(25/4/2001)
PROPOSTE PER UN PROGRAMMA DI LEGISLATURA
SU IMMIGRAZIONE E ASILO
Perche’ il flusso
migratorio non sia costretto a intraprendere vie illegali e’
indispensabile che siano creati canali di accesso effettivamente percorribili
da quanti aspirino a fare ingresso in Italia. A questo scopo e’
necessario che la periodica determinazione delle quote massime ammesse nel
nostro Paese non sia ispirata a criteri eccessivamente restrittivi, ma tenga
conto della consistente domanda di manodopera avanzata dalle imprese e dalle
famiglie italiane. E’ pero’ anche necessario che i meccanismi di
ingresso previsti dalla legge non si traducano, all’atto pratico, in un
ostacolo insormontabile per migranti e datori di lavoro.
Nella valutazione dei meriti o
dei limiti presentati da questi meccanismi, occorre distinguere almeno tra due
componenti principali dei flussi di immigrazione per lavoro: quella costituita
da manodopera qualificata e quella, non meno importante, rappresentata da
lavoratori a bassa qualificazione. Per la prima componente, le norme relative
alla “chiamata nominativa” da parte di un datore di lavoro del
lavoratore ancora residente all’estero possono risultare adeguate. Le
chiamate infatti possono essere fondate sull’esame – anche a
distanza – del curriculum lavorativo o di studio del lavoratore e non
necessitano di un incontro diretto tra le parti. La legge poi prevede che
possano essere istituite, nell’ambito di accordi bilaterali, liste di
lavoratori che aspirino a migrare in Italia, con l’indicazione di
qualifiche e mansioni degli iscritti, alle quali i datori di lavoro privi di
conoscenze dirette possano attingere per le chiamate nominative.
L’approntamento e l’utilizzazione di tali liste e’
senz’altro da sostenere, ma nulla impedisce che analoghe liste possano
essere approntate su libera iniziativa - ad esempio – di associazioni
imprenditoriali o agenzie. Sarebbe quindi da incoraggiare la realizzazione di
corsi di formazione lavorativa nei paesi di emigrazione che si concludano con
la definizione di una lista specializzata da proporre agli imprenditori
italiani operanti in settori non gia’ saturati dall’offerta di
lavoro italiana.
L’incontro diretto (sul
posto) tra domanda e offerta di lavoro rappresenta invece il requisito
fondamentale per la costituzione di un rapporto di lavoro caratterizzato da
bassi livelli di qualificazione. Tale incontro risulta gravemente ostacolato da
quanto previsto per la chiamata nominativa (dovendo questa riferirsi a un
lavoratore ancora residente all’estero), ma e’ reso possibile, in
linea teorica, dalle disposizioni relative all’ingresso per inserimento
nel mercato del lavoro. Questa forma di ingresso permette di cercare sul posto
un’opportunita’ di lavoro, ed e’ consentita, entro i limiti
della quota appositamente definita dal decreto di programmazione dei flussi,
per coloro che siano coperti dalla garanzia prestata da uno
“sponsor”. Tuttavia, dovendo riguardare, anche in questo caso,
stranieri ancora residenti all’estero, l’ingresso
“sponsorizzato” risulta precluso per tutti quegli aspiranti
immigrati che non abbiano gia’ rilevanti legami con potenziali sponsor in
Italia.
Positivamente, la legge prevede
che, qualora le richieste di prestazione di garanzia non coprano, entro un termine
prefissato, la quota massima stabilita dal decreto, possano fare ingresso in
Italia stranieri capaci di “auto-sponsorizzarsi”, nell’ordine
corrispondente alla anzianita’ di iscrizione in liste di prenotazione
tenute nelle ambasciate e nei consolati italiani.
La possibilita’ di un
ingresso auto-garantito risolverebbe il problema di quanti non abbiano
gia’ stabilito legami con soggetti (datori di lavoro o sponsor) residenti
in Italia. A tutt’oggi, pero’, le nostre rappresentanze diplomatiche
non hanno provveduto all’istituzione delle liste. In mancanza di
opportunita’ di ingresso legale, a chi aspiri a migrare in Italia per
lavoro non resta che fare ingresso per altri motivi (turismo, per esempio) o in
condizioni illegali e cercare sul posto un soggetto disposto ad avviare la
procedura di chiamata nominativa o di prestazione di garanzia. A valle di un
temporaneo rimpatrio (problematico, se il soggiorno in Italia e’ stato
irregolare), lo straniero rientrera’ in Italia dopo essersi munito di
regolare visto di ingresso.
