possibilita’
di conversione del permesso di soggiorno (quale che sia il titolo con cui
questo e’ stato rilasciato) in un permesso per motivi di lavoro, studio,
cura, inserimento nel mercato del lavoro, etc., anche in mancanza dei requisiti
usualmente previsti.
Espulsione
Un efficace contrasto delle
forme di criminalita’ che si alimentano con lo sfruttamento della
condizione spesso precaria degli immigrati e’ reso problematico dalla
mimetizzazione che tali forme possono trovare in un contesto di diffusa
illegalita’ rispetto alle condizioni di soggiorno, del tutto priva, per
il resto, di rilevanza criminale. La stessa opinione pubblica, estremamente
sensibile al problema della sicurezza delle citta’, finisce per avvertire
come minaccioso il bacino di presenze irregolari, non per le attivita’
effettivamente svolte dagli immigrati clandestini (che’ per la maggior
parte si tratta di innocue attivita’ lavorative), ma per la confusione
dell’intero bacino con quella minoranza effettivamente dedita ad
attivita’ malavitose.
In generale, tuttavia,
e’ impensabile che si crei un’opportuna e netta separazione tra
l’immigrato clandestino impegnato a trovare inserimento lecito nella
societa’ e quello dedito ad attivita’ criminali, se il primo
e’ spinto in una condizione di irreversibile nascondimento dal rischio di
incorrere in sanzioni, quali l’espulsione obbligatoria in caso di ingresso
o soggiorno illegale e il connesso divieto di reingresso in Italia (e
nell’intera Area Schengen) per cinque anni, che vanificherebbero
completamente il suo progetto migratorio.
E’ opportuno che sia
data maggior flessibilita’ alle norme di carattere repressivo, con una
graduazione delle sanzioni che consenta di diversificare l’intervento a
misura dell’entita’ della violazione di legge che si vuol
perseguire. Cosi’, ferme restando le disposizioni previste per sanzionare
i casi di concreta pericolosita’ sociale, e’ opportuno che, in
mancanza di tale pericolosita’, l’Autorita’ possa valutare,
in relazione ad ogni specifico caso,
a) se esistano
ragioni per il rilascio di un permesso di soggiorno (per ragioni umanitarie
ovvero per il possesso “di fatto” dei requisiti di inserimento
sociale);
b) se il rimpatrio
possa avvenire su base volontaria, entro un termine prefissato, senza che si
adottino divieti di reingresso;
c) se si debba
effettivamente procedere all’espulsione.
Nel secondo caso, il
rilevamento delle impronte digitali metterebbe lo Stato al riparo dal rischio
di un mancato rispetto, da parte dello straniero, dei termini fissati per il
rimpatrio.
In tutti i casi di adozione
del provvedimento di espulsione, salvi quelli in cui vi sia un concreto e grave
pericolo per la sicurezza dello Stato o per l’ordine pubblico, e’
necessario poi che sia garantita la possibilita’ di un effettivo
controllo giurisdizionale prima che lo straniero sia stato allontanato dal
territorio dello Stato.
Devono essere opportunamente differenziate le
misure di protezione sociale per chi si sottragga al condizionamento di
organizzazioni criminali. Nei casi di grave pericolo o di collaborazione
effettiva conla giustizia la misura deve avere carattere premiale: non ci si
puo’ limitare al rilascio di un permesso di soggiorno di breve durata,
rinnovabile e prorogabile con estrema difficolta’; si deve piuttosto
favorire un pieno inserimento sociale dell’interessato e
l’eventuale ricongiungimento facilitato, laddove vi sia rischio in patria
per l’incolumita’ dei familiari.
Quando manchino questi presupposti, e la misura
sia mirata a favorire un mero – ancorche’ positivo –
allontanamento del beneficiario da percorsi connotati negativamente, e’
opportuno che lo strumento non si trasformi in un meccanismo di aggiramento
delle norme sui flussi, e che quindi il permesso rilasciato resti finalizzato a
un successivo rimpatrio assistito.
In entrambi i casi, l'elemento piu’
rilevante alla base della adozione della misura deve restare la necessita’,
per lo straniero, di sottrarsi a un condizionamento certamente dannoso. Non
puo’ quindi essere considerata conditio sine qua non l’esistenza di
un progetto di protezione attuato da uno dei soggetti iscritti
nell’apposito albo presso la Presidenza del Consiglio dei ministri. Il
permesso deve cioe’ essere rilasciato anche quando tale progetto non sia
localmente disponibile.
