“I
minori stranieri
non
accompagnati e irregolari ,
tra
accoglienza in Italia
e
rimpatrio”
Aspetti
giuridici
A cura di Elena Rozzi
Torino, giugno 2000
(aggiornato a marzo 2001)
ASGI - Associazione
per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione
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INDICE
Introduzione
e “guida” alla lettura
........................................................................…….…….... p. 3
Fonti
normative ed altre disposizioni analizzate ......................................................….…….... p. 5
I Parte:
Aspetti procedurali:
...................................................................................…….…….... p. 7
La definizione di minore straniero non accompagnato
..............………….................................. p. 8
La segnalazione del minore straniero non accompagnato .............................……….................. p. 11
Le indagini sull'identità e sulla situazione in Italia e nel
Paese d’origine ................………....... p.
18
La protezione del minore straniero nel sistema italiano di diritto
internazionale privato ……... p.
24
Affidamento, tutela e altri provvedimenti di protezione del minore sul
territorio italiano…...... p. 30
La scelta tra accoglienza e rimpatrio, l’adozione del
provvedimento di rimpatrio
e la sua esecuzione ......................................................................................…………................. p.
46
Il permesso di soggiorno
.......................................................................…………....................... p. 62
Il diritto alla salute e all’istruzione ...................................…………........................................... p. 87
L’espulsione e il respingimento
...................…………................................................................ p. 93
Il Comitato per i minori stranieri
...................………................................................................ p.
97
II Parte: Aspetti di merito:
Qualche riflessione sui criteri di scelta tra accoglienza in Italia e rimpatrio…………………... p. 100
Appendice: .......................................................................…………….......................................... p.
117
Indice
...............................................................................................……………......................... p.
118
Articoli e interventi a seminari e convegni
.........................................…………......................... p. 120
Altri documenti
.............................................................................…………............................... p. 138
Giurisprudenza ..................................................................................................…………........... p. 163
Breve bibliografia sul tema dei minori stranieri non accompagnati
.………............................... p. 175
INTRODUZIONE E “GUIDA” ALLA LETTURA
Questo dossier nasce con l’obiettivo di
cercare risposta ad alcune domande sulla questione dei minori stranieri non
accompagnati, in un momento di transizione e di forte incertezza che deriva
dall’entrata in vigore di nuovi strumenti normativi (la legge 40/98, il
dlgs. 113/99, la legge 476/98, i relativi regolamenti di attuazione ...) in un
periodo di tempo molto breve e spesso in modo incoerente e disorganico.
A tal fine, abbiamo cercato di raccogliere le
diverse disposizioni aventi rilevanza in materia di minori stranieri non
accompagnati e irregolari, disposizioni che si trovano disperse in una serie di
leggi, regolamenti, Convenzioni, appartenenti in parte alla normativa sui
minori e in parte alla normativa sugli stranieri.
Nella definizione di “minori non
accompagnati” abbiamo compreso tutti i minori non accompagnati dai
genitori (o altri esercenti la potestà genitoriale), e quindi anche
quelli accompagnati da parenti entro il quarto grado.
Sono state escluse, invece, le disposizioni
che riguardavano specificatamente a) i minori richiedenti asilo o protezione
umanitaria (per i quali sono previste specifiche garanzie); b) la sottrazione
internazionale di minori; c) l’ingresso regolare di minori
nell’ambito di programmi solidaristici di accoglienza temporanea; d)
l’adozione; e) le o i minorenni vittime della tratta.
La fattispecie cui si fa riferimento è
dunque quella del minore straniero non accompagnato dai genitori ed
irregolarmente presente sul territorio italiano, non richiedente asilo o
protezione umanitaria, ed emigrato con il sostanziale consenso degli esercenti
la potestà genitoriale o comunque senza essere stato sottratto contro la
loro volontà.
Le disposizioni così selezionate sono
quindi state suddivise in base ad alcune problematiche come ad esempio: a chi
deve essere segnalato il minore? Chi è competente a disporre il provvedimento di rimpatrio? A che tipo di permesso di soggiorno ha
diritto il minore? ...
Infine, per ciascuna problematica (la
segnalazione del minore; le competenze e le procedure relative al provvedimento
di rimpatrio; il permesso di soggiorno ecc.) sono state analizzate le
disposizioni precedentemente selezionate e si è tentato di fornire alcune
risposte - ove la normativa era chiara - ovvero di porre in evidenza le
contraddizioni, le lacune, le ambiguità.
Il dossier è suddiviso in base a queste
diverse problematiche, e per ciascuna “sezione” vi è una
prima parte di analisi e commento e una seconda parte in cui sono riportati gli
articoli delle diverse fonti normative ed altre disposizioni che risultano
rilevanti per la specifica problematica in oggetto (e sui quali si fondano
l’analisi e il commento della prima parte).
Naturalmente, molti articoli sono ripetuti in
diverse sezioni, in quanto risultano rilevanti per diverse problematiche.
Anche sulle questioni più delicate
(come ad esempio i criteri per decidere se sia nell’interesse del minore
restare sul territorio italiano ovvero essere rimpatriato) si è tentato
di condurre l’analisi e il commento solo basandosi sulle norme vigenti e
non invece da un punto di vista puramente etico-politico; ovvero - si potrebbe
forse dire - basandosi sulle norme e sulla visione etico-politica di cui quelle norme sono
espressione.
Né tanto meno abbiamo
“scelto” le disposizioni che potevano confermare dei nostri
convincimenti, tralasciandone altre che andassero invece in senso contrario:
abbiamo cercato, cioè, di essere il più possibile oggettivi e neutrali.
Molte delle domande che ci eravamo posti,
tuttavia, sono rimaste senza risposta, in quanto le norme sono assai spesso
lacunose e/o contraddittorie.
Per fare fronte a tale incertezza sarà
necessario, in attesa di un intervento legislativo chiarificatore, che su
alcune questioni fondamentali si giunga ad un accordo tra i soggetti a diverso
titolo coinvolti nella questione dei minori stranieri non accompagnati.
Senza alcuna pretesa di esaustività o
completezza, consapevoli che alcune interpretazioni proposte potranno essere
discutibili e senza volere insegnare niente a nessuno, ci limitiamo a sperare
che questo dossier possa essere un utile strumento di lavoro.
********
Prima di iniziare la trattazione delle singole
questioni, vorremmo concludere questa breve introduzione con un importante
documento dell’Associazione italiana dei magistrati per i minorenni e la
famiglia, che mostra come il problema di una “legislazione più
accogliente” per i minori stranieri non accompagnati sia sentito in
quella parte della Magistratura più sensibile ai problemi dei minorenni.
"II Consiglio direttivo dell'Associazione italiana dei magistrati
per i minorenni e la famiglia,
preso atto dell’estrema difficoltà dell'intervento
giuridico relativo ai minori stranieri non accompagnati, che dà origine
a prassi molto differenziate da parte dei tribunali per i minorenni, dei
giudici tutelari e della pubblica amministrazione;
considerato che nell'approccio al problema dei minori stranieri che si
trovano per qualsiasi cause in Italia appare necessario sempre porsi, come deve
avvenire per ogni minore, con un atteggiamento di accoglienza e di
attenzione ai concreti bisogni di ciascuno;
pur prendendo atto della positiva previsione della concessione ai
minori stranieri del permesso di soggiorno per minore età, salvo
l'iscrizione del minore di anni quattordici nel permesso di soggiorno del
genitore o dell'affidatario straniero regolarmente soggiornanti in Italia (art.
28 regolamento del t.u. 25 luglio 1998, n. 286 sugli stranieri)
esprime
la propria preoccupazione in ordine alle seguenti questioni:
a) C'e una molteplicità di norme attinenti alla materia, alcune
delle quali si sono in tempi recenti giustapposte l'una all'altra senza alcun
coordinamento e ponendosi, anzi, piu volte l'una in contrasto con l'altra.
In particolare, mentre la disciplina dettata dalla legge 4 maggio 1983 n. 184,
come modificata dalla legge 31 dicembre 1998 n. 476 di riforma dell'adozione
internazionale, esprime una scelta di piena tutela giurisdizionale
prevedendo nell'art. 33, comma 5 che, qualora sia comunque avvenuto
l'ingresso di un minore nel territorio dello Stato al di fuori delle situazioni
consentite, va data notizia al tribunale per i minorenni che valutata la
situazione può scegliere fra provvedimenti di protezione qualora ne
sussistano i presupposti ovvero un rimpatrio assistito, e nell'art. 37‑bis
che al minore straniero in stato di abbandono si applichino tutti gli istituti
di tutela disciplinati per il minore italiano, contraddittoriamente con
l'art. 5 del d.lvo 13 aprile 1999, n. 113 si è attribuito esclusivamente
al Comitato per i minori stranieri il potere di stabilire le modalità di
accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, del rimpatrio assistito
e del loro ricongiungimento con la famiglia di origine, senza indicazione
dei criteri per tale attività.
b) Con ciò si crea una sovrapposizione fra organi giudiziari e
autorità amministrative, oltretutto rendendo possibili prassi
differenziate che vanno ad incidere sui diritti soggettivi della persona
minore, espressamente tutelati dalle convenzioni internazionali.
c) Ci poniamo inoltre la domanda se non sussista un profilo di
incostituzionalità nel fatto che con il predetto art. 5 del d.lvo
n. 113/1999 sia stata dettata una normativa al di fuori della delega prevista
dall'art. 47, comma 2, legge n. 40/1998, contraddicendo inoltre la
disciplina chiarissima che il Parlamento aveva dettato introducendo nella legge
n. 184/1983 in materia di adozione internazionale l'art. 33, comma 5, e 1'art.
37‑bis;
manda
pertanto al Comitato di presidenza di manifestare queste preoccupazioni
al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la solidarietà
sociale e al Ministro della giustizia, esprimendo la convinzione che
debbano essere predisposti sollecitamente strumenti normativi che
consentano ai giudici e alle pubbliche amministrazioni di operare con
chiarezza in una materia così complessa e delicata".
(Mozione votata dal Consiglio direttivo dell'Associazione italiana dei
magistrati per i minorenni e la famiglia nella riunione del 26‑27
novembre 1999, e pubblicata in Minorigiustizia, 1999, n. 4)
FONTI
NORMATIVE ED ALTRE DISPOSIZIONI ANALIZZATE
Sono state prese in considerazione in
particolare le seguenti fonti normative ed altre disposizioni*:
1) Convenzioni
internazionali e Risoluzioni europee:
· Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a
New York, il 20 novembre 1989 (resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio
1991, n. 176);
· Convenzione concernente la competenza delle
autorità e la legge applicabile in materia di protezione dei minori,
fatta a L’Aja, il 5 ottobre 1961 (resa esecutiva in Italia con legge 24
ottobre 1980, n. 742);
· Convenzione europea relativa al rimpatrio dei
minori, fatta a L’Aja, il 28 maggio 1970 (resa esecutiva in Italia con
legge 30 giugno 1975, n. 396; internazionalmente non in vigore);
· Risoluzione del Consiglio dell’Unione
Europea 26 giugno 1997 sui minori non accompagnati, cittadini di paesi terzi;
2) Leggi e
Decreti Legislativi:
· Codice Civile, Libro Primo, Titolo IX
“Della potestà dei genitori”, Titolo X “Della tutela e
dell’emancipazione”, Titolo XI “Dell’affiliazione e
dell’affidamento”;
· Legge 4 maggio 1983, n. 184 “Disciplina
dell'adozione e dell'affidamento dei minori”;
· Legge 31 dicembre 1998, n. 476 “Ratifica
ed esecuzione della Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in
materia di adozione internazionale, fatta a L’Aja il 29 maggio 1993.
Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, in tema di adozione di minori
stranieri”;
· Legge “Modifiche alla legge 4 maggio
1983, n. 184, recante “Disciplina dell’adozione e
dell’affidamento dei minori” nonché al titolo VIII del libro
primo del codice civile” approvata in via definitiva dal Senato della
Repubblica il 1 marzo 2001, non ancora promulgata: è stata citata
soltanto in relazione agli artt. 1 e 2; la legge 184/83 citata nel testo
è quindi precedente l’ultima legge di modifica;
· Legge 31 maggio 1995, n. 218 “Riforma
del sistema italiano di diritto internazionale privato”;
· Legge 15 gennaio 1994, n. 64 “Ratifica
ed esecuzione della convenzione europea sul riconoscimento e l'esecuzione delle
decisioni in materia di affidamento dei minori e di ristabilimento
dell'affidamento, aperta alla firma a Lussemburgo il 20 maggio 1980, e della convenzione
sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori, aperta alla
firma a L'Aja il 25 ottobre 1980; norme di attuazione delle predette
convenzioni, nonché della convenzione in materia di protezione dei
minori, aperta alla firma a L'Aja il 5 ottobre 1961, e della convenzione in
materia di rimpatrio dei minori, aperta alla firma a L'Aja il 28 maggio
1970”;
· Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286
“Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina
dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”;
· Decreto Legislativo 13 aprile 1999, n. 113
“Disposizioni correttive al testo unico delle disposizioni concernenti la
disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma
dell'articolo 47, comma 2, della legge 6 marzo 1998, n. 40";
3)
Regolamenti e altri decreti:
· Decreto del Presidente della Repubblica 1
dicembre 1999, n. 492 “Regolamento recante norme per la costituzione,
l'organizzazione e il funzionamento della Commissione per le adozioni
internazionali, a norma dell'articolo 7, commi 1 e 2, della legge 31 dicembre
1998, n. 476”;
· Decreto del Presidente della Repubblica 31
agosto 1999, n. 394 “Regolamento recante norme di attuazione del testo
unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e
norme sulla condizione dello straniero a norma dell’articolo 1, comma 6
del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286”;
· Decreto del Presidente del Consiglio dei
Ministri 9 dicembre 1999, n. 535 “Regolamento concernente i compiti del
Comitato per i minori stranieri, a norma dell'articolo 33, commi 2 e 2-bis, del
decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286”;
· “Piano nazionale di azioni e di
interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età
evolutiva 2000-2001” (legge 415/97) – Testo approvato con Decreto
del Presidente della Repubblica 13 giugno 2000;
· Ministero degli Affari Esteri – Decreto
Interministeriale 12 luglio 2000 “Definizione delle tipologie dei visti
d’ingresso e dei requisiti per il loro ottenimento”.
4)
Circolari:
· circolare telegrafica del Ministero
dell'Interno 20.6.1998 “Presenza in Italia di minori stranieri non
accompagnati di nazionalità albanese. Questioni connesse al
rimpatrio”;
· circolare della Presidenza del Consiglio dei
Ministri - Dipartimento Affari Sociali - Comitato per i minori stranieri
8.7.1998 “Minori albanesi non accompagnati”;
· circolare del Ministero dell’Interno del
26.4.1999 “Rilascio visti per il ricongiungimento familiare in favore di
minori affidati”
· circolare del Ministero dell’Interno
23.12.1999 “D.P.R. 31 agosto 1999 - Regolamento di attuazione del testo
unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e
norme sulla condizione dello straniero”;
· circolare del Ministero della Sanità
24.3.2000, n. 5 “D. Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 Testo unico delle
disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla
condizione dello straniero - Disposizioni in materia di assistenza sanitaria;
· circolare del Ministero dell’Interno
14.4.2000 “Comitato per i minori stranieri”;
· Presidenza del Consiglio dei Ministri –
Dipartimento per gli Affari Sociali – Comitato per i minori stranieri
– Osservazioni del Presidente. Testo approvato dal Comitato per i minori
stranieri nella riunione del 2 maggio 2000;
· circolare del Ministero dell’Interno
13.11.2000, “Permessi di soggiorno per minore età, rilasciati ai sensi dell’art. 28,
comma 1 lettera a) del D.P.R. 394/99”;
· Presidenza del Consiglio dei Ministri –
Dipartimento per gli Affari Sociali – Comitato per i minori stranieri
– Minori stranieri non accompagnati - Linee Guida deliberate nella
riunione dell’11 gennaio 2001.
[Circolari precedenti
l’entrata in vigore del T.U. 286/98, non più valide, ma comunque
citate in una "prospettiva storica":
· circolare del Ministero dell’Interno
20.7.1993, n. 32 “Minori stranieri privi di permesso di soggiorno in
stato di abbandono in Italia”;
· circolare del Ministero del Lavoro e della
Previdenza Sociale 16.6.1994, n. 67 “Minori extracomunitari in stato di
abbandono in Italia – Accesso all’impiego”;
· circolare del Ministero del Lavoro e della
Previdenza Sociale 19.9.1995 “Minori extracomunitari in stato di
abbandono in Italia – Accesso all’impiego”;
· circolare del Ministero dell’Interno
23.9.1995, n. 29 “Minori extracomunitari in stato di abbandono in Italia
– Accesso all’impiego”]
Purtroppo non è stato possibile
ottenere copia della Convenzione tra il Servizio Sociale Internazionale e il
Dipartimento per gli Affari Sociali. Le uniche informazioni a nostra
disposizione sono dunque quelle riportate nella nota informativa redatta dal
Servizio Sociale Internazionale stesso, che riportiamo in appendice.
Un’ultima notazione concerne la
Convenzione dell’Aja del 1970 sul rimpatrio e le relative norme di attuazione
dettate dalla legge 64/94: benchè tale Convenzione ad oggi non sia
internazionalmente in vigore, abbiamo deciso comunque di citarne alcune
disposizioni in quanto possono fornire utili indicazioni sul modo in cui si
è cercato di regolare a livello internazionale l’istituto del
rimpatrio.
PARTE I:
ASPETTI PROCEDURALI
LA DEFINIZIONE DI MINORE STRANIERO NON ACCOMPAGNATO
Preliminarmente alle altre questioni,
andrà chiarita la definizione di “minore straniero non
accompagnato” e quindi quali minori rientrino in tale definizione.
Il Regolamento del Comitato per i minori
stranieri stabilisce (riprendendo sostanzialmente la definizione della
Risoluzione del Consiglio dell’Unione Europea del 26.6.97) che per minore
straniero non accompagnato si intende “il minorenne non avente
cittadinanza italiana o di altri Stati dell'Unione europea che, non avendo
presentato domanda di asilo, si trova per qualsiasi causa nel territorio dello
Stato privo di assistenza e rappresentanza da parte dei genitori o di altri
adulti per lui legalmente responsabili in base alle leggi vigenti
nell'ordinamento italiano”.
E’ chiaro che la definizione di minore
non accompagnato non coincide con quella di “minore in stato di
abbandono”: vi potranno essere, cioè, minori non accompagnati che
non si trovano però in stato di abbandono, in quanto sono accolti da
adulti idonei a provvedervi; così come naturalmente potranno esservi
minori accompagnati dai genitori che si trovano in stato di abbandono morale e
materiale.
Sottolineiamo inoltre che, ove il minore
presenti domanda di asilo, la competenza non sarà più del
Comitato per i minori stranieri, ma della Commissione centrale per il
riconoscimento dello status di rifugiato.
Alcuni aspetti restano però da
chiarire:
1) Riguardo alla definizione di “non
accompagnato”, dovrà essere chiarito se il minore affidato di
fatto (in assenza di un provvedimento formale di affidamento o tutela) ad un
parente entro il quarto grado idoneo a provvedervi sia da considerarsi
“minore non accompagnato”, in quanto si trova in Italia
“privo di rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per lui
legalmente responsabili in base alle leggi vigenti nell'ordinamento
italiano”; o se, al contrario, debba escludersi da tale definizione in
quanto legittimamente affidato dai genitori nell’ambito del gruppo
parentale.
Il primo Presidente del Comitato per i minori
stranieri, prof. Vercellone, ha sostenuto un’interpretazione che
includeva i minori affidati di fatto parenti entro il quarto grado nella
definizione di “minore non accompagnato”[1].
2) Rispetto alla definizione di
“minore”, dovrà chiarirsi se essa debba basarsi sulla
legislazione italiana o sulla legislazione dello Stato di nazionalità
del minore.
La legge di riforma del sistema italiano di
diritto internazionale privato 218/95 stabilisce infatti all’art. 42 che
la protezione del minore è regolata dalla Convenzione de L’Aja del
1961 e che tale Convenzione si applica anche ai cittadini stranieri considerati
minorenni solo dalla legge nazionale dello Stato di cui hanno la cittadinanza.
Tale estensione della protezione del minore
anche oltre i 18 anni, ove la sua legge nazionale ponga il raggiungimento della
maggiore età oltre il compimento del diciottesimo anno, deve essere
applicata anche nei procedimenti in cui si decide sul suo interesse a restare
in Italia o ad essere rimpatriato?
3) In relazione, infine, alla presentazione
della domanda di asilo, non è chiaro se, in caso di rigetto della
domanda da parte della Commissione centrale per il riconoscimento dello status
di rifugiato, la competenza passi al Comitato per i minori stranieri.
Fonti normative ed altre disposizioni relative a
“La definizione di minore straniero non accompagnato”
Regolamento del Comitato per i minori
stranieri
art. 1, co. 2
2. Per "minore straniero non accompagnato
presente nel territorio dello Stato", di seguito denominato "minore
presente non accompagnato", s'intende il minorenne non avente cittadinanza
italiana o di altri Stati dell'Unione europea che, non avendo presentato
domanda di asilo, si trova per qualsiasi causa nel territorio dello Stato privo
di assistenza e rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per lui
legalmente responsabili in base alle leggi vigenti nell'ordinamento italiano.
Risoluzione del Consiglio dell’Unione
Europea 26.6.97
art. 1, co. 1
1. La presente risoluzione si applica ai
cittadini di paesi terzi di età inferiore ai 18 anni che giungono nel
territorio degli Stati membri non accompagnati da un adulto per essi
responsabile in base alla legge o alla consuetudine e fino a quando non ne
assuma effettivamente la custodia un adulto per essi responsabile.
La presente risoluzione è parimenti
applicabile ai minori, cittadini di paesi terzi, rimasti senza accompagnamento
successivamente al loro ingresso nel territorio degli Stati membri.
Le persone contemplate al primo e secondo
comma sono in appresso denominate “minori non accompagnati”.
Legge 218/95
Art. 42 Giurisdizione e legge applicabile in materia
di protezione dei minori
1. La protezione dei minori è in ogni caso
regolata dalla Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961, sulla competenza
delle autorità e sulla legge applicabile in materia di protezione dei
minori, resa esecutiva con la L. 24 ottobre 1980, n. 742.
2. Le disposizioni della Convenzione si
applicano anche alle persone considerate minori soltanto dalla loro legge
nazionale, nonché alle persone la cui residenza abituale non si trova in
uno degli Stati contraenti.
Comitato per i minori stranieri -
Osservazioni del Presidente - 2 maggio 2000
[…] La categoria dei minorenni in stato di abbandono in Italia
(art. 33 c.5 1.a) non coincide con quella dei minorenni stranieri non
accompagnati.
Si può avere uno stato di abbandono ex art. 8 l.adoz. anche se in Italia ci sono i
genitori, che qui per ipotesi lo lasciano senza assistenza morale e materiale
(lo abbandonano in senso stretto, pur vivendo ancora in Italia, lo maltrattano,
lo sfruttano, etc.)
Si può avere un minore straniero non accompagnato che non sia in
stato di abbandono, ad esempio perché il bambino o ragazzo sia giunto
qui senza il permesso dei genitori (fuggito di casa, rapito) o autorizzato da
essi nell’esercizio della potestà, perché studi, lavori,
cerchi qui una situazione migliore di quella che aveva a casa (vi sono
frequenti contatti telefonici, il ragazzo torna ogni tanto a casa).
Infine si può avere un minore non accompagnato che sia davvero
in stato di abbandono, “buttato” all’estero, soprattutto se
molto giovane, senza riferimenti a parenti, od anche a persone amiche e fidate,
già in Italia. […]
Comitato per i minori stranieri – Minori stranieri non
accompagnati - Linee Guida - 11 gennaio 2001
[…] Il Comitato ha il compito ulteriore consistente nel doversi
occupare dei "minori stranieri non accompagnati presenti nel territorio
dello Stato", ai fini della vigilanza sull'accoglienza e del rimpatrio
assistito.
La definizione di questa categoria di minori è data dal
Regolamento (articolo 1, co. 2) nei termini seguenti: "minorenne non
avente cittadinanza italiana o di altri Stati dell'Unione Europea che, non
avendo presentato domanda d'asilo, si trova per qualsiasi causa del territorio
dello Stato privo di assistenza e rappresentanza da parte dei genitori o di
altri adulti per lui legalmente responsabili in base alle leggi vigenti
nell'ordinamento italiano".
Questa categoria differisce da quella considerata sub 2.1., per alcuni
fondamentali ragioni, fra cui le seguenti:
· il minore non è stato
"ammesso" nel territorio dello Stato, bensì vi si trova
"per qualsiasi causa"; si tratta dunque, normalmente, di clandestini
(salvo che si tratti di soggetti che abbiano presentato domanda di asilo);
· il minore è "solo",
cioè non può giovarsi, nel nostro Paese, della presenza dei
genitori o di altri adulti "legalmente responsabili", che possano e
debbano rappresentarlo e prendersi cura di lui: in caso contrario, la sua
permanenza - ed anche la fine della permanenza - sul territorio nazionale sarebbe
soggetta agli accidenti ed alle modalità previsti dalla legge per gli
adulti (l'espulsione di un adulto entrato clandestinamente con un figlio
minorenne si riferisce anche a quest'ultimo). […]
Il primo problema che si pone a chi viene a conoscenza della presenza di un minore straniero non accompagnato (ed in particolare al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio) é: a quale autorità deve essere segnalato?
In base alle disposizioni
della legge 184/83 (come modificata dalla legge 476/98), del D.P.R. 492/99, del
D.P.R. 394/99 e del Regolamento del Comitato per i minori stranieri, risulta
che vi sono quattro autorità alle quali viene fatta la segnalazione: il
Tribunale per i minorenni, il Giudice Tutelare, il Comitato per i minori
stranieri e la Commissione per le adozioni internazionali.
Le disposizioni riguardano
di volta in volta il “minore in stato di abbandono”, il “minore
straniero non accompagnato” (senza specificazioni ulteriori), il
“minore straniero non accompagnato dai genitori o parenti entro il quarto
grado”, il “minore i cui genitori non possono esercitare la
potestà” ecc., con alcune sovrapposizioni e senza che vi sia
sempre una chiara definizione di queste categorie.
Cerchiamo di analizzare
sinteticamente le principali disposizioni relative alla segnalazione,
distinguendo tra i minori presenti sul territorio italiano e i minori che si
trovano alla frontiera.
1.1) I minori presenti sul territorio italiano:
Per quanto
riguarda i minori presenti sul territorio italiano, in base a:
1.
la legge 184/83,
art. 9 e il D.P.R. 394/99, art. 28: I pubblici ufficiali, gli incaricati di un
pubblico servizio, gli esercenti un servizio di pubblica necessità,
devono segnalare il minore in stato di abbandono al Tribunale per i minorenni.
2.
il Regolamento
del Comitato per i minori stranieri, art. 5: I pubblici ufficiali, gli
incaricati di pubblico servizio e gli enti che vengano comunque a conoscenza
dell'ingresso o della presenza sul territorio dello Stato di un minore
straniero non accompagnato
devono segnalare il minore al Comitato per i minori stranieri e agli altri uffici o enti previsti dalla
legge; il Comitato per i minori stranieri segnala il minore agli altri uffici o
enti previsti dalla legge se non è già stata fatta la
segnalazione. Le Prefetture fungono da “punto di raccolta” locale
delle segnalazioni, da inviare poi al Comitato (circolare del Ministero
dell’Interno del 14.4.2000). Sulla base di tali segnalazioni, il Comitato
per i minori stranieri ha inoltre il compito di provvedere al censimento dei
minori presenti non accompagnati (Regolamento del Comitato per i minori
stranieri, art. 2, co. 2);
3.
la legge 476/98
(che modifica la legge 184/83) e il relativo regolamento di attuazione D.P.R.
492/99, art. 18: Il pubblico ufficiale o l’ente autorizzato che ne ha
notizia devono segnalare il minore non accompagnato da genitore o parente
entro il quarto grado entrato
in Italia al di fuori delle situazioni consentite, al Tribunale per i
minorenni del luogo in cui il
minore si trova; il Tribunale, se non adotta un provvedimento di affidamento,
di adozione o un provvedimento necessario in caso di urgenza, segnala a sua
volta il minore alla Commissione per le adozioni internazionali perché prenda contatto con il Paese di
origine (l.476/98, art. 3; l. 184/83, art. 33); la Commissione per le adozioni
internazionali segnala a sua volta il minore al Comitato per i minori
stranieri (D.P.R. 492/99,
art. 18).
4.
la legge 184/83,
art. 9: Il minore affidato a persona diversa dal parente entro il quarto grado
per un periodo superiore a sei mesi deve essere segnalato al Giudice
Tutelare, che trasmette gli
atti al Tribunale per i minorenni.
5.
il Codice
Civile, art. 343: Il minore i cui genitori non possono esercitare la
potestà genitoriale viene segnalato al Giudice Tutelare per l’apertura della tutela[2].
1.2) I minori presenti in frontiera
Per quanto riguarda i
minori presenti in frontiera, in base alla l. 184/83, art. 33 (come modificato
dalla l.476/98), gli uffici di frontiera devono segnalare:
1. il
minore non accompagnato da genitore o parente entro il quarto grado al quale
non è consentito l’ingresso in Italia e che deve essere
rimpatriato alla Commissione per le adozioni internazionali perché prenda contatto con il Paese di
origine;
2. il
minore non accompagnato da genitore o parente entro il quarto grado al quale
viene consentito l’ingresso in Italia per "eventi bellici,
calamità naturali o eventi eccezionali secondo quanto previsto
dall'articolo 18 della legge 6 marzo 1998, n. 40, o per altro grave impedimento
di carattere oggettivo" alla Commissione per le adozioni internazionali e al Tribunale per i minorenni del luogo di residenza di coloro che lo
accompagnano.
Alcune questioni restano
da chiarire:
2.1) Relativamente ai minori
presenti sul territorio italiano:
1. Per quanto riguarda i minori non accompagnati da
parente entro il quarto grado (anche se non in stato di abbandono) e i minori
accompagnati da parente entro il quarto grado ma in stato di abbandono morale e
materiale, pare di capire che essi debbano essere segnalati contestualmente al
Comitato per i minori stranieri e al Tribunale per i minorenni.
Per quanto riguarda invece i minori accompagnati da parente entro il quarto grado idoneo a provvedervi, non è chiaro se essi dovranno essere segnalati:
· al Comitato per i minori stranieri, includendoli nella definizione di “minore non accompagnato”;
· al Tribunale per i minorenni, ipotesi che sembra però discutibile in quanto: a) il minore non si trova in stato di abbandono; b) la legge 184/83, art. 9 prevede la segnalazione (al Giudice Tutelare, che trasmette gli atti al Tribunale) in caso di affidamento a persone diverse dai parenti entro il quarto grado: in questo senso si è espresso il Tribunale per i minorenni di Torino, dichiarandosi incompetente in merito alle domande di affidamento a parenti entro il quarto grado idonei; altri Tribunali per i minorenni, tuttavia, si sono espressi diversamente; c) la legge 184/83, art. 33 (come modificata dalla legge 476/98) prevede che debba essere segnalato al Tribunale per i minorenni o alla Commissione per le adozioni internazionali il minore non accompagnato da genitori o parenti entro il quarto grado, e quindi a contrariis sembra doversi intendere che il minore accompagnato da parente entro il quarto grado non debba essere segnalato.
· a nessuno di questi due enti.
Nel caso in cui non si prevedesse alcuna segnalazione per questi minori, il controllo sul fatto che la persona che accompagna il minore sia effettivamente un parente entro il quarto grado e che questi sia moralmente e materialmente idoneo a provvedervi verrebbe di fatto attribuito ai “pubblici ufficiali, incaricati di pubblico servizio ecc.”, i quali dovranno decidere se effettuare la segnalazione (ove non siano certi che il parente sia idoneo) o non effettuarla.
2. Non è chiara la funzione della
segnalazione alla Commissione per le adozioni internazionali.
In primo luogo vi è contraddizione tra
quanto previsto dalla l. 184/83 (come modificata da l. 476/98) e il relativo
regolamento di attuazione D.P.R. 492/99: mentre la legge stabilisce che la
Commissione debba prendere contatto con le autorità del Paese
d’origine, nel regolamento si prevede che la Commissione debba segnalare
il caso al Comitato per i minori stranieri.
In secondo luogo, il meccanismo previsto dal
regolamento D.P.R. 492/99 (Tribunale per i minorenni > Commissione per le
adozioni internazionali > Comitato per i minori stranieri) risulta da una
parte ridondante, in quanto il Regolamento del Comitato per i minori stranieri
prevede che la segnalazione venga fatta direttamente al Comitato stesso, e
dall’altra parte rischia di prolungare ulteriormente i tempi di una
procedura che al contrario dovrebbe essere più rapida possibile.
3. Andrà chiarito se il minore
privo di rappresentanza dovrà essere sempre segnalato anche al Giudice
Tutelare affinché nomini un tutore (Codice Civile, art. 343), come ad
esempio sostenuto in un provvedimento della Corte d’Appello di Torino[3].
2.2) Per quanto riguarda i minori presenti in
frontiera:
1. Non è chiaro se la Commissione
per le adozioni internazionali dovrà segnalare al Comitato per i minori
stranieri anche i minori segnalati dagli uffici di frontiera (sia quelli ai
quali non viene consentito l’ingresso e che devono essere rimpatriati,
sia quelli ai quali viene consentito l’ingresso), in analogia a quanto
previsto dal D.P.R. 492/99 per i minori presenti sul territorio italiano;
ovvero se per questi minori sarà competente direttamente la Commissione
per le adozioni internazionali (e, limitatamente ai minori ai quali viene
consentito l’ingresso, il Tribunale per i minorenni), come sembrerebbe in
base alla lettera della legge 476/98.
2. Infine, per quanto riguarda i minori ai
quali viene consentito l'ingresso per "eventi bellici, calamità
naturali o eventi eccezionali […], o per altro grave impedimento di
carattere oggettivo", è di difficile interpretazione il riferimento
alla competenza del Tribunale per i minorenni del "luogo di residenza di
coloro che accompagnano il minore", trattandosi appunto di minori non
accompagnati.
Fonti normative ed altre disposizioni relative a
“La segnalazione del minore straniero non accompagnato”
Legge 184/83 (come
modificata dalla l. 476/98)
Art. 9. Chiunque ha
facoltà di segnalare alla autorità pubblica situazioni di
abbandono di minori di età.
I pubblici ufficiali, gli
incaricati di un pubblico servizio, gli esercenti un servizio di pubblica necessità,
debbono riferire al più presto al tribunale per i minorenni sulle
condizioni di ogni minore in situazione di abbandono di cui vengono a
conoscenza in ragione del proprio ufficio.
La situazione di abbandono
può essere accertata anche d'ufficio dal giudice.
Gli istituti di assistenza
pubblici o privati devono trasmettere semestralmente al giudice tutelare del
luogo, ove hanno sede, l'elenco di tutti i minori ricoverati con l'indicazione
specifica, per ciascuno di essi, della località di residenza dei genitori,
dei rapporti con la famiglia e delle condizioni psicofisiche del minore stesso.
Il giudice tutelare, assunte le necessarie informazioni, riferisce al tribunale
per i minorenni sulle condizioni di quelli tra i ricoverati che risultano in
situazioni di abbandono, specificandone i motivi.
Il giudice tutelare, ogni
sei mesi, procede ad ispezioni negli istituti ai fini di cui al comma
precedente. Può procedere ad ispezioni straordinarie in ogni tempo.
Chiunque, non essendo parente entro il quarto
grado, accoglie stabilmente nella propria abitazione un minore, qualora
l'accoglienza si protragga per un periodo superiore a sei mesi, deve, trascorso
tale periodo, darne segnalazione al giudice tutelare, che trasmette gli atti al
tribunale per i minorenni con relazione informativa. L'omissione della
segnalazione può comportare l'inidoneità ad ottenere affidamenti
familiari o adottivi e l'incapacità all'ufficio tutelare.
Art. 33. — 1. Fatte
salve le ordinarie disposizioni relative all'ingresso nello Stato per fini
familiari, turistici, di studio e di cura, non è consentito l'ingresso
nello Stato a minori che non sono muniti di visto di ingresso rilasciato ai
sensi dell'articolo 32 ovvero che non sono accompagnati da almeno un genitore o
da parenti entro il quarto grado.
[…]
3. Coloro che hanno accompagnato alla frontiera un minore al
quale non viene consentito l'ingresso in Italia provvedono a proprie spese al
suo rimpatrio immediato nel Paese d'origine. Gli uffici di frontiera segnalano
immediatamente il caso alla Commissione affinché prenda contatto con il
Paese di origine del minore per assicurarne la migliore collocazione nel suo
superiore interesse.
4. Il divieto di cui al comma 1 non opera nel caso in cui,
per eventi bellici, calamità naturali o eventi eccezionali secondo
quanto previsto dall'articolo 18 della legge 6 marzo 1998, n. 40, o per altro
grave impedimento di carattere oggettivo, non sia possibile l'espletamento
delle procedure di cui al presente Capo e sempre che sussistano motivi di
esclusivo interesse del minore all'ingresso nello Stato. In questi casi gli
uffici di frontiera segnalano l'ingresso del minore alla Commissione ed al
tribunale per i minorenni competente in relazione al luogo di residenza di
coloro che lo accompagnano.
5. Qualora sia comunque
avvenuto l'ingresso di un minore nel territorio dello Stato al di fuori delle
situazioni consentite, il pubblico ufficiale o l'ente autorizzato che ne ha
notizia lo segnala al tribunale per i minorenni competente in relazione al
luogo in cui il minore si trova. Il tribunale, adottato ogni opportuno
provvedimento temporaneo nell'interesse del minore, provvede ai sensi
dell'articolo 37-bis, qualora ne sussistano i presupposti, ovvero segnala la
situazione alla Commissione affinché prenda contatto con il Paese di
origine del minore e si proceda ai sensi dell'articolo 34.
D.P.R.
394/99
art. 28
1. Quando la legge dispone
il divieto di espulsione, il questore rilascia il permesso di soggiorno:
a) per minore età,
salvo l’iscrizione del minore degli anni quattordici nel permesso di
soggiorno del genitore o dell’affidatario stranieri regolarmente
soggiornanti in Italia. Se si tratta di minore abbandonato, è
immediatamente informato il Tribunale per i minorenni per i provvedimenti di
competenza;
D.P.R. 492/99
Art. 18.
Minori stranieri accolti o presenti nello
Stato ai sensi dell'articolo 33 del decreto legislativo n. 286 del 1998
1. Sono fatte salve le competenze del Comitato per i
minori stranieri di cui all'articolo 33 del decreto legislativo 25 luglio 1988,
n. 286, come modificato dal decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 113, e del
relativo decreto di attuazione, concernenti l'ingresso, il soggiorno,
l'accoglienza e l'affidamento temporanei e il rimpatrio assistito dei minori
accolti nell'ambito di programmi
solidaristici, ovvero presenti per qualsiasi causa nel territorio dello Stato e
privi di assistenza e di rappresentanza. La Commissione provvede a comunicare
al Comitato per i minori stranieri i nominativi dei minori la cui presenza e'
segnalata sul territorio dello Stato ai sensi dell'articolo 33, comma 5, della
legge sull'adozione.
Regolamento del
Comitato per i minori stranieri
art.
5, co. 1 e 2
1. I pubblici ufficiali,
gli incaricati di pubblico servizio e gli enti, in particolare che svolgono
attivita' sanitaria o di assistenza, i quali vengano comunque a conoscenza
dell'ingresso o della presenza sul territorio dello Stato di un minorenne
straniero non accompagnato, sono tenuti a darne immediata notizia al Comitato,
con mezzi idonei a garantirne la riservatezza. La notizia deve essere corredata
di tutte le informazioni disponibili relative, in particolare, alle
generalita', alla nazionalita', alle condizioni fisiche, ai mezzi attuali di
sostentamento ed al luogo di provvisoria dimora del minore, con indicazione
delle misure eventualmente adottate per far fronte alle sue esigenze.
2. La segnalazione di cui
al comma 1 non esime dall'analogo obbligo nei confronti di altri uffici o enti,
eventualmente disposto dalla legge ad altri fini. Il Comitato e' tuttavia
tenuto ad effettuare la segnalazione ad altri uffici o enti, quando non risulti
in modo certo che essa sia stata gia' effettuata.
art. 2, co. 2
2. Ai fini del comma 1, il Comitato: [...]
i) provvede al censimento dei minori presenti
non accompagnati, secondo le modalita' previste dall'articolo 5.
Circolare del Ministero
dell’Interno 20.6.1998
oggetto: Presenze in Italia di minori non accompagnati di nazionalità albanese – Questioni connesse al rimpatrio
[...] Relativamente poi alla
questione nei suoi aspetti generali, appare doveroso ricordare che la presenza
di tali minori deve essere prontamente segnalata dalle autorità
responsabili affinché siano adottati i conseguenti provvedimenti sia ai
sensi della l.40/98, sia dell’art.9, l.184/83, al fine
dell’accertamento dell’eventuale stato di abbandono.
Comunque, a prescindere
dall’effettiva esistenza di uno stato di abbandono e degli eventuali
provvedimenti conseguenti a tale accertamento, di competenza del tribunale per
i Minorenni, si raccomanda alle SS.LL che ogni singola posizione venga
comunicata al Comitato per i minori stranieri, istituito presso la Presidenza
del Consiglio dei Ministri – dipartimento Affari Sociali, ai sensi
dell’art.31, l.40/98, per i necessari contatti con le autorità
albanesi, al fine di adottare le misure più opportune, secondo procedure
già concordate.
Tali contatti, in base ad
un Accordo intergovernativo, promosso nel 1997, dal Ministro per la
Solidarietà Sociale con il Governo albanese, sono curati dal Servizio
Sociale internazionale di Roma a cui è affidato il compito di promuovere
tutte le possibili iniziative per il rimpatrio assistito e protetto dei
richiamati minori, sempre previo favorevole avviso dell’autorità
giudiziaria minorile.
Per motivi di uniforme
trattazione delle richieste, si pregano le Prefetture che avessero già
interessato il Comitato Minori o il Servizio Sociale Internazionale sui singoli
casi, di rinnovare la segnalazione aggiungendo gli elementi informativi a
disposizione.
Circolare Presidenza del Consiglio dei
Ministri – Dipartimento per gli Affari Sociali – Comitato per la
tutela dei minori stranieri 8.7.1998
In merito alle procedure relative al rilascio
del nullaosta per il rimpatrio di minori albanesi, nell’ambito della
convinzione stipulata tra codesto S.S.I. e questo Dipartimento, si ritiene
opportuno che codesto S.S.I. comunichi direttamente il nullaosta al rimpatrio
alla competente Prefettura o Questura (nonché ad eventuali altre
amministrazioni) ed al Comitato, riportando nel testo la frase
“…salvo diverso avviso di codesto Comitato tutela minori” che
si riserva di esprimere parere contrario entro 48 ore dalla comunicazione.
Pertanto attraverso la formula del
“silenzio assenso”, si viene a razionalizzare la procedura stessa.
Un’identica procedura del soggiorno di
un minore, può essere impiegata nei casi in cui, sulla base degli
accertamenti esperiti, si ritenga opportuno formulare parere positivo alla
regolarizzazione del soggiorno di un minore da comunicarsi alle amministrazioni
interessate.
Circolare del Ministero dell’Interno 14.4.2000
Oggetto: Comitato per i minori stranieri
Come noto, con d.p.c.m. 9 dicembre 1999, n. 535,
è stato emanato il regolamento (all.1) che disciplina i compiti del
Comitato per i minori stranieri, istituto dall’art. 33 del T.U. delle
disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla
condizione dello straniero, approvato con decreto legislativo 25 luglio 1998,
n. 286, e successive modifiche ed integrazioni.
Tra le competenze di tale Consesso, indicate dall’art. 2, comma
2, del citato decreto, vi è anche quella (lettera i) di provvedere al
censimento dei minori stranieri non accompagnati presenti sul territorio
nazionale, secondo le modalità previste dal successivo art. 5.
Al riguardo, durante le prime riunioni del Comitato, è apparso
indispensabile, ai fini dell’istituzione di una banca dati dei soggetti
in argomento e dell’effettuazione del censimento degli stessi, prevedere
subito la creazione di un’organizzazione decentrata di raccolta dei dati,
in grado di essere interfaccia, sul territorio, con il maggior numero di enti
ed uffici, che, in ragione della propria attività, possono venire
comunque a conoscenza dell’ingresso o della presenza sul territorio dello
Stato di minorenni stranieri non accompagnati.
Per la gestione di tale funzione, quindi, il Presidente del Comitato ha
chiesto a questo Ministero la collaborazione delle Prefetture anzitutto per la
diffusione sul territorio, a tutti gli enti pubblici e privati indicati
dall’art. 5 predetto (quali Questure, Tribunali per i minorenni, giudici
tutelari, A.S.L., Comuni, Province, Associazioni del privato sociale), di un
modello di rilevamento unificato in grado di semplificare il lavoro del
Comitato; in secondo luogo, di fungere da punto di raccolta dei modelli stessi
al fine di semplificare il flusso delle informazioni.
Per aderire a tale richiesta, pertanto, e tenuto altresì conto
della particolare importanza che riveste la minuziosa conoscenza del fenomeno
anche ai fini della prevenzione del disagio e della criminalità dei
minori extracomunitari, le SS.LL. sono pregate di voler diffondere il modello
in questione (all.2) nel modo più capillare agli enti ed Uffici
interessati, curando a regime, successivamente, la raccolta dei modelli stessi
una volta compilati e l’invio dei medesimi, con cadenza almeno
settimanale, direttamente alla segreteria del Comitato per i minori stranieri,
avente sede presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento per
gli Affari Sociali, Via Veneto 56 – 00187 Roma (tel. 06/4824889 –
Fax 06/48161615).
Si fa presente, che:
- per accordi intercorsi con il Ministero della Giustizia, che
provvederà a diramare apposite direttive, la distribuzione dei modelli
ai Tribunali per i minorenni sarà curata soltanto dalle Prefetture dove
ha sede il Tribunale stesso;
- qualora al momento della restituzione dei modelli al Comitato, vi
fossero più moduli compilati per lo stesso minore da Enti diversi, tali
moduli dovranno essere comunque inviati non separatamente, bensì uniti
insieme;
- al fine di “fotografare” in maniera
completa la situazione sulla presenza di minori non accompagnati, il modulo
dovrà essere compilato e spedito anche per quei minori, attualmente
presenti sul territorio e per i quali sia stata già effettuata in
precedenza apposita comunicazione.
Nel sottolineare la particolare rilevanza che riveste la distribuzione
e la raccolta dei dati per una corretta impostazione della costituenda banca
dati dei minori presenti non accompagnati, si prega di voler fornire un cortese
cenno di adempimento.
Comitato per i
minori stranieri - Osservazioni del Presidente - 2 maggio 2000
[…] C, 2) Nella materia dei minori presenti non
accompagnati la competenza esclusiva riguarda:
1) Il censimento, operazione che è da prevedere inonderà
il Comitato di notizie da parte dei soggetti ex art. 5 c.1, sarà indispensabile che la notizia
sia davvero corredata di tutte le informazioni disponibili soprattutto al fine
dello accertamento dello status del minore non accompagnato, ricordando che l’identità
del minore è accertata dalle autorità di P.S., in collaborazione
con le rappresentanze diplomatiche consolari.
Il C.M.S. sta esaminando il problema di come gestire le segnalazioni.
E’ indispensabile avvalersi di procedure informatiche ma pare debba
passare molto tempo perché se ne ottenga la dotazione. Al più
presto si conta di dare più precise informazioni anche solo per questo
periodo di transazione. […]
Comitato per i minori stranieri – Minori stranieri non
accompagnati - Linee Guida - 11 gennaio 2001
[…] Sulla base di quanto sin qui detto, pare opportuno precisare
che le competenti autorità che vengano a conoscenza di un minore
straniero non accompagnato devono:
a)
Accertare
-
l'identità
ed in particolare l'età di lui;
-
se esistono e
dove stanno i familiari del minorenne, cercando di ottenere direttamente da lui
ogni utile informazione in merito;
-
quali le
condizioni di vita, le ragioni del suo ingresso nel territorio italiano, gli
studi compiuti, le attività di formazione e di lavoro svolte, le
intenzioni per il futuro sia del minorenne che dei suoi genitori e tutori,
anche riguardo al rimpatrio;
b)
Informare il
Comitato delle indagini svolte e dunque delle informazioni raccolte.
[…] Le autorità competenti sono invitate ad informare il
Comitato dei casi di minorenni trovati coinvolti in situazioni di sfruttamento,
violenza, riduzione in schiavitù, ai quali sia stato rilasciato permesso
di soggiorno per motivi di protezione, con inserimento della vittima in
programmi di assistenza e reintegrazione secondo quanto disposto dall'art. 18
del T.U. 268/98. […]
LE INDAGINI SULL’IDENTITA’
E SULLA SITUAZIONE IN ITALIA E NEL PAESE D’ORIGINE
Le indagini sull’identità e sulla situazione del minore in Italia e nel Paese di origine costituiscono un aspetto centrale al fine del perseguimento del superiore interesse del minore, e in particolare per una valutazione in ordine all’interesse del minore a restare sul territorio italiano ovvero ad essere rimpatriato.
E’ importante che le indagini siano
efficaci e tempestive, in modo da consentire una decisione ben fondata in tempi
rapidi, riducendo al minimo quel periodo di incertezza sul proprio futuro che
può provocare gravi danni al minore.
Per questo è importante che siano
chiaramente stabilite le competenze e le procedure, evitando inutili
ripetizioni delle indagini.
Questione più complessa, ma altrettanto
centrale, è poi quella relativa agli elementi che verranno presi in considerazione
per valutare la situazione in Italia e nel Paese d’origine. Questa
seconda questione è naturalmente strettamente connessa agli aspetti di
merito nella scelta tra accoglienza e rimpatrio: i criteri che saranno
utilizzati per decidere se sia nell’interesse del minore restare in
Italia o essere rimpatriato determineranno quali fattori andranno considerati
nelle indagini.
Accenniamo qui ad alcune problematiche in
ordine sia alle competenze ed alle procedure, sia ai fattori da considerare per
valutare la situazione in Italia e nel Paese d’origine.
1) Le competenze e le procedure
1) La competenza a disporre le indagini
La competenza a disporre le indagini è
ovviamente connessa alla competenza ad adottare i provvedimenti a tutela del
minore straniero non accompagnato, questione analizzata nelle sezioni
successive.
Qui facciamo riferimento sia alle indagini disposte
dal Tribunale per i minorenni che a quelle disposte dal Comitato per i minori
stranieri.
Non è chiaro se la disposizione
dell’art. 33 della l. 184/83 (come modificata dalla l. 476/98), che
prevede che la Commissione per le adozioni internazionali “prenda
contatto con le autorità del Paese di origine del minore”, abbia
rilevanza rispetto alla competenza a disporre le indagini sulla situazione
(familiare e non) nel Paese d’origine; o se invece tale competenza debba
escludersi dato che il regolamento di attuazione della l. 476/98 stabilisce che
la Commissione per le adozioni internazionali debba comunicare al Comitato per
i minori stranieri i nominativi che le vengono segnalati.
Infine, nei casi in cui vi è sovrapposizione
di competenze tra il Comitato per i minori stranieri e il Tribunale per i
minorenni, andrà chiarito come verranno distribuite le competenze sulle
indagini relative alla situazione del minore in Italia e sulla situazione nel
Paese di origine, e in particolare se saranno previsti accordi tra i due organi
in modo da non ripetere più volte le indagini.
A tale proposito, il prof. Vercellone osservava nelle Osservazioni del
Presidente del 2 maggio 2000 che "Se si apre il procedimento [di
adattabilità] si devono assolutamente fare tutte le ricerche per
individuare la famiglia. […] pare opportuno che T.M. e Comitato si
scambino le informazioni a loro disposizione e, forse, che le ricerche
all’estero siano svolte dal Comitato che comunque le deve svolgere ex art. 5 reg. e probabilmente avrà mezzi
più idonei, soprattutto dove agiscono enti internazionali
convenzionati."
2) La competenza a svolgere le indagini
In base alla l. 184/83 ed al Regolamento del Comitato per i minori stranieri:
1. Le indagini sull’identità del minore
sono svolte dalle autorità di pubblica sicurezza, se necessario in
collaborazione con le rappresentanze diplomatico-consolari del Paese d'origine
(Regolamento del Comitato per i minori stranieri, art. 5, co. 3);
2.
Le indagini sulla situazione del
minore in Italia e nel Paese d’origine:
- se
disposte dal Tribunale per i minorenni sono svolte dai servizi locali e dalle
autorità di pubblica sicurezza (l. 184/83, art. 10), delegando
all’autorità consolare competente ove i genitori o i parenti entro
il quarto grado risiedano all'estero (l.184/83, art. 12);
- se disposte dal
Comitato per i minori stranieri sono svolte dalle “competenti amministrazioni
pubbliche e da idonei organismi nazionali ed internazionali”, con i quali
il Dipartimento per gli affari sociali può stipulare apposite
convenzioni (Regolamento del Comitato per i minori stranieri, art. 2, co. 2).
Le Linee Guida del Comitato per i minori stranieri dell’11
gennaio 2001 dispongono che “[…] le competenti autorità che
vengano a conoscenza di un minore straniero non accompagnato devono: a)
Accertare: - l'identità ed in particolare l'età di lui; - se
esistono e dove stanno i familiari del minorenne, cercando di ottenere
direttamente da lui ogni utile informazione in merito; - quali le condizioni di
vita, le ragioni del suo ingresso nel territorio italiano, gli studi compiuti,
le attività di formazione e di lavoro svolte, le intenzioni per il
futuro sia del minorenne che dei suoi genitori e tutori, anche riguardo al
rimpatrio”
Andranno chiariti i
rispettivi ruoli dei diversi organi, e in particolare:
1. riguardo alle indagini sulla situazione del
minore in Italia: quale sarà il ruolo degli organismi nazionali o
internazionali con cui il Dipartimento per gli Affari Sociali ha stipulato e
stipulerà convenzioni (come il Servizio Sociale Internazionale),
rispetto al ruolo che compete invece ai servizi sociali locali?
2. riguardo alle indagini sulla situazione
nel Paese d’origine: quale sarà il ruolo:
-
dei servizi
sociali italiani, che attualmente svolgono in parte questa attività (ad
esempio per i casi di minori marocchini);
-
dei servizi
sociali del Paese d’origine;
-
del Servizio
Sociale Internazionale e degli altri organismi nazionali o internazionali con
cui il Dipartimento per gli Affari Sociali stipulerà convenzioni;
-
del Consolato
italiano nel Paese di origine.
3. verranno previste modalità
diverse a seconda della nazionalità dei minori, ad esempio per i minori
albanesi le indagini saranno svolte dal Servizio Sociale Internazionale, mentre
per i minori marocchini saranno svolte da altri enti?
3) Le procedure:
Anche rispetto alle procedure, vi sono alcuni aspetti da chiarire. Accenniamo a
due di questi aspetti (tali questioni sono riprese e approfondite più
avanti, nel capitolo “La scelta tra accoglienza e rimpatrio,
l’adozione del rimpatrio e la sua esecuzione”):
1. Quali saranno le modalità con
cui il minore dovrà essere sentito (come indicato dalla Risoluzione del
Consiglio dell’Unione Europea del 26.6.97, art. 3, co. 1)?
In particolare, andrà chiarito se il
minore dovrà essere sentito dai servizi sociali del Comune in cui
è domiciliato (il Regolamento del Comitato per i minori stranieri, art.
7, co.2, fa riferimento agli “enti interessati
all’accoglienza”), ovvero dal Comitato per i minori stranieri, o da
un’altra autorità.
A tale proposito, le Linee Guida del Comitato per i minori stranieri
dell’11 gennaio 2001 chiariscono che “[…] l'audizione del
minore per accertarne l'opinione in merito ad un eventuale rimpatrio assistito
che non può essere fatta direttamente dal Comitato, è riservata
all'autorità locale, la quale dovrà fare in modo che ne risulti
non solo una affermazione di consenso o dissenso ma anche le motivazioni di
essa.”
2. E’ necessario che venga
effettuato un ultimo controllo subito prima dell’eventuale rimpatrio in
modo da verificare che, nel periodo – che spesso si protrare a lungo
– tra il momento in cui sono state effettuate le indagini e il momento in
cui viene effettuato il rimpatrio, la situazione (familiare e più
generale) nel Paese d’origine non si sia modificata
2) I fattori da valutare
Riguardo agli elementi che saranno presi in
considerazione per valutare la situazione in Italia e nel Paese di origine, ci
limitiamo ad accennare ad alcune questioni[4]:
1) Quali saranno i criteri per valutare la
situazione nel Paese di origine?
- l’esistenza dei
genitori, o di altre persone cui il minore sia affidato, o di parenti entro il
quarto grado con i quali il minore abbia mantenuto rapporti significativi, o di
parenti tenuti agli alimenti;
- l’idoneità della famiglia a
provvedere al mantenimento, all’educazione e all’istruzione del
minore;
- il grado di consapevolezza dei genitori, nei
casi in cui essi abbiano “mandato” il minore in Italia in una
situazione di pregiudizio (ad es. affidandolo ad adulti che lo sfruttano);
- la volontà della famiglia di
riaccogliere il minore, distinguendo tra la disponibilità a
riaccoglierlo ove il minore sia rimpatriato, e il vero e proprio consenso al
rimpatrio;
- la disponibilità ad accogliere il
minore da parte di istituti di assistenza;
- le opportunità
formative, lavorative e assistenziali nel Paese di origine;
- altro …
2) Quali saranno i criteri per valutare la
situazione del minore in Italia?
- l’esistenza ed
idoneità di parenti entro il quarto grado in Italia;
- la
disponibilità di famiglie, singoli o comunità di tipo familiare
ad accogliere il minore in affidamento;
- la
disponibilità di associazioni ed altri enti a prendere in tutela il
minore ed a provvedervi;
- le opportunità
formative, lavorative e assistenziali disponibili in Italia;
- altro …
A tale proposito, le Linee Guida del Comitato per i minori stranieri
dell’11 gennaio 2001 dispongono che “Si avrà pertanto
riguardo alle risultanze delle ricerche che verranno effettuate nel Paese di
origine ovvero di abituale residenza, e si avrà inoltre riguardo,
all'atto delle decisioni di assumere, delle condizioni di accoglienza nel
nostro Paese, di eventuali percorsi scolastici o formativi intrapresi.”
Fonti normative ed altre disposizioni relative a
“Le indagini sull’identità e sulla situazione in Italia e nel paese d’origine”
Legge 184/83 (come modificata dalla l.
476/98)
Art. 10. Il presidente del tribunale per i
minorenni, o un giudice da lui delegato, ricevute le informazioni di cui
all'articolo precedente, dispone di urgenza tramite i servizi locali e gli
organi di pubblica sicurezza approfonditi accertamenti sulle condizioni
giuridiche e di fatto del minore, sull'ambiente in cui ha vissuto e vive ai
fini di verificare se sussiste lo stato di abbandono.
Art. 12. Quando attraverso le indagini
effettuate consta l'esistenza dei genitori o di parenti entro il quarto grado
indicati nell'articolo precedente, che abbiano mantenuto rapporti significativi
con il minore, e ne è nota la residenza, il presidente del tribunale per
i minorenni con decreto motivato fissa la loro comparizione, entro un congruo
termine, dinanzi a sé o ad un giudice da lui delegato.
Nel caso in cui i genitori o i parenti
risiedano fuori dalla circoscrizione del tribunale per i minorenni che procede,
la loro audizione può essere delegata al tribunale per i minorenni del
luogo della loro residenza.
In caso di residenza all'estero è
delegata l'autorità consolare competente.
[...]
Art. 13. Nel caso in cui i genitori ed i
parenti di cui all'articolo precedente risultino irreperibili ovvero non ne sia
conosciuta la residenza, la dimora o il domicilio, il tribunale per i minorenni
provvede alla loro convocazione ai sensi degli articoli 140 e 143 del codice di
procedura civile, previe nuove ricerche tramite gli organi di pubblica
sicurezza.
Art. 33 “[...] segnala la situazione
alla Commissione [per le adozioni internazionali] affinché prenda
contatto con il Paese d’origine del minore [...]”
Regolamento del Comitato per i minori
stranieri
art. 2, co. 2
2. Ai fini del comma 1, il Comitato: [...]
e) accerta lo status del minore non
accompagnato ai sensi dell'articolo 1, comma 2, sulla base delle informazioni
di cui all'articolo 5;
f) svolge compiti di impulso e di ricerca al
fine di promuovere l'individuazione dei familiari dei minori presenti non
accompagnati, anche nei loro Paesi di origine o in Paesi terzi, avvalendosi a
tal fine della collaborazione delle competenti amministrazioni pubbliche e di
idonei organismi nazionali ed internazionali, e puo' proporre al Dipartimento
per gli affari sociali di stipulare apposite convenzioni con gli organismi
predetti;
[...]
i) provvede al censimento dei minori presenti
non accompagnati, secondo le modalita' previste dall'articolo 5.
art. 5, co. 3
3. L'identita' del minore e' accertata dalle
autorita' di pubblica sicurezza, ove necessario attraverso la collaborazione
delle rappresentanze diplomatico-consolari del Paese di origine del minore.
art. 7, co 2
2. Salva l'applicazione delle misure previste
dall'articolo 6, il Comitato dispone il rimpatrio assistito del minore presente
non accompagnato, assicurando che questi sia stato previamente sentito, anche
dagli enti interessati all'accoglienza, nel corso della procedura.
Comitato per i minori stranieri -
Osservazioni del Presidente - 2 maggio 2000
[…] 2) Se si apre il procedimento [di adattabilità] si
devono assolutamente fare tutte le ricerche per individuare la famiglia.
[…] pare opportuno che T.M. e Comitato si scambino le informazioni a loro
disposizione e, forse, che le ricerche all’estero siano svolte dal
Comitato che comunque le deve svolgere ex art. 5 reg. e probabilmente avrà mezzi
più idonei, soprattutto dove agiscono enti internazionali convenzionati.
Comitato per i minori stranieri – Minori stranieri non
accompagnati - Linee Guida - 11 gennaio 2001
[…] Sulla base di quanto sin qui detto, pare opportuno precisare
che le competenti autorità che vengano a conoscenza di un minore straniero
non accompagnato devono:
a)
Accertare
-
l'identità
ed in particolare l'età di lui;
-
se esistono e
dove stanno i familiari del minorenne, cercando di ottenere direttamente da lui
ogni utile informazione in merito;
-
quali le
condizioni di vita, le ragioni del suo ingresso nel territorio italiano, gli
studi compiuti, le attività di formazione e di lavoro svolte, le
intenzioni per il futuro sia del minorenne che dei suoi genitori e tutori,
anche riguardo al rimpatrio;
b)
Informare il
Comitato delle indagini svolte e dunque delle informazioni raccolte.
c)
Provvedere
intanto all'accoglienza.
[…] Questo significa che la valutazione di tale interesse da
parte del Comitato non può essere fatta in modo preventivo e generale,
anche solo per categorie astratte, ma tenendo conto, volta per volta,
dell'interesse concreto di ogni determinato minorenne. Comunque il Comitato
valuterà quell'interesse in modo particolare per quanto riguarda i
ragazzi di età superiore ai 14 anni, già inseriti in un percorso
scolastico e/o di formazione-lavoro. Più in generale adatterà le
proprie decisioni in merito all'eventuale rimpatrio, alla verifica delle
condizioni nelle quali si è realizzato il temporaneo soggiorno del
minore straniero nel territorio nazionale, con particolare riguardo
all'accoglienza offertagli ed alle provvidenze scolastiche di cui ha potuto
usufruire.
[…] 4.3 La decisione del rimpatrio non potrà mai essere
assunta senza una previa valutazione delle condizioni del minore: il rimpatrio
non dovrà essere in nessun caso "automatico". Tutto quanto
indicato nei punti precedenti circa la verifica delle sue condizioni, delle
condizioni della famiglia e del paese di rientro dovranno essere attentamente
considerate in vista della decisione. Si avrà pertanto riguardo alle
risultanze delle ricerche che verranno effettuate nel Paese di origine ovvero
di abituale residenza, e si avrà inoltre riguardo, all'atto delle
decisioni di assumere, delle condizioni di accoglienza nel nostro Paese, di
eventuali percorsi scolastici o formativi intrapresi.
[…] 4.4 Si precisa ancora che:
a)
l'audizione del
minore per accertarne l'opinione in merito ad un eventuale rimpatrio assistito
che non può essere fatta direttamente dal Comitato, è riservata
all'autorità locale, la quale dovrà fare in modo che ne risulti
non solo una affermazione di consenso o dissenso ma anche le motivazioni di
essa.
b)
Il Comitato ,
ove ritenga essere presenti le condizioni per il rimpatrio, si informerà
in ogni caso, presso il Tribunale per i minorenni competente del luogo di
dimora del minorenne in Italia, dell'eventuale esistenza di procedure in corso,
onde ottenere il necessario nulla osta previsto dall'art. 2 bis u.p. dell'art.
33 T.U. n. 296/1998.
c)
Se a seguito
delle informazioni ottenute dal Comitato, anche attraverso l'intervento di
organismi internazionali coi quali esistano convenzioni o con la collaborazione
delle autorità consolari e diplomatiche straniere in Italia,
risultassero non esistenti nuclei familiari del minorenne, o autorità
del Paese d'origine disposti ad assumerne l'affidamento a seguito di rimpatrio,
il Comitato ne informerà l'autorità giudiziaria competente per la
valutazione dell'eventuale stato di abbandono e per i conseguenti
provvedimenti. In proposito si terrà conto delle raccomandazioni
formulate in sede internazionale (cfr. linee-guida UNHCR) per cui le ricerche
dei familiari, di un minorenne straniero apparentemente abbandonato, debbono
proseguire per almeno due anni prima di potere dichiarare lo stato di
abbandono.
Risoluzione del Consiglio dell’Unione
Europea 26.6.97
art. 3, co. 1 e 3
1. Gli Stati membri dovrebbero sforzarsi di
stabilire l'identità di un minore il più rapidamente possibile
dopo il suo arrivo, come pure il fatto che non è accompagnato. Le
informazioni sulla identità e situazione di un minore possono essere
ottenute in vari modi, in particolare attraverso un adeguato colloquio con
l'interessato, che deve aver luogo al più presto e in modo adatto alla
sua età.
Le informazioni ottenute devono essere
adeguatamente registrate. Nella richiesta, raccolta, trasmissione e
archiviazione delle informazioni ottenute si deve dar prova di grande cura e
riservatezza, in particolare nel caso di richiedenti asilo, al fine di
proteggere tanto i minori quanto i loro familiari. In particolare, queste prime
informazioni possono aumentare le prospettive di ricongiungimento del minore
con la sua famiglia nel paese d'origine o in un paese terzo.