Per rendere possibile
l’incontro diretto tra lavoratori e datori di lavoro, ed evitare allo
stesso tempo queste forme di aggiramento della normativa (o, nella migliore
delle ipotesi – ingresso per turismo -, questo dannoso spreco di risorse),
e’ opportuna l’adozione delle due misure seguenti.
1) Dare effettivita’ alle
disposizioni sull’ingresso auto-garantito, con l’istituzione di una
lista centralizzata presso uno dei ministeri competenti (es.: Ministero del
lavoro), cui gli stranieri possano accedere anche per posta o per via
telematica.
2) Consentire, ai titolari di
permesso di soggiorno di breve durata (es.: per motivi di turismo, visita,
cura, affari, etc.)
a) lo svolgimento
di attivita’ occasionali di lavoro autonomo (anche in forma di
prestazioni lavorative saltuarie);
b) il rinnovo del
permesso per un ulteriore breve periodo quando lo straniero sia in grado di
dimostrare il possesso di mezzi di sostentamento non inferiori
all’importo dell’assegno sociale per il periodo di soggiorno, la
disponibilita’ di alloggio e la titolarita’ di
un’assicurazione sanitaria;
c) la conversione
del permesso in un permesso di soggiorno per lavoro autonomo o subordinato o
per inserimento nel mercato del lavoro, quando risultino soddisfatti i
requisiti sostanziali per il rilascio di un tale permesso (effettivo
svolgimento di attivita’ autonoma, certificata opportunita' di lavoro
subordinato o prestazione di garanzia, e rispetto del limite stabilito dal
decreto di programmazione dei flussi).
In tal modo, il percorso di
ricerca di un’opportunita’ di lavoro stabile in Italia o di una
sponsorizzazione, oggi sostanzialmente costretto a restare nascosto
nell’illegalita’, potrebbe avvenire alla luce del sole e in
condizioni pienamente legali. E’ evidente come l’adozione della
prima di queste misure (istituzione delle liste) potrebbe considerarsi
superflua se venissero adottate le seconde (sull’utilizzazione e la
convertibilita’ del permesso di breve durata). Affinche’ queste
ultime non finiscano per favorire prolungamenti illegali del soggiorno o
produrre un aggravio di spesa associato al rimpatrio di soggetti per i quali il
rinnovo o la conversione del permesso non siano possibili, il rilascio di un
permesso di soggiorno di breve durata con facolta’ di accesso ad
attivita’ lavorativa e di successiva stabilizzazione potrebbe essere
condizionato al rilevamento di impronte digitali del titolare e al deposito del
biglietto di viaggio per l’eventuale rimpatrio. Non si tratterebbe di una
forma di discriminazione, ma, piuttosto, della stipula di un patto di
lealta’ tra il lavoratore straniero e lo Stato. Sottrarsi al rilevamento
delle impronte sarebbe sempre possibile per lo straniero entrato per breve
soggiorno, avendo come solo effetto la preclusione del percorso di prolungamento
e stabilizzazione del soggiorno descritto.
Un problema
specifico cui vanno incontro coloro che aspirino a entrare in Italia per
svolgere attivita’ non occasionale di lavoro autonomo e’
rappresentato dal requisito di disponibilita’ di un reddito non inferiore
al livello al di sotto del quale e’ prevista l’esenzione dalla
partecipazione alla spesa sanitaria (oggi, circa sedici milioni annui). Questa
previsione intende comprensibilmente evitare che siano alimentate
attivita’ imprenditoriali prive di rilevanza economica e tali da tradursi
in un aggravio per il sistema di sicurezza sociale. Tuttavia, se si tiene conto
del fatto che le prestazioni di servizi occasionali si configurano proprio come
attivita’ di lavoro autonomo, piuttosto che subordinato, e che e’
estremamente improbabile che, almeno nella fase di avvio, tali attivita’
possano dar luogo a redditi significativamente piu’ alti, si vede come
un’interpretazione restrittiva della disposizione in oggetto rischi di
precludere l’ingresso e il soggiorno di lavoratori che potrebbero trovare
un’utile collocazione nel mercato italiano. E’ opportuno allora che
si limiti all’importo annuo dell’assegno sociale l’ammontare
del reddito richiesto per il rilascio e il rinnovo del permesso di soggiorno
per lavoro autonomo (o per la conversione di altro permesso in un permesso per
lavoro autonomo), e che, corrispondentemente, si rivedano le disposizioni con
cui si determina il reddito presuntivo dei lavoratori autonomi che svolgono le
attivita’ in questione.
