(17/4/2001)
PROPOSTE PER UN PROGRAMMA DI
LEGISLATURA
SU IMMIGRAZIONE E ASILO
Le proposte contenute in questa nota mirano a
configurare un assestamento del quadro normativo sulla condizione giuridica
dello straniero in Italia atto ad eliminare i principali difetti e le
piu’ gravi lacune di quello attualmente vigente. Tali proposte sono il
frutto dell’esperienza maturata tramite il lavoro di collegamento tra
istituzioni, associazioni e organismi attivi nel campo dell’immigrazione
e dell’asilo.
Perche’ il flusso migratorio non sia costretto a
intraprendere vie illegali e’ indispensabile che siano creati canali di
accesso effettivamente percorribili da quanti aspirino a fare ingresso in
Italia. A questo scopo e’ necessario che la periodica determinazione
delle quote massime ammesse nel nostro Paese non sia ispirata a criteri
eccessivamente restrittivi, ma tenga conto della consistente domanda di
manodopera avanzata dalle imprese e dalle famiglie italiane. E’ pero’
anche necessario che i meccanismi di ingresso previsti dalla legge non si
traducano, all’atto pratico, in un ostacolo insormontabile per migranti e
datori di lavoro.
Nella valutazione dei meriti o dei limiti presentati
da questi meccanismi, occorre distinguere almeno tra due componenti principali
dei flussi di immigrazione per lavoro: quella costituita da manodopera
qualificata e quella, non meno importante, rappresentata da lavoratori a bassa
qualificazione. Per la prima componente, le norme relative alla “chiamata
nominativa” da parte di un datore di lavoro del lavoratore ancora
residente all’estero possono risultare adeguate. Le chiamate infatti
possono essere fondate sull’esame – anche a distanza – del
curriculum lavorativo o di studio del lavoratore e non necessitano di un
incontro diretto tra le parti. La legge poi prevede che possano essere
istituite, nell’ambito di accordi bilaterali, liste di lavoratori che
aspirino a migrare in Italia, con l’indicazione di qualifiche e mansioni
degli iscritti, alle quali i datori di lavoro privi di conoscenze dirette
possano attingere per le chiamate nominative. L’approntamento e
l’utilizzazione di tali liste e’ senz’altro da sostenere, ma
nulla impedisce che analoghe liste possano essere approntate su libera
iniziativa - ad esempio – di associazioni imprenditoriali o agenzie.
Sarebbe quindi da incoraggiare la realizzazione di corsi di formazione
lavorativa nei paesi di emigrazione che si concludano con la definizione di una
lista specializzata da proporre agli imprenditori italiani operanti in settori
non gia’ saturati dall’offerta di lavoro italiana.
L’incontro diretto (sul posto) tra domanda e
offerta di lavoro rappresenta invece il requisito fondamentale per la
costituzione di un rapporto di lavoro caratterizzato da bassi livelli di
qualificazione. Tale incontro risulta gravemente ostacolato da quanto previsto
per la chiamata nominativa (dovendo questa riferirsi a un lavoratore ancora
residente all’estero), ma e’ reso possibile, in linea teorica,
dalle disposizioni relative all’ingresso per inserimento nel mercato del
lavoro. Questa forma di ingresso permette di cercare sul posto
un’opportunita’ di lavoro, ed e’ consentita, entro i limiti
della quota appositamente definita dal decreto di programmazione dei flussi,
per coloro che siano coperti dalla garanzia prestata da uno
“sponsor”. Tuttavia, dovendo riguardare, anche in questo caso,
stranieri ancora residenti all’estero, l’ingresso
“sponsorizzato” risulta precluso per tutti quegli aspiranti
immigrati che non abbiano gia’ rilevanti legami con potenziali sponsor in
Italia.
Positivamente, la legge prevede che, qualora le
richieste di prestazione di garanzia non coprano, entro un termine prefissato,
la quota massima stabilita dal decreto, possano fare ingresso in Italia stranieri
capaci di “auto-sponsorizzarsi”, nell’ordine corrispondente
alla anzianita’ di iscrizione in liste di prenotazione tenute nelle
ambasciate e nei consolati italiani.