Nell’ambito della lotta contro la tratta
di esseri umani, poi, tenuto conto della difficolta’ di dimostrare, in
sede giudiziaria, crimini quali il favoreggiamento dell’ingresso illegale
finalizzato allo sfruttamento della prostituzione o, addirittura, la riduzione
in schiavitu’, e’ opportuno che si introduca una specifica
aggravante per il reato di favoreggiamento, a fini di lucro, della permanenza illegale in relazione
al caso di straniero destinato alla prostituzione o allo sfruttamento di essa.
Per lo stesso reato dovrebbe anche essere previsto l’arresto facoltativo
in flagranza.
L’articolo 10 della Costituzione italiana
garantisce il diritto d’asilo, secondo le condizioni stabilite dalla
Legge, allo straniero al quale sia impedito, nel proprio paese,
l’effettivo esercizio delle liberta’ garantite dalla Costituzione
stessa. La normativa in vigore (articolo 1 della legge 39/1990) si limita a
disciplinare, molto sommariamente, il riconoscimento dello status di rifugiato
secondo la Convenzione di Ginevra del 1951. La giurisprudenza ha riconosciuto
come il novero dei beneficiari del diritto d’asilo garantito dallo
Costituzione sia piu’ ampio di quello di coloro che rientrano nella
definizione di rifugiato data dalla Convenzione. Ha riconosciuto,
altresi’, come la norma costituzionale non necessiti, per la sua applicazione,
di una legge attuativa, e come il riconoscimento del diritto d’asilo
costituzionale sia di competenza del giudice ordinario. E’ necessario,
tuttavia, il varo di una legge che, ferme restando queste distinzioni, aggiorni
le procedure per il riconoscimento dello status di rifugiato (ex-Convenzione),
stabilisca quelle per il riconoscimento del diritto costituzionale e definisca,
nel modo piu’ uniforme possibile, il contenuto concreto del diritto
d’asilo.
Mentre per la procedura di riconoscimento dello
status di rifugiato e’ opportuno che si tenga in considerazione il
processo di progressiva armonizzazione, in ambito europeo, avviato con
l’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, il riconoscimento del
diritto d’asilo costituzionale (per i casi che esulino dalle previsioni
della Convenzione), di competenza del giudice ordinario, non necessita della
definizione accurata di una specifica procedura. E’ necessario
pero’ che si stabilisca esplicitamente, estendendo il principio di non
refoulement
garantito dalla Convenzione di Ginevra, che lo straniero che abbia presentato
richiesta di riconoscimento del diritto d’asilo al giudice non possa
essere allontanato dal territorio dello Stato senza il preventivo nulla-osta
del giudice stesso. E’ opportuno poi che a tale straniero siano applicate
le misure di assistenza previste per il richiedente asilo ex-Convenzione e che,
ove gli sia riconosciuto il diritto d’asilo costituzionale, goda degli
stessi diritti del rifugiato (con l’eccezione del diritto di ottenere lo
specifico documento di viaggio previsto dalla Convenzione di Ginevra).
E’ necessario che la Commissione per il
riconoscimento dello status di rifugiato sia costituita da personale
qualificato ed operi in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di
valutazione. I membri della Commissione devono essere collocati fuori ruolo per
il periodo di durata della carica e non devono poter accedere, per lo stesso
periodo, a cariche elettive.
La Commissione deve essere strutturata in modo
da rispondere efficacemente e rapidamente alla domanda di protezione avanzata
dai profughi che giungano in Italia. A questo scopo puo’ essere prevista
la creazione di una diramazione periferica della struttura o la dislocazione
occasionale, in caso di afflussi rilevanti e concentrati, di una sua sezione
centrale. In ogni caso, deve essere garantita la qualita’ della
formazione e dell’aggiornamento dei membri, come pure la partecipazione,
con compiti consultivi, alle sedute della Commissione e delle sue sezioni (o
diramazioni periferiche) di un rappresentante dell’Alto Commissariato
delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR).
Pre-esame delle domande
E’ possibile, per evitare che la
presentazione di una domanda d’asilo costituisca un meccanismo di
aggiramento delle norme sull’immigrazione, definire una procedura di
pre-esame della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato. Tale
pre-esame, effettuato da un delegato qualificato della Commissione, deve essere
orientato all’individuazione delle domande inammissibili ovvero
manifestamente infondate.