Il principale ostacolo al
ricongiungimento familiare e’ rappresentato oggi dalla disposizione in
base alla quale il richiedente deve dimostrare di disporre di un alloggio che
soddisfi i requisiti previsti dalle leggi regionali per l’edilizia
popolare. Tali requisiti sono, nei fatti, troppo stringenti, tanto da risultare
non soddisfatti dalle abitazioni di cui dispongono moltissime famiglie
italiane. La disposizione deve essere quindi corretta, tenendo conto del
prevalente diritto al ristabilimento dell’unita’ familiare.
La legge prevede che il
rilascio e il rinnovo del permesso di soggiorno debba essere concesso o negato
entro venti giorni dalla presentazione della domanda. Nei fatti, tale limite
risulta raramente rispettato dalla pubblica amministrazione. Ne consegue un
grave danno per lo straniero richiedente, che non puo’ godere, nelle more
del rilascio o del rinnovo, dei diritti associati al possesso del permesso.
Tale danno puo’ essere eliminato stabilendo che la ricevuta della
richiesta di rilascio o rinnovo del permesso e’ utilizzabile a tutti gli
effetti (in particolare per il reingresso in Italia in esenzione da visto) come
permesso di soggiorno, fino alla decisione dell’amministrazione sulla
richiesta.
In ottemperanza al dettato
della Convenzione OIL n. 143 del 24 giugno 1975, ratificata con legge 10 aprile
1981, n. 158, e’ previsto che il lavoratore subordinato che sia
licenziato o che si dimetta non perda, per cio’ stesso, il diritto a
soggiornare in Italia, ma abbia a disposizione almeno un ulteriore anno di
iscrizione nelle liste di collocamento che gli consenta di trovare una nuova
occupazione e di ottenere, conseguentemente, il rinnovo del permesso di
soggiorno. La legge tuttavia non specifica se di questo beneficio debba godere
anche il lavoratore che veda concludersi alla scadenza naturale un rapporto di
lavoro a tempo determinato, ne’ se il beneficio possa essere applicato
piu’ volte (alla conclusione di successivi rapporti di lavoro) per lo
stesso lavoratore. E’ necessario che entrambe le possibilita’ siano
previste esplicitamente. In mancanza di una esplicita previsione, infatti, nel
primo caso risulterebbe preclusa ogni possibilita’ di prolungamento del
soggiorno per i lavoratori che abbiano ottenuto, secondo quanto previsto dalla
legge, un permesso di soggiorno della durata del rapporto di lavoro a tempo
determinato; nel secondo caso, la preclusione scatterebbe alla conclusione del
secondo rapporto di lavoro.
La legge stabilisce che, prima di opporre un diniego alla richiesta di rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno, l’Amministrazione debba valutare se siano soddisfatti i requisiti per il rilascio di un permesso ad altro titolo o se siano intervenuti nuovi elementi meritevoli di considerazione ai fini del rilascio o del rinnovo richiesti. E’ opportuno completare queste disposizioni stabilendo che
a)
requisiti
sufficienti per la conversione in permesso per lavoro subordinato o per
inserimento nel mercato del lavoro sono, rispettivamente,
un’opportunita’ di assunzione da parte di un datore di lavoro o di
prestazione di garanzia da parte di uno sponsor che rientrino nelle quote
fissate dal decreto di programmazione dei flussi;
b)
tra
i “nuovi elementi” da considerare prima di negare un permesso di
soggiorno e’ da considerare l’esistenza di una frazione non
utilizzata delle quote fissate dal decreto di programmazione dei flussi.
La legge esclude dalla
possibilita’ di ottenere una carta di soggiorno lo straniero che abbia
subito condanne per i reati non colposi previsti dagli articoli 380 e 381 del
Codice di procedura penale. Alcuni di questi reati hanno, nei fatti, rilevanza
trascurabile (es.: danneggiamento aggravato). E’ opportuno che la norma
sia rivista, mantenendo l’esclusione solo nei casi di condanna a una pena
non inferiore a un certo limite.
La legge prevede che lo
studente, in presenza di una documentata opportunita’ di lavoro
subordinato, o quando sia in possesso dei requisiti per lo svolgimento di
attivita’ non occasionali di lavoro autonomo, possa convertire il
permesso di soggiorno per studio in un permesso per lavoro (subordinato o
autonomo), a condizione che la sua richiesta rientri nelle quote fissate dal
decreto di programmazione dei flussi. Non esistono, tuttavia, disposizioni atte
a stabilire un criterio di precedenza delle richieste di conversione del
permesso (per altro, scarsamente numerose) rispetto a quelle relative a nuovi
ingressi di lavoratori dall’estero. Non potendosi rinnovare il permesso
per motivi di studio una volta conseguito il titolo, ovvero oltre il terzo anno
fuori corso, lo studente rischia di non poter usufruire della conversione del
permesso e della conseguente stabilizzazione del soggiorno in Italia. E’
opportuno che le richieste di conversione di permessi di soggiorno per studio
in permessi per lavoro siano esaminate anche in soprannumero rispetto alle
quote fissate per gli ingressi dal decreto di programmazione dei flussi.