La possibilita’ di un ingresso auto-garantito
risolverebbe il problema di quanti non abbiano gia’ stabilito legami con
soggetti (datori di lavoro o sponsor) residenti in Italia. A tutt’oggi,
pero’, le nostre rappresentanze diplomatiche non hanno provveduto
all’istituzione delle liste. In mancanza di opportunita’ di
ingresso legale, a chi aspiri a migrare in Italia per lavoro non resta che fare
ingresso per altri motivi (turismo, per esempio) o in condizioni illegali e
cercare sul posto un soggetto disposto ad avviare la procedura di chiamata
nominativa o di prestazione di garanzia. A valle di un temporaneo rimpatrio
(problematico, se il soggiorno in Italia e’ stato irregolare), lo
straniero rientrera’ in Italia dopo essersi munito di regolare visto di
ingresso.
Per rendere possibile l’incontro diretto tra
lavoratori e datori di lavoro, ed evitare allo stesso tempo queste forme di
aggiramento della normativa (o, nella migliore delle ipotesi – ingresso
per turismo -, questo dannoso spreco di risorse), e’ opportuna
l’adozione delle due misure seguenti.
1) Dare effettivita’ alle disposizioni
sull’ingresso auto-garantito, con l’istituzione di liste di
prenotazione nei consolati italiani (in tutti i paesi di emigrazione verso
l’Italia) o, qualora questo non risulti possibile, con
l’istituzione di un’unica lista centralizzata presso uno dei ministeri
competenti (es.: Ministero del lavoro), cui gli stranieri possano accedere
anche per posta o per via telematica.
2) Consentire, ai titolari di permesso di soggiorno di
breve durata (es.: per motivi di turismo, visita, cura, affari, etc.)
a) lo svolgimento di attivita’
occasionali di lavoro autonomo (anche in forma di prestazioni lavorative
saltuarie);
b) il rinnovo del permesso per un
ulteriore breve periodo quando lo straniero sia in grado di dimostrare il
possesso di mezzi di sostentamento non inferiori all’importo
dell’assegno sociale per il periodo di soggiorno, la disponibilita’
di alloggio e la titolarita’ di un’assicurazione sanitaria;
c) la conversione del permesso in un
permesso di soggiorno per lavoro o per inserimento nel mercato del lavoro,
quando risultino soddisfatti i requisiti sostanziali per il rilascio di un tale
permesso (certificata opportunita' di lavoro o prestazione di garanzia e
rispetto del limite stabilito dal decreto di programmazione dei flussi).
In tal modo, il percorso di ricerca di
un’opportunita’ di lavoro stabile in Italia o di una
sponsorizzazione, oggi sostanzialmente costretto a restare nascosto
nell’illegalita’, potrebbe avvenire alla luce del sole e in
condizioni pienamente legali. E’ evidente come l’adozione della
prima di queste misure (istituzione delle liste) potrebbe considerarsi
superflua se venissero adottate le seconde (sull’utilizzazione e la
convertibilita’ del permesso di breve durata). Affinche’ queste
ultime non finiscano per favorire prolungamenti illegali del soggiorno o
produrre un aggravio di spesa associato al rimpatrio di soggetti per i quali il
rinnovo o la conversione del permesso non siano possibili, il rilascio di un
permesso di soggiorno di breve durata con facolta’ di accesso ad attivita’
lavorativa e di successiva stabilizzazione potrebbe essere condizionato al
rilevamento di impronte digitali del titolare e al deposito di un titolo di
viaggio per l’eventuale rimpatrio. Non si tratterebbe di una forma di
discriminazione, ma, piuttosto, della stipula di un patto di lealta’ tra
il lavoratore straniero e lo Stato.
Un problema specifico cui vanno
incontro coloro che aspirino a entrare in Italia per svolgere attivita’
non occasionale di lavoro autonomo e’ rappresentato dal requisito di
disponibilita’ di un reddito non inferiore al livello al di sotto del
quale e’ prevista l’esenzione dalla partecipazione alla spesa
sanitaria (oggi, circa sedici milioni annui). Questa previsione intende
comprensibilmente evitare che siano alimentate attivita’ imprenditoriali
prive di rilevanza economica e tali da tradursi in un aggravio per il sistema
di sicurezza sociale. Tuttavia, se si tiene conto del fatto che le prestazioni
di servizi occasionali si configurano proprio come attivita’ di lavoro
autonomo, piuttosto che subordinato, e che e’ estremamente improbabile
che chi intenda svolgere in Italia tali attivita’ disponga in patria di
un simile reddito, si vede come un’interpretazione restrittiva della
disposizione in oggetto rischi di precludere l’ingresso di lavoratori che
potrebbero trovare un utile collocazione nel mercato italiano. E’
opportuno allora che il requisito di reddito si intenda associato alla
procedura di rinnovo del permesso, non a quella di rilascio o di conversione,
stante la difficolta', per lo straniero proveniente da un Paese in via di
sviluppo, di dimostrare, prima dell'ingresso o dell’effettivo avvio
dell’attivita’, la prescritta disponibilita' di reddito.