[…]
3. Gli Stati membri dovrebbero adoperarsi, ai
fini del ricongiungimento, per rintracciare il più rapidamente possibile
i familiari di un minore non accompagnato o per individuare il domicilio di
detti familiari, indipendentemente dal loro status giuridico e senza previo
esame della fondatezza di un'eventuale domanda di soggiorno.
I minori non accompagnati possono anche essere
incoraggiati e aiutati a prendere contatto con il Comitato internazionale della
Croce Rossa (CICR), con organizzazioni nazionali della Croce Rossa o altre
organizzazioni per rintracciare i loro familiari. Soprattutto nel caso di
richiedenti asilo, in tutti i contatti presi in tal senso si dovrebbe garantire
la debita riservatezza al fine di proteggere sia il minore sia i suoi
familiari.
LA PROTEZIONE DEL MINORE STRANIERO
NEL SISTEMA ITALIANO DI DIRITTO INTERNAZIONALE
PRIVATO
In base alla legge di riforma del sistema italiano di diritto
internazionale privato 218/95, la protezione del minore straniero presente sul
territorio italiano è regolata:
·
in generale,
dalla Convenzione dell’Aja del 1961 sulla competenza delle
autorità e sulla legge applicabile in materia di protezione dei minori
(l. 218/95, art. 42);
·
per le norme di
applicazione necessaria, dalla legge italiana (l. 218/95, art. 17);
·
per i rapporti
tra genitori e figli, dalla legge nazionale del figlio (l. 218/95, art. 36).
Il richiamo alla Convenzione del 1961
L’art. 42 della legge 218/95 di riforma del
diritto privato internazionale stabilisce
che:
·
la protezione
dei minori è in ogni caso
regolata dalla Convenzione dell’Aja del 1961;
·
tale Convenzione
si applica anche alle persone considerate minori soltanto dalla loro legge
nazionale[5]
ed ai minori non abitualmente residenti in uno Stato contraente.
Rientrano nelle misure di protezione dei minori (tra
le altre): la tutela, l’affidamento, il collocamento in luogo sicuro del
minore in stato di abbandono, la limitazione e decadenza dalla potestà
genitoriale.
L’autorità competente
La Convenzione del 1961 regola la competenza in
materia di protezione dei minori nel modo seguente:
·
in via generale,
è competente lo Stato di residenza abituale del minore[6];
·
in via sussidiaria,
ove l’interesse del minore lo esiga, è competente lo Stato di
nazionalità del minore;
·
in via
provvisoria e d’urgenza, è competente lo Stato di residenza
abituale del minore o lo Stato in cui il minore si trova.
Il riferimento alla Convenzione del 1961 ha quindi
determinato nel diritto internazionale privato italiano l’abbandono dei
criteri della cittadinanza del minore e della cittadinanza, residenza o
domicilio del genitore, e l’assunzione invece, a criterio generale, della
residenza abituale del minore.
1)
La competenza in via generale:
Le autorità giudiziarie e amministrative
italiane sono competenti in via generale ad adottare misure di protezione nei
confronti del minore che sia abitualmente residente in Italia,
indipendentemente dalla sua nazionalità (art. 1 Convenzione del 1961).
Le autorità italiane devono però
riconoscere i rapporti d’autorità ex lege, cioè quei
rapporti che derivano di pieno diritto dalla legislazione dello Stato di
nazionalità del minore e che non necessitano di alcun provvedimento
giudiziario o amministrativo (in primo luogo, dunque, la potestà
genitoriale) (art. 3 Convenzione
del 1961).
I rapporti d’autorità ex lege
costituiscono dunque un limite alla competenza in via generale dello Stato di
residenza abituale: si ritiene che le autorità italiane, in quanto
autorità dello Stato di residenza abituale del minore straniero, possano
intervenire con misure che incidano su tale rapporto d’autorità,
ma non sopprimerlo.
2)
La competenza in via sussidiaria, ove l’interesse del minore lo
esiga:
Le autorità dello Stato di nazionalità
del minore che sia abitualmente residente in Italia possono adottare misure di
protezione del minore ove l’interesse del minore lo esiga, esigenza che
dovrebbe rilevarsi ove le autorità italiane non adempiano
all’obbligo di protezione nei confronti del minore. Le misure adottate
dallo Stato di nazionalità del minore sostituiscono quelle eventualmente
adottate in via generale dallo Stato di residenza abituale.
Lo Stato di nazionalità del minore deve
previamente informare lo Stato di residenza abituale dell’adozione di
misure di protezione e può affidare a quest’ultimo
l’applicazione delle misure adottate (artt. 4 e 6 Convenzione del 1961).
3)
La competenza in via provvisoria e d’urgenza:
In base all’art. 8 della Convenzione del 1961,
le autorità giudiziarie e amministrative italiane possono intervenire
ove il minore abitualmente residente in Italia sia minacciato da un serio
pericolo, adottando misure di protezione provvisorie, fintantochè il
minore è minacciato dal serio pericolo.
In base all’art. 9 della Convenzione del 1961,
le autorità giudiziarie e amministrative italiane in tutti i casi di
urgenza possono adottare misure di protezione nei confronti del minore che si
trova in Italia (anche se non abitualmente residente).
Le misure provvisorie ed urgenti possono modificare le
misure eventualmente adottate dallo Stato di nazionalità o di residenza
abituale del minore e i rapporti d’autorità ex lege.
4)
Il coordinamento con lo Stato di nazionalità del minore:
Quando le autorità giudiziarie o amministrative
italiane adottano delle misure di protezione nei confronti del minore straniero
abitualmente residente o che si trova in Italia devono informarne le autorità
dello Stato di nazionalità del minore, tramite l’autorità
centrale designata allo scopo (art. 11 Convenzione del 1961).
La legge applicabile
Dal punto di vista della legge applicabile, la
Convenzione del 1961 distingue tra due regimi:
·
il regime relativo
ai rapporti d’autorità ex lege: è regolato dalla legge
dello Stato di nazionalità del minore (art. 3 Convenzione del 1961);
·
il regime in
mancanza di rapporti d’autorità ex lege: è regolato in base
al principio della coincidenza tra autorità competente e legge
applicabile, ovvero l’autorità giudiziaria e amministrativa
competente applicherà la legge interna dello Stato cui appartiene: di
conseguenza, quando le autorità giudiziarie o amministrative italiane
adottano misure di protezione nei confronti del minore straniero, applicano la
legge italiana (artt. 2 e 4 Convenzione del 1961).
Le autorità italiane competenti
1)
Per quanto riguarda la competenza in via generale dello Stato italiano
in quanto Stato di residenza abituale del minore straniero, la competenza delle
diverse autorità giudiziarie e amministrative è regolata dalla
legislazione italiana in materia (art. 2 Convenzione del 1961).
2)
Per quanto riguarda la competenza sussidiaria (ove l’interesse del
minore lo esiga) dello Stato di nazionalità del minore:
Ove lo Stato di nazionalità del minore abitualmente residente in
Italia adotti misure di protezione e ne affidi l’applicazione alle
autorità italiane, la competenza all’attuazione di tali
provvedimenti è del Giudice Tutelare del luogo ove il minore risiede, in
base a quanto disposto dalla legge 64/94, art. 4, co. 4.
3)
Per quanto riguarda la competenza in via provvisoria e d’urgenza,
la legge 64/94, art. 4, co. 3 stabilisce che la competenza è del
Tribunale per i minorenni del luogo ove il minore risiede.
Questa formulazione sembra voler intendere un’interpretazione
restrittiva in contrasto con il dettato della Convenzione del 1961, in quanto
fa riferimento al “luogo ove il minore risiede” (espressione che
sembra riferirsi alla residenza anagrafica) invece che al luogo ove il minore
risiede abitualmente (art. 8) o ove si trova (art. 9).
E’ da ritenersi che la norma debba interpretarsi in
conformità a quanto disposto dalla Convenzione del 1961, e che quindi il
Tribunale per i minorenni possa adottare misure provvisorie ed urgenti anche
nei confronti dei minori abitualmente residenti in Italia o (per le misure ex
art. 9) anche solo presenti in Italia.
4) Per quanto riguarda il coordinamento con lo
Stato di nazionalità del minore, la legge 64/94, art. 3, co. 4
stabilisce che l’autorità centrale competente ad informare lo
Stato di nazionalità del minore circa le misure adottate dalle
autorità giudiziarie o amministrative italiane è l’Ufficio
per la Giustizia Minorile presso il Ministero di Grazia e Giustizia.
Dunque, ogni volta che un’autorità giudiziaria o
amministrativa italiana adotta una misura di protezione nei confronti di un
minore straniero, deve comunicarlo all’Ufficio per la Giustizia Minorile
presso il Ministero di Grazia e Giustizia, in modo che questi informi le
autorità dello Stato di nazionalità del minore.
Le norme di applicazione necessaria
L’art. 17 della legge 218/95 di riforma del diritto
internazionale privato stabilisce la prevalenza delle norme italiane di applicazione
necessaria.
Tali possono
essere considerate le disposizioni della legge 184/83 e del Codice Civile
relative ai minori in stato di abbandono.
I rapporti tra genitori e figli
L’art. 36 della legge 218/85 di riforma del diritto
internazionale privato stabilisce che i rapporti personali e patrimoniali tra
genitori e figli, compresa la potestà dei genitori, sono regolati dalla
legge nazionale del figlio.
Si ritiene, tuttavia, che le autorità italiane possano
intervenire sull’esercizio della potestà da parte del genitore a
protezione del minore ex artt. 8 e 9 della Convenzione del 1961 ove questi sia
minacciato da un serio pericolo e nei casi di urgenza.
La definizione di residenza abituale
Dato che in via generale la competenza relativa alla protezione del
minore è attribuita allo Stato ove questi ha la sua residenza abituale,
è evidente che gli obblighi dello Stato italiano e l’ampiezza
delle misure che le autorità italiane potranno adottare nei confronti
del minore straniero dipenderanno in modo cruciale dalla definizione di
“residenza abituale” [7].
La Convenzione del 1961 non contiene una definizione di residenza
abituale. Tale definizione non è univoca, ma nella giurisprudenza
straniera la residenza abituale viene in genere definita come il centro di
gravità della vita del minore, facendo riferimento agli effettivi legami
familiari e sociali del minore.
La definizione dello Stato di residenza abituale attiene a una
valutazione di fatto e non di diritto, tanto che può essere considerato
tale anche lo Stato in cui il minore sia stato trasferito illegittimamente
(cioè contro la volontà dei genitori). Esso non coincide
né con lo Stato nazionale né con lo Stato di residenza
anagrafica, né del minore né dei genitori.
In questa valutazione assume particolare importanza (anche se non
risolutiva, dato che si tratta di una valutazione di fatto e caso per caso)
l’elemento temporale: lo Stato in cui il minore si trova può
essere cioè considerato “Stato di residenza abituale” dopo
un certo periodo di tempo, che in giurisprudenza viene spesso fissato intorno
ai 6 mesi.
Altro aspetto importante nella valutazione è la volontà
del minore e quella della sua famiglia, fattori che naturalmente hanno una loro
rilevanza nel far sì che un determinato ambiente possa essere
considerato come il centro di gravità della vita del minore.
Dunque il minore straniero irregolarmente presente sul
territorio italiano può essere considerato “abitualmente
residente” in Italia in considerazione degli effettivi legami che si sono
creati tra il minore ed il territorio, del tempo trascorso, della
volontà sua e dei genitori.
In tal caso, ove il minore venga considerato “abitualmente
residente” sul territorio italiano, lo Stato italiano diviene competente
in via generale ad adottare tutte le misure di protezione nei suoi confronti
(tranne quelle che modificano radicalmente i rapporti d’autorità
ex lege) e, ove il minore sia minacciato da un serio pericolo, anche misure che
modificano misure eventualmente adottate dallo Stato di nazionalità del
minore e rapporti d’autorità ex lege.
Fonti normative ed altre disposizioni relative a
“La protezione del minore straniero nel
sistema italiano di diritto internazionale privato”
Legge 218/95
Art. 17
Norme di applicazione necessaria
1. E’ fatta salva la prevalenza sulle
disposizioni che seguono delle norme italiane che, in considerazione del loro
oggetto e del loro scopo, debbono essere applicate nonostante il richiamo alla
legge straniera.
Art. 36
Rapporti tra genitori e figli
I rapporti personali e patrimoniali tra genitori e
figli, compresa la potestà dei genitori, sono regolati dalla legge
nazionale del figlio.
Art. 42 Giurisdizione e legge applicabile in materia
di protezione dei minori
1. La protezione dei minori è in ogni caso regolata
dalla Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961, sulla competenza delle
autorità e sulla legge applicabile in materia di protezione dei minori,
resa esecutiva con la L. 24 ottobre 1980, n. 742.
2. Le disposizioni della Convenzione si
applicano anche alle persone considerate minori soltanto dalla loro legge
nazionale, nonché alle persone la cui residenza abituale non si trova in
uno degli Stati contraenti.
Convenzione dell’Aja del 1961
Art. 1 Le autorità, sia giudiziarie che amministrative, dello
Stato di residenza abituale di un minore sono competenti, salvo le disposizioni
degli artt. 3, 4 e 5, terzo capoverso della presente Convenzione, ad adottare
misure tendenti alla protezione della sua persona o dei suoi beni.
Art. 2 Le autorità competenti ai sensi dell’art. 1
adottano le misure previste dalla loro legislazione interna.
Tale legislazione stabilisce le condizioni
di istituzione, modifica e cessazione di dette misure. Essa regola egualmente i
loro effetti sia per quel che concerne i rapporti fra il minore e le persone o
istituzioni che lo hanno a carico, sia nei confronti dei terzi.
Art. 3 Un rapporto d’autorità risultante di pieno diritto
dalla legislazione interna dello Stato di cui il minore è cittadino
è riconosciuto in tutti gli Stati contraenti.
Art. 4 Se le autorità dello Stato di cui il minore è
cittadino giudicano che l’interesse del minore lo esiga, esse possono,
dopo aver informato le autorità dello Stato di sua residenza abituale,
adottare in base alla loro legislazione interna misure miranti alla protezione
della sua persona o dei suoi beni.
Tale legislazione stabilisce le condizioni di istituzione, modifica e
cessazione di dette misure. Essa regola anche i loro effetti sia per quel che
concerne i rapporti fra il minore e le persone o istituzioni che lo hanno a
carico, sia nei confronti dei terzi.
L’applicazione delle misure adottate è assicurata dalle
autorità dello Stato di cui il minore è cittadino.
Le misure adottate ai sensi dei capoversi che precedono del presente
articolo sostituiscono le misure eventualmente adottate dalle autorità
dello Stato in cui il minore ha la sua residenza abituale.
Art. 5 In caso di trasferimento della residenza abituale di un minore
da uno Stato contraente in un altro, le misure adottate dalle autorità
dello Stato della precedente residenza abituale resteranno in vigore fino a che
le autorità dello Stato della nuova residenza abituale non le avranno
abolite o sostituite.
Le misure adottate dall’autorità dello Stato della
precedente residenza abituale saranno abolite o sostituite solo dopo un
preavviso alle suddette autorità.
In caso di trasferimento di un minore che era sotto la protezione delle
autorità dello Stato di cui egli è cittadino, le misure da queste
adottate sulla base della loro legislazione interna resteranno in vigore nello
Stato della nuova residenza abituale.
Art. 6 Le autorità dello Stato di cui il minore è
cittadino possono, d’accordo con quelle dello Stato in cui egli ha la sua
residenza o possiede dei beni, affidare a queste ultime l’applicazione
delle misure adottate.
La stessa facoltà è data alle autorità dello Stato
di residenza abituale del minore nei confronti delle autorità dello
Stato in cui il minore possiede dei beni.
Art. 7 Le misure adottate dalle autorità competenti ai sensi dei
precedenti articoli della presente Convenzione sono riconosciute in tutti gli
Stati contraenti. Se tuttavia dette misure implicano atti di esecuzione in uno
Stato diverso da quello in cui esse sono state adottate, il loro riconoscimento
e la loro esecuzione sono regolati sia dal diritto interno dello Stato in cui
è richiesta l’esecuzione, sia dalle Convenzioni internazionali.
Art. 8 Nonostante le disposizioni degli artt. 3, 4 e 5, terzo
capoverso, della presente Convenzione, le autorità dello Stato di
residenza abituale di un minore possono adottare misure di protezione
fintantoché il minore è minacciato da un pericolo serio alla sua
persona o ai suoi beni.
Le autorità degli altri Stati contraenti non sono tenute a riconoscere tali misure.
Art. 9 In tutti i casi di urgenza, le autorità di ogni Stato
contraente, sul territorio del quale si trovano il minore o dei beni ad esso
appartenenti, adottano le necessarie misure di protezione.
Le misure adottate in applicazione del precedente capoverso cesseranno,
salvi i loro effetti definitivi, non appena le autorità competenti ai
sensi della presente Convenzione avranno adottato le misure imposte dalla
situazione.
Art. 10 Per quanto è possibile, al fine di assicurare la
continuità del regime applicato al minore, le autorità di uno
Stato contraente adottano misure nei suoi confronti soltanto dopo aver
proceduto a uno scambio di vedute con le autorità degli altri Stati
contraenti di cui sono ancora in vigore le decisioni.
Art. 11 Tutte le autorità che hanno adottato ai sensi delle
disposizioni della presente Convenzione ne informeranno senza indugio le
autorità dello Stato di cui il minore è cittadino e, se del caso,
quelle dello Stato di sua residenza abituale.
Ogni Stato contraente designerà le autorità che possono
dare e ricevere direttamente le informazioni di cui al precedente capoverso.
[...]
Art. 16 Le disposizioni
della presente Convenzione possono essere non applicate negli Stati Contraenti
solo se la loro applicazione sia manifestamente incompatibile con
l’ordine pubblico.
Legge 64/94
Art. 3, co. 4
4. Il Ministero di grazia e giustizia, Ufficio per la giustizia
minorile, è altresì designato come autorità centrale competente
per gli adempimenti di cui agli articoli 6 e 11 della convenzione de L'Aja del
5 ottobre 1961 sulla competenza delle autorità e sulla legge applicabile
in materia di protezione dei minori.
Art. 4, co. 3 e 4
[…]
3. Il tribunale per i minorenni del luogo ove il minore risiede
è competente ad adottare i provvedimenti provvisori ed urgenti previsti
dagli articoli 8 e 9 della convenzione de L'Aja del 5 ottobre 1961. Del
provvedimento è dato avviso all'autorità centrale.
4. L'attuazione nello Stato, ai sensi dell'articolo 6 della convenzione
de L'Aja del 5 ottobre 1961, dei provvedimenti adottati dalle autorità
straniere è di competenza del giudice tutelare del luogo ove il minore
risiede, ovvero, ricorrendo l'ipotesi, del luogo ove si trovano i beni in
ordine ai quali sono stati adottati i provvedimenti.
Analizziamo in questa sezione alcune problematiche relative ai
provvedimenti che le autorità giudiziarie e amministrative italiane
possono adottare a protezione del minore straniero non accompagnato (con
l’esclusione del provvedimento di rimpatrio)[8].
Ricordiamo in primo luogo quanto disposto dall’art. 20 della
Convenzione di New York:
“1. Ogni fanciullo
il quale é temporaneamente o definitivamente privato del suo ambiente
familiare oppure che non può essere lasciato in tale ambiente nel suo
proprio interesse, ha diritto ad una protezione e ad aiuti speciali dello
stato.
2. Gli Stati Parti prevedono per questo fanciullo una protezione
sostitutiva, in conformità con la loro legislazione nazionale.
2.
Tale
protezione sostitutiva può in particolare concretizzarsi per mezzo di
sistemazione in una famiglia, della kafalah di diritto islamico, dell'adozione
o in caso di necessità, del collocamento in un adeguato istituto per
l'infanzia. Nell'effettuare una selezione tra queste soluzioni, si terrà
debitamente conto della necessità di una certa continuità nell'educazione
del fanciullo, nonché della sua origine etnica, religiosa, culturale e
linguistica.”
1)
La competenza dello Stato italiano
Le autorità italiane sono competenti a disporre provvedimenti
urgenti nei confronti del minore straniero presente sul territorio italiano,
·
in base alle
disposizioni di necessaria applicazione del Codice Civile e della legge 184/83
(ex art. 17 della l. 218/95); in particolare l’art. 37-bis della legge
184/83 (come modificata dalla legge 476/98) stabilisce che “Al minore
straniero che si trova nello Stato in situazione di abbandono si applica la
legge italiana in materia di adozione, di affidamento e di provvedimenti
necessari in caso di urgenza”;
·
ovvero in base
all’art. 9 della Convenzione del 1961, in base al quale le
autorità italiane possono intervenire in tutti i casi di urgenza nei
confronti del minore straniero anche solo presente (e non abitualmente
residente) sul territorio italiano (ex art. 42 della l. 218/95) .
2)
Le competenze dell’Autorità Giudiziaria minorile e del
Comitato per i minori stranieri
In base a quanto disposto dal Codice Civile, dalla
legge 184/83 e dalla legge 64/94, i provvedimenti urgenti sono preminentemente
di competenza dell’Autorità Giudiziaria minorile.
Il Regolamento del Comitato per i minori stranieri,
art. 3, co. 5 dispone che: “In caso di urgenza, per situazioni in
relazione alle quali sia improcrastinabile l'intervento a tutela della salute
psicofisica del minore, i poteri del Comitato sono esercitabili dal presidente
o da un componente da lui delegato, salva la ratifica da parte del Comitato
nella prima riunione successiva all'esercizio dei poteri medesimi. I
provvedimenti non ratificati perdono efficacia dal momento in cui sono stati
adottati.”
Andrà chiarito come si concilia la competenza
del Comitato per i minori stranieri con quella dell’Autorità
Giudiziaria minorile, ed in particolare se il Comitato debba intervenire solo
quando non sia stata fatta la segnalazione all’Autorità
Giudiziaria minorile.
Non è chiaro,
inoltre, se il Comitato può adottare gli stessi provvedimenti che
possono essere disposti dall’Autorità Giudiziaria minorile.
1) L’autorità competente
1.1) La competenza dello Stato italiano
Le autorità
italiane sono competenti a disporre provvedimenti di affidamento nei confronti
del minore straniero presente sul territorio italiano:
·
anche nei
confronti del minore non abitualmente residente in Italia, in quanto norma di
necessaria applicazione (ex art. 17 della l. 218/95);
·
solo nei
confronti del minore abitualmente residente in Italia, ove si applichi la
Convenzione del 1961 (ex art. 42 della l. 218/95)[9].
Ove, invece, il
provvedimento di affidamento sia considerato come provvedimento urgente,
valgono le osservazioni fatte sopra in relazione ai provvedimenti urgenti: in
tal caso, dunque, le autorità italiane potranno disporre provvedimenti
di affidamento anche nei confronti del minore non abitualmente residente in
Italia.
Come già ricordato, l’art. 37-bis della l. 184/83
stabilisce esplicitamente che al minore straniero in stato di abbandono si
applica la legge italiana in materia di affidamento.
1.2) Le competenze
dell’Autorità Giudiziaria minorile, dei servizi locali e del
Comitato per i minori stranieri
L’art. 4 della l. 184/83 prevede che l’affidamento familiare sia disposto:
· dal servizio locale, previo consenso manifestato dai genitori o dal genitore esercente la potestà, ovvero dal tutore (c.d. affidamento consensuale);
· dal Tribunale per i minorenni, ove manchi l’assenso dei genitori esercenti la potestà o del tutore; in tal caso si applicano gli articoli 330 e seguenti del Codice Civile (c.d. affidamento giudiziale).
Il regolamento di attuazione della legge 476/98, D.P.R. 492/99,
“facendo salve” le disposizioni del dlgs. 113/99, attribuisce al
Comitato le competenze “concernenti l’ingresso, il soggiorno,
l’accoglienza e l’affidamento temporanei e il rimpatrio assistito
dei minori […] presenti per qualsiasi causa nel territorio dello Stato e
privi di assistenza e rappresentanza”: che significato ha tale
riferimento all’accoglienza e all’affidamento temporanei? Implica
che i provvedimenti di affidamento nel caso di minori stranieri non accompagnati
dovranno essere disposti non dai servizi sociali o dal Tribunale per i
minorenni, ma dal Comitato per i minori stranieri?
A quanto ci risulta, alcuni Tribunali per i minorenni – come ad
esempio il Tribunale per i minorenni di Milano – si sono effettivamente
espressi in questo senso, sostenendo di non essere più competenti a
disporre provvedimenti di affidamento di minori stranieri non accompagnati, in
quanto la competenza sarebbe ormia esclusivamente del Comitato per i minori
stranieri.
E' evidente, tuttavia, che un regolamento non può modificare una
legge, e quindi ci sembra pacifico che i provvedimenti di affidamento debbano
essere disposti, secondo le modalità previste dalla legge 184/83, dal
Tribunale per i minorenni o dai servizi sociali.
1.3) Affidamento giudiziale e affidamento
consensuale
Come osservava l’allora Presidente del Comitato per i minori
stranieri nelle Osservazioni approvate nella riunione del 2 maggio 2000,
è importante che si stabiliscano regole e prassi comuni per stabilire se
l’affidamento dei minori stranieri non accompagnati debba essere
disposto:
1) mediante affidamento giudiziale disposto dal Tribunale per i
minorenni, in mancanza dell’assenso dei genitori o del tutore;
2) ovvero mediante affidamento consensuale, disposto dai servizi locali
previo consenso manifestato dai genitori o dal tutore: in questa ipotesi le vie
possono essere diverse:
·
il Giudice
Tutelare può nominare un tutore, che dà poi il consenso
all’affidamento;
·
il consenso
all’affidamento può essere manifestato dall’istituto di
pubblica assistenza (ovvero, in genere, l’Ente locale) in quanto
esercente i poteri tutelari ex art. 402 del Codice Civile;
·
si può
ipotizzare la possibilità per i genitori di manifestare il consenso
all’affidamento mediante atto notarile legalizzato presso la
Rappresentanza Diplomatico-Consolare italiana nel Paese d’origine.
A proposito dell’affidamento consensuale,
citiamo un documento del Tribunale per i minorenni e della Procura della
Repubblica per i minorenni di Venezia[10] “Poiché il minorenne, non
accompagnato immigrato da solo (eventualmente anche in accordo con i familiari
rimasti nel paese d’origine) è pur sempre un minore nei confronti
del quale i genitori non possono esercitare la potestà, il caso
potrà essere segnalato al Giudice Tutelare del luogo ove il minore
è stato accolto per l’apertura della tutela ai sensi
dell’art. 343 Cod. Civ. Il tutore così nominato potrà dare
il consenso per l’affidamento familiare, qualora sia questo il
provvedimento disposto dal Servizio Locale ai sensi dell’art.4 L.Adoz.
Qualora il minore sia stato accolto presso una struttura assistenziale il
Comune quale Ente erogatore dell’assistenza può essere considerato
Istituto di Pubblica Assistenza che esercita i poteri tutelari sul minore
ricoverato o assistito ai sensi degli artt. 3 e 5 L. Adoz.”
2) I minori affidati a parenti entro il
quarto grado
Una delle situazioni più frequenti e nel
contempo più discusse è quella dei minori stranieri affidati di
fatto a parenti entro il quarto grado idonei a provvedervi[11].
In tali casi, può essere disposto
l’affidamento formale del minore al parente in base all’art. 4
della legge 184/83?
2.1) Affidamento giudiziale e affidamento
consensuale
A) L’affidamento giudiziale:
Per quanto riguarda l’affidamento giudiziale
(cioè l’affidamento disposto dal Tribunale per i minorenni quando
manca l’assenso dei genitori o del tutore), alcuni giudici hanno
effettivamente disposto affidamenti a parenti entro il quarto grado (ad esempio
presso il Tribunale di Venezia[12]),
talvolta con la motivazione della mancanza dell’atto di assenso dei
genitori.
Altri Tribunali per i minorenni si sono invece
dichiarati incompetenti a provvedere in ordine alla domanda di affidamento da
parte di parenti entro il quarto grado, dopo averne verificato
l'idoneità a provvedere al minore, non ravvisandosi una situazione di
pregiudizio.
Il Tribunale per i minorenni, infatti, ha la funzione di controllo dell’esercizio della potestà genitoriale e di tutela del minore dalla condotta pregiudizievole dei genitori, con conseguente limitazione o decadenza della potestà (artt. 330-333 del Codice Civile), mentre non sembra sostenibile, ove il parente risulti idoneo a provvedere al minore, l’ipotesi di una condotta pregiudizievole da parte del genitore.
B) L'affidamento consensuale:
In questi casi sembrerebbe potersi disporre l’affidamento consensuale, cioè l’affidamento disposto dai servizi locali, previo consenso dei genitori o del tutore.
In genere, infatti, il minore è affidato al parente dai genitori stessi e quindi con il loro pieno consenso[13]. L’assenso dei genitori manca dunque non in senso sostanziale, ma in senso formale: manca cioè un atto con cui i genitori manifestano il loro consenso al servizio locale. In questa ipotesi dovrà essere chiarito, naturalmente, con quali modalità i genitori possano manifestare ai servizi locali il proprio consenso all’affidamento del minore: si può ipotizzare che tale consenso possa essere manifestato attraverso un atto notarile legalizzato presso la Rappresentanza Diplomatico-Consolare italiana nel Paese d’origine.
Come già visto sopra, una seconda modalità per disporre l'affidamento consensuale è che il Giudice Tutelare nomini un tutore, e che successivamente il tutore dia l'assenso all'affidamento; o, ancora, che il consenso sia manifestato dall’istituto di pubblica assistenza (ovvero, in genere, l’Ente locale) in quanto esercente i poteri tutelari ex art. 402 del Codice Civile.
2.2) L’affidamento formale a parenti
entro il quarto grado
Alcuni Tribunali (tra cui anche il Tribunale per i
minorenni di Torino[14])
e Giudici Tutelari si dichiarano incompetenti a provvedere in ordine alla
domanda di affidamento da parte di parenti entro il quarto grado, argomentando a
contrariis in base
all’art. 9 della l. 184/83 (“Chiunque, non essendo parente entro il
quarto grado, accoglie stabilmente nella propria abitazione un minore, qualora
l’accoglienza si protragga per un periodo superiore a sei mesi, deve,
trascorso tale periodo, darne segnalazione al giudice tutelare, che trasmette
gli atti al tribunale per i minorenni con relazione informativa").
Ora, in base all’art. 9 della l. 184/83 il
parente entro il quarto grado non ha il dovere di segnalare l’affidamento di fatto al Giudice
Tutelare, ma tale disposizione non sembra escludere che egli possa segnalare tale circostanza, chiedendo un
provvedimento formale. Né tanto meno sembra escludere che il parente
possa chiedere la formalizzazione dell’affidamento consensuale ai servizi
locali. La formalizzazione dell’affidamento al parente entro il quarto grado
non è necessaria,
ma non sembra neppure essere esclusa.
La disposizione formale dell’affidamento in questo caso non sarebbe un mero escamotage per ottenere il permesso di soggiorno, superando il problema determinato dalla mancata armonizzazione del T.U. 286/98 con la l. 184/83[15].
La formalizzazione rappresenterebbe invece una maggiore garanzia per tutelare l’interesse del minore in quanto comporterebbe un controllo da parte delle istituzioni italiane sull’identità e sull’idoneità del parente a provvedere al minore.
In caso contrario, infatti, non vi sarebbe alcuna verifica sul fatto che l’adulto al quale il minore è affidato di fatto sia realmente un parente entro il quarto grado, né che questi sia effettivamente idoneo dal punto di vista morale e materiale: gli operatori che venissero a conoscenza del minore affidato di fatto avrebbero dunque la responsabilità di questa valutazione, responsabilità alla quale tra l’altro non corrisponde la predisposizione dei mezzi necessari. Tale assenza di controllo, da alcuni ritenuta discutibile anche per quanto riguarda i minori italiani, è ancora più discutibile quando si tratti di minori stranieri i cui genitori risiedono all’estero.
Il controllo da parte dei servizi sociali potrebbe rappresentare una giusta via di mezzo tra la totale assenza di controllo e il controllo esercitato dall’Autorità Giudiziaria minorile che trova fondamento in una supposta situazione di pregiudizio.
La formalizzazione dell’affidamento, inoltre,
comporta l’assunzione da parte del parente di doveri chiaramente
stabiliti dalla legge (tra i quali la convivenza tra minore e affidatario) ed
il controllo continuativo da parte dei servizi sociali.
Inoltre, l’affidamento consensuale con consenso
manifestato dai genitori spingerebbe questi ultimi a “emergere” e
ad assumersi le loro responsabilità con un atto formale reso
ufficialmente presso l’Ambasciata italiana, nell’ambito delle
funzioni notarili che ad essa competono. Cosa che, a sua volta, faciliterebbe
il contatto tra le istituzioni italiane e i genitori — se non altro
perché in questo modo si saprebbe chi siano i genitori e come poterli
contattare — ai fini di una seria valutazione dell’interesse del
minore, anche in vista di un suo possibile rimpatrio.
Sarebbero, infine, eliminati i dubbi, che sono stati
talvolta espressi dalla Magistratura minorile, circa il rischio di aprire
tutele o disporre affidamenti contro la volontà degli esercenti la
potestà.
2.3) L’idoneità del parente a provvedere al
minore
Infine, sia che l’affidamento formale possa essere disposto, sia che non possa essere disposto, andranno chiariti quali sono i requisiti perché il parente venga considerato idoneo a provvedere al minore, e in particolare se saranno applicati gli stessi requisiti richiesti dal T.U. 286/98 per il ricongiungimento familiare.
Tale ipotesi non sembrerebbe legittima in quanto i
requisiti previsti dal T.U. si riferiscono alle norme sull’ingresso e il
soggiorno degli stranieri ed ai provvedimenti di competenza della Questura, e
non alle norme di tutela del minore di competenza dell’Autorità
Giudiziaria minorile o dei servizi locali.
Tali requisiti, inoltre, proprio in quanto si
riferiscono alle norme sull’ingresso e il soggiorno, sono criteri rigidi
che mal si adattano alla valutazione discrezionale necessaria per perseguire il
superiore interesse del minore.
Infine, l’applicazione di tali criteri
comporterebbe un’irragionevole disparità di trattamento tra minori
stranieri e minori italiani, in violazione del principio di non discriminazione.
Ci sembra dunque che l’idoneità del
parente a provvedere al minore dovrebbe essere valutata caso per caso e
indipendentemente dal procedimento relativo al permesso di soggiorno.
1) L’autorità competente
Le autorità
italiane sono competenti a disporre provvedimenti di tutela nei confronti del
minore presente sul territorio italiano:
·
anche nei
confronti del minore non abitualmente residente in Italia, in quanto norma di
necessaria applicazione (ex art. 17 della l. 218/95);
·
solo nei
confronti del minore abitualmente residente in Italia, ove si applichi la
Convenzione del 1961 (ex art. 42 della l. 218/95).
Ove, invece, il provvedimento di tutela sia considerato come
provvedimento urgente, valgono le osservazioni fatte sopra in relazione ai
provvedimenti urgenti: in tal caso, dunque, le autorità italiane
potranno disporre provvedimenti di tutela anche nei confronti del minore non
abitualmente presente in Italia.
2) La necessità di aprire sempre la tutela
Non è chiaro se dovrà sempre essere
aperta la tutela per ogni minore non accompagnato dai genitori.
2.1) Nel senso di una risposta positiva, le
seguenti considerazioni:
·
Il minore non
accompagnato dai genitori (anche se accompagnato da parenti entro il quarto
grado) si trova nella situazione prevista dal Codice Civile, art. 343 per
l’apertura della tutela (“Se entrambi i genitori sono morti o per
altre cause non possono esercitare la potestà dei genitori, si apre la
tutela [...]”), poiché tra le cause di impossibilità ad
esercitare la potestà genitoriale può essere ricompresa anche la
stabile lontananza.
·
Il minore, che
si trova in Italia privo di rappresentanza, ha necessità di un tutore
per essere rappresentato in particolare nel procedimento in cui dovrà
decidersi sul suo interesse a restare in Italia o ad essere rimpatriato. In tal
senso, riportiamo alcuni stralci del decreto della Corte d’Appello di
Torino del 10.12.1999 (est. Pazé)[16]: “A mente dell’art. 343 cod.
civ. quando i genitori per qualsiasi causa (compresa una stabile lontananza)
non possono esercitare la potestà con i poteri-doveri ad essa
conseguenti (mantenimento, istruzione, educazione) deve essere aperta una
tutela, affinché un tutore rappresenti il minore e abbia cura della sua
persona. Questa disposizione si riferisce a qualsiasi minore, italiano o
straniero. Attribuire una rappresentanza tutoria ad un minore straniero, che si
trovi in Italia da solo, è importante sia perché possano essere
fatti valere i suoi diritti (allo studio, alla salute, all’educazione, ad
una casa dove poter abitare, ad una crescita equilibrata ecc.), sia per la sua
assistenza ove commetta un reato, sia specificatamente perché il tutore
possa rappresentare l’interesse del minore nelle procedure amministrative
o giudiziarie che deve portare ad una decisione circa la permanenza in Italia o
il rimpatrio per il ricongiungimento alla famiglia. [...] Uno dei compiti del
tutore di un minore straniero non accompagnato deve essere quello di
rappresentarlo per la delicata scelta fra il suo rimpatrio (l’art. 17
legge 6 marzo 1998, n. 40 non consente che in situazione eccezionale
l’espulsione del minorenne) o l’accoglienza nel nostro paese. [...]
Di qui la necessità che un tutore ci sia - si tratti di un familiare o
di un tutore burocratico - per dare al minore una voce in scelte che non
possono essere prese solo sulla sua testa e che così profondamente
segneranno tutta la sua vita”.
·
La Risoluzione
del Consiglio dell’Unione Europea 26.6.97 stabilisce all’art. 3,
co. 4 che: “Ai fini dell'applicazione della presente risoluzione gli
Stati membri dovrebbero aver cura di fornire il più rapidamente
possibile ai minori la necessaria rappresentanza tramite: a) una tutela legale,
o b) un organismo (nazionale) incaricato della cura e del benessere dei minori,
o c) altra forma adeguata di rappresentanza.”
2.2) Nel senso di una risposta negativa,
invece:
·
La stabile
lontananza dei genitori non comporta necessariamente
l’impossibilità di esercitare la potestà, presupposto per
l’applicazione dell’art. 343 Codice Civile[17];
·
Il Regolamento
del Comitato per i minori stranieri, art. 3, co. 6 prevede la segnalazione al
Giudice Tutelare per l’apertura di una tutela non in via generale ma
“in caso di necessità” e solo come ipotesi eventuale:
“In caso di necessita', il Comitato comunica la situazione del minore al
giudice tutelare competente, per l'eventuale nomina di un tutore
provvisorio.”
3) I “requisiti” per
l’apertura della tutela
3.1) Un primo aspetto importante da chiarire
è se per l’apertura della tutela sia necessario (come è
stato talvolta richiesto dal Giudice Tutelare) che il minore possieda documenti
di identità e in particolare il passaporto.
Il provvedimento di tutela è un provvedimento a
protezione del minore, che trova il suo presupposto
nell’impossibilità dei genitori di esercitare la potestà
(art. 343 C.C.) e che dovrebbe essere disposto dal Giudice Tutelare
“appena avuta notizia del fatto da cui deriva l’apertura della tutela”
(art. 347 C.C.).
Di conseguenza, sembra pacifico che anche nei
confronti del minore privo di documenti possa e debba essere aperta la tutela.
3.2) Per quanto riguarda le cosiddette
“tutele civili”, andranno chiariti i requisiti che dovrà
avere il progetto educativo e di inserimento su cui tali tutele si fondano, e
in particolare se valgano ancora le indicazioni fornite nella nota della
Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Torino
riportata in appendice.
In tale nota si indicavano come condizioni
indispensabili perché la tutela costituisca un effettivo sostegno
educativo per il minore:
·
una situazione
abitativa stabile e decente, che consenta la costante reperibilità del
minore;
·
un progetto
formativo o un’occupazione lavorativa volti a favorire
l’inserimento sociale del minore, non potendosi a tal fine ritenere
sufficiente la sola frequenza di corsi di alfabetizzazione o di scuola media
per stranieri;
·
la vicinanza
(non in senso fisico) di adulti che possano costituire per il minore figure
positive di riferimento.
3.3) Per quanto riguarda invece i minori
affidati di fatto a parenti, sembra che la tutela debba essere deferita al
parente, ove questo risulti idoneo a prendersi cura del minore ed a
rappresentarlo: il Codice Civile, art. 348 prevede infatti che il Giudice
Tutelare scelga il tutore “preferibilmente tra gli ascendenti o tra gli
altri prossimi parenti o affini”.
In tal caso, andranno chiariti i criteri per stabilire se il parente
sia idoneo, e in particolare se essi coincidano con i requisiti richiesti per
il ricongiungimento familiare, ipotesi che - come già argomentato in
relazione all’affidamento - ci sembrerebbe non corretta.
3.4) Infine, ove non sia verificata la sussistenza
di un valido progetto educativo (per quanto riguarda le tutele civili), o il
parente al quale il minore è affidato non risulti idoneo, sembra che la
tutela debba comunque essere aperta, deferendola ad un “ente di
assistenza”, presumibilmente al Comune.
Al Comitato per i minori stranieri sono attribuiti “i compiti di
impulso e di raccordo con le amministrazioni interessate ai fini
dell'accoglienza” (T.U. 286/98, art 33 , come modificato dal Dlgs.
113/99, art. 5).
Il Comitato, “al fine di garantire l'adeguata accoglienza del
minore [...] puo' proporre al Dipartimento per gli affari sociali di stipulare
convenzioni con amministrazioni pubbliche e organismi nazionali e
internazionali che svolgono attivita' inerenti i minori non accompagnati in
conformita' ai principi e agli obiettivi che garantiscono il superiore
interesse del minore, la protezione contro ogni forma di discriminazione, il
diritto del minore di essere ascoltato” (Regolamento del Comitato per i
minori stranieri, art. 6, co. 2).
Come già notato sopra, infine, il regolamento di attuazione
della legge 476/98 (D.P.R. 492/99) attribuisce al Comitato le competenze
“concernenti l’ingresso, il soggiorno, l’accoglienza e
l’affidamento temporanei e il rimpatrio assistito dei minori […]
presenti per qualsiasi causa nel territorio dello Stato e privi di assistenza e
rappresentanza”.
Fonti normative ed altre disposizioni relative a
“Affidamento, tutela e altri
provvedimenti di protezione del minore sul territorio italiano”
Convenzione di New York
art. 20
1. Ogni fanciullo il quale é temporaneamente o definitivamente
privato del suo ambiente familiare oppure che non può essere lasciato in
tale ambiente nel suo proprio interesse, ha diritto ad una protezione e ad
aiuti speciali dello stato.
2. Gli Stati Parti prevedono per questo fanciullo una protezione sostitutiva,
in conformità con la loro legislazione nazionale.
3. Tale protezione sostitutiva può in particolare concretizzarsi
per mezzo di sistemazione in una famiglia, della kafalah di diritto islamico,
dell'adozione o in caso di necessità, del collocamento in un adeguato
istituto per l'infanzia. Nell'effettuare una selezione tra queste soluzioni, si
terrà debitamente conto della necessità di una certa
continuità nell'educazione del fanciullo, nonché della sua
origine etnica, religiosa, culturale e linguistica.
Codice Civile
Art. 317-bis Esercizio della potestà
Al genitore che ha riconosciuto il figlio naturale
spetta la potestà su di lui.
Se il riconoscimento è fatto da entrambi i
genitori, I'esercizio della potestà spetta congiuntamente ad entrambi
qualora siano conviventi. Si applicano le disposizioni dell'art. 316. Se i
genitori non convivono l'esercizio della potestà spetta al genitore col
quale il figlio convive ovvero, se non convive con alcuno di essi, al primo che
ha fatto il riconoscimento. Il giudice, nell'esclusivo interesse del figlio,
può disporre diversamente; può anche escludere dall'esercizio
della potestà entrambi i genitori, provvedendo alla nomina di un tutore.
Il genitore che non esercita la potestà ha il potere di vigilare
sull'istruzione, sull'educazione e sulle condizioni di vita del figlio minore.
Art. 330 Decadenza dalla potestà sui figli
Il giudice può pronunziare la decadenza della
potestà quando il genitore viola o trascura i doveri (147; Cod. Pen.
570) ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del
figlio. In tale caso, per gravi motivi, il giudice può ordinare
l'allontanamento del figlio dalla residenza familiare.
Art. 332 Reintegrazione nella potestà
Il giudice può reintegrare nella potestà
il genitore che ne è decaduto, quando, cessate le ragioni per le quali
la decadenza è stata pronunciata, e escluso ogni pericolo di pregiudizio
per il figlio.
Art. 333 Condotta del genitore pregiudizievole ai
figli
Quando la condotta di uno o di entrambi i genitori non
è tale da dare luogo alla pronuncia di decadenza prevista dall'art. 330,
ma appare comunque pregiudizievole al figlio, il giudice, secondo le
circostanze può adottare i provvedimenti convenienti e può anche disporre
l'allontanamento di lui dalla residenza familiare. Tali provvedimenti sono
revocabili in qualsiasi momento.
Art. 336 Procedimento
I provvedimenti indicati negli articoli precedenti
sono adottati su ricorso dell'altro genitore, dei parenti (77) o del pubblico
ministero e, quando si tratta di revocare deliberazioni anteriori, anche del
genitore interessato. Il tribunale provvede in camera di consiglio (Cod. Proc.
Civ. 737) assunte informazioni e sentito il pubblico ministero. Nei casi in cui
il provvedimento e richiesto contro il genitore, questi deve essere sentito. In
caso di urgente necessità il tribunale può adottare, anche di
ufficio, provvedimenti temporanei nell'interesse del figlio.
Art. 337 Vigilanza del giudice tutelare
Il giudice tutelare deve vigilare sull'osservanza
delle condizioni che il tribunale abbia stabilito per l'esercizio della
potestà e per l'amministrazione dei beni.
Art. 343 Apertura della tutela
Se entrambi i genitori sono morti o per altre cause
non possono esercitare la potestà dei genitori, si apre la tutela presso
il tribunale del circondario dove è la sede principale degli affari e
interessi del minore (att. 129). Se il tutore è domiciliato o
trasferisce il domicilio in altro circondario, la tutela può essere ivi
trasferita con decreto del tribunale.
Art. 347 Nomina del tutore e del protutore
Il giudice tutelare, appena avuta notizia del fatto da
cui deriva l’apertura della tutela, procede alla nomina del tutore e del
protutore.
Art. 348 Scelta del tutore
Il giudice tutelare nomina tutore la persona designata
dal genitore che ha esercitato per ultimo la patria potestà. La
designazione può essere fatta per testamento (587-2), per atto pubblico
o per scrittura privata autenticata (2699; 2703).
Se manca la designazione ovvero se gravi motivi si
oppongono alla nomina della persona designata, la scelta del tutore avviene
preferibilmente tra gli ascendenti o tra gli altri prossimi parenti o affini
(74, 78) del minore, i quali, in quanto sia opportuno, devono essere sentiti.
Il giudice, prima di procedere alla nomina del tutore,
deve anche sentire il minore che abbia raggiunto l'età di anni sedici.
In ogni caso la scelta deve cadere su persona idonea
all'ufficio, di ineccepibile condotta, la quale dia affidamento di educare e
istruire il minore conformemente a quanto è prescritto nell'art. 147.
Art. 354 Tutela affidata a enti di assistenza
La tutela dei minori, che non hanno nel luogo del loro
domicilio parenti conosciuti o capaci di esercitare l'ufficio di tutore,
può essere deferita dal giudice tutelare a un ente di assistenza nel
comune dove ha domicilio il minore o all'ospizio in cui questi e ricoverato
(402). L'amministrazione dell'ente o dell'ospizio delega uno dei propri membri
a esercitare le funzioni di tutela (355-2)
E' tuttavia in facoltà del giudice tutelare di
nominare un tutore al minore quando la natura o I'entità dei beni o
altre circostanze lo richiedono.
Art. 357 Funzioni del tutore
Il tutore ha la cura della persona del minore (371),
lo rappresenta in tutti gli atti civili e ne amministra i beni (362 e
seguenti).
Art. 361 Provvedimenti urgenti
Prima che il tutore o il protutore abbia assunto le
proprie funzioni, spetta al giudice tutelare di dare, sia d'ufficio sia su
richiesta del pubblico ministero, di un parente o di un affine del minore, i
provvedimenti urgenti che possono occorrere per la cura del minore o per
conservare e amministrare il patrimonio. Il giudice può procedere,
occorrendo, all'apposizione dei sigilli (Cod. Proc. Civ. 752 e seguenti),
nonostante qualsiasi dispensa.
Art. 371 Provvedimenti circa l'educazione e
l'amministrazione
Compiuto l'inventario, il giudice tutelare, su
proposta del tutore e sentito il protutore, delibera:
l) sul luogo dove il minore deve essere allevato e sul
suo avviamento agli studi o all'esercizio di un'arte, mestiere o professione,
sentito lo stesso minore se ha compiuto gli anni dieci, e richiesto, quando
è opportuno, I'avviso dei parenti prossimi e del comitato di patronato
dei minorenni;
2) sulla spesa annua occorrente per il mantenimento e
l'istruzione del minore e per l'amministrazione del patrimonio, fissando i modi
d'impiego del reddito eccedente;
[...]
Art. 402 Poteri tutelari spettanti agli istituti di
assistenza
L'istituto di pubblica assistenza esercita i poteri
tutelari sul minore ricoverato o assistito (406, 412), secondo le norme del
titolo X, capo I di questo libro (343 e seguenti), fino a quando non si
provveda alla nomina di un tutore, e in tutti i casi nei quali l'esercizio della
potestà dei genitori o della tutela sia impedito. Resta salva la
facoltà del giudice tutelare di deferire la tutela all'ente di
assistenza o all'ospizio, ovvero di nominare un tutore a norma dell'art. 354.
Nel caso in cui il genitore riprenda l'esercizio della
potestà dei genitori, l'Istituto deve chiedere al giudice tutelare di
fissare eventualmente limiti o condizioni a tale esercizio.
Art. 403 Intervento della pubblica autorità a
favore dei minori
Quando il minore è moralmente o materialmente
abbandonato o è allevato in locali insalubri o pericolosi, oppure da
persone per negligenza, immoralità, ignoranza o per altri motivi
incapaci di provvedere all'educazione di lui, la pubblica autorità, a
mezzo degli organi di protezione dell'infanzia, lo colloca in luogo sicuro,
sino a quando si possa provvedere in modo definitivo alla sua protezione.
Legge 184/83 (come modificata dalla legge 476/98)
Art. 2. Il minore che sia temporaneamente privo di un ambiente
familiare idoneo può essere affidato ad un'altra famiglia, possibilmente
con figli minori, o ad una persona singola, o ad una comunità di tipo
familiare, al fine di assicurargli il mantenimento, l'educazione e
l'istruzione.
Ove non sia possibile un conveniente affidamento familiare, è
consentito il ricovero del minore in un istituto di assistenza pubblico o
privato, da realizzarsi di preferenza nell'ambito della regione di residenza
del minore stesso.
Art. 3. L'istituto di assistenza pubblico o privato esercita i poteri
tutelari sul minore ricoverato o assistito, secondo le norme del capo I del
titolo X del libro I del codice civile, fino a quando non si provveda alla
nomina di un tutore, ed in tutti i casi nei quali l'esercizio della
potestà dei genitori o della tutela sia impedito. All'istituto di
assistenza spettano i poteri e gli obblighi dell'affidatario di cui
all'articolo 5.
Nel caso in cui i genitori riprendano l'esercizio della potestà,
l'istituto deve chiedere al giudice tutelare di fissare eventualmente limiti o
condizioni a tale esercizio.
Art. 4. L'affidamento familiare è disposto dal servizio locale,
previo consenso manifestato dai genitori o dal genitore esercente la
potestà, ovvero dal tutore, sentito il minore che ha compiuto gli anni
dodici e, se opportuno, anche di età inferiore. Il giudice tutelare del
luogo ove si trova il minore rende esecutivo il provvedimento con decreto.
Ove manchi l'assenso dei genitori esercenti la potestà o del
tutore, provvede il tribunale per i minorenni. Si applicano gli articoli 330 e
seguenti del codice civile.
Nel provvedimento di affidamento familiare debbono essere indicate
specificatamente le motivazioni di esso, nonché i tempi e i modi
dell'esercizio dei poteri riconosciuti all'affidatario. Deve inoltre essere
indicato il periodo di presumibile durata dell'affidamento ed il servizio
locale cui è attribuita la vigilanza durante l'affidamento con l'obbligo
di tenere costantemente informati il giudice tutelare od il tribunale per i
minorenni, a seconda che si tratti di provvedimento emesso ai sensi del primo o
del secondo comma.
L'affidamento familiare cessa con provvedimento della stessa
autorità che lo ha disposto, valutato l'interesse del minore, quando sia
venuta meno la situazione di difficoltà temporanea della famiglia di origine
che lo ha determinato, ovvero nel caso in cui la prosecuzione di esso rechi
pregiudizio al minore.
Il giudice tutelare, trascorso il periodo di durata previsto ovvero
intervenute le circostanze di cui al comma precedente, richiede, se necessario,
al competente tribunale per i minorenni l'adozione di ulteriori provvedimenti
nell'interesse del minore.
Il tribunale, sulla richiesta del giudice tutelare o d'ufficio
nell'ipotesi di cui al secondo comma, provvede ai sensi dello stesso comma.
Art. 5. L'affidatario deve accogliere presso di sé il minore e
provvedere al suo mantenimento e alla sua educazione e istruzione, tenendo
conto delle indicazioni dei genitori per i quali non vi sia stata pronuncia ai
sensi degli articoli 330 e 333 del codice civile, o del tutore, ed osservando
le prescrizioni eventualmente stabilite dall'autorità affidante.
Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dell'articolo 316
del codice civile.
L'affidatario deve agevolare i rapporti tra il minore e i suoi genitori
e favorirne il reinserimento nella famiglia di origine.
Le norme di cui ai commi precedenti si applicano, in quanto
compatibili, nel caso di minori ospitati presso una comunità alloggio o
ricoverati presso un istituto.
Art. 8. Sono dichiarati anche d'ufficio in stato di adottabilità
dal tribunale per i minorenni del distretto nel quale si trovano, i minori in
situazione di abbandono perché privi di assistenza morale e materiale da
parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purché la
mancanza di assistenza non sia dovuta a forza maggiore di carattere
transitorio.
La situazione di abbandono sussiste, sempre che ricorrano le condizioni
di cui al comma precedente, anche quando i minori siano ricoverati presso
istituti di assistenza o si trovino in affidamento familiare.
Non sussiste causa di forza maggiore quando i soggetti di cui al primo
comma rifiutano le misure di sostegno offerte dai servizi locali e tale rifiuto
viene ritenuto ingiustificato dal giudice.
Art. 9. Chiunque ha facoltà di segnalare alla autorità
pubblica situazioni di abbandono di minori di età.
I pubblici ufficiali, gli incaricati di un pubblico servizio, gli
esercenti un servizio di pubblica necessità, debbono riferire al
più presto al tribunale per i minorenni sulle condizioni di ogni minore
in situazione di abbandono di cui vengono a conoscenza in ragione del proprio
ufficio.
La situazione di abbandono può essere accertata anche d'ufficio
dal giudice.
Gli istituti di assistenza pubblici o privati devono trasmettere
semestralmente al giudice tutelare del luogo, ove hanno sede, l'elenco di tutti
i minori ricoverati con l'indicazione specifica, per ciascuno di essi, della
località di residenza dei genitori, dei rapporti con la famiglia e delle
condizioni psicofisiche del minore stesso. Il giudice tutelare, assunte le
necessarie informazioni, riferisce al tribunale per i minorenni sulle
condizioni di quelli tra i ricoverati che risultano in situazioni di abbandono,
specificandone i motivi.
Il giudice tutelare, ogni sei mesi, procede ad ispezioni negli istituti
ai fini di cui al comma precedente. Può procedere ad ispezioni
straordinarie in ogni tempo.
Chiunque, non essendo parente entro il quarto grado, accoglie
stabilmente nella propria abitazione un minore, qualora l'accoglienza si
protragga per un periodo superiore a sei mesi, deve, trascorso tale periodo,
darne segnalazione al giudice tutelare, che trasmette gli atti al tribunale per
i minorenni con relazione informativa. L'omissione della segnalazione
può comportare l'inidoneità ad ottenere affidamenti familiari o
adottivi e l'incapacità all'ufficio tutelare.
Nello stesso termine di cui al comma precedente uguale segnalazione
deve essere effettuata dal genitore che affidi stabilmente a chi non sia
parente entro il quarto grado il figlio minore per un periodo non inferiore a
sei mesi.
L'omissione della segnalazione può comportare la decadenza dalla
potestà sul figlio a norma dell'articolo 330 del codice civile e
l'apertura della procedura di adottabilità.
Art. 10. Il presidente del
tribunale per i minorenni, o un giudice da lui delegato, ricevute le
informazioni di cui all'articolo precedente, dispone di urgenza tramite i
servizi locali e gli organi di pubblica sicurezza approfonditi accertamenti
sulle condizioni giuridiche e di fatto del minore, sull'ambiente in cui ha
vissuto e vive ai fini di verificare se sussiste lo stato di abbandono.
Il tribunale può disporre in ogni momento e fino al
provvedimento di affidamento preadottivo ogni opportuno provvedimento
temporaneo nell'interesse del minore, ivi comprese, se del caso, la sospensione
della potestà dei genitori sul figlio e dell'esercizio delle funzioni
del tutore e la nomina di un tutore provvisorio.
In caso di urgente necessità, i provvedimenti di cui al comma
precedente possono essere adottati dal presidente del tribunale per i minorenni
o da un giudice da lui delegato.
Il tribunale, entro trenta giorni, deve confermare, modificare o
revocare i provvedimenti urgenti così assunti.
Il tribunale provvede in camera di consiglio, sentito il pubblico
ministero, i genitori, il tutore, il rappresentante dell'istituto presso cui il
minore è ricoverato o la persona cui egli è affidato e tenuto
conto di ogni altra idonea informazione. Deve inoltre essere sentito il minore
che ha compiuto gli anni dodici e, se opportuno, anche il minore di età
inferiore. I provvedimenti adottati debbono essere comunicati al pubblico
ministero ed ai genitori.
Si applicano le norme di cui agli articoli 330 e seguenti del codice
civile (5).
Art. 11. Quando dalle indagini previste
nell'articolo precedente risultano deceduti i genitori del minore e non
risultano esistenti parenti entro il quarto grado, il tribunale per i minorenni
provvede a dichiarare lo stato di adottabilità, salvo che esistano
istanze di adozione ai sensi dell'articolo 44. In tal caso il tribunale per i
minorenni decide nell'esclusivo interesse del minore.
[...]
Art. 12. Quando attraverso le indagini effettuate consta l'esistenza
dei genitori o di parenti entro il quarto grado indicati nell'articolo
precedente, che abbiano mantenuto rapporti significativi con il minore, e ne
è nota la residenza, il presidente del tribunale per i minorenni con
decreto motivato fissa la loro comparizione, entro un congruo termine, dinanzi
a sé o ad un giudice da lui delegato.
Nel caso in cui i genitori o i parenti risiedano fuori dalla
circoscrizione del tribunale per i minorenni che procede, la loro audizione
può essere delegata al tribunale per i minorenni del luogo della loro
residenza.
In caso di residenza all'estero è delegata l'autorità
consolare competente.
Udite le dichiarazioni dei genitori o dei parenti, il presidente del
tribunale per i minorenni o il giudice delegato, ove ne ravvisi
l'opportunità, impartisce con decreto motivato ai genitori o ai parenti
prescrizioni idonee a garantire l'assistenza morale, il mantenimento,
l'istruzione e l'educazione del minore, stabilendo al tempo stesso periodici
accertamenti da eseguirsi direttamente o avvalendosi del giudice tutelare o dei
servizi locali, ai quali può essere affidato l'incarico di operare al
fine di più validi rapporti tra il minore e la famiglia.
Il presidente o il giudice delegato può, altresì,
chiedere al pubblico ministero di promuovere l'azione per la corresponsione
degli alimenti a carico di chi vi è tenuto per legge e, al tempo stesso,
dispone, ove d'uopo, provvedimenti temporanei ai sensi del secondo comma
dell'articolo 10 .
Art. 13. Nel caso in cui i genitori ed i parenti di cui all'articolo
precedente risultino irreperibili ovvero non ne sia conosciuta la residenza, la
dimora o il domicilio, il tribunale per i minorenni provvede alla loro
convocazione ai sensi degli articoli 140 e 143 del codice di procedura civile,
previe nuove ricerche tramite gli organi di pubblica sicurezza.
Art. 15. A conclusione delle indagini e degli accertamenti previsti
dagli articoli precedenti, ove risulti la situazione di abbandono di cui
all'articolo 8, lo stato di adottabilità del minore è dichiarato
dal tribunale per i minorenni quando:
1) i genitori e i parenti convocati ai sensi degli articoli 12 e 13 non
si sono presentati senza giustificato motivo;
2) l'audizione dei medesimi ha dimostrato il persistere della mancanza
di assistenza morale e materiale e la non disponibilità ad ovviarvi;
3) le prescrizioni impartite ai sensi dell'articolo 12 sono rimaste
inadempiute per responsabilità dei genitori.
La dichiarazione dello stato di adottabilità del minore è
disposta dal tribunale per i minorenni in carnera di consiglio con decreto
motivato, sentito il pubblico ministero, nonché il rappresentante
dell'istituto presso cui il minore è ricoverato o la persona cui egli
è affidato. Deve essere, parimenti, sentito il tutore, ove esista, ed il
minore che abbia compiuto i dodici anni e, se opportuno, anche il minore di
età inferiore.
Art. 33, co. 5
Qualora sia comunque avvenuto l'ingresso di un
minore nel territorio dello Stato al di
fuori delle situazioni consentite, il pubblico ufficiale o l'ente
autorizzato che ne ha notizia lo
segnala al tribunale per i minorenni competente in relazione al luogo in cui il
minore si trova. Il tribunale, adottato ogni opportuno provvedimento temporaneo
nell'interesse del minore, provvede ai sensi dell'articolo 37-bis, qualora ne
sussistano i presupposti, ovvero segnala la situazione alla Commissione
affinché prenda contatto con il Paese di origine del minore e si proceda
ai sensi dell'articolo 34.
Art. 37-bis. — 1. Al minore straniero che si trova nello Stato in
situazione di abbandono si applica la legge italiana in materia di adozione, di
affidamento e di provvedimenti necessari in caso di urgenza.
D.P.R. 492/99
Art. 18.
Minori stranieri accolti o presenti nello Stato ai sensi dell'articolo
33 del decreto legislativo n. 286 del 1998
T.U. 286/98, art. 33 (come modificato dal Dlgs.
113/99, art. 5)
[...] b) le modalita' di accoglienza dei minori
stranieri non accompagnati presenti nel territorio dello Stato, nell'ambito
delle attivita' dei servizi sociali degli enti locali e i compiti di impulso e
di raccordo del Comitato di cui al comma 1 con le amministrazioni interessate
ai fini dell'accoglienza, del rimpatrio assistito e del ricongiungimento del
minore con la sua famiglia nel Paese d'origine o in un Paese terzo.".
Regolamento del Comitato per i minori stranieri
Art. 3.
3. Il
Comitato e' presieduto dal rappresentante designato dal Dipartimento per gli
affari sociali e si riunisce, su convocazione del presidente, che redige
l'ordine del giorno della riunione, in relazione a singole necessita' e almeno
una volta ogni trimestre.
[...]
5. In caso di urgenza, per situazioni in relazione
alle quali sia improcrastinabile l'intervento a tutela della salute psicofisica
del minore, i poteri del Comitato sono esercitabili dal presidente o da un
componente da lui delegato, salva la ratifica da parte del Comitato nella prima
riunione successiva all'esercizio dei poteri
medesimi. I provvedimenti non ratificati perdono efficacia dal momento in cui
sono stati adottati.
6. In caso di necessita', il Comitato comunica la situazione del minore al
giudice tutelare competente, per l'eventuale nomina di un tutore provvisorio.
Art. 6.
Accoglienza
1. Al minore non accompagnato sono garantiti i diritti relativi al
soggiorno temporaneo, alle cure sanitarie, all'avviamento scolastico e alle
altre provvidenze disposte dalla legislazione vigente.
2. Al fine di garantire l'adeguata accoglienza del minore il Comitato
puo' proporre al Dipartimento per gli affari sociali di stipulare convenzioni
con amministrazioni pubbliche e organismi nazionali e internazionali che
svolgono attivita' inerenti i minori non accompagnati in conformita' ai
principi e agli obiettivi che garantiscono il superiore interesse del minore,
la protezione contro ogni forma di discriminazione, il diritto del minore di
essere ascoltato.
Comitato per i minori stranieri -
Osservazioni del Presidente - 2 maggio 2000
[…] 4) Le modalità concrete per assicurare i
diritti previsti dall’art. 6.
Le modalità di accoglienza sono di competenza degli enti locali,
cui spetta di assicurare anche agli stranieri tutte le forme di assistenza: al
Comitato spetta solo vigilanza e controllo. Ci si domanda se gli enti locali si
attendano “linee guida” dal CMS.
Da molti Comuni si segnala a questo proposito
l’opportunità di rivedere la regola per cui le spese relative
debbono essere a carico totale dell’ente locale, tenendo conto del fatto
che i ragazzi stranieri da un lato spesso sono solo provvisoriamente nel luogo
dove vengono assistiti, poiché si spostano in continuità,
d’altro lato che più l’ente locale fa bene il suo dovere,
più li accorrono i minorenni non accompagnati. Il principio per cui
l’ente locale deve curarsi dei “suoi” bambini e ragazzi, non
dovrebbe valere quando si tratta di “passo” con sosta in un
determinato territorio.
Un problema specifico si pone in relazione alla nomina dei tutori da
parte del giudice tutelare (d’ora innanzi G.T.). anche nell’ambito
dell’assistenza può essere assai importante la nomina del tutore,
(che spetta al G.T. salvo che sia aperta procedura per la dichiarazione dello
stato di abbandono, nel qual caso e il T.M. che nomina il tutore). In
particolare si tratta di stabilire una corretta procedura per un eventuale
affidamento del minorenne straniero ad una famiglia o in comunità. Si
presuppone che il minorenne sia non accompagnato e quindi non siano reperibili
i genitori che dovrebbero dare il consenso ex art. 4 legge sull’adozione 4 maggio 1983 n. 184
(d’ora innanzi l.adoz.). la legge prevede che “ove manchi
l’assenso dei genitori” provvede il T.M. e pare di capire che
questa sia la prassi generalmente seguita.