In accordo con le definizioni adottate nella
recente “Proposta di direttiva sugli standard minimi delle procedure per
il riconoscimento e la revoca dello status di rifugiato” (presentata
dalla Commissione europea), una domanda sara’ considerata inammissibile
se il richiedente proviene da un paese che gli garantisce protezione dal
rischio di persecuzione, o che e’ disposto a riammetterlo sul proprio
territorio e ad esaminare la richiesta di protezione in condizioni di
sicurezza. La domanda sara’ invece considerata manifestamente infondata
se le ragioni addotte a sostegno della richiesta non hanno alcuna correlazione
con quelle alla base del diritto d’asilo; se una richiesta d’asilo
da parte dello stesso straniero e’ stata gia’ respinta e nessun
fatto nuovo viene presentato a sostegno della nuova richiesta; se la richiesta
e’ avanzata, senza validi motivi, successivamente alla convalida da parte
del magistrato di un provvedimento di espulsione o alla scadenza dei termini
per la presentazione del ricorso avverso lo stesso provvedimento; se
l’identita’ del richiedente risulta fraudolentemente contraffatta.
Qualora una domanda sia considerata
inammissibile, il richiedente puo’ essere inviato nel paese disposto ad
accordargli protezione ovvero a esaminare la sua richiesta di protezione. Deve
essere in ogni caso garantito il rispetto del principio di non refoulement, anche rispetto alla
possibilita’ di esito negativo dell’esame, nel paese di invio,
della richiesta di protezione. Nei casi in cui non si possa procedere
all’invio nel paese terzo entro un tempo brevissimo (es.: dieci giorni),
il richiedente dovra’ essere ammesso provvisoriamente nel territorio
dello Stato per un tempo predeterminato. Trascorso tale tempo senza che sia
stato possibile l’invio del richiedente nel paese terzo in condizioni di
sicurezza, lo Stato italiano dovra’ esaminare la sua richiesta di asilo.
Quando la domanda sia considerata manifestamente
infondata, il richiedente deve avere la possibilita’ di far riesaminare
la decisione dal giudice ordinario prima che si proceda al suo eventuale
allontanamento dal territorio dello Stato. Si puo’ dar luogo, in questi
casi, al trattenimento del richiedente fino a decisone del giudice (prevedendo,
corrispondentemente, un tempo definito per l’assunzione di tale
decisione).
Possono essere stabilite per legge eccezioni
all’effetto sospensivo del ricorso sul provvedimento di allontanamento.
In questo caso, pero’, in accordo con i contenuti della citata
“Proposta di direttiva” della Commissione europea, il richiedente
deve avere la possibilita’ di chiedere il differimento
dell’allontanamento fino alla decisione del giudice. L’adozione,
anche in questi casi di eccezione, di un provvedimento di trattenimento, con
conseguente convalida da parte del giudice, consente di individuare proprio nel
giudice della convalida l’autorita’ preposta alla decisione sulla
richiesta di differimento presentata dallo straniero.
Resta impregiudicata, per lo straniero, la
possibilita’ di presentare richiesta di riconoscimento del diritto
d’asilo costituzionale. L’allontanamento dello straniero dal
territorio dello Stato deve, in questo caso, come gia’ detto, essere
condizionato al benestare del giudice.
Resta altresi’ impregiudicata la
possibilita’, per lo straniero la cui domanda sia stata considerata
inammissibile o manifestamente infondata, di accedere alle misure di protezione
complementare previste in caso di impossibilita’ temporanea di allontanamento
(vedi sotto).
Assistenza del richiedente asilo e accesso al
lavoro
Uno dei problemi principali derivati, in questi
anni, dal mancato aggiornamento di una normativa, in materia di asilo, non
piu’ adeguata agli odierni fenomeni di migrazione forzata, e’
costituito dalle limitatissime misure di assistenza previste per i richiedenti
asilo. Il contributo di cui puo’ fruire oggi il richiedente asilo
e’ infatti assai limitato, sia quanto a importo giornaliero (34000 lire),
sia quanto a durata dell’erogazione (quarantacinque giorni). Non e’
prevista, inoltre, dalla normativa vigente, la possibilita’, per il
richiedente, di svolgere attivita’ lavorativa o di studio.
E’ necessario che questa lacuna sia
colmata, prevedendo una copertura assistenziale, per il richiedente che ne
abbia bisogno, per tutta la durata della procedura di esame della domanda
(ricorsi inclusi), come pure la possibilita’ di accesso ad
attivita’ di lavoro subordinato o autonomo o di studio quando la durata
della procedura (ricorsi inclusi) ecceda un limite prefissato.