Il principale ostacolo al ricongiungimento familiare
e’ rappresentato oggi dalla disposizione in base alla quale il
richiedente deve dimostrare di disporre di un alloggio che soddisfi i requisiti
previsti dalle leggi regionali per l’edilizia popolare. Tali requisiti
sono, nei fatti, troppo stringenti, tanto da risultare non soddisfatti dalle
abitazioni di cui dispongono moltissime famiglie italiane. La disposizione deve
essere quindi corretta, tenendo conto del prevalente diritto al ristabilimento
dell’unita’ familiare.
La legge prevede che il rilascio e il rinnovo del
permesso di soggiorno debba essere concesso o negato entro venti giorni dalla
presentazione della domanda. Nei fatti, tale limite risulta raramente
rispettato dalla pubblica amministrazione. Ne consegue un grave danno per lo
straniero richiedente, che non puo’ godere, nelle more del rilascio o del
rinnovo, dei diritti associati al possesso del permesso. Tale danno puo’
essere eliminato stabilendo che la ricevuta della richiesta di rilascio o
rinnovo del permesso e’ utilizzabile a tutti gli effetti (in particolare
per il reingresso in Italia in esenzione da visto) come permesso di soggiorno,
fino alla decisione dell’amministrazione sulla richiesta.
In ottemperanza al dettato della Convenzione OIL n.
143 del 24 giugno 1975, ratificata con legge 10 aprile 1981, n. 158, e’
previsto che il lavoratore subordinato che sia licenziato o che si dimetta non
perda, per cio’ stesso, il diritto a soggiornare in Italia, ma abbia a
disposizione almeno un ulteriore anno di iscrizione nelle liste di collocamento
che gli consenta di trovare una nuova occupazione e di ottenere,
conseguentemente, il rinnovo del permesso di soggiorno. La legge tuttavia non
specifica se di questo beneficio debba godere anche il lavoratore che veda
concludersi alla scadenza naturale un rapporto di lavoro a tempo determinato,
ne’ se il beneficio possa essere applicato piu’ volte (alla
conclusione di successivi rapporti di lavoro) per lo stesso lavoratore. E’
necessario che entrambe le possibilita’ siano previste esplicitamente. In
mancanza di una esplicita previsione, infatti, nel primo caso risulterebbe
preclusa ogni possibilita’ di prolungamento del soggiorno per i
lavoratori che abbiano ottenuto, secondo quanto previsto dalla legge, un
permesso di soggiorno della durata del rapporto di lavoro a tempo determinato;
nel secondo caso, la preclusione scatterebbe alla conclusione del secondo
rapporto di lavoro.
La legge esclude dalla possibilita’ di ottenere
una carta di soggiorno lo straniero che abbia subito condanne per i reati non
colposi previsti dagli articoli 380 e 381 del Codice di procedura penale.
Alcuni di questi reati hanno, nei fatti, rilevanza trascurabile (es.:
danneggiamento aggravato). E’ opportuno che la norma sia rivista con una
adeguata delimitazione dei reati preclusivi. In alternativa, potrebbero essere
considerate preclusive solo le condanne che comportino una pena non inferiore a
un certo limite o per le quali l’espiazione della pena non si sia
conclusa da un congruo numero di anni.
La legge prevede che lo studente, in presenza di una
documentata opportunita’ di lavoro subordinato, o quando sia in possesso
dei requisiti per lo svolgimento di attivita’ non occasionali di lavoro
autonomo, possa convertire il permesso di soggiorno per studio in un permesso
per lavoro (subordinato o autonomo), a condizione che la sua richiesta rientri
nelle quote fissate dal decreto di programmazione dei flussi. Non esistono,
tuttavia, disposizioni atte a stabilire un criterio di precedenza delle
richieste di conversione del permesso rispetto a quelle relative a nuovi
ingressi di lavoratori dall’estero. Non potendosi rinnovare il permesso
per motivi di studio una volta conseguito il titolo, ovvero oltre il terzo anno
fuori corso, lo studente rischia di non poter usufruire della conversione del
permesso e della conseguente stabilizzazione del soggiorno in Italia. E’
opportuno stabilire che le richieste di conversione di permessi per studio in
permessi per lavoro presentate prima della pubblicazione del decreto di
programmazione dei flussi siano esaminate con precedenza rispetto alle
richieste relative a nuovi ingressi.