Con la nomina preventiva di un tutore, che ex art. 4 l.adoz., potrebbe dare in consenso, si
eviterebbe di dover sempre passare dal tribunale per i minorenni. Si potrebbe
anche ipotizzare che il consenso sia dato dall’ente locale
nell’esercizio dei poteri tutelari ex art.1, n. 3 l.adoz., tenendo presente che il Comune
quale ente erogatore dell’assistenza ai minorenni è da considerare
istituto di pubblica assistenza che esercita i poteri tutelari sul minore
ricoverato od assistito. In sostanza ove sia l’ente locale a disporre
l’affidamento o in famiglia o in comunità 8con provvedimento che comprende
l’implicito “consenso” di chi esercita i poteri tutelari), il
G.T. potrebbe rendere esecutivo il provvedimento ex art. 4 c.1.
Si veda anche l’art. 3 della risoluzione del Cons. Europa 26
giugno 1997 per il quale occorre fornire il più rapidamente possibile la
necessaria rappresentanza legale tramite una tutela legale (G.T.), oppure, come
appunto è previsto dall’art. 3 l.adoz., tramite “un
organismo incaricato della cura e benessere dei minori”, qual è
l’ente locale, (è una ipotesi di lavoro, non una tesi: ma forse
è opportuno pensarci).
Non è infine da dimenticare che l’art. 371 cod.civ.
stabilisce che, aperta la tutela, è il G.T. su proposta del tutore che
delibera del luogo dove il minore deve essere allevato: è norma che non
è stata modificata dalla l.adoz. sicché non è da escludere
che possa risolvere alcuni casi di inserimento di minorenni in famiglie o
comunità.
[…] C, 2) Nella
materia dei minori presenti non accompagnati la competenza esclusiva riguarda:
[…] 2) L’accoglienza, solo per quanto riguarda la vigilanza
generica e l’eventuale proposta per la stipula di convenzioni.
[…] Infine si può avere un minore non accompagnato che sia
davvero in stato di abbandono, “buttato” all’estero,
soprattutto se molto giovane, senza riferimenti a parenti, od anche a persone
amiche e fidate, già in Italia.
E’ questo l’ambito in cui in teoria può profilarsi
un conflitto di competenza tra T.M. e Comitato quando il T.M. ritenga di
avviare la procedura per la dichiarazione dello stato di adottabilità e
la successiva adozione a norma anche dell’art. 40 l. 31.5.1995 n. 218
riforma del diritto internazionale privato ed il Comitato volesse invece
disporre il rimpatrio assistito.
Pare però che non dovrebbero porsi problemi gravi, se si
chiariscono alcune cose.
1) E’ bene che il procedimento di adottabilità sia
riservato a minori di 14 anni.
2) Se si apre il procedimento si devono assolutamente fare tutte le
ricerche per individuare la famiglia.
3) Il T.M. potrà rifiutare il nulla-osta al rimpatrio assistito
in quanto la presenza del minore in Italia è indispensabile anche
proceduralmente.
Sul punto n. 1 basti ricordare che i maggiori di 14 anni devono dare il
loro consenso ed è ben difficile che lo diano dei ragazzi che siano
venuti qui per emigrare, mandare i soldi a casa e poi magari tornare,
specialmente se provenienti da Paesi a religione islamica che vieta
l’adozione.
Sul punto n. 2 pare opportuno che T.M. e Comitato si scambino le
informazioni a loro disposizione e, forse, che le ricerche all’estero
siano svolte dal Comitato che comunque le deve svolgere ex art. 5 reg. e probabilmente avrà mezzi
più idonei, soprattutto dove agiscono enti internazionali convenzionati.
Sul punto n. 3 il Comitato rispetterà le esigenze del T.M. di
proseguire nella procedura nel permanere della presenza del minorenne in
Italia.
E, 2) Provvedimenti assistenziali e comunque di tutela del minorenne al
di fuori dei procedimenti adottivi
E’ da premettere che l’assistenza del minore straniero in
Italia è di competenza di organi amministrativi, essenzialmente enti
locali, i quali provvedono per assicurare i diritti previsti all’art. 6
reg.
L’assenza dei genitori o di altri parenti giustificano
l’intervento amministrativo provvisorio a norma degli artt. 402, 403
cod.civ., 2 e 3 l.adoz.
Il G.T. potrà o dovrà procedere alla nomina di un tutore,
quando ciò sia opportuno o necessario ove si richieda una decisione da
parte di un legale rappresentante.
Si potrà anche procedere ad un affidamento ex art. 2 segg. l.adoz.: e sarà opportuno
introdurre regole e prassi comuni per stabilire se questi affidamenti possono
essere fatti direttamente dall’ente di assistenza quale esercente i
poteri tutelari o sarà necessario l’assenso del tutore nominato
dal G.T. o se si applica l’art. 371 cod.civ. se si dovrà
provvedere tramite la decisione del T.M. in quanto non si ha la presenza e
dunque il consenso dei genitori. (cfr. retro punto B, 5)
Se il minorenne resta in Italia convenientemente assistito, il Comitato
non avrà altro da fare che inserire i dati nella Banca – dati
(censimento), se necessario accertarne lo status e ricercare i familiari, in collaborazione con le
amministrazioni interessate.
Se ricorrono invece i presupposti e le
condizioni di cui all’art. 7 reg. potrà disporre il rimpatrio assistito.
Sul punto è da ricordare che sia la risoluzione del Consiglio europeo
sia il T.U. sia infine il regolamento del C.S.M. stabiliscono condizioni che
assicurano il rispetto del migliore interesse del minore.
Ovviamente, fin quando il minorenne è in Italia, in applicazione
della Convenzione dell’Aja 5 ottobre 1961 e dell’art. 42
dir.int.priv., gli organi giudiziari minorili potranno prendere tutti i
provvedimenti utili o necessari nell’interesse di lui, quegli stessi
provvedimenti che potrebbero prendere nei confronti di minorenni italiani.
Potranno in specie applicarsi sia gli artt. 330 e segg. cod.civ. ove si
ritenga esservi stata violazione dei doveri od abuso dei poteri dei genitori,
sia i provvedimenti di affidamento al servizio sociale (o ricoveri in CRM)
previsti nella competenza amministrativa dei T.M. (art. 25 legge sul T.M.)
quando si accerti l’irregolarità del minorenne nella condotta o
nel carattere.
Dovrà essere però rispettata la Convenzione
dell’Aja, informando l’autorità dello Stato del quale il
minorenne è cittadino (art. 11 conv.) e collaborando con essa (art. 10
conv.).
In tutti i casi sarà necessario seguire le regole di procedura
badando che il genitore sia sentito o messo in condizione di essere seguito.
[…]
[…] Sulla base
di quanto sin qui detto, pare opportuno precisare che le competenti
autorità che vengano a conoscenza di un minore straniero non
accompagnato devono:
·
Accertare
-
l'identità
ed in particolare l'età di lui;
-
se esistono e
dove stanno i familiari del minorenne, cercando di ottenere direttamente da lui
ogni utile informazione in merito;
-
quali le
condizioni di vita, le ragioni del suo ingresso nel territorio italiano, gli
studi compiuti, le attività di formazione e di lavoro svolte, le
intenzioni per il futuro sia del minorenne che dei suoi genitori e tutori,
anche riguardo al rimpatrio;
·
Informare il
Comitato delle indagini svolte e dunque delle informazioni raccolte.
·
Provvedere
intanto all'accoglienza.
Si ricorda, su questo punto, che tra le modalità di accoglienza
sono compresi tutti gli interventi utili a favorire il normale sviluppo del
minorenne (quindi non il mero mantenimento o la sola ospitalità, ma
anche le cure necessarie, l'istruzione, la formazione, lo sport e quant'altro
necessario) in quanto i diritti del fanciullo sono, dalla Convenzione di New
York, attribuiti ad ogni minorenne indifferente essendo la sua origina
nazionale.
E' da precisare tuttavia che l'accoglienza ha il senso di assicurare i
diritti del fanciullo per tutto il periodo in cui proseguirà la sua
permanenza in Italia. Tale permanenza è intesa come temporanea, dovendosi
provvedere, ove ne ricorrano le condizioni, al rimpatrio assistito, vale a dire
al ricongiungimento con il nucleo parentale originario od al riaffidamento alle
Autorità responsabili del paese di origine.
[…] 4.4
Si precisa ancora che: […] Se a seguito delle informazioni
ottenute dal Comitato, anche attraverso l'intervento di organismi
internazionali coi quali esistano convenzioni o con la collaborazione delle
autorità consolari e diplomatiche straniere in Italia, risultassero non
esistenti nuclei familiari del minorenne, o autorità del Paese d'origine
disposti ad assumerne l'affidamento a seguito di rimpatrio, il Comitato ne
informerà l'autorità giudiziaria competente per la valutazione
dell'eventuale stato di abbandono e per i conseguenti provvedimenti. In
proposito si terrà conto delle raccomandazioni formulate in sede
internazionale (cfr. linee-guida UNHCR) per cui le ricerche dei familiari, di
un minorenne straniero apparentemente abbandonato, debbono proseguire per
almeno due anni prima di potere dichiarare lo stato di abbandono. […]
Risoluzione del Consiglio dell’Unione Europea 26.6.97
Articolo 3:
Garanzie minime per tutti i minori non accompagnati
[...]
2. I minori non accompagnati, indipendentemente dal loro status
giuridico, dovrebbero aver diritto alla protezione e alle cure elementari
necessarie, in conformità del diritto interno dello Stato membro in
questione.
3, Gli Stati membri dovrebbero adoperarsi, ai fini del
ricongiungimento, per rintracciare il più rapidamente possibile i familiari
di un minore non accompagnato o per individuare il domicilio di detti
familiari, indipendentemente dal loro status giuridico e senza previo esame
della fondatezza di un'eventuale domanda di soggiorno.
I minori non accompagnati possono anche essere incoraggiati e aiutati a
prendere contatto con il Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR), con
organizzazioni nazionali della Croce Rossa o altre organizzazioni per
rintracciare i loro familiari. Soprattutto nel caso di richiedenti asilo, in
tutti i contatti presi in tal senso si dovrebbe garantire la debita
riservatezza al fine di proteggere sia il minore sia i suoi familiari.
4. Ai fini dell'applicazione della presente risoluzione gli Stati
membri dovrebbero aver cura di fornire il più rapidamente possibile ai
minori la necessaria rappresentanza tramite:
a) una tutela legale, o
b) un organismo (nazionale) incaricato della cura e del benessere dei
minori, o
c) altra forma adeguata di rappresentanza.
5. Qualora ad un minore non accompagnato
venga assegnato un tutore, questi dovrebbe provvedere in conformità
della legislazione nazionale, affinché le esigenze, per esempio
giuridiche, sociali, mediche o psicologiche, del minore siano debitamente
soddisfatte.
LA SCELTA TRA ACCOGLIENZA E RIMPATRIO,
L’ADOZIONE DEL PROVVEDIMENTO DI RIMPATRIO E LA SUA ESECUZIONE
Tentiamo ora di affrontare la questione della scelta
tra accoglienza e rimpatrio e dell’attuazione del rimpatrio dal punto di
vista procedurale, rimandando alla seconda parte (“Aspetti di merito:
Qualche riflessione sulla scelta tra accoglienza e rimpatrio”) per gli
aspetti di merito.
1) La competenza per la scelta tra accoglienza e rimpatrio e per l’adozione del provvedimento di rimpatrio
1) Le disposizioni
rilevanti in materia
Richiamiamo brevemente le principali
disposizioni in materia di competenza alla scelta tra accoglienza e rimpatrio
del minore e all’adozione del provvedimento di rimpatrio:
1) La legge 184/83, art.
33, co. 5 (come modificata dalla legge 476/98) stabilisce che:
“Qualora sia comunque avvenuto
l'ingresso di un minore nel territorio dello Stato al di fuori delle situazioni
consentite, il pubblico ufficiale o l'ente autorizzato che ne ha notizia lo
segnala al tribunale per i minorenni competente in relazione al luogo in cui il
minore si trova. Il tribunale, adottato ogni opportuno provvedimento temporaneo
nell'interesse del minore, provvede ai sensi dell'articolo 37-bis, qualora ne
sussistano i presupposti, ovvero segnala la situazione alla Commissione
[cioè la Commissione per le adozioni internazionali] affinché
prenda contatto con il Paese di origine del minore e si proceda ai sensi
dell'articolo 34.”
In questo articolo sembra essere
implicitamente attribuita al Tribunale per i minorenni la decisione tra
l’accoglienza (da attuarsi con gli strumenti previsti dall’art.
37-bis: affidamento, adozione e provvedimenti necessari in caso di urgenza) o
il rimpatrio, che non viene però disposto dal Tribunale stesso.
La formulazione dell’articolo è
però estremamente ambigua e confusa: esso prevede infatti la
segnalazione alla Commissione per le adozioni internazionali, che deve prendere
contatto con il Paese di origine e “procedere ai sensi
dell’articolo 34”, articolo che però non riguarda in alcun
modo il rimpatrio.
2) T.U.
286/98 (come modificato dal Dlgs. 113/99); regolamento del Comitato per i
minori stranieri; D.P.R. 492/99:
a) Il T.U. 286/98, art. 33 (come modificato dal
Dlgs. 113/99, art. 5) stabilisce che “[...] Il provvedimento di rimpatrio
del minore straniero non accompagnato per le finalita' di cui al comma 2, e'
adottato dal Comitato di cui al comma 1 [cioè il Comitato per i minori
stranieri]. Nel caso risulti instaurato nei confronti dello stesso minore un
procedimento giurisdizionale, l'autorita' giudiziaria rilascia il nulla osta,
salvo che sussistano inderogabili esigenze processuali."
b) Il Regolamento del
Comitato per i minori stranieri dispone:
· all’art. 2, co. 2: “Ai fini del comma 1, il
Comitato: [...] g) in base alle informazioni ottenute, puo' adottare, ai fini
di protezione e di garanzia del diritto all'unita' familiare di cui
all'articolo 1, comma 4, il provvedimento di cui all'articolo 7, di rimpatrio
assistito dei minori presenti non accompagnati;”
· all’art. 7, co. 2 “Salva
l'applicazione delle misure previste dall'articolo 6, il Comitato dispone il
rimpatrio assistito del minore presente non accompagnato, assicurando che
questi sia stato previamente sentito, anche dagli enti interessati
all'accoglienza, nel corso della procedura.”
c) Il
regolamento di attuazione della legge 476/98, D.P.R. 492/99, art. 18 stabilisce
che:
“Sono fatte salve
le competenze del Comitato per i minori stranieri di cui all'articolo 33 del
decreto legislativo 25 luglio 1988, n. 286, come modificato dal decreto
legislativo 13 aprile 1999, n. 113, e del relativo decreto di attuazione,
concernenti l'ingresso, il soggiorno, l'accoglienza e l'affidamento temporanei
e il rimpatrio assistito dei minori accolti nell'ambito di programmi
solidaristici, ovvero presenti per qualsiasi causa nel territorio dello Stato e
privi di assistenza e di rappresentanza. La Commissione provvede a comunicare
al Comitato per i minori stranieri i nominativi dei minori la cui presenza e'
segnalata sul territorio dello Stato ai sensi dell'articolo 33, comma 5, della
legge sull'adozione.”
Il regolamento di
attuazione della legge 476/98 prende dunque atto dell’innovazione
introdotta dal Dlgs. 113/99 e, in modo assai discutibile dal punto di vista
della gerarchia delle fonti, modifica la legge stessa di cui dovrebbe essere
mera norma attuativa: la Commissione per le adozioni internazionali
dovrà infatti comunicare a sua volta al Comitato per i minori stranieri
i nominativi dei minori segnalatile dal Tribunale per i minorenni.
Þ Dunque, in base al T.U. 286/98 (come modificato dal
Dlgs. 113/99), al Regolamento del Comitato per i minori stranieri e al D.P.R.
492/99, la competenza ad adottare il provvedimento di rimpatrio è
attribuita in modo chiaro al Comitato per i minori stranieri.
3) Il Codice
Civile stabilisce all’art. 371 che “[...] il giudice tutelare, su
proposta del tutore e sentito il protutore, delibera: 1) sul luogo dove il
minore deve essere allevato [...]”: questo articolo è stato
talvolta richiamato per giustificare la competenza del Giudice Tutelare a
disporre il provvedimento di rimpatrio, benchè questo riferimento sia
stato da più parti messo in discussione.
4) Infine,
citiamo le disposizioni della legge 64/94 relative al rimpatrio ai sensi della
Convenzione dell’Aja sul rimpatrio del 1970, benché non in vigore
(in quanto tale Convenzione non è internazionalmente in vigore), in
quanto ci sembra interessante notare come il legislatore abbia voluto
attribuire all’Autorità Giudiziaria minorile (e non ad
un’Autorità Amministrativa) tale competenza.
La legge 64/94, infatti,
stabilisce che “1. Le decisioni sulle richieste di rimpatrio di minori
dal territorio dello Stato, avanzate dalle autorità straniere, ai sensi
dell’art. 2, paragrafo 1 e dell’art. 4 della convenzione de
L’Aja del 28 maggio 1970, sono adottate dal tribunale per i minorenni del
luogo dove il minore risiede. [...] 4. Le richieste di rimpatrio di minori
verso uno Stato contraente ai sensi dell’art. 2, paragrafo 2, e
dell’art. 14 della convenzione de L’Aja del 28 maggio 1970, sono di
competenza del tribunale per i minorenni del luogo ove il minore
risiede.” (legge 64/94, art. 5, co. 1 e 4).
In questo articolo,
dunque, la competenza a decidere sulla richiesta di rimpatrio da parte dello
Stato estero ai sensi della
Convenzione dell’Aja del 1970 ovvero a formulare la richiesta di
rimpatrio allo Stato estero (per il tramite dell’autorità
centrale, cioè dell’Ufficio per la Giustizia Minorile del
Ministero di Grazia e Giustizia) è chiaramente attribuita al Tribunale
per i minorenni.
2) Le questioni aperte
Se la competenza ad
adottare il provvedimento di rimpatrio è chiaramente attribuita al
Comitato per i minori stranieri, numerosi aspetti restano invece poco chiari,
in particolare riguardo alla scelta tra accoglienza e rimpatrio:
1) La decisione sull’interesse del
minore a restare in Italia o ad essere rimpatriato è di competenza del
Tribunale per i minorenni o del Comitato per i minori stranieri? E quale
sarà la relazione tra i provvedimenti del Comitato per i minori
stranieri e i provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria minorile?
a) Le disposizioni della l. 476/98 e del
T.U. 286/98 (come modificato dal Dlgs. 113/99) sono evidentemente in contrasto:
· La legge 476/98, infatti, pare stabilire che
il Comitato debba intervenire solo dopo che il Tribunale per i minorenni abbia deciso di non
adottare un provvedimento di adozione, affidamento o un provvedimento
necessario in caso di urgenza, e quindi sembra escludere che il Tribunale per i
minorenni debba revocare tale provvedimento: anzi, nel caso in cui il Tribunale
abbia disposto il provvedimento, sembrerebbe non dover neppure segnalare il
minore alla Commissione per le adozioni internazionali (e da questa a sua volta
al Comitato per i minori stranieri) e quindi non dovrebbe aver luogo alcuna
decisione del Comitato stesso.
In base a
tale disposizione, dunque, la decisione tra accoglienza in Italia e rimpatrio
sembra essere attribuita in prima istanza al Tribunale per i minorenni.
· Il T.U. 286/98 (come modificato dal Dlgs.
113/99), invece, attribuendo al Comitato per i minori stranieri la competenza
ad adottare il provvedimento di rimpatrio, limita l’intervento
dell’Autorità Giudiziaria al rilascio di un nulla-osta nel caso
che vi sia un procedimento giurisdizionale in corso, atto che sembra dovuto
salvo che sussistano inderogabili esigenze processuali: pare dunque che, una
volta adottata dal Comitato la decisione del rimpatrio del minore,
l'Autorità Giudiziaria minorile non potrà far altro che
adeguarvisi, revocando la tutela, l’affidamento o il provvedimento
necessario in caso di urgenza eventualmente disposto in precedenza.
La competenza a decidere
sull’interesse del minore a restare in Italia o ad essere rimpatriato
sembra dunque essere attribuita unicamente al Comitato per i minori stranieri.
In modo
assai poco chiaro, poi, il Regolamento del Comitato per i minori stranieri,
stabilisce che il provvedimento di rimpatrio dovrà essere conforme alle
disposizioni dell’Autorità Giudiziaria (Regolamento del Comitato
per i minori stranieri, art. 1, co. 4 e art. 7, co. 1).
b)
Rispetto al nulla-osta dell’Autorità Giudiziaria minorile
al rimpatrio disposto dal Comitato, inoltre, andrà chiarito che cosa
accadrebbe se l’Autorità Giudiziaria opponesse “inderogabili
esigenze” non processuali ma sostanziali, con riferimento al superiore
interesse del minore.
2) Non
è chiaro quale sia il significato del riferimento dell’art. 33
della legge 184/83 (relativo all’intervento della Commissione per le
adozioni internazionali) al successivo art. 34.
L’art. 34, infatti,
stabilisce che “1. Il minore che ha fatto ingresso nel territorio dello
Stato sulla base di un provvedimento straniero di adozione o di affidamento a
scopo di adozione gode, dal momento dell'ingresso, di tutti i diritti
attribuiti al minore italiano in affidamento familiare. 2. Dal momento
dell'ingresso in Italia e per almeno un anno, ai fini di una corretta integrazione
familiare e sociale, i servizi socio-assistenziali degli enti locali e gli enti
autorizzati, su richiesta degli interessati, assistono gli affidatari, i
genitori adottivi e il minore. Essi in ogni caso riferiscono al tribunale per i
minorenni sull'andamento dell'inserimento, segnalando le eventuali
difficoltà per gli opportuni interventi. 3. Il minore adottato acquista
la cittadinanza italiana per effetto della trascrizione del provvedimento di
adozione nei registri dello stato civile.”
Il riferimento
all’art. 34 significa che il minore non accompagnato ed irregolare gode
degli stessi diritti del minore entrato in Italia con provvedimento di adozione
o affidamento a scopo di adozione, o che il minore deve comunque essere
affidato, o deve intendersi in altro modo?
Non è chiaro, in
ogni caso, se vi sia una relazione con il provvedimento di rimpatrio.
2) Le procedure per la scelta tra accoglienza e
rimpatrio e per l’adozione del provvedimento di rimpatrio
Dopo aver trattato la
questione delle competenze, analizziamo brevemente alcune problematiche
relative alle procedure per la scelta tra accoglienza e rimpatrio e per
l’adozione del provvedimento di rimpatrio stesso, ed in particolare le
problematiche riguardanti: a) la relazione tra i procedimenti per la tutela,
l’affidamento e il rimpatrio; b) i tempi della procedura; c) la
partecipazione del minore[18].
1) La
relazione tra i procedimenti per la tutela, l’affidamento, il rimpatrio
Andrà chiarito, in
connessione con le problematiche appena analizzate relative alle competenze,
quale sarà la relazione tra i procedimenti per la tutela, per
l’affidamento, per il rimpatrio.
In particolare,
l’Autorità Giudiziaria attenderà che il Comitato per i
minori stranieri abbia deciso di non rimpatriare il minore, prima di disporre
la tutela o l'affidamento?
Oppure disporrà
comunque la tutela o l’affidamento, ove ne sussistano i presupposti,
indipendentemente dall’altro procedimento, di competenza
dell’Autorità Amministrativa?
O, ancora,
disporrà comunque la tutela in modo che il minore possa essere
rappresentato nel procedimento e attenderà invece la decisione del
Comitato per disporre l’affidamento?
2) I
tempi
E’ molto importante
che la decisione sull’interesse del minore a restare in Italia o al
contrario ad essere rimpatriato sia assunta in tempi rapidi.
La personalità in
formazione, infatti, è molto più fragile di quella
dell’adulto. Un periodo di forte incertezza e instabilità sul
proprio futuro può indurre il minore, la cui identità personale e
sociale non è ancora solidamente formata, ad abbandonare ogni percorso
positivo di integrazione e ad imboccare invece percorsi di devianza: situazione
che, a sua volta, influenzerà fortemente la formazione della sua
identità, con effetti negativi sul suo intero percorso di vita.
Oltre agli effetti
psicologici di un prolungato periodo di incertezza, vi è un altro
aspetto da considerare in relazione alla necessità di una decisione in
tempi rapidi: l’inserimento del minore e la creazione di legami sociali e
affettivi sul territorio italiano.
Infatti, nel caso in cui
trascorra un periodo di alcuni mesi e il minore inizi a frequentare la scuola e
a crearsi legami sociali e affettivi significativi, la decisione sul rimpatrio
dovrà necessariamente tenerne conto. Tale aspetto ha rilevanza, come
abbiamo già visto, nella definizione di “residenza abituale”
del minore e quindi, secondo la Convenzione dell’Aja del 1961, determina
quale Stato sia competente in via generale alla protezione del minore.
L’importanza del
tempo trascorso e dell’effettivo inserimento, inoltre, viene
esplicitamente fatta rilevare dalle Convenzioni internazionali addirittura nei
casi di sottrazione del minore contro la volontà del genitore che ne ha
l’affidamento, e a maggior ragione dunque pare debba essere presa in
considerazione nei casi in cui vi è il consenso dei genitori[19].
3) La
partecipazione del minore
Un altro aspetto
procedurale molto importante è la partecipazione del minore al
procedimento.
Andranno chiarite le
modalità di tale partecipazione, ed in particolare le modalità
con cui il minore deve essere sentito e le questioni connesse con la
rappresentanza del minore stesso.
3.1) Le
modalità con cui il minore deve essere sentito:
Numerose disposizioni
stabiliscono chiaramente che il minore deve essere sentito nel corso del
procedimento:
· la Convenzione di New York, art. 12,
stabilisce che: “1. Gli Stati Parti garantiscono al fanciullo capace di
discernimento il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni
questione che lo interessa, le opinioni del fanciullo essendo debitamente prese
in considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di
maturità. 2. A tal fine, si darà in particolare al fanciullo la
possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o
amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante
o un organo appropriato, in maniera compatibile con le regole di procedura
della legislazione nazionale.”[20]
· il Regolamento del Comitato per i minori
stranieri, prevede:
- all’art. 7, co. 2
“ Salva l'applicazione delle misure previste dall'articolo 6, il Comitato
dispone il rimpatrio assistito del minore presente non accompagnato,
assicurando che questi sia stato previamente sentito, anche dagli enti
interessati all'accoglienza, nel corso della procedura.”
- all’art. 6, co. 2
“2. Al fine di garantire l'adeguata accoglienza del minore il Comitato
puo' proporre al Dipartimento per gli affari sociali di stipulare convenzioni
con amministrazioni pubbliche e organismi nazionali e internazionali che svolgono
attivita' inerenti i minori non accompagnati in conformita' ai principi e agli
obiettivi che garantiscono il superiore interesse del minore, la protezione
contro ogni forma di discriminazione, il diritto del minore di essere
ascoltato.”
Il Regolamento del
Comitato per i minori stranieri, tuttavia, non stabilisce chiaramente:
· da quale ente o organo il minore debba essere
sentito;
· in quale momento del procedimento il minore
debba essere sentito;
· in merito a che cosa: alla sua situazione in
Italia, alla famiglia, alla situazione più generale nel Paese d'origine,
alla sua volontà ...
Le Linee Guida del Comitato per i minori stranieri dell’11 gennaio 2001 stabiliscono che
· “[…] le competenti autorità che vengano a conoscenza di un minore straniero non accompagnato devono: a) Accertare - l'identità ed in particolare l'età di lui; - se esistono e dove stanno i familiari del minorenne, cercando di ottenere direttamente da lui ogni utile informazione in merito; - quali le condizioni di vita, le ragioni del suo ingresso nel territorio italiano, gli studi compiuti, le attività di formazione e di lavoro svolte, le intenzioni per il futuro sia del minorenne che dei suoi genitori e tutori, anche riguardo al rimpatrio […]”;
· “[…] a) l'audizione del minore per accertarne l'opinione in merito ad un eventuale rimpatrio assistito che non può essere fatta direttamente dal Comitato, è riservata all'autorità locale, la quale dovrà fare in modo che ne risulti non solo una affermazione di consenso o dissenso ma anche le motivazioni di essa. […]”
Rispetto alla questione di quale organo debba
sentire il minore, è evidente che tale organo non può essere il
Comitato per i minori stranieri, sia per l'elevato numero dei minori segnalati,
sia per problemi logistici, sia perché un organo a livello nazionale non
può valutare in modo appropriato la situazione del minore sul
territorio.
La soluzione adottata nelle Linee Guida
– cioè che a sentire il minore sia l'"autorità
locale", ossia presumibilmente i servizi sociali del Comune – ci
sembra tuttavia presentare anche alcuni rischi: può accadere, infatti,
che l’Ente locale, dovendo farsi carico dell’accoglienza del
minore, abbia la tendenza a ridurre al minimo i minori stranieri non
accompagnati accolti sul suo territorio, e quindi sia propenso ad interpretare
l’opinione del minore in un senso tendenzialmente favorevole al
rimpatrio.
Ci sembra invece che la soluzione che
maggiormente garantirebbe il diritto di partecipazione del minore sarebbe che
questi fosse sentito da un’autorità indipendente e non
centralizzata e avete per compito la tutela del minore, quale è
l’Autorità giudiziaria minorile.
3.2) La rappresentanza del
minore:
Perché il minore possa essere
rappresentato nel corso del procedimento, è necessario che il Giudice
Tutelare nomini un tutore.
Si dovrà quindi chiarire:
· se dovrà essere sempre nominato un
tutore, così come sembra prevedere la Convenzione di New York, art. 12 e
come sostenuto da alcuni Magistrati (vedi il già citato decreto della
Corte d’Appello di Torino riportato in appendice);
· oppure se tale nomina debba avvenire solo
“in caso di necessità” e solo eventualmente, così
come stabilito dal Regolamento del Comitato per i minori stranieri, art. 3, co.
6 (“In caso di necessita', il Comitato comunica la situazione del minore
al giudice tutelare competente, per l'eventuale nomina di un tutore
provvisorio.”); in questa seconda ipotesi, dovrà allora essere
chiarito cosa si intenda con l’espressione “in caso di necessità”.
4) Altre questioni processuali
Il T.U. 286/98, il Dlgs. 113/99, il
regolamento di attuazione del T.U. 286/98 e il Regolamento del Comitato per i
minori stranieri non stabiliscono norme chiare sulle procedure con cui il
Comitato dovrà disporre il provvedimento di rimpatrio.
Un aspetto importante che non viene chiarito
è se il Comitato dovrà assumere le decisioni in seduta
“plenaria”, riunendosi, su convocazione del presidente,
“almeno una volta ogni trimestre” (Regolamento del Comitato per i
minori stranieri, art. 3).
La risposta pare dover essere positiva, in
quanto non sembra potersi includere il rimpatrio tra gli interventi urgenti
"a tutela della salute psico-fisica" che possono essere assunti dal
presidente del Comitato o da un suo delegato. Se effettivamente le decisioni
venissero prese una volta ogni trimestre, sembrerebbe discenderne una
sostanziale impossibilità ad adottare decisioni in tempi rapidi.
Citiamo nuovamente, a mero fine di paragone,
il modo in cui la legge 64/94 disciplina la procedura per la decisione sul
rimpatrio disposto dal Tribunale per i minorenni ai sensi della Convenzione de
L’Aja del 1970 (che, ricordiamo, non è internazionalmente in
vigore): l'art. 5 della legge 64/94 dispone che il Tribunale per i minorenni
decida con decreto in camera di consiglio, su ricorso del pubblico ministero,
anche a seguito di richiesta dell’autorità centrale, cioè
dell’Ufficio per la Giustizia Minorile del Ministero di Grazia e
Giustizia (nel caso di richiesta di rimpatrio all’Italia da parte dello
Stato estero); ovvero su ricorso degli interessati, sentito il pubblico
ministero o su ricorso proposto d’ufficio dal pubblico ministero, con
successiva trasmissione della decisione all’autorità centrale per
i provvedimenti di competenza (nel caso di richiesta di rimpatrio da parte
dell’Italia allo Stato estero).
3) I rimedi di tutela giurisdizionale e
amministrativa contro il provvedimento di rimpatrio
1) Il T.U. 286/98, il Dlgs 113/99, il
regolamento di attuazione del T.U. 286/98 e il Regolamento del Comitato per i minori
stranieri non dettano alcuna
disposizione circa i rimedi di tutela amministrativa e giurisdizionale contro
il provvedimento di rimpatrio disposto dal Comitato per i minori stranieri.
Andrà chiarito quali siano tali rimedi
e quali procedure dovranno essere seguite.
Citiamo ancora a fine di paragone la
disposizione (non in vigore) della legge 64/94 che stabilisce che contro il
decreto di rimpatrio disposto dal Tribunale per i minorenni ai sensi della
Convenzione de L’Aja del 1970 è ammesso ricorso per cassazione.
2) Perché il minore possa
presentare ricorso contro il provvedimento di rimpatrio, è necessario
che sia nominato un tutore che lo rappresenti.
3) Il rimpatrio ha effetti molto rilevanti
sulla vita del minore e, ove non sia effettivamente rispondente
all’interesse del minore, può provocare danni gravi e
irreparabili: il ricorso, dunque, dovrebbe sospendere l’esecuzione del
rimpatrio.
4) La decisione sul ricorso, infine,
dovrebbe essere assunta in tempo molto rapidi in modo da non lasciare per lungo
tempo il minore in una situazione di incertezza che nuocerebbe gravemente al
suo sviluppo ed al suo benessere. E' evidente che il ricorso al TAR non consente
tale rapidità di decisione.
4) L’esecuzione del provvedimento di
rimpatrio
Il Regolamento del Comitato per i minori
stranieri stabilisce che il rimpatrio dovrà essere eseguito “in
condizioni tali da assicurare costantemente il rispetto dei diritti garantiti
al minore dalle convenzioni internazionali, dalla legge e dai provvedimenti
dell'autorita' giudiziaria, e tali da assicurare il rispetto e l'integrita'
delle condizioni psicologiche del minore, fino al riaffidamento alla famiglia o
alle autorita' responsabili.” (art. 7, co. 1).
Numerosi aspetti restano da chiarire:
1) Da quali organi viene
eseguito il rimpatrio? Il regolamento del Comitato per i minori stranieri, art.
7, co.3 fa riferimento alle “amministrazioni statali cui è
affidato il rimpatrio assistito”, senza specificare ulteriormente .
Andrà dunque chiarito se il rimpatrio sarà eseguito dalla
Questura, o dai servizi sociali locali, o dagli organismi nazionali e
internazionali con cui il Dipartimento per gli Affari Sociali stipulerà convenzioni
(come il Servizio Sociale Internazionale).
2) L’esecuzione del rimpatrio contro
la volontà del minore comporta necessariamente una privazione della
libertà personale.
Quale controllo giurisdizionale è
previsto su tale provvedimento limitativo della libertà personale del
minore?
E' evidente, infatti, che ove non venga
previsto un controllo giurisdizionale si rileverebbe un profilo di
illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 13 della
Costituzione.
3) Se sarà necessario trattenere il
minore in attesa dell’esecuzione del rimpatrio, come avverrà tale
trattenimento? Tranne che nel caso di rimpatrio a seguito di respingimento, il
trattenimento del minore in un Centro di Permanenza Temporanea e Assistenza in
attesa dell’esecuzione del rimpatrio risulterebbe illegittimo in quanto i
casi in cui il cittadino straniero può essere trattenuto sono previsti
tassativamente dalla legge (cioè dal Testo Unico 286/98), e fanno
riferimento ai soli provvedimenti di respingimento e di espulsione, mentre non
viene fatto alcun riferimento ai provvedimenti di rimpatrio.
4) Nel periodo intercorrente tra
l’adozione del provvedimento di rimpatrio e la sua esecuzione, la
decisione sarà comunicata al minore e/o al tutore?
E’ necessario chiarire quale sia la responsabilità
del tutore o degli adulti presso i quali il minore soggiorna e, in particolare,
in che modo si esplichi il dovere di cooperare "con le amministrazioni
statali cui è affidato il rimpatrio assistito” (Regolamento del Comitato
per i minori stranieri, art. 7, co. 3 ).
5) Quale sarebbe lo status del minore che
si sottraesse a un provvedimento di rimpatrio?
Tale circostanza avrebbe influenza nel caso in
cui il minore volesse poi regolarizzare la propria posizione, tornando nel
Paese d’origine e chiedendo un visto di ingresso regolare[21] oppure nell’ambito di
un’eventuale regolarizzazione?
5) Alcuni profili di illegittimità
costituzionale dell’art. 5 del dlgs. 113
Da più parti sono stati sollevati dubbi
sulla legittimità costituzionale dell’art. 5 del Dlgs. 113/99 di
modifica dell’art. 33 del T.U. 286/98, per violazione:
· dell’art. 76 della Costituzione, in
quanto “[l’art. 5 dlgs. 113/99 detta] una normativa al di fuori
della delega prevista dall’art. 47, comma 2, legge n. 40/1998,
contraddicendo inoltre la disciplina chiarissima che il Parlamento aveva
dettato introducendo nella legge n. 184/83 in materia di adozione
internazionale l’art. 33, comma 5, e l’art. 37-bis” (mozione
dell’Associazione italiana dei magistrati per i minorenni e la famiglia
del novembre 1999); “[...] si può restare sorpresi dal fatto che
il Governo, agendo in base alla delega ricevuta dal Parlamento al fine di
correggere disposizioni che si rivelassero necessarie per assicurare il
perseguimento coerente delle finalità poste dalla legge, ampli la delega
stessa. Come può il Governo autorizzarsi da sé, autodelegarsi a
riscrivere la disciplina della condizione giuridica del minore straniero solo
(dal momento dell’accoglienza a quello del ricongiungimento con la sua
famiglia, quindi dalla a alla zeta), quando il Parlamento l’ha delegato a
disciplinare unicamente la condizione dei minori che entrano nel paese
all’interno di programmi solidaristici?” (G. C. Turri, I bambini
stranieri non accompagnati,
in Minorigiustizia, 1999, n. 3)
· dell’art. 10 della Costituzione:
“Il rinvio ad un successivo atto del governo per regolamentare le
modalità di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati ai fini
dell’accoglienza, del rimpatrio assistito e del ricongiungimento
familiare nel paese d’origine o in un altro paese ha equivalso in sostanza
alla possibilità per l’esecutivo di riscrivere la disciplina della
condizione giuridica del minore straniero solo, il che [...] contrasta con il
principio di riserva di legge nella regolamentazione della condizione giuridica
dello straniero di cui all’art. 10 c. 2 della Costituzione” (W.
Citti, I minori stranieri non accompagnati tra tutela in Italia e rimpatrio, di prossima pubblicazione)
· dell’art. 13 della Costituzione:
“[...] il rimpatrio acquisisce la natura di un provvedimento limitativo
della libertà personale del minore, sollevando ulteriori profili di
illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 13 Cost.,
nel caso in cui, come sembrerebbe , venisse adottato da un organo
amministrativo, quale il Comitato per i minori stranieri, e non dall’autorità
giudiziaria” (W. Citti, I minori stranieri non accompagnati tra tutela
in Italia e rimpatrio (di
prossima pubblicazione).[22]
Fonti normative ed altre disposizioni relative a
Convenzione di New York
art. 12
1. Gli Stati Parti garantiscono al fanciullo
capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su
ogni questione che lo interessa, le opinioni del fanciullo essendo debitamente
prese in considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di
maturità.
2. A tal fine, si darà in particolare
al fanciullo la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura
giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un
rappresentante o un organo appropriato, in maniera compatibile con le regole di
procedura della legislazione nazionale.
Legge 184/83 (come
modificata da l. 476/98)
art. 33, co. 5
5. Qualora sia comunque
avvenuto l'ingresso di un minore nel territorio dello Stato al di fuori delle situazioni consentite, il
pubblico ufficiale o l'ente autorizzato che ne ha notizia lo segnala al
tribunale per i minorenni competente in relazione al luogo in cui il minore si
trova. Il tribunale, adottato ogni opportuno provvedimento temporaneo
nell'interesse del minore, provvede ai sensi dell'articolo 37-bis, qualora ne
sussistano i presupposti, ovvero segnala la situazione alla Commissione affinché
prenda contatto con il Paese di origine del minore e si proceda ai sensi
dell'articolo 34.
T.U. 286/98, art. 33 (come modificato dal
Dlgs. 113/99, art. 5)
2. Con decreto del Presidente del Consiglio
dei Ministri o del Ministro da lui delegato, sentiti i Ministri degli affari
esteri, dell'interno e di grazia e giustizia, sono definiti i compiti del
Comitato di cui al comma 1, concernenti la tutela dei diritti dei minori
stranieri in conformita' alle previsioni della Convenzione sui diritti del
fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva ai sensi della
legge 27 maggio 1991, n. 176. In particolare sono stabilite:
[…]
b) le modalita' di accoglienza dei minori stranieri
non accompagnati presenti nel territorio dello Stato, nell'ambito delle attivita'
dei servizi sociali degli enti locali e i compiti di impulso e di raccordo del
Comitato di cui al comma 1 con le amministrazioni interessate ai fini
dell'accoglienza, del rimpatrio assistito e del ricongiungimento del minore con
la sua famiglia nel Paese d'origine o in un Paese terzo.".
2-bis. Il provvedimento di rimpatrio del
minore straniero non accompagnato per le finalita' di cui al comma 2, e'
adottato dal Comitato di cui al comma 1. Nel caso risulti instaurato nei
confronti dello stesso minore un procedimento giurisdizionale,
l'autorita'giudiziaria rilascia il nulla osta, salvo che sussistano
inderogabili esigenze processuali.
Regolamento del Comitato per i minori
stranieri
art. 1, co. 4
4. Per "rimpatrio assistito" si
intende l'insieme delle misure adottate allo scopo di garantire al minore
interessato l'assistenza necessaria fino al ricongiungimento coi propri
familiari o al riaffidamento alle autorita' responsabili del Paese d'origine,
in conformita' alle convenzioni internazionali, alla legge, alle disposizioni
dell'autorita giudiziaria ed al presente regolamento. Il rimpatrio assistito
deve essere finalizzato a garantire il diritto all'unita' familiare del minore
e ad adottare le conseguenti misure di protezione.
art. 2, co. 2
2. Ai fini del comma 1, il Comitato: [...]
g) in base alle informazioni ottenute, puo'
adottare, ai fini di protezione e di garanzia del diritto all'unita' familiare
di cui all'articolo 1, comma 4, il provvedimento di cui all'articolo 7, di
rimpatrio assistito dei minori presenti non accompagnati;
art. 3, co. 3-6
3. Il Comitato e' presieduto dal
rappresentante designato dal Dipartimento per gli affari sociali e si riunisce,
su convocazione del presidente, che redige l'ordine del giorno della riunione,
in relazione a singole necessita' e almeno una volta ogni trimestre.
4. I compiti di segreteria e di supporto al
Comitato sono svolti da personale in servizio presso la Presidenza del
Consiglio dei Ministri - Dipartimento per gli affari sociali.
5. In caso di urgenza, per situazioni in
relazione alle quali sia improcrastinabile l'intervento a tutela della salute
psicofisica del minore, i poteri del Comitato sono esercitabili dal presidente
o da un componente da lui delegato, salva la ratifica da parte del Comitato
nella prima riunione successiva all'esercizio dei poteri
medesimi. I provvedimenti non ratificati
perdono efficacia dal momento in cui sono stati adottati.
6. In caso di necessita', il Comitato comunica
la situazione del minore al giudice tutelare competente, per l'eventuale nomina
di un tutore provvisorio.
art. 4, co. 1
Strumenti operativi
1. Il Dipartimento per gli affari sociali
della Presidenza del Consiglio dei Ministri puo' finanziare programmi
finalizzati all'accoglienza ed al rimpatrio assistito dei minori presenti non
accompagnati, proposti dal Comitato, nei limiti delle risorse preordinate allo
scopo nell'ambito del Fondo di cui all'articolo 45 del testo unico e
dell'articolo 60 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n.
394.
art. 7.
Rimpatrio assistito
1. Il rimpatrio deve svolgersi in condizioni
tali da assicurare costantemente il rispetto dei diritti garantiti al minore
dalle convenzioni internazionali, dalla legge e dai provvedimenti
dell'autorita' giudiziaria, e tali da assicurare il rispetto e l'integrita'
delle condizioni psicologiche del minore, fino al riaffidamento alla famiglia o
alle autorita' responsabili.
Dell'avvenuto riaffidamento e' rilasciata
apposita attestazione da trasmettere al Comitato.
2. Salva l'applicazione delle misure previste
dall'articolo 6, il Comitato dispone il rimpatrio assistito del minore presente
non accompagnato, assicurando che questi sia stato previamente sentito, anche
dagli enti interessati all'accoglienza, nel corso della procedura.
3. Le amministrazioni locali competenti e i
soggetti presso i quali il minore soggiorna cooperano con le amministrazioni
statali cui e' affidato il rimpatrio assistito.
D.P.R. 492/99
art. 18:
“Sono fatte salve le competenze del
Comitato per i minori stranieri di cui all'articolo 33 del decreto legislativo
25 luglio 1988, n. 286, come modificato dal decreto legislativo 13 aprile 1999,
n. 113, e del relativo decreto di attuazione, concernenti l'ingresso, il
soggiorno, l'accoglienza e l'affidamento temporanei e il rimpatrio assistito
dei minori accolti nell'ambito di programmi solidaristici, ovvero presenti per
qualsiasi causa nel territorio dello Stato e privi di assistenza e di
rappresentanza. La Commissione provvede a comunicare al Comitato per i minori
stranieri i nominativi dei minori la cui presenza e' segnalata sul territorio
dello Stato ai sensi dell'articolo 33, comma 5, della legge
sull'adozione.”
Comitato per i
minori stranieri - Osservazioni del Presidente - 2 maggio 2000
[…] Infine si può avere un minore non accompagnato che sia
davvero in stato di abbandono, “buttato” all’estero,
soprattutto se molto giovane, senza riferimenti a parenti, od anche a persone
amiche e fidate, già in Italia.
E’ questo l’ambito in cui in teoria può profilarsi un
conflitto di competenza tra T.M. e Comitato quando il T.M. ritenga di avviare
la procedura per la dichiarazione dello stato di adottabilità e la
successiva adozione a norma anche dell’art. 40 l. 31.5.1995 n. 218
riforma del diritto internazionale privato ed il Comitato volesse invece
disporre il rimpatrio assistito.
Pare però che non dovrebbero porsi problemi gravi, se si
chiariscono alcune cose.
1) E’ bene che il procedimento di adottabilità sia
riservato a minori di 14 anni.
2) Se si apre il procedimento si devono assolutamente fare tutte le
ricerche per individuare la famiglia.
3) Il T.M. potrà rifiutare il nulla-osta al rimpatrio assistito
in quanto la presenza del minore in Italia è indispensabile anche
proceduralmente.
Sul punto n. 1 basti ricordare che i maggiori di 14 anni devono dare il
loro consenso ed è ben difficile che lo diano dei ragazzi che siano
venuti qui per emigrare, mandare i soldi a casa e poi magari tornare,
specialmente se provenienti da Paesi a religione islamica che vieta
l’adozione.
Sul punto n. 2 pare opportuno che T.M. e Comitato si scambino le
informazioni a loro disposizione e, forse, che le ricerche all’estero
siano svolte dal Comitato che comunque le deve svolgere ex art. 5 reg. e probabilmente avrà mezzi
più idonei, soprattutto dove agiscono enti internazionali convenzionati.
Sul punto n. 3 il Comitato rispetterà le esigenze del T.M. di
proseguire nella procedura nel permanere della presenza del minorenne in
Italia.
[…] Se il minorenne resta in Italia convenientemente assistito,
il Comitato non avrà altro da fare che inserire i dati nella Banca
– dati (censimento), se necessario accertarne lo status e ricercare i familiari, in collaborazione
con le amministrazioni interessate.
Se ricorrono invece i presupposti e le condizioni di cui all’art.
7 reg. potrà disporre il rimpatrio assistito. Sul punto è da
ricordare che sia la risoluzione del Consiglio europeo sia il T.U. sia infine
il regolamento del C.S.M. stabiliscono condizioni che assicurano il rispetto del
migliore interesse del minore.
Ovviamente, fin quando il minorenne è in Italia, in applicazione
della Convenzione dell’Aja 5 ottobre 1961 e dell’art. 42
dir.int.priv., gli organi giudiziari minorili potranno prendere tutti i
provvedimenti utili o necessari nell’interesse di lui, quegli stessi
provvedimenti che potrebbero prendere nei confronti di minorenni italiani.
Potranno in specie applicarsi sia gli artt.
330 e segg. cod.civ. ove si ritenga esservi stata violazione dei doveri od
abuso dei poteri dei genitori, sia i provvedimenti di affidamento al servizio
sociale (o ricoveri in CRM) previsti nella competenza amministrativa dei T.M.
(art. 25 legge sul T.M.) quando si accerti l’irregolarità del
minorenne nella condotta o nel carattere.
Dovrà essere però rispettata la Convenzione
dell’Aja, informando l’autorità dello Stato del quale il
minorenne è cittadino (art. 11 conv.) e collaborando con essa (art. 10
conv.).
In tutti i casi sarà necessario seguire le regole di procedura
badando che il genitore sia sentito o messo in condizione di essere seguito.
Pare da ritenere non essere previsto e dunque ammissibile un
provvedimento giudiziario che ex art. 330 segg. cod.civ. o 25 segg. legge T.M. disponga
l’allontanamento del minorenne dall’Italia, anche se per
ricongiungerlo con la sua famiglia, perché un provvedimento del genere
non potrebbe essere preso nei confronti di un minorenne italiano, salvo che nei
casi di sottrazione internazionale di minorenni.
Il provvedimento di rimpatrio assistito è dunque di esclusiva
competenza del Comitato , che lo esercita senza prese di posizione preconcette,
tenendo in considerazione, l’interesse del minorenne straniero, di quello
specifico minorenne, in applicazione dell’art. 3 della Convenzione
dell’Aja, dei considerando e dell’art. 5 della risoluzione del
Consiglio di Europa del 26 giugno 1997, infine delle norme interne del T.U. e
del regolamento del C.M.S.
Comitato per i minori stranieri – Minori stranieri non
accompagnati - Linee Guida - 11 gennaio 2001
[…] Di fronte al caso di minorenne "solitario" entrato
clandestinamente nel territorio dello Stato (tecnicamente connotato
dall'espressione "minore presente non accompagnato"), la legge non
prevede che ci si debba necessariamente occupare di lui a tempo indeterminato
né, d'altra parte, che lo si debba trattare come ogni altro clandestino,
e quindi allontanarlo dal territorio nazionale nei modi previsti per tutti
coloro che vi fanno ingresso senza autorizzazione.
Occorre invece adottare un trattamento differenziato, applicabile
soltanto ai minorenni che versano in questa condizione. Tale trattamento
consiste nel "rimpatrio assistito" previsto dall'art. 33 comma 2bis
del T.U. 286/98. L'applicazione di questo istituto è di competenza
esclusiva del CMS, il quale pertanto formula queste linee di indirizzo allo
scopo di chiarire in quale modo intende esercitare tale suo compito.
3. TRATTAMENTO DEI MINORI PRESENTI NON ACCOMPAGNATI
L'affermazione fondamentale da cui muove il legislatore, alla quale
dunque il Comitato deve attenersi, è che il minore non è
passibile di espulsione (salvo che debba seguire il genitore o l'affidatario
espulsi e salvo che la sua presenza ponga obiettivamente in pericolo l'ordine
pubblico o la sicurezza dello Stato).
L'impossibilità dell'espulsione non significa, tuttavia, che il
minorenne solitario, entrato clandestinamente, debba necessariamente permanere
sul territorio nazionale: come si è detto, è previsto infatti il
rimpatrio assistito.
Sarà sempre disposto il rimpatrio del minore su richiesta del
genitore o del tutore.
Analogamente sarà disposto il rimpatrio se si accerta che i
motivi dell'immigrazione del minore non sono condivisi dai parenti (fuga da
casa, etc.)
Le indagini, sempre doverose, potrebbero condurre a scoprire una
situazione di obiettivo abbandono, materiale e morale, che imporrebbe la
segnalazione al tribunale per i minorenni per l'inizio eventuale della
procedura di adottabilità (articolo 37 bis, legge 4 maggio 1983, n. 184,
introdotto dalla legge 31 dicembre 1998, n.476).
[…]
4. RIMPATRIO
ASSISTITO
4.1 Quanto alla decisione circa il rimpatrio assistito, di esclusiva
competenza del Comitato, fondamentale è il dovere di rispettare
l'interesse del fanciullo a norma dell'art. 3 della richiamata Convenzione di
New York per cui "In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di
competenza dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi
legislativi, l'interesse del fanciullo deve essere una considerazione
preminente".
Questo significa che la valutazione di tale interesse da parte del
Comitato non può essere fatta in modo preventivo e generale, anche solo
per categorie astratte, ma tenendo conto, volta per volta, dell'interesse
concreto di ogni determinato minorenne. Comunque il Comitato valuterà
quell'interesse in modo particolare per quanto riguarda i ragazzi di età
superiore ai 14 anni, già inseriti in un percorso scolastico e/o di
formazione-lavoro. Più in generale adatterà le proprie decisioni
in merito all'eventuale rimpatrio, alla verifica delle condizioni nelle quali
si è realizzato il temporaneo soggiorno del minore straniero nel
territorio nazionale, con particolare riguardo all'accoglienza offertagli ed
alle provvidenze scolastiche di cui ha potuto usufruire.
4.2 L'adozione del
provvedimento di rimpatrio sarà assunta in ossequio al dettato dell'articolo
33 comma 2bis del D. Leg. 286/98. Il Comitato ritiene che il rimpatrio del
minore straniero, quando deciso, sia veramente "assistito"
cioè volto ad un reale ricongiungimento con la famiglia ovvero al
riaffidamento alle Autorità responsabili del Paese di origine e quindi
all'inserimento in una adeguata struttura in loco. A tal fine le eventuali
convenzioni che verranno stipulate con gli Organismi specializzati, dovranno
prevedere le condizioni di "assistenza" al rimpatrio che potranno anche
comprendere l'avvio del minore a percorsi formativi o prima del rientro, ovvero
nel paese di origine. Ciò al fine di fornirgli quel bagaglio di skills e know how necessari ad aumentare concretamente la sua
capacità di sviluppo autonomo anche professionale. In tal senso il Piano
di Azione fa riferimento alla "predisposizione delle condizioni
indispensabili per un rimpatrio assistito e sicuro, fornendogli anche - se
adolescente - un certo previo bagaglio professionale che gli consenta un
miglior reinserimento nel suo Paese".
4.3 La decisione del rimpatrio non potrà mai essere assunta
senza una previa valutazione delle condizioni del minore: il rimpatrio non
dovrà essere in nessun caso "automatico". Tutto quanto
indicato nei punti precedenti circa la verifica delle sue condizioni, delle
condizioni della famiglia e del paese di rientro dovranno essere attentamente
considerate in vista della decisione. Si avrà pertanto riguardo alle
risultanze delle ricerche che verranno effettuate nel Paese di origine ovvero
di abituale residenza, e si avrà inoltre riguardo, all'atto delle
decisioni di assumere, delle condizioni di accoglienza nel nostro Paese, di
eventuali percorsi scolastici o formativi intrapresi.
4.4 Si precisa ancora che:
a) l'audizione del minore per accertarne l'opinione in merito ad un eventuale rimpatrio assistito che non può essere fatta direttamente dal Comitato, è riservata all'autorità locale, la quale dovrà fare in modo che ne risulti non solo una affermazione di consenso o dissenso ma anche le motivazioni di essa.
b) Il Comitato , ove ritenga essere presenti le condizioni per il
rimpatrio, si informerà in ogni caso, presso il Tribunale per i
minorenni competente del luogo di dimora del minorenne in Italia,
dell'eventuale esistenza di procedure in corso, onde ottenere il necessario
nulla osta previsto dall'art. 2 bis u.p. dell'art. 33 T.U. n. 296/1998.
c) Se a seguito delle informazioni ottenute dal Comitato, anche
attraverso l'intervento di organismi internazionali coi quali esistano
convenzioni o con la collaborazione delle autorità consolari e
diplomatiche straniere in Italia, risultassero non esistenti nuclei familiari
del minorenne, o autorità del Paese d'origine disposti ad assumerne
l'affidamento a seguito di rimpatrio, il Comitato ne informerà
l'autorità giudiziaria competente per la valutazione dell'eventuale
stato di abbandono e per i conseguenti provvedimenti. In proposito si
terrà conto delle raccomandazioni formulate in sede internazionale (cfr.
linee-guida UNHCR) per cui le ricerche dei familiari, di un minorenne straniero
apparentemente abbandonato, debbono proseguire per almeno due anni prima di
potere dichiarare lo stato di abbandono.
d) Come già accennato, il Comitato non ha competenza ad
intervenire ove sia stata proposta domanda d'asilo.
e) Le autorità competenti sono inviate ad
informare il Comitato dei casi di minorenni trovati coinvolti in situazioni di
sfruttamento, violenza, riduzione in schiavitù, ai quali sia stato
rilasciato permesso di soggiorno per motivi di protezione, con inserimento della
vittima in programmi di assistenza e reintegrazione secondo quanto disposto
dall'art. 18 del T.U. 268/98.
f) Il rimpatrio sarà effettuato in modo davvero
"assistito" anche al momento del rientro nel Paese d'origine. A tal
fine il Comitato ha chiesto al Dipartimento per gli Affari Sociali di stipulare
convenzioni con organizzazioni specializzate, in modo da consentire condizioni
ottimali che potranno anche comprendere l'avvio del minorenne a percorsi di
studio e formativi nel Paese d'origine.
g) Il Comitato solleciterà il Governo a
sviluppare tutte quelle intese bilaterali, con gli Stati di più
frequente emigrazione in Italia, atte a creare per gli stranieri più
giovani, nuove opportunità di crescita scolastica e professionale,
consentendo loro attraverso scambi, soggiorni temporanei, di trascorrere
periodi di studio o lavoro nel nostro Paese.
Circolare del Ministero dell'Interno
20.6.1998
oggetto: Presenze in Italia di minori non accompagnati di nazionalità albanese – Questioni connesse al rimpatrio
[…]
Relativamente poi alla questione nei suoi
aspetti generali, appare doveroso ricordare che la presenza di tali minori deve
essere prontamente segnalata dalle autorità responsabili affinché
siano adottati i conseguenti provvedimenti sia ai sensi della l.40/98, sia
dell’art.9, l.184/83, al fine dell’accertamento
dell’eventuale stato di abbandono.
Comunque, a prescindere dall’effettiva
esistenza di uno stato di abbandono e degli eventuali provvedimenti conseguenti
a tale accertamento, di competenza del tribunale per i Minorenni, si raccomanda
alle SS.LL che ogni singola posizione venga comunicata al Comitato per i minori
stranieri, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri –
dipartimento Affari Sociali, ai sensi dell’art.31, l.40/98, per i necessari
contatti con le autorità albanesi, al fine di adottare le misure
più opportune, secondo procedure già concordate.
Tali contatti, in base ad un Accordo
intergovernativo, promosso nel 1997, dal Ministro per la Solidarietà
Sociale con il Governo albanese, sono curati dal Servizio Sociale
internazionale di Roma a cui è affidato il compito di promuovere tutte
le possibili iniziative per il rimpatrio assistito e protetto dei richiamati
minori, sempre previo favorevole avviso dell’autorità giudiziaria
minorile.
Per motivi di uniforme trattazione delle
richieste, si pregano le Prefetture che avessero già interessato il
Comitato Minori o il Servizio Sociale Internazionale sui singoli casi, di
rinnovare la segnalazione aggiungendo gli elementi informativi a disposizione.
Circolare Presidenza del Consiglio -
Dipartimento per gli Affari Sociali - Comitato per la tutela dei minori
stranieri 8.7.1998
In merito alle procedure relative al rilascio
del nullaosta per il rimpatrio di minori albanesi, nell’ambito della
convinzione stipulata tra codesto S.S.I. e questo Dipartimento, si ritiene
opportuno che codesto S.S.I. comunichi direttamente il nullaosta al rimpatrio
alla competente Prefettura o Questura (nonché ad eventuali altre
amministrazioni) ed al Comitato, riportando nel testo la frase
“…salvo diverso avviso di codesto Comitato tutela minori” che
si riserva di esprimere parere contrario entro 48 ore dalla comunicazione.
Pertanto attraverso la formula del
“silenzio assenso”, si viene a razionalizzare la procedura stessa.
Un’identica procedura del soggiorno di
un minore, può essere impiegata nei casi in cui, sulla base degli
accertamenti esperiti, si ritenga opportuno formulare parere positivo alla
regolarizzazione del soggiorno di un minore da comunicarsi alle amministrazioni
interessate.
Risoluzione del Consiglio dell’Unione
Europea 26.6.97
Articolo 5:
Rimpatrio di minori non accompagnati
1. Qualora un minore non sia autorizzato a
protrarre il suo soggiorno in uno Stato membro, quest'ultimo può
rimpatriare il minore nel paese di origine o rinviarlo in un paese terzo
disposto ad accettarlo soltanto se vi siano disponibili per lui, al suo arrivo,
un'accoglienza e assistenza adeguate, a seconda delle sue esigenze in base all'età
e al grado di indipendenza. Vi possono provvedere i genitori o altri adulti che
si prendano cura del fanciullo, nonché organizzazioni governative e non
governative.
2. Finché non sia possibile un
rimpatrio a tali condizioni, gli Stati membri dovrebbero in linea di massima
offrire al minore la possibilità di restare nel loro territorio.
3. Le autorità competenti degli Stati
membri dovrebbero cooperare, in vista di un rimpatrio:
a) ai fini del ricongiungimento del minore non
accompagnato con i suoi familiari nel paese di origine del minore o nel paese
in cui essi si trovano;
b) con le autorità del paese di origine
del minore o di un atro paese al fine di trovare una soluzione durevole
adeguata;
c) con organizzazioni internazionali quali
l'Unhcr e l'Unicef, già attive nell'opera di consulenza ai governi in
materia di orientamenti per il trattamento dei minori non accompagnati, in
particolare i richiedenti asilo;
d) se del caso, con le organizzazioni non
governative per accertare la disponibilità di strutture ricettive e
assistenziali nel paese in cui il minore sarà rimpatriato o rinviato.
4. In nessun caso si può procedere al
rimpatrio del minore in un paese terzo se il rimpatrio è contrario alla
convenzione relativa allo status dei rifugiati, alla convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, alla
convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani o
degradanti o alla convenzione sui diritti dei fanciulli, fatte salve eventuali
riserve formulate dagli Stati membri all'atto della ratifica o ai relativi
protocolli.
Convenzione
dell’Aja del 1970 sul rimpatrio (N.B.: non internazionalmente in vigore)
Art. 1. Au sens de la présente Convention
I’expression:
a) “ mineur ” désigne toute
personne qui n’a pas encore atteint la majorité
d‘après la loi applicable selon les régles du droit
international privé de I’Etat requérant et qui,
d’après cette loi. n’a pas la capacité de fixer seule
sa résidence.
b) “autorité parentale”
désigne le droit de fixer la résidence du mineur, dont sont
investies des personnes physiques ou morales par I’effet de la loi ou
d’une décision judiciaire ou admnistrative ;
c) “ rapatriement ” d’un mineur
désigne le transfèrement de celui-ci en application de la
présente Convention, d’un Etat Contractant dans un autre
État Contractant, que ce demier État soit ou non celui dont le
mineur est ressortissant.
Art 2. 1. La présente Convention
s’applique aux mineurs qui se trouvent sur le territoire d’un Etat
Contractant et dont le rapatriement est demandé par un autre État
Contractant pour l’une des raisons suivantes:
a) la présence du mineur sur le territoire
de I’État requis est contraire a la volonté de la personne
ou des personnes qui détiennent à son égard l’autorité
parentale ;
b) la présence du mineur sur le territoire
de I’État requis est incompatible avec une mesure de protection ou
de rééducation prise à son égard par les
autorités compétentes de I’État requérant:
c) la présence du mineur sur le territoire
de I’État requérant est nécessaire en raison
d‘une procédure visant à prendre a son égard des
mesures de protection ou de rééducation
2. La présente Convention s’applique
également au rapatriement des mineurs qui se trouvent sur le territoire
d’un Etat Contractant lorsque cet État estime leur présence
contraire à ses propres intérêts ou aux
intérêts de ces mineurs et pour autant que sa législation
lui permette dé les éloigner de son territoire.
Art. 3. Chaque État Contractant
désigne une autorité centrale chargée de former,
d’adresser et de recevoir les requêtes aux fins de rapatriement.
Cette désignation est notifiée au Secrétaire
Géneral du Conseil de I’Europe.
Art.4. 1.Toute demande visant à obtenir le
rapatriement d’un mineur pour une des raisons prévues à
I’article 2, paragraphe 1, est adressée à
l’autorité centrale de I’Etat vers lequel le rapatriement
est sollicité.
2. Si les autorités compétentes de
cet État estiment la demande bien fondée et opportune,
l’autorité centrale dudit Etat adresse à l’autorité
centrale de l’Etat de séjour du mineur une requete aux fins de
rapatriement.
Art.5. 1. Aucune décision sur une requete
aux fins de rapatriement n’est prise avant que le mineur ait éte
entendu personnellement, si ses facultés de discernement le permettent,
par une autorité compétente de I’Etat requis.
2. En outre, cette autorité s’efforce
de recueillir l’avis des personnes intéressées par ladite
décision et, notamment, de celles qui detiennent l’autorité
parentale ou qui, sur le territoire de I’Etat requis assurent en fait la
garde du mineur. Cette consultation n’a lieu que dans la mesure où
elle n’est pas de nature a porté préjudice aux
intérets du mineur en raison des délais qu’elle peut
nécessiter.
L’Etat requis peut en outre, compte tenu de
toutes les circonstances de l’affaire, rejeter la requête[...] si
le rapatriement est considéré comme étant contraire
à l’intérêt du mineur, notamment lorsque ce dernier a
des liens familiaux ou sociaux effectifs dans cet Etat ou lorsque le
rapatriement est incompatible avec une mesure de protection ou de
rééducation prise dans ledit Etat.
Art.10. Si la requête est accueillie, les
autorités compétentes de I’État requérant et
celles de I‘Etat requis fixent, d’un commun accord et dans les
meilleurs délais, les modalités de rapatriement.
Art.11 L’État requis peut prendre les
mesures provisoires nécessaires en vue du rapatriement et, notamment,
placer le mineur dans une institution de protection de la jeunesse. Il peut
mettre fin à tout moment à ces mesures qui cessent, en tout cas.
à I’expiration d’un délai de 30 jours si la
requête n’a pas été accueillie. Ces mesures
provisoires sont régies par le droit interne de I’Etat requis.
Art. 12. En cas d’urgence,
l’autorité centrale de I’État requérant peut
demander que les mesures provisoires visées à I’article 1
soient prises avant même la réception, par 1’Etat requis, de
la requête aux fins de rapatriement. Ces mesures cessent si cette
dernière requête n’a pas été reçue dans
les dix jours.
