Caritas Italiana                                                                 Fondazione Migrantes

 

 

 

CONTRIBUTO DELLA CARITAS ITALIANA E DELLA FONDAZIONE MIGRANTES

 

AL NUOVO DISEGNO DI LEGGE SULL’IMMIGRAZIONE E ASILO

 

 

            La Caritas Italiana e la Fondazione Migrantes hanno seguito in questi anni con particolare attenzione l’evolversi della normativa sull’immigrazione e si sono sforzate di dare il loro contributo perché questa si adeguasse il più possibile al rapido evolversi del fenomeno immigratorio. La medesima disponibilità esse manifestano di fronte al nuovo disegno di legge governativo e ritengono che la loro esperienza, accumulata  in tanti anni di costante servizio caritativo, sociale, culturale e religioso agli immigrati nonché l’attiva e capillare presenza, che si protrae per generazioni, tra i nostri emigrati italiani, possa accreditare l’autenticità della collaborazione che esse ora nuovamente propongono anche alle sedi istituzionali.

 

            Prima ancora che sulla loro esperienza e sul contatto vivo per la realtà migratoria, Caritas e Migrantes, quali organismi ecclesiali, si appellano a quei principi e valori fondamentali che, pur essendo continuamente ribaditi dalla dottrina sociale della Chiesa, costituiscono patrimonio autentico di quel sano umanesimo che trova le sue migliori espressioni nella nostra tradizione civile e nella stessa Costituzione italiana.

 

            E’ in quest’ottica che ci poniamo per valutare il nuovo disegno di legge, che ripresenta tante disposizioni della legge ora in vigore, sulle quali c’era stata a suo tempo larga convergenza di consensi ed altre ne aggiunge che sono decisamente positive;  ma allo stesso tempo propone altre disposizioni che sembrano in netto contrasto con i predetti principi e valori o comunque destano forti riserve. Del resto, membri autorevoli della stessa maggioranza si sono già pronunciati su certi punti in modo piuttosto critico.

 

            Quanto agli aspetti positivi del disegno di legge, piace segnalare la riaffermata cooperazione internazionale anche se formulata in termini piuttosto generici, lo sportello unico per l’immigrazione inteso a  snellire gli adempimenti burocratici spesso snervanti, la corsia preferenziale per gli stranieri che abbiano svolto un percorso di formazione professionale nel loro Paese, l’anticipo alla fine dell’anno precedente del decreto di programmazione degli ingressi per anno successivo. La stessa determinazione del Governo a voler gestire efficacemente le politiche migratorie e contrastare l’immigrazione clandestina, in linea di principio merita il consenso.

 

Tuttavia tali elementi positivi non compensano quei tanti altri aspetti che lasciano insoddisfatti, anzi pongono inquietanti interrogativi e reclamano, di conseguenza, una profonda riconsiderazione, perché sembrano toccare i diritti irrinunciabili della persona, poco importa se si tratta di straniero od anche di irregolare. Hanno avuto larga eco anche fuori dell’ambiente ecclesiale le incisive parole del Papa enunciate esattamente dieci anni fa e ripetute negli anni successivi con particolare riferimento a singole categorie di migranti, come i lavoratori, le famiglie, le donne, i nomadi, i profughi: “Il migrante va considerato non semplicemente come strumento di produzione, ma quale soggetto dotato di  piena dignità umana. La sua condizione di migrante non può rendere incerto e precario il suo diritto a realizzarsi come uomo e la società di accoglienza  ha il preciso dovere di aiutarlo in tale senso”. Perfino “la condizione  di irregolarità  legale non consente  sconti  sulla dignità  del migrante, il quale è dotato di diritti inalienabili, che non possono essere violati né ignorati”. Lo scorso anno in occasione del Giubileo dei migranti del 2 giugno il Papa ha voluto riassumere in queste parole il senso del grande evento: “Ecco il messaggio che questa celebrazione giubilare vuole far giungere dappertutto: al centro dei fenomeni della mobilità, sia posto sempre l’uomo e il rispetto dei suoi diritti”.