La normativa vigente prevede che al minore non accompagnato
per il quale debba essere assunta una decisione in merito al suo eventuale
rimpatrio sia rilasciato un permesso di soggiorno “per minore
eta’”. Si e’ stabilito, con circolare del Ministero
dell’interno, di non consentire lo svolgimento di attivita’ lavorativa
o di studio al titolare, ne’ la conversione del permesso, al compimento
della maggiore eta’, in un permesso per lavoro o per studio.
E’ necessario, in primo luogo, che sia usata la
massima cautela riguardo al rimpatrio del minore, facendo prevalere, nel
rispetto della Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989,
ratificata e resa esecutiva ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176,
l’interesse del minore su qualunque altra esigenza. Nella valutazione di
tale interesse deve essere tenuta nella opportuna considerazione la
volonta’ del minore e della sua famiglia.
La procedura con cui si decide riguardo al rimpatrio
deve svolgersi, poi, in tempi rapidi, per evitare che il minore resti per un
lungo periodo in una condizione di incertezza riguardo al proprio futuro
immediato.
Infine, coerentemente con la disposizione che parifica
ai figli, ai fini del ricongiungimento familiare, i minori sottoposti a tutela
e alle disposizioni che escludono la necessita’ di un affidamento formale
per un minore accolto da un parente entro il quarto grado, e’ opportuno
che, anche nei casi in cui il minore sia sottoposto a tutela o affidato, di
fatto, a parenti entro il quarto grado, questi riceva un permesso di soggiorno
per motivi familiari, anche allo scopo di evitare la proliferazione di permessi
a titolo diverso, con conseguente disparita’ di trattamento. In ogni
caso, laddove non si proceda all’effettivo rimpatrio del minore entro tre
mesi, quale che sia il titolo del permesso assegnatogli, il minore deve essere
completamente equiparato al coetaneo titolare di un permesso per motivi
familiari o per affidamento. Deve quindi avere la possibilita’ di intraprendere
un percorso di formazione, di accedere ad attivita’ lavorativa e di
convertire il permesso di soggiorno, al compimento della maggiore eta’,
in un permesso per lavoro, per inserimento nel mercato del lavoro o per studio.
Espulsione
Un efficace contrasto delle forme
di criminalita’ che si alimentano con lo sfruttamento della condizione
spesso precaria degli immigrati e’ reso problematico dalla mimetizzazione
che tali forme possono trovare in un contesto di diffusa illegalita’
rispetto alle condizioni di soggiorno, del tutto priva, per il resto, di
rilevanza criminale. La stessa opinione pubblica, estremamente sensibile al
problema della sicurezza delle citta’, finisce per avvertire come
minaccioso il bacino di presenze irregolari, non per le attivita’
effettivamente svolte dagli immigrati clandestini (che’ per la maggior
parte si tratta di innocue attivita’ lavorative), ma per la confusione
dell’intero bacino con quella minoranza effettivamente dedita ad
attivita’ malavitose.
In generale, tuttavia, e’
impensabile che si crei un’opportuna e netta separazione tra
l’immigrato clandestino impegnato a trovare inserimento lecito nella
societa’ e quello dedito ad attivita’ criminali, se il primo
e’ spinto in una condizione di irreversibile nascondimento dal rischio di
incorrere in sanzioni, quali l’espulsione obbligatoria in caso di
ingresso o soggiorno illegale e il connesso divieto di reingresso in Italia (e
nell’intera Area Schengen) per cinque anni, che vanificherebbero
completamente il suo progetto migratorio.
E’ opportuno che sia data
maggior flessibilita’ alle norme di carattere repressivo, con una
graduazione delle sanzioni che consenta di diversificare l’intervento a
misura dell’entita’ della violazione di legge che si vuol
perseguire. Cosi’, ferme restando le disposizioni previste per sanzionare
i casi di concreta pericolosita’ sociale, e’ opportuno che, in
assenza di tale pericolosita’, l’Autorita’ possa valutare, in
relazione ad ogni specifico caso,
a) se esistano ragioni
per il rilascio di un permesso di soggiorno (per ragioni umanitarie ovvero per
il possesso “di fatto” dei requisiti di inserimento sociale);
b) se il rimpatrio possa
avvenire su base volontaria, entro un termine prefissato, senza che si adottino
divieti di reingresso;
c) se si debba
effettivamente procedere all’espulsione.