Art. 14. 1. Dans les cas prévus à
l’article 2, paragraphe 2, I’État de séjour du mineur
peut demander à un autre Etat Contractant d’accepter le
rapatriement de ce mineur selon les dispositions suivantes:
a) lorsque la personne ou les personnes qui
détiennent l’autorité parentale se trouvent dans un autre
Etat Contractant, la requête est adressée à cet Etat:
b) lorsque la personne ou les personnes qui
détiennent I’autorité parentale se trouvent dans un Etat
non Contractant, la requête est adressée à I’Etat
Contractant où le mineur a sa résidence habituelle;
c) lorsque l’État où se
trouvent la personne ou les personnes qui détiennent
l’autorité parentale n’est pas connu ou lorsque personne ne
détient cette autorité, la requête est adressée
à i’État Contractant où le mineur a sa
résidence habituelle ou, si le rapatriement vers cet État est
refusé ou ne peut avoir lieu, à I’État Contractant
dont le mineur est ressortissant.
2. Les dispositions du paragraphe 1
n’affectent pas les pouvoirs que les États Contractants tiennent
de leur propre législation relative aux étrangers.
Art. 15. 1. Si l’État requis accepte
de recevoir le mineur, les autorités compétentes de I’Etat
requérant et de I’Etat requis fixent, d’un commun accord et
dans les meilleurs délais, les modalités du rapatriement.
2. La requête aux fins de rapatriement peut
etre accompagnée d’une demande tendant à ce que soit prise
toute mesure appropriée en raison de la con-duite ou de la situation du
mineur dans I’État requérant. Elle peut mentionner en outre
toutes conditions auxquelles le rapatriement serait subordonné.
Art. 16. 1. Toute requête aux fins de
rapatriement est formulée par écrit et indique notamment:
a) l’autorité centrale dont elle
émane;
b) l’identité et la
nationalité du mineur dont le rapatriement est demandé ainsi que,
les cas échéant, son lieu de résidence dans 1’Etat
requis;
c) les raisons invoquées à
l’appui de la requête;
d) le cas échéant,
l’autorité ou la personne qui a présenté la demande
de rapatriement et la nature de ses rapports juridiques avec le mineur.
2. Dans le cas visé à
l’article 2, paragraphe 1. la requête est accompagnée,
s‘il y a lieu de l’original ou d’une copie authentique, soit
du titre justificatif de l‘autorité parentale à moins que
tette autorité ne découle directement de la loi, soit de la
décision ordonnant une mesure de protection ou de
rééducation à l’égard du mineur. soit des
documents faisant apparaître la nécessité de la comparution
du mineur dans la procédure en cours dans I’Etat requérant
ainsi que les buts de cette procédure.
3. Si I’État requis estime que les
renseignements fournis par I’État requérant sont
insuffisants pour lui permettre de statuer sur la requête, il demande les
informations complémentaires qui lui sont nécessaires. Il peut
fixer un délai pour l’obtention de ces informations.
Art. 21. Les communications entre autorités
centrales relatives à l’application de la présente
Convention peuvent être transmises par l’intermediaire de
l’Organisation internationale de Police criminelle (Interpol).
Legge 64/94
Art. 3.
1. Il Ministero di grazia e giustizia,
Ufficio per la giustizia minorile, è autorità centrale ai sensi e
per gli effetti dell'articolo 3 della convenzione de L'Aja del 28 maggio 1970
sul rimpatrio dei minori, dell'articolo 2 della convenzione europea di
Lussemburgo del 20 maggio 1980 sul riconoscimento e l'esecuzione delle
decisioni in materia di affidamento dei minori e di ristabilimento
dell'affidamento, nonché dell'articolo 6 della convenzione de L'Aja del
25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di
minori.
[…]
Art. 5
1. Le decisioni sulle
richieste di rimpatrio di minori dal territorio dello Stato, avanzate dalle
autorità straniere, ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 1, e
dell'articolo 4 della convenzione de L'Aja del 28 maggio 1970, sono adottate
dal tribunale per i minorenni del luogo dove il minore risiede.
[...]
4. Le richieste di
rimpatrio di minori verso uno Stato contraente ai sensi dell'articolo 2,
paragrafo 2, e dell'articolo 14 della convenzione de L'Aja del 28 maggio 1970,
sono di competenza del tribunale per i minorenni del luogo ove il minore
risiede.
5. Nei casi di cui ai
commi 1 e 2 il tribunale per i minorenni decide con decreto in camera di
consiglio, su ricorso del pubblico ministero, anche a seguito di richiesta
dell'autorità centrale.
6. Nei casi di cui ai
commi 3 e 4 il tribunale per i minorenni decide con decreto in camera di
consiglio, sentito il pubblico ministero e su ricorso degli interessati. Il
ricorso può essere proposto d'ufficio dal pubblico ministero. La
decisione è trasmessa all'autorità centrale per i provvedimenti
di competenza.
7. Contro il decreto del
tribunale per i minorenni è ammesso ricorso per cassazione.
IL PERMESSO DI SOGGIORNO
La normativa che disciplina le questioni relative al permesso di
soggiorno (il tipo di permesso di soggiorno rilasciabile ai minori a seconda
dei diversi status, i diritti connessi ai diversi tipi di permesso di
soggiorno, la conversione del permesso di soggiorno al compimento della
maggiore età ecc.) è estremamente frammentaria, lacunosa e
confusa.
Particolarmente lacunosa è la normativa riguardante il permesso
di soggiorno per minore età, previsto dal regolamento di attuazione del
T.U. 286/98.
Altra questione particolarmente problematica che cercheremo di
analizzare è poi quella dei minori affidati di fatto a parenti entro il
quarto grado.
1) La tipologia dei permessi di soggiorno e i
requisiti per il rilascio
1.1) La tipologia dei permessi di soggiorno
Iniziamo con l’analizzare quali titoli di soggiorno possono essere rilasciati al minore non accompagnato dai genitori, in base alle disposizioni del T.U. 286/98, del relativo regolamento di attuazione, e di alcune circolari ministeriali[23].
1) Permesso
di soggiorno per motivi familiari:
A) Il T.U. 286/98, art. 31 stabilisce che “1. Il figlio minore dello straniero con questi convivente e regolarmente soggiornante e' iscritto nel permesso di soggiorno o nella carta di soggiorno di uno o di entrambi i genitori fino al compimento del quattordicesimo anno di eta' e segue la condizione giuridica del genitore con il quale convive, ovvero la piu' favorevole tra quelle dei genitori con cui convive. Fino al medesimo limite di eta' il minore che risulta affidato ai sensi dell'articolo 4 della legge 4 maggio 1983, n. 184, e' iscritto nel permesso di soggiorno o nella carta di soggiorno dello straniero al quale e' affidato e segue la condizione giuridica di quest'ultimo, se piu' favorevole. L'assenza occasionale e temporanea dal territorio dello Stato non esclude il requisito della convivenza e il rinnovo dell'iscrizione.
2. Al compimento del quattordicesimo anno di eta' al
minore iscritto nel permesso di soggiorno o nella carta di soggiorno del
genitore ovvero dello straniero affidatario e' rilasciato un permesso di
soggiorno per motivi familiari valido fino al compimento della maggiore eta',
ovvero una carta di soggiorno.”
B) Il T.U. 286/98, art. 29 stabilisce che
“1. Lo straniero puo' chiedere il ricongiungimento per i seguenti
familiari: a) coniuge non legalmente separato; b) figli minori a carico, anche
del coniuge o nati fuori del matrimonio, non coniugati ovvero legalmente
separati, a condizione che l'altro genitore, qualora esistente, abbia dato il suo
consenso; c) genitori a carico; d) parenti entro il terzo grado, a carico,
inabili al lavoro secondo la legislazione italiana.
2. Ai fini del ricongiungimento si considerano minori i figli di eta'
inferiore a 18 anni. I minori adottati o affidati o sottoposti a tutela sono
equiparati ai figli”.
In base al primo comma dell’art. 29, quindi, sembrerebbe che il
minore possa ricongiungersi solo con i genitori, e non invece con altri parenti
(fratelli, zii, cugini ecc.)[24]:
di conseguenza il minore non accompagnato dai genitori non potrebbe usufruire
del ricongiungimento e ricevere il permesso di soggiorno per motivi familiari a
seguito di ricongiungimento.
Il secondo comma, però, equipara i minori
affidati o sottoposti a tutela ai figli, ai fini del ricongiungimento: vengono
così ampliate le possibilità di ricongiungimento e di rilascio
del relativo permesso di soggiorno per motivi familiari.
L’art. 29 co. 2 si applica al minore affidato o
sottoposto a tutela in base a un provvedimento di affidamento o tutela emesso
dalla competente autorità del Paese d’origine, in quanto tale
provvedimento può essere automaticamente riconosciuto. La legge 218/95,
infatti, stabilisce all’art. 66 che i provvedimenti stranieri di
volontaria giurisdizione sono riconosciuti senza che sia necessario il ricorso
ad alcun procedimento, quando sono pronunciati dalle autorità dello
Stato la cui legge è richiamata dalle disposizioni della stessa legge
218/95 o sono pronunciati da un’autorità che sia competente in
base a criteri corrispondenti a quelli propri dell’ordinamento italiano,
e purché non siano contrari all’ordine pubblico[25].
L’art. 29 co. 2 si applica anche ai minori
affidati o sottoposti a tutela in base a provvedimento della competente
autorità italiana (Tribunale per i minorenni, Giudice Tutelare, servizi
sociali).
Per quanto riguarda i minori sottoposti a
tutela, tuttavia, la circolare del Ministero dell’Interno del 13.11.2000
fornisce indicazioni in contrasto con quanto disposto dall’art. 29 co. 2,
stabilendo che ai minori per i quali il Giudice Tutelare “abbia
semplicemente nominato un tutore ai sensi del Codice Civile” non possa
essere rilasciato il permesso di soggiorno per motivi familiari, bensì
debba essere rilasciato il permesso di soggiorno per minore età. La
questione di quale permesso di soggiorno debba essere rilasciato ai minori
sottoposti a tutela in base a provvedimento del Giudice Tutelare andrà
chiarita al più presto.
Infine, si può ipotizzare l’applicabilità
dell’art. 29 co.2 anche ai minori affidati di fatto a parenti entro il
quarto grado, comprendendo nel concetto di “affidato” anche gli
affidamenti di fatto entro il gruppo parentale[26].
Un’ultima questione è posta dalla distinzione tra affidatari o tutori stranieri e italiani. Il primo comma dell’art. 29, infatti, fa riferimento solo allo straniero che chiede il ricongiungimento. Tuttavia, poiché non è ragionevole una disparità di trattamento in senso sfavorevole nel caso in cui l’affidatario o il tutore sia di nazionalità italiana, e dato che, inoltre, al successivo art. 30 è disciplinato anche il ricongiungimento a cittadino italiano, si può ritenere che l’art. 29.2 possa applicarsi anche ai casi in cui l’affidatario o il tutore siano cittadini italiani.
C) Il regolamento
di attuazione D.P.R. 394/99, art. 28 stabilisce infine che “1. Quando la
legge dispone il divieto di espulsione, il questore rilascia il permesso di
soggiorno [...] per motivi familiari, nei confronti degli stranieri che si
trovano nelle documentate circostanze di cui all’articolo 19, comma 2,
lettera c) del testo unico [cioè gli stranieri conviventi con parenti
entro il quarto grado di nazionalità italiana]”.
Þ In
sintesi, dunque, il permesso per motivi familiari può essere rilasciato
al minore:
· affidato a cittadino straniero ex art. 4 della
legge 184/83 (T.U. 286/98, art. 31);
· affidato o sottoposto a tutela e ricongiunto
con l’affidatario o tutore (T.U. 286/98, art. 29);
· convivente con cittadino italiano parente
entro il quarto grado (regolamento di attuazione, art. 28).
2)
Permesso di soggiorno per affidamento:
Il T.U. 286/98 indica il permesso di soggiorno per affidamento all’art. 34 (relativo all’iscrizione obbligatoria al Servizio Sanitario Nazionale), ma non è chiaro quali siano i presupposti per il rilascio di tale permesso di soggiorno.
La circolare del Ministero dell’Interno del 13.11.2000 indica il permesso di soggiorno per affidamento come il tipo di permesso di soggiorno che viene rilasciato al minore affidato ex art. 4 legge 184/83, e sembra equiparare perfettamente il permesso per affidamento con quello per motivi familiari.
Probabilmente si può considerare il permesso per affidamento semplicemente come una definizione più specifica del permesso per motivi familiari rilasciato a minori affidati ex art. 4 legge 184/83: di conseguenza possiamo ritenere che la durata, la convertibilità alla maggiore età e i diritti connessi a questo tipo di permesso di soggiorno siano disciplinati dalle stesse disposizioni che disciplinano il permesso di soggiorno per motivi familiari.
3)
Permesso di soggiorno per minore età[27]:
Il regolamento di attuazione D.P.R. 394/99, art. 28 stabilisce che:
“1. Quando la legge dispone il divieto di espulsione, il questore
rilascia il permesso di soggiorno:
a) per minore età, salvo l’iscrizione del minore degli anni
quattordici nel permesso di soggiorno del genitore o dell’affidatario
stranieri regolarmente soggiornanti in Italia. Se si tratta di minore
abbandonato, è immediatamente informato il Tribunale per i minorenni per
i provvedimenti di competenza”.
La circolare del Ministero dell'Interno 23.12.1999
prevede che “In particolare, viene previsto, per i minori inespellibili
di età superiore ai 14 anni, il rilascio del permesso di soggiorno per
“minore età”. Al riguardo, si chiarisce che tale titolo di
soggiorno verrà rilasciato solo in via residuale e qualora si
verifichino situazioni non riconducibili ad altre tipologie di soggiorno
già previste dalla normativa in vigore (es. motivi familiari, adozione,
affidamento)”.
La circolare del Ministero dell’Interno del 13.11.2000
stabilisce, infine, che il permesso di soggiorno per minore età debba
essere rilasciato “ai minori stranieri non accompagnati, come definiti dal D.P.R. 9 dicembre 1999, n.
535, per i quali la legge stessa prevede la possibilità di un loro
rimpatrio assistito a seguito dell’individuazione dei familiari nel Paese
di origine, ovvero nell’ipotesi in cui il Tribunale per i minorenni, sia
pure tempestivamente informato, non determini formalmente l’affidamento
dei soggetti interessati, ai sensi dell’art.2 della L.184/83. Si ritiene
di dover ricorrere al permesso di soggiorno per minore età, inoltre, anche qualora, in assenza di detto
provvedimento di affidamento, il competente Giudice Tutelare abbia
semplicemente nominato un tutore ai sensi del Codice Civile.”
Il permesso di soggiorno per minore età, dunque, viene
rilasciato a tutti i minori che non possono ottenere un altro tipo di permesso
di soggiorno, compresi – in base alla circolare del Ministero
dell’Interno del 13.11.200, ma in contraddizione con l’art. 29 co.
2 del T.U. 286/98 – i minori sottoposti a tutela.
Non è chiaro per quale ragione la circolare del
Ministero dell’Interno del 23.12.1999 limiti la possibilità di
rilascio di tale permesso per minore età agli utraquattordicenni: forse
il Ministero dell’Interno dà per scontato che tutti i minori
infraquattordicenni vengano affidati ex art. 4 legge 184/83. La circolare del
Ministero dell’Interno del 13.11.2000, invece, non pone distinzioni tra
infra e ultraquattordicenni per il rilascio del permesso per minore età.
4)
Permesso di soggiorno per protezione sociale:
Il T.U. 286/98, art. 18, co. 6 stabilisce che può essere rilasciato (all’atto delle dimissioni dall’istituto di pena) un permesso di soggiorno per protezione sociale allo straniero che ha terminato l’espiazione di una pena detentiva inflitta per reati commessi durante la minore età, e ha dato prova concreta di partecipazione a un programma di assistenza e integrazione sociale.
Inoltre, il T.U. 286/98, art. 18, co. 1
prevede che il permesso per protezione sociale possa essere rilasciato quando
"[…] siano accertate situazioni di violenza o di grave sfruttamento
nei confronti di uno straniero, ed emergano concreti pericoli per la sua
incolumità, per effetto dei tentativi di sottrarsi ai condizionamenti di
un’associazione dedita a uno dei predetti delitti o delle dichiarazioni
rese nel corso delle indagini preliminari o del giudizio". In questi casi
il questore, anche su proposta del procuratore della repubblica, o con il
parere favorevole della stessa autorità, rilascia il permesso di
soggiorno per protezione sociale "per consentire allo straniero di
sottrarsi alla violenza e ai condizionamenti dell’organizzazione
criminale e di partecipare a un programma di assistenza e integrazione
sociale". Tale disposizione
si applica naturalmente anche ai minorenni.[28]
5)
Carta di soggiorno
La carta di soggiorno viene rilasciata al minore:
· ricongiunto con un cittadino straniero titolare di carta di soggiorno o con un cittadino italiano o di uno Stato membro dell’Unione Europea (T.U. 286/98, art. 30, co. 4);
· affidato ex art. 4 l. 184/83 a cittadino straniero titolare di carta di soggiorno (T.U. 286/98, art. 31, co. 2).
1.2) La relazione tra il permesso
di soggiorno e lo status del minore
Cerchiamo ora di analizzare quale tipo di permesso di soggiorno debba essere rilasciato al minore, distinguendo tra diverse condizioni giuridiche del minore stesso, a seconda cioè:
· che il minore sia affidato ex art. 4 l. 184/83, o sottoposto a tutela, o affidato di fatto a parente entro il quarto grado;
· che l’affidatario o il tutore sia un cittadino straniero, o un cittadino italiano, o una comunità di tipo familiare o un istituto di assistenza.
1)
Minore affidato ex art. 4 l. 184/83 a cittadino straniero
Il Testo Unico, art. 31 stabilisce che il minore
affidato ex art. 4 l. 184/83 a cittadino straniero regolarmente soggiornante e
convivente, se
- infraquattordicenne: viene iscritto sul permesso di
soggiorno o carta di soggiorno dell’affidatario;
- ultraquattordicenne: ottiene il permesso di
soggiorno per motivi familiari o la carta di soggiorno.
2)
Minore affidato ex art. 4 l. 184/83 a cittadino italiano
Ove si applichi l'art. 29 co. 2 del T.U. 286/98, in
base a cui il minore affidato è equiparato al figlio ai fini del
ricongiungimento familiare, il minore ottiene la carta di soggiorno (in base
all’art. 30, co. 4 del T.U.).
Ove invece non si applichi l'art. 29 del T.U. 286/98,
si rileva una lacuna in merito a questa situazione, in quanto l'art. 31 fa riferimento
solo al cittadino straniero affidatario,
non prevedendo alcunché per il caso di cittadino italiano affidatario.
Tuttavia, non essendo ragionevole una disparità di trattamento in senso sfavorevole nel caso in cui l’affidatario sia di nazionalità italiana, è da ritenersi che anche in questi casi verrà rilasciato un permesso di soggiorno per motivi familiari, in analogia a quanto previsto nel caso di affidatario straniero.
3)
Minore affidato ex art. 2 e 4 l. 184/83 a una comunità familiare
o a un istituto di assistenza
Il T.U. 286/98 presenta una lacuna in merito a questa
situazione, in quanto l'art. 31 fa riferimento solo al cittadino straniero affidatario, non prevedendo alcunché
per il caso di affidamento a una comunità di tipo familiare o a un
istituto di assistenza pubblico (compreso l’affidamento all’Ente
locale) o privato.
Tuttavia, come nel caso precedente, non essendo
ragionevole tale disparità di trattamento, è da ritenersi che
anche in questi casi verrà rilasciato un permesso di soggiorno per
motivi familiari (o di affidamento).
In ultima istanza, il minore ha comunque diritto al
permesso di soggiorno per minore età in base al regolamento di
attuazione, art. 28.
4)
Minore in tutela a cittadino italiano o straniero (senza affidamento
ex l. 184/83)
Come già visto,
l’art. 29 co. 2 del T.U. 286/98 stabilisce che i minori sottoposti a
tutela sono equiparati ai figli, ai fini del ricongiungimento.
Ove si applichi l'art. 29, dunque, si dovrà
distinguere tra due situazioni, a seconda che il tutore sia:
a) cittadino straniero: in base all'art. 31 del T.U.
286/98, il minore
- infraquattordicenne: viene iscritto sul permesso di
soggiorno o carta di soggiorno del tutore (in analogia al genitore);
- ultraquattordicenne: ottiene il permesso di
soggiorno per motivi familiari o la carta di soggiorno.
b) cittadino italiano: in base all'art. 30, co. 4
del T.U. 286/98, il minore ottiene la carta di soggiorno.
Tuttavia, la circolare
del Ministero dell’Interno del 13.11.2000 fornisce indicazioni in
contrasto con quanto disposto dall’art. 29 co. 2, stabilendo che ai
minori per i quali il Giudice Tutelare “abbia semplicemente nominato un
tutore ai sensi del Codice Civile” non possa essere rilasciato il
permesso di soggiorno per motivi familiari, bensì debba essere
rilasciato il permesso di soggiorno per minore età. Questo aspetto
andrà chiarito al più presto.
5) Minore in tutela a una comunità
familiare o a un istituto di assistenza (senza affidamento ex l. 184/83)
Né il T.U.
286/98 né il regolamento di attuazione stabiliscono quale permesso di
soggiorno debba essere rilasciato al minore in tutela a una comunità di
tipo familiare o a un istituto di assistenza pubblico (compresa la tutela
all’Ente locale) o privato.
Come già visto, la circolare del Ministero
dell’Interno del 13.11.2000 stabilisce che ai minori per i quali il
Giudice Tutelare “abbia semplicemente nominato un tutore ai sensi del
Codice Civile” debba essere rilasciato il permesso di soggiorno per minore
età previsto dal regolamento di attuazione, art. 28.
6) Minore affidato di fatto a cittadino
straniero parente entro il quarto grado (senza affidamento ex l. 184/83)
Ove si applichi l'art. 29 del T.U. 286/98, in base a
cui il minore affidato è equiparato al figlio ai fini del
ricongiungimento familiare (includendo quindi nella definizione di minore
affidato anche l’affidamento di fatto a parente entro il quarto grado),
il minore
- infraquattordicenne: viene iscritto sul permesso di
soggiorno o carta di soggiorno dell’affidatario;
- ultraquattordicenne: ottiene il permesso di
soggiorno per motivi familiari o la carta di soggiorno.
Ove invece non si applichi l'art. 29 del T.U. 286/98,
si rileva una lacuna in merito a questa situazione, in quanto l’art. 31
prevede il rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari solo ai
minori affidati con provvedimento formale ex art. 4 l. 184/83 e non anche ai
minori affidati di fatto entro il gruppo parentale.
In ultima istanza, il minore ha comunque diritto al
permesso di soggiorno per minore età in base al regolamento di
attuazione, art. 28.[29]
7)
Minore affidato di fatto a italiano parente entro il quarto grado
convivente (senza affidamento ex l. 184/83)
Ove si applichi l'art. 29 del T.U. 286/98, in base a
cui il minore affidato è equiparato al figlio ai fini del
ricongiungimento familiare (includendo quindi nella definizione di minore
affidato anche l’affidamento di fatto a parente entro il quarto grado),
il minore ottiene la carta di soggiorno (in base all’art. 30, co. 4).
Ove invece non si
applichi l'art. 29 del T.U. 286/98, il regolamento di attuazione, art. 28
stabilisce che al cittadino straniero convivente con parente entro il quarto
grado di nazionalità italiana viene rilasciato il permesso di soggiorno
per motivi familiari.
8) Minore né affidato né
sottoposto a tutela
Il T.U. 286/98 non stabilisce quale permesso di
soggiorno debba essere rilasciato al minore né affidato né
sottoposto a tutela.
In base al regolamento
di attuazione, art. 28 e alla circolare del Ministero dell’Interno del
13.11.2000, al minore non sottoposto a tutela né affidato viene
rilasciato il permesso di soggiorno per minore età.
1.3) L’identificazione e i documenti
da presentare
Dovrà essere
chiarito quali requisiti sono necessari – oltre a quelli appena
analizzati relativi alla condizione di affidamento o tutela – e quali
documenti devono essere presentati per ottenere i diversi tipi di permesso di
soggiorno. Analizziamo alcuni punti particolarmente problematici:
1) L’identificazione e
l’accertamento dell’età
In primo luogo, andrà chiarito se è
necessario in tutti i casi che il minore sia identificato con certezza, in
particolare al fine di stabilirne l’età, o se vi sono casi –
e ci riferiamo qui in particolare al rilascio del permesso per minore
età – in cui il permesso può essere rilasciato anche in
mancanza di un’identificazione certa.
Il permesso di soggiorno per minore età, in
base alla formulazione dell’art. 28 del regolamento di attuazione e della
circolare del Ministero dell’Interno del 23.12.1999, è finalizzato
a fornire un titolo di soggiorno nei casi in cui non sia possibile rilasciare
alcun altro permesso di soggiorno, in modo da non lasciare il minore in una
condizione di irregolarità che, in quanto tale, può essere
considerato come causa di pregiudizio.
Di conseguenza,
sembrerebbe che i requisiti debbano essere minimi e che quindi ad ogni minore
non titolare di altro tipo di permesso andrebbe rilasciato il permesso di
soggiorno per minore età, a prescindere dalla documentazione in suo
possesso.
A questo proposito,
sono interessanti le “Osservazioni del Presidente del Comitato per i
minori stranieri” approvate dal Comitato per i minori stranieri il
2.5.2000): “Ci si domanda se per il rilascio [del permesso di soggiorno]
è necessaria una identificazione sicura, da parte
dell’autorità di P.S. (vedi anche art. 5 regolamento del
Comitato), oppure sono sufficienti, almeno temporaneamente, le dichiarazioni
del minorenne, eventualmente supportate da documenti anche poco credibili.
Sembrerebbe preferibile la prima ipotesi perché in tal modo si
tenderebbe a far uscire i minorenni dalla clandestinità, che è
l’aspetto più pericoloso del loro soggiorno in Italia, ma
rimarrebbe il fatto che il clandestino ancora non sicuramente identificato si
trova nel limbo: non può essere espulso ma non può avere il
permesso di soggiorno. Potrebbe configurarsi un permesso di soggiorno intestato
ad un nome anche non sicuro ma riferentesi ad altri mezzi di identificazione
(fotografie, impronte digitali)?”
Si può citare in tal senso – in quanto
disposizione che affronta un problema analogo – la disposizione del
regolamento di attuazione del T.U. 286/98 riguardante l’iscrizione a
scuola e il rilascio del titolo conclusivo a minori privi di documenti:
“1. [...] I minori stranieri privi di documentazione anagrafica ovvero in
possesso di documentazione irregolare o incompleta sono iscritti con
riserva. 2. L’iscrizione con
riserva non pregiudica il conseguimento dei titoli conclusivi dei corsi di
studio di ogni ordine e grado. In mancanza di accertamenti negativi
sull’identità dichiarata dall’alunno, il titolo viene
rilasciato all’interessato con i dati identificativi acquisiti al momento
dell’iscrizione” (regolamento di attuazione D.P.R. 394/99, art. 45,
co. 1 e 2).
Dunque, come si comporteranno le Questure di fronte
a un minore che non possieda alcun documento di identità? Ove il minore
sia senza ombra di dubbio al di sotto dei 18 anni, la Questura dovrebbe
potergli comunque rilasciare il permesso di soggiorno con l’indicazione
dei dati dichiarati.
Ove invece il minore sia prossimo ai 18 anni, si
pone naturalmente il problema di verificarne l’effettiva minore
età. Gli esami utilizzati per l’accertamento dell’età
non risolvono il problema, in quanto è nota la scarsissima precisione e
attendibilità di questi esami. Anche questo problema, dunque,
andrà affrontato con indicazioni chiare fornite alle Questure.
2)
Il passaporto
In secondo luogo, si dovrà chiarire se sia
necessario in tutti i casi che il minore presenti il passaporto valido.
Il regolamento di attuazione D.P.R. 394/99, art. 9,
co. 6 stabilisce esplicitamente che per il rilascio del permesso di soggiorno
per protezione sociale non è necessario il possesso del passaporto.
Un’analoga previsione pare dovrebbe valere
anche per i permessi di soggiorno rilasciati ex art. 28 del regolamento di
attuazione ai cittadini stranieri inespellibili, cioè il permesso di
soggiorno per minore età e il permesso di soggiorno per motivi familiari
rilasciato allo straniero convivente con parente entro il quarto grado di
nazionalità italiana.
3)
La legalizzazione dei documenti
In terzo luogo, per
quei documenti che devono essere legalizzati dalle Rappresentanza Diplomatico-Consolari
italiane nel Paese d’origine, è necessario chiarire se vi siano
ostacoli procedurali a tale legalizzazione, dato che in diversi casi le
Ambasciate e Consolati si rifiutano di legalizzare tali documenti.
4) I requisiti per il ricongiungimento
familiare
Infine, andrà chiarito quali requisiti in
termini di permesso di soggiorno, alloggio, e reddito dovrà dimostrare
il cittadino straniero affidatario (o tutore, ove si applichi l’art. 29,
co. 2) perché il minore possa ricevere il permesso di soggiorno per
motivi familiari (o se infraquattordicenne, essere iscritto sul permesso di
soggiorno).
Il T.U. prevede infatti che per effettuare un
ricongiungimento familiare, il cittadino straniero debba dimostrare:
a) la titolarità di un permesso di soggiorno di
durata non inferiore a un anno, rilasciato per lavoro subordinato o per lavoro
autonomo ovvero per asilo, per studio o per motivi religiosi o della carta di
soggiorno (T.U. 286/98, art. 28, co. 1);
b) la disponibilità di un alloggio che rientri
nei parametri minimi previsti dalla legge regionale per gli alloggi di edilizia
residenziale pubblica (T.U. 286/98, art. 29, co. 3);
c) la disponibilità di un reddito annuo
derivante da fonti lecite non inferiore all'importo annuo dell'assegno
sociale (T.U. 286/98, art. 29, co.
3)
Rispetto alla documentazione comprovante i presupposti
di minore età e di parentela, il regolamento di attuazione del T.U.
286/98 stabilisce per l’ingresso al seguito del familiare che tali
presupposti debbano essere dimostrati mediante certificati rilasciati dalla
competente autorità dello Stato estero e autenticati
dall’autorità consolare italiana che attesta che la traduzione in
italiano è conforme all’originale (D.P.R. 394/99, art. 5, co. 7).
Dato che, come sostenuto precedentemente[30],
ci sembra che i criteri per valutare l’idoneità
dell’affidatario a provvedere al minore debbano essere distinti dai
requisiti richiesti per il ricongiungimento familiare, è possibile che
vi siano casi in cui l’affidatario risulti moralmente e materialmente
idoneo all’affidamento (da disporsi con provvedimento formale, o senza
necessità di provvedimento formale nell’ipotesi di affidamento
“di fatto” a parente entro il quarto grado), ma non riesca a
dimostrare i requisiti richiesti per il ricongiungimento.
Andrà dunque chiarito se, nei casi in cui
l’affidatario (o il tutore, ove si applichi l’art. 29, co. 2) non
riesca a dimostrare la sussistenza dei requisiti richiesti per il
ricongiungimento familiare, al minore sarà comunque rilasciato il
permesso di soggiorno per motivi familiari o se invece potrà ricevere
solo il permesso per minore età.
2) La durata del permesso di soggiorno
1)
La durata varia a seconda del tipo di permesso di soggiorno e non per
tutti i tipi di permesso è chiaramente stabilita:
1. Permesso di soggiorno per motivi familiari: il T.U.
286/98, art. 30, co. 3 stabilisce che il permesso di soggiorno per motivi
familiari ha la stessa durata del permesso di soggiorno del familiare straniero
in possesso dei requisiti per il ricongiungimento.
2. Permesso di soggiorno per minore
età: né il T.U. 286/98, né il regolamento di attuazione,
né le circolari del Ministero dell’Interno stabiliscono la durata
del permesso di soggiorno per minore età.
3. Permesso di soggiorno per protezione sociale: ha la
durata di sei mesi e può essere rinnovato per un anno, o per il maggior
periodo occorrente per motivi di giustizia; qualora, alla scadenza del permesso
di soggiorno l’interessato risulti avere in corso un rapporto di lavoro,
il permesso può essere ulteriormente prorogato o rinnovato per la durata
del rapporto medesimo o, se questo è a tempo indeterminato, con le
modalità stabilite per tale motivo di soggiorno; qualora il titolare sia
iscritto a un corso regolare di studi, il permesso può essere convertito
in permesso di soggiorno per motivi di studio (T.U. art. 18, co. 4 e 5).
2) Il
Regolamento del Comitato per i minori stranieri, art. 9 stabilisce che
“1. La durata totale del soggiorno di ciascun minore non puo' superare i
novanta giorni, continuativi o frutto della somma di piu' periodi, riferiti
alle permanenze effettive nell'anno solare. Il Comitato puo' proporre alle
autorita' competenti l'eventuale estensione della durata del soggiorno fino ad
un massimo di centocinquanta giorni, con riferimento a progetti che comprendano
periodi di attivita' scolastica o in relazione a casi di forza maggiore.
L'eventuale estensione della durata della permanenza e' comunicata alla
questura competente ai fini dell'eventuale rinnovo o della proroga del permesso
di soggiorno per gli accompagnatori e per i minori ultraquattordicenni.”
Tale disposizione sembra riferirsi unicamente ai
minori accolti nell’ambito di programmi solidaristici di accoglienza
temporanea e non ai minori presenti non accompagnati, e in tal senso è
stata interpretata dall’allora Presidente del Comitato per i minori
stranieri, Paolo Vercellone, nelle “Osservazioni del Presidente del
Comitato per i minori stranieri” approvate il 2.5.2000. Tuttavia,
poiché tale limitazione non è esplicitata, restano margini di
ambiguità.
3) La conversione del permesso di soggiorno
al compimento della maggiore età
Un problema fondamentale è rappresentato dalla
possibilità di convertire il permesso di soggiorno dopo il compimento
dei 18 anni.
Facendo riferimento al T.U. 286/98 e ad alcune circolari,
proviamo ad analizzare la possibilità di conversione prevista per i
diversi tipi di permesso di soggiorno[31].
1) Il
permesso di soggiorno per motivi familiari rilasciato a minore affidato a
cittadino straniero ex art. 4 l. 184/83 e il permesso di soggiorno rilasciato a
minore comunque affidato ex art. 2 l. 184/83, al compimento della maggiore
età può essere convertito in permesso di soggiorno per motivi di
studio, di accesso al lavoro (prescindendo dal possesso dei requisiti di cui
all’art. 23), di lavoro subordinato o autonomo, per esigenze sanitarie o
di cura (T.U. 286/98, art. 32).
L'art. 2 legge 184/83 stabilisce che: "Il minore
che sia temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo può essere
affidato ad un'altra famiglia, possibilmente con figli minori, o ad una persona
singola, o ad una comunità di tipo familiare, al fine di assicurargli il mantenimento,
l'educazione e l'istruzione. Ove non sia possibile un conveniente
affidamento familiare, è consentito il ricovero del minore in un
istituto di assistenza pubblico o privato, da realizzarsi di preferenza
nell'ambito della regione di residenza del minore stesso."
L’espressione "minore comunque affidato ex
art. 2 l. 184/83" comprende dunque, oltre al minore affidato a cittadino
straniero (caso già disciplinato dall'art. 31 T.U. 286/98), anche:
·
il minore
affidato a cittadino italiano;
·
il minore
affidato a una comunità di tipo familiare;
·
forse anche il
minore ricoverato presso un istituto di assistenza pubblico o privato: anche se
non si tratta di affidamento familiare, si tratta comunque di un tipo di
affidamento disciplinato dall'art. 2 legge 184/83, equiparato
all’affidamento familiare dal punto di vista dei poteri e obblighi
dell’affidatario (l'art. 3 l.184 stabilisce che "All'istituto di
assistenza spettano i poteri e gli obblighi dell'affidatario di cui
all'articolo 5 [cioè l'affidamento familiare].", e l'art. 5
stabilisce che "Le norme di cui ai commi precedenti [circa l'affidamento
familiare] si applicano, in quanto compatibili, nel caso di minori ospitati
presso una comunità alloggio o ricoverati presso un istituto.")
Se questa interpretazione fosse accettata, i minori
affidati a comunità familiare e i minori ricoverati presso un istituto
pubblico o privato dovrebbero poter convertire il permesso di soggiorno al
compimento della maggiore età secondo le disposizioni previste
dall’art. 32, qualsiasi permesso di soggiorno sia stato loro rilasciato
– in ipotesi, dunque, anche un permesso di soggiorno per minore
età.
2) Il permesso di soggiorno per motivi
familiari rilasciato al minore sottoposto a tutela o affidato, ove si applichi
l’art. 29 del T.U., al compimento della maggiore età può
essere convertito in permesso di soggiorno per lavoro subordinato, per lavoro
autonomo o per studio (T.U. 286/98, art. 30, co. 5).
3)
Il permesso di soggiorno per motivi familiari rilasciato al minore
affidato di fatto a italiano parente entro il quarto grado convivente al
compimento della maggiore età può essere convertito secondo le
modalità previste dall’art. 32 o dall’art. 30, co. 5 del
T.U. 286/98 (v. sopra).
4)
Il permesso di soggiorno per minore età:
Né il T.U. 286/98, né il regolamento di
attuazione stabiliscono se e come possa essere convertito il permesso di
soggiorno per minore età, al compimento della maggiore età.
La circolare del Ministero dell’Interno del
13.11.2000 stabilisce – senza alcun conforto di legge – che il
permesso di soggiorno per minore età non può essere in alcun caso
convertito al compimento della maggiore età[32].
Fanno eccezione i minori “comunque affidati ai
sensi dell’art. 2 l. 184/83”, ai quali in base all’art. 32
T.U. 286/98 è consentita la conversione del permesso di soggiorno (vedi
punto 1).
4) I diritti connessi ai diversi tipi di
permessi di soggiorno
Analizziamo sinteticamente la disciplina dei diritti
connessi ai diversi tipi di permesso di soggiorno, e in particolare del diritto
di esercitare attività lavorativa e del diritto di rientrare in Italia
con il permesso di soggiorno valido, secondo quanto disposto dal T.U 286/98,
dal regolamento di attuazione D.P.R. 394/99 e dalle circolari ministeriali.
Rimandiamo invece al capitolo successivo per la
disciplina del diritto alla salute e del diritto all’istruzione.
4.1) Il diritto di esercitare
attività lavorativa:
1) Permesso di soggiorno per motivi familiari
o per affidamento: il T.U. 286/98, art. 6, co. 1 stabilisce che il permesso di
soggiorno per motivi familiari consente di lavorare.
2) Permesso di soggiorno per minore
età: né il T.U. 286/98, né il regolamento di attuazione
dettano disposizioni in materia; la circolare del Ministero dell’Interno
del 13.11.2000 stabilisce – senza alcun conforto di legge – che il
permesso di soggiorno per minore età non consente di lavorare[33].
3) Permesso di soggiorno per protezione
sociale: il T.U. art. 18, co. 5 stabilisce che il permesso per protezione
sociale consente di lavorare.
4) Carta di soggiorno: il T.U. 286/98, art. 9, co. 4
stabilisce che la carta di soggiorno consente di svolgere nel territorio dello
Stato ogni attivita' lecita, salvo quelle che la legge espressamente vieta allo
straniero o comunque riserva al cittadino.
4.2) Il diritto di rientrare in Italia con
il permesso di soggiorno valido
Un’altra questione rilevante è il diritto
del minore titolare di permesso di soggiorno valido, al reingresso in Italia in
seguito all’uscita dal territorio dello Stato.
Il T.U. 286/98 e il regolamento di attuazione
stabiliscono che, ai fini del reingresso in Italia, per:
·
il titolare di
permesso di soggiorno in corso di validità: è sufficiente una
preventiva comunicazione all’autorità di frontiera (T.U. 286/98,
art. 4, co. 2) e l’esibizione del passaporto o documento equivalente e
del permesso di soggiorno in corso di validità (regolamento di
attuazione, art. 8, co. 2);
·
il titolare di
carta di soggiorno: è sufficiente l’esibizione del passaporto o
documento equivalente e del permesso di soggiorno in corso di validità
(T.U. 286/98, art. 9, co. 4; regolamento di attuazione, art. 8, co. 5);
Né il T.U.
286/98, né il regolamento di attuazione dettano disposizioni specifiche
per il permesso per minore età. Alcune Questure, tuttavia, indicano sul
permesso per minore età “non valido per l’espatrio”,
dicitura che significa che il minore non può uscire dal territorio
italiano e poi rientrarvi regolarmente con il permesso di soggiorno per minore
età in corso di validità. Il minore che voglia tornare nel paese
d’origine per andare a trovare la famiglia, e poi tornare in Italia, si
trova dunque costretto a ritentare la via dell’immigrazione clandestina,
ovvero a rinunciare alla visita ai familiari.
Tale orientamento ci sembra violare gravemente il
principio del superiore interesse del minore e il diritto del minore di
mantenere i rapporti con la sua famiglia, sancito dalla Convenzione di New York
e dalla legge.
5) Le procedure per la richiesta del
permesso di soggiorno
5.1) La rappresentanza del minore
Nei casi in cui il minore è affidato o
sottoposto a tutela, potrà essere l’affidatario o il tutore a
presentare la domanda di permesso di soggiorno.
Nei casi, invece, in
cui il minore non sia né affidato né sottoposto a tutela, si pone
il problema se la richiesta di permesso di soggiorno possa essere presentata
direttamente dal minore; o debba invece essere nominato un tutore perché
il minore possa essere rappresentato nella richiesta del permesso di soggiorno;
o ancora, si preveda un limite di età (ad es. 15 anni, in analogia a quanto disposto per la
richiesta della carta di identità) prima del quale sarà
necessario un tutore, e oltre il quale il minore potrà presentare
direttamente la richiesta di permesso di soggiorno.
5.2) I tempi
Dovrà essere chiarito se vi è un limite
di età precedente il compimento dei 18 anni, al di là del quale
il permesso di soggiorno non può più essere rilasciato al minore.
La legge non stabilisce tale limite e sembra quindi
illegittimo che esso venga posto dalle Questure[34].
Si deve inoltre considerare che, se la richiesta di
permesso di soggiorno viene presentata in prossimità del compimento dei
18 anni, ciò assai spesso dipende dalla lentezza di altre procedure, ad
esempio per l’ottenimento del passaporto o per la legalizzazione dei documenti
da parte delle Rappresentanze Diplomatico-Consolari italiane nel Paese
d’origine.
In tali casi sembrerebbe più opportuno
considerare la data di inizio del procedimento (ad es., la data in cui è
stata presentata la domanda di permesso di soggiorno incompleta del passaporto
o dei documenti da legalizzare).
Cerchiamo qui di approfondire due questioni
particolarmente problematiche che abbiamo trattato sinteticamente nei paragrafi
precedenti: il permesso per minore età e la questione dei minori
affidati di fatto a parenti entro il quarto grado.
La disciplina del permesso di soggiorno per minore
età è gravemente lacunosa: questo tipo di permesso di soggiorno,
infatti, non è neppure previsto dal T.U. 286/98, e il regolamento di
attuazione che lo ha introdotto si limita a stabilire che esso debba essere
rilasciato ai minori inespellibili, senza ulteriori specificazioni.
E' quindi intervenuta una circolare del Ministero
dell'Interno a fornire indicazioni alle Questure su importanti aspetti relativi
al permesso per minore età, e in particolare sulla non convertibilità
di tale permesso di soggiorno al compimento della maggiore età e sul
fatto che esso non dà diritto di esercitare attività lavorativa.
Le gravi lacune normative cui abbiamo fatto cenno,
tuttavia, non possono essere colmate da una circolare del Ministero
dell’Interno: ricordiamo infatti che la Costituzione stabilisce
all’art. 10 che “La condizione giuridica dello straniero è
regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati
internazionali”.
Riteniamo dunque che, finché perdura tale
lacuna normativa, l’interpretazione delle norme debba fondarsi sulla base
dei principi generali di tutela dei diritti dei minori stabiliti dalla
Convenzione di New York e dalla legge.
1) La conversione del permesso di
soggiorno per minore età al compimento della maggiore età
Come abbiamo già visto, né il
T.U. 286/98 né il regolamento di attuazione disciplinano la questione
della conversione del permesso di soggiorno per minore età al compimento
dei 18 anni: non vi è alcuna disposizione che stabilisca che il permesso
per minore età possa
essere convertito, ma nemmeno vi è alcuna disposizione che stabilisca
che tale permesso non
possa essere convertito.
La circolare del Ministero dell’Interno
del 13.11.2000, invece – senza alcun conforto di legge – stabilisce
che il permesso di soggiorno per minore età non può essere
convertito.
Le disposizioni dell’art. 32 del T.U.
286/98 relative alla conversione del permesso di soggiorno alla maggiore
età riguardano specificatamente i minori affidati ex art.2 o 4 della
legge 184/83, non prevedendo alcunché per i titolari di permesso di
soggiorno per minore età. Dalla mancata inclusione del permesso di
soggiorno per minore età tra quelli citati all’art. 32 del T.U.
286/98 discenderebbe, secondo alcuni, la non convertibilità di tale permesso
al compimento della maggiore età.
Tuttavia, non si vede come il Testo Unico
avrebbe potuto indicare il permesso di soggiorno per minore età tra
quelli convertibili, dato che tale permesso di soggiorno è stato
introdotto solo dal regolamento di attuazione, entrato in vigore più di
un anno e mezzo dopo l’emanazione della legge 40/98.
Né l’impossibilità di
convertire il permesso di soggiorno per minore età può essere
fatta discendere dal fatto che tale permesso non sia citato all’art. 14
del regolamento di attuazione (intitolato “Conversione del permesso di
soggiorno”), in quanto tale articolo non è esaustivo, non dettando
disposizioni neanche in relazione ad altri permessi di soggiorno convertibili
come appunto il permesso di soggiorno rilasciato a minori affidati ex art. 2 o
4 della legge 184/83 (T.U. 286/98, art. 32) o il permesso per motivi di
protezione sociale (T.U. 286/98, art. 18).
E’ importante notare, inoltre, che il
T.U. 286/98, art. 5, co. 9 prevede in generale la convertibilità del permesso di soggiorno in
presenza dei requisiti richiesti dal Testo Unico e dal regolamento di
attuazione “Il permesso di soggiorno è rilasciato, rinnovato o
convertito entro 20 giorni dalla data in cui è stata presentata la
domanda, se sussistono i requisiti e le condizioni previsti dal presente Testo
unico e dal regolamento di attuazione per il permesso di soggiorno richiesto
ovvero, in mancanza di questo, per altro tipo di permesso da rilasciare in
applicazione del presente Testo unico.” Sembrerebbe quindi che la norma
sia la convertibilità, ad eccezione dei tipi di permesso di soggiorno per i quali è
esplicitamente stabilito che non possono essere convertiti.
Infine, benché il Testo Unico e il
regolamento di attuazione non stabiliscano la convertibilità del permesso
per minore età, non vi è neanche (né nel Testo Unico,
né nel regolamento di attuazione) alcuna disposizione che ne vieti la
conversione o il rinnovo, come è invece ad esempio per i permessi di
soggiorno di cui all’art. 27 del T.U. 286/98, per i quali il regolamento
di attuazione stabilisce che “non possono essere rinnovati e [...] non
possono essere convertiti, salvo quanto previsto dall’articolo 14, comma
5” (D.P.R. 394/99, art. 40).
Vi è dunque una lacuna normativa,
lacuna che certamente non può essere colmata da una mera circolare del
Ministero dell’Interno. In presenza di tale lacuna, riteniamo quindi di
dover interpretare le norme facendo riferimento ai principi generali
riguardanti i diritti dei minori, sanciti dalla Convenzione di New York sui
diritti del fanciullo, ratificata e resa esecutiva con legge 176/91, e dalla
legge.
Tale richiamo alla Convenzione di New York
è criticato da coloro che sostengono che la Convenzione, proprio in
quanto sancisce i diritti dei minori fino ai 18 anni, non possa fornire alcun
riferimento interpretativo circa la questione della conversione del permesso di
soggiorno alla maggiore età: lo Stato italiano, si sostiene, rispetta la
Convenzione di New York prevedendo l’inespellibilità del minore e
il rilascio del permesso per minore età, ma non è in alcun modo
obbligato a prevedere la possibilità di soggiorno regolare sul
territorio italiano dopo il compimento dei 18 anni.
Questa posizione, tuttavia, non ci sembra
corretta, in quanto non tiene in considerazione il fatto che la
possibilità di progettare il proprio futuro ha un’importanza
enorme per il minore: non si può ignorare, cioè, che ciò
che accadrà al compimento dei 18 anni ha una profonda rilevanza per la
vita del minore, ancora durante la minore età.
Si può ritenere, quindi, che la
Convenzione di New York debba fornire i principi generali in base ai quali
interpretare le norme vigenti, anche rispetto alla questione della conversione
del permesso alla maggiore età. E, naturalmente, il primo principio da
considerare è il principio del superiore interesse del minore, per cui
in tutte le decisioni relative ai fanciulli l'interesse superiore del fanciullo
deve essere una considerazione preminente (Convenzione di New York, art. 3).
Ora, è chiaro che, se il minore sa che
a 18 anni perderà il permesso di soggiorno e verrà espulso, ogni
percorso di inserimento scolastico, formativo, lavorativo e relazionale in
Italia perde significato, diventando una sorta di limbo in attesa
dell’espulsione. Questo significa, da una parte, che al minore viene
preclusa ogni prospettiva di inserimento positivo e rispettoso delle leggi nel
nostro paese. E, dall’altra parte, implica che molti minori si
allontaneranno da questi positivi percorsi di emersione e inserimento,
sperimentati con successo negli anni passati, e resteranno nella
clandestinità, finendo sfruttati e gravemente esposti al rischio di coinvolgimento in
attività devianti.
E’ evidente, dunque, che la disposizione per cui
non è consentita in alcun caso la conversione del permesso per minore
età ai 18 anni non risponde affatto al “superiore interesse del
minore”, bensì a una logica di repressione dell’immigrazione
clandestina: logica resa evidente dalla stessa terminologia utilizzata dalla
circolare del Ministero dell’Interno del 13.11.2000 che, in riferimento
al permesso per minore età parla di “provvisorietà
dell’autorizzazione che non è finalizzata a tutelare un diritto di
stabilimento.”
Riteniamo dunque che la questione della
convertibilità del permesso di soggiorno per minore età debba
essere rivista, nel rispetto della Convenzione di New York e del principio del
“superiore interesse del minore”.
2) Il diritto di esercitare
attività lavorativa
Analogamente alla questione appena analizzata
della convertibilità del permesso di soggiorno per minore età,
anche rispetto al diritto di lavorare dei minori stranieri in età
lavorativa titolari di permesso per minore età né il T.U. 286/98
né il regolamento di attuazione dettano disposizioni: non stabiliscono
che il permesso per minore età consente di lavorare, ma nemmeno che tale permesso non consente di lavorare. E’ solo la
circolare del Ministero dell’Interno del 13.11.2000 a stabilire che il
permesso di soggiorno per minore età non consente di lavorare.
Come per la questione della convertibilità,
dunque, vi è una lacuna normativa, che non può assolutamente
essere colmata da una circolare.
Si dovrà dunque ricorrere ai principi
generali relativi ai diritti dei minori, sanciti dalla Convenzione di New York
sui diritti del fanciullo, e in particolare a:
·
il principio del
superiore interesse del minore, per cui in tutte le decisioni relative ai
fanciulli l'interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione
preminente (Convenzione di New York, art. 3)
·
il diritto alla non
discriminazione, per cui i diritti sanciti dalla Convenzione devono essere
riconosciuti a tutti i minori, senza distinzione – tra le altre –
di nazionalità: “Gli Stati Parti si impegnano a rispettare i
diritti enunciati nella presente Convenzione ed a garantirli ad ogni fanciullo
che dipende dalla loro giurisdizione, senza distinzione di sorta ed a
prescindere da ogni considerazione di razza, di colore, di sesso, di lingua, di
religione, di opinione politica o altra del fanciullo o dei suoi genitori o rappresentanti
legali, dalla loro origine nazionale, etnica o sociale, dalla loro situazione
finanziaria, dalla loro incapacità, dalla loro nascita o da ogni altra
circostanza” (Convenzione di New York, art. 2);
·
il diritto alla
tutela dallo sfruttamento economico (Convenzione di New York, art. 32).
Negare al minore straniero in età da lavoro di esercitare
attività lavorativa costituisce una grave discriminazione dei minori
stranieri rispetto ai minori italiani.
Tale esclusione dalla facoltà di esercitare attività
lavorativa pone gravi ostacoli all’integrazione del minore, aggravandone
l’emarginazione, rendendolo dipendente dai servizi socio-assistenziali o
favorendone lo sfruttamento nell’ambito del lavoro nero o il
coinvolgimento in attività illegali.
Questa disposizione si pone evidentemente in contrasto con la logica di
tutela del superiore interesse del minore, e risponde invece, di nuovo, ad una
logica di controllo dei flussi migratori: al minore titolare di permesso di
soggiorno per minore età non deve essere consentito di lavorare non
perché questo risponda al suo superiore interesse ma perché non
si creino i presupposti per una sua permanenza in Italia (“detto titolo non
consenta lo svolgimento di
attività lavorativa, in ragione della provvisorietà
dell’autorizzazione che non è finalizzata a tutelare un diritto di
stabilimento.”: circolare del Ministero dell’Interno del
13.11.2000).
Inoltre, per quanto riguarda i minori sottoposti a
tutela, ricordiamo che il Codice Civile, art. 371 stabilisce che
“[…] il giudice tutelare, su proposta del tutore e sentito il
protutore, delibera: l) sul luogo dove il minore deve essere allevato e sul suo
avviamento agli studi o all'esercizio di un'arte, mestiere o professione
[…]”.
La circolare del Ministero dell’Interno del
13.11.2000, non consentendo al minore sottoposto a tutela di “essere
avviato all’esercizio di un'arte, mestiere o professione” viene
quindi a limitare la decisione del Giudice Tutelare: in modo del tutto illegittimo,
dunque, una circolare amministrativa viene ad influire pesantemente su
provvedimenti della Magistratura.
Anche la questione del diritto di esercitare attività lavorativa
dovrà quindi essere rivista, nel rispetto della Convenzione di New York
e della legge.
3)
Un po’ di storia...
E’ interessante ricordare come questi stessi
problemi si fossero posti già nella prima metà degli anni
’90 e, in assenza di una legge organica sull’immigrazione, fossero
stati affrontati e positivamente risolti mediante una serie di circolari, in
base alle quali al minore destinatario di un provvedimento
dell’Autorità Giudiziaria era rilasciato un permesso di soggiorno
per motivi di giustizia, che consentiva di lavorare e poteva essere convertito
in permesso per lavoro al compimento della maggiore età.
La circolare del Ministero dell’Interno
3.11.1993 sosteneva infatti la necessità di consentire
l’avviamento al lavoro dei minori “per un duplice ordine di motivi
sia in ossequio alla normativa vigente a tutela dei minori, non solo
lavoratori, sia nell’ottica di una politica di prevenzione della
delinquenza minorile, di cui possono diventare facile preda i minori, anche
stranieri, che si vengano a trovare fuori dell’ambito familiare”.
La Circolare del Ministero del Lavoro 16.6.1994, n. 67 stabilì poi che i
minori stranieri in stato di abbandono potevano essere avviati al lavoro con
una speciale procedura.
Per quanto riguarda il problema della conversione,
leggiamo nella circolare del Ministero del Lavoro 19.9.95, che “[...] Da
alcuni Uffici del lavoro, peraltro, sono stati segnalati casi di particolare
gravità riferiti a minori che, raggiunta la maggiore età,
rimangono in Italia, non essendo decadute le ragioni di carattere umanitario
che hanno determinato l’emanazione delle disposizioni sull’accoglienza,
e che, a causa della disposizione sopra ricordata, si trovano nella
impossibilità di accedere al mercato del lavoro. Considerato quanto
sopra, pertanto, e sentito il parere favorevole del Ministero
dell’Interno, Dipartimento P.S., si dispone che i minori extracomunitari
in stato di abbandono di cui alla citata circolare n. 67, al raggiungimento
della maggiore età, possano essere iscritti nelle liste di collocamento
e possano, quindi, essere avviati al lavoro secondo le ordinarie procedure”.
Immediatamente dopo la circolare del Ministero dell’Interno 23.9.1995, n.
29 disponeva che “[...] In particolare, si richiama l’attenzione
sul fatto che ai minori in stato di abbandono che, al raggiungimento della
maggiore età, verranno iscritti nelle liste di collocamento - onde
essere avviati al lavoro secondo le procedure ordinarie - gli Uffici Stranieri
delle Questure dovranno rilasciare un analogo permesso di soggiorno senza
bisogno della preventiva autorizzazione di questo Dicastero.”
Non si comprende davvero perché, dopo
l’entrata in vigore della prima legge organica sull’immigrazione in
Italia, che ha migliorato sotto molti aspetti la condizione degli immigrati nel
nostro paese, e ha posto principi forti di tutela dei minori stranieri (come
l’inespellibilità del minore, il richiamo al superiore interesse
del minore, il diritto all’istruzione....), si debba invece assistere a
una così grave violazione dei diritti dei minori stranieri a causa di
una semplice circolare del Ministero dell’Interno, che fornisce indicazioni
alle Questure in netto contrasto con i principi generali di tutela del minore
sanciti dalla legge e dalla Convenzione di New York.
6.2) I minori affidati di fatto a parenti
entro il quarto grado
Riprendiamo qui la questione dei minori affidati a parenti entro il
quarto grado, questione che risulta particolarmente incerta e problematica.
1)
Come abbiamo già visto, il T.U. 286/98, art. 29 co. 2 prevede che
“Ai fini del ricongiungimento si considerano minori i figli di età
inferiore a 18 anni. I minori adottati o affidati o sottoposti a tutela sono
equiparati ai figli”.
Si può ipotizzare che, nella definizione di “minori
affidati” possano ricomprendersi non solo i minori affidati con un
provvedimento di un’autorità (italiana o straniera), ma anche i
minori affidati di fatto a parenti entro il quarto grado.
In base all’art. 9 della legge 184/83, infatti, per i minori
accolti da parenti entro il quarto grado non vi è necessità di
provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria: “Chiunque, non
essendo parente entro il quarto grado, accoglie stabilmente nella propria abitazione un minore, qualora
l'accoglienza si protragga per un periodo superiore a sei mesi, deve, trascorso
tale periodo, darne segnalazione al giudice tutelare, che trasmette gli atti al
tribunale per i minorenni con relazione informativa.”
L’art. 29 T.U. 286/98, equiparando il minore affidato al figlio ai
fini del ricongiungimento familiare, sembra doversi applicare a maggior ragione al minore affidato a
parente entro il quarto grado (ancorché senza provvedimento formale che,
in base all'art. 9 legge 184/83, non è richiesto).
Inoltre, sembra confermare l’interpretazione secondo cui nella
definizione di “minori affidati” potrebbero essere inclusi anche i
minori affidati di fatto a parenti entro il quarto grado, anche il disposto
dell’art. 33, co.1 della legge 184/83 (come modificato dalla legge
476/98) che, stabilendo il divieto di ingresso per i minori non accompagnati da
almeno un genitore o da parenti entro il quarto grado, sembra prevedere a
contrariis la
possibilità di ingresso del minore al seguito non solo dei familiari
elencati nell’art. 29, co. 1 del T.U. 286/98, ma anche al seguito del
parente entro il quarto grado.
Ulteriore argomento a sostegno di tale
interpretazione è il fatto che l’art. 19 del T.U. 286/98, che
stabilisce il “diritto” del minore a seguire l’affidatario
espulso, sia talvolta applicato anche alla fattispecie del minore affidato di
fatto a parente entro il quarto grado. Non si comprende, infatti, perché
l’espressione “minore affidato” all’art. 29 del T.U.
dovrebbe riferirsi solo all’affidamento formale, mentre il concetto di
“affidatario” all’art. 19 comprenderebbe anche l’affidamento
di fatto.
Dunque, ove venisse accettata l'interpretazione secondo cui il minore
affidato di fatto a parente entro il quarto grado idoneo a provvedervi debba
essere incluso nella definizione di “minori affidati” di cui
all'art. 29 co. 2 T.U. 286/98, il minore, in quanto equiparato al figlio,
dovrebbe essere iscritto sul permesso di soggiorno o carta di soggiorno
dell’affidatario fino all’età di 14 anni, e ricevere il
permesso di soggiorno per motivi familiari al compimento dei 14 anni (in base
all’art. 31).
2)
Ove invece tale interpretazione non fosse accettata, e si dovesse quindi
fare riferimento unicamente all’art. 31, la situazione dei minori
accompagnati da parenti entro il quarto grado risulterebbe poco chiara a causa
soprattutto del mancato coordinamento tra il T.U. 286/98 e la legge 184/83.
Come abbiamo già sottolineato,
infatti, il T.U. 286/98, art. 31
stabilisce che il minore affidato a cittadino straniero con un provvedimento
formale di affidamento (consensuale o giudiziale) ex art. 4 della legge 184/83
venga iscritto nel permesso di soggiorno dell’affidatario o riceva il
permesso di soggiorno per motivi familiari, mentre nulla viene previsto
riguardo al minore affidato di fatto al parente entro il quarto grado.
Il fatto che possa essere disposto un provvedimento formale di affidamento al parente entro il quarto è materia di discussione.[35]
Nei casi in cui il provvedimento viene disposto, non sussiste alcun problema: si potrà applicare l’art. 31 del T.U. 286/98.
Nei casi invece in cui il Tribunale per i minorenni e i servizi locali
si dichiarino incompetenti a provvedere, si crea un'impasse: il minore affidato
di fatto al parente entro il quarto grado non può ottenere il permesso
di soggiorno per motivi familiari perché in base al Testo Unico 286/98
sarebbe necessario un provvedimento formale di affidamento, che però in
base alla legge 184/83 si sostiene non poter essere disposto.
Per risolvere chiaramente questa situazione sarebbe necessario un intervento legislativo che modificasse gli artt. 31 e 32 del T.U., comprendendo esplicitamente o almeno non escludendo i minori affidati di fatto a parenti entro il quarto grado.
In attesa di tale intervento legislativo, l’unica via percorribile sembra essere quella di un’interpretazione estensiva degli artt. 31 e 32 sulla base della considerazione che fosse volontà del legislatore stabilire il diritto del minore affidato ad ottenere il permesso di soggiorno per motivi familiari e che tale diritto, stabilito esplicitamente per i minori affidati ex art. 4 della l.184/83, può essere implicitamente riconosciuto (ed a maggior ragione) ai minori affidati a parente entro il quarto grado, per i quali non è neppure necessario tale provvedimento.
7) Per i minori titolari di permesso per minore età: ipotesi di uscita e reingresso in Italia per lavoro, studio ecc. e di conversione in permesso per lavoro autonomo
Tentiamo qui di valutare alcune ipotesi per consentire al minore
titolare di permesso per minore età di restare regolarmente sul
territorio italiano dopo il compimento dei 18 anni.
1)
Uscita e reingresso in Italia per lavoro, studio ecc. durante la minore
età
Una via per consentire al minore titolare di permesso per minore
età di ottenere un permesso di soggiorno rinnovabile al compimento dei
18 anni parrebbe essere quella del ritorno nel paese d’origine e del
successivo reingresso in Italia nel rispetto delle norme sull’ingresso e
soggiorno degli stranieri stabilite dal T.U. 286/98.
Ad es. il minore potrebbe fare richiesta di visto per motivi di lavoro,
in seguito a chiamata nominativa di un datore di lavoro disponibile ad
assumerlo o mediante l’ingresso con garanzia (la c.d.
“sponsorizzazione”), o di visto di ingresso per studio.
Il T.U. 286/98 e il relativo regolamento di
attuazione non dettano disposizioni specifiche sull’ingresso in Italia di
stranieri minorenni, il che indurrebbe a pensare che debbano applicarsi le
stesse disposizioni previste per i maggiorenni: non dovrebbero esservi, dunque,
ostacoli particolari per i minorenni.
L’art. 33 della legge 184/83 (come
modificato dalla legge 476/98), però, stabilisce che “Fatte salve
le ordinarie disposizioni relative all'ingresso nello Stato per fini familiari,
turistici, di studio e di cura, non è consentito l'ingresso nello Stato
a minori che non sono muniti di visto di ingresso rilasciato ai sensi
dell'articolo 32 [cioè per adozione] ovvero che non sono accompagnati da
almeno un genitore o da parenti entro il quarto grado”, tranne che
“nel caso in cui, per eventi bellici, calamità naturali o eventi eccezionali secondo
quanto previsto dall'articolo 18 della legge 6 marzo 1998, n. 40, o per altro grave impedimento di carattere
oggettivo, non sia possibile l'espletamento delle procedure di cui al presente
Capo e sempre che sussistano motivi di esclusivo interesse del minore
all'ingresso nello Stato.”
Da questa disposizione parrebbe dunque che i minori non accompagnati da
almeno un genitore o da parenti entro il quarto grado possano entrare
regolarmente in Itali solo per motivi familiari, turistici, di studio, di cura
e di adozione.
Sembrerebbe invece essere esclusa la possibilità di ingresso per
lavoro.
Non è chiaro tuttavia, dalla disposizione citata, se il minore
accompagnato da parente entro il quarto grado possa ottenere un visto di
ingresso per lavoro.
Per quanto riguarda
l’ingresso per motivi di studio, il minore di età superiore ai 14
anni può richiedere il visto di ingresso per seguire corsi di studio o
di formazione professionale presso istituti riconosciuti o comunque qualificati
(Ministero degli Affari Esteri - Decreto interministeriale del 12.7.2000).
I requisiti e le
condizioni per l'ottenimento del visto sono:
a) documentate garanzie
circa il corso di studio, formazione professionale o attività culturale
da svolgere;
b) adeguate garanzie
circa i mezzi di sostentamento, non inferiori all'importo stabilito dal
Ministero dell'interno con la Direttiva di cui all'art. 4, comma 3 del Testo
unico n. 286/1998;
c) polizza assicurativa
per cure mediche e ricoveri ospedalieri, laddove non abbia diritto
all'assistenza sanitaria in Italia in virtù di accordi o convenzioni in
vigore con il suo Paese;
d) età maggiore
di anni 14.
Rispetto a questa ipotesi di uscita e reingresso
regolare in Italia, inoltre, è importante che sia garantito che il
minore entrato clandestinamente in Italia non sia inserito nelle “liste
Schengen”, in modo da non precludergli un successivo ingresso regolare
(ci è infatti noto un caso in cui ciò si è verificato).
2) Conversione del permesso per minore
età in permesso per lavoro autonomo
Un’altra
ipotesi da considerare è la richiesta di conversione del permesso per
minore età in permesso per lavoro autonomo in base al regolamento di
attuazione art. 39, co. 7, in base a cui lo straniero già presente in
Italia, in possesso di regolare permesso di soggiorno diverso da quello che
consente l’esercizio di attività lavorativa, può chiedere
alla questura competente per il luogo in cui intende esercitare lavoro autonomo
la conversione del permesso di soggiorno, nell’ambito delle quote di
ingresso per lavoro autonomo.