Rientrano in questi diritti la libertà personale, la possibilità di difesa in foro giurisdizionale, l’asilo e la protezione umanitaria, l’unità familiare e, in genere, il diritto ad elaborare un progetto migratorio stabile per sé e per la propria famiglia.

 

 

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Quanto al nuovo disegno di legge, si ha anzitutto la forte impressione che esso intenda affrontare e risolvere un tema tanto serio, vasto e complesso con una certa fretta, in modo piuttosto sbrigativo, praticando delle scorciatoie poco sicure, che potrebbero portare lontano dagli obiettivi proposti. Desta preoccupazione in via preliminare il fatto che non si tenga in debita considerazione, che si voglia anzi disattendere il contributo, e precisamente un triplice contributo, fondamentale e decisivo per una legge organica sull’immigrazione che risponda alle vere esigenze non solo degli immigrati ma dell’intera società italiana.

 

 

Un primo contributo va ricercato da un maggiore confronto con gli esperti, le parti sociali, i gruppi di solidarietà da anni impegnati in prima linea sul fronte delle migrazioni. Sarebbe stato auspicabile che queste forze vive fossero state interpellate e fossero diventate interlocutrici del Governo già nella fase di elaborazione del disegno di legge; ora si è un po’ in ritardo, comunque la partita è ancora in pieno svolgimento e ognuno di questi attori vi può svolgere la sua parte, purché si consenta che entrino in campo e non debbano limitarsi a lanciare messaggi da lontano, in posizione più dialettica e critica che dialogante.

 

 

Un secondo contributo dovrebbe pervenire da una profonda verifica di quanto è avvenuto in questi anni non solo sul piano della gestione concreta delle migrazioni, ma pure su quello della normativa.  Nella Relazione illustrativa si dice che, data “l’esigenza di innovare profondamente l’attuale disciplina in materia di immigrazione… il presente disegno di legge si propone il fine di rivedere sistematicamente la legislazione italiana concernente gli stranieri”. Sembra doveroso domandarsi, anche in questa fase ormai avanzata dell’iter legislativo, perché sia proprio necessario “rivedere sistematicamente - innovare profondamente” la legge nel suo insieme o non sia più prudente e costruttivo impegnarsi a raggiungere almeno molti degli auspicati obiettivi con una più sistematica e decisa azione politica, amministrativa e diplomatica in applicazione della legge vigente. Sarebbe nefasto illudersi che le disfunzioni nascano dalla mancanza della normativa, quando invece potrebbero annidarsi nella scarsa volontà o capacità di attuazione e nei troppi intoppi della macchina burocratica. Si tenga presente inoltre che la legge oggi in vigore concede al Governo ampia discrezionalità di interpretazione e libertà di interventi per promuovere, prevenire, correggere molte cose in fatto di immigrazione senza ricorrere a nuove leggi; niente poi impedisce che in casi particolari si possa procedere a modificare la legge stessa.

 

 

Un terzo e più decisivo contributo sta per essere offerto in sede di Unione Europea, dove una normativa comune in parte è già stata approvata (si pensi all’Accordo di Schengen e alla Convenzione di Dublino), mentre sta per essere definitivamente elaborato ed approvato un poderoso corpo legislativo che dovrà essere completo entro il 2004;  anche l’Italia, come tutti gli Stati membri, vi si dovrà adeguare  per quanto riguarda, ad esempio, ingressi per lavoro, ricongiungimenti familiari, contrasto dell’immigrazione clandestina, stardard minimo per le domande di diritto di asilo, status degli stranieri titolari di un permesso di soggiorno di lungo periodo ed altro.  Ci si domanda se sia il caso di procedere proprio in questo momento a profonde innovazioni sulle tematiche come quelle ora enunciate, con la previsione di dover rimettervi mano entro brevissimo tempo, o non sia più prudente e razionale limitarsi per ora solo a quelle modifiche che si ritenessero necessarie e urgenti. Si tratta di evitare non solo spreco di tempo e di energie, ma pure il pericolo di ingenerare quel senso di stanchezza, di frustrazione e di discredito verso interventi legislativi che si susseguono a così breve scadenza.