Nel secondo caso, il rilevamento
delle impronte digitali metterebbe lo Stato al riparo dal rischio di un mancato
rispetto, da parte dello straniero, dei termini fissati per il rimpatrio.
In tutti i casi di adozione del
provvedimento di espulsione, salvi quelli in cui vi sia un concreto e grave
pericolo per la sicurezza dello Stato o per l’ordine pubblico, e’
necessario poi che sia garantita la possibilita’ di un effettivo
controllo giurisdizionale prima che lo straniero sia stato allontanato dal
territorio dello Stato.
Infine e’ opportuno che sia
data dignita’ di legge alle norme contenute nella Direttiva del Ministro
dell’interno con cui si definisce la “Carta dei diritti e dei
doveri per il trattenimento della persona ospitata nei centri di permanenza
temporanea”, in particolare, con riferimento al diritto di
a) effettuare
colloqui con organismi di tutela prima che la convalida dei provvedimenti di
trattenimento e di allontanamento abbia avuto luogo,
b) avvalersi
dell’assistenza di un difensore di fiducia e accedere al gratuito
patrocinio,
c) recuperare
effetti personali e risparmi,
d) avvertire
del trattenimento familiari e conoscenti,
e) preservare
l’unita’ familiare,
f) ricevere
visite.
Devono essere opportunamente differenziate le misure
di protezione sociale per chi si sottragga al condizionamento di organizzazioni
criminali. Nei casi di grave pericolo o di collaborazione effettiva con la
giustizia la misura deve avere carattere premiale: non ci si puo’
limitare al rilascio di un permesso di soggiorno di breve durata, rinnovabile e
prorogabile con estrema difficolta’; si deve piuttosto favorire un pieno
inserimento sociale dell’interessato e l’eventuale ricongiungimento
facilitato, laddove vi sia rischio in patria per l’incolumita’ dei
familiari.
Quando manchino questi presupposti, e la misura sia
mirata a favorire un mero – ancorche’ positivo –
allontanamento del beneficiario da percorsi connotati negativamente, e’
opportuno che lo strumento non si trasformi in un meccanismo di aggiramento
delle norme sui flussi, e che quindi il permesso rilasciato resti finalizzato a
un successivo rimpatrio assistito.
In entrambi i casi, l'elemento piu’ rilevante
alla base della adozione della misura deve restare la necessita’, per lo
straniero, di sottrarsi a un condizionamento certamente dannoso. Non puo’
quindi essere considerata conditio sine qua non l’esistenza di un progetto di protezione
attuato da uno dei soggetti iscritti nell’apposito albo presso la
Presidenza del Consiglio dei ministri. Il permesso deve cioe’ essere
rilasciato anche quando tale progetto non sia localmente disponibile.
Nell’ambito della lotta contro la tratta di
esseri umani, poi, tenuto conto della difficolta’ di dimostrare, in sede
giudiziaria, crimini quali il favoreggiamento dell’ingresso illegale
finalizzato allo sfruttamento della prostituzione o, addirittura, la riduzione
in schiavitu’, e’ opportuno che si introduca una specifica
aggravante per il reato di favoreggiamento, a fini di lucro, della permanenza illegale in relazione al caso di straniero destinato
alla prostituzione o allo sfruttamento di essa. Per lo stesso reato dovrebbe
anche essere previsto l’arresto facoltativo in flagranza.
Il processo di regolarizzazione avviato con il
D.P.C.M. del 16 ottobre 1998 non risulta ancora completato, essendo sospesa la
posizione di circa trentamila richiedenti. In mancanza di qualunque aspetto di
pericolosita’ sociale degli stranieri interessati (si sarebbe altrimenti
da molto tempo provveduto al loro allontanamento dall’Italia), risulta
del tutto innaturale il mancato rilascio di un permesso di soggiorno. La
presenza ufficiale di stranieri formalmente autorizzati a permanere nel
territorio dello Stato, ma privi di documenti che consentano loro di fruire di
un pacchetto di diritti basilari e’ del tutto inaccettabile. Anche quando
non si riesca a dare soluzione certa alla questione se tali persone soddisfino
i requisiti fissati a suo tempo per la regolarizzazione, occorre che si
proceda, coerentemente con quanto disposto dalla legge, al rilascio di un
permesso di soggiorno per motivi umanitari o per gli altri motivi per i quali
siano soddisfatti i requisiti.