Tuttavia, questa ipotesi ci sembra
difficilmente percorribile in quanto:
·
è
necessaria l’attestazione della Direzione Provinciale del Lavoro che la
richiesta rientra nell’ambito delle quote di ingresso per lavoro
autonomo: si pongono dunque i problemi visti sopra in relazione alle
possibilità di ingresso per stranieri minorenni;
·
ci risulta che
per l’iscrizione a diversi Albi e Registri e per l’apertura della
partita IVA tra i requisiti richiesti vi sia la maggiore età.
3) Uscita e reingresso da
maggiorenne
Il minorenne può naturalmente tornare nel paese d’origine
e – una volta compiuti i 18 anni – presentare richiesta di visto
per rientrare in Italia nel rispetto delle norme sull’ingresso e
soggiorno degli stranieri stabilite dal T.U. 286/98.
Altrettanto vale per il neo-maggiorenne già titolare di permesso
di soggiorno per minore età, al quale è stato revocato il
permesso di soggiorno al compimento della maggiore età. Ricordiamo
tuttavia che, se il neo-maggiorenne riceve un decreto di espulsione, in
generale non potrà rientrare regolarmente in Italia per 5 anni (T.U. 286/98,
artt. 13, co. 13-14).
8) La competenza del Comitato per i minori
stranieri in relazione al permesso di soggiorno
Un'ultima questione da affrontare concerne le competenze del Comitato
per i minori stranieri in materia di rilascio del permesso di soggiorno.
Nelle Osservazioni del Presidente del Comitato per i minori stranieri
del 2 maggio 2000, tale competenza veniva chiaramente esclusa.
Tuttavia, gli attuali orientamenti del Comitato per i minori stranieri
sembrano non escludere questa ipotesi, facendo riferimento all'art. 2, co.2 del
regolamento del Comitato per i minori stranieri, che stabilisce:
"[…] il Comitato a) vigila sulle modalità di soggiorno dei
minori".
In particolare, si può ipotizzare che il Comitato possa svolgere
la funzione di valutare il percorso (scuola, formazione professionale, lavoro
ecc.) svolto dal minore sul territorio italiano e fornire indicazioni alla
Questura competente circa il rilascio del permesso di soggiorno, e in
particolare circa la conversione del permesso di soggiorno alla maggiore
età.
Il Comitato verrebbe così ad assumere, mutatis mutandis, un ruolo in certo qual senso analogo alla
Commissione per il riconoscimento dello status di rifugiato: non sarebbe il
Comitato, naturalmente, a rilasciare il permesso di soggiorno (competenza
attribuita esclusivamente alle Questure), ma la sua valutazione sulla
situazione del minore costituirebbe il presupposto per il rilascio del permesso
stesso.
Fonti normative e altre disposizioni
relative a
Convenzione di New York
Art. 2
1. Gli Stati Parti si impegnano a rispettare i diritti
enunciati nella presente Convenzione ed a garantirli ad ogni fanciullo che
dipende dalla loro giurisdizione, senza distinzione di sorta ed a prescindere
da ogni considerazione di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione,
di opinione politica o altra del fanciullo o dei suoi genitori o rappresentanti
legali, dalla loro origine nazionale, etnica o sociale, dalla loro situazione
finanziaria, dalla loro incapacità, dalla loro nascita o da ogni altra
circostanza.
2. Gli Stati Parti adottano tutti i
provvedimenti appropriati affinché il fanciullo sia effettivamente
tutelato contro ogni forma di discriminazione o di sanzione motivate dalla
condizione sociale, dalle attività, opinioni professate o convinzioni
dei suoi genitori, dei suoi rappresentanti legali o dei suoi familiari.
Art. 3
In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di
competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei
tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi,
l'interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente.
Testo Unico 286/98
Art. 4, co. 2
Per lo straniero in possesso di permesso di soggiorno e' sufficiente,
ai fini del reingresso nel territorio dello Stato, una preventiva comunicazione
all'autorita' di frontiera.
Art. 5, co. 9
Il permesso di soggiorno è rilasciato, rinnovato o convertito entro
20 giorni dalla data in cui è stata presentata la domanda, se sussistono
i requisiti e le condizioni previsti dal presente Testo unico e dal regolamento
di attuazione per il permesso di soggiorno richiesto ovvero, in mancanza di
questo, per altro tipo di permesso da rilasciare in applicazione del presente
Testo unico.
Art. 6, co 1
Il permesso di soggiorno rilasciato per motivi di lavoro subordinato,
lavoro autonomo e familiari puo' essere utilizzato anche per le altre attivita'
consentite. [...]
Art. 9, co. 4.
Oltre a quanto previsto per lo straniero regolarmente soggiornante nel
territorio dello Stato, il titolare della carta di soggiorno puo':
a) fare ingresso nel territorio dello Stato in esenzione di visto;
b) svolgere nel territorio dello Stato ogni attivita' lecita, salvo
quelle che la legge espressamente vieta allo straniero o comunque riserva al
cittadino;
c) accedere ai servizi ed alle prestazioni erogate dalla pubblica
amministrazione, salvo che sia diversamente disposto;
d) partecipare alla vita pubblica locale, esercitando anche
l'elettorato quando previsto dall'ordinamento e in armonia con le previsioni
del capitolo C della Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita
pubblica a livello locale, fatta a Strasburgo il 5 febbraio 1992.
Art. 18
(Soggiorno per motivi di protezione sociale)
1. Quando, nel corso di operazioni di
polizia, di indagini o di un procedimento per taluno dei delitti di cui
all’art. 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 75, o di quelli previsti
dall’art. 380 del codice di procedura penale, ovvero nel corso di
interventi assistenziali dei servizi sociali degli enti locali, siano accertate
situazioni di violenza o di grave sfruttamento nei confronti di uno straniero,
ed emergano concreti pericoli per la sua incolumità, per effetto dei
tentativi di sottrarsi ai condizionamenti di un’associazione dedita a uno
dei predetti delitti o delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini
preliminari o del giudizio, il questore, anche su proposta del procuratore
della repubblica, o con il parere favorevole della stessa autorità,
rilascia uno speciale permesso di soggiorno per consentire allo straniero di
sottrarsi alla violenza e ai condizionamenti dell’organizzazione
criminale e di partecipare a un programma di assistenza e integrazione sociale.
[…]
4. Il permesso di soggiorno rilasciato a
norma del presente articolo ha la durata di sei mesi e può essere
rinnovato per un anno, o per il maggior periodo occorrente per motivi di
giustizia. [...]
5. Il permesso di soggiorno previsto dal presente
articolo consente l’accesso ai servizi assistenziali e allo studio,
nonchè l’iscrizione nelle liste di collocamento e lo svolgimento
di lavoro subordinato, fatti salvi i requisiti minimi di età. Qualora,
alla scadenza del permesso di soggiorno l’interessato risulti avere in
corso un rapporto di lavoro, il permesso può essere ulteriormente
prorogato o rinnovato per la durata del rapporto medesimo o, se questo è
a tempo indeterminato, con le modalità stabilite per tale motivo di
soggiorno. Il permesso di soggiorno previsto dal presente articolo può
essere altresì convertito in permesso di soggiorno per motivi di studio
qualora il titolare sia iscritto a un corso regolare di studi.
6. Il permesso di soggiorno previsto dal presente
articolo può essere altresì rilasciato, all’atto delle
dimissioni dall’istituto di pena, anche su proposta del procuratore della
repubblica del giudice di sorveglianza presso il tribunale per i minorenni,
allo straniero che ha terminato l’espiazione di una pena detentiva
inflitta per reati commessi durante la minore età, e ha dato prova
concreta di partecipazione a un programma di assistenza e integrazione sociale.
Art. 28
1. Il diritto a mantenere o a riacquistare l'unita' familiare nei confronti
dei familiari stranieri e' riconosciuto, alle condizioni previste dal presente
testo unico, agli stranieri titolari di carta di soggiorno o di permesso di
soggiorno di durata non inferiore a un anno, rilasciato per lavoro subordinato
o per lavoro autonomo ovvero per asilo, per studio o per motivi religiosi.
Art. 29
1. Lo straniero puo' chiedere il ricongiungimento per i seguenti
familiari: a) coniuge non legalmente separato; b) figli minori a carico, anche
del coniuge o nati fuori del matrimonio, non coniugati ovvero legalmente
separati, a condizione che l'altro genitore, qualora esistente, abbia dato il
suo consenso; c) genitori a carico; d) parenti entro il terzo grado, a carico,
inabili al lavoro secondo la legislazione italiana.
2. Ai fini del ricongiungimento si considerano minori i figli di eta'
inferiore a 18 anni. I minori adottati o affidati o sottoposti a tutela sono
equiparati ai figli.
3. Salvo che si tratti di rifugiato, lo straniero che richiede il
ricongiungimento deve dimostrare la disponibilita':
a) di un alloggio che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge
regionale per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica, ovvero, nel caso
di un figlio di eta' inferiore agli anni 14 al seguito di uno dei genitori, del
consenso del titolare dell'alloggio nel quale il minore effettivamente
dimorera';
b) di un reddito annuo derivante da fonti lecite non inferiore
all'importo annuo dell'assegno sociale se si chiede il ricongiungimento di un
solo familiare, al doppio dell'importo annuo dell'assegno sociale se si chiede
il ricongiungimento di due o tre familiari, al triplo dell'importo annuo
dell'assegno sociale se si chiede il ricongiungimento di quattro o piu'
familiari.
Ai fini della determinazione del reddito si tiene conto anche del reddito
annuo complessivo dei familiari conviventi con il richiedente.
Art. 30, co. 2-6
2. Il permesso di soggiorno per motivi familiari consente l'accesso ai
servizi assistenziali, l'iscrizione a corsi di studio o di formazione
professionale, l'iscrizione nelle liste di collocamento, lo svolgimento di
lavoro subordinato o autonomo, fermi i requisiti minimi di eta' per lo
svolgimento di attivita' di lavoro.
3. Il permesso di soggiorno per motivi familiari ha la stessa durata
del permesso di soggiorno del familiare straniero in possesso dei requisiti per
il ricongiungimento ai sensi dell'articolo 29 ed e' rinnovabile insieme con
quest'ultimo.
4. Allo straniero che effettua il ricongiungimento con il cittadino
italiano o di uno Stato membro dell'Unione europea, ovvero con straniero
titolare della carta di soggiorno di cui all'articolo 9, e' rilasciata una
carta di soggiorno.
5. In caso di separazione legale o di scioglimento del matrimonio o,
per il figlio che non possa ottenere la carta di soggiorno, al compimento del
diciottesimo anno di eta', il permesso di soggiorno puo' essere convertito in
permesso per lavoro subordinato, per lavoro autonomo o per studio, fermi i
requisiti minimi di eta' per lo svolgimento di attivita' di lavoro.
6. Contro il diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare e del
permesso di soggiorno per motivi familiari, nonche' contro gli altri
provvedimenti dell'autorita' amministrativa in materia di diritto all'unita'
familiare, l'interessato puo' presentare ricorso al pretore del luogo in cui
risiede, il quale provvede, sentito l'interessato, nei modi di cui agli
articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile. Il decreto che accoglie
il ricorso puo' disporre il rilascio del visto anche in assenza del nulla osta.
Gli atti del procedimento sono esenti da imposta di bollo e di registro e da
ogni altra tassa. [...]
Art. 31
1. Il figlio minore dello straniero con questi convivente e
regolarmente soggiornante e' iscritto nel permesso di soggiorno o nella carta
di soggiorno di uno o di entrambi i genitori fino al compimento del
quattordicesimo anno di eta' e segue la condizione giuridica del genitore con
il quale convive, ovvero la piu' favorevole tra quelle dei genitori con cui
convive. Fino al medesimo limite di eta' il minore che risulta affidato ai
sensi dell'articolo 4 della legge 4 maggio 1983, n. 184, e' iscritto nel
permesso di soggiorno o nella carta di soggiorno dello straniero al quale e'
affidato e segue la condizione giuridica di quest'ultimo, se piu' favorevole.
L'assenza occasionale e temporanea dal territorio dello Stato non esclude il
requisito della convivenza e il rinnovo dell'iscrizione.
2. Al compimento del quattordicesimo anno di eta' al minore iscritto
nel permesso di soggiorno o nella carta di soggiorno del genitore ovvero dello
straniero affidatario e' rilasciato un permesso di soggiorno per motivi
familiari valido fino al compimento della maggiore eta', ovvero una carta di
soggiorno.
Art. 32
1. Al compimento della maggiore eta', allo straniero nei cui confronti
sono state applicate le disposizioni di cui all'articolo 31, commi 1 e 2, e ai
minori comunque affidati ai sensi dell'articolo 2 della legge 4 maggio 1983, n.
184, puo' essere rilasciato un permesso di soggiorno per motivi di studio di
accesso al lavoro, di lavoro subordinato o autonomo, per esigenze sanitarie o
di cura. Il permesso di soggiorno per accesso al lavoro prescinde dal possesso
dei requisiti di cui all'articolo 23.
Regolamento di attuazione D.P.R. 394/99
art. 2, co. 2 e 5
2. Per lo straniero regolarmente soggiornante in Italia che, dopo
esserne uscito, intende farvi ritorno, il reingresso è consentito previa
esibizione al controllo di frontiera del passaporto o documento equivalente e
del permesso di soggiorno in corso di validità.
5. Lo straniero in possesso della carta di soggiorno rientra nel
territorio dello Stato mediante la sola esibizione della carta di soggiorno e
del passaporto o documento equivalente.
art. 5, co. 7
7. Per i visti relativi ai familiari al seguito lo straniero deve
esibire, oltre alla documentazione di cui al comma 6 anche:
a) quella comprovante i presupposti di parentela, coniugio, minore
età o inabilità al lavoro e di convivenza. A tal fine i
certificati rilasciati dalla competente autorità dello Stato estero sono
autenticati dall’autorità consolare italiana che attesta che la
traduzione in lingua italiana dei documenti è conforme agli originali
b) il nulla osta della questura, utile anche ai fini
dell’accertamento della disponibilità di un alloggio, a norma
dell’articolo 29, comma 3, lettera a), del testo unico, e dei mezzi di
sussistenza di cui allo stesso articolo, comma 3, lettera b). A tal fine
l'interessato deve produrre l’attestazione dell’ufficio comunale
circa la sussistenza dei requisiti di cui al predetto articolo del testo unico
ovvero il certificato di idoneità igienico-sanitaria rilasciato
dall’Azienda unità sanitaria locale competente per territorio.
art. 6, co.1
1. Per i visti relativi ai ricongiungimenti familiari il richiedente
deve munirsi preventivamente di nulla osta della questura, indicando le
generalità delle persone per le quali chiede il ricongiungimento e
presentando:
a) la carta di soggiorno, il permesso di soggiorno avente i requisiti
di cui all’articolo 28, comma 1, del testo unico, o idonea documentazione
attestante la cittadinanza italiana o di uno Stato membro dell’Unione
Europea;
b) la documentazione attestante la disponibilità del reddito di
cui all’articolo 29, comma 3, lettera b), del testo unico;
c) la documentazione attestante la disponibilità di un alloggio,
a norma dell’articolo 29, comma 3, lettera a), del testo unico. A tal
fine l'interessato deve produrre l’attestazione dell’ufficio
comunale circa la sussistenza dei requisiti di cui al predetto articolo del
testo unico ovvero il certificato di idoneità igienico-sanitaria
rilasciato dall’Azienda unità sanitaria locale competente per
territorio.
art. 9, co. 3 e 6
3. Con la richiesta di cui al comma 1 devono essere esibiti :
- Il passaporto o altro documento equipollente da cui risultino la
nazionalità, la data anche solo con l’indicazione dell’anno,
e il luogo di nascita degli interessati nonché il visto di ingresso,
quando prescritto;
- La documentazione, nei casi di soggiorno diversi da quelli per motivi
di lavoro attestante la disponibilità dei mezzi per il ritorno nel Paese
di provenienza.
[...]
6. La documentazione di cui ai commi 3 e 4 non
è necessaria per i richiedenti asilo e per gli stranieri ammessi al
soggiorno per i motivi di cui agli articoli 18 e 20 del testo unico.
art. 28
1. Quando la legge dispone il divieto di espulsione, il questore
rilascia il permesso di soggiorno:
a) per minore età, salvo l’iscrizione del minore degli
anni quattordici nel permesso di soggiorno del genitore o dell’affidatario
stranieri regolarmente soggiornanti in Italia. Se si tratta di minore
abbandonato, è immediatamente informato il Tribunale per i minorenni per
i provvedimenti di competenza;
b) per motivi familiari, nei confronti degli stranieri che si trovano
nelle documentate circostanze di cui all’articolo 19, comma 2, lettera c)
del testo unico;
art. 39, co. 7
Oltre a quanto previsto dall’articolo 14, lo
straniero già presente in Italia, in possesso di regolare permesso di
soggiorno diverso da quello che consente l’esercizio di attività
lavorativa, può chiedere alla questura competente per il luogo in cui
intende esercitare lavoro autonomo la conversione del permesso di soggiorno. A
tal fine, oltre alla documentazione di cui ai commi 1, 2 e 3, e fino a quando
non saranno operativi i collegamenti con il S.I.L., deve essere prodotta
l’attestazione della Direzione provinciale del lavoro che la richiesta
rientra nell’ambito delle quote di ingresso per lavoro autonomo
determinate a norma dell’articolo 3, comma 4, del testo unico.
Regolamento del Comitato per i minori stranieri
Art. 9.
Soggiorno
1. La durata totale del soggiorno di ciascun minore non puo' superare i
novanta giorni, continuativi o frutto della somma di piu' periodi, riferiti
alle permanenze effettive nell'anno solare. Il Comitato puo' proporre alle
autorita' competenti l'eventuale estensione della durata del soggiorno fino ad
un massimo di centocinquanta giorni, con riferimento a progetti che comprendano
periodi di attivita' scolastica o in relazione a casi di forza maggiore.
L'eventuale estensione della durata della permanenza e' comunicata alla
questura competente ai fini dell'eventuale rinnovo o della proroga del permesso
di soggiorno per gli accompagnatori e per i minori ultraquattordicenni.
Comitato per i minori stranieri -
Osservazioni del Presidente - 2 maggio 2000
[…] Gli art. 8 e 9 [del Regolamento del Comitato] riguardano
ingresso e soggiorno dei minori accolti.
[…] B) Risulta, dunque che non sono di competenza del
Comitato: il rilascio del permesso di soggiorno:
questo deve essere rilasciato dal Questore, per il solo fatto che si
tratta di minorenne.
Ci si domanda:
a) Se per il rilascio è necessaria una
identificazione sicura, da parte dell’autorità di P.S. (vedi anche
art. 5 regolamento del Comitato), oppure sono sufficienti, almeno
temporaneamente, le dichiarazioni del minorenne, eventualmente supportate da
documenti anche poco credibili.
Sembrerebbe preferibile la prima ipotesi perché in tal modo si
tenderebbe a far uscire i minorenni dalla clandestinità, che è
l’aspetto più pericoloso del loro soggiorno in Italia, ma
rimarrebbe il fatto che il clandestino ancora non sicuramente identificato si
trova nel limbo: non può essere espulso ma non può avere il
permesso di soggiorno. Potrebbe configurarsi un permesso di soggiorno intestato
ad un nome anche non sicuro ma riferentesi ad altri mezzi di identificazione
(fotografie, impronte digitali)?
b) A chi materialmente può essere consegnato il permesso se lo
straniero è minore di 14 anni e non ha un genitore od affidatario ai
sensi dell’art. 4 legge adoz. (art. 31 T.U.)? Gli si deve previamente
nominare un tutore? La soluzione potrebbe giovare a tenere il minorenne
maggiormente “legato” a chi esercita la tutela (di regola persone
indicate dagli enti locali e da associazioni di assistenza, religiose o laiche.
Il Capo della Polizia, opportunamente
interpellato ha dato una risposta sostanzialmente improntata a garantire in
ogni caso il rilascio del permesso di soggiorno
Legge 184/83 (come
modificata dalla legge 476/98)
Art. 9
Chiunque, non essendo parente entro il quarto grado, accoglie
stabilmente nella propria abitazione un minore, qualora l'accoglienza si
protragga per un periodo superiore a sei mesi, deve, trascorso tale periodo,
darne segnalazione al giudice tutelare, che trasmette gli atti al tribunale per
i minorenni con relazione informativa. L'omissione della segnalazione
può comportare l'inidoneità ad ottenere affidamenti familiari o
adottivi e l'incapacità all'ufficio tutelare.
Art. 33.
1. Fatte salve le ordinarie disposizioni relative all'ingresso nello
Stato per fini familiari,
turistici, di studio e di cura, non è consentito l'ingresso nello
Stato a minori che non sono muniti di visto di ingresso rilasciato ai sensi
dell'articolo 32 ovvero che non sono accompagnati da almeno un genitore o da
parenti entro il quarto grado.
[…]
4. Il divieto di cui al comma 1 non opera nel
caso in cui, per eventi bellici, calamità naturali o eventi eccezionali secondo quanto previsto
dall'articolo 18 della legge 6 marzo 1998, n. 40, o per altro grave impedimento
di carattere oggettivo, non sia possibile l'espletamento delle procedure di cui
al presente Capo e sempre che sussistano motivi di esclusivo interesse del
minore all'ingresso nello Stato. In questi casi gli uffici di frontiera
segnalano l'ingresso del minore alla Commissione ed al tribunale per i
minorenni competente in relazione al luogo di residenza di coloro che lo
accompagnano.
Legge 218/95
art. 65 Riconoscimento di provvedimenti stranieri
1. Hanno effetto in Italia i provvedimenti stranieri
relativi alla capacità delle persone nonché all’esistenza
di rapporti di famiglia o di diritti della personalità quando essi sono
stati pronunciati dalle autorità dello Stato la cui legge è
richiamata dalle norme della presente legge o producono effetti
nell’ordinamento di quello Stato, anche se pronunciati da autorità
di altro Stato, purchè non siano contrari all’ordine pubblico e
siano stati rispettati i diritti essenziali della difesa.
Art. 66 Riconoscimento di provvedimenti stranieri di
giurisdizione volontaria
1. I provvedimenti stranieri di volontaria
giurisdizione sono riconosciuti senza che sia necessario il ricorso ad alcun
procedimento, sempre che siano rispettate le condizioni di cui all’art.
65, in quanto applicabili, quando sono pronunciati dalle autorità dello
Stato la cui legge è richiamata dalle disposizioni della presente legge,
o producono effetti nell’ordinamento di quello Stato ancorchè
emanati da autorità di altro Stato, ovvero sono pronunciati da
un’autorità che sia competente in base a criteri corrispondenti a
quelli propri dell’ordinamento italiano.
Circolare del Ministero dell'Interno 23.12.1999
[....] In particolare, viene previsto, per i minori
inespellibili di età superiore ai 14 anni, il rilascio del permesso di
soggiorno per “minore età”. Al riguardo, si chiarisce che
tale titolo di soggiorno verrà rilasciato solo in via residuale e
qualora si verifichino situazioni non riconducibili ad altre tipologie di
soggiorno già previste dalla normativa in vigore (es. motivi familiari,
adozione, affidamento) .
Il competente CED dell’Ufficio Coordinamento e
Pianificazione delle forse di polizia fornirà con apposito messaggio di
servizio la parola chiave per l’inserimento del nuovo permesso di
soggiorno. [...]
Circolare del Ministero dell’Interno 13.11.2000
OGGETTO: Permessi di soggiorno per minore età, rilasciati ai sensi dell’art. 28,
comma 1 lettera a) del D.P.R. 394/99
Si fa riferimento alle note sopraindicate con le quali viene variamente
posta in luce la problematica connessa all’ingresso nel territorio
nazionale di stranieri minorenni e alla conseguente difficoltà di
individuazione della tipologia di permesso di soggiorno da rilasciare a detti
soggetti, in virtù di quanto disposto dall’art. 19, comma 2
lettera a) del D.L.vo 286/98, nonché dall’art. 28, comma 1 lett.a)
del D.P.R. 394/99.
Al riguardo, si premette che la definizione del titolo di soggiorno da
attribuire, in virtù della sua condizione di inespellibilità, al minore presente sul territorio nazionale
in stato di clandestinità è determinabile solo dopo che sia stata
puntualmente individuata l’effettiva situazione familiare in cui il
medesimo versa. In tale ottica, il permesso di soggiorno per minore
età, disciplinato dal
citato art. 28 assume carattere residuale rispetto ai casi in cui possa essere rilasciato altro
titolo di soggiorno, come peraltro illustrato alla pagina 12 della circolare n.
300/C/227729/12/207/1^Div del 23 dicembre 1999.
Pertanto, in linea generale (art. 31, comma 1 D.L.vo 286/98), il minore
infraquattordicenne dovrà
essere iscritto sul permesso di soggiorno di cui è titolare il genitore
o l’affidatario straniero, fatto salvo il rilascio di un autonomo
permesso di soggiorno per motivi familiari al compimento del quattordicesimo anno di età.
Analogamente, al minore ultraquattordicenne, la cui posizione debba essere valutata per la prima
volta, dovrà essere rilasciato un autonomo permesso di soggiorno per
motivi familiari, solo
qualora convivente con il proprio genitore regolarmente soggiornante.
Da quanto illustrato, sembra evidente che il minore straniero accompagnato, pur se entrato irregolarmente, non
potrà essere, nella generalità dei casi, beneficiario di un
permesso di soggiorno per minore età. Tale titolo dovrà essere riservato ai minori
stranieri non accompagnati,
come definiti dal D.P.R. 9 dicembre 1999, n. 535, per i quali la legge stessa
prevede la possibilità di un loro rimpatrio assistito a seguito
dell’individuazione dei familiari nel Paese di origine, ovvero
nell’ipotesi in cui il Tribunale per i minorenni, sia pure
tempestivamente informato, non determini formalmente l’affidamento dei
soggetti interessati, ai sensi dell’art.2 della L.184/83. Si ritiene di
dover ricorrere al permesso di soggiorno per minore età, inoltre, anche qualora, in assenza di detto
provvedimento di affidamento, il competente Giudice Tutelare abbia
semplicemente nominato un tutore ai sensi del Codice Civile.
In quanto preordinato alla immediata tutela del minore non accompagnato
nelle more dell’adozione dei provvedimenti più adeguati ai fini
del reinserimento nella sua famiglia d’origine, si reputa che detto
titolo non consenta lo
svolgimento di attività lavorativa, in ragione della
provvisorietà dell’autorizzazione che non è finalizzata a
tutelare un diritto di stabilimento.
E’ escluso, pertanto, che nella situazione de qua possa
applicarsi la disposizione di cui all’art. 32 del D.L.vo 286/98 che
disciplina la possibilità di rilascio di un ulteriore permesso di
soggiorno, al compimento della maggiore età, allo straniero cui, in
applicazione dell’art. 31, sia stato rilasciato un permesso di soggiorno
per motivi familiari o sia stato iscritto in quello del genitore o dello
straniero affidatario ovvero, a seguito dell’emanazione di un
provvedimento ex art. 4 L. 184/83 sia titolare di un permesso di soggiorno per
affidamento.
Ministero degli
Affari Esteri - Decreto interministeriale 12.7.2000
[…] Visto per "studio" (V.S.U. o
V.N.).
Il visto per studio
consente l'ingresso in Italia, ai fini di un soggiorno di breve o lunga durata,
ma a tempo determinato, allo straniero che intenda seguire corsi universitari
ai sensi dell'art. 39 del Testo unico n. 286/1998 e dell'art. 46 del decreto
del Presidente della Repubblica n. 394/1999, corsi di studio o di formazione
professionale presso istituti riconosciuti o comunque qualificati, ovvero allo
straniero che sia chiamato a svolgere attività culturali e di ricerca. Il
visto per studio è altresì rilasciato, per il periodo necessario,
allo straniero che si trovi nelle condizioni previste dall'art. 47, comma 1 del
decreto del Presidente della Repubblica n. 394/1999. I requisiti e le
condizioni per l'ottenimento del visto sono:
a) documentate garanzie
circa il corso di studio, formazione professionale o attività culturale
da svolgere;
b) adeguate garanzie
circa i mezzi di sostentamento, non inferiori all'importo stabilito dal
Ministero dell'interno con la Direttiva di cui all'art. 4, comma 3 del Testo
unico n. 286/1998;
c) polizza assicurativa
per cure mediche e ricoveri ospedalieri, laddove lo straniero non abbia diritto
all'assistenza sanitaria in Italia in virtù di accordi o convenzioni in
vigore con il suo Paese;
d) età maggiore
di anni 14. Per quanto concerne le attività di studio che comportano
l'esercizio di attività sanitarie è richiesto il preventivo
riconoscimento del titolo di studio abilitante all'esercizio professionale da
parte del Ministero della sanità.
Circolari relative ai permessi di soggiorno per i minori stranieri
non accompagnati precedenti il T.U. 286/98, non più valide
Riportiamo i testi di queste circolari solo per
ricordare come era stata affrontata negli anni passati le questioni del
permesso di soggiorno da rilasciare ai minori stranieri non accompagnati, della
convertibilità di tale permesso e del diritto di esercitare
attività lavorativa.
Circolare del Ministero dell’Interno
20.7.1993, n. 32
In una riunione indetta dal Tribunale per i Minorenni
di Roma, alla quale hanno partecipato rappresentanti dei Ministeri
dell’Interno, di Grazia e Giustizia e del Lavoro e della Previdenza
Sociale, del Servizio Sociale Internazionale e il Giudice Tutelare presso la
Pretura di Roma, è stato esaminato il problema dei minori stranieri
senza soggiorno in Italia, con particolare riguardo a quelli privi
temporaneamente o definitivamente dell’ambiente familiare e senza
protezione, ed è stato affermato il principio della priorità
dell’intervento della Magistratura minorile rispetto ai provvedimenti
della pubblica Amministrazione.
Secondo tale principio, che discende da una serie di
norme, il minore straniero privo di genitori o di parenti e quindi praticamente
in stato di abbandono, dev’essere segnalato all’Autorità
Giudiziaria Minorile (Tribunale per i Minorenni o Giudice Tutelare, secondo le
rispettive competenze) per i provvedimenti di legge.
Sempre nel quadro degli interventi di protezione
disposti dalla predetta Autorità, dev’essere rilasciato il
permesso di soggiorno provvisorio ai sensi dell’art. 4, comma 13 della
legge 39/1990, con possibilità di inserimento del minore in
attività scolastiche o di formazione professionale, o lavorativa per il
minore ultraquattordicenne. [...]
Circolare del Ministero dell’Interno
23.9.1995, n. 29
[...] In particolare, si richiama l’attenzione
sul fatto che ai minori in stato di abbandono che, al raggiungimento della
maggiore età, verranno iscritti nelle liste di collocamento - onde
essere avviati al lavoro secondo le procedure ordinarie - gli Uffici Stranieri
delle Questure dovranno rilasciare un analogo permesso di soggiorno senza
bisogno della preventiva autorizzazione di questo Dicastero.
Circolare del Ministero del Lavoro 16.6.1994, n. 67
Sono pervenuti numerosi quesiti da parte di alcuni
Uffici provinciali del lavoro in merito al problema relativo ai minori
extracomunitari di età compresa tra i 15 e i 18 anni i quali , per vari
motivi, si trovano in Italia privati temporaneamente o definitivamente del loro
ambiente familiare e, pertanto, in pratica, in stato di abbandono.
Al riguardo, a seguito di intese a suo tempo
intercorse con le altre amministrazioni interessate e rilevato che il problema
riguarda un gran numero di minori presenti sull’intero territorio
nazionale, si è ritenuto necessario predisporre idonee misure di tutela
nonché consentire il loro avviamento al lavoro, sia pure nei limiti
temporali dello stato di disagio in cui versano.
A tale scopo, è stata concordata
l’apposita procedura di seguito specificata:
- il datore di lavoro interessato presenterà
domanda nominativa di avviamento al lavoro all’Ufficio provinciale del
lavoro competente per territorio, allegando copia del provvedimento
dell’Autorità giudiziaria che dispone interventi di protezione del
minore (quali ad esempio inserimento in istituti assistenziali, affidamento
familiare, affidamento preadottivo ecc.) e il relativo permesso di soggiorno
provvisorio rilasciato dalla competente Questura;
- l’Ufficio rilascerà un apposito atto di
avviamento al datore di lavoro richiedente, prescindendo dall’iscrizione
del minore nelle liste di collocamento e dall’accertamento
dell’indisponibilità; dell’avviamento l’Ufficio
darà comunicazione all’ente o famiglia affidataria ed
all’Autorità Giudiziaria che ha emanato il provvedimento di tutela
del minore;
[...]
Circolare del Ministero del Lavoro 19.9.95
[...] Da alcuni Uffici del lavoro, peraltro, sono
stati segnalati casi di particolare gravità riferiti a minori che,
raggiunta la maggiore età, rimangono in Italia, non essendo decadute le
ragioni di carattere umanitario che hanno determinato l’emanazione delle
disposizioni sull’accoglienza, e che, a causa della disposizione sopra
ricordata, si trovano nella impossibilità di accedere al mercato del
lavoro.
Considerato quanto sopra, pertanto, e sentito il
parere favorevole del Ministero dell’Interno, Dipartimento P.S:, si
dispone che i minori extracomunitari in stato di abbandono di cui alla citata
circolare n. 67, al raggiungimento della maggiore età, possano essere iscritti
nelle liste di collocamento e possano, quindi, essere avviati al lavoro secondo
le ordinarie procedure.
IL
DIRITTO ALLA SALUTE ED ALL’ISTRUZIONE
La Convenzione di New York stabilisce che il
diritto alla salute ed all'istruzione sono diritti propri di tutti i minori, indipendentemente dalla loro
nazionalità e dalla loro regolarità di soggiorno.
Il Testo Unico 286/98 ha introdotto importanti
innovazioni nella direzione dell’effettiva garanzia di questi diritti. Si
riscontrano tuttavia ancora alcune lacune, in particolare per quanto riguarda i
minori irregolari.
Naturalmente, queste lacune saranno tanto
più gravi quanto più lungo sarà il periodo in cui il
minore resterà irregolare, in particolare se le procedure per decidere
in ordine all’interesse del minore a restare in Italia o a essere
rimpatriato saranno lunghe e se in attesa della decisione al minore non
verrà comunque rilasciato un permesso di soggiorno.
Tali problematiche relative
all’effettiva garanzia dei diritti dei minori non accompagnati dovranno
essere affrontate dal Comitato per i minori stranieri, che “opera al fine
prioritario di tutelare i diritti dei minori presenti non accompagnati [...]”
(Regolamento del Comitato per i minori stranieri, art. 2, co. 1).
Il diritto alla salute
1) La Convenzione di New
York, art. 24, co. 1 stabilisce che: “Gli Stati Parti riconoscono il
diritto del minore di godere del miglior stato di salute possibile e di
beneficiare di servizi medici e di riabilitazione. Essi si sforzano di
garantire che nessun minore sia privato del diritto di avere accesso a tali
servizi.”
2) Per quanto riguarda i
minori irregolari, il diritto alla salute non è pienamente garantito in
quanto il T.U. 286/98, pur stabilendo che “Sono, in particolare,
garantiti: [...] b) la tutela della salute del minore in esecuzione della
Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata e resa
esecutiva ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176;” (T.U. art. 35,
co. 3), non chiarisce poi come si attui concretamente questa disposizione, con
la conseguenza che al minore vengono di fatto ad applicarsi le stesse
disposizioni relative alla generalità degli stranieri irregolari, che si
limitano a garantire “le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o
comunque essenziali, ancorche' continuative, per malattia ed infortunio e [...]
i programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale e
collettiva.” (T.U. art. 35, co. 3).
Nè tale lacuna è stata colmata
dal regolamento di attuazione del T.U. 286/98 e dalla circolare del Ministero
della Sanità 24.3.2000.
Anche il regolamento del Comitato per i minori
stranieri, art. 6, co. 1 prevede che "Al minore non accompagnato sono
garantiti i diritti relativi al soggiorno temporaneo, alle cure sanitarie
[…]", senza specificare ulteriormente.
3) Per quanto riguarda i
minori regolari, distinguiamo tra i minori titolari di:
· Permesso di soggiorno per motivi familiari: il
T.U. 286/98, art. 34 stabilisce l’iscrizione obbligatoria al SSN;
·
Permesso di
soggiorno per affidamento: il T.U. 286/98, art. 34 stabilisce
l’iscrizione obbligatoria al SSN;
· Permesso di soggiorno per minore età:
il T.U. 286/98, art. 34 stabilisce l’iscrizione obbligatoria al SSN per i
titolari di permesso di soggiorno “per asilo umanitario”; la
circolare del Ministero della Sanità 24.3.2000 comprende in questa
categoria anche i minori di anni diciotto per i quali vige il divieto di
espulsione e respingimento in base al T.U. 286/98, art. 19, co. 2 cioè
quei minori ai quali deve essere rilasciato il permesso di soggiorno per minore
età in base al regolamento di attuazione;
· Permesso per protezione sociale: il T.U.
286/98, art. 34 stabilisce l’iscrizione obbligatoria al SSN per i
titolari di permesso di soggiorno “per asilo umanitario”; la
circolare del Ministero della Sanità 24.3.2000 comprende in questa
categoria anche i titolari di permesso di soggiorno per protezione sociale.
Il diritto
all’istruzione
1) La
Convenzione di New York, art. 28, co. 1 stabilisce che: “Gli Stati Parti
riconoscono il diritto del fanciullo all'educazione, ed in particolare, al fine
di garantire l'esercizio di tale diritto gradualmente ed in base all'uguaglianza
delle possibilità: A) rendono l'insegnamento primario obbligatorio e
gratuito per tutti; B) incoraggiano l'organizzazione di varie forme di
insegnamento secondario sia generale che professionale, che saranno aperte ed
accessibili ad ogni fanciullo e adottano misure adeguate come la gratuita
dell'insegnamento e l'offerta di una sovvenzione finanziaria in caso di
necessità;”
2) Per
quanto riguarda i minori irregolari:
· il diritto all’istruzione scolastica
è pienamente garantito in quanto il T.U. 286/98, art. 38 stabilisce il
diritto all’istruzione (non limitato all’obbligo scolastico) per
tutti i minori presenti sul territorio italiano (dunque anche se irregolari);
il regolamento di attuazione prevede anche molto positivamente che l’irregolarità
non pregiudichi il conseguimento dei titoli conclusivi (D.P.R 394/99, art. 45,
co. 1 e 2); il "diritto all'avviamento scolastico" è previsto
anche dal Regolamento del Comitato per i
minori stranieri (art. 6, co. 1).
· il diritto alla formazione professionale,
invece, non è garantito; per garantirlo si dovrebbero applicare le
stesse norme relative all’iscrizione e al conseguimento dei titoli finali
previste per l’istruzione scolastica (a maggior ragione in seguito
all’introduzione dell’obbligo formativo a 18 anni).
3) Per quanto riguarda i
minori regolari, sia il diritto all’istruzione scolastica che il diritto
alla formazione professionale sono pienamente garantiti.
Fonti normative ed altre disposizioni relative a
Convenzione di New York
Articolo 2
1. Gli Stati Parti si impegnano a rispettare i
diritti enunciati nella presente Convenzione ed a garantirli ad ogni fanciullo
che dipende dalla loro giurisdizione, senza distinzione di sorta ed a
prescindere da ogni considerazione di razza, di colore, di sesso, di lingua, di
religione, di opinione politica o altra del fanciullo o dei suoi genitori o
rappresentanti legali, dalla loro origine nazionale, etnica o sociale, dalla
loro situazione finanziaria, dalla loro incapacità, dalla loro nascita o
da ogni altra circostanza;
2. Gli Stati Parti adottano tutti i
provvedimenti appropriati affinché il fanciullo sia effettivamente
tutelato contro ogni forma di discriminazione o di sanzione motivate dalla
condizione sociale, dalle attività, opinioni professate o convinzioni
dei suoi genitori, dei suoi rappresentanti legali o dei suoi familiari.
Articolo 24
1. Gli Stati Parti riconoscono il diritto del
minore di godere del miglior stato di salute possibile e di beneficiare di
servizi medici e di riabilitazione. Essi si sforzano di garantire che nessun
minore sia privato del diritto di avere accesso a tali servizi.
2. Gli Stati Parti si sforzano di garantire
l'attuazione integrale del summenzionato diritto ed in particolare, adottano
ogni adeguato provvedimento
per:
A) diminuire la mortalità tra i bambini
lattanti ed i fanciulli;
B) assicurare a tutti i minori l'assistenza
medica e le cure sanitarie necessarie, con particolare attenzione per lo
sviluppo delle cure sanitarie primarie;
C) lottare contro la malattia e la
malnutrizione, anche nell'ambito delle cure sanitarie primarie, in particolare
mediante l'utilizzazione di tecniche agevolmente disponibili e la fornitura di
alimenti nutritivi e di acqua potabile, tenendo conto dei pericoli e dei rischi
di inquinamento dell'ambiente naturale;
D) garantire alle madri adeguate cure
prenatali e postnatali;
E) fare in modo che tutti i gruppi della
società in particolare i genitori ed i minori ricevano informazioni
sulla salute e sulla nutrizione del minore sui vantaggi dell'allattamento al
seno, sull'igiene e sulla salubrità dell'ambiente e sulla prevenzione
degli incidenti e beneficino di un aiuto che consenta loro di mettere in
pratica tali informazioni;
F) sviluppare le cure sanitarie preventive, i
consigli ai genitori e l'educazione ed i servizi in materia di pianificazione
familiare.
3. Gli Stati Parti adottano ogni misura
efficace atta ad abolire le pratiche tradizionali pregiudizievoli per la salute
dei minori.
4. Gli Stati Parti si impegnano a favorire ed
a incoraggiare la cooperazione internazionale in vista di attuare gradualmente
una completa attuazione del diritto riconosciuto nel presente articolo. A tal
fine saranno tenute in particolare considerazione le necessità dei paesi
in via di sviluppo.
Articolo 28
1. Gli Stati Parti riconoscono il diritto del
fanciullo all'educazione, ed in particolare, al fine di garantire l'esercizio
di tale diritto gradualmente ed in base all'uguaglianza delle
possibilità:
A) rendono l'insegnamento primario
obbligatorio e gratuito per tutti;
B) incoraggiano l'organizzazione di varie
forme di insegnamento secondario sia generale che professionale, che saranno
aperte ed accessibili ad ogni fanciullo e adottano misure adeguate come la
gratuita dell'insegnamento e l'offerta di una sovvenzione finanziaria in caso
di necessità;
C) garantiscono a tutti l'accesso all'insegnamento
superiore con ogni mezzo appropriato, in funzione delle capacità di
ognuno;
D) fanno in modo che l'informazione e
l'orientamento scolastico e professionale siano aperte ed accessibili ad ogni
fanciullo;
E) adottano misure per promuovere la regolarità
della frequenza scolastica e la diminuzione del tasso di abbandono della
scuola.
2. Gli Stati Parti adottano ogni adeguato
provvedimento per vigilare affinché la disciplina scolastica sia
applicata in maniera compatibile con la dignità del fanciullo in quanto
essere umano ed in conformità con la presente Convenzione.
3. Gli Stati Parti favoriscono ed incoraggiano
la cooperazione internazionale nel settore della educazione, in vista
soprattutto di contribuire ad eliminare l'ignoranza e l'analfabetismo nel mondo
e facilitare l'accesso alle conoscenze scientifiche e tecniche ed ai metodi di
insegnamento moderni. A tal fine, si tiene conto in particolare delle
necessità dei paesi in via di sviluppo.
Testo Unico 286/98
art. 34, co. 1
1. Hanno l'obbligo di iscrizione al Servizio
sanitario nazionale e hanno parita' di trattamento e piena uguaglianza di
diritti e doveri rispetto ai cittadini italiani per quanto attiene all'obbligo
contributivo, all'assistenza erogata in Italia dal Servizio sanitario nazionale
e alla sua validita' temporale:
a) gli stranieri regolarmente soggiornanti che
abbiano in corso regolari attivita' di lavoro subordinato o di lavoro autonomo
o siano iscritti nelle liste di collocamento;
b) gli stranieri regolarmente soggiornanti o
che abbiano chiesto il rinnovo del titolo di soggiorno, per lavoro subordinato,
per lavoro autonomo, per motivi familiari, per asilo politico, per asilo
umanitario, per richiesta di asilo, per attesa adozione, per affidamento, per
acquisto della cittadinanza.
art. 35, co. 3 e 4
3. Ai cittadini stranieri presenti sul
territorio nazionale, non in regola con le norme relative all'ingresso ed al
soggiorno, sono assicurate, nei presidi pubblici ed accreditati, le cure
ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorche'
continuative, per malattia ed infortunio e sono estesi i programmi di medicina
preventiva a salvaguardia della salute individuale e collettiva. Sono, in
particolare, garantiti:
a) la tutela sociale della gravidanza e della
maternita', a parita' di trattamento con le cittadine italiane, ai sensi delle
leggi 29 luglio 1975, n. 405, e 22 maggio 1978, n. 194, e del decreto del
Ministro della sanita' 6 marzo 1995, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 87
del 13 aprile 1995, a parita' di trattamento con i cittadini italiani;
b) la tutela della salute del minore in
esecuzione della Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989,
ratificata e resa esecutiva ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176;
c) le vaccinazioni secondo la normativa e
nell'ambito di interventi di campagne di prevenzione collettiva autorizzati
dalle regioni;
d) gli interventi di profilassi
internazionale;
e) la profilassi, la diagnosi e la cura delle
malattie infettive ed eventuale bonifica dei relativi focolai.
4. Le prestazioni di cui al comma 3 sono
erogate senza oneri a carico dei richiedenti qualora privi di risorse
economiche sufficienti, fatte salve le quote di partecipazione alla spesa a
parita' con i cittadini italiani.
art. 38, co. 1
1. I minori stranieri presenti sul territorio
sono soggetti all'obbligo scolastico; ad essi si applicano tutte le
disposizioni vigenti in materia di diritto all'istruzione, di accesso ai
servizi educativi, di partecipazione alla vita della comunita' scolastica.
Regolamento di attuazione D.P.R. 394/99
art. 43
(Assistenza sanitaria per gli stranieri non
iscritti al Servizio Sanitario Nazionale)
1. Ai cittadini stranieri regolarmente
soggiornanti, ma non iscritti al Servizio sanitario nazionale, sono assicurate
le prestazioni sanitarie urgenti, alle condizioni previste dall’articolo
35, comma 1, del testo unico. Gli stranieri non iscritti al Servizio sanitario
nazionale possono inoltre chiedere all'azienda ospedaliera o alla unità
sanitaria locale (U.S.L.) di fruire, dietro pagamento delle relative tariffe,
di prestazioni sanitarie di elezione.
art. 45, co. 1 e 2
1. I minori stranieri presenti sul territorio nazionale hanno diritto
all'istruzione indipendentemente dalla regolarità della posizione in ordine
al loro soggiorno, nelle forme e nei modi previsti per i cittadini italiani.
Essi sono soggetti all'obbligo scolastico secondo le disposizioni vigenti in
materia. L'iscrizione dei minori stranieri nelle scuole italiane di ogni ordine
e grado avviene nei modi e alle condizioni previsti per i minori italiani. Essa
può essere richiesta in qualunque periodo dell'anno scolastico. I minori
stranieri privi di documentazione anagrafica ovvero in possesso di
documentazione irregolare o incompleta sono iscritti con riserva.
2. L’iscrizione con riserva non
pregiudica il conseguimento dei titoli conclusivi dei corsi di studio delle
scuole di ogni ordine e grado. In mancanza di accertamenti negativi
sull'identità dichiarata dell'alunno, il titolo viene rilasciato
all'interessato con i dati identificativi acquisiti al momento dell'iscrizione.
Circolare del Ministero della Sanità
24.3.2000
[...] Nell'art. 34 del T.U. vengono affermati due fondamentali principi
ai fini dell'iscrizione obbligatoria al S.S.N. dei cittadini stranieri
extracomunitari.
Nel punto a) viene affermato il principio che lo svolgimento di
un'attività lavorativa o l'iscrizione nelle liste di collocamento, nel
rispetto della legislazione del lavoro, dà diritto all'iscrizione
obbligatoria del cittadino straniero regolarmente soggiornante, a prescindere
dal fatto che il permesso di soggiorno sia stato rilasciato per lavoro
subordinato o autonomo (vedi ad es. art. 18 - comma 5 - e art. 30 — comma
2 — del T.U.) o il motivo del permesso di soggiorno non preveda
l’iscrizione obbligatoria.
E' da precisare che, a differenza di quanto previsto dalla legislazione
precedente, con la quale si provvedeva ad individuare specifiche figure di
lavoratori tenuti all'assicurazione obbligatoria, con la presente legge
l'espressione "lavoro autonomo" deve essere definita per esclusione,
nel senso che tutti coloro che svolgono un'attività lavorativa, che non
rientri nell'ambito del lavoro subordinato, rientrano nella figura del
lavoratore autonomo in quanto soggetto tenuto alla dichiarazione dei redditi in
base alle disposizioni fiscali in vigore.
Nel punto b) sono, invece, specificamente indicati, quali destinatari
dell'assicurazione obbligatoria, tutti gli stranieri che, in relazione alle
disposizioni che disciplinano il rilascio del permesso di soggiorno, abbiano ottenuto il permesso
stesso o ne abbiano chiesto il rinnovo per i seguenti motivi:
1) lavoro subordinato: il riferimento è al Titolo III
"Disciplina del lavoro" del T.U.;
2) lavoro autonomo: il riferimento è al Titolo III artt. 26 e 27
del T.U.;
3) motivi familiari: disciplinato nel Titolo IV dagli artt. 28, 29, 30,
31, 32 e 33 del T.U. In proposito si deve rilevare che tale permesso è
rilasciato, ai sensi dell'art. 30 — comma 1 - punti a) - b) - c) - d),
allo straniero che ha ottenuto il visto d’ingresso per ricongiungimento
familiare;
[...]
5) asilo umanitario: il riferimento è agli articoli del T.U. 18
- comma 1 - (soggiorno per motivi di protezione sociale), 19 - comma 2 lettere
a) e d) (divieto di espulsione e di respingimento di minori di anni diciotto e
di donne in stato di gravidanza e di puerperio fino ad un massimo di sei mesi),
20 - comma 1 - (misure straordinarie di accoglienza per eventi eccezionali) e
40 - comma 1- (stranieri ospitati in centri di accoglienza, qualora non abbiano
altro titolo all'assicurazione obbligatoria od all'erogazione di prestazioni
sanitarie);
[...]
7) attesa adozione e affidamento: il riferimento è agli articoli
29, 31 e 33 - comma 2 - del T.U. e
all'art. 2 della legge 4 maggio 1983 n. 184;
[...]
In ordine alla tipologia di prestazioni previste dal terzo comma
dell’art. 35 del T.U. si chiarisce che:
per cure urgenti si intendono le cure che non possono essere differite
senza pericolo per la vita o danno per la salute della persona;
per cure essenziali si intendono le prestazioni sanitarie, diagnostiche
e terapeutiche, relative a patologie non pericolose nell'immediato e nel breve
termine, ma che nel tempo potrebbero determinare maggiore danno alla salute o
rischi per la vita (complicanze, cronicizzazioni o aggravamenti).
E' stato, altresì, affermato dalla legge il principio della
continuità delle cure urgenti ed essenziali, nel senso di assicurare
all'infermo il ciclo terapeutico e riabilitativo completo riguardo alla
possibile risoluzione dell'evento morboso.
Regolamento del Comitato per i minori
stranieri
art. 2, co. 1 e 2
Compiti del Comitato
1. Il Comitato opera al fine prioritario di
tutelare i diritti dei minori presenti non accompagnati e dei minori accolti,
in conformita' alle previsioni della Convenzione sui diritti del fanciullo,
fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27
maggio 1991, n. 176.
2. Ai fini del comma 1, il Comitato:
a) vigila sulle modalita' di soggiorno dei minori;
b) coopera e si raccorda con le
amministrazioni interessate;
art. 6
Accoglienza
1. Al minore non accompagnato sono garantiti i
diritti relativi al soggiorno temporaneo, alle cure sanitarie, all'avviamento
scolastico e alle altre provvidenze disposte dalla legislazione vigente.
2. Al fine di garantire l'adeguata accoglienza
del minore il Comitato puo' proporre al Dipartimento per gli affari sociali di
stipulare convenzioni con amministrazioni pubbliche e organismi nazionali e
internazionali che svolgono attivita' inerenti i minori non accompagnati in
conformita' ai principi e agli obiettivi che garantiscono il superiore
interesse del minore, la protezione contro ogni forma di discriminazione, il
diritto del minore di essere ascoltato.
Risoluzione del Consiglio dell’Unione
Europea 26.6.97
art. 2, co. 3
3. I minori non accompagnati che, a norma
delle disposizioni nazionali, devono sostare alla frontiera fino a quando sia
presa una decisione in merito all'ammissione nel territorio nazionale, o una
decisione in merito al loro rimpatrio, dovrebbero ricevere l'aiuto e il
sostegno materiali necessari a soddisfare i loro bisogni elementari, quali
vitto, sistemazione adatta alla loro età, attrezzature sanitarie e
assistenza medica.
art. 3, co. 2, 6, 7
2. I minori non accompagnati,
indipendentemente dal loro status giuridico, dovrebbero aver diritto alla
protezione e alle cure elementari necessarie, in conformità del diritto
interno dello Stato membro in questione.
[...]
6. Qualora si presuma che un minore non
accompagnato in età scolare protrarrà la sua permanenza nello
Stato membro, egli dovrebbe avere accesso alle strutture generali della
pubblica istruzione alla stregua dei cittadini dello Stato membro ospitante, in
alternativa, dovrebbero essergli offerte speciali e appropriate
opportunità di istruzione.
7. I minori non accompagnati dovrebbero
ricevere le cure mediche appropriate per far fronte ad esigenze immediate.
Un'assistenza speciale, medica o di altro tipo, dovrebbe essere fornita ai
minori che sono stati vittime di qualsiasi forma di negligenza, sfruttamento o
maltrattamenti, tortura o qualsiasi altra forma di pene o trattamenti crudeli,
disumani o degradanti, oppure di conflitti armati.
L’ESPULSIONE
E IL RESPINGIMENTO
1) L’espulsione
Il Testo Unico 286/98, art. 19 stabilisce che
il minore non può essere espulso, salvo che per motivi di ordine
pubblico e sicurezza dello Stato (e in questo caso il provvedimento deve essere
adottato, su richiesta del Questore, dal Tribunale per i minorenni) e salvo il
diritto del minore a seguire il genitore o l’affidatario espulso.
In relazione a quest’ultima disposizione
è da notarsi che, mentre per il permesso di soggiorno si fa riferimento
all’affidamento formale ex art. 4 legge 184/83, per l’espulsione
non viene specificato. Questa ambiguità consente un'interpretazione che
includa anche gli affidamenti di fatto a parenti entro il quarto grado: vi sono
casi, infatti, in cui il minore viene espulso al seguito del parente entro il
quarto grado al quale è affidato di fatto.
Questa interpretazione, tuttavia, ove non vi
sia stata una seria valutazione da parte dei servizi sociali circa
l'idoneità del parente a provvedere al minore, ci sembra non garantire
assolutamente il diritto del minore alla protezione.
Nei casi di espulsione al seguito
dell’affidatario, si pone inoltre il problema della tutela
giurisdizionale (ad es. nei casi in cui si verifichino errori nella valutazione
della parentela tra l’adulto espulso ed il minore, come è
effettivamente accaduto): non è chiaro, infatti, come possa essere
presentato ricorso non essendovi un provvedimento di espulsione nei confronti
del minore.
Infine, rispetto all’esecuzione
dell’espulsione, si pone la questione se il minore possa essere
trattenuto nei Centri di Permanenza Temporanea e Assistenza previsti dal T.U.
286/98. Il trattenimento in tali Centri, la cui legittimità
costituzionale viene da più parti messa in discussione, e che
comporterebbe per il minore la privazione della libertà personale e
l’inserimento in un ambiente caratterizzato da fortissime tensioni
emotive (con atti di autolesionismo ecc.), non può che essere
considerato come gravemente lesivo dei diritti del minore, e in particolare del
principio del “superiore interesse del minore” sancito dalla
Convenzione di New York.
2) Il respingimento
Il Testo Unico 286/98 non vieta il
respingimento del minore che si presenti alla frontiera senza avere i requisiti
per l’ingresso (anche ove sia stato temporaneamente ammesso nel
territorio per necessità di pubblico soccorso) o che sia fermato
all'ingresso o subito dopo.
Tuttavia, se il minore non accompagnato da genitore o parente entro il quarto grado si trova nel territorio dello Stato (o in quanto temporaneamente ammesso o in quanto fermato subito dopo l’ingresso), lo Stato italiano è senz’altro competente alla protezione del minore in via d’urgenza ex art. 9 della Convenzione dell’Aja del 1961, e quindi sembra doversi prevedere la competenza del Tribunale per i minorenni e/o del Comitato per i minori stranieri.
Nel caso, invece, il minore si trovi ancora
alla frontiera, la legge 184/83 (come modificata dalla legge 476/98) prevede
all’art. 33, co. 3 che:
“Coloro che hanno accompagnato alla frontiera un minore al quale
non viene consentito l'ingresso in Italia provvedono a proprie spese al suo
rimpatrio immediato nel Paese d'origine. Gli uffici di frontiera segnalano
immediatamente il caso alla Commissione affinché prenda contatto con il
Paese di origine del minore per assicurarne la migliore collocazione nel suo
superiore interesse.”
Diverse questioni andranno chiarite:
1. Come già rilevato nella sezione
riguardante la segnalazione, non è chiaro se la Commissione per le
adozioni internazionali dovrà segnalare al Comitato per i minori
stranieri anche i minori segnalati dagli uffici di frontiera che devono essere
immediatamente rimpatriati, in analogia a quanto previsto dal D.P.R. 492/99 per
i minori presenti sul territorio italiano; ovvero se per questi minori
sarà competente direttamente la Commissione per le adozioni
internazionali, come sembrerebbe in base alla lettera della legge 476/98.
2. Ove
la competenza sia della Commissione per le adozioni internazionali,
andrà chiarito se questa svolga le stesse funzioni del Comitato per
i minori stranieri, e quindi se
essa disponga la ricerca dei familiari e le indagini sulla situazione nel Paese
d’origine come il Comitato e se possa decidere tra rimpatrio o
accoglienza.
3. Che
tipo di controllo esercita la Commissione sull’affidabilità
dell’adulto che accompagna il minore e che deve provvedere al suo
immediato rimpatrio? Con l’espressione “coloro che
accompagnano” si intende l’adulto cui il minore è affidato
di fatto o anche il vettore?
4. Come si concilia l’esigenza del
“rimpatrio immediato” con l’intervento della Commissione per
prendere contatto con il Paese d’origine? Appare comunque assai dubbio
che possa essere assunta una qualsiasi decisione che garantisca il superiore
interesse del minore in tempi così rapidi da consentire il suo rimpatrio
immediato.
5. In
attesa che venga assunta la decisione, al minore sarà consentito
l’ingresso in Italia, come sembra prevedere l’art. 33 della l.
476/98, ovvero sarà trattenuto alla frontiera? Tale possibilità
è prevista dalla
Risoluzione del Consiglio dell’Unione Europea 26.6.97, che stabilisce che
in tali situazioni i minori possano “sostare alla frontiera fino a quando
sia presa una decisione in merito all'ammissione nel territorio nazionale, o
una decisione in merito al loro rimpatrio”, disponendo però che lo
Stato deve garantire “ l'aiuto e il sostegno materiali necessari a
soddisfare i loro bisogni elementari, quali vitto, sistemazione adatta alla
loro età, attrezzature sanitarie e assistenza medica”. Tuttavia,
non sembra sostenibile che possa rispondere maggiormente all’interesse
del minore il trattenimento in frontiera rispetto alla possibilità di
ingresso in Italia.
Più in generale, ci sembra che il
respingimento con rimpatrio immediato del minore (o con l’eventuale
trattenimento alla frontiera) contrasti nettamente con il dovere dello Stato
italiano di garantire la protezione del minore e di considerare
prioritariamente il superiore interesse del minore in ogni procedimento
giudiziario o amministrativo, dovere che, in base alla Convenzione di New York,
incombe allo Stato italiano nei confronti di tutti i minori, indipendentemente
dal fatto che abbiano attraversato o meno la linea di frontiera.
Fonti normative ed altre disposizioni relative a
“L’espulsione
e il respingimento”
T.U.
286/98
Art. 13
1. Per motivi di ordine pubblico o di
sicurezza dello Stato, il Ministro dell'interno puo' disporre l'espulsione
dello straniero anche non residente nel territorio dello Stato, dandone
preventiva notizia al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro degli
affari esteri.
Art. 10
1. La polizia di frontiera respinge gli
stranieri che si presentano ai valichi di frontiera senza avere i requisiti
richiesti dal presente testo unico per l'ingresso nel territorio dello Stato.
2. Il respingimento con accompagnamento alla
frontiera e' altresi' disposto dal questore nei confronti degli stranieri:
a) che entrando nel territorio dello Stato
sottraendosi ai controlli di frontiera, sono fermati all'ingresso o subito
dopo;
b) che, nelle circostanze di cui al comma 1,
sono stati temporaneamente ammessi nel territorio per necessita' di pubblico
soccorso.
Art. 19, co. 2
2. Non e' consentita l'espulsione, salvo che
nei casi previsti dall'articolo 13, comma 1, nei confronti:
a) degli stranieri minori di anni diciotto,
salvo il diritto a seguire il genitore o l'affidatario espulsi;
b) degli stranieri in possesso della carta di
soggiorno, salvo il disposto dell'articolo 9;
c) degli stranieri conviventi con parenti
entro il quarto grado o con il coniuge, di nazionalita' italiana;
d) delle donne in stato di gravidanza o nei
sei mesi successivi alla nascita del figlio cui provvedono.
Art. 31, co. 4
4. Qualora ai sensi del presente testo unico
debba essere disposta l'espulsione di un minore straniero, il provvedimento e'
adottato, su richiesta del questore, dal tribunale per i minorenni.
Legge
184/83 (come modificata dalla legge 476/98)
art. 33., co 1., 3, 4
1. Fatte salve le ordinarie disposizioni
relative all'ingresso nello Stato per fini familiari, turistici, di studio e di
cura, non è consentito l'ingresso nello Stato a minori che non sono
muniti di visto di ingresso
rilasciato ai sensi dell'articolo 32 ovvero che non sono accompagnati da almeno
un genitore o da parenti entro il
quarto grado.
3. Coloro che hanno accompagnato alla
frontiera un minore al quale non viene consentito l'ingresso in Italia provvedono a proprie spese al suo
rimpatrio immediato nel Paese d'origine. Gli uffici di frontiera segnalano
immediatamente il caso alla Commissione affinché prenda contatto con il
Paese di origine del minore per assicurarne la migliore collocazione nel suo
superiore interesse.
4. Il divieto di cui al comma 1 non opera nel
caso in cui, per eventi bellici, calamità naturali o eventi eccezionali secondo quanto previsto
dall'articolo 18 della legge 6 marzo 1998, n. 40, o per altro grave impedimento
di carattere oggettivo, non sia possibile l'espletamento delle procedure di cui
al presente Capo e sempre che sussistano motivi di esclusivo interesse del
minore all'ingresso nello Stato. In questi casi gli uffici di frontiera
segnalano l'ingresso del minore alla Commissione ed al tribunale per i
minorenni competente in relazione al luogo di residenza di coloro che lo
accompagnano.
Comitato per i minori stranieri -
Osservazioni del Presidente - 2 maggio 2000
[…] 2)
L’espulsione:
E’ prevista nel solo caso dell’art. 13 c.1 T.U.;
l’art. 31 attribuisce la competenza al T.M. su richiesta del Questore (o
del ministro degli Interni?).
La questione è delicata. L’espressione “motivi di
ordine pubblico” usata nell’art. 31 T.U. è sufficientemente
elastica sì che potrebbe in ipotesi consentire una espulsione di ragazzi
“grandi” che avessero già compiuto molti reati (si pensa
allo spaccio reiterato) e che non siano stati condannati a pene detentive da
scontare: si tratta di situazioni non infrequenti dove potrebbe configurarsi un
“motivo di ordine pubblico” a causa della reazione dei cittadini
nei confronti della “impotenza” dei pubblici poteri. Come risvolto
negativo si rischierebbe di introdurre una sorta di espulsione giudiziario
– amministrativa che potrebbe vulnerare il principio del divieto di
espulsione per i minorenni; come risvolto positivo, però, si potrebbe
evitare un uso eccessivo del rimpatrio assistito, fondato sul presunto
interesse del ragazzo ad evitare, tornando nel suo Paese di origine, di
rimanere affondato nei guai già ora e soprattutto quando raggiungesse la
maggiore età.
Sarebbe opportuno conoscere se già vi siano stati esempi
concreti di applicazione di queste due norme (art. 13 e 31 T.U.) e in caso
positivo quale interpretazione sia stata data alla espressione “per
motivi di ordine pubblico e di sicurezza dello Stato”.
Una risposta potrebbe essere data dal Ministro di Giustizia, Ufficio
centrale per la giustizia minorile, o da singoli uffici giudiziali minorili.
Risoluzione del Consiglio dell’Unione
Europea 26.6.97
art. 2
1. Conformemente alle loro legislazioni e
prassi nazionali, gli Stati membri possono rifiutare l'ammissione alla
frontiera ai minori non accompagnati, segnatamente a quelli sprovvisti dei
documenti e delle autorizzazioni necessari a tal fine. Ai minori non
accompagnati richiedenti asilo si applica tuttavia la risoluzione sulle
garanzie minime per le procedure di asilo, segnatamente i principi enunciati ai
paragrafi 23, 24 e 25.
2. In questo contesto, gli Stati membri dovrebbero
prendere, in conformità della loro legislazione nazionale, le misure
appropriate per impedire l'ingresso illegale dei minori non accompagnati e
dovrebbero collaborare tra loro per impedire che minori non accompagnati
entrino e soggiornino irregolarmente nel loro territorio.
3. I minori non accompagnati che, a norma delle
disposizioni nazionali, devono sostare alla frontiera fino a quando sia presa
una decisione in merito all'ammissione nel territorio nazionale, o una
decisione in merito al loro rimpatrio, dovrebbero ricevere l'aiuto e il
sostegno materiali necessari a soddisfare i loro bisogni elementari, quali
vitto, sistemazione adatta alla loro età, attrezzature sanitarie e
assistenza medica.
IL COMITATO PER I MINORI STRANIERI
Il T.U. 286/98 (come modificato dal Dlgs.