La normativa vigente prevede
che al minore non accompagnato per il quale debba essere assunta una decisione
in merito al suo eventuale rimpatrio sia rilasciato un permesso di soggiorno
“per minore eta’”. Si e’ stabilito, con circolare del
Ministero dell’interno, di non consentire lo svolgimento di
attivita’ lavorativa al titolare, ne’ la conversione del permesso,
al compimento della maggiore eta’, in un permesso per lavoro o per
studio.
E’ necessario, in primo
luogo, che sia usata la massima cautela riguardo al rimpatrio del minore,
facendo prevalere, nel rispetto della Convenzione sui diritti del fanciullo del
20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva ai sensi della legge 27 maggio
1991, n. 176, l’interesse del minore su qualunque altra esigenza. Nella
valutazione di tale interesse deve essere tenuta nella opportuna considerazione
la volonta’ del minore e della sua famiglia.
La procedura con cui si decide
riguardo al rimpatrio deve svolgersi, poi, in tempi rapidi, per evitare che il
minore resti per un lungo periodo in una condizione di incertezza riguardo al
proprio futuro immediato.
Infine, coerentemente con la
disposizione che parifica ai figli, ai fini del ricongiungimento familiare, i
minori sottoposti a tutela e alle disposizioni che escludono la
necessita’ di un affidamento formale per un minore accolto da un parente
entro il quarto grado, e’ opportuno che, anche nei casi in cui il minore
sia sottoposto a tutela o affidato, di fatto, a parenti entro il quarto grado,
questi riceva un permesso di soggiorno per motivi familiari, anche allo scopo
di evitare la proliferazione di permessi a titolo diverso, con conseguente
disparita’ di trattamento. In ogni caso, laddove non si proceda
all’effettivo rimpatrio del minore entro tre mesi, quale che sia il
titolo del permesso assegnatogli, il minore deve essere completamente
equiparato al coetaneo titolare di un permesso per motivi familiari o per
affidamento. Deve quindi avere la possibilita’ di accedere ad
attivita’ lavorativa e di formazione e di convertire il permesso di
soggiorno, al compimento della maggiore eta’, in un permesso per lavoro,
per inserimento nel mercato del lavoro o per studio.
Espulsione
Un efficace
contrasto delle forme di criminalita’ che si alimentano con lo sfruttamento
della condizione spesso precaria degli immigrati e’ reso problematico
dalla mimetizzazione che tali forme possono trovare in un contesto di diffusa
illegalita’ rispetto alle condizioni di soggiorno, del tutto priva, per
il resto, di rilevanza criminale. La stessa opinione pubblica, estremamente
sensibile al problema della sicurezza delle citta’, finisce per avvertire
come minaccioso il bacino di presenze irregolari, non per le attivita’
effettivamente svolte dagli immigrati clandestini (che’ per la maggior
parte si tratta di innocue attivita’ lavorative), ma per la confusione
dell’intero bacino con quella minoranza effettivamente dedita ad
attivita’ malavitose.
In generale,
tuttavia, e’ impensabile che si crei un’opportuna e netta
separazione tra l’immigrato clandestino impegnato a trovare inserimento
lecito nella societa’ e quello dedito ad attivita’ criminali, se il
primo e’ spinto in una condizione di irreversibile nascondimento dal
rischio di incorrere in sanzioni, quali l’espulsione obbligatoria in caso
di ingresso o soggiorno illegale e il connesso divieto di reingresso in Italia
(e nell’intera Area Schengen) per cinque anni, che vanificherebbero
completamente il suo progetto migratorio.
E’
opportuno che sia data maggior flessibilita’ alle norme di carattere
repressivo, con una graduazione delle sanzioni che consenta di diversificare
l’intervento a misura dell’entita’ della violazione di legge
che si vuol perseguire. Cosi’, ferme restando le disposizioni previste
per sanzionare i casi di concreta pericolosita’ sociale, e’
opportuno che, in assenza di tale pericolosita’, l’Autorita’
possa valutare, in relazione ad ogni specifico caso,
a)
se esistano ragioni per il rilascio di un permesso di soggiorno (per ragioni
umanitarie ovvero per il possesso “di fatto” dei requisiti
sostanziali di inserimento sociale);
b)
se il rimpatrio possa avvenire su base volontaria, entro un termine prefissato,
senza che si adottino divieti di reingresso;
c)
se si debba effettivamente procedere all’espulsione.