L’articolo 10 della Costituzione italiana
garantisce il diritto d’asilo, secondo le condizioni stabilite dalla
Legge, allo straniero al quale sia impedito, nel proprio paese,
l’effettivo esercizio delle liberta’ garantite dalla Costituzione
stessa. La normativa in vigore (articolo 1 della legge 39/1990) si limita a
disciplinare, molto sommariamente, il riconoscimento dello status di rifugiato
secondo la Convenzione di Ginevra del 1951. La giurisprudenza ha riconosciuto
come il novero dei beneficiari del diritto d’asilo garantito dallo
Costituzione sia piu’ ampio di quello di coloro che rientrano nella
definizione di rifugiato data dalla Convenzione. Ha riconosciuto,
altresi’, come la norma costituzionale non necessiti, per la sua
applicazione, di una legge attuativa, e come il riconoscimento del diritto
d’asilo costituzionale sia di competenza del giudice ordinario. E’
necessario, tuttavia, il varo di una legge che, ferme restando queste
distinzioni, aggiorni le procedure per il riconoscimento dello status di
rifugiato (ex-Convenzione), stabilisca quelle per il riconoscimento del diritto
costituzionale e definisca, nel modo piu’ uniforme possibile, il
contenuto concreto del diritto d’asilo.
Mentre per la procedura di riconoscimento dello status
di rifugiato e’ opportuno che si tenga in considerazione il processo di
progressiva armonizzazione, in ambito europeo, avviato con l’entrata in
vigore del Trattato di Amsterdam, il riconoscimento del diritto d’asilo
costituzionale (per i casi che esulino dalle previsioni della Convenzione), di
competenza del giudice ordinario, non necessita della definizione accurata di
una specifica procedura. E’ necessario pero’ che si stabilisca
esplicitamente, estendendo il principio di non refoulement garantito dalla Convenzione di Ginevra, che lo
straniero che abbia presentato richiesta di riconoscimento del diritto
d’asilo al giudice non possa essere allontanato dal territorio dello
Stato senza il preventivo nulla-osta del giudice stesso. E’ opportuno poi
che a tale straniero siano applicate le misure di assistenza previste per il
richiedente asilo ex-Convenzione e che, ove gli sia riconosciuto il diritto
d’asilo costituzionale, goda degli stessi diritti del rifugiato (con
l’eccezione del diritto di ottenere lo specifico documento di viaggio
previsto dalla Convenzione di Ginevra).
E’ necessario che la Commissione per il
riconoscimento dello status di rifugiato sia costituita da personale
qualificato ed operi in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di
valutazione. I membri della Commissione devono essere collocati fuori ruolo per
il periodo di durata della carica e non devono poter accedere, per lo stesso
periodo, a cariche elettive.
La Commissione deve essere strutturata in modo da
rispondere efficacemente e rapidamente alla domanda di protezione avanzata dai
profughi che giungano in Italia. A questo scopo puo’ essere prevista la
creazione di una diramazione periferica della struttura o la dislocazione
occasionale, in caso di afflussi rilevanti e concentrati, di una sua sezione
centrale. In ogni caso, deve essere garantita la qualita’ della
formazione e dell’aggiornamento dei membri, come pure la partecipazione,
con compiti consultivi, alle sedute della Commissione e delle sue sezioni (o
diramazioni periferiche) di un rappresentante dell’Alto Commissariato
delle Nazioni Unite per i Rifugiati.
Pre-esame delle domande
E’ possibile, per evitare che la presentazione
di una domanda d’asilo costituisca un meccanismo di aggiramento delle
norme sull’immigrazione, definire una procedura di pre-esame della
domanda di riconoscimento dello status di rifugiato. Tale pre-esame, effettuato
da un delegato qualificato della Commissione, deve essere orientato
all’individuazione delle domande inammissibili ovvero manifestamente
infondate.