113/99) e il Regolamento del Comitato per i minori stranieri (D.P.C.M. 535/99)
definiscono composizione e competenze del Comitato per i minori stranieri:
Il Comitato per i minori stranieri, istituito presso
la Presidenza del Consiglio dei Ministri, è composto da nove
rappresentanti:
- uno del Dipartimento per gli affari sociali della
Presidenza del Consiglio dei Ministri;
- uno del Ministero degli affari esteri;
- uno del Ministero dell'interno;
- uno del Ministero della giustizia;
- due dell'Associazione nazionale dei comuni italiani
(ANCI);
- uno dell'Unione province italiane (UPI);
- due delle organizzazioni maggiormente
rappresentative operanti nel settore dei problemi della famiglia e dei minori
non accompagnati.
Compiti
del Comitato per i minori stranieri
Con l'entrata in vigore del Dlgs. 113/99, le
competenze del Comitato per i minori stranieri non riguardano più solo i
“minori accolti” (cioè i minori temporaneamente ammessi
nell’ambito di programmi solidaristici di accoglienza temporanea) ma
anche i “minori presenti non accompagnati”;
·
in generale il
Comitato è istituito al fine di tutelare i diritti di questi minori,
vigilare sulle modalità di soggiorno dei minori e coordinare le
attività delle amministrazioni interessate;
·
riguardo ai
“minori accolti” nell’ambito
di programmi solidaristici di accoglienza temporanea, il Comitato decide sulle richieste di enti, associazioni o
famiglie per l’ingresso, l’affidamento temporaneo e il rimpatrio
dei minori accolti;
·
riguardo ai “minori
presenti non accompagnati”, il Comitato ne cura il censimento, ne accerta lo status di minori non
accompagnati, promuove la ricerca dei familiari dei minori (avvalendosi della
collaborazione delle amministrazioni pubbliche e di organismi nazionali e
internazionali con i quali il Dipartimento per gli Affari Sociali può
stipulare convenzioni), può disporne il rimpatrio assistito; può,
infine, proporre al Dipartimento per gli affari sociali di stipulare
convenzioni e finanziare programmi finalizzati all’accoglienza e al
rimpatrio dei minori non accompagnati.
Fonti normative a altre disposizioni relative
a
“Il Comitato per i minori stranieri”
T.U. 286/98, art. 33 (come modificato dal Dlgs.
113/99, art. 5)
2. Con decreto del Presidente del
Consiglio dei Ministri o del Ministro da lui delegato, sentiti i Ministri degli
affari esteri, dell'interno e di grazia e giustizia, sono definiti i compiti
del Comitato di cui al comma 1, concernenti la tutela dei diritti dei minori
stranieri in conformita' alle previsioni della Convenzione sui diritti del
fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva ai sensi della
legge 27 maggio 1991, n. 176. In particolare sono stabilite:
a) le regole e le modalita' per l'ingresso
ed il soggiorno nel territorio dello Stato dei minori stranieri in eta'
superiore a sei anni, che entrano in Italia nell'ambito di programmi
solidaristici di accoglienza temporanea promossi da enti, associazioni o
famiglie italiane, nonche' per l'affidamento temporaneo e per il rimpatrio dei
medesimi;
b) le modalita' di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati presenti
nel territorio dello Stato, nell'ambito delle attivita' dei servizi sociali
degli enti locali e i compiti di impulso e di raccordo del Comitato di cui al
comma 1 con le amministrazioni interessate ai fini dell'accoglienza, del
rimpatrio assistito e del ricongiungimento del minore con la sua famiglia nel
Paese d'origine o in un Paese terzo.
2-bis. Il provvedimento di rimpatrio del
minore straniero non accompagnato per le finalita' di cui al comma 2, e'
adottato dal Comitato di cui al comma 1. Nel caso risulti instaurato nei
confronti dello stesso minore un procedimento giurisdizionale,
l'autorita'giudiziaria rilascia il nulla osta, salvo che sussistano inderogabili
esigenze processuali.
Regolamento del Comitato per i minori stranieri
Art. 2
Compiti del Comitato
1. Il Comitato
opera al fine prioritario di tutelare i diritti dei minori presenti non
accompagnati e dei minori accolti, in conformita' alle previsioni della
Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989,
ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176.
2. Ai fini del comma 1, il Comitato:
a) vigila sulle modalita' di soggiorno dei minori;
b) coopera e si raccorda con le amministrazioni interessate;
c) delibera, ai
sensi dell'articolo 8, previa adeguata valutazione, secondo criteri
predeterminati, in ordine alle richieste provenienti da enti, associazioni o
famiglie italiane, per l'ingresso di minori accolti nell'ambito di programmi
solidaristici di accoglienza temporanea, nonche' per l'affidamento temporaneo e
per il rimpatrio dei medesimi;
d) provvede alla istituzione e alla tenuta dell'elenco dei minori accolti
nell'ambito delle iniziative di cui alla lettera c);
e) accerta lo status del minore non accompagnato ai sensi dell'articolo 1, comma 2, sulla base delle informazioni di cui all'articolo 5;
f) svolge compiti
di impulso e di ricerca al fine di promuovere l'individuazione dei familiari
dei minori presenti non accompagnati, anche nei loro Paesi di origine o in
Paesi terzi, avvalendosi a tal fine della collaborazione delle competenti
amministrazioni pubbliche e di idonei organismi nazionali ed internazionali, e
puo' proporre al Dipartimento per gli affari sociali di stipulare apposite
convenzioni con gli organismi predetti;
g) in base alle informazioni ottenute, puo' adottare, ai fini di protezione e
di garanzia del diritto all'unita' familiare di cui all'articolo 1, comma 4, il
provvedimento di cui all'articolo 7, di rimpatrio assistito dei minori presenti
non accompagnati;
h) definisce criteri predeterminati di valutazione delle richieste per l'ingresso di minori accolti di cui al comma 2, lettera c);
i) provvede al
censimento dei minori presenti non accompagnati, secondo le modalita' previste
dall'articolo 5.
3. Il Comitato puo' effettuare il trattamento dei dati sensibili, di cui al
comma 1 dell'articolo 22 della legge 31 dicembre 1996, n. 675, che ad esso
pervengono o che sono acquisiti ai sensi del presente regolamento, in
particolare per quanto attiene all'origine razziale ed etnica del minore, della
famiglia di origine e degli
adulti legalmente responsabili o con funzioni di sostegno, di guida e di
accompagnamento, alle loro convinzioni religiose, filosofiche o di altro
genere, allo stato di salute. Dei dati sensibili possono essere
effettuate, in relazione alle competenze istituzionali del Comitato, di cui
all'articolo 33 del testo unico e al presente regolamento, le operazioni di
raccolta, registrazione, organizzazione, conservazione, elaborazione,
estrazione, raffronto, utilizzo, interconnessione, blocco, comunicazione,
cancellazione e distruzione; la diffusione puo' essere effettuata in forma
anonima e per finalita' statistiche, di studio, di informazione e ricerca.
Art. 3.
Costituzione ed organizzazione del Comitato
1. Il Comitato e' nominato con decreto del Presidente
del Consiglio dei Ministri ed e' composto da nove rappresentanti:
- uno del Dipartimento per gli affari sociali della Presidenza del Consiglio
dei Ministri;
- uno del Ministero degli affari esteri;
- uno del Ministero dell'interno;
- uno del Ministero della giustizia;
- due dell'Associazione nazionale dei comuni italiani
(ANCI);
- uno dell'Unione province italiane (UPI);
- due delle organizzazioni maggiormente
rappresentative operanti nel settore dei problemi della famiglia e dei minori
non accompagnati.
2. Per ogni membro effettivo e' nominato un supplente.
I membri rappresentanti delle pubbliche amministrazioni di cui al comma 1 devono
rivestire una qualifica dirigenziale o equiparata, ove
prescelti tra i dipendenti delle medesime amministrazioni.
3. Il Comitato e' presieduto dal rappresentante
designato dal Dipartimento per gli affari sociali e si riunisce, su
convocazione del presidente, che redige l'ordine del giorno della riunione, in
relazione a singole necessita' e almeno una volta ogni trimestre.
4. I compiti di segreteria e di supporto al Comitato
sono svolti da personale in servizio presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri
- Dipartimento per gli affari sociali.
PARTE II:
ASPETTI DI MERITO:
Qualche riflessione sui criteri di scelta
tra accoglienza in Italia e rimpatrio
I criteri su cui fondare la decisione se sia nell’interesse del
minore restare in Italia o essere rimpatriato costituiscono una delle
problematiche più complesse e delicate di tutta la questione dei minori
stranieri non accompagnati.
Naturalmente, la scelta dovrà sempre fondarsi su una valutazione
caso per caso, che tenga conto della specifica situazione di ogni singolo
minore.
Tuttavia, è inevitabile che vi siano dei criteri più o
meno generali relativi a che cosa, a quali fattori debbano essere valutati: la mera esistenza dei
genitori, ovvero la loro capacità di mantenere il minore, la
volontà dei genitori, la loro eventuale condotta pregiudizievole nei
confronti del minore, le opportunità offerte al minore in Italia e nel
suo Paese d’origine ...
Vi saranno inoltre alcuni principi generali - e primo fra tutti, e il
più generale, il superiore interesse del minore - che guideranno la
scelta.
Proviamo dunque ad abbozzare qualche riflessione sulla questione dei
criteri di scelta, analizzando in particolare la Convenzione di New York, che
costituisce la normativa quadro in materia.
Come già sottolineato nell’introduzione, abbiamo tentato
di essere il più possibile oggettivi, di cercare nella normativa delle
“linee guida” senza “selezionare” le disposizioni a
favore di una tesi ed eliminare quelle favorevoli alla tesi opposta.
Il superiore interesse del minore come considerazione prioritaria
In base alla Convenzione di New York e al Testo Unico 286/98 in tutti i
procedimenti amministrativi e giurisdizionali riguardanti i minori deve essere
preso in considerazione con carattere di priorità il superiore interesse
del minore, indipendentemente dalla nazionalità e dalla
regolarità del soggiorno:
· “In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di
competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei
tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi,
l'interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione
preminente.” (Convenzione di New York, art. 3, co. 1);
· “In tutti i procedimenti amministrativi e giurisdizionali
finalizzati a dare attuazione al diritto all’unità familiare e
riguardanti i minori, deve essere preso in considerazione con carattere di
priorità il superiore interesse del fanciullo, conformemente a quanto
previsto dall’art. 3, comma 1, della Convenzione sui diritti del
fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata e resa escutiva ai sensi della legge
27 maggio 1991, n. 176.” (Testo Unico 286/98, art. 28, co. 3).
1)
Dall’affermazione della priorità del superiore interesse
del minore discende che ogni considerazione in merito al controllo
dell’immigrazione clandestina dovrà essere secondaria rispetto
alla valutazione dell’interesse del minore.
Proprio in attuazione di questo principio, il T.U. 286/98 vieta in
generale l’espulsione del minore - provvedimento che si fonda sulla
violazione delle norme sull’ingresso e il soggiorno degli stranieri e
quindi sull’ “interesse” dello Stato - e prevede invece il
rimpatrio assistito, provvedimento che si fonda sull’interesse del
minore.
E’ da notarsi inoltre che la Risoluzione del Consiglio
dell’Unione Europea del 26.6.97 sui minori non accompagnati, atto cui
fanno in genere riferimento le disposizioni e i provvedimenti in materia di
rimpatrio adottati recentemente, sembra collocarsi più nell’ambito
della normativa in materia di lotta contro l’immigrazione clandestina che
non in quella relativa alla tutela dei minori. Le “questioni di interesse
comune” citate nel preambolo, che danno ragione dell’adozione di un
atto a livello europeo, fanno infatti riferimento in primo luogo alla
“lotta contro l’immigrazione e il soggiorno irregolari dei
cittadini dei paesi terzi nel territorio degli Stati membri” e solo in
secondo luogo e assai meno incisivamente alla tutela dei minori non
accompagnati.[36]
Secondaria rispetto alla valutazione del superiore interesse del minore
dovrà essere anche ogni considerazione relativa alle priorità
nell’utilizzo delle risorse dello Stato sociale a favore dei minori italiani
rispetto ai minori stranieri.
2) Il “superiore interesse del minore”
non è rigidamente definito, ma è al contrario un concetto
altamente discrezionale e tale deve essere per consentire un’effettiva
valutazione caso per caso della situazione di ogni singolo minore.
Da tale considerazione discende che anche il
diritto all’unità familiare e il diritto a vivere nel proprio
Paese d’origine non possono essere considerati come criteri assoluti, ma
dovranno essere valutati come modalità di attuazione del superiore
interesse del minore, caso per caso.
3) Per orientarci nella valutazione del
“superiore interesse del minore” (ancorché tale valutazione
debba sempre considerare il singolo caso), possiamo fare riferimento alla
normativa dettata dalle Convenzioni e dalle leggi vigenti in materia di diritti
del minore, in quanto l’enunciazione di tali diritti costituisce
un’indicazione circa le modalità di attuazione
dell’interesse del minore.
Proviamo ad analizzare alcune di queste
indicazioni.
Il diritto alla protezione
In primo luogo, la Convenzione di New York
stabilisce che il minore ha diritto ad una protezione particolare e a non
essere abbandonato a se stesso:
·
“[...]
Tenendo presente che la necessità di concedere una protezione speciale
al fanciullo é stata enunciata nella dichiarazione di Ginevra del 1924
sui diritti del fanciullo e nella dichiarazione dei diritti del fanciullo
adottata dall'Assemblea Generale il 20 novembre 1959 [...] Tenendo presente
che, come indicato nella Dichiarazione dei diritti dell'uomo "il
fanciullo, a causa della sua mancanza di maturità fisica ed
intellettuale necessita di una protezione e di cure particolari, ivi compresa
una protezione legale appropriata, sia prima che dopo la nascita, [...]”
(preambolo);
·
“Gli Stati
Parti si impegnano ad assicurare al fanciullo la protezione e le cure
necessarie al suo benessere, in considerazione dei diritti e dei doveri dei
suoi genitori, dei suoi tutori o di altre persone che hanno la sua
responsabilità legale, ed a tal fine essi adottano tutti i provvedimenti
legislativi ed amministrativi appropriati.” (art. 3, co. 2);
·
“Ogni
fanciullo il quale é temporaneamente o definitivamente privato del suo
ambiente familiare oppure che non può essere lasciato in tale ambiente
nel suo proprio interesse, ha diritto ad una protezione e ad aiuti speciali
dello stato.” (art. 20, co. 1)
In ottemperanza al principio per cui incombe allo Stato il dovere di
protezione del minore, questi può essere allontanato dal territorio
dello Stato solo mediante il rimpatrio assistito, e non mediante espulsione
(tranne che per ragioni di ordine pubblico e sicurezza dello Stato).
L’espulsione, infatti, è un provvedimento in base al quale
lo straniero viene semplicemente rinviato nel suo Paese d’origine, senza
curarsi di quale situazione vi incontrerà (salvo il caso di rischio di
persecuzioni[37]).
Il rimpatrio assistito, invece, fondato sulla valutazione del superiore
interesse del minore, comporta il rispetto del diritto del minore alla
protezione, e quindi che il minore venga affidato ad adulti responsabili che se
ne prendano cura.
In questo senso, la Risoluzione del Consiglio dell’Unione Europea
sui minori non accompagnati prevede, all’art. 5 “1. Qualora un
minore non sia autorizzato a protrarre il suo soggiorno in uno Stato membro,
quest'ultimo può rimpatriare il minore nel paese di origine o rinviarlo
in un paese terzo disposto ad accettarlo soltanto se vi siano disponibili per
lui, al suo arrivo, un'accoglienza e assistenza adeguate, a seconda delle sue
esigenze in base all'età e al grado di indipendenza. Vi possono
provvedere i genitori o altri adulti che si prendano cura del fanciullo,
nonché organizzazioni governative e non governative. 2. Finché
non sia possibile un rimpatrio a tali condizioni, gli Stati membri dovrebbero
in linea di massima offrire al minore la possibilità di restare nel loro
territorio.”
Il diritto alla salute, all’istruzione, alla tutela contro lo
sfruttamento economico
In secondo luogo, la Convenzione di New York
stabilisce alcuni diritti fondamentali del minore, tra cui:
· il diritto “ad un livello di vita
sufficiente per consentire il suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale
e sociale.” (Convenzione di New York, art. 27);
· il diritto “di godere del miglior stato
di salute possibile e di beneficiare di servizi medici e di riabilitazione.
[Gli Stati parte] si sforzano di garantire che nessun minore sia privato del
diritto di avere accesso a tali servizi.” (Convenzione di New York, art.
24);
· il diritto “all'educazione, ed in
particolare, al fine di garantire l'esercizio di tale diritto gradualmente ed
in base all'uguaglianza delle possibilità [Gli Stati parte]: A) rendono
l'insegnamento primario obbligatorio e gratuito per tutti; B) incoraggiano
l'organizzazione di varie forme di insegnamento secondario sia generale che professionale,
che saranno aperte ed accessibili ad ogni fanciullo e adottano misure adeguate
come la gratuita dell'insegnamento e l'offerta di una sovvenzione finanziaria
in caso di necessità; C)
garantiscono a tutti l'accesso all'insegnamento superiore con ogni mezzo
appropriato, in funzione delle capacità di ognuno; D) fanno in modo che
l'informazione e l'orientamento scolastico e professionale siano aperte ed
accessibili ad ogni fanciullo; E) adottano misure per promuovere la
regolarità della frequenza scolastica e la diminuzione del tasso di
abbandono della scuola.” (Convenzione di New York, art. 28);
· il diritto “di essere protetto contro lo
sfruttamento economico e di non essere costretto ad alcun lavoro che comporti
rischi o sia suscettibile di porre a repentaglio la sua educazione o di nuocere
alla sua salute o al suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale o
sociale.” (Convenzione di New York, art. 32).
Le opportunità di esercizio di questi diritti rientrano
indubbiamente nella valutazione del superiore interesse del minore.
Per valutare l'interesse del minore a restare in Italia o ad essere
rimpatriato, dunque, ci sembra che debbano essere prese in considerazione anche
le opportunità formative, lavorative, assistenziali disponibili in
Italia e nel Paese d'origine, in quanto esse hanno un'importante influenza
sulle possibilità che il minore possa effettivamente esercitare il
diritto “ad un livello di vita sufficiente per consentire il suo sviluppo
fisico, mentale, spirituale, morale e sociale".
Il diritto di vivere nella famiglia d’origine/in un ambiente
familiare sostitutivo/nel Paese d’origine
In terzo luogo, tentiamo di valutare come nella Convenzione di New York
e nelle leggi vigenti venga considerato il diritto del minore a vivere:
- nella propria famiglia d’origine;
- in un ambiente familiare idoneo sostitutivo rispetto alla propria famiglia d’origine;
- nel proprio Paese d’origine.
1) Famiglia d’origine/ambiente
familiare sostitutivo/Paese d’origine
1.1) Sicuramente viene considerato un diritto
fondamentale del minore (e quindi rientrante nella valutazione del suo
superiore interesse) il diritto di vivere nella propria famiglia
d’origine, che dovrà provvedere al suo mantenimento e favorirne lo
sviluppo (Convenzione di New York, preambolo e artt. 7, 8, 9, 18.2, 27.3;
Costituzione, art. 30; Codice Civile, art. 147; legge 184/83, art. 1):
“Convinti che la famiglia, unità fondamentale della
società ed ambiente naturale per la crescita ed il benessere di tutti i
suoi membri ed in particolare dei fanciulli, deve ricevere la protezione e
l'assistenza di cui necessita per poter svolgere integralmente il suo ruolo
nella collettività, Riconoscendo che il fanciullo, ai fini dello
sviluppo armonioso e completo della sua personalità deve crescere in un
ambiente familiare in un clima di felicità, di amore e di
comprensione,” (Convenzione di New York, preambolo)
“Il fanciullo [...] ha diritto [...]
nella misura del possibile a conoscere i suoi genitori ed a essere allevato da
essi.” (Convenzione di New York, art. 7).
“Il minore ha diritto ad essere educato nella propria
famiglia” (l. 184/83, art. 1)
1.2) Ove il minore sia temporaneamente o
definitivamente privato di un ambiente familiare idoneo, avrà diritto a
ricevere protezione in un ambiente familiare idoneo sostitutivo o, in ultima
istanza ove questo non fosse possibile, in un istituto di assistenza.
La Convenzione di New York, art. 20, infatti, stabilisce “1. Ogni
fanciullo il quale é temporaneamente o definitivamente privato del suo
ambiente familiare oppure che non può essere lasciato in tale ambiente
nel suo proprio interesse, ha diritto ad una protezione e ad aiuti speciali
dello stato. 2. Gli Stati Parti prevedono per questo fanciullo una protezione
sostitutiva, in conformità con la loro legislazione nazionale. 3. Tale
protezione sostitutiva può in particolare concretizzarsi per mezzo di
sistemazione in una famiglia, della kafalah di diritto islamico, dell'adozione
o in caso di necessità, del collocamento in un adeguato istituto per
l'infanzia. Nell'effettuare una selezione tra queste soluzioni, si terrà
debitamente conto della necessità di una certa continuità
nell'educazione del fanciullo, nonché della sua origine etnica,
religiosa, culturale e linguistica.”
La legge 184/83 (che costituisce la "legislazione nazionale"
cui fa riferimento il co. 2 dell'articolo succitato) prevede all'art. 2 che
“Il minore che sia temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo
può essere affidato ad un'altra famiglia, possibilmente con figli
minori, o ad una persona singola, o ad una comunità di tipo familiare,
al fine di assicurargli il mantenimento, l'educazione e l'istruzione.
Ove non sia possibile un conveniente affidamento familiare, è
consentito il ricovero del minore in un istituto di assistenza pubblico o
privato, da realizzarsi di preferenza nell'ambito della regione di residenza
del minore stesso.”
Il collocamento in istituto è dunque un’ipotesi percorribile
solo ove non sia possibile
un conveniente affidamento familiare. In tutti i casi in cui è possibile
sarà invece preferibile l’affidamento familiare, sia che si tratti
di affidamento ad una famiglia o singolo, sia che si tratti di affidamento a una
comunità di tipo familiare[38].
1.3) Non viene fatto riferimento, invece, al
diritto del minore di vivere nel proprio Paese di origine.
La Convenzione di New York stabilisce:
· il diritto di mantenere la propria
identità nazionale: “Gli Stati Parti si impegnano a rispettare il
diritto del fanciullo a preservare la propria identità, ivi compresa la
sua nazionalità [...]” (Convenzione di New York, art. 7);
· l’esigenza che si tenga conto
dell’origine etnica, religiosa, culturale e linguistica nel disporre
provvedimenti di protezione ove il minore si trovi privo di un ambiente
familiare idoneo (v. sopra: Convenzione di New York, art. 20, co. 3)
Tali riferimenti, tuttavia, non implicano che il minore debba trovarsi
nel Paese d’origine, ma che lo Stato in cui il minore si trova si adoperi
affinché il minore possa mantenere la propria identità nazionale,
religiosa, culturale, linguistica.
La Convenzione di New York stabilisce poi all’art. 11 che
“Gli Stati Parti adottano provvedimenti per impedire gli spostamenti ed i
non - ritorni illeciti di fanciulli all'estero.”. Tale disposizione,
tuttavia, sembra doversi interpretare in riferimento non alla violazione delle
regole sull’ingresso e il soggiorno degli stranieri, ma esclusivamente
agli spostamenti contrari alla volontà degli esercenti la
potestà, in analogia alle analoghe espressioni nella Convenzione europea
sul riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia di
affidamento dei minori e di ristabilimento dell’affidamento (Lussembrugo,
20 maggio 1980) e nella Convenzione sugli aspetti civili della sottrazione
internazionale di minori (L’Aja, 25 ottobre 1980).
Infine, la previsione dell’adozione internazionale come “un
altro mezzo per garantire le cure necessarie al fanciullo, qualora
quest’ultimo non possa essere messo a balia in una famiglia, oppure in
una famiglia di adozione oppure essere allevato in maniera adeguata”
(Convenzione di New York, art. 21, lett. B) indica - pur nella diversità
dell’istituto dell’adozione rispetto a quello della tutela o
dell’affidamento - come possa essere nell’interesse del minore
trovare all’estero un ambiente familiare idoneo.
Il supposto “diritto a vivere nel proprio Paese
d’origine”, dunque, non sembra dover rientrare nei criteri
fondamentali di valutazione dell’interesse del minore.
2) Il rimpatrio non finalizzato al
ricongiungimento familiare
In generale, dunque (anche se naturalmente la valutazione va fatta
sempre caso per caso) possiamo affermare che, in base alla Convenzione di New
York e alla legge 184/83, si possa considerare tendenzialmente più
rispondente all’interesse del minore vivere in un ambiente familiare
sostitutivo in un Paese diverso dal proprio Paese d’origine che non
vivere in un istituto di assistenza nel proprio Paese di origine.
Tale considerazione ha rilevanza nella
decisione sull’interesse del minore a restare in Italia ovvero ad essere
rimpatriato, nei casi in cui la famiglia nel Paese d’origine risulti
inesistente o non idonea a provvedere al minore, e vi sia però nel Paese
d’origine stesso un istituto di assistenza disponibile ad accogliere il
minore: tale situazione non riguarda solo i minori orfani, ma anche quei minori
che, in caso di rimpatrio, non si ricongiungerebbero effettivamente con la
famiglia ma dovrebbero andare a vivere comunque separati dai genitori (ad es. i
minori rimpatriati ai quali viene offerto di frequentare un corso di formazione
professionale in una sede lontana dalla residenza della famiglia).
La questione è quindi: il rimpatrio potrà essere disposto
solo in attuazione del diritto all’unità familiare o anche al fine
di affidare il minore ad un istituto di assistenza nel Paese d’origine?
1)
In base alla legge 184/83, artt. 11 e 15, sembra di poter affermare che
il Tribunale per i minorenni, una volta accertato tramite
l’autorità consolare che i genitori sono deceduti e non esistono
parenti entro il quarto grado con cui il minore abbia relazioni significative,
ovvero che essi sono irreperibili, o non si sono presentati, debba dichiarare
lo stato di adottabilità.
· Art. 11: “Quando dalle indagini previste
nell'articolo precedente risultano deceduti i genitori del minore e non
risultano esistenti parenti entro il quarto grado, il tribunale per i minorenni
provvede a dichiarare lo stato di adottabilità, salvo che esistano
istanze di adozione ai sensi dell'articolo 44. In tal caso il tribunale per i
minorenni decide nell'esclusivo interesse del minore. [...]”;
· Art. 15: “A conclusione delle indagini e
degli accertamenti previsti dagli articoli precedenti, ove risulti la
situazione di abbandono di cui all'articolo 8, lo stato di adottabilità
del minore è dichiarato dal tribunale per i minorenni quando: 1) i
genitori e i parenti convocati ai sensi degli articoli 12 e 13 non si sono
presentati senza giustificato motivo;
2) l'audizione dei medesimi ha dimostrato il persistere della mancanza
di assistenza morale e materiale e la non disponibilità ad ovviarvi; 3)
le prescrizioni impartite ai sensi dell'articolo 12 sono rimaste inadempiute
per responsabilità dei genitori.”
In questo caso, dunque, non sembra essere percorribile l’ipotesi
del rimpatrio, almeno nei casi in cui non vi sia una richiesta da parte delle
autorità dello Stato di cui il minore è cittadino.
2)
Ove invece si applichi la Convenzione dell’Aja del 1961 - che, in
base alla legge di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato
218/95 disciplina la protezione dei minori - si rileva ancora una volta la
crucialità del concetto di “residenza abituale” del minore[39].
Infatti, se il minore viene considerato abitualmente residente in
Italia, le autorità giudiziarie e amministrative italiane divengono
competenti in via generale ad adottare misure di protezione nei suoi confronti,
e quindi non sembra percorribile l’ipotesi del rimpatrio.
Ove invece il minore venga considerato abitualmente residente nel suo
Paese d’origine, le autorità competenti in via generale saranno
quelle del Paese d’origine (anche se, naturalmente, le autorità
italiane potranno assumere misure urgenti ex art. 9 della Convenzione del
1961): in questo caso, dunque, potrebbe essere eseguito il rimpatrio per
riaffidare il minore alle autorità competenti del suo Paese
d’origine, in quanto Stato ove egli ha la sua residenza abituale.
Come abbiamo già sottolineato in precedenza, la definizione di
“Stato di residenza abituale” fa riferimento agli effettivi legami
familiari e sociali del minore, ed attiene a una valutazione di fatto e non di
diritto.
In tale valutazione assume particolare importanza (anche se non risolutiva,
dato che si tratta di una valutazione di fatto e caso per caso)
l’elemento temporale: lo Stato in cui il minore si trova può
essere cioè considerato “Stato di residenza abituale” dopo
un certo periodo di tempo, che in giurisprudenza viene spesso fissato intorno
ai 6 mesi.
Altro aspetto importante nella valutazione è la volontà
del minore e la volontà della famiglia, che naturalmente hanno una loro
rilevanza nel far sì che un determinato ambiente possa essere
considerato come il centro di gravità della vita del minore.
3)
Le norme specifiche che disciplinano il rimpatrio, d’altro canto,
non sono univoche sulla possibilità di adottare provvedimenti di
rimpatrio non finalizzati al ricongiungimento familiare, in quanto talvolta
fanno riferimento al ricongiungimento familiare, e talaltra al riaffidamento
alle autorità responsabili o ad organizzazioni nel Paese d'origine:
1.
Il T.U. 286/98, art 33 (come modificato dal Dlgs. 113/99, art. 5) parla
di “compiti di impulso e di
raccordo del Comitato di cui al comma 1 con le amministrazioni interessate ai
fini dell'accoglienza, del rimpatrio assistito e del ricongiungimento del
minore con la sua famiglia
nel Paese d'origine o in un Paese terzo.".
2.
Il Regolamento del Comitato per i minori stranieri, prevede:
·
all’art.
1, co. 4: “Per "rimpatrio assistito" si intende l'insieme delle
misure adottate allo scopo di garantire al minore interessato l'assistenza
necessaria fino al ricongiungimento coi propri familiari o al riaffidamento
alle autorita' responsabili del Paese d'origine, in conformita' alle convenzioni internazionali, alla
legge, alle disposizioni dell'autorità giudiziaria ed al presente
regolamento. Il rimpatrio assistito deve essere finalizzato a garantire il diritto
all'unita' familiare del
minore e ad adottare le conseguenti misure di protezione.”;
·
all’art.
2, co. 2: “Ai fini del comma
1, il Comitato: [...] g) in base alle informazioni ottenute, puo' adottare, ai
fini di protezione e di garanzia del diritto all'unita' familiare di cui all'articolo 1, comma 4, il
provvedimento di cui all'articolo 7, di rimpatrio assistito dei minori presenti
non accompagnati;”
3. La Risoluzione del Consiglio
dell’Unione Europea 26.6.97 stabilisce :
· nella premessa: “[...] gli Stati membri
si sforzano di collaborare tra di loro e con i paesi terzi di origine per
ricondurre il minore nel suo paese d'origine o in un paese terzo disposto ad
accettarlo senza alcun rischio per la sua sicurezza per rintracciare,
ogniqualvolta è possibile, le persone che ne sono responsabili e per ricongiungere il minore con esse;”;
· all’art. 5,
co. 1 e 3: “1. Qualora un
minore non sia autorizzato a protrarre il suo soggiorno in uno Stato membro,
quest'ultimo può rimpatriare il minore nel paese di origine o rinviarlo
in un paese terzo disposto ad accettarlo soltanto se vi siano disponibili per
lui, al suo arrivo, un'accoglienza e assistenza adeguate, a seconda delle sue
esigenze in base all'età e al grado di indipendenza. Vi possono
provvedere i genitori o altri adulti che si prendano cura del fanciullo,
nonché organizzazioni governative e non governative. [...] 3. Le autorità competenti degli
Stati membri dovrebbero cooperare, in vista di un rimpatrio: a) ai fini del
ricongiungimento del minore non accompagnato con i suoi familiari nel paese di origine del minore o nel paese
in cui essi si trovano; b) con le autorità del paese di origine del minore o di un altro paese al fine di
trovare una soluzione durevole adeguata; c) con organizzazioni internazionali
quali l'Unhcr e l'Unicef, già attive nell'opera di consulenza ai governi
in materia di orientamenti per il trattamento dei minori non accompagnati, in
particolare i richiedenti asilo; d) se del caso, con le organizzazioni non
governative per accertare la
disponibilità di strutture ricettive e assistenziali nel paese in cui il
minore sarà rimpatriato o rinviato.”
4. Infine, la Convenzione dell’Aja del
1970 sul rimpatrio - che citiamo ancorchè essa non sia ancora
internazionalmente in vigore - stabilisce:
· all’art 2 : “ 1. La
présente Convention s’applique aux mineurs qui se trouvent sur le
territoire d’un Etat Contractant et dont le rapatriement est
demandé par un autre État Contractant pour l’une des
raisons suivantes: a) la présence du mineur sur le territoire de
I’État requis est contraire a la volonté de la personne ou
des personnes qui détiennent à son égard
l’autorité parentale ; b) la
présence du mineur sur le territoire de I’État requis est
incompatible avec une mesure de protection ou de rééducation
prise à son égard par les autorités compétentes de I’État requérant: c) la présence du mineur sur le territoire de
I’État requérant est nécessaire en raison
d‘une procédure visant à prendre a son égard des
mesures de protection ou de rééducation
2. La présente Convention s’applique également au
rapatriement des mineurs qui se trouvent sur le territoire d’un Etat
Contractant lorsque cet État estime leur présence contraire
à ses propres intérêts ou aux intérêts
de ces mineurs et pour autant que sa législation lui permette dé
les éloigner de son territoire. ” ;
· all’art. 14 : “ 1. Dans les cas prévus
à l’article 2, paragraphe 2, I’État de séjour
du mineur peut demander à un autre Etat Contractant d’accepter le
rapatriement de ce mineur selon les dispositions suivantes: a) lorsque la
personne ou les personnes qui détiennent l’autorité
parentale se trouvent dans un autre Etat Contractant, la requête
est adressée à cet Etat; b) lorsque la personne ou les personnes
qui détiennent I’autorité parentale se trouvent dans un
Etat non Contractant, la requête est adressée à
I’Etat Contractant où le mineur a sa résidence habituelle;
c) lorsque l’État où se trouvent la personne ou les
personnes qui détiennent l’autorité parentale n’est
pas connu ou lorsque personne ne détient cette autorité, la
requête est adressée à l’État Contractant où le mineur
a sa résidence habituelle ou, si le rapatriement vers cet État
est refusé ou ne peut avoir lieu, à
I’État Contractant dont le mineur est
ressortissant. ”
4)
Tuttavia, poiché la Convenzione di New York ha valenza di
normativa quadro in materia di tutela dei minori, anche la Convenzione
dell’Aja del 1961, la Convenzione dell’Aja del 1970 sul rimpatrio e
la Risoluzione del Consiglio dell’Unione Europea (che inoltre non ha
valore vincolante, trattandosi non di regolamento o direttiva ma di
risoluzione) devono essere interpretate alla luce dei suoi principi e delle sue
regole.
Come abbiamo visto, nella Convenzione di New York viene attribuita
fondamentale importanza al diritto del minore di vivere in un ambiente
familiare idoneo, mentre non è sancito il diritto del minore a vivere
nel proprio Paese d’origine.
Ci sembra quindi che debba prevalere il principio per cui risulta
tendenzialmente più rispondente all’interesse del minore
“crescere in un ambiente familiare in un clima di felicità, di
amore e di comprensione”, ancorchè al di fuori del proprio Paese
d’origine, che non vivere in un istituto di assistenza nel proprio Paese
d’origine; e che, di conseguenza, sia discutibile la legittimità
del rimpatrio non finalizzato al ricongiungimento familiare.
Il dovere di provvedere al mantenimento ed allo sviluppo del minore
Dopo queste prime riflessioni sui diritti del minore, cerchiamo ora di analizzare brevemente i doveri che a questi diritti corrispondono, ponendoci
in particolare la domanda: a chi incombe il dovere di provvedere al minore?
E’ evidente, infatti, che nella
decisione tra rimpatrio o accoglienza in Italia andrà considerata, oltre
al superiore interesse del minore (che sarà sempre considerazione
prioritaria), anche un’altra questione e cioè chi debba provvedere al minore stesso. In particolare,
ci chiediamo se siano sempre la famiglia d’origine del minore e il suo
Paese d’origine a dovervi provvedere.
1) La famiglia e il sostegno dello Stato
alla famiglia
1.1) Il dovere di provvedere al mantenimento
del minore ed al suo sviluppo incombe innanzitutto sui genitori o, in mancanza
di essi, alle altre persone che hanno l'affidamento del minore, ai parenti
tenuti agli alimenti, ai parenti entro il quarto grado. (Convenzione di New
York, art. 18, co. 1 e art. 27, co. 1 e 2; Costituzione, art. 30; Codice
Civile, art. 147 e 433; legge
184/83)
Viene però espressamente riconosciuta la possibilità che
i genitori non riescano ad adempiere a questo dovere perché “le
loro possibilità e i loro mezzi finanziari”non glielo consentono.
La Convenzione di New York, art. 27, co. 2, infatti,
stabilisce che: “Spetta ai genitori o ad altre persone che hanno
l'affidamento del fanciullo la responsabilità fondamentale di
assicurare, entro i limiti delle loro possibilità e dei loro mezzi
finanziari, le condizioni di
vita necessarie allo sviluppo del fanciullo. “
1.2) Ove i genitori non abbiano i mezzi per
provvedere al mantenimento ed allo sviluppo del minore, lo Stato deve fornire
loro assistenza e sostegno (Convenzione di New York, art. 18, co. 2 e art. 27,
co. 3; Costituzione, art.31).
Anche qui, però, viene riconosciuta la
possibilità che lo Stato non disponga dei mezzi sufficienti per
rispettare tale dovere:
· “Gli Stati Parti si impegnano ad
adottare tutti i provvedimenti legislativi, amministrativi ed altri, necessari
per attuare i diritti riconosciuti dalla presente Convenzione. Trattandosi di
diritti economici, sociali e culturali essi adottano tali provvedimenti entro
i limiti delle risorse di cui dispongono e, se del caso, nell'ambito della
cooperazione internazionale.”
(Convenzione di New York, art. 4);
· “Gli Stati Parti adottano adeguati
provvedimenti, in considerazione delle condizioni nazionali e
compatibilmente con i loro mezzi,
per aiutare i genitori ed altre persone aventi la custodia del fanciullo di
attuare questo diritto ed offrono, se del caso, una assistenza materiale e
programmi di sostegno, in particolare per quanto riguarda l'alimentazione, il
vestiario e l'alloggio.” (Convenzione di New York, art. 27, co. 3).
1.3) Che cosa accade dunque nel caso in cui i
genitori non abbiano “le possibilità e i mezzi finanziari”
per provvedere al mantenimento ed allo sviluppo del minore, ma lo Stato in cui
risiedono “in considerazione delle condizioni nazionali e compatibilmente
con i [suoi] mezzi” non può fornire loro l’assistenza e il
sostegno necessari ad assicurare al minore “un livello di vita
sufficiente per consentire il suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale e
sociale.”?
La Convenzione di New York stabilisce espressamente in uno dei suoi
primi articoli che “Gli Stati Parti rispettano la responsabilità,
il diritto ed il dovere dei genitori o, se del caso, dei membri della famiglia
allargata o della collettività, come previsto dagli usi locali, dei
tutori o altre persone legalmente responsabili del fanciullo, di dare a
quest'ultimo, in maniera corrispondente allo sviluppo delle sue
capacità, l'orientamento ed i consigli adeguati all'esercizio dei
diritti che gli sono riconosciuti dalla presente Convenzione.”
(Convenzione di New York, art. 5).
Se tali sono le condizioni, non può essere considerato un
corretto esercizio della potestà genitoriale il fatto che il genitore
orienti il minore ad emigrare per cercare condizioni migliori in un Paese
più ricco, naturalmente ove l’emigrazione non comporti una
situazione di grave pregiudizio per il minore stesso?
2) La competenza dello Stato
Dopo aver brevemente analizzato il dovere della famiglia di provvedere
al minore e il dovere dello Stato di aiutare la famiglia a svolgere tale
compito, accenniamo al più generale dovere dello Stato riguardo alla
protezione del minore.
2.1) Rispetto alla competenza dello Stato in
ordine alla protezione del minore, la Convenzione dell’Aja del 1961
stabilisce in via generale la competenza dello Stato di residenza abituale del
minore, e solo in via accessoria quella dello Stato di nazionalità: non
è scontato, dunque, che sia lo Stato di cui il minore è cittadino
a doversene “fare carico".
Se la competenza sarà delle autorità italiane o delle
autorità del Paese d’origine del minore, dipenderà da come
verrà interpretato e applicato il concetto di “residenza
abituale”[40].
2.2) Come abbiamo già
accennato, nella Convenzione di New York non si nasconde la realtà che
molti paesi del mondo sono troppo poveri per attuare effettivamente i diritti
previsti dalla Convenzione stessa, ed a questo proposito fa riferimento alla
cooperazione internazionale:
· “Riconoscendo l'importanza della
cooperazione internazionale per il miglioramento delle condizioni di vita dei
fanciulli di tutti i paesi, in particolare dei paesi in via di sviluppo,
[...]” (Convenzione di New York, preambolo).
· “Gli Stati Parti si impegnano ad
adottare tutti i provvedimenti legislativi, amministrativi ed altri, necessari
per attuare i diritti riconosciuti dalla presente Convenzione. Trattandosi di
diritti economici, sociali e culturali essi adottano tali provvedimenti entro i
limiti delle risorse di cui dispongono e, se del caso, nell'ambito della
cooperazione internazionale.” (Convenzione di New York, art. 4);
· rispetto al diritto alla salute: “Gli
Stati Parti si impegnano a favorire ed a incoraggiare la cooperazione
internazionale in vista di attuare gradualmente una completa attuazione del
diritto riconosciuto nel presente articolo. A tal fine saranno tenute in
particolare considerazione le necessità dei paesi in via di
sviluppo.”(Convenzione di New York, art. 24, co. 4);
· rispetto al diritto all’istruzione:
“Gli Stati Parti favoriscono ed incoraggiano la cooperazione
internazionale nel settore della educazione, in vista soprattutto di
contribuire ad eliminare l'ignoranza e l'analfabetismo nel mondo e facilitare
l'accesso alle conoscenze scientifiche e tecniche ed ai metodi di insegnamento
moderni. A tal fine, si tiene conto in particolare delle necessità dei
paesi in via di sviluppo.” (Convenzione di New York, art. 28, co. 3);
Se il Paese d’origine del minore "in considerazione delle
condizioni nazionali e compatibilmente con i [suoi] mezzi", non riesce a
fornire alla famiglia l'assistenza e il sostegno necessari perché essa
possa provvedere al minore stesso, né può assistere il minore
tramite propri istituti di assistenza in modo da assicurargli "un livello
di vita sufficiente per consentire il suo sviluppo fisico, mentale, spirituale,
morale e sociale", non si può ritenere dovere dello Stato in cui si
trova (cioè dell'Italia), in quanto paese ricco e industrialmente
avanzato, provvedere al minore stesso, indipendentemente dalla sua residenza
abituale?
Non si può considerare tale intervento come attuazione di quella
cooperazione internazionale prevista dalla Convenzione di New York?
La valutazione dell’idoneità della famiglia
d’origine e della più generale situazione nel Paese d'origine
Un aspetto fondamentale nella decisione sull’interesse del minore
a restare in Italia o ad essere rimpatriato concerne la valutazione
sull’idoneità della famiglia d’origine a provvedere al
mantenimento, educazione ed istruzione del minore[41] nonché la valutazione delle
opportunità offerte dal Paese d'origine.
1) La capacità e la volontà
di provvedere al minore
In primo luogo, ci pare importante distinguere tra la capacità e
la volontà dei genitori di provvedere al mantenimento, educazione ed
istruzione del minore.
1.1) Se, infatti, i genitori hanno mezzi
sufficienti ed accettano di riaccogliere il minore e di provvedervi, il
rimpatrio potrà essere ipotizzabile, tenendo conto naturalmente degli
altri fattori (quali la volontà della famiglia e del minore, la
valutazione più generale delle opportunità formative, lavorative
e assistenziali offerte dal Paese d’origine e dall’Italia ecc.).
1.2) Nel caso invece in cui i genitori pur
avendo i mezzi sufficienti si rifiutano di provvedere al minore (e quindi
rifiutano il suo rimpatrio), sembra di poter affermare che il Tribunale per i
minorenni dovrebbe dichiarare la decadenza dei genitori dalla potestà
genitoriale e lo stato di adottabilità, in base a quanto disposto dalla
legge 184/83, artt. 12 e 15:
“Art. 12. Quando attraverso le indagini effettuate consta
l'esistenza dei genitori o di parenti entro il quarto grado indicati
nell'articolo precedente, che abbiano mantenuto rapporti significativi con il
minore, e ne è nota la residenza, il presidente del tribunale per i
minorenni con decreto motivato fissa la loro comparizione, entro un congruo
termine, dinanzi a sé o ad un giudice da lui delegato. [...] In caso di
residenza all'estero è delegata l'autorità consolare competente.
Udite le dichiarazioni dei genitori o dei parenti, il presidente del
tribunale per i minorenni o il giudice delegato, ove ne ravvisi
l'opportunità, impartisce con decreto motivato ai genitori o ai parenti
prescrizioni idonee a garantire l'assistenza morale, il mantenimento,
l'istruzione e l'educazione del minore, stabilendo al tempo stesso periodici
accertamenti da eseguirsi direttamente o avvalendosi del giudice tutelare o dei
servizi locali, ai quali può essere affidato l'incarico di operare al
fine di più validi rapporti tra il minore e la famiglia. [...]”
Art. 15. “A conclusione delle indagini e degli accertamenti
previsti dagli articoli precedenti, ove risulti la situazione di abbandono di
cui all'articolo 8, lo stato di adottabilità del minore è
dichiarato dal tribunale per i minorenni quando: 1) i genitori e i parenti
convocati ai sensi degli articoli 12 e 13 non si sono presentati senza
giustificato motivo; 2)
l'audizione dei medesimi ha dimostrato il persistere della mancanza di assistenza
morale e materiale e la non disponibilità ad ovviarvi; 3) le
prescrizioni impartite ai sensi dell'articolo 12 sono rimaste inadempiute per
responsabilità dei genitori.”
In questo caso, dunque non dovrebbe essere possibile il rimpatrio
finalizzato al ricongiungimento familiare.
1.3) Consideriamo infine la situazione in cui
i genitori non avessero mezzi sufficienti per provvedere al minore, ma
accettassero il suo rimpatrio a condizione di ricevere un sostegno che li
rendesse in grado di mantenere il minore e se del caso anche il resto della
famiglia (il cui mantenimento spesso trae un importante sostegno dalle rimesse
del componente emigrato, in questo caso il minore).
In tal caso si porrebbe l’alternativa tra far restare il minore
in Italia ovvero rimpatriarlo, fornendo però assistenza alla famiglia
nel Paese d’origine. Nella scelta tra le due ipotesi la considerazione
prioritaria sarà, naturalmente, l’interesse del minore (e quindi
dovranno essere considerati la volontà del minore e della sua famiglia,
le opportunità formative, lavorative e assistenziali offerte dal Paese
d’origine e dall’Italia ecc.).
A “parità di valutazione” sull’interesse del
minore a restare in Italia ovvero ad essere rimpatriato potrà anche
essere valutata l’efficienza della spesa assistenziale: l’iniziale
mantenimento del minore in Italia è in genere più costoso che nel
suo Paese di origine, ma dall’altra parte in Italia il minore
probabilmente inizierà a lavorare e riuscirà a mantenere se
stesso e, mediante le rimesse, anche la famiglia.
2) Gli “standard” di
valutazione
Come valutare la capacità della famiglia di provvedere al
mantenimento, educazione ed istruzione del minore. Come valutare le
opportunità offerte dal Paese d’origine?
Al di sotto della soglia della povertà assoluta non vi saranno
dubbi di valutazione: se la famiglia muore letteralmente di fame, si può
affermare con sicurezza che non è in grado di mantenere il minore, ed
altrettanto dicasi se il Paese d’origine è colpito ad esempio da
una grave carestia.
Vi sono però situazioni di sussistenza in cui si pone la
questione se la valutazione debba fondarsi sugli “standard” di
mantenimento, istruzione ecc. dei Paesi industrialmente avanzati, o sugli
“standard” del Paese d’origine.
Consideriamo ad esempio il caso (nella realtà molto frequente)
in cui la famiglia viva in una zona molto povera di montagna o di campagna, ove
il minore non può frequentare la scuola ed è costretto, per
mantenere se stesso e la famiglia, a lavorare duramente o ad emigrare in
città per cercare lavoro. Tale situazione verrà valutata in base
ai nostri “standard”, e quindi si considererà che il minore
non potrebbe esercitare il diritto all’istruzione, alla salute, alla
tutela dallo sfruttamento economico ecc. riconosciutigli dalla Convenzione di
New York?
Oppure gli “standard” assunti saranno quelli del Paese di
origine, e si riterrà quindi che, dato che il reddito, il livello di
istruzione e la qualità della vita medi nel Paese d’origine sono
bassi, si potranno ritenere “sufficientemente” soddisfatti i
diritti del minore alla salute, all’istruzione ecc. e la famiglia
potrà essere considerata in grado di provvedere al mantenimento ed
all’istruzione del minore? L’Autorità Giudiziaria o
Amministrativa dovrà quindi applicare criteri diversi al minore italiano
e al minore straniero?
Tale ipotesi sembra improponibile, anche in base a quanto disposto dalla
Convenzione di New York, art. 2: “1. Gli Stati Parti si impegnano a
rispettare i diritti enunciati nella presente Convenzione ed a garantirli ad
ogni fanciullo che dipende dalla loro giurisdizione, senza distinzione di sorta
ed a prescindere da ogni considerazione di razza, di colore, di sesso, di
lingua, di religione, di opinione politica o altra del fanciullo o dei suoi
genitori o rappresentanti legali, dalla loro origine nazionale, etnica o
sociale, dalla loro situazione finanziaria, dalla loro incapacità, dalla
loro nascita o da ogni altra circostanza;”
Né tale questione sembra trovare soluzione con il riferimento
alla legge 218/95 di riforma del diritto internazionale privato che
all’art. 36 stabilisce che i rapporti tra genitori e figli, compresa la
potestà genitoriale (e i diritti-doveri connessi), sono regolati dalla
legge nazionale del figlio.
In primo luogo, infatti, il riferimento alla legge nazionale non
risolve che parzialmente il problema degli “standard” di
valutazione, in quanto i diritti-doveri connessi alla potestà
solitamente sono stabiliti in generale e non in concreto.
In secondo luogo, e soprattutto, si deve sempre fare riferimento al
superiore interesse del minore e ai diritti sanciti dalla Convenzione di New
York: tutti i minori, indipendentemente dalla nazionalità, hanno diritto
alla massima tutela possibile dei loro diritti, dal diritto di godere del
miglior stato di salute possibile, al diritto all’istruzione, alla tutela
contro lo sfruttamento economico ecc.
3) La condotta pregiudizievole dei genitori
nella scelta dell’emigrazione
Un altro aspetto da considerare è se la scelta dei genitori di
“mandare” il minore in Italia rappresenti una condotta
pregiudizievole tale da richiedere la limitazione o decadenza dalla
potestà genitoriale.
In particolare, se il minore si trova in Italia in una situazione di
sfruttamento, sarà importante valutare la consapevolezza dei genitori
rispetto a tale circostanza: ove i genitori avessero consapevolmente inviato il
minore in tale situazione di grave pregiudizio (vendendolo o in ogni caso
affidandolo a adulti sfruttatori) si ravviserebbero probabilmente le condizioni
per una limitazione o una decadenza dalla potestà genitoriale.
Se invece il minore non si trova in una situazione di sfruttamento, ma
è stato “mandato” completamente da solo in Italia,
sarà da discutere se tale comportamento può essere considerato
come una condotta pregiudizievole o se, al contrario, possa essere valutato in
determinate circostanze come un corretto esercizio della potestà
genitoriale.
Infine, nel caso in cui il minore sia affidato a parenti o altri adulti
moralmente e materialmente idonei a provvedervi, non sembra potersi ipotizzare
alcuna condotta pregiudizievole da parte dei genitori, a meno di voler fare
rientrare in tale concetto anche il solo fatto di “mandare” il
minore in Italia in violazione della normativa sull’ingresso e il
soggiorno degli stranieri in Italia.
La valutazione della situazione del minore in Italia
Dopo aver discusso alcune problematiche riguardanti la
valutazione della famiglia e della più generale situazione nel Paese
d’origine, accenniamo ad alcune questioni relative alla valutazione della
situazione del minore in Italia.
1) Quali saranno i criteri per valutare la situazione
del minore in Italia?
- l’esistenza ed
idoneità di parenti entro il quarto grado;
- la
disponibilità di famiglie, singoli o comunità di tipo familiare
ad accogliere il minore in affidamento;
- la
disponibilità di associazioni ed altri enti a prendere in tutela il
minore ed a provvedervi;
- le opportunità
formative, lavorative e assistenziali disponibili in Italia;
- altro …
2) La disponibilità di associazioni, famiglie ecc. ad accogliere
il minore così come le opportunità formative e lavorative saranno
valutate in base a ciò che è già effettivamente
disponibile al minore al momento dell’apertura del procedimento (ad
esempio se il minore ha già preso contatto con associazioni, se è
già iscritto ad un corso di formazione professionale ecc.) ovvero a
ciò che è disponibile sul territorio e che potenzialmente
può essere offerto al minore?
Tale questione assume particolare rilevanza nel caso di minori
coinvolti in attività illegali e finiti nel circuito penale: se la
situazione del minore in Italia venisse valutata in base alle condizioni attuali,
il giudizio sarebbe
naturalmente molto negativo e la decisione si orienterebbe probabilmente in
direzione di un rimpatrio (ove la
famiglia risultasse idonea a provvedere al minore) per sottrarre il minore alla
situazione di pregiudizio in cui si trova in Italia; se invece venissero
valutate anche le potenzialità di inserimento e di positiva evoluzione del minore,
la scelta tra accoglienza e rimpatrio sarebbe molto meno scontata.
La volontà dei genitori e la volontà del minore
Un altro aspetto importante è il peso
che dovrà avere nella decisione tra accoglienza e rimpatrio la
volontà dei genitori (o degli altri esercenti la potestà). In
particolare, se i genitori non hanno i mezzi per provvedere al minore ed esprimono la volontà
che il minore resti in Italia, in che modo andrà valutata tale
volontà?
Il diritto di stabilire il luogo in cui il minore deve risiedere
rientra nei poteri connessi alla potestà genitoriale. Tuttavia, oltre
alle problematiche relative alla decadenza dei genitori dalla potestà
cui abbiamo precedentemente accennato, è da ritenersi che il diritto del
genitore a stabilire il luogo in cui il minore deve risiedere non possa essere
esercitato in violazione della normativa sull’ingresso ed il soggiorno
degli stranieri in Italia. La volontà dei genitori, quindi, sembra debba
valutata con riferimento non al diritto del genitore ma esclusivamente con
riferimento all’interesse del minore.
Rientra certamente nella valutazione del minore, infatti, la
considerazione della volontà dei genitori, in primo luogo perché
ciò che essi ritengono che sia meglio per il figlio, le
responsabilità che gli attribuiscono, le aspettative di cui lo caricano
sono aspetti che hanno un’importanza cruciale per il minore dal punto di
vista psicologico.
In secondo luogo, la considerazione della volontà dei genitori
costituisce una concreta attuazione del già citato art. 5 della
Convenzione di New York, in base a cui “Gli Stati Parti rispettano la
responsabilità, il diritto ed il dovere dei genitori o, se del caso, dei
membri della famiglia allargata o della collettività, come previsto
dagli usi locali, dei tutori o altre persone legalmente responsabili del
fanciullo, di dare a quest'ultimo, in maniera corrispondente allo sviluppo
delle sue capacità, l'orientamento ed i consigli adeguati all'esercizio
dei diritti che gli sono riconosciuti dalla presente Convenzione.”
Per quanto riguarda, poi, la considerazione della volontà del
minore, la Convenzione di New York stabilisce il diritto del minore di
“esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo
interessa, le opinioni del fanciullo essendo debitamente prese in
considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di
maturità” (Convenzione di New York, art. 12).
Infine, il fatto di tenere conto della volontà dei genitori e
(ove l’età lo consenta) della volontà del minore
corrisponde ad una concezione di “valutazione dell’interesse del
minore” meno paternalistica, più responsabilizzante ed attenta
alla persona ed alla libertà di ciascuno di stabilire che cosa sia
meglio per sé o per i propri figli.
L’età del minore
L’età è naturalmente un fattore molto importante,
che ha rilevanza rispetto a molti degli altri fattori precedentemente
analizzati, e in particolare rispetto a:
1.
l’esigenza
del minore di vivere nella propria famiglia d’origine: è evidente
che per un adolescente tale esigenza è assai inferiore rispetto ad un
bambino;
2.
la condotto
pregiudizievole dei genitori nella scelta dell’emigrazione: nel caso di
genitori che inviano un bambino solo in un Paese straniero a lavorare è
più probabile che si possa parlare di condotta pregiudizievole che non
nel caso di un adolescente;
3.
la
volontà del minore: più il minore è maturo, più
sarà importante tenere conto della sua volontà; tale principio
trova espressione in diverse disposizioni procedurali, che stabiliscono una
soglia di età al di sopra della quale il minore deve essere sentito (ad
es. prima che venga disposto l’affidamento familiare, il servizio sociale
deve sentire il minore che abbia compiuto i 12 anni; prima della nomina del
tutore, il Giudice Tutelare deve sentire il minore che ha compiuto i 16 anni) o
addirittura è necessario il suo consenso (ad es. per l’adozione il
minore che ha compiuto i 14 anni deve manifestare espresso consenso).
La priorità nella scelta tra accoglienza e rimpatrio
Sarà importante, infine, capire se la priorità
dovrà esser data all’ipotesi del rimpatrio o a quella
dell’accoglienza.
Vi sono casi in cui la scelta è chiara. Nei casi di minori
provenienti da paesi in guerra, o che rischiano persecuzioni nel Paese
d'origine o che comunque corrano gravi rischi, il rimpatrio è
evidentemente impossibile, e il minore dovrà quindi essere accolto nel
nostro paese. Viceversa, nei casi di minori i
cui genitori o altri esercenti la potestà abbiano chiesto il rimpatrio,
o che abbiano essi stessi chiesto di essere rimpatriati, si procederà
certamente al rimpatrio.
Tuttavia, la maggior parte dei minori non accompagnati presenti in
Italia si trovano in una categoria intermedia tra questi due estremi, non
provenendo da paesi in guerra o a rischio di persecuzione da una parte, e
dall’altra parte essendo emigrati con il consenso dei genitori, che non
hanno dunque intenzione di chiederne il rimpatrio. Molti di questi minori
provengono da famiglie e da zone molto povere, nelle quali le
opportunità di studio, di formazione, di lavoro e di assistenza sono
scarsissime.
Che cosa verrà deciso per questi minori? Il rimpatrio
sarà la soluzione tendenzialmente generale o residuale?
Il "Piano nazionale di azioni e di interventi per la tutela dei
diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva 2000-2001"
(approvato con D.P.R. 13 giugno 2000) – ripreso anche dalle Linee Guida del Comitato per i minori
stranieri deliberate nella riunione dell’11 gennaio 2000[42]
–
ci induce a ritenere che la linea che il Governo intende assumere sia quella
del rimpatrio come soluzione tendenzialmente generale.
Nel Piano Nazionale, infatti, leggiamo “In vista dell'adozione dei necessari
provvedimenti - innanzi tutto di rimpatrio[43] - il Comitato
minori stranieri provvederà: a) ad un tempestivo accertamento
dell'identità del minore ed alla identificazione, anche attraverso
organismi internazionali quali la CRI, l'Unicef, l'Unhcr del suo nucleo
familiare in patria e dei suoi congiunti; b) alla predisposizione delle
condizioni indispensabili per un rimpatrio sicuro ed assistito del minore,
fornendogli anche - se adolescente - un certo previo bagaglio professionale che
gli consenta n migliore reinserimento nel suo Paese.”
Nelle Linee Guida del Comitato per i minori
stranieri si legge “E' da
precisare tuttavia che l'accoglienza ha il senso di assicurare i diritti del
fanciullo per tutto il periodo in cui proseguirà la sua permanenza in
Italia. Tale permanenza è intesa come temporanea, dovendosi provvedere,
ove ne ricorrano le condizioni, al rimpatrio assistito, vale a dire al ricongiungimento
con il nucleo parentale originario od al riaffidamento alle Autorità
responsabili del paese di origine.”
Se andiamo ad analizzare le norme vigenti, tuttavia, esse non
forniscono una risposta chiara alla domanda se il rimpatrio debba essere la
soluzione tendenzialmente generale o residuale, e questa ambiguità
ricalca in parte l’ambiguità precedentemente analizzata in merito
alle competenze ed alle procedure sulla scelta tra accoglienza e rimpatrio.
1)
La legge 184/83, art. 33, co. 5 (come modificata dalla legge 476/98)
stabilisce che: “[...] Il tribunale, adottato ogni opportuno
provvedimento temporaneo nell'interesse del minore, provvede ai sensi
dell'articolo 37-bis, qualora ne sussistano i presupposti, ovvero segnala la
situazione alla Commissione [cioè la Commissione per le adozioni
internazionali] affinché prenda contatto con il Paese di origine del
minore e si proceda ai sensi dell'articolo 34.”
Questa disposizione sembrerebbe attribuire priorità
all’accoglienza, limitando l’ipotesi del rimpatrio ai casi in cui
non “sussistano i presupposti” per disporre un provvedimento ex
art. 37-bis.
In realtà, tuttavia, resta una forte ambiguità in quanto
non è chiaro che cosa si intenda con l’espressione “qualora
sussistano i presupposti” (per provvedere ai sensi dell’art.
37-bis): deve intendersi la disponibilità di una famiglia, di un singolo
o di una comunità di tipo familiare a prendere il
minore in affidamento o in tutela? In questo caso, tale disponibilità
dovrà esservi già al momento dell'apertura del procedimento
ovvero potrà trattarsi di una disponibilità emersa nel corso del
procedimento?
Facendo riferimento alla Convenzione de L’Aja del 1961 si
potrebbe forse intendere che il Tribunale per i minorenni adotta provvedimenti
provvisori ed urgenti ex art. 9 della Convenzione e successivamente, ove
ritenga che il minore possa essere considerato abitualmente residente in
Italia, adotta i provvedimenti ex art. 37-bis della legge 184/83.
L’espressione “qualora ne sussistano i presupposti”
potrebbe quindi essere intesa nel senso di “qualora il minore possa
essere considerato abitualmente residente in Italia”, cioè quando
il minore abbia il centro di gravità della sua vita in Italia, anche in
conseguenza delle misure urgenti disposte e considerando l’elemento
volontaristico.
2)
Il T.U. 286/98, art. 33 (come modificato dal Dlgs. 113/99, art. 5)
stabilisce che “[...] Il provvedimento di rimpatrio del minore straniero
non accompagnato per le finalita' di cui al comma 2, e' adottato dal Comitato
di cui al comma 1 [cioè il Comitato per i minori stranieri]. Nel caso
risulti instaurato nei confronti dello stesso minore un procedimento
giurisdizionale, l'autorita' giudiziaria rilascia il nulla osta, salvo che
sussistano inderogabili esigenze processuali.".
In questa disposizione, dunque, sembra che la priorità venga
attribuita all’ipotesi del rimpatrio.
3)
Il Regolamento del Comitato per i minori stranieri prevede
all’art. 7, co.2: “Salva l'applicazione delle misure previste
dall'articolo 6, il Comitato dispone il rimpatrio assistito del minore presente
non accompagnato, assicurando che questi sia stato previamente sentito, anche
dagli enti interessati all'accoglienza, nel corso della procedura.”[44]
Andrà chiarito che cosa significhi l’espressione
“Salvo l’applicazione delle misure previste dall'articolo 6”:
si intende solo le misure di accoglienza temporanea in attesa della
disposizione ed esecuzione del provvedimento di rimpatrio? O significa che, se
vengono disposte misure di accoglienza (quali le “tutele civili” o
l’affidamento), il rimpatrio non deve essere necessariamente disposto?
4)
Spesso per sostenere la priorità del diritto
all’unità familiare si fa riferimento all’art. 22 della
Convenzione di New York, in base a cui “[...] gli Stati Parti collaborano,
a seconda di come lo giudichino necessario, a tutti gli sforzi compiuti
dall'organizzazione delle Nazioni Unite e le altre organizzazioni
intergovernative o non governative competenti che collaborano con
l'organizzazione delle Nazioni Unite, per proteggere ed aiutare i fanciulli che
si trovano in tale situazione e per ricercare i genitori o altri familiari di
ogni fanciullo rifugiato al fine di ottenere le informazioni necessarie per
ricongiungerlo alla sua famiglia.
Se il padre, la madre o ogni altro familiare sono irreperibili, al
fanciullo sarà concessa, secondo i principi enunciati nella presente
Convenzione, la stessa protezione di quella di ogni altro fanciullo
definitivamente oppure temporaneamente privato del suo ambiente familiare per
qualunque motivo.”
Tale disposizione, tuttavia, si riferisce specificatamente ai minori
rifugiati e richiedenti lo status di rifugiato, che sono stati separati dai
genitori contro la loro volontà, fattispecie dunque ben diversa da
quella qui analizzata dei minori emigrati per motivi economico-sociali e, soprattutto,
con il consenso dei genitori.
5) La Convenzione dell’Aja del 1970
sul rimpatrio - che citiamo pur non essendo internazionalmente in vigore -
prevede all’art. 8 che : “ L’Etat
requis peut en outre, compte tenu de toutes les circonstances de l’affaire,
rejeter la requête: a) si la personne ou les personnes qui
détiennent j’autorité parentale ou à qui le mineur
est confié se trouvent sur le territoire de I’Etat requis et
s’opposent au rapatriement ; b) si le rapatriement est
considéré comme étant contraire à
l’intérêt du mineur, notamment lorsque ce dernier a des
liens familiaux ou sociaux effectifs dans cet Etat ou lorsque le rapatriement
est incompatible avec une mesure de protection ou de rééducation
prise dans ledit Etat. ”
6)
La Risoluzione del Consiglio dell’Unione Europea del 26.6.97
è invece molto chiara nello stabilire che, ogni qualvolta sia possibile,
il minore debba essere rimpatriato:
·
“[...]
considerando che la presenza irregolare nel territorio degli Stati membri di
minori non accompagnati che non sono considerati rifugiati deve avere carattere
provvisorio, per cui gli Stati membri si sforzano di collaborare tra di loro e
con i paesi terzi di origine per ricondurre il minore nel suo paese d'origine o
in un paese terzo disposto ad accettarlo senza alcun rischio per la sua
sicurezza per rintracciare, ogniqualvolta è possibile, le persone che ne
sono responsabili e per ricongiungere il minore con esse; [..]”