E’ da osservare come la definizione di una
procedura di pre-esame dissuada da un ricorso massiccio e abusivo alla
presentazione di domande di asilo, e preservi dal rischio che l’accesso
del richiedente asilo a forme di assistenza o ad attivita’ lavorativa
comporti, nei fatti, un aggiramento delle norme sulla programmazione dei flussi
migratori.
Nei casi in cui la richiesta di riconoscimento
dello status di rifugiato (o del diritto d’asilo costituzionale) sia
respinta, deve essere verificato, prima di procedere all’eventuale
allontanamento del richiedente dal territorio dello Stato, che tale
allontanamento non ne metta a rischio l’incolumita’ o il godimento
dei diritti fondamentali. Laddove un tale rischio sussista, e’ necessario
che allo straniero sia accordata una forma di protezione temporanea,
complementare a quella prevista in relazione al diritto d’asilo. Tale
protezione dovrebbe consistere nella concessione di un permesso di soggiorno
per “asilo umanitario” della durata di un anno, rinnovabile
finche’ perdura la condizione di impossibilita’ di allontanamento,
con facolta’, per il titolare, di svolgere attivita’ di lavoro
subordinato o autonomo o di studio. Trascorso il periodo previsto dalla legge
(cinque anni), il titolare dovrebbe poter accedere al rilascio di una carta di
soggiorno.
Il richiedente asilo deve avere inoltre la
possibilita’ di impugnare davanti all’autorita’ giudiziaria
una decisione sfavorevole sulla domanda da lui presentata. La presentazione di
un ricorso sospende l’eventuale provvedimento di allontanamento dal
territorio dello Stato e comporta la proroga del permesso di soggiorno per
richiesta di asilo.
Diritti del rifugiato
I diritti di cui gode il rifugiato sono regolati
dalle disposizioni piu’ favorevoli tra quelle previste
dall’ordinamento nazionale per gli stranieri. Il rifugiato dovra’
quindi essere equiparato al titolare di carta di soggiorno per quanto riguarda
accesso a lavoro, formazione e studio, e fruizione delle misure di assistenza e
previdenza. In considerazione della sua particolare condizione, potra’
poi essere equiparato al cittadino italiano per quanto riguarda l’accesso
al pubblico impiego. La legge vigente prevede gia’ che ai fini del ricongiungimento
familiare il rifugiato goda di particolari facilitazioni (esonero dalla
dimostrazione di requisiti di reddito e alloggio, possibilita’ di
coesione familiare sul posto anche per i familiari irregolarmente soggiornanti
in Italia). E’ opportuno che per il rifugiato sia allargato il novero dei
familiari per i quali e’ possibile chiedere il ricongiungimento (es.:
figli maggiorenni, fratelli, etc.). E’ opportuno, infine, prevedere
procedure semplificate per il rilascio del visto di ingresso per ricongiungimento
familiare, ovvero per visita, ai familiari o, rispettivamente, al convivente more
uxorio
del rifugiato. Ciascuno di essi potra’ poi accedere, in Italia, alla
procedura di riconoscimento dello status di rifugiato sulla base del vincolo
stabilito col rifugiato gia’ riconosciuto; l’esame di tali domande
potra’ essere condotto con procedura semplificata.
Durante i primi cinque anni dal riconoscimento
dello status di rifugiato la Commissione puo’ esaminare se permangano le
condizioni che hanno determinato il riconoscimento dello status. Qualora tali
condizioni siano venute meno o quando sia verificata una delle clausole di
cessazione dello status di rifugiato previste dalla Convenzione di Ginevra, la
Commissione dichiara cessato il diritto d’asilo. Lo straniero ha il
diritto di impugnare davanti all’autorita’ giudiziaria la decisione
di cessazione. La presentazione del ricorso sospende l’eventuale
allontanamento dello straniero e comporta il mantenimento dello status fino
alla decisione sul risorso stesso. In ogni caso, lo straniero puo’
convertire il permesso di soggiorno per asilo in altro permesso per il quale
possegga i requisiti, ovvero, se e’ in possesso di carta di soggiorno,
conservarne la titolarita’.
Trascorsi cinque anni dal riconoscimento del
diritto d’asilo, allo straniero e’ rilasciata una carta di
soggiorno; si prescinde dagli usuali requisiti previsti dalla legge.