Nel primo
caso, dovrebbero essere considerate con particolare attenzione le condizioni di
inserimento lavorativo o familiare dello straniero, come pure le eventuali
opportunita’ di assunzione da parte di un datore di lavoro o di
prestazione di garanzia da parte di uno sponsor.
Nel secondo
caso, il rilevamento delle impronte digitali metterebbe lo Stato al riparo dal
rischio di un mancato rispetto, da parte dello straniero, dei termini fissati
per il rimpatrio.
In tutti i
casi di adozione del provvedimento di espulsione, salvi quelli in cui vi sia un
concreto e grave pericolo per la sicurezza dello Stato o per l’ordine
pubblico, e’ necessario poi che sia garantita la possibilita’ di un
effettivo controllo giurisdizionale prima che lo straniero sia stato allontanato
dal territorio dello Stato.
Infine
e’ opportuno che sia data dignita’ di legge alle norme contenute
nella Direttiva del Ministro dell’interno con cui si definisce la
“Carta dei diritti e dei doveri per il trattenimento della persona
ospitata nei centri di permanenza temporanea”, in particolare, con
riferimento al diritto di
a) effettuare
colloqui con organismi di tutela prima che la convalida dei provvedimenti di
trattenimento e di allontanamento abbia avuto luogo,
b) avvalersi
dell’assistenza di un difensore di fiducia e accedere al gratuito
patrocinio,
c) recuperare
effetti personali e risparmi,
d) avvertire
del trattenimento familiari e conoscenti,
e) preservare
l’unita’ familiare,
f) ricevere
visite.
Devono essere opportunamente
differenziate le misure di protezione sociale per chi si sottragga al
condizionamento di organizzazioni criminali. Nei casi di grave pericolo o di
collaborazione effettiva con la giustizia la misura deve avere carattere
premiale: non ci si puo’ limitare al rilascio di un permesso di soggiorno
di breve durata, rinnovabile e prorogabile con estrema difficolta’; si
deve piuttosto favorire un pieno inserimento sociale dell’interessato e
l’eventuale ricongiungimento facilitato, laddove vi sia rischio in patria
per l’incolumita’ dei familiari.
Quando manchino questi
presupposti, e la misura sia mirata a favorire un mero – ancorche’
positivo – allontanamento del beneficiario da percorsi connotati
negativamente, e’ opportuno che lo strumento non si trasformi in un
meccanismo di aggiramento delle norme sui flussi, e che quindi il permesso
rilasciato resti finalizzato a un successivo rimpatrio assistito.
In entrambi i casi, l'elemento
piu’ rilevante alla base della adozione della misura deve restare la necessita’,
per lo straniero, di sottrarsi a un condizionamento certamente dannoso. Non
puo’ quindi essere considerata conditio sine qua non l’esistenza di un
progetto di protezione attuato da uno dei soggetti iscritti nell’apposito
albo presso la Presidenza del Consiglio dei ministri. Il permesso deve
cioe’ essere rilasciato anche quando tale progetto non sia localmente
disponibile.
Nell’ambito della lotta
contro la tratta di esseri umani, poi, tenuto conto della difficolta’ di
dimostrare, in sede giudiziaria, crimini quali il favoreggiamento
dell’ingresso illegale finalizzato allo sfruttamento della prostituzione
o, addirittura, la riduzione in schiavitu’, e’ opportuno che si
introduca una specifica aggravante per il reato di favoreggiamento, a fini di
lucro, della permanenza illegale in relazione al caso di straniero destinato alla
prostituzione o allo sfruttamento di essa. Per lo stesso reato dovrebbe anche
essere previsto l’arresto facoltativo in flagranza.
Il processo di regolarizzazione
avviato con il D.P.C.M. del 16 ottobre 1998 non risulta ancora completato,
essendo sospesa la posizione di circa trentamila richiedenti. In mancanza di
qualunque aspetto di pericolosita’ sociale degli stranieri interessati
(si sarebbe altrimenti da molto tempo provveduto al loro allontanamento
dall’Italia), risulta del tutto innaturale il mancato rilascio di un
permesso di soggiorno. La presenza ufficiale di stranieri formalmente
autorizzati a permanere nel territorio dello Stato, ma privi di documenti che
consentano loro di fruire di un pacchetto di diritti basilari e’ del
tutto inaccettabile. Anche quando non si riesca a dare soluzione certa alla
questione se tali persone soddisfino i requisiti fissati a suo tempo per la
regolarizzazione, occorre che si proceda, coerentemente con quanto disposto
dalla legge, al rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari o per
gli altri motivi per i quali siano soddisfatti i requisiti.