(premessa);
·
“1. Qualora un minore non sia
autorizzato a protrarre il suo soggiorno in uno Stato membro, quest'ultimo
può rimpatriare il minore nel paese di origine o rinviarlo in un paese
terzo disposto ad accettarlo soltanto se vi siano disponibili per lui, al suo
arrivo, un'accoglienza e assistenza adeguate, a seconda delle sue esigenze in
base all'età e al grado di indipendenza. Vi possono provvedere i
genitori o altri adulti che si prendano cura del fanciullo, nonché
organizzazioni governative e non governative. 2. Finché non sia
possibile un rimpatrio a tali condizioni, gli Stati membri dovrebbero in linea
di massima offrire al minore la possibilità di restare nel loro
territorio.” (art. 5).
Va tuttavia ricordato che:
·
la Risoluzione
dell’Unione Europea non ha valore vincolante, non trattandosi né
di un regolamento né di una direttiva, ma appunto di una risoluzione;
·
la Risoluzione
stessa stabilisce che “La presente risoluzione lascia impregiudicate
eventuali disposizioni più favorevoli della legislazione
nazionale.” (art. 3, co.4);
·
come già
notato all’inizio, la Risoluzione sembra collocarsi più
nell’ambito della normativa in materia di lotta all’immigrazione
clandestina che non in quella relativa alla tutela dei minori.
7) Infine, la nuova legge di modifica alla
legge 184/83[45],
non ancora promulgata, prevede che “Le condizioni di indigenza dei
genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono
essere di ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla propria
famiglia. A tal fine a favore della famiglia sono disposti interventi di
sostegno e aiuto.” (art. 1, co. 3); “Il minore temporaneamente
privo di un ambiente familiare idoneo, nonostante gli interventi ai sostegno e
aiuto disposti ai sensi dell’art. 1, è affidato ad una famiglia
[...]” (art. 2, co. 2).
E’ interessante notare come tali disposizioni costituiscano un
progresso importantissimo per la garanzia dei diritti dei minori italiani, ma
rischino di trasformarsi in un “boomerang” per i minori stranieri
non accompagnati. La famiglia italiana indigente, infatti, appartenente ad una
società ricca come quella italiana, riceverà sostegno dallo Stato
per poter essere in grado di provvedere adeguatamente al minore, che
vedrà così tutelato il suo diritto a vivere nell’ambito
della sua famiglia, indipendentemente dalle condizioni economico-sociali della
famiglia.
Per i minori stranieri non accompagnati, invece, queste disposizioni
vengono già attualmente citate[46],
pur non essendo ancora in vigore, per sostenere l’ipotesi del rimpatrio
come soluzione tendenzialmente generale: non si potrà, cioè,
giustificare l’accoglienza del minore in Italia e il mancato rimpatrio,
solo in base alla valutazione che la sua famiglia nel paese d’origine
è troppo povera per garantirgli un livello di vita sufficiente.
Questa posizione, naturalmente, non tiene conto del fatto che queste
famiglie vivono in paesi poveri, e che non riusciranno a ottenere dal loro
Stato alcun sostegno economico; e, soprattutto, ignora il fatto che sono le
più generali condizioni del paese ad impedire un livello di vita e
opportunità di sviluppo soddisfacenti per il minore. E purtroppo non saranno
né gli eventuali interventi di sostegno erogati dallo Stato italiano
alle famiglie, né i corsi di formazione professionale finanziati
dall’Italia nei paesi d’origine a modificare significativamente e
in tempi rapidi queste condizioni.
Lo sviluppo economico di questi paesi è certamente un obiettivo
fondamentale, l'unico che farà sì che quella parte significativa
di minori che emigrano per ragioni economiche non siano costretti ad
abbandonare la loro famiglia per cercare condizioni migliori in un altro paese.
Ma purtroppo ben sappiamo che per avviare davvero lo sviluppo i tempi saranno
lunghi, e i risultati restano comunque incerti.
Si può ritenere, dunque, che – in presenza di una
normativa che non ci fornisce risposte chiare alla questione se il rimpatrio
debba essere la soluzione tendenzialmente generale ovvero residuale – si
dovrà fare ricorso all’interpretazione, con riferimento
all’atto che, in materia di protezione dei minori, costituisce normativa
quadro: la Convenzione di New York.
La decisione tra accoglienza e rimpatrio dovrà sempre fare
riferimento, in base alla Convenzione di New York e al Testo Unico 286/98, al
superiore interesse del minore: dunque anche nel caso in cui “vi siano
disponibili per lui, al suo arrivo, un'accoglienza e assistenza adeguate, a
seconda delle sue esigenze in base all'età e al grado di
indipendenza”, la decisione di provvedere al rimpatrio non potrà
essere scontata, partendo dal presupposto che per il minore sia sempre e
comunque meglio vivere nella sua famiglia d'origine e nel suo Paese d'origine.
Il diritto all'unità familiare è sicuramente un principio
fondamentale, ma non assoluto. La valutazione del "superiore interesse del
minore" richiede di tenere conto non solo del diritto all'unità
familiare (né tanto meno del solo diritto a vivere nel proprio Paese
d’origine), ma anche del diritto ad “un livello di vita sufficiente
per consentire il suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale e
sociale”, del diritto alla salute, all’istruzione, alla tutela sul
lavoro ...
Diritti di cui il minore presente in Italia, cittadino di un paese non
industrialmente avanzato, ha diritto di godere quanto il minore italiano.
APPENDICE
INDICE DELL’APPENDICE
Articoli e interventi a seminari ......................…...................................................................................
p. 120
· W. Citti, I minori stranieri non
accompagnati tra tutela in Italia e rimpatrio, articolo consultabile sul sito Progetto
“Atlante” della Provincia di Torino e di prossima pubblicazione in
un volume edito da Giuffrè:
..............................……….................................………........................................................
p. 120
· G. De Marco, G. Calcagno, A. Tetto, Interventi
al seminario “Minori stranieri irregolari: quale tutela?”, Torino, 15 ottobre 1999:
............................................................……………………...........
p.130
· Sintesi degli interventi al seminario
“Minori stranieri non accompagnati e irregolari, tra accoglienza e
rimpatrio” Torino, 4
luglio 2000
..........……………………………...................................................
p.135
Altri documenti: ........................................……...................................................................…..............
p. 138
·
Presidenza
del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per gli Affari Sociali –
Comitato per i minori stranieri – Minori stranieri non accompagnati -
Linee Guida deliberate nella riunione dell’11 gennaio 200
·
Piano nazionale
di azioni e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti
in età evolutiva 2000-2001 (approvato con D.P.R. 13 giugno 2000);
·
Nota informativa
del Servizio Sociale Internazionale;
·
Documento di
aggiornamento dell’Intesa tra Tribunale per i minorenni di Torino,
Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Torino, Giudice
Tutelare presso la Pretura Circondariale di Torino, Ufficio Stranieri della
Questura di Torino, Comune di Torino, IPM di Torino, Ufficio Distrettuale di
Servizio Sociale per i minorenni di Torino, Corpo di polizia municipale di
Torino 24 ottobre 1994;
·
Protocollo di
intesa per l’inserimento di minori stranieri extracomunitari tra
Provveditorato agli Studi di Torino e Città di Torino 19 dicembre 1996;
·
Nota della
Procura della Repubblica e del Tribunale per i minorenni di Torino e del
Giudice Tutelare di Torino del 12 novembre 1998;
·
Nota della
Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Torino.
Giurisprudenza: ............................................................……..................................................................
p. 163
·
Pretura di
Torino Ufficio del Giudice Tutelare 22.12.1998 - provvedimento di rimpatrio
- revoca; scheda di L. Guerci
(in “Diritto, Immigrazione e
Cittadinanza”, 1999, n.
3);
·
Tribunale per i
Minorenni del Veneto, 23.02.1998, efficacia provvedimento di affidamento
straniero - (in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, 1999, n. 3)
·
Tribunale per i
minorenni di Brescia 20.1.1999 - affidamento di minore straniero a familiari
entro il quarto grado - esclusione competenza del Tribunale minorile;
competenza del Giudice Tutelare per l’apertura della tutela (in “Diritto, Immigrazione e
Cittadinanza”,1999, n.
1);
·
Pretura di
Mantova, sez. dist. Castiglione delle Stiviere, comunicazione del Giudice
Tutelare 15.2.1999 - apertura di tutela - esclusione competenza del Giudice
Tutelare (in “Diritto,
Immigrazione e Cittadinanza”,1999, n. 1);
·
Tribunale per i
minorenni di Venezia 21.12.1998 - affidamento di minore straniero a
familiari entro il quarto grado - competenza del Tribunale minorile (in “Diritto, Immigrazione e
Cittadinanza”,1999, n.
4);
·
Tribunale per i
minorenni di Venezia 28.12.1998 - affidamento di minore straniero a familiari
entro il quarto grado - competenza del Tribunale minorile (in “Diritto, Immigrazione e
Cittadinanza”,1999, n.
4);
·
Tribunale per i
minorenni di Venezia 10.5.1999 - affidamento di minore straniero a familiari
entro il quarto grado - esclusione competenza del Tribunale minorile (in “Diritto, Immigrazione e
Cittadinanza”,1999, n.
4);
·
Tribunale per i
minorenni di Torino 22.7.1999 - minore straniero irregolare - convivenza con
familiari entro il quarto grado - esclusione dell’intervento del Tribunale
minorile (in “Diritto,
Immigrazione e Cittadinanza”,1999, n. 4);
·
Corte
d’appello di Torino 10.12.1999 - affidamento di minore straniero a
familiari entro il quarto grado - esclusione competenza del Tribunale minorile;
competenza del Giudice Tutelare per l’apertura della tutela; scheda di L. Miazzi (in “Diritto,
Immigrazione e Cittadinanza”, 2000, n. 1);
·
Tribunale
Amministrativo del Piemonte 10.11.1999 - annullamento del rigetto di domanda
di permesso di soggiorno per motivi di giustizia presentata meno di 20 giorni
prima del compimento della maggiore età.
Breve bibliografia sul tema dei minori
stranieri non accompagnati ……………………..…………p.
175
I minori stranieri
non accompagnati tra tutela in Italia e rimpatrio
di Walter Citti*
Non è per nulla agevole affrontare dal punto di
vista normativo la delicata questione del trattamento dei minori stranieri non
accompagnati. Nonostante l'entrata in vigore della legge n. 40/1998, definita
al momento dell'approvazione
normativa "organica"
in materia di immigrazione, e l'emanazione del suo regolamento di attuazione, la materia dei minori
stranieri non accompagnati viene ad essere considerata in recenti studi
sull'argomento "quasi intrattabile"[47] a causa della "coesistenza nell'ordinamento giuridico di molteplici
disposizioni, disorganiche e in parte contrastanti tra loro, che danno luogo a
enormi difficoltà di orientamento e, conseguentemente, a prassi
giudiziarie le più
disparate"[48].
Non si esita a definirla un vero e proprio "guazzabuglio" normativo,
dove gli operatori sociali e giudiziari si muovono "secondo prassi
più o meno consolidate (perlopiù a livello locale ndr), dall'origine incerta e dalla perdurante
legittimità quantomeno dubbia"[49],
innanzitutto sotto il profilo costituzionale.[50]
La situazione prima della legge n. 40/1998.
La mancata regolamentazione giuridica della materia da
parte della legge n. 39/1990 aveva costretto diverse realtà locali ad
individuare forme di intervento ispirate ai principi generali del diritto
minorile e a quelli della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo,
con l'intento di sottrarre all'autorità di polizia i poteri di
determinazione in merito al trattamento dei minori stranieri non accompagnati
per trasferirli a quella
giudiziaria, individuata alternativamente nel Tribunale per i Minorenni ovvero
nel Giudice Tutelare.
Se andiamo brevemente ad esaminare il sistema generale
delle norme in materia di protezione dei minori, ricavabile dalla costituzione,
dalle fonti internazionali e relative leggi di ratifica ed esecuzione,
così come dalle norme del
codice civile e dalla disciplina sull'adozione e l'affidamento (legge n.184/83
come modificata dalla legge n. 476/98), appare emergere un quadro che attribuirebbe esclusivamente all'Autorità Giudiziaria
minorile la competenza sul trattamento del minore straniero non accompagnato in
Italia e sulle soluzioni più opportune da adottare nei suoi confronti,
nel senso del rimpatrio ovvero della sua permanenza in Italia. Come vedremo
più avanti, tale convinzione appare oggi messa in discussione per
effetto di nuovi strumenti
normativi, di dubbia legittimità costituzionale, che sembrerebbero
trasferire tale competenza all'autorità amministrativa.
Innanzitutto vale la pena citare le fonti giuridiche
interne in tema di protezione generale giuridica della condizione minorile,
applicabili nei casi in cui i genitori siano impossibilitati ad esercitare la
potestà e riguardanti l'apertura della tutela ad opera del giudice
tutelare (art. 343 C.C.), anche deferendola al rappresentante dell'istituto di
assistenza ove il minore venga ricoverato o assistito a cura della pubblica
autorità (artt. 401, 402, 403 C.C.).[51]
Molto importante è anche l'art. 371 C.C. che demanda al Giudice
tutelare il compito di stabilire
il luogo in cui il minore sottoposto a tutela deve vivere e che, rispetto ai
minori stranieri non accompagnati, è stato per analogia interpretato
come attribuente all'autorità giudiziaria la valutazione dell'interesse
o meno del minore a rimanere in Italia ovvero ad essere rimpatriato.[52]
Una norma esplicitamente rivolta ad estendere anche al minore straniero le
misure di protezione generalmente previste è stata il famoso art. 37
della legge n. 184/83, che ha dichiarato applicabile anche al minore straniero
in stato di abbandono in Italia le misure contenute nel medesimo strumento
normativo in materia di adozione, di affidamento familiare e di provvedimenti
necessari in caso di urgenza.[53]
Prendendo spunto da questo complesso quadro normativo,
così come dalle esperienze di collaborazione interistituzionale
già promosse in diversi contesti locali e specialmente a Roma e a
Torino, nel corso del 1994 le
autorità centrali del Ministero dell'Interno, di quello di Grazia e
Giustizia e del Lavoro decisero di
avviare una serie di incontri e discussioni che condussero all'emanazione di
provvedimenti amministrativi (circolari) volti a regolamentare in modo uniforme
sul territorio nazionale la questione del trattamento dei minori stranieri non
accompagnati. Si sancì la necessità per ogni minore straniero non
accompagnato di avviare l' apertura di una tutela da parte del Tribunale per i Minorenni (per i minori
di anni 14) o del Giudice tutelare (per gli ultra quattordicenni), con
conseguente affidamento all'Ente locale, in base ad una interpretazione
"lata" dell'art. 37 della legge n. 184/83, secondo cui il giudice
può emettere provvedimenti urgenti a favore del minore straniero in stato
di abbandono. In base a tali circolari amministrative, all'autorità di
polizia veniva sottratto ogni potere di determinazione circa la condizione ed
il trattamento del minore straniero non accompagnato, demandando
all'autorità giudiziaria minorile il delicato compito di individuare la
soluzione più confacente agli interessi supremi del minore richiamati
dalla Convenzione Internazionale sui diritti del fanciullo (art. 3)
(accoglienza, integrazione o rimpatrio). Durante la tutela disposta dall'autorità
giudiziaria, il minore godeva di un permesso di soggiorno per motivi di
"affidamento" o di
"giustizia", il cui rilascio veniva ricondotto alla previsione di cui
all'art. 4.14 della legge n. 39/90 ("Per gli stranieri ricoverati in case
di cura e di pena, ovvero ospitati in comunità civili o religiose, il
permesso di soggiorno può essere richiesto alla questura competente da
chi presiede le case, gli istituti o le comunità sopraindicati, per
delega degli stranieri medesimi"[54]).
Al fine di
rendere maggiormente
effettiva la protezione sociale del minore non accompagnato sottoposto a
tutela, venne concordata la possibilità di un suo accesso all'impiego,
in via del tutto eccezionale, previo rilascio al datore di lavoro di un
apposito atto di avviamento a prescindere dall'iscrizione del minore alle liste di collocamento (circ. Min. Lavoro
n. 67 dd. 16.06.1994).
Venendo incontro a ragioni di carattere umanitario
facilmente comprensibili, con una successiva circolare amministrativa (circ.
Ministero del Lavoro dd. 19.09.1995) si
consentì la possibilità per il minore straniero non
accompagnato e sottoposto a tutela, una volta raggiunta la maggiore età,
di rimanere in Italia, usufruendo dell'iscrizione alle liste di collocamento,
alla pari degli altri cittadini stranieri regolarmente soggiornanti in Italia
per motivi di lavoro, anziché
essere sottoposto al provvedimento espulsivo.[55]
Le disposizioni contenute nella legge n.
40/1998. Una riforma mancata in materia di minori non accompagnati.
Sebbene le autorità di P.S. a livello locale
applicassero spesso i provvedimenti amministrativi citati in maniera
discrezionale e disomogenea, si può affermare in linea generale che
erano state poste le basi nel trattamento dei minori stranieri non accompagnati
per un superamento della logica delle espulsioni a favore di una logica
alternativa di accoglienza ed integrazione.
Con l'entrata in vigore della legge n. 40/1998,
sembrò trovare ulteriore conferma questo orientamento favorevole
all'integrazione.
Sebbene la questione non appaia molto definita dalla
normativa in questione, importanti disposizioni vi sono peraltro contenute.
Così, l'art. 19.2 a) del d.lgs. 286/98 dispone l'inespellibilità
del minore straniero non accompagnato, tranne per i motivi di sicurezza
nazionale e ordine pubblico, per i quali, in base all'art. 31.4, deve disporre
il Tribunale per i minorenni su richiesta del questore. Per quanto concerne la
condizione dei minori stranieri non accompagnati sottoposti a tutela
("comunque affidati ai sensi dell'art. 2 della legge n. 184/83" ad
una famiglia, ad una persona singola, ad una comunità di tipo familiare
o ad un istituto), una volta raggiunta la maggiore età, l'art. 32
stabilisce la possibilità del rilascio a loro favore di un permesso di soggiorno per motivi di studio o di
accesso al lavoro, a prescindere dal sistema delle quote annuali introdotto dal meccanismo della programmazione
dei flussi.[56]
Il decreto legislativo n. 133/1999.
Dall'accoglienza al rimpatrio assistito. Tutela dei diritti del minore o
"espulsione camuffata" ?
Il fatto, tuttavia, che non si sia voluto prevedere
con la nuova legge sull'immigrazione una griglia normativa precisa ed organica
della materia, ha favorito ben presto un cambio di rotta a livello governativo,
improntato più che su solide basi giuridiche, su un elevato esercizio di
discrezionalità amministrativa, e giustificato da considerazioni di
opportunità politica nonché da asserite inconciliabilità
della situazione italiana con gli standard europei.
L'aumento
del numero dei minori stranieri non accompagnati affidati e accolti
presso istituti e centri di accoglienza dei comuni, cui spetta tale compito
anche in base a quanto chiarito da un parere del Consiglio di Stato (30 luglio
1997), ha accresciuto le difficoltà di gestione da parte degli
Amministratori locali. A ciò si sono aggiunte le preoccupazioni da parte
governativa di alimentare con una politica di accoglienza flussi migratori clandestini e
soprattutto di favorire indirettamente le organizzazioni criminali che li
gestiscono, così come di non ottemperare ai criteri - peraltro non
vincolanti giuridicamente- contenuti nella Risoluzione del Consiglio
dell'Unione Europea del 26 giugno 1997 sui minori non accompagnati, cittadini
di paesi terzi 11.
Utilizzando la delega contenuta nell'art. 47 c. 2
della legge n. 40/98, che demandava al Governo stesso di adottare, entro due
anni, le disposizioni correttive necessarie "per realizzare pienamente i
principi della legge o per assicurarne la migliore attuazione", con il d. lgs. 13 aprile 1999 n. 113, ed in
particolare con l'art. 5, sono state introdotte delle disposizioni correttive
al Testo Unico sull'immigrazione riferite ai poteri e alle funzioni del Comitato
per i minori stranieri di cui all'art. 33 del d.lgs. n. 286/98. Tale comitato era sorto già ai tempi della "legge
Martelli" con lo scopo di vigilare e regolare le modalità di
ingresso e di soggiorno temporaneo in Italia dei minori stranieri nell'ambito
di programmi solidaristici di accoglienza temporanea proposti da enti,
associazioni di volontariato, enti locali (ad es. i soggiorni estivi dei
bambini ucraini e bielorussi colpiti dalle radiazioni di Chernobyl, etc.).
Accanto a queste funzioni tradizionali,
già con l'art. 33 del T.U. si era fatto cenno, in verità
assai sfuggevole, ad ulteriori e non precisati compiti concernenti la tutela
dei diritti dei minori stranieri in conformità alla Convenzione sui
diritti del fanciullo del 1989, in relazione anche all'affidamento temporaneo e
al rimpatrio dei medesimi. Con l'art. 5 del d.lgs. 113/99 si fa esplicito
rimando ad un regolamento, successivamente emanato con il d.p.c.m. 09.12.1999
n. 53512,
volto a definire i compiti del
comitato anche con riferimento alle modalità di accoglienza dei minori stranieri
non accompagnati da parte dei servizi sociali degli enti locali, e alle
soluzioni praticabili nei loro confronti, di accoglienza, di rimpatrio
assistito, di ricongiungimento con la famiglia nel paese di origine o in un paese terzo (c. 1b)). In particolare,
il decreto legislativo prevede che il provvedimento di rimpatrio del minore
straniero non accompagnato venga
adottato dal Comitato e che l'autorità giudiziaria rilasci il nulla-osta
in caso di pendenza di un procedimento giudiziario, fatta salva la sussistenza
di inderogabili esigenze processuali (c.2).
In sostanza, con il decreto legislativo n. 113/99 il
governo ha voluto indicare che l'inespellibilità del minore straniero
non accompagnato, che discende dall'art.19 c. 2 a) del T.U., non esclude di per
sé l'ipotesi del rimpatrio del medesimo, istituto che va distinto da
quello dell'espulsione qualora, realizzandosi mediante le garanzie sostanziali
e procedurali contenute nella risoluzione europea accennata, assuma un
carattere non meramente coatto, bensì "assistito". 13
Chiarito che, nell'impostazione governativa, la
non-espellibilità del minore straniero non accompagnato non esclude l'eventualità/opzione del suo
rimpatrio "assistito", sembrano tuttavia lungi dall'apparire privi di
lacune, incertezze, contraddizioni e dubbi di legittimità costituzionale
decisivi aspetti del complesso normativo venuto a compimento con il varo del
citato regolamento previsto dal d.lgs. 113/99, concernente i compiti del
Comitato per i minori stranieri. Molteplici rilievi, in particolare, è
necessario muovere sui seguenti punti:
a)
L'incerta
definizione di minore non accompagnato e l'altrettanto precaria condizione di
tutela giuridica del minore straniero affidato di fatto a parenti entro il
quarto grado anche a causa del difetto di coordinamento tra le disposizioni della legge n.
40/98 e quelle ordinarie di cui alla legge n. 184/83.
b)
Le scarse
garanzie di effettività nell'applicazione delle specifiche disposizioni
di tutela del minore straniero non
accompagnato contenute nell'art. 33 c. 5 della legge n. 476/9814
rispetto alle norme della legge sull'immigrazione relative all'istituto del
respingimento con accompagnamento alla frontiera.
c)
La distribuzione
ed il coordinamento delle competenze e delle responsabilità decisionali riguardo alla soluzione da
adottare per il minore non accompagnato, tra autorità giudiziaria
minorile, questura, servizi sociali degli enti locali, volontariato, comitato
per i minori stranieri.
d)
Il quadro delle
garanzie previste per il minore affinché il rimpatrio assistito
costituisca effettivamente la soluzione più vicina ai suoi interessi
superiori;
e)
Il quadro dei
diritti e delle facoltà connesse all'accoglienza e al soggiorno del
minore non accompagnato in Italia nel corso della tutela.
__.__.__
f)
Nel
regolamento concernente i compiti
del comitato per i minori stranieri viene contenuta una definizione di
"minore straniero non accompagnato" che ricalca sostanzialmente
quella contenuta nella risoluzione europea, intendendo per esso "quel
minorenne non avente la cittadinanza italiana o di uno degli Stati dell'Unione
Europea che, non avendo presentato domanda di asilo politico, si trova per
qualsiasi causa, nel territorio dello Stato privo di assistenza e
rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti responsabili in base
alle leggi vigenti nell'ordinamento italiano".15 Tale
definizione non risolve la delicata, e peraltro assai frequente nella
casistica, questione del trattamento dei minori stranieri affidati di fatto dai
genitori rimasti nel paese di origine a parenti entro il quarto grado residenti
regolarmente in Italia. In base all'art. 19 del d.lgs. n. 286/98
sull'inespellibilità del minore (salvo il diritto a seguire il genitore
o l'affidatario espulso) e alla conseguente norma di attuazione contenuta nel
regolamento di attuazione (art. 28 d.p.r. 31.08.1999 n. 394: "Quando la
legge dispone il divieto di espulsione, il questore rilascia il permesso di
soggiorno…per minore età", salvo l'iscrizione del minore di
anni quattordici nel permesso di soggiorno del genitore o dell'affidatario
straniero regolarmente soggiornanti in Italia) non vi sono dubbi sul diritto
del minore ad ottenere una regolarizzazione della propria presenza in Italia. I
problemi che si pongono sono di duplice natura: vi sono i presupposti per l'intervento da parte di
un'autorità giudiziaria minorile e quale deve essere tale
autorità ? Qual' è lo status del minore al momento del
raggiungimento della maggiore età ?.
La norma citata del regolamento applicativo richiede
la segnalazione di ogni minore non
accompagnato al Tribunale per i minorenni "per i provvedimenti di
competenza", ma tale competenza nei casi di minori stranieri affidati di
fatto a parenti entro il quarto grado in Italia appare perlomeno dubbia. Il
Tribunale per i minorenni infatti ha la funzione di controllo dell'esercizio
della potestà genitoriale e ha come scopo la tutela dei minorenni nei
confronti delle condotte eventualmente pregiudizievoli dei genitori, con conseguente,
nel caso, esercizio del potere di limitazione o esclusione della potestà
(art. 330-333 C.C.). Nella maggior parte dei casi l'affido di fatto ai parenti
in Italia avviene con il pieno consenso dei genitori, espresso con atti
notarili redatti nei paesi di origine e raccolti dai servizi sociali o
dall'autorità giudiziaria italiana, così come i parenti di fatto
affidatari vivono regolarmente in Italia
soddisfando requisiti alloggiativi e reddituali per il mantenimento del
minore, per cui a molti giudici non appare sostenibile la tesi di una condotta
pregiudizievole che sola può giustificare l'intervento del T.M.
Ugualmente, argomentando a
contraris ex art. 9
VI° comma l. 184/83 ("Chiunque, non essendo parente entro il quarto
grado, accoglie stabilmente nella propria abitazione un minore, qualora
l'accoglienza si protragga per un periodo superiore a sei mesi, deve, trascorso tale periodo, darne
segnalazione al giudice tutelare, che trasmette gli atti al Tribunale per i
minorenni con relazione informativa…Nello stesso termine di cui al comma
precedente uguale segnalazione deve essere effettuata dal genitore che affidi
stabilmente a chi non sia parente entro il quarto grado il figlio minore per un
periodo non inferiore a sei mesi") la giurisprudenza ha sostenuto di non
ravvisare in questi casi la competenza né dell'autorità
amministrativa del Servizio sociale per l'eventuale disposizione formale dell'affidamento consensuale,
né del Tribunale per i minorenni per quello giudiziale.16 Resta
il fatto che in assenza di un provvedimento formale di affidamento ex art. 2 e
4 della legge n. 184/83, in base
ad un'interpretazione letterale, non potrebbero essere applicate le disposizioni di cui agli artt. 30 e
31 del D.lgs.vo n. 286/98 che richiamano proprio alle norme sull'adozione e
l'affidamento, per cui il minore infraquattordicenne non potrebbe essere
iscritto sul permesso di soggiorno del parente affidatario di fatto e seguirne la condizione
giuridica, né ottenere al compimento del quattordicesimo anno di
età un permesso di soggiorno autonomo per motivi familiari (che rientra
nel novero di quelli multifunzionali che conferiscono l'accesso
all'attività lavorativa ex art. 6 c. 1 del TU)17.
Tanto meno potrebbe richiedere la conversione del permesso di soggiorno in quello
per motivi di lavoro al compimento della maggiore età. Resterebbe il suo
diritto a godere di un permesso di soggiorno provvisorio per "minore
età" - i cui diritti e facoltà esercitabili resterebbero del
tutto imprecisati - in quanto
inespellibile fino alla maggiore età, dal cui compimento ne
conseguirebbe l'automatica espulsione18. Assisteremmo dunque alla paradossale
situazione per cui proprio coloro che sono maggiormente tutelati dal punto di
vista familiare, socio-economico, affettivo si troverebbero ad essere meno
tutelati dal punto di vista giuridico. Da tale assurda situazione si può
uscire soltanto con un'interpretazione estensiva della norma della legge n. 40/98, volta a consentire
l'applicazione di quanto in essa previsto anche senza che vi sia un
provvedimento formale ex art. 2 o 4 della l. 184, estendendo il concetto di minore affidato anche
nei casi di minori affidati de facto con semplice atto notarile della famiglia. Ma di
tutto ciò non vi è traccia nel regolamento di attuazione del
d.lgs. n. 113/99 varato con il citato d.p.c.m. n. 535/99, né apparirebbe
legittimo sotto il profilo costituzionale e del principio di gerarchia delle
fonti modificare nella sostanza norme di legge mediante fonti di natura
secondaria.
g)
L'art. 10 del
T.U. prevede il respingimento con accompagnamento alla frontiera disposto dal
questore nei confronti degli
stranieri che siano entrati nel territorio dello Stato illegalmente, e siano
fermati all'ingresso o subito dopo e di quelli che sono stati temporaneamente
ammessi per necessità di pubblico soccorso. L'eventuale applicazione di
tali disposizioni al minore contrasterebbe con quanto previsto dall'art. 33 comma 5 della legge n. 476/98,
che configura un sistema di tutela per il minore "solo" con obbligo di segnalazione al
Tribunale per i minorenni in tutti i casi in cui "sia comunque avvenuto
l'ingresso di un minore nel territorio dello Stato al di fuori delle situazioni
consentite". Anche in relazione a tale aspetto, dunque, si ravvede l'opportunità
di un intervento legislativo
finalizzato a mettere ordine nella materia del trattamento dei minori
stranieri non accompagnati.19
c)
I commenti critici che da più parti si sono levati nei confronti
del d.lgs. n. 113/99 hanno evidenziato forti perplessità di
illegittimità costituzionale per violazione dei principi di riserva di
legge e di riserva di giurisdizione. Il rinvio ad un successivo atto del
governo per regolamentare le modalità di accoglienza dei minori
stranieri non accompagnati ai fini dell'accoglienza, del rimpatrio assistito e
del ricongiungimento familiare con il paese di origine o in un altro paese ha
equivalso in sostanza alla possibilità per l'esecutivo di riscrivere la
disciplina della condizione giuridica del minore straniero solo, il che
è andato ben al di là della delega contenuta nella legge
sull'immigrazione, così come contrasta con il principio di riserva di
legge nella regolamentazione della
condizione giuridica dello straniero di cui all'art. 10 c. 2 della
Costituzione. 20
Ugualmente non si può non ravvisare le difficoltà di
coordinamento tra la norma del decreto che attribuisce al Comitato per i minori
stranieri la responsabilità della decisione in materia di "rimpatrio assistito" del
minore21 e
quella dell'art. 28 del d.p.r. 31.08.1999, n. 394 che, in attuazione dell'art. 19 .2 a) del T.U. ,
attribuisce al Tribunale per i Minorenni la competenza per l'emanazione dei
provvedimenti concernenti il minore straniero non accompagnato. Si
potrebbe supporre che l'esecutivo
abbia voluto da un lato coinvolgere l'autorità giudiziaria minorile per
quanto concerne l'apertura
della tutela del minore individuato sul territorio nazionale privo di
accompagnamento di una persona adulta di riferimento (in base all'art. 2 della
legge n. 184/1983), facendo salva
tuttavia la competenza del Comitato per i minori stranieri per l'assunzione
della decisione in merito al
"rimpatrio assistito", quale soluzione eventualmente
più rispondente all'interesse del minore, in base ai principi contenuti
nella Convenzione di New York sull'esigenza di garantire l'unità
familiare e il rispetto dei valori culturali.
Nel regolamento di attuazione del D.lgs. n.
113/99 si prevede infatti che i
pubblici ufficiali, gli incaricati di pubblico servizio e gli enti, che vengano
a conoscenza dell'ingresso e della presenza sul territorio italiano di un
minore straniero non accompagnato, siano tenuti a darne immediata notizia al
Comitato (art. 5), così come a cooperare con le amministrazione statuali
cui è affidato il rimpatrio assistito (art. 7.3). L'attribuzione ad un
organo amministrativo della competenza a disporre il rimpatrio, sottraendola
all'autorità giudiziaria minorile, non sembra peraltro in linea con la giurisprudenza costituzionale, che
ha annoverato il Tribunale per i
minorenni tra gli istituti che la Repubblica ha predisposto in base
all'art. 31 della Cost., per l'adempimento del precetto costituzionale che la
impegna alla "protezione della gioventù"22. E'
lecito ritenere che, una volta
adottata dal Comitato la decisione del "rimpatrio assistito" del
minore, l'autorità giudiziaria minorile non possa far altro che
adeguarvisi, revocando la tutela
precedentemente aperta, in base a quanto previsto dall'art. 4 della legge n.
184/1983 e dall'art. 336 C.C.?23 Ugualmente, appare sconcertante che
nel decreto e nel regolamento sul Comitato non si faccia parola dei rimedi di
tutela amministrativa e giurisdizionali contro il provvedimento di rimpatrio,
anche se è evidente che questi possono essere esercitati. 24
d) Vale
la pena innanzitutto ricordare che, sebbene la risoluzione europea citata non
assuma un atteggiamento favorevole all'integrazione dei minori stranieri non
accompagnati, prediligendo la soluzione del rimpatrio ("la presenza
irregolare nel territorio degli Stati membri di minori non accompagnati che non
sono considerati rifugiati deve avere carattere provvisorio, per cui gli Stati
membri si sforzano di collaborare tra di loro e con i paesi terzi di origine
per ricondurre il minore nel suo paese di origine..."), ugualmente essa stabilisce opportuni paletti,
limitazioni e garanzie volte a
proteggere il minore dal rischio di un rimpatrio indiscriminato, prevedendo che
il rimpatrio possa avere luogo solo "se vi siano disponibili per lui,
al suo arrivo, un'accoglienza ed un'assistenza adeguate, a seconda delle sue
esigenze in base all'età e al grado di indipendenza", mentre finché tali condizioni
non si saranno verificate, "gli Stati membri dovrebbero, in linea di
massima, offrire al minore la possibilità di restare nel loro territorio". Ugualmente trova conferma nella
risoluzione l'esigenza di un pieno rispetto dei principi generali di "non
refoulement" e della
tutela dei minori rifugiati, che discendono rispettivamente dalla Convenzione
europea dei diritti dell'uomo e
dalla Convenzione di Ginevra del 1951.
Affinché il rimpatrio sia effettivamente
"assistito" e non meramente coatto secondo i criteri europei occorre
dunque attivare una complessa azione di identificazione del minore, di "tracing" dei familiari e di indagine sulle
opportunità assistenziali, formative e lavorative offerte nel paese di
origine, e quindi di accoglienza e reinserimento nel medesimo, che veda il coinvolgimento di organismi
internazionali (Croce Rossa, Unicef, Unhcr, servizi sociali del paese di
origine, ONG,…). Si può realisticamente ritenere che tali compiti,
spesso peraltro obiettivamente difficili da realizzare per le condizioni di
povertà ed isolamento dei luoghi di origine dei minori, possano essere
svolti soltanto dai servizi sociali degli enti locali cui i minori sono
affidati o anche solo dal comitato
costituto presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, composto da nove
rappresentanti e che si avvale di un personale di segreteria e supporto molto
ristretto come quello assegnatogli dal Dipartimento affari sociali ?25 E'
vero che nel regolamento si prevede la possibilità del comitato di avvalersi della
collaborazione di esperti e di idonei organismi nazionali ed internazionali
anche mediante la stipula di apposite convenzioni (art. 2.2 f) e che una convenzione di tale genere, ancor prima dell'entrata in
vigore del regolamento, è stata già stipulata nell'aprile '99 tra
il Dipartimento affari sociali della Presidenza del Consiglio dei Ministri ed
il Servizio Sociale internazionale -Sezione Italiana, in accordo con il
Ministero del Lavoro e degli Affari sociali albanese, "in supporto alle
iniziative connesse al rimpatrio assistito dei minori albanesi non accompagnati
presenti irregolarmente in Italia". Resta, tuttavia, ancora da verificare la possibilità di
estendere tale approccio ad altri paesi di provenienza dei minori, così
come la stessa effettività delle misure intraprese in base alla
convenzione sui minori albanesi, rispetto agli ambizioni obiettivi prefissi,
che comprendono tra l'altro "la presa in consegna del minore all'arrivo
e il riaccompagnamento in famiglia o altra struttura e l'inserimento del minore
in Albania in corsi professionali o apprendistato al lavoro sostenuto da una
borsa lavoro",
soprattutto alla luce della debolezza delle strutture educative e formative
statuali in Albania e delle precarietà delle condizioni sociali e
lavorative ivi esistenti.26
Nel regolamento viene previsto il coinvolgimento del
minore nel procedimento che dovrebbe condurre il comitato ad assumere la
decisione sull'eventuale "rimpatrio assistito", prevedendo che esso
"sia previamente sentito,
anche dagli enti interessati all'accoglienza".27 E' facile supporre, tuttavia, che
nella maggior parte dei casi la decisione del rimpatrio assistito venga ad
essere attuata dai pubblici poteri contro la volontà del minore e senza
la sua collaborazione e, dunque con un accompagnamento di tipo coercitivo. In
tal modo, il rimpatrio acquisisce la natura di un provvedimento limitativo
della libertà personale del minore, sollevando ulteriori profili di
illegittimità costituzionale per violazione dell'art. 13 Cost., nel caso
in cui, come sembrerebbe, venisse adottato da un organo amministrativo, quale
il Comitato per i minori stranieri, e non dall'autorità giudiziaria.28
e) Avendo in considerazione la complessità e la
mole di lavoro e di contatti richiesti per accertare le condizioni per un
eventuale "rimpatrio assistito", è presumibile che la
permanenza del minore in Italia si
prolunghi per periodi di tempo anche lunghi, così come l'obiettiva
impossibilità in molti casi di reperire sufficienti ed attendibili
informazioni sulle
possibilità di accoglienza, assistenza e reinserimento nel paese di origine (si pensi a minori
provenienti da paesi lontani, geograficamente e culturalmente, come il
Bangladesh, lo Sri Lanka,..) possono realisticamente rendere più
praticabile e confacente al superiore interesse del minore la soluzione della
sua integrazione, in attesa del raggiungimento della maggiore età,
piuttosto che quella del rimpatrio. Diviene dunque decisiva la questione dei
diritti e delle facoltà esercitabili dal minore sottoposto a tutela, al
fine di evitare situazioni di mero "parcheggio" nelle strutture di
accoglienza, fonte eventuale di ulteriore isolamento ed emarginazione.29
Ugualmente, vanno definite le caratteristiche connesse al permesso di soggiorno
del minore sottoposto a tutela. Se il Testo unico ha sciolto ogni dubbio in
merito all'accesso all'assistenza sanitaria (includendo il permesso di
soggiorno per affidamento tra quelli che consentono l'iscrizione obbligatoria al SSN in condizione di
parità con il cittadino italiano: art. 34) e all'istruzione, margini di
ambiguità permangono per quanto concerne l'accesso all'attività
lavorativa degli ultraquattordicenni. L'esclusione da tale facoltà di
coloro che godano di un affidamento temporaneo alle strutture di accoglienza
dell'ente locale o del volontariato
non potrebbe ritenersi legittima per l'evidente ed ingiustificata
disparità di trattamento che si creerebbe rispetto a quelli affidati ad
un adulto straniero in possesso di permesso o di carta di soggiorno, per i
quali l'art. 31 c. 2 prevede il rilascio del permesso di soggiorno per motivi
familiari, valido dunque anche per l'esercizio dell'attività lavorativa
in base al principio di multifunzionalità. Per tale ragione, appare
certamente illegittimo, perché contrastante con la norma primaria che
dovrebbe attuare, il regolamento delle attività del Comitato che non
contempla alcuna disposizione per
l'accesso all'attività lavorativa dei minori stranieri non accompagnati
accolti, citando soltanto i diritti relativi al "soggiorno temporaneo,
alle cure sanitarie, all'avviamento scolastico e alle altre provvidenze
disposte dalla legislazione vigente" (art. 6.1), mentre la durata del permesso di soggiorno del
minore viene ridotta a novanta
giorni, estensibili fino ad un massimo di 150 giorni su decisione del comitato (art. 9) . La
mancata previsione di ulteriori possibilità di proroga rende di
difficile interpretazione il significato di detto articolo, che potrebbe certo
adattarsi alle esigenze di minori
arrivati in Italia per soggiorni temporanei nell'ambito di iniziative di
solidarietà promosse da enti locali ed associazioni di volontariato, ma
non certo a quelle dei minori non
accompagnati giunti in Italia irregolarmente, per i quali la permanenza potrebbe rendersi
necessaria per più lunghi periodi di tempo, per le difficoltà ad
organizzare un rimpatrio "assistito" ovvero perché
l'integrazione in Italia potrebbe comunque risultare la soluzione più conforme agli interessi
superiori del minore medesimo.
Da
questa disamina appare chiaramente l'orientamento del governo italiano di
privilegiare la soluzione del rimpatrio assistito rispetto a quella
dell'integrazione. Tale orientamento viene giustificato
con l'obiettivo proclamato di contrastare l'immigrazione irregolare e le
organizzazioni che la sfruttano, di salvaguardare il principio della
programmazione dei flussi di ingresso e di rispettare il criterio preferenziale
accordato alla riunificazione familiare dagli strumenti normativi
internazionali di tutela dei minori.30 Non è priva di fondamento
l'obiezione sollevata dagli organismi umanitari e di volontariato, secondo
cui tale politica potrebbe
determinare effetti esattamente opposti. I minori, percependo la concreta
eventualità del rimpatrio, e spaventati da essa, potrebbero non avere interesse a emergere dalla
clandestinità e a sottrarsi alle condizioni di sfruttamento cui spesso
sono soggetti (accattonaggio, lavoro minorile, prostituzione, situazioni che
posso determinare in molti casi la fattispecie della vera e propria "riduzione
in schiavitù"), così come anche il rapporto con i servizi
sociali e le comunità di accoglienza verrebbe falsato e reso
problematico dall'obbligo di cooperazione di queste ultime con il comitato e le
autorità di polizia ai fini dell'eventuale assunzione della decisione
del rimpatrio.31
Anche sul piano del merito, dunque, è lecito
sollevare dubbi sull'effettiva capacità di una politica di rimpatrio dei
minori non accompagnati a corrispondere tanto agli interessi superiori dei
medesimi, quanto alle esigenze di sicurezza della collettività
nazionale.
Interventi di G. De
Marco (Tribunale per i minorenni di Torino), G. Calcagno (Procura della
Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Torino) e A. Tetto (Questura
di Torino)
al seminario
“Minori stranieri irregolari: quale tutela?”
Torino, 15 ottobre
1999*
G. De Marco: Inizio dall’osservazione di Pastore che i minori
passano da un ufficio all’altro. Questo è vero, e deriva dalla
scarsa chiarezza, e dalla mancanza di una definizione esaustiva del concetto di
minore non accompagnato. Prima abbiamo ritenuto che il minore non accompagnato
potesse essere, come diceva la Risoluzione dell’UE, solo quello che non
aveva genitori o tutori; poi ci è sembrato che minore non accompagnato fosse anche quello che aveva dei parenti entro il quarto grado in
Italia; poi c’è stata un’ulteriore specificazione per cui
anche se ha parenti in Italia è comunque un minore non accompagnato ...
Questa incertezza, che si è trasfusa nel
Tribunale, ha portato per lungo tempo alla paralisi giudiziaria nel senso che
non volevamo creare delle ingiustizie accogliendo certe istanze o respingendone
altre. Abbiamo tenuto queste istanze ferme per molto tempo, poi di fronte alla
processione che abbiamo avuto quest’estate di persone che volevano andare
in vacanza nei loro paesi d’origine e non sapevano se sarebbero potuti
tornare legittimamente, abbiamo deciso di iniziare a dare la risposta che a noi
sembra, allo stato della legge, quella più coerente. E quale è
stata questa risposta?
Noi abbiamo delle domande di affidamento proposte da
parenti entro il quarto grado, regolari, che convivono con minorenni
clandestini ... e sono centinaia; poi abbiamo una serie di minori segnalati
dalle scuole o dalla dott.ssa Marzin, dei quali si dice che vivono con parenti.
Nel primo caso il fascicolo è stato legittimamente aperto sulla domanda
di affidamento del parente: in base alla legge il parente entro il quarto grado
può chiedere al Tribunale per i minorenni provvedimenti a tutela di un
minore. Nel secondo caso, è il Pubblico Ministero che ha assunto
l’iniziativa per l’apertura di un procedimento, in cui ha detto al
Tribunale: “Verifica come sta questo minore, e poi mandami gli atti per
il parere”. In entrambi i casi, sia quando l’istanza è
partita dai parenti, sia quando l’iniziativa è partita dal PM, noi
abbiamo chiesto informazioni alla dott.ssa Marzin per tutti i minorenni i cui
parenti vivevano a Torino, a tutti i servizi del Piemonte per i minorenni che
vivevano nel resto del Piemonte.
Facendo un’interpretazione analogica-estensiva
della legge, abbiamo chiesto ai servizi di verificare che i parenti avessero
gli stessi requisiti che devono avere i genitori per il ricongiungimento
familiare perché si arrivava all’assurdo che il padre e la madre
non poteva richiamare il figlio a Torino per ricongiungimento se non aveva un
reddito di almeno £ 870.000, una casa che avesse dall’Ufficio del
Comune l’abitabilità, e che non garantisse un minimo di qualità
nelle funzioni genitoriali, e i parenti avrebbero potuto ottenere
l’affidamento di minori entrati clandestinamente, per il sol fatto di
presentare la domanda in Tribunale. Estendendo l’interpretazione della
legge abbiamo chiesto di verificare se i parenti avevano questi tre requisiti.
Accertato che i requisiti c’erano, acquisita la prova documentale che i
genitori erano d’accordo, cioè le dichiarazioni davanti ai notai
“Io voglio che mio figlio viva con mio fratello ... ”, abbiamo
ritenuto che il minore non versasse in una situazione di pregiudizio e che
quindi non dovessimo come Magistrati limitare la potestà genitoriale con
provvedimenti autoritativi.
La legge prevede che nella parentela allargata, entro
il quarto grado, posso lasciare mio figlio quanto tempo voglio, non
c’è obbligo di segnalare all’Autorità Giudiziaria,
né l’Autorità Giudiziaria ha diritto di interferire quando
il bambino sta bene. Questa è la ragione per cui, su parere conforme del
PM, abbiamo respinto le istanze di affidamento proposte dai parenti e abbiamo
dichiarato non luogo a provvedere in relazione ai procedimenti iniziati su
iniziativa del PM, quando le informazioni sono risultate positive.
Ci è stato riferito che è stata data una
diversa interpretazione ai fini del permesso di soggiorno, fra le pronunce di
non luogo a provvedere e le pronunce di rigetto della domanda di affidamento.
Il Tribunale ha telefonato immediatamente in Questura, e abbiamo chiarito che
il significato era lo stesso e dipendeva solo dal soggetto che aveva assunto
l'iniziativa. Però, anche se il Tribunale insieme alla Procura e al
Giudice Tutelare è una delle istituzioni che non ha ritenuto di
riconfermare l’Intesa, un po’ per dei fatti oggettivi e un
po’ perché c’era la legge 40 ... non avete idea di quante ore
io e Graziana passiamo su questo problema degli stranieri, quanti problemi ci
poniamo, come esaminiamo (come diceva il dott. Valeri) le situazioni caso per
caso. Se minimamente ci si dice che in quella famiglia non sta bene, è
difficile che lo rimpatriamo di punto in bianco; normalmente diciamo “Lo
mettiamo in comunità, intanto il Servizio Sociale Internazionale e il
servizio di zona valuteranno se c’è l’attuabilità
concreta di un rimpatrio assistito". E la dott.ssa Marzin, che paga per
tutti i provvedimenti che facciamo, vi potrà dire quanto costa.
Abbiamo disposto dei rimpatri assistiti, ma vorrei che
leggeste per quali casi li abbiamo disposti. Eccezion fatta per i 22 albanesi
che erano arrivati in un gruppo solo, che avevano occupato l’ospedale di
Collegno, e ci avevano dato il segno di quali potevano essere le conseguenze di
questa giurisprudenza di Torino (ti danno l’idea che possano arrivare
altri 22 il giorno dopo ecc., e non credo che noi come Autorità
Giudiziaria, come giurisdizione, come potere dello stato ma non potere
amministrativo, possiamo decidere
la politica dei flussi migratori annullando quello che una legge dice e quello
che il governo ha deciso), tutti i nostri provvedimenti sono emessi nei
confronti di ragazzi che hanno una recidiva specifica nello spaccio di
stupefacenti, quelli che alla Parini e alla Braccini non ci mettono mai piede,
che non sono venuti qui né per lavorare né per integrarsi, che
sono sfruttati, drogati, venduti e che devono tornare nel loro paese perché
qui non c’è possibilità di aiutarli perché tutte le
prove fatte (l’inserimento in comunità, l’affidamento al
servizio sociale ministeriale, i tentativi della dott.ssa Marzin di metterli da
padre Albano, ecc.) non hanno avuto risultato perché sono scappati.
Allora, questi sono i rimpatri che facciamo, perché la situazione di
pregiudizio in cui vivono risulta dai loro precedenti penali che abbiamo negli
atti. Certo, forse dovremmo aiutare più questi che quelli che vanno alla
Parini, umanamente. Però gli strumenti che abbiamo, nel momento in cui
li rimpatriamo li abbiamo provati tutti: gli strumenti giudiziari, gli
strumenti sociali ... e allora?
Abbiamo parlato con il sottosegretario del Marocco.
Molto gentilmente, con gran disponibilità, di fronte alla nostra
volontà di volere conoscere più a fondo questo paese, di andare a
parlare con i referenti del posto, ci hanno invitato. E’ probabile che,
se il CSM e il Ministero della Giustizia ci autorizzeranno andremo, ma non ho
avuto la sensazione che questi ragazzi quando arrivano là li buttino
proprio nel fiume. Certo trovano delle realtà diverse, ma ha ragione il
dott. Valeri, non è che noi possiamo riparare a tutto né dobbiamo
avere la presunzione di riparare a tutto ...
Il Tribunale non ha intenzione di fare una politica giudiziaria
di respingimento o di espulsione: con il dott. Longo ieri abbiamo parlato di
come possiamo tenere una famiglia di otto persone, con quello che costeranno,
perché i bambini li manderemo tutti in comunità, solo prendendo
lo spunto dal fatto che uno di questi bambini non sta tanto bene. Teniamo
bambini in Italia magari solo perché sono stati ustionati, teniamo una
famiglia perché il Regina Margherita ci segnala che i bambini hanno
bisogno di qualche cura, teniamo ragazzine e le loro famiglie perché
devono subire un intervento per corregger lo strabismo ... teniamo bambini e
famiglie tutte le volte che la legge ce lo consente ... L’art.29 lo
interpretiamo nella maniera più estensiva possibile .. teniamo le
ragazze ultradiciottenni, quelle di cui non so chi diceva che ci sarebbe
pericolo se tornassero in Albania, le teniamo arrampicandoci sugli specchi,
chiediamo il permesso di soggiorno
in base all’art.30.
Leggendo in questo documento che“si sono
incrinati i rapporti con la Magistratura minorile” dico che forse si sono
incrinati perché prima facevamo un ruolo di supplenza che non ci
spettava. Allora la legge non c’era, questi bambini non avevano nulla
… ma sostituirci al governo, sostituirci alle decisioni che i
rappresentanti di questo paese che noi abbiamo eletto assumono, io francamente
non me la sento … anche se forse il potere lo abbiamo. Ma d’altro
canto questo potere ancora ce lo riconoscono, perché il rimpatrio
assistito non lo potranno disporre se il giudice minorile non darà il
nulla-osta come organo che ha il compito istituzionale della tutela del minore.
Ultima cosa: in una telefonata con il dott. Longo
l’altro giorno ci siamo detti: arriviamo all’assurdità che
il minore non accompagnato magari viene rimpatriato dopo aver avuto un permesso
temporaneo, mentre il minore che vive con parenti entro il quarto grado
continua a vivere in questa situazione di limbo. Allora, abbiamo proprio oggi
concordato una lettera in cui diciamo se non è possibile proporre al
Comitato un’interpretazione estensiva del concetto di minore affidato. In
base alla l.184 entro il quarto grado non c’è bisogno di
affidamento formale; l’art.30 e gli altri artt che richiamano la l.184
citano l’art.2 e l’art.4 che riguardano l’affidamento
consensuale e l’affidamento del Tribunale per i minorenni. Nel
consensuale non potrebbero entrarci anche i minori affidati a parenti entro il
quarto grado col consenso dei genitori?
Essendo magistrati cerchiamo sempre di rimanere
nell’ambito della legge, di trovare quegli spazi che il legislatore o
perché non ha voluto dire, o perché si è dimenticato di
dire, o perché in fondo non aveva le idee chiare ci lascia per sanare
delle situazioni … perché un ragazzino che vive qui con lo zio,
col cugino, con la sorella, che è mantenuto da loro, che tiene una
condotta di vita normalissima, secondo me potrebbe avere diritto di avere al
permesso di soggiorno. Anche perché se passa questo regolamento di
attuazione, col permesso di soggiorno
per minore età ... mi sembra più ampio “per minore
età” che il caso del minore affidato di fatto a parente entro il
quarto grado. Anche perché poi c’è il divieto di espulsione
…
[...]
G. Calcagno: Io condivido naturalmente tutto quello che ha detto
Giulia. Ha anche chiarito quanto tempo passiamo e passeremo su questi problemi
per cercare delle soluzioni. Quello che non è ben chiaro, e che qualcuno
non vuole accettare, è che la giurisdizione ha dei compiti che non sono
quelli dell’amministrazione: non si può chiedere ad un Tribunale
di fare delle cose che non entrano nella sua competenza, le nostre competenze
sono stabilite per legge, noi giuriamo
fedeltà alla Costituzione, alla Repubblica, alle leggi dello
Stato, comprese quelle che non ci piacciono … allora se continuiamo a
girare sul fatto che ci sono delle leggi non chiare è semplicemente
perché ci sono delle leggi che non ci piacciono, non perché non
sono chiare, e allora si vogliono trovare a tutti i costi delle soluzioni, ma
non potete chiedere alla Magistratura le soluzioni che sono contro la legge.
Allora parto dall’ultimo punto: abbiamo chiesto
anche al Consolato del Marocco che ci dicesse ufficialmente che cosa sono per
la legge marocchina questi consensi dei genitori al fatto che il figlio vada
coi parenti … perché se per la legge marocchina questo consenso
avesse avuto valore legale, noi Tribunale avremmo potuto riconoscere valore
legale. Ma la risposta è stata no: nemmeno per la legge marocchina
questi affidamenti sono affidamenti formali, dovrebbero essere fatti davanti
all’autorità giudiziaria.
Volevo spiegare, perché non tutti sono
giuristi, la ragione di questa che sembra un’enorme incongruenza del
Tribunale che non fa affidamenti ai parenti entro il quarto grado:
perché la giurisdizione minorile ha per scopo la tutela dei minorenni nei
confronti delle condotte pregiudizievoli dei genitori, è l’organo
che ha il potere di limitare, escludere la potestà genitoriale. Poi ha
potere di intervento a tutela dei minorenni, ma essenzialmente ha la funzione
di controllo dell’esercizio della potestà. A voi parrà
paradossale perchè volete usare il Tribunale a fini amministrativi per
ottenere il permesso di soggiorno, ma la verità è che se avessimo
riscontrato situazioni di sofferenza dei ragazzini affidati a parenti entro il
quarto grado li avremmo allontanati, li avremmo affidati al Comune, ecc.,
avrebbero avuto un affidamento secondo la legge italiana, e avrebbero potuto
avere il permesso di soggiorno. Ma non si può fare la stessa cosa quando
i genitori hanno correttamente esercitato la potestà perché hanno
affidato il loro piccolino a dei parenti adeguati. Perché il Tribunale
deve richiamare le norme di legge: visto l’art.330 o 333 che parla di
condotta pregiudizievole del genitore verso il figlio, se il Tribunale
riscontra una condotta pregiudizievole lo toglie quel bambino, non può
richiamare un concetto del genere per lasciare quel bambino dove correttamente
gli esercenti la potestà lo hanno messo. Questo da un punto di vista
tecnico: penso che non solo noi, ma nessun magistrato si presterebbe a stravolgere
le finalità della giurisdizione per consentire a questi ragazzini di
avere il permesso di soggiorno. Ci danno lo stipendio per un’altra
funzione, questo dev’essere ben chiaro. Anche se tutti gli sforzi sono
sempre stati fatti per proteggere questi bambini finchè possiamo
proteggerli.
Però vorrei che non fosse dimenticata una cosa,
perché mi dispiace quando sento dire "un tempo abbiamo lavorato
bene insieme, adesso non lavoriamo più bene insieme, per colpa dei
magistrati". Si è dimenticato che l’Intesa aveva lo scopo di
tutelare il minore irregolare durante la sua permanenza in Italia: durante, non era finalizzato a concedere un permesso
di soggiorno che potesse
permettergli di rimanere da grande in Italia, tant’è che si diceva
esplicitamente che rimanevano indipendenti i poteri della giurisdizione e i
poteri amministrativi in caso di espulsione dei genitori o del genitore con cui
il minore viveva, il Tribunale si impegnava a revocare il provvedimento in base
al quale era stato concesso il permesso di soggiorno, per consentire al
ragazzino di seguire i genitori, e all’autorità amministrativa di
svolgere i suoi compiti tra cui quello dell’espulsione. Se poi le cose
sono andate oltre, e non è la prima volta che esprimo questi concetti,
…
Noi italiani, che abbiamo una Costituzione che
riconosce dei diritti fondamentali a tutti i bambini, e abbiamo delle
Convenzioni internazionali che noi abbiamo collaborato a redigere, non possiamo tollerare che
esistano qui a Torino dei bambini che non vanno a scuola, che non sono curati,
ecc. solo perché qualche adulto ha deciso di portarli irregolarmente:
finchè stanno qua noi li tuteliamo, e il permesso di soggiorno era l’unica strada per ottenere
l’assistenza sanitaria, l’iscrizione a scuola, ecc. Era questo il
punto, perché se avessimo inventato un altro inghippo non avremmo
percorso quella strada: era l’unica possibilità. Ma: assistenza e
tutela temporanea,
finchè sta qua. Poi per questa strada qualcuno è rimasto, ma
benissimo, non è che noi fossimo contrari, ma il punto di partenza che
legittimava l’Intesa era questo.
Poi è arrivata la legge e noi non è che
non ci sono più intesi, ma siamo tutti in grado di dire a quali
condizioni la legge permette la regolarizzazione, e ce lo siamo ripetuti tante
volte: che siano in tutela, e non è poco se sono state fatte credo
almeno 80 tutele cosiddette civili e quindi altrettanti ragazzi hanno ottenuto
il permesso di soggiorno. Lo abbiamo anche detto, certo sono stati posti dei
criteri perché la proposta di tutela fosse considerata adeguata, ma perché
il compito nostro e di tutti
quanti è di tutelare il bambino davvero, non di fare degli atti formali.
Abbiamo parlato sì di affidamento,
l’abbiamo anche scritto, peccato che debba trattarsi di un affidamento
non a parente entro il quarto grado. Salvo che si dia quella interpretazione
che ora ricordava la dott.ssa De Marco, ma che chiaramente è
un’interpretazione estensiva della legge sul ricongiungimento familiare,
che però ha una sua logica: posto che la legge italiana sull’adozione
e l’affidamento riconosce la famiglia allargata, cioè entro il
quarto grado; posto che nella l.40 c’è un altro spunto che
riconosce la famiglia allargata: la norma che dice che non si possono espellere
gli adulti che vivono con un parente entro il quarto grado. Allora la richiesta
è: riconoscete in conformità alla legge sull’affidamento e
l’adozione il concetto di famiglia allargata, perché in effetti
quelli che rimangono in condizione più confusa sono proprio questi, che
sono quelli che dal punto di vista dell’immigrazione, di tutti i problemi
che possono sorgere, ecc. sono invece i più tranquilli, perché
vivono in famiglia, il Tribunale o i servizi verificano che siano accuditi,
c’è chi provvede a loro, non dovrebbero dare problemi, o se daranno
dei problemi saranno gli stessi che ci danno i ragazzi italiani.
Aggiungo che mentre c’è il timore di
concedere un permesso di soggiorno
per minore età perché avrebbe l’effetto di far
saltare tutti i contingentamenti, perché potrebbero arrivare tutti i
ragazzi di 17 anni e mezzo, invece rispetto a questa situazione la limitazione
è automatica, nasce dalla capacità delle famiglie di immigrati di
assorbire i loro parenti: se hanno già quattro figli, magari ne
accoglieranno un altro, un nipote, ma non accoglieranno quattro nipoti. Quindi
c’è un’autolimitazione di questo fenomeno, che quindi non
dovrebbe allarmare.
Il discorso della chiarezza: la mia impressione
è che non si sia voluto essere chiari con i ragazzi, perché come
ho detto c’è qualcosa in questa legge che non viene accettato.
Allora si sarebbe voluto, e queste cose sono state dette apertamente, non me le
sto inventando, si sarebbe voluto poter accogliere tutti, dare il permesso di
soggiorno a tutti, alle centinaia
e centinaia di ragazzi che sono arrivati. Questo la legge non permetteva,
allora chi non era d’accordo
con questi limiti posti dalla legge non si è sentito di dire al ragazzo
“Guarda che tu dovrai tornare a casa tua anche se adesso stai facendo la
scuola”.
La mancanza di chiarezza non è tutta della
legge, la mancanza di chiarezza è anche nostra, vostra, degli operatori
o di non so chi, perché quando una cosa non ci piace allora non la
diciamo ... allora "aspettiamo il Tribunale, può darsi che il
Tribunale accolga, è il Tribunale che non vuole". Ma queste cose ce
le siamo dette nella primavera dell’anno scorso, subito dopo la
pubblicazione della l.40, se loro ricordano io ho detto “Impugno
l’Intesa come Procuratore perché non ha più senso". Io
sono pronta a fare qualsiasi Intesa operativa che possa essere utile a dire
“facciamo così, facciamo cosà”, ma le linee sono
segnate dalla legge, non c’è bisogno di inventare grandi cose.
Se poi hanno ritenuto che invece questa
disponibilità da parte nostra non ci fosse, pazienza …
[...]
Un’altra cosa è questa: il Tribunale può
provvedere nell’interesse del minore o se ravvisa una situazione di
pregiudizio per il minore. L’unica motivazione che può reggere un
provvedimento di rimpatrio non è tanto secondo me l’accordo
italo-albanese, perché è un accordo a livello governativo, amministrativo:
il Tribunale interviene nell’interesse del minore.
Allora perché rimpatriare bambini piccoli o
ragazzi “cattivissimi”? Perché i piccoli se non hanno
famiglia sono chiaramente in una situazione di pregiudizio, perchè
piangono che vorrebbero tornare da papà a mamma; e quelli cattivissimi,
perché quando escono dal carcere sono chiaramente in Italia in una
situazione di pregiudizio. Ma gli adolescenti di 15-16-17 anni, gli albanesi
proprio, che vanno a scuola, che sono assistiti, che vivono tranquilli …
è difficile costruire una motivazione per ordinare il rimpatrio in base
ad una legislazione, quella che riguarda il funzionamento della giurisdizione
minorile, che non si preoccupava di queste cose.
Devo dire che noi avevamo fatto delle scelte, anche
contestate, ma avevamo una nostra linea … è intervenuto il decreto
legislativo dell’aprile 99 che indicava la competenza del Comitato
…. A quel punto ci siamo dette: è vero che non è ancora
attuativo, perché manca il regolamento, ma nel momento in cui il
Parlamento sottrae o meglio indica un organo specifico, il Comitato, cui
attribuisce i provvedimenti di rimpatrio, non può più farli il
Tribunale se non nelle situazioni di pregiudizio.
G. De Marco: Comunque la dott.ssa Marzin dirà, sono venuti
fuori tantissimi parenti che prima non c’erano, quando si è
profilata l’idea che il Tribunale avrebbe potuto sanare la loro presenza
in Italia se avessero avuto un parente.
A. Tetto: Come diceva prima la dott.ssa De Marco, il dott. Longo ha avuto nei
giorni scorso un contatto con la dottoressa, proprio per queste nuove procedure
adottate dal Tribunale dei minori. E di fatto anche noi all’inizio ci
siamo trovati, nelle more dell’attuazione di queste nuove procedure, ad
avere un momento di smarrimento. Io personalmente mi sto occupando di questi
casi, in modo da poter adottare la soluzione migliore, che può anche
essere quella, ne stiamo discutendo ora con il dott. Longo, per adottare una
linea comune e riguardare casi in cui avevamo preso una soluzione in
difformità con casi analoghi, e stiamo vedendo anche eventualmente di
dare il permesso di soggiorno, quando come avete accertato ci sono gli estremi.
Naturalmente la Questura tende a chiarire che la
disponibilità a tutelare il minore è certamente grande, ma la
Questura non è la fabbrica del permesso di soggiorno, che è
l’atteggiamento con cui noi veniamo in contatto allo sportello quando
trattiamo di minori stranieri. Perché in effetti loro devono anche
acquisire l’approccio corretto con i nostri operatori nel momento in cui
devono attivarsi, per il tramite delle persone cui sono affidate, anche
producendo dei documenti, per creare un rapporto di trasparenza da parte loro e
di conoscibilità da parte nostra della loro situazione: essere affidati
ad una famiglia significa anche farci conoscere dove abitano, con chi vivono,
che trasformazioni ci sono nella loro permanenza in Italia.
Volevo fare una piccola distinzione che per noi
è rilevante: naturalmente per i minori piccolissimi, i problemi sono
minori perché c’è una situazione di tempo maggiore per
creare degli interventi, chiedere verifiche e accertamenti; per dei quasi
adulti, ragazzi che arrivano in Italia a 17 anni e mezzo, 17 anni e 11 mesi
come è capitato, anche da parte nostra diventa difficile e imbarazzante
rilasciare un permesso di soggiorno
che è solo un lascia-passare per una vita di regolarità.