In accordo con le definizioni adottate nella recente
“Proposta di direttiva sugli standard minimi delle procedure per il
riconoscimento e la revoca dello status di rifugiato” (presentata dalla
Commissione europea), una domanda sara’ considerata inammissibile se il
richiedente proviene da un paese che gli garantisce protezione dal rischio di
persecuzione, o che e’ disposto a riammetterlo sul proprio territorio e
ad esaminare la richiesta di protezione in condizioni di sicurezza. La domanda
sara’ invece considerata manifestamente infondata se le ragioni addotte a
sostegno della richiesta non hanno alcuna correlazione con quelle alla base del
diritto d’asilo; se una richiesta d’asilo da parte dello stesso
straniero e’ stata gia’ respinta e nessun fatto nuovo viene
presentato a sostegno della nuova richiesta; se la richiesta e’ avanzata,
senza validi motivi, successivamente alla convalida da parte del magistrato di
un provvedimento di espulsione o alla scadenza dei termini per la presentazione
del ricorso avverso lo stesso provvedimento; se l’identita’ del
richiedente risulta fraudolentemente contraffatta.
Qualora una domanda sia considerata inammissibile, il
richiedente puo’ essere inviato nel paese disposto ad accordargli
protezione ovvero a esaminare la sua richiesta di protezione. Deve essere in
ogni caso garantito il rispetto del principio di non refoulement, anche rispetto alla possibilita’ di esito
negativo dell’esame, nel paese di invio, della richiesta di protezione.
Nei casi in cui non si possa procedere all’invio nel paese terzo entro un
tempo brevissimo (es.: dieci giorni), il richiedente dovra’ essere
ammesso provvisoriamente nel territorio dello Stato per un tempo
predeterminato. Trascorso tale tempo senza che sia stato possibile
l’invio del richiedente nel paese terzo in condizioni di sicurezza, lo
Stato italiano dovra’ esaminare la sua richiesta di asilo.
Quando la domanda sia considerata manifestamente
infondata, il richiedente deve avere la possibilita’ di far riesaminare
la decisione dal giudice ordinario prima che si proceda al suo eventuale
allontanamento dal territorio dello Stato. Si puo’ dar luogo, in questi
casi, al trattenimento del richiedente fino a decisione del giudice
(prevedendo, corrispondentemente, un tempo definito per l’assunzione di
tale decisione).
Possono essere stabilite per legge eccezioni all’effetto
sospensivo del ricorso sul provvedimento di allontanamento. In questo caso,
pero’, in accordo con i contenuti della citata “Proposta di
direttiva” della Commissione europea, il richiedente deve avere la
possibilita’ di chiedere il differimento dell’allontanamento fino
alla decisione del giudice. L’adozione, anche in questi casi di
eccezione, di un provvedimento di trattenimento, con conseguente convalida da
parte del giudice, consente di individuare proprio nel giudice della convalida
l’autorita’ preposta alla decisione sulla richiesta di differimento
presentata dallo straniero.
Resta impregiudicata, per lo straniero, la
possibilita’ di presentare richiesta di riconoscimento del diritto
d’asilo costituzionale. L’allontanamento dello straniero dal territorio
dello Stato deve, in questo caso, come gia’ detto, essere condizionato al
consenso del giudice.
Resta altresi’ impregiudicata la
possibilita’, per lo straniero la cui domanda sia stata considerata
inammissibile o manifestamente infondata, di accedere alle misure di protezione
complementare previste in caso di impossibilita’ temporanea di
allontanamento (vedi sotto).
Assistenza del richiedente asilo e accesso al
lavoro
Uno dei problemi principali derivati, in questi anni,
dal mancato aggiornamento di una normativa, in materia di asilo, non piu’
adeguata agli odierni fenomeni di migrazione forzata, e’ costituito dalle
limitatissime misure di assistenza previste per i richiedenti asilo. Il
contributo di cui puo’ fruire oggi il richiedente asilo e’ infatti
assai limitato, sia quanto a importo giornaliero (34000 lire), sia quanto a
durata dell’erogazione (quarantacinque giorni). Non e’ prevista,
inoltre, dalla normativa vigente, la possibilita’, per il richiedente, di
svolgere attivita’ lavorativa o di studio.
E’ necessario che questa lacuna sia colmata,
prevedendo una copertura assistenziale, per il richiedente che ne abbia
bisogno, per tutta la durata della procedura di esame della domanda (ricorsi
inclusi), come pure la possibilita’ di accesso ad attivita’ di
lavoro subordinato o autonomo o di studio quando la durata della procedura
(ricorsi inclusi) ecceda un limite prefissato.