La legge sulla cittadinanza
appare assolutamente inadeguata a tener conto delle novita’ introdotte,
nella societa’ italiana, dal fenomeno migratorio. In particolare,
e’ del tutto anacronistica l’assenza di qualunque forma di jus
soli, come
pure la previsione di un periodo di residenza legale di dieci anni quale condizione
necessaria per la naturalizzazione dello straniero.
Occorre riformare la normativa,
stabilendo, ad esempio,
a)
che
sia cittadino per nascita chi nasce in Italia da genitore straniero
regolarmente soggiornante da almeno cinque anni;
b)
che
il minore nato in Italia acquisti la cittadinanza al momento del suo
inserimento scolastico nella scuola dell’obbligo;
c)
che
possa essere concessa la cittadinanza allo straniero legalmente residente in
Italia da almeno cinque anni (anziche’ da dieci).
L’articolo 10 della
Costituzione italiana garantisce il diritto d’asilo, secondo le
condizioni stabilite dalla Legge, allo straniero al quale sia impedito, nel
proprio paese, l’effettivo esercizio delle liberta’ garantite dalla
Costituzione stessa. La normativa in vigore (articolo 1 della legge 39/1990) si
limita a disciplinare, molto sommariamente, il riconoscimento dello status di
rifugiato secondo la Convenzione di Ginevra del 1951. La giurisprudenza ha
riconosciuto come il novero dei beneficiari del diritto d’asilo garantito
dallo Costituzione sia piu’ ampio di quello di coloro che rientrano nella
definizione di rifugiato data dalla Convenzione. Ha riconosciuto,
altresi’, come la norma costituzionale non necessiti, per la sua
applicazione, di una legge attuativa, e come il riconoscimento del diritto
d’asilo costituzionale sia di competenza del giudice ordinario. E’
necessario, tuttavia, il varo di una legge che, ferme restando queste
distinzioni, aggiorni le procedure per il riconoscimento dello status di
rifugiato (ex-Convenzione), stabilisca quelle per il riconoscimento del diritto
costituzionale e definisca, nel modo piu’ uniforme possibile, il
contenuto concreto del diritto d’asilo.
Mentre per la procedura di
riconoscimento dello status di rifugiato e’ opportuno che si tenga in
considerazione il processo di progressiva armonizzazione, in ambito europeo,
avviato con l’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, il
riconoscimento del diritto d’asilo costituzionale (per i casi che esulino
dalle previsioni della Convenzione), di competenza del giudice ordinario, non
necessita della definizione accurata di una specifica procedura. E’
necessario pero’ che si stabilisca esplicitamente, estendendo il
principio di non refoulement garantito dalla Convenzione di Ginevra, che lo
straniero che abbia presentato richiesta di riconoscimento del diritto
d’asilo al giudice non possa essere allontanato dal territorio dello
Stato senza il preventivo nulla-osta del giudice stesso. E’ opportuno poi
che a tale straniero siano applicate le misure di assistenza previste per il
richiedente asilo ex-Convenzione e che, ove gli sia riconosciuto il diritto
d’asilo costituzionale, goda degli stessi diritti del rifugiato (con
l’eccezione del diritto di ottenere lo specifico documento di viaggio
previsto dalla Convenzione di Ginevra).
E’ necessario che la
Commissione per il riconoscimento dello status di rifugiato sia costituita da
personale qualificato ed operi in piena autonomia e con indipendenza di
giudizio e di valutazione. I membri della Commissione devono essere collocati
fuori ruolo per il periodo di durata della carica e non devono poter accedere,
per lo stesso periodo, a cariche elettive.
La Commissione deve essere
strutturata in modo da rispondere efficacemente e rapidamente alla domanda di
protezione avanzata dai profughi che giungano in Italia. A questo scopo
puo’ essere prevista la creazione di una diramazione periferica della
struttura o la dislocazione occasionale, in caso di afflussi rilevanti e
concentrati, di una sua sezione centrale. In ogni caso, deve essere garantita
la qualita’ della formazione e dell’aggiornamento dei membri, come
pure la partecipazione, con compiti consultivi, alle sedute della Commissione e
delle sue sezioni (o diramazioni periferiche) di un rappresentante
dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati.