 

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Ciò premesso, vengono qui di seguito elencati alcuni aspetti che fanno maggiore problema, a cominciare da quelli che colpiscono direttamente non gli immigrati irregolari, ma gli stessi regolari; si corre così il rischio che il disegno di legge, anziché contrastare, finisca per incentivare maggiormente l’immigrazione irregolare e clandestina.

 

1.  Del lavoratore regolare viene compromessa la stabilità di soggiorno::

-       la durata massima del soggiorno per lavoro subordinato non è di tre anni, come prevede la proposta di direttiva dell’UE, ma di 2 anni;

-       il rinnovo è ancora per 2 anni, non per 3 come prevede la stessa direttiva o di 4 come stabilisce la legge attualmente in vigore in Italia;

-       contrariamente a quanto previsto nella proposta di direttiva dell’U.E. per i lungo residenti,  la carta di soggiorno sarebbe rilasciata dopo 6, non dopo 5 anni;

-       chi perde il lavoro, allo scadere per permesso di soggiorno non ha più un anno, come vuole la legge attuale, ma soltanto sei mesi di tempo per trovarsi altro lavoro; ne sono colpiti i più deboli, ad esempio chi è in stato di malattia o di gravidanza, od anche chi in periodo di disoccupazione è impegnato in corsi di formazione e di riqualificazione professionale;

-       inoltre non c’è alcuna traccia di una certa progressività dei diritti e tanto meno di un “soggiorno di lunga durata”, al quale è dedicata altra proposta di direttiva comunitaria.

-       In tale contesto viene spontaneo domandarci se il sostituire “contratto di soggiorno” a “permesso di soggiorno” sia una semplice variante lessicale che intende ricalcare la terminologia europea, o sottenda ed evidenzi la precarietà del lavoratore straniero e metta in mano al datore di lavoro la formidabile arma del ricatto, dal momento che lo straniero - se viene licenziato - non ha più titolo per rimanere in Italia e pertanto, dopo pochi mesi, o lascia il nostro paese od entra nella clandestinità. Inoltre tale istituto sembra non conforme alla Costituzione, che agli articoli 35-40 garantisce in pari modo tutti i lavoratori a prescindere dalla loro nazionalità e viola la riserva rinforzata sulla condizione giuridica dello straniero (prevista dalla Costituzione, art. 10, comma 2), perché non conforme all’art. 8 della Convenzione OIL, n. 143/1975 (ratificata e resa esecutiva in Italia). In ogni caso la formula del contratto di soggiorno costituisce, insieme con altre del ddl, l’indice di una tendenza ad ostacolare l’integrazione degli immigrati nella realtà italiana.

 

2. Le vie legali di ingresso per lavoro vengono ristrette e rese inutilmente difficili, dato che, sopprimendo la sponsorizzazione per inserimento nel mercato di lavoro, si azzera la possibilità di incontro diretto tra domanda e offerta. Viene penalizzato particolarmente, ma non esclusivamente, il settore del lavoro domestico e dei servizi alla persona, che reclama una presenza sempre maggiore di lavoratori stranieri, a motivo del calo ed invecchiamento della nostra popolazione e della crescente immissione della donna in attività extradomestiche. Non ha senso in questo e in simili settori la chiamata nominativa di persona lontana e per di più sconosciuta o la scelta casuale della colf dalle liste di prenotazione: questo è un campo dove deve instaurarsi un rapporto fiduciale tra lavoratore e datore di lavoro, il quale  non può mettere la propria casa, compresi infermi, anziani e bambini, in mano a persona del tutto ignota. Che questa forma di ingresso si presti ad abusi più di altre forme di chiamata numerica o nominativa, oppure contribuisca ad allargare le sacche di disoccupazione, è tutto da dimostrare; sembra anzi avvenga proprio il contrario, poiché si creano di fatto quelle “catene migratorie” che nella storia delle migrazioni anche italiane sono state la via maestra per un’immigrazione bene