Il caso che riferiva la dott.ssa De Marco dei 22
albanesi che sono stati rimpatriati, mi sono confrontata io direttamente
perché ero andata io a fare quel controllo: questi ragazzi avevano tutti
uno stesso canale che li aveva portati in Italia per seguire quel tipo di
progetto di inserimento. Quindi per evitare anche delle strumentalizzazioni di
progetti anche molto validi, che hanno funzionato, io penso che i provvedimenti
di rimpatrio sia stato anche nella tutela degli stessi minori.
Un altro punto che va sottolineato è la
riluttanza che molti percepiscono, e io non condivido, di questi minori ad
essere rimpatriati: non è così, perchè molti minori
esprimono proprio il desiderio di ricongiungersi con le proprie famiglie che
per ragioni anche molto gravi e serie hanno acconsentito a farli venire in
Italia, ma sentono il desiderio e la nostalgia di ricongiungersi con la famiglia
di appartenenza.
C’è poi un altro aspetto, che attiene
alla doppia natura del nostro lavoro, che non è solo di tipo
amministrativo, ma è anche un’attività di controllo: nel
momento in cui anche viene concesso il permesso di soggiorno, e dovesse essere
concesso nella prospettiva rappresentata dal Tribunale dei minori ai minori
affidati a parenti entro il quarto grado, comunque noi abbiamo delle
possibilità di controllo e di verifica, perché noi veniamo a
conoscenza giorno per giorno incidentalmente, per es. in caso di controlli ad
un certo indirizzo, in cui viene rintracciato in modo casuale un minore in
stato di abbandono, perché il parente è da 4 mesi in Marocco,
è andato via non si sa dove … e allora scatta l’obbligo per
noi di comunicarlo, sebbene originariamente ci fosse un adulto di riferimento,
e penso anche nella tutela del minore.
Quindi dal mio punto di vista la visibilità e
conoscenza del minore anche ai fini del rilascio del permesso di soggiorno è auspicabile, ma una politica
generalizzata rischia di incrementare queste persone, anche parenti entro il
quarto grado (a volte, non dico sempre, assolutamente), che vogliano sfruttare
il minore che diventa una fonte di reddito anche solo vendendo spugnette per
non parlare poi dei “cattivissimi” che citava la dott.ssa Calcagno.
Quindi da parte nostra resta comunque aperta una possibilità, non
vogliamo essere restrittivi al massimo perché sicuramente non gioverebbe
nemmeno alla tutela dei minori; ma nemmeno creare un discorso di allargamento
totale che non ci consenta nemmeno una verifica o comunque un controllo delle
obiettive situazioni di vita che sono soprattutto nell’interesse del
minore.
Sintesi degli
interventi al seminario
“Minori
stranieri non accompagnati e irregolari, tra accoglienza e rimpatrio”
Torino, 4 luglio 2000 *
1) La definizione di minori stranieri non accompagnati comprende non solo i minori completamente soli, ma anche quelli affidati di fatto a parenti entro il quarto grado (zii, cugini, fratelli…) che non siano tutori o affidatari in base a un provvedimento formale.
2) Il Comitato per i minori stranieri, non avendo
articolazione territoriale, si avvale delle Prefetture come mezzo di
trasmissione delle proprie comunicazioni e punto di raccolta delle
segnalazioni.
3) La segnalazione del minore non accompagnato al Comitato può essere o finalizzata solo al censimento (ex art. 5 del regolamento del Comitato) o anche per chiedere il rimpatrio assistito del minore.
I minori non accompagnati vanno sempre segnalati ai
fini del censimento.
La richiesta di rimpatrio assistito, invece,
andrà fatta solo nei casi in cui si ritenga che il rimpatrio corrisponda
al superiore interesse del minore.
La segnalazione deve essere fatta utilizzando
l’apposita scheda e inviandola alla Prefettura, che provvederà
all’invio al Comitato per i minori stranieri.
Se la segnalazione è finalizzata solo al censimento, si dovranno comunicare solo i dati sintetici richiesti dalla scheda.
Se invece la segnalazione è finalizzata anche
alla richiesta di rimpatrio assistito, si dovranno comunicare tutte le
informazioni in possesso (situazione psicologica, percorsi formativi o
lavorativi seguiti dal minore o che gli sono stati proposti ecc.).
4) L’unico organo competente a disporre il
rimpatrio assistito è il Comitato per i minori stranieri; non sono
competenti, invece, né i Tribunali per i minorenni né i Giudici
Tutelari.
5) Il minore in generale ha diritto a restare in Italia, dato che la legge stabilisce che è inespellibile.
Il minore viene rimpatriato solo se le persone che
sono in contatto con il minore (dunque a livello locale) ritengono che il
rimpatrio risponda al suo superiore interesse e quindi ne fanno richiesta al
Comitato: dato il generale principio di decentramento dell’assistenza,
infatti, la valutazione in primis deve essere fatta a livello locale e non a livello centrale da parte
del Comitato per i minori stranieri.
6) La decisione tra rimpatrio e accoglienza è
sempre caso per caso.
Tuttavia, il Comitato ha steso alcune linee-guida
interne:
a) minori con gravi problemi sanitari, psichiatrici,
di tossicodipendenza, di alcolismo: tendenzialmente è meglio che restino
in Italia
b) bambini al di sotto dei 14 anni: se la famiglia esiste e non è del tutto inidonea, tendenzialmente devono essere rimpatriati; se la famiglia non esiste, il Tribunale per i minorenni apre la procedura di adottabilità;
c) ragazzi al di sopra dei 14 anni: per ora la linea
è tendenzialmente che se il minore è inserito in un percorso di
integrazione (in corso o progettato) non viene rimpatriato; viene rimpatriato
quando è evidente che questo risponda al suo interesse, perchè
chiede di tornare a casa o perchè dopo proposte formative, di lavoro
ecc. si è visto che non gli interessa restare;
d) minori dell’area penale: in questi casi è molto complesso definire quale sia l’interesse del minore: se il minore resta in Italia vi è il rischio che non riesca ad “uscire dal giro” ed anzi si stabilizzi nel ruolo criminale; se viene rimpatriato vi è il rischio che il rimpatrio diventi un’espulsione mascherata e sia percepito come una punizione; il Presidente del Comitato esprime il suo disaccordo nei confronti dell’ipotesi di interpretazioni estensive del concetto di “ordine pubblico” che consentirebbe l’espulsione per motivi di ordine pubblico e sicurezza dello Stato dei minori con reati reiterati.
7) Nel caso di richiesta di rimpatrio al Comitato:
a) Il minore al di
sotto dei 12 anni non deve essere sentito.
b) Il minore al di sopra dei 12 anni deve essere sentito in merito alla sua volontà di essere o no rimpatriato e di restare o no in Italia.
La volontà del minore deve risultare da una
dichiarazione da lui sottoscritta o da un verbale da cui risulta che il minore
è stato sentito.
Non è necessario che sia sentito un tutore del minore, nei casi più delicati è bene che sia recepito il suo parere.
8) Le indagini sulla situazione del minore in Italia
vengono svolte dai servizi sociali e dalla polizia.
Le indagini sulla situazione del minore nel paese d’origine:
- per l’Albania: vengono svolte dal Servizio
Sociale Internazionale;
- per gli altri paesi: per ora la richiesta viene
rivolta all’Ambasciata o Consolato italiani; in seguito verranno
stipulate convenzioni con ONG che svolgano funzioni analoghe al SSI.
9) Il provvedimento di rimpatrio è ricorribile
al TAR.
10) In base a una comunicazione del Capo della Polizia
al Presidente del Comitato per i minori stranieri, perché il minore
possa ottenere il permesso di soggiorno per minore età la Questura deve
avere la certezza che si tratti di un minore.
Di conseguenza:
a) i bambini più piccoli hanno diritto ad
ottenere il permesso anche se non sono identificati con certezza;
b) invece i ragazzi per i quali può sussistere
il dubbio che si tratti di minorenni possono ottenere il permesso solo se
identificati con certezza.
11) Resta aperta la questione del permesso di
soggiorno per i minori affidati di fatto a parenti entro il quarto grado,
perchè il Testo Unico 286/98 non prevede esplicitamente che possano
ottenere il permesso di soggiorno per motivi familiari (tale possibilità
è prevista solo per i minori affidati con provvedimento formale ex art.
4 l. 184/83). Più in generale resta aperta la questione se debbano
essere assunti provvedimenti di affidamento o tutela nei confronti di questi
minori.
a) Il Presidente del Comitato per i minori stranieri
sostiene che:
- i minori conviventi con parenti entro il quarto
grado non possono essere equiparati ai minori affidati con provvedimento
formale ex art. 4 l. 184/83, in quanto l’art. 9 l. 184/83 si limita a
consentire che il minore abiti presso il parente entro il quarto grado senza
che sia necessaria la segnalazione all’Autorità Giudiziaria, ma
non attribuisce al parente gli stessi poteri dell’affidatario nominato in
base a un provvedimento formale;
- è possibile per il Tribunale per i minorenni
disporre un affidamento formale ex art. 4 l. 184/83 a parenti entro il quarto
grado.
b) Il Tribunale per i minorenni di Torino sostiene
che:
- i minori conviventi con parenti entro il quarto
grado possano essere equiparati ai minori affidati con provvedimento formale ex
art. 4 l. 184/83;
- non è possibile per il Tribunale per i minorenni disporre un affidamento formale a parenti entro il quarto grado, perché l’art. 9 l. 184/83 stabilisce che non è necessaria tale formalizzazione.
c) La Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Torino sostiene che:
- non è possibile per il Tribunale per i minorenni disporre un affidamento formale ex art. 4 l. 184/83 a parenti entro il quarto grado, perché si trovano in un ambiente familiare idoneo;
- però è necessario che si apra una tutela per questi minori, e forse se il parente viene nominato tutore il minore potrebbe ottenere il permesso per motivi familiari.
d) L’ipotesi dell’affidamento consensuale (cioè disposto dai servizi locali invece che dal Tribunale, in presenza del consenso del genitore o tutore) può essere presa in considerazione, ma bisogna risolvere il problema di chi e come deve manifestare il consenso.
Il consenso potrebbe essere dato dall’ente di
assistenza che esercita le funzioni tutorie (ma c’è il problema
che l’ente che dispone l’affidamento e l’ente che dà
il consenso sarebbe lo stesso); oppure potrebbe essere dato dal genitore presso
l’Ambasciata o Consolato italiani nel paese d’origine.
e) La Questura di Torino sostiene che ai minori
affidati di fatto a parenti entro il quarto grado, senza provvedimento formale
ex art. 4 l.184/83, può essere rilasciato solo il permesso di soggiorno
per minore età.
12) Resta aperta la questione della possibilità
di convertire il permesso di soggiorno per minore età in altro titolo di
soggiorno al compimento dei 18 anni.
La Questura di Torino sostiene che attualmente questa
possibilità è esclusa.
13) I provvedimenti di affidamento e tutela nei confronti del minore straniero non accompagnato sono sicuramente di competenza del Tribunale per i minorenni, servizi locali e Giudice Tutelare e non del Comitato per i minori stranieri.
Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per gli
Affari Sociali
Comitato per i minori stranieri
(Deliberate nella riunione dell'11 gennaio
2001)
1) PREMESSA
L'articolo 33 comma 1, del D. L.vo 25 luglio 1998, n. 286, istituisce
presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri il Comitato per i minori
stranieri, col compito di "vigilare sulle modalità di soggiorno dei
minori stranieri temporaneamente ammessi sul territorio dello Stato e di
coordinare le attività delle amministrazioni interessate".
Il comma 2 del medesimo articolo, sostituito dall'articolo 5, D.L.vo 13
aprile 1999, n. 113, ribadisce che i compiti di detto Comitato debbono essere
definiti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentiti i Ministri
degli affari esteri, dell'interno e della giustizia, in conformità alle
previsioni della Convenzione sui diritti del fanciullo, stipulata a New York il
20 novembre 1989; ed aggiunge che debbono essere regolati, tra l'altro (lettera
(b), "le modalità di accoglienza dei minori stranieri non
accompagnati presenti nel territorio dello Stato … e i compiti di impulso e di raccordo
del Comitato… ai fini dell'accoglienza, del rimpatrio assistito e del
ricongiungimento del minore con la sua famiglia nel Paese d'origine o in un
Paese terzo".
Il comma 2 bis, aggiunto con la disposizione da ultimo citata, assegna
al Comitato suddetto anche il compito di adottare formalmente il provvedimento
di rimpatrio medesimo, salvo che l'autorità giudiziaria neghi il nulla osta
per inderogabili esigenze processuali.
In conformità alle richiamate disposizioni, con DPCM 9 dicembre
1999, n. 535 è stato approvato il Regolamento concernente i compiti del
Comitato.
Oltre ai predetti riferimenti normativi, è utile richiamare il
Secondo Piano Nazionale di Azione e di Interventi per la Tutela dei Diritti e
lo Sviluppo dei Soggetti in Età evolutiva 2000-2001 (D.P.R. 18 giugno
2000) nel quale è stato affrontato il problema dei minori stranieri non
accompagnati. In essa il Governo ha posto l'accento sulla necessità che
ai minori stranieri trovati in situazione irregolare nel territorio
nazionale siano assicurate tempestivamente le necessarie cure e la protezione
anche dai pericoli di sfruttamento, nonché una sistemazione adeguata in
vista dell'adozione "dei necessari provvedimenti - innanzitutto il
rimpatrio". Il Documento di Governo ha tenuto conto anche della
Risoluzione del Consiglio dell'Unione Europea del 26 giugno 1997 sui minori non
accompagnati.
Al fine di rendere esplicite le linee d'indirizzo adottate dal
Comitato, con riferimento all'attuazione dei compiti ad esso assegnati,
sembrano opportune alcune preliminari considerazioni.
2. PRECISAZIONE DEI COMPITI
2.1 Minori "ACCOLTI"
Il comma 1 dell'articolo 33, T.U. n. 286/1998 è rimasto
immutato, anche dopo gli ulteriori interventi legislativi, ed è tuttora
vigente. Il compito del Comitato, disciplinato da tale norma, consiste
essenzialmente nel "vigilare sulle modalità di soggiorno dei minori
stranieri temporaneamente ammessi sul territorio dello Stato".
L'espressione "temporaneamente ammessi" fa comprendere, senza
alcun dubbio, che la categoria di minorenni stranieri cui la norma si riferisce
è composta da soggetti che - a seguito di domanda, presentata da loro
stessi o da altri per loro conto, debitamente accolta dalle autorità
competenti - sono stati autorizzati a soggiornare temporaneamente nel
territorio dello Stato.
Nei confronti di questi soggetti non si pongono particolari problemi
giacché è ovvio che, al termine del soggiorno temporaneo
autorizzato, essi debbano far ritorno nel Paese d'origine.
2.2 Minori "NON ACCOMPAGNATI"
Il Comitato ha il compito ulteriore consistente nel doversi occupare
dei "minori stranieri non accompagnati presenti nel territorio dello
Stato", ai fini della vigilanza sull'accoglienza e del rimpatrio
assistito.
La definizione di questa categoria di minori è data dal
Regolamento (articolo 1, co. 2) nei termini seguenti: "minorenne non
avente cittadinanza italiana o di altri Stati dell'Unione Europea che, non
avendo presentato domanda d'asilo, si trova per qualsiasi causa del territorio
dello Stato privo di assistenza e rappresentanza da parte dei genitori o di
altri adulti per lui legalmente responsabili in base alle leggi vigenti
nell'ordinamento italiano".
Questa categoria differisce da quella considerata sub 2.1., per alcuni
fondamentali ragioni, fra cui le seguenti:
· il minore non è stato
"ammesso" nel territorio dello Stato, bensì vi si trova
"per qualsiasi causa"; si tratta dunque, normalmente, di clandestini
(salvo che si tratti di soggetti che abbiano presentato domanda di asilo);
· il minore è "solo",
cioè non può giovarsi, nel nostro Paese, della presenza dei
genitori o di altri adulti "legalmente responsabili", che possano e
debbano rappresentarlo e prendersi cura di lui: in caso contrario, la sua
permanenza - ed anche la fine della permanenza - sul territorio nazionale
sarebbe soggetta agli accidenti ed alle modalità previsti dalla legge
per gli adulti (l'espulsione di un adulto entrato clandestinamente con un
figlio minorenne si riferisce anche a quest'ultimo).
Di fronte al caso di minorenne "solitario" entrato
clandestinamente nel territorio dello Stato (tecnicamente connotato
dall'espressione "minore presente non accompagnato"), la legge non
prevede che ci si debba necessariamente occupare di lui a tempo indeterminato
né, d'altra parte, che lo si debba trattare come ogni altro clandestino,
e quindi allontanarlo dal territorio nazionale nei modi previsti per tutti
coloro che vi fanno ingresso senza autorizzazione.
Occorre invece adottare un trattamento differenziato, applicabile
soltanto ai minorenni che versano in questa condizione. Tale trattamento
consiste nel "rimpatrio assistito" previsto dall'art. 33 comma 2bis
del T.U. 286/98. L'applicazione di questo istituto è di competenza
esclusiva del CMS, il quale pertanto formula queste linee di indirizzo allo
scopo di chiarire in quale modo intende esercitare tale suo compito.
3. TRATTAMENTO DEI MINORI PRESENTI NON ACCOMPAGNATI
L'affermazione fondamentale da cui muove il legislatore, alla quale
dunque il Comitato deve attenersi, è che il minore non è
passibile di espulsione (salvo che debba seguire il genitore o l'affidatario
espulsi e salvo che la sua presenza ponga obiettivamente in pericolo l'ordine
pubblico o la sicurezza dello Stato).
L'impossibilità dell'espulsione non significa, tuttavia, che il
minorenne solitario, entrato clandestinamente, debba necessariamente permanere
sul territorio nazionale: come si è detto, è previsto infatti il
rimpatrio assistito.
Sarà sempre disposto il rimpatrio del minore su richiesta del
genitore o del tutore.
Analogamente sarà disposto il rimpatrio se si accerta che i
motivi dell'immigrazione del minore non sono condivisi dai parenti (fuga da casa,
etc.)
Le indagini, sempre doverose, potrebbero condurre a scoprire una
situazione di obiettivo abbandono, materiale e morale, che imporrebbe la
segnalazione al tribunale per i minorenni per l'inizio eventuale della
procedura di adottabilità (articolo 37 bis, legge 4 maggio 1983, n. 184,
introdotto dalla legge 31 dicembre 1998, n.476).
Sulla base di quanto sin qui detto, pare opportuno precisare che le competenti autorità che vengano a conoscenza di un minore straniero non accompagnato devono:
a)
Accertare
-
l'identità
ed in particolare l'età di lui;
-
se esistono e
dove stanno i familiari del minorenne, cercando di ottenere direttamente da lui
ogni utile informazione in merito;
-
quali le
condizioni di vita, le ragioni del suo ingresso nel territorio italiano, gli
studi compiuti, le attività di formazione e di lavoro svolte, le
intenzioni per il futuro sia del minorenne che dei suoi genitori e tutori,
anche riguardo al rimpatrio;
b)
Informare il
Comitato delle indagini svolte e dunque delle informazioni raccolte.
c)
Provvedere
intanto all'accoglienza.
Si ricorda, su questo punto, che tra le modalità di accoglienza
sono compresi tutti gli interventi utili a favorire il normale sviluppo del
minorenne (quindi non il mero mantenimento o la sola ospitalità, ma
anche le cure necessarie, l'istruzione, la formazione, lo sport e quant'altro
necessario) in quanto i diritti del fanciullo sono, dalla Convenzione di New
York, attribuiti ad ogni minorenne indifferente essendo la sua origina
nazionale.
E' da precisare tuttavia che l'accoglienza ha il senso di assicurare i
diritti del fanciullo per tutto il periodo in cui proseguirà la sua
permanenza in Italia. Tale permanenza è intesa come temporanea,
dovendosi provvedere, ove ne ricorrano le condizioni, al rimpatrio assistito,
vale a dire al ricongiungimento con il nucleo parentale originario od al
riaffidamento alle Autorità responsabili del paese di origine.
4. RIMPATRIO
ASSISTITO
4.1 Quanto alla decisione circa il rimpatrio assistito, di esclusiva
competenza del Comitato, fondamentale è il dovere di rispettare
l'interesse del fanciullo a norma dell'art. 3 della richiamata Convenzione di
New York per cui "In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di
competenza dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi
legislativi, l'interesse del fanciullo deve essere una considerazione
preminente".
Questo significa che la valutazione di tale interesse da parte del
Comitato non può essere fatta in modo preventivo e generale, anche solo
per categorie astratte, ma tenendo conto, volta per volta, dell'interesse
concreto di ogni determinato minorenne. Comunque il Comitato valuterà
quell'interesse in modo particolare per quanto riguarda i ragazzi di età
superiore ai 14 anni, già inseriti in un percorso scolastico e/o di
formazione-lavoro. Più in generale adatterà le proprie decisioni
in merito all'eventuale rimpatrio, alla verifica delle condizioni nelle quali
si è realizzato il temporaneo soggiorno del minore straniero nel
territorio nazionale, con particolare riguardo all'accoglienza offertagli ed
alle provvidenze scolastiche di cui ha potuto usufruire.
4.2 L'adozione del
provvedimento di rimpatrio sarà assunta in ossequio al dettato
dell'articolo 33 comma 2bis del D. Leg. 286/98. Il Comitato ritiene che il
rimpatrio del minore straniero, quando deciso, sia veramente
"assistito" cioè volto ad un reale ricongiungimento con la
famiglia ovvero al riaffidamento alle Autorità responsabili del Paese di
origine e quindi all'inserimento in una adeguata struttura in loco. A tal fine
le eventuali convenzioni che verranno stipulate con gli Organismi
specializzati, dovranno prevedere le condizioni di "assistenza" al
rimpatrio che potranno anche comprendere l'avvio del minore a percorsi
formativi o prima del rientro, ovvero nel paese di origine. Ciò al fine
di fornirgli quel bagaglio di skills e know how necessari ad aumentare concretamente la sua
capacità di sviluppo autonomo anche professionale. In tal senso il Piano
di Azione fa riferimento alla "predisposizione delle condizioni
indispensabili per un rimpatrio assistito e sicuro, fornendogli anche - se
adolescente - un certo previo bagaglio professionale che gli consenta un
miglior reinserimento nel suo Paese".
4.3 La decisione del rimpatrio non potrà mai essere assunta
senza una previa valutazione delle condizioni del minore: il rimpatrio non
dovrà essere in nessun caso "automatico". Tutto quanto
indicato nei punti precedenti circa la verifica delle sue condizioni, delle
condizioni della famiglia e del paese di rientro dovranno essere attentamente
considerate in vista della decisione. Si avrà pertanto riguardo alle
risultanze delle ricerche che verranno effettuate nel Paese di origine ovvero
di abituale residenza, e si avrà inoltre riguardo, all'atto delle decisioni
di assumere, delle condizioni di accoglienza nel nostro Paese, di eventuali
percorsi scolastici o formativi intrapresi.
4.4 Si precisa ancora che:
a)
l'audizione del
minore per accertarne l'opinione in merito ad un eventuale rimpatrio assistito
che non può essere fatta direttamente dal Comitato, è riservata
all'autorità locale, la quale dovrà fare in modo che ne risulti
non solo una affermazione di consenso o dissenso ma anche le motivazioni di
essa.
b)
Il Comitato ,
ove ritenga essere presenti le condizioni per il rimpatrio, si informerà
in ogni caso, presso il Tribunale per i minorenni competente del luogo di
dimora del minorenne in Italia, dell'eventuale esistenza di procedure in corso,
onde ottenere il necessario nulla osta previsto dall'art. 2 bis u.p. dell'art.
33 T.U. n. 296/1998.
c)
Se a seguito
delle informazioni ottenute dal Comitato, anche attraverso l'intervento di
organismi internazionali coi quali esistano convenzioni o con la collaborazione
delle autorità consolari e diplomatiche straniere in Italia, risultassero
non esistenti nuclei familiari del minorenne, o autorità del Paese
d'origine disposti ad assumerne l'affidamento a seguito di rimpatrio, il
Comitato ne informerà l'autorità giudiziaria competente per la
valutazione dell'eventuale stato di abbandono e per i conseguenti
provvedimenti. In proposito si terrà conto delle raccomandazioni
formulate in sede internazionale (cfr. linee-guida UNHCR) per cui le ricerche
dei familiari, di un minorenne straniero apparentemente abbandonato, debbono proseguire
per almeno due anni prima di potere dichiarare lo stato di abbandono.
d)
Come già
accennato, il Comitato non ha competenza ad intervenire ove sia stata proposta
domanda d'asilo.
e)
Le
autorità competenti sono invitate ad informare il Comitato dei casi di
minorenni trovati coinvolti in situazioni di sfruttamento, violenza, riduzione
in schiavitù, ai quali sia stato rilasciato permesso di soggiorno per
motivi di protezione, con inserimento della vittima in programmi di assistenza
e reintegrazione secondo quanto disposto dall'art. 18 del T.U. 268/98.
f)
Il rimpatrio
sarà effettuato in modo davvero "assistito" anche al momento
del rientro nel Paese d'origine. A tal fine il Comitato ha chiesto al Dipartimento
per gli Affari Sociali di stipulare convenzioni con organizzazioni
specializzate, in modo da consentire condizioni ottimali che potranno anche
comprendere l'avvio del minorenne a percorsi di studio e formativi nel Paese
d'origine.
g)
Il Comitato
solleciterà il Governo a sviluppare tutte quelle intese bilaterali, con
gli Stati di più frequente emigrazione in Italia, atte a creare per gli
stranieri più giovani, nuove opportunità di crescita scolastica e
professionale, consentendo loro attraverso scambi, soggiorni temporanei, di
trascorrere periodi di studio o lavoro nel nostro Paese.
Roma, 11 gennaio 2001
f.to
Il Presidente
Prof. P. Vercellone
Riportiamo esclusivamente le sezioni del Piano nazionale riguardanti il
tema dei minori stranieri non accompagnati o temi che possono avere diretta
rilevanza rispetto ai temi affrontati (ad es. la questione del pubblico tutore
dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza.
[…]
[…] 2. In questo processo di cambiamento, l'impegno dell'attuale Piano d'azione pone una particolare attenzione su alcuni temi emergenti pur mantenendosi inalterato l'impegno del Governo e degli enti locali su tutti i settori coinvolti nei temi di tutela e promozione dei diritti del cittadino di età minore.
Innanzi tutto, l'Italia è sempre più convinta del valore
universale dei principi e dei diritti del fanciullo sanciti dalla Convenzione
di New York del 1989.
Principi e diritti che non possono essere ristretti ai soli cittadini
del nostro Paese, ma anche a quanti giungono da altre nazioni oppure nascono da
genitori che provengono da Paesi lontani e molto più poveri del nostro.
Ma non solo. L'Italia è anche un Paese i cui cittadini hanno
riconosciuto la povertà e le difficoltà insopportabili di tanti
bambini e bambine, che vivono in Paesi vicini e lontani, e hanno cercato di
alleviarle intervenendo con atti di toccante generosità.
Pertanto il Governo si sente impegnato sempre di più sia a
sostenere iniziative a favore dei bambini che nel mondo si trovano in
condizione di povertà, sia a realizzare una migliore integrazione di
coloro che vivono tra noi: non più stranieri, ma nuovi, per quanto
piccoli, cittadini di un Paese attento e solidale al mondo ed ai suoi figli.
[…]
[…] A. Interventi legislativi.
Il Governo si impegna, innanzi tutto, a proporre al Parlamento una
serie di riforme legislative per rendere più coerente con la Convenzione
ONU del 1989 il nostro ordinamento giuridico, riconoscendo nel modo più
ampio possibile i diritti dell'infanzia e dell'adolescenza ed istituendo organi
più efficaci di tutela di tali diritti. In particolare:
1. Sul versante del riconoscimento dei diritti il governo si impegna:
a presentare un disegno di legge di ratifica e attuazione della
Convenzione europea di Strasburgo
sull'esercizio dei diritti dei bambini e quindi sulle modalità
di ascolto dei minori nei procedimenti, non solo giudiziari ma anche
amministrativi, per consentire loro di far sentire la loro voce e di essere
considerati non oggetto del contendere ma soggetti di una situazione di vita
che pesantemente li coinvolge;
[…]
E. Minori stranieri.
Il Governo non può preoccuparsi solo dei minori cittadini
italiani, trascurando i bambini che vivono nel nostro Paese provenendo da Paesi
stranieri o che vivono in gravi difficoltà in Paesi lontani. Pertanto
anche in questo campo il governo intende intervenire su piani diversi.
1. Interventi di protezione e integrazione nei confronti dei bambini
stranieri che sono in Italia. Il fenomeno della presenza di minori stranieri
nel nostro territorio nazionale è in grande espansione e richiede un
deciso intervento di protezione da parte del Governo in attuazione dei principi
sanciti dall'ONU con la Convenzione del 1989 sui diritti del bambino. Un
intervento che deve articolarsi su
vari versanti:
a) Per i minori stranieri non accompagnati presenti sul territorio il
Governo, in collaborazione con il privato sociale, è impegnato a
garantire loro cure tempestive e protezione anche dai pericoli di sfruttamento
e a ricercare un'adeguata sistemazione. In vista dell'adozione dei necessari
provvedimenti - innanzi tutto di rimpatrio - il Comitato minori stranieri
provvederà:
ad un tempestivo accertamento dell'identità del minore ed alla
identificazione, anche attraverso organismi internazionali quali la CRI,
l'Unicef, l'Unhcr del suo nucleo familiare in patria e dei suoi
congiunti;
alla predisposizione delle condizioni indispensabili per un rimpatrio
sicuro ed assistito del minore, fornendogli anche - se adolescente - un certo
previo bagaglio professionale che gli consenta n migliore reinserimento nel suo
Paese.
Il Governo è anche intenzionato ad attuare programmi di
prevenzione nei Paesi da cui provengono la maggior parte di minori non
accompagnati (Albania, Marocco, Romania, Bangladesh, ecc.) ed a stipulare
protocolli d'intesa con quei Paesi per la messa appunto di adeguate procedure
di rimpatrio.
Per i minori stranieri non accompagnati che richiedono asilo, il
Governo intende dare piena attuazione alla risoluzione del Consiglio d'Europa
del 26 giugno 1997, garantendo un'adeguata sistemazione in centri di
accoglienza o in famiglie, realizzando colloqui con i minori che consentano
un'esatta percezione dei problemi personali, attraverso funzionari con
esperienza e formazione adeguata, valutando la domanda di asilo con particolare
riguardo al prevalente interesse del minore e tenendo conto dell'esigenza di un
ricongiungimento familiare.
[…]
Parte terza – Programma di azioni mirate per il periodo maggio
2000-giugno 2001-03-22
[…]
IL COMITATO MINORI STRANIERI
Il Comitato per la tutela dei minori stranieri, previsto dalla legge
sull'immigrazione, procederà a realizzare un censimento nazionale sulla
presenza dei minori stranieri non accompagnati, allo scopo di mettere a punto
standard di accoglienza uniformi sul territorio nazionale e di avviare
opportuni rapporti con i Paesi di provenienza. Sarà inoltre attivata
un'agenzia nazionale che si farà carico di esaminare, caso per caso,
l'opportunità di avviare un processo di integrazione del minore nel
nostro Paese o di organizzarne il rientro in famiglia. A tal fine saranno
avviate due attività: una in Italia, con l'istituzione di una rete di
centri attivi nell'accoglienza; una seconda nei Paesi di origine, per prevenire
le partenze illegali e favorire i rientri in famiglia.
Si reputa inoltre opportuno stipulare protocolli operativi specifici,
il primo dei quali con il CONI e la Federcalcio, per affrontare il tema dei
numerosissimi minori stranieri che ogni anno vengono a contatto con il sistema
delle società sportive nella speranza di un ingaggio.
Si intende, infine, avviare d'intesa con le associazioni degli
immigrati, in particolare quelle femminili, una campagna di informazione e sensibilizzazione
presso le famiglie immigrate contro le
mutilazioni genitali delle bambine, perseguite dalle nostre leggi, ma
ancora troppo raramente denunciate perché legittimate dalle tradizioni
delle comunità di provenienza.
[…]
IL PUBBLICO TUTORE DEI DIRITTI DELL'INFANZIA E DELL'ADOLESCENZA
Pur nella consapevolezza dell'oggettiva difficoltà, in questo
scorcio di legislatura, di realizzare nuovi interventi normativi, il Governo
intende onorare un impegno europeo con l'istituzione della figura del pubblico
tutore dei bambini e delle bambine. In coerenza con un disegno politico
federalista, si individueranno in capo a questa figura compiti attualmente
esercitati dallo Stato, all'interno di una collocazione territoriale più
vicina alle persone.
I compiti principali saranno quelli dell'ascolto dei problemi delle
persone in formazione, della difesa dei loro interessi, della promozione delle
azioni positive per l'infanzia e l'adolescenza, del potenziamento della tutela
dei relativi diritti. E' una innovazione istituzionale che vuole anche
inaugurare una fase nuova e più incisiva di azione per il rispetto e la
valorizzazione dei diritti sanciti
dalla Convenzione di New York. Sarà di fondamentale importanza a
questo riguardo la collaborazione e l'impegno delle regioni.
L'ASCOLTO DEI CITTADINI PIÙ PICCOLI
Sono necessarie ed urgenti delle norme di adeguamento del nostro
ordinamento affinché siano concretamente realizzabili le disposizioni di
principio contenute nella Convenzione europea sull'ascolto dei minori, ratificata
dal nostro Paese lo scorso anno.
Il Governo si impegna a presentare al Parlamento il testo di un disegno
di legge che consentirà l'ascolto dei minori non solo nei procedimenti
giudiziari ma anche in quelli amministrativi.
Breve bibliografia sul
tema dei minori stranieri non accompagnati
Riportiamo i riferimenti di alcune pubblicazioni e di
altri documenti sul tema dei minori stranieri non accompagnati:
· G.C.Turri, I bambini stranieri non
accompagnati, in Minorigiustizia, 1999, n. 3
· L. Miazzi, La condizione giuridica dei
bambini stranieri in Italia,
in Minorigiustizia, 1999,
n. 3
Franco Angeli - v.le Monza 106, 20127 Milano - tel. 02.2827651
· C. Moro, L. Fadiga e altri, Monografia
“L’accoglienza temporanea dei bambini stranieri”, in Studi Zancan - Politiche e servizi alle
persone, 2000, n. 5
Fondazione Zancan - v. Vescovado 66, 35141 Padova -
tel. 049663800
· L. Miazzi, Il rimpatrio assistito del
minore straniero: ancora un caso di diritto speciale?, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, 2000, n. 2
Franco Angeli - v.le Monza 106, 20127 Milano - tel.
02.2827651
· Documentation of
the European Conference “Children First and Foremost - Policies towards
Separated Children in Europe
· Separated
Children Seeking Asylum in Europe: A Programme for Action
· Separated
Children Coming to Western Europe
Save The Children Italia - v. Gaeta 19 - 00185 Roma -
tel 06.4740354, e-mail: info@savethechildren.it
·
Atti del
seminario “Minori stranieri irregolari: quale tutela?”, Torino,
ottobre 1999
·
Atti del
seminario “Minori stranieri non accompagnati e irregolari, tra
accoglienza e rimpatrio”, Torino, luglio 2000
·
Atti del
convegno nazionale “Minori stranieri non accompagnati”, Torino,
marzo 2001
·
Relazione
finale della Commissione congiunta istituita dal Ministero della Giustizia e
dal Comune di Torino sul tema “Le risposte al reato minorile con
particolare attenzione alla condizione dei minori stranieri”
> possono essere richiesti a: IRES L. Morosini - p.za Vittorio
Veneto 1, 10124 Torino - tel. 011.835939, fax 011.81.25.001, e-mail:
irescgil@arpnet.it
* Riportiamo i riferimenti completi solo in questo elenco, mentre nel testo vengono utilizzate delle abbreviazioni.
[1] Vedi a questo proposito la Sintesi degli interventi al seminario “Minori stranieri non accompagnati e irregolari, tra accoglienza e rimpatrio” tenutosi a Torino il 4 luglio 2000, riportata in appendice.
[2] Alle disposizioni citate si aggiungono, naturalmente, le disposizioni del Codice Penale che stabiliscono il dovere di segnalare alla pubblica autorità il minore in stato di abbandono, e le disposizioni del Codice Civile che stabiliscono il dovere della pubblica autorità di collocare in luogo sicuro il minore in stato di abbandono (C.C. art. 403).
[3] Vedi in appendice.
[4] Tali questioni, data la profonda connessione
con gli aspetti di merito relativi alla scelta se sia nell’interesse del
minore restare in Italia o essere rimpatriato, saranno sviluppate più
approfonditamente nella seconda parte “Aspetti di merito: Qualche
riflessione sui criteri per la scelta tra accoglienza e rimpatrio”.
[5] Ad es. a quanto ci risulta – ma la questione è da verificare meglio – secondo la legislazione marocchina, la maggiore età si raggiunge a 20 anni: il che significherebbe che la Convenzione del 1961 dovrebbe applicarsi anche ai cittadini marocchini d’età compresa tra i 18 e i 20 anni presenti in Italia.
[6] La definizione di “residenza abituale” è discussa più avanti.
[7] Le notazioni che seguono sono tratte da: M. Franchi, Protezione dei minori e diritto internazionale privato, Milano, 1997 (pagg. 23-27).
[8] Le questioni connesse al provvedimento di rimpatrio e al rapporto tra i provvedimenti di tutela e di affidamento da una parte ed il provvedimento di rimpatrio dall’altra vengono invece trattati più avanti, nella sezione “La scelta tra accoglienza e rimpatrio, l’adozione del provvedimento di rimpatrio e la sua esecuzione” (per gli aspetti procedurali) e nella seconda parte del dossier “Aspetti di merito: Qualche riflessione sui criteri di scelta tra accoglienza e rimpatrio” (per gli aspetti di merito).
[9] “[In base alla legge di riforma del diritto internazionale privato] il regime si diversifica permettendo allo Stato italiano di assumere ogni misura d’urgenza necessaria ex art. 9 della Convenzione del 1961 e non in base all’art. 37; quindi, in applicazione dell’art. 37, disporre misure di affido ove del caso, tenendo conto della residenza abituale del minore nel territorio, che dovrebbe corrispondere al legame effettivo del minore col territorio, anche in virtù delle misure urgenti e, se sia possibile, coordinando l’azione con il paese di provenienza del minore” M. Franchi, Protezione dei minori e diritto internazionale privato, Milano, 1997 (pag. 65).
[10] Tribunale per i minorenni e della Procura della Repubblica per i minorenni di Venezia “Informazioni, indicazioni, suggerimenti in ordine alla tutela giudiziaria dei minori” 21 giugno 2000.
[11] Per i problemi relativi al permesso di soggiorno che può essere rilasciato ai minori affidati di fatto a parenti entro il quarto grado, vedi il capitolo “Il permesso di soggiorno”.
[12] Vedi in appendice i decreti del Tribunale di Venezia 21.12.1998 e 28.12.1998.
[13] In questo senso, vedi in appendice la conclusione dell’intervento di G. De Marco al seminario “Minori stranieri irregolari: quale tutela?”.
[14] Vedi in appendice il decreto del Tribunale di Torino 22.7.1999 e del Tribunale per i minorenni di Venezia 10.5.1999.
[15] L’art. 31 del T.U. 286/98, infatti, disciplina il rilascio del permesso di soggiorno solo per i minori affidati ex art. 4 della legge 184/83, mentre nulla prevede per i minori affidati di fatto al parente entro il quarto grado: vedi il capitolo "Il permesso di soggiorno".
[16] Il testo integrale del decreto si trova in appendice.
[17] Vedi in questo senso in appendice: Pretura di Mantova, sez. dist. Castiglione delle Stiviere, comunicazione del Giudice Tutelare 15.2.1999
[18] Le problematiche attinenti alle indagini, invece, sono state trattate nella sezione precedente “Le indagini sull'identità e sulla situazione in Italia e nel Paese d’origine”.
[19] La Convenzione europea sul riconoscimento e
l'esecuzione delle decisioni in materia di affidamento dei minori e di
ristabilimento dell'affidamento (Lussemburgo 20 maggio 1980) prevede che in
caso di trasferimento illegittimo di minore, se la domanda di restituzione
viene proposta allo Stato in cui il minore si trova dopo che sono passati
più di sei mesi, lo
Stato richiesto potrà rifiutare il riconoscimento e l'esecuzione della
decisione in materia di affidamento “se si è constatato che a
seguito del mutamento di circostanze, compreso il passare del tempo ma
escludendo il mero cambiamento di residenza del minore a seguito di
trasferimento illegittimo, gli effetti del provvedimento originario risultano
non più conformi all'interesse del minore” (art. 10)
La
Convenzione sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori
(Aja 25 ottobre 1980) stabilisce che in caso di trasferimento illecito di
minore, se la domanda per ottenerne il ritorno viene proposta allo Stato dove
si trova il minore dopo più di un anno, lo Stato richiesto può non ordinare il
ritorno immediato del minore se “sia dimostrato che il minore si è
integrato nel suo nuovo ambiente.” (art. 12)
La Convenzione dell’Aja del 1970 sul rimpatrio, infine, dispone che : “ L’Etat requis peut en outre, compte tenu de toutes les circonstances de l’affaire, rejeter la requête[...] si le rapatriement est considéré comme étant contraire à l’intérêt du mineur, notamment lorsque ce dernier a des liens familiaux ou sociaux effectifs dans cet Etat ou lorsque le rapatriement est incompatible avec une mesure de protection ou de rééducation prise dans ledit Etat. ”
[20] La Convenzione de L’Aja del 1970 sul rimpatrio - che può essere utile considerare, ancorchè non internazionalmente in vigore - dispone all’art. 5, co. 1 che “Aucune décision sur une requête aux fins de rapatriement n’est prise avant que le mineur ait été entendu personellement, si ses facultés de discernement le permettent, par une autorité compétente de l’Etat requis.”
[21] Ricordiamo qui che, mentre al provvedimento di espulsione segue il divieto di rientro per 5 anni, invece per il provvedimento di rimpatrio non è previsto tale divieto.
[22] La mozione dell’Associazione italiana dei magistrati per i minorenni e la famiglia è riportata nell’introduzione, mentre l'articolo di W. Citti è riportato nell’appendice.
[23] Per la disciplina di questa materia prima dell’entrata in vigore del T.U. 286/98, e in particolare per le disposizioni circa il permesso di soggiorno “per motivi di giustizia” vedi nell’appendice l’articolo di W. Citti.
[24] Salvo il caso di minore parente entro il terzo grado e inabile al lavoro, o di minore coniugato ... e salvo l’ipotesi che il minore di età inferiore all’età lavorativa sia da considerarsi inabile al lavoro e quindi possa usufruire del ricongiungimento a parente entro il terzo grado.
[25] Vedi in appendice: Tribunale per i Minorenni del Veneto, 23.02.1998.
[26] Tale ipotesi è argomentata più avanti, nel paragrafo specificatamente dedicato ai “Minori affidati di fatto a parenti entro il quarto grado”.
[27] Le problematiche relative al permesso di soggiorno per minore età sono approfondite più avanti, nel paragrafo “Approfondimenti: il permesso per minore età e i minori affidati di fatto a parenti entro il quarto grado”.
[28] Poiché, come sottolineato nell'introduzione, non abbiamo voluto trattare la questione - gravissima, ma dotata di sue specificità - dei minori vittima della tratta, non approfondiamo qui la questione del permesso per protezione sociale. Non abbiamo analizzato, per la stessa ragione, le disposizioni della legge 269/98.
[29] La situazione dei minori affidati a parenti entro il quarto grado è approfondita più avanti, al paragrafo “Approfondimenti: il permesso per minore età e i minori affidati di fatto a parenti entro il quarto grado”.
[30] Vedi il capitolo “Affidamento, tutela e altri provvedimenti di protezione del minore sul territorio italiano”.
[31] Non abbiamo citato qui il permesso per protezione sociale perché esso non ha i suoi presupposti nella minore età, e quindi viene rinnovato secondo le modalità analizzate nel paragrafo precedente relativo alla durata.
[32] Questo aspetto è approfondito più avanti, al paragrafo “Approfondimenti: il permesso per minore età e i minori affidati di fatto a parenti entro il quarto grado”.
[33] Questo aspetto è approfondito al paragrafo successivo.
[34] In tal senso vedi in appendice l’ordinanza del Tribunale Amministrativa del Piemonte del 10 novembre 1999, n.514, in cui si ordina l’annullamento di un provvedimento di rigetto della domanda di permesso di soggiorno per motivi di giustizia, emesso dalla Questura di Torino: la motivazione di tale rigetto, infatti, faceva riferimento al fatto che la domanda era stata presentata quando mancavano meno di 20 giorni al compimento della maggiore età.
[35] Tale questione è discussa nel precedente capitolo “Affidamento, tutela e altri provvedimenti di protezione del minore sul territorio italiano”.
[36] “considerando che, ai sensi
dell'articolo K.1, punto 3, lettere a), b) del trattato, le condizioni di
ingresso e di soggiorno dei cittadini dei paesi terzi nel territorio degli
Stati membri e la lotta contro l'immigrazione e il soggiorno irregolari di tali
cittadini nel territorio degli Stati membri costituiscono questioni di
interesse comune; [...] considerando che si verifica che minori di paesi terzi
entrano e soggiornano nel territorio degli Stati membri senza essere accompagnati
da una persona adulta per essi responsabile e senza aver ottenuto le
autorizzazioni necessarie a tal fine; considerando che i minori non
accompagnati, cittadini di paesi terzi, possono essere vittime di persone che
organizzano l'immigrazione clandestina e che è importante per gli Stati
membri cooperare nella lotta contro tale forma di aiuto all'immigrazione
clandestina: considerando che i minori non accompagnati, cittadini di paesi
terzi, si trovano generalmente in una situazione particolarmente delicata, che
richiede tutela e cure speciali; considerando che il riconoscimento della
delicata situazione dei minori non accompagnati nel territorio degli Stati
membri giustifica l'adozione di principi comuni per la gestione di tali
situazioni;” (Risoluzione del Consiglio dell’Unione Europea
26.6.97, preambolo)
[37] Naturalmente, il rischio di persecuzioni
costituisce un limite non solo per l'espulsione ed il respingimento, ma anche
ed a maggior ragione per il "rimpatrio assistito". Tale limite
è sottolineato dalla Risoulzione del Consiglio dell’Unione Europea
27.6.97, art. 5, co. 4: “In nessun caso si può procedere al
rimpatrio del minore in un paese terzo se il rimpatrio è contrario alla
convenzione relativa allo status dei rifugiati, alla convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, alla
convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani o
degradanti o alla convenzione sui diritti dei fanciulli, fatte salve eventuali
riserve formulate dagli Stati membri all'atto della ratifica o ai relativi
protocolli.”
Non approfondiamo qui questa tematica, che riguarda i minori richiedenti asilo e protezione umanitaria.
[38] La Convenzione di New York e soprattutto la
legge 184/83 recepiscono infatti l’importante lezione del movimento per
la deistituzionalizzazione che dagli anni ’70 sostenne gli effetti
negativi della “istituzionalizzazione” sulla personalità
dell’individuo, e in particolare dell’individuo in formazione.
[39] Vedi il capitolo “Affidamento, tutela e altri provvedimenti di protezione del minore sul territorio italiano”.
[40] Tale definizione è discussa nel capitolo “Affidamento, tutela e altri provvedimenti di protezione del minore sul territorio italiano”.
[41] Utilizziamo qui la definizione dei diritti-doveri connessi alla potestà genitoriale propria dell’ordinamento italiano, anche se in base all’art. 36 della l. 218/95 i rapporti tra genitori e figli, compresa la potestà genitoriale, sono regolati dalla legge nazionale del figlio.
[42] Sia il Piano Nazionale che le Linee Guida sono riportati in appendice.
[43] Il corsivo è nostro.
[44] L’art. 6 del Regolamento prevede che “1. Al minore non accompagnato sono garantiti i diritti relativi al soggiorno temporaneo, alle cure sanitarie, all'avviamento scolastico e alle altre provvidenze disposte dalla legislazione vigente. 2. Al fine di garantire l'adeguata accoglienza del minore il Comitato puo' proporre al Dipartimento per gli affari sociali di stipulare convenzioni con amministrazioni pubbliche e organismi nazionali e internazionali che svolgono attivita' inerenti i minori non accompagnati in conformita' ai principi e agli obiettivi che garantiscono il superiore interesse del minore, la protezione contro ogni forma di discriminazione, il diritto del minore di essere ascoltato.”
[45] “Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, recante “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori” nonché al titolo VIII del libro primo del codice civile” approvata in via definitiva dal Senato della Repubblica il 1 marzo 2001, non ancora promulgata.
[46] Vedi ad es. l’intervento del Presidente del Tribunale per i minorenni di Torino, Giulia De Marco, al convegno nazionale “Minori stranieri non accompagnati” tenutosi a Torino il 10 marzo 2001.
* Articolo consultabile sul sito Progetto “Atlante” della Provincia di Torino e di prossima pubblicazione.
[47] Giancristoforo Turri, I bambini stranieri non accompagnati, in Minorigiustizia, edizione della rivista in corso di stampa al momento della redazione del presente testo.
[48] Ibidem.
[49] Lorenzo Miazzi, La condizione giuridica dei bambini stranieri in Italia, in Dossier Minorigiustizia, edizione della rivista in corso di stampa al momento della redazione del presente contributo.
[50] Sull'illegittimità costituzionale dell'attuale sistema di trattamento dei minori stranieri non accompagnati si veda in particolare Paolo Bonetti, Anomalie costituzionali delle deleghe legislative e dei decreti legislativi previsti dalla legge sull'immigrazione straniera (parte II), in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, n.3/1999, pp. 74-83.
[51] A seguito del parere del Consiglio di Stato (30 luglio 1997) è stato fugato ogni dubbio sulla responsabilità dell'assistenza dei minori non accompagnati, da attribuirsi agli enti locali nel cui territorio i minori vengono individuati e non al Ministero dell'Interno come invece avveniva in passato.
[52] Tale normativa civile generale, infatti, può ritenersi certamente applicabile nelle situazioni riguardanti minori stranieri, se non altro per effetto del principio di non-discriminazione in materia di protezione della gioventù ricavabile dall'art. 31 della Costituzione italiana e dall'art. 2 della Convenzione sui diritti del fanciullo (New York 20.11.1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con l. 27.05.1991, n. 176).
[53] La legge n. 184/83, dopo aver stabilito all'art. 1 che "il minore ha diritto di essere educato nell'ambito della propria famiglia", dispone all'art. 2 che "il minore che sia temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo può essere affidato ad un'altra famiglia…o a una persona singola, o a una comunità di tipo familiare, al fine di assicurargli il mantenimento, l'educazione e l'istruzione". In base all'art. 4, l'affidamento è disposto in via ordinaria dal servizio sociale dell'ente locale e, se non c'è il consenso di chi esercita la potestà, dal tribunale per i minorenni.
[54] Una norma del tutto analoga è stata inclusa nel regolamento di attuazione del T.U. sull'immigrazione (d.p.r. n. 394/99, art. 10 c. 4) .
[55] Nessuna modifica a tale modalità di trattamento dei minori stranieri non accompagnati derivò dall'introduzione della legge di riforma del diritto internazionale privato (l. 31 maggio 1995, n. 218) che in tema di protezione dei minori fa riferimento alla Convenzione dell'Aja del 5 ottobre 1961 (ratificata e resa esecutiva con legge n. 724 del 24 ottobre 1980, ma le cui disposizioni attuattive sono state emanate appena con legge 15 gennaio 1994, n. 64) per quanto attiene all'individuazione della legge applicabile e dell'autorità competente. Il rinvio alla Convenzione dell'Aja (art. 42 l. 218/95) si traduce nella competenza delle autorità italiane, sia giudiziarie che amministrative, ad adottare le misure di protezione del minore - della sua persona come dei suoi beni - che abbia la residenza abituale nel nostro paese o, limitatamente ai casi di urgenza e alle misure "necessarie", nel caso di minori comunque presenti in Italia, indipendentemente dalla nazionalità. Pur mancando nella Convenzione una definizione delle "misure" di protezione, sembra pacifico ritenere che debbano essere ricomprese la tutela ex art. 343 C.C., gli interventi urgenti di protezione della pubblica autorità ex art. 403 C.C., gli affidamenti eterofamiliari ex art. 2-5 l. 184/83, così come quelli di competenza del tribunale per i minorenni relativi all'esercizio della potestà familiari ex art. 330 sgg. C.C, tutti -come si è già detto- riferibili, anche solo per analogia, anche alla problematica dei minori stranieri non accompagnati. Il rinvio alla Convenzione dell'Aja del 1961 rafforza dunque il principio della riserva di giurisdizione all'autorità giudiziaria minorile dei provvedimenti in materia di minori stranieri non accompagnati.
[56] In implicita polemica con gli orientamenti assunti dagli uffici giudiziari minorili in alcune realtà locali, volti ad un maggior rigore nell'apertura delle tutele e all'esclusione dei minori stranieri non accompagnati che abbiano già compiuto i 17 anni, per l'asserita mancanza di tempo sufficiente per un percorso di inserimento che giustifichi la tutela, Giancristoforo Turri sostiene che "la mancata indicazione nella legge circa il dies a quo sta a significare che l'affidamento può essere disposto pure in prossimità del raggiungimento della maggiore età", in I bambini stranieri non accompagnati, in Minorigiustizia, cit.
Sempre con riferimento alla legge n. 40/98 va altresì ricordata la norma contenuta nell'ambito delle misure di "protezione sociale", per cui un permesso di soggiorno valido per motivi di lavoro della durata di sei mesi e suscettibile di rinnovo per un anno, può essere rilasciato, anche su proposta del procuratore della Repubblica o del giudice di sorveglianza presso il Tribunale per i minorenni, allo straniero che ha terminato l'espiazione delle pena detentiva, inflitta per reati commessi durante la minore età, e abbia dato prova concreta di partecipazione ad un programma di assistenza e integrazione sociale (art. 18 c. 6).
11 In G.U. delle Comunità Europee del 19 luglio 1997 n. C221/23, Il testo è stato pubblicato sulla rivista "Diritto, Immigrazione e Cittadinanza", n. 2/1999, pp.241-246.
12 Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 09.12.1999, n. 535: Regolamento concernente i compiti del Comitato per i minori stranieri, a norma dell'art. 33, commi 2 e 2-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, in G.U. n. 19 del 25.01.2000.
13 La tesi della distinzione dell'istituto dell'espulsione da quello del rimpatrio "assistito" è presentata da Mauro Valeri, funzionario presso il Dipartimento affari sociali della Presidenza del Consiglio dei Ministri nel saggio Minori non accompagnati, pubblicato sulla rivista "Gli Stranieri", n. 3/1998, pp. 1-10. L'ulteriore differenza fra espulsione e rimpatrio è che alla prima soltanto consegue il divieto di rientro per cinque anni, collegato all'inserimento del nominativo nel SIS (Sistema Informativo Schengen). Il rimpatrio assistito viene definito all'art. 1 c. 4 del d.p.c.m. n. 535/99 come “l'insieme delle misure adottate allo scopo di garantire al minore interessato l'assistenza necessaria fino al ricongiungimento con i propri familiari o al riaffidamento alle autorità responsabili del Paese d'origine, in conformità alle convenzioni internazionali, alla legge, alle disposizioni dell'autorità giudiziaria e al presente regolamento. Il rimpatrio assistito deve essere finalizzato a garantire il diritto all'unità familiare del minore e ad adottare le conseguenti misure di protezione”.
14 La legge n. 476/98 dd. 31.12.1998 ha ratificato e dato attuazione alle norme della Convenzione dell'Aja in materia di protezione dei bambini e di cooperazione nell'ambito dell'adozione internazionale. Nel provvedimento di legge vengono disciplinati i casi di ingresso del minore straniero in Italia, vietandolo nel caso di stranieri soli, salvo nei casi di adozione internazionale, e fatte salve le disposizioni relative al ricongiungimento familiare, all'ingresso per motivi turistici, di studio e di cura, così come quelle relative ai flussi eccezionali determinati per eventi bellici, calamità naturali, secondo quanto previsto dall'art. 18 della legge n.40/98. In quest'ultimo caso, si prevede l'obbligo della segnalazione dell'ingresso del minore alla Commissione istituita dalla legge e al Tribunale per i Minorenni competente territorialmente in relazione alla residenza degli accompagnatori o, nel caso del minore "solo", al luogo di individuazione. Per evitare inutili sovrapposizioni di competenza, l'art. 18 del d.p.r. 01.12.1999 n. 492 (in G.U. 27.12.1999, n. 302) prevede che l'unico compito attribuito alla commissione per le adozioni internazionali in questi casi sia quello di comunicare i nominativi dei minori al Comitato per i minori stranieri.
15 Art. 1 c. 2 d.p.c.m. n. 535/99.
16 In sostanza, la legge italiana sull'adozione e l'affidamento riconosce la famiglia allargata, cioè entro il quarto grado di parentela e dunque non considera che il minore sia temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo e suscettibile di essere formalmente affidato per il solo fatto che viene dai genitori mandato a vivere con tali parenti (conforme Tribunale per i minorenni di Bologna, 17.01.1984, in Diritto di famiglia e delle persone, 1985, 140).
Rispetto alla tutela del minore straniero affidato di fatto a parenti entro il quarto grado, tale giurisprudenza volta ad escludere la competenza del T.M. non appare peraltro monolitica. Alla rigorosa adesione al principio di incompetenza sostenuto dal T.M. di Torino, fa riscontro una maggiore flessibilità del T.M. di Venezia, che tentando una soluzione sistematica delle diverse fattispecie normative, è giunto a distinguere, da un lato, fra i casi in cui il minore straniero abbia o meno compiuto gli anni 14, e dall'altro, fra i casi in cui risulti o meno il consenso dei genitori all'affidamento di fatto. Il T.M. di Venezia ha così disposto l'affidamento ai sensi del secondo comma dell'art. 4 della l. 184/83 qualora non sia stato accertato il consenso dei genitori o qualora il minore sia infraquattordicenne. Per un'analisi critica della giurisprudenza veneziana, si veda il commento di Lorenzo Miazzi, La tutela del minore straniero affidato di fatto a parenti entro il quarto grado, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, n. 4/1999, pp. 65-68, mentre per il caso torinese si vedano gli atti del seminario Minori stranieri irregolari: quale tutela ?, promosso da ASGI, Servizio Migranti Caritas, CTP Parini, Rete contro il razzismo a Torino il 15 ottobre, 1999 (inedito). Dibattuta, peraltro, dalla giurisprudenza minorile è anche la tesi dell'eventuale competenza del giudice tutelare per l'eventuale nomina di un tutore, ex art. 343 C.C, ritenendosi il minore comunque privo di rappresentanza legale in Italia. In senso favorevole: Tribunale per i minorenni di Venezia, decreto 10.05.99 ( pubblicato in Diritto, Immigrazione, Cittadinanza, n. 4/1999, pp. 168-169). Di segno opposto, Pretura di Mantova, sez. dist. di Castiglione delle Stiviere, comunicazione dd. 15.02.1999 del Giudice Tutelare (in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, n. 1/99, pag. 186).
17 Diversa invece è l'ipotesi di esistenza di un provvedimento vero e proprio di affidamento del minore emesso dall'autorità competente nel paese di origine, che potrà essere automaticamente riconosciuto in Italia senza la necessità di alcun procedimento per effetto dell'art. 66 della legge n. 218/95, purché non ricorra la condizione di contrarietà ai principi dell'ordine pubblico interno o internazionale di cui all'art. 65 della legge medesima. Di conseguenza, il provvedimento straniero di affido renderebbe pienamente applicative le disposizioni di cui agli art. 30 e 31 del D.lgs. n. 286/98; vedi al riguardo Tribunale per i Minorenni del Veneto, decreto 23.02.1998, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, n. 3/1999, p. 178.
18 A conferma di questa ipotesi, si può citare il contenuto della recente circolare del Ministero dell'Interno n. 300/C227729/12/207/1^Div. Del 23.12.1999 che dispone per i minori inespellibili di età superiore ai 14 anni il rilascio del permesso di soggiorno per "minore età", chiarendo che “tale titolo di soggiorno verrà rilasciato solo in via residuale e qualora si verifichino situazioni non riconducibili ad altre tipologie di soggiorno già previste dalla normativa in vigore (es. motivi familiari, adozione, affidamento)” .
19 Giancristoforo Turri, op. cit.
20 Per uno sviluppo di questa argomentazione si rimanda a Paolo Bonetti, Anomalie costituzionali delle deleghe…, cit. in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, n. 3/99, pp. 52-83.
21 La competenza attribuita al Comitato per i minori stranieri viene ribadita dal d.p.c.m. n. 535/99 che tra i compiti del comitato annovera l'accertamento dello status del minore non accompagnato e l'adozione, ai fini di protezione e di garanzia del diritto all'unità familiare, del provvedimento di rimpatrio assistito (art. 2 c. 1 lett. e) e g)). Ugualmente, l'art. 7 del suddetto regolamento afferma ulteriormente il potere del Comitato di disporre il rimpatrio assistito del minore presente non accompagnato. Con una notevole dose di ambiguità, peraltro, nella definizione del rimpatrio assistito lo stesso regolamento afferma che le misure relative dovranno essere conformi tra l'altro alle disposizioni dell'autorità giudiziaria (art.1 c. 4).
22 Cfr. Corte cost., sent. 8 giugno 1983, n. 149, in Foro it., 1983, I, c. 2062.
23 Il discorso è teorico ed ipotetico, in quanto le prassi affermatisi negli ultimi mesi, dopo l'entrata in vigore del d.lgs. n. 113/99, differiscono a seconda delle realtà locali. Ad esempio a Torino, l'autorità giudiziaria minorile ha ritenuto di non procedere all'apertura delle tutele nei casi per i quali si riteneva più appropriata la soluzione del rimpatrio, riservando le tutele ai soli casi in cui si rendeva possibile ed auspicabile un percorso di inserimento, anche in relazione alle risorse accoglitive messe a disposizione dall'ente locale e dal volontariato. Forse proprio prendendo spunto da questa esperienza, il d.p.c.m. n. 535/99 prevede che solo in caso di necessità, il Comitato debba comunicare la situazione del minore al giudice tutelare competente, per l'eventuale nomina di un tutore provvisorio (art. 3 c. 6). Nonostante le indicazioni contenute nel d.lgs. n. 113/99, l'operato del comitato per i minori stranieri finora è stato quello innanzitutto di promuovere e sostenere l'intesa con il Servizio Sociale Internazionale e il Ministero del Lavoro e degli affari sociali albanese per il rimpatrio "assistito" dei minori albanesi, lasciando all'autorità giudiziaria minorile italiana e al SSI rispettivamente la competenza alla deliberazione del provvedimento e alle modalità della sua esecuzione.
24 Per l'analisi ed il commento di un interessante caso di revoca di un decreto di rimpatrio di un minore "solo" precedentemente adottato dal Giudice tutelare di Torino "per l'avvenuto mutamento delle circostanze di fatto che l'avevano determinato", si rimanda alla scheda di Luciana Guerci pubblicata sul n. 3/1999 della rivista Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, pp. 175-178.
25 Sulla composizione del Comitato si rimanda all'art. 33 del D.lgs. n. 286/98 e all'art. 3 c. 6 del d.p.c.m. n. 535/99.
26 Materiale informativo sulla convenzione tra il Dipartimento per gli affari sociali ed il Servizio Sociale Internazionale, in accordo con il Ministero del Lavoro e degli Affari Sociali albanese, può essere consultato sul sito Internet dell'ANCI (http: //www.ancitel.it/new/ssi.html).
27 L'opportunità che sia raccolta l'opinione del minore discende, peraltro, da precisi obblighi internazionali derivanti dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo (art. 12). Hanno soltanto il valore di raccomandazione invece le prese di posizione dell'UNHCR riferite ai minori rifugiati e all'opportunità che essi vengano sentiti, in relazione all'età e alla loro maturità, nelle procedure relative alle decisioni da intraprendere sulle soluzioni di lunga durata (UNHCR, Refugee Children: Guidelines on Protection and Care 121 (1994)).
28 Sul punto, cfr. Paolo Bonetti, op. cit., pp. 74-83.
29 Innanzitutto l'accoglienza non dovrebbe essere improntata a criteri emergenziali e improvvisati, finalizzati soltanto al soddisfacimento di bisogni primari di alloggio e vitto, ma richiedere la presenza di personale specializzato, di locali idonei e non promiscui con situazioni di accoglienza di altro genere e caratteristiche, nonché prevedere interventi mirati di accompagnamento sociale, centrati sull'assistenza medica e psicologica, sulla formazione educativa e professionale e, in caso di possesso dei requisiti di età, sull'inserimento lavorativo. Occorrerebbe, dunque promuovere, nell'ambito della gestione del Fondo per le politiche migratorie, la creazione di centri specializzati regionali, non lasciando ai singoli enti locali soltanto la gestione del problema. Una possibilità in questa direzione viene aperta dall'art. 6 c. 2 del d.p.c.m. n. 535/99 che prevede, su proposta del comitato per i minori stranieri, la stipula di apposite convenzioni tra il Dipartimento per gli affari sociali e le amministrazioni pubbliche o organismi nazionali e internazionali al fine di garantire l'adeguata accoglienza del minore.
30 Cfr. artt. 8,9,10,11, 18 Convenzione di New York sui diritti del fanciullo. Il criterio preferenziale alla riunificazione familiare tuttavia deve essere sempre subordinato alla valutazione della corrispondenza agli interessi superiori del fanciullo. Per quanto concerne i minori rifugiati, la conclusione dell'UNHCR è che"all action taken on behalf of refugee children must be guided by the principle of the best interests of the child as well as by the principle of family unity" (Executive Committee Conclusions, n. 47 (1987). Per una interessante ed approfondita analisi dell'argomento si rimanda a Daniel J. Steinbock, Unaccompanied Refugee Children in Host Country Foster Families, in International Journal of Refugee Law, vol. 8, n. 1/2, 1996, pp. 6-47.
31 In proposito si rimanda alle argomentazioni sollevate in particolare da un gruppo di associazioni di Torino nel documento "Nell'interesse del minore nell'interesse della collettività. Appello per la sospensione dei rimpatrio dei minori stranieri a Torino", febbraio 1999.
* Il testo seguente rappresenta la trascrizione letterale (non corretta dalle relatrici, ad eccezione dell’intervento di G. De Marco) degli interventi registrati su audiocassetta.
* Questa
sintesi (curata da Elena Rozzi) è stata vista e corretta dal Presidente
del Comitato per i minori stranieri, Paolo Vercellone. Le parti relative agli
interventi del Tribunale per i minorenni, della Procura presso il Tribunale per
i minorenni e della Questura di Torino, invece, non sono state viste e corrette
dai relatori, e si tratta quindi di una nostra interpretazione.