Pre-esame delle domande
E’ possibile, per evitare
che la presentazione di una domanda d’asilo costituisca un meccanismo di
aggiramento delle norme sull’immigrazione, definire una procedura di
pre-esame della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato. Tale
pre-esame, effettuato da un delegato qualificato della Commissione, deve essere
orientato all’individuazione delle domande inammissibili ovvero
manifestamente infondate.
In accordo con le definizioni
adottate nella recente “Proposta di direttiva sugli standard minimi delle
procedure per il riconoscimento e la revoca dello status di rifugiato”
(presentata dalla Commissione europea), una domanda sara’ considerata
inammissibile se il richiedente proviene da un paese che gli garantisce
protezione dal rischio di persecuzione, o che e’ disposto a riammetterlo
sul proprio territorio e ad esaminare la richiesta di protezione in condizioni
di sicurezza. La domanda sara’ invece considerata manifestamente
infondata se le ragioni addotte a sostegno della richiesta non hanno alcuna
correlazione con quelle alla base del diritto d’asilo; se una richiesta
d’asilo da parte dello stesso straniero e’ stata gia’
respinta e nessun fatto nuovo viene presentato a sostegno della nuova
richiesta; se la richiesta e’ avanzata, senza validi motivi,
successivamente alla convalida da parte del magistrato di un provvedimento di
espulsione o alla scadenza dei termini per la presentazione del ricorso avverso
lo stesso provvedimento; se l’identita’ del richiedente risulta
fraudolentemente contraffatta.
Qualora una domanda sia
considerata inammissibile, il richiedente puo’ essere inviato nel paese
disposto ad accordargli protezione ovvero a esaminare la sua richiesta di
protezione. Deve essere in ogni caso garantito il rispetto del principio di non
refoulement,
anche rispetto alla possibilita’ di esito negativo dell’esame, nel
paese di invio, della richiesta di protezione. Nei casi in cui non si possa
procedere all’invio nel paese terzo entro un tempo brevissimo (es.: dieci
giorni), il richiedente dovra’ essere ammesso provvisoriamente nel territorio
dello Stato per un tempo predeterminato. Trascorso tale tempo senza che sia
stato possibile l’invio del richiedente nel paese terzo in condizioni di
sicurezza, lo Stato italiano dovra’ esaminare la sua richiesta di asilo.
Quando la domanda sia
considerata manifestamente infondata, il richiedente deve avere la
possibilita’ di far riesaminare la decisione dal giudice ordinario prima
che si proceda al suo eventuale allontanamento dal territorio dello Stato. Si
puo’ dar luogo, in questi casi, al trattenimento del richiedente fino a
decisione del giudice (prevedendo, corrispondentemente, un tempo definito per
l’assunzione di tale decisione).
Possono essere stabilite per
legge eccezioni all’effetto sospensivo del ricorso sul provvedimento di
allontanamento. In questo caso, pero’, in accordo con i contenuti della
citata “Proposta di direttiva” della Commissione europea, il
richiedente deve avere la possibilita’ di chiedere il differimento
dell’allontanamento fino alla decisione del giudice. L’adozione,
anche in questi casi di eccezione, di un provvedimento di trattenimento, con
conseguente convalida da parte del giudice, consente di individuare proprio nel
giudice della convalida l’autorita’ preposta alla decisione sulla
richiesta di differimento presentata dallo straniero.
Resta impregiudicata, per lo
straniero, la possibilita’ di presentare richiesta di riconoscimento del
diritto d’asilo costituzionale. L’allontanamento dello straniero
dal territorio dello Stato deve, in questo caso, come gia’ detto, essere
condizionato al consenso del giudice.
Resta altresi’
impregiudicata la possibilita’, per lo straniero la cui domanda sia stata
considerata inammissibile o manifestamente infondata, di accedere alle misure
di protezione complementare previste in caso di impossibilita’ temporanea
di allontanamento (vedi sotto).
Assistenza del richiedente
asilo e accesso al lavoro
Uno dei problemi principali
derivati, in questi anni, dal mancato aggiornamento di una normativa, in
materia di asilo, non piu’ adeguata agli odierni fenomeni di migrazione
forzata, e’ costituito dalle limitatissime misure di assistenza previste
per i richiedenti asilo. Il contributo di cui puo’ fruire oggi il
richiedente asilo e’ infatti assai limitato, sia quanto a importo
giornaliero (34000 lire), sia quanto a durata dell’erogazione
(quarantacinque giorni). Non e’ prevista, inoltre, dalla normativa
vigente, la possibilita’, per il richiedente, di svolgere attivita’
lavorativa o di studio.