E’ da osservare come la definizione di una
procedura di pre-esame dissuada da un ricorso massiccio e abusivo alla presentazione
di domande di asilo, e preservi dal rischio che l’accesso del richiedente
asilo a forme di assistenza o ad attivita’ lavorativa comporti, nei
fatti, un aggiramento delle norme sulla programmazione dei flussi migratori.
Nei casi in cui la richiesta di riconoscimento dello
status di rifugiato (o del diritto d’asilo costituzionale) sia respinta,
deve essere verificato, prima di procedere all’eventuale allontanamento
del richiedente dal territorio dello Stato, che tale allontanamento non ne
metta a rischio l’incolumita’ o il godimento dei diritti
fondamentali. Laddove un tale rischio sussista, e’ necessario che allo
straniero sia accordata una forma di protezione temporanea, complementare a
quella prevista in relazione al diritto d’asilo. Tale protezione dovrebbe
consistere nella concessione di un permesso di soggiorno per “asilo
umanitario” della durata di un anno, rinnovabile finche’ perdura la
condizione di impossibilita’ di allontanamento, con facolta’, per
il titolare, di svolgere attivita’ di lavoro subordinato o autonomo o di
studio. Trascorso il periodo previsto dalla legge (cinque anni), il titolare
dovrebbe poter accedere al rilascio di una carta di soggiorno.
Il richiedente asilo deve avere inoltre la possibilita’
di impugnare davanti all’autorita’ giudiziaria una decisione
sfavorevole sulla domanda da lui presentata. La presentazione di un ricorso
sospende l’eventuale provvedimento di allontanamento dal territorio dello
Stato e comporta la proroga del permesso di soggiorno per richiesta di asilo.
Diritti del rifugiato
I diritti di cui gode il rifugiato sono regolati dalle
disposizioni piu’ favorevoli tra quelle previste dall’ordinamento
nazionale per gli stranieri. Il rifugiato dovra’ quindi essere equiparato
al titolare di carta di soggiorno per quanto riguarda accesso a lavoro,
formazione e studio, e fruizione delle misure di assistenza e previdenza. In
considerazione della sua particolare condizione, potra’ poi essere
equiparato al cittadino italiano per quanto riguarda l’accesso al
pubblico impiego. La legge vigente prevede gia’ che ai fini del
ricongiungimento familiare il rifugiato goda di particolari facilitazioni
(esonero dalla dimostrazione di requisiti di reddito e alloggio, possibilita’
di coesione familiare sul posto anche per i familiari irregolarmente
soggiornanti in Italia). E’ opportuno che per il rifugiato sia allargato
il novero dei familiari per i quali e’ possibile chiedere il
ricongiungimento (es.: figli maggiorenni, fratelli, etc.). E’ opportuno,
infine, prevedere procedure semplificate per il rilascio del visto di ingresso
per ricongiungimento familiare, ovvero per visita, ai familiari o,
rispettivamente, al convivente more uxorio del rifugiato. Ciascuno di essi potra’ poi accedere, in Italia,
alla procedura di riconoscimento dello status di rifugiato sulla base del
vincolo stabilito col rifugiato gia’ riconosciuto; l’esame di tali
domande potra’ essere condotto con procedura semplificata.
Durante i primi cinque anni dal riconoscimento dello status di rifugiato la Commissione puo’ esaminare se permangano le condizioni che hanno determinato il riconoscimento dello status. Qualora tali condizioni siano venute meno o quando sia verificata una delle clausole di cessazione dello status di rifugiato previste dalla Convenzione di Ginevra, la Commissione dichiara cessato il diritto d’asilo. Lo straniero ha il diritto di impugnare davanti all’autorita’ giudiziaria la decisione di cessazione. La presentazione del ricorso sospende l’eventuale allontanamento dello straniero e comporta il mantenimento dello status fino alla decisione sul risorso stesso. In ogni caso, lo straniero puo’ convertire il permesso di soggiorno per asilo in altro permesso per il quale possegga i requisiti, ovvero, se e’ in possesso di carta di soggiorno, conservarne la titolarita’.
Trascorsi cinque anni dal
riconoscimento del diritto d’asilo, allo straniero e’ rilasciata
una carta di soggiorno; si prescinde dagli usuali requisiti previsti dalla legge.
Adesioni: ARCI