E’ necessario che questa
lacuna sia colmata, prevedendo una copertura assistenziale, per il richiedente
che ne abbia bisogno, per tutta la durata della procedura di esame della
domanda (ricorsi inclusi), come pure la possibilita’ di accesso ad
attivita’ di lavoro subordinato o autonomo o di studio quando la durata della
procedura (ricorsi inclusi) ecceda un limite prefissato.
E’ da osservare come la
definizione di una procedura di pre-esame dissuada da un ricorso massiccio e
abusivo alla presentazione di domande di asilo, e preservi dal rischio che
l’accesso del richiedente asilo a forme di assistenza o ad
attivita’ lavorativa comporti, nei fatti, un aggiramento delle norme
sulla programmazione dei flussi migratori.
Nei casi in cui la richiesta di
riconoscimento dello status di rifugiato (o del diritto d’asilo
costituzionale) sia respinta, deve essere verificato, prima di procedere
all’eventuale allontanamento del richiedente dal territorio dello Stato,
che tale allontanamento non ne metta a rischio l’incolumita’ o il godimento
dei diritti fondamentali. Laddove un tale rischio sussista, e’ necessario
che allo straniero sia accordata una forma di protezione temporanea,
complementare a quella prevista in relazione al diritto d’asilo. Tale
protezione dovrebbe consistere nella concessione di un permesso di soggiorno
per “asilo umanitario” della durata di un anno, rinnovabile
finche’ perdura la condizione di impossibilita’ di allontanamento,
con facolta’, per il titolare, di svolgere attivita’ di lavoro
subordinato o autonomo o di studio. Trascorso il periodo previsto dalla legge
(cinque anni), il titolare dovrebbe poter accedere al rilascio di una carta di
soggiorno.
Il richiedente asilo deve avere
inoltre la possibilita’ di impugnare davanti all’autorita’
giudiziaria una decisione sfavorevole sulla domanda da lui presentata. La
presentazione di un ricorso sospende l’eventuale provvedimento di
allontanamento dal territorio dello Stato e comporta la proroga del permesso di
soggiorno per richiesta di asilo.
Diritti del rifugiato
I diritti di cui gode il
rifugiato sono regolati dalle disposizioni piu’ favorevoli tra quelle
previste dall’ordinamento nazionale per gli stranieri. Il rifugiato
dovra’ quindi essere equiparato al titolare di carta di soggiorno per
quanto riguarda accesso a lavoro, formazione e studio, e fruizione delle misure
di assistenza e previdenza. In considerazione della sua particolare condizione,
potra’ poi essere equiparato al cittadino italiano per quanto riguarda
l’accesso al pubblico impiego. La legge vigente prevede gia’ che ai
fini del ricongiungimento familiare il rifugiato goda di particolari
facilitazioni (esonero dalla dimostrazione di requisiti di reddito e alloggio,
possibilita’ di coesione familiare sul posto anche per i familiari
irregolarmente soggiornanti in Italia). E’ opportuno che per il rifugiato
sia allargato il novero dei familiari per i quali e’ possibile chiedere
il ricongiungimento (es.: figli maggiorenni, fratelli, etc.). E’
opportuno, infine, prevedere procedure semplificate per il rilascio del visto
di ingresso per ricongiungimento familiare, ovvero per visita, ai familiari o,
rispettivamente, al convivente more uxorio del rifugiato. Ciascuno di essi potra’
poi accedere, in Italia, alla procedura di riconoscimento dello status di
rifugiato sulla base del vincolo stabilito col rifugiato gia’
riconosciuto; l’esame di tali domande potra’ essere condotto con
procedura semplificata.
Durante i primi cinque anni dal
riconoscimento dello status di rifugiato la Commissione puo’ esaminare se
permangano le condizioni che hanno determinato il riconoscimento dello status.
Qualora tali condizioni siano venute meno o quando sia verificata una delle
clausole di cessazione dello status di rifugiato previste dalla Convenzione di
Ginevra, la Commissione dichiara cessato il diritto d’asilo. Lo straniero
ha il diritto di impugnare davanti all’autorita’ giudiziaria la
decisione di cessazione. La presentazione del ricorso sospende
l’eventuale allontanamento dello straniero e comporta il mantenimento dello
status fino alla decisione sul risorso stesso. In ogni caso, lo straniero
puo’ convertire il permesso di soggiorno per asilo in altro permesso per
il quale possegga i requisiti, ovvero, se e’ in possesso di carta di
soggiorno, conservarne la titolarita’.
Trascorsi cinque anni dal
riconoscimento del diritto d’asilo, allo straniero e’ rilasciata
una carta di soggiorno; si prescinde dagli usuali requisiti previsti dalla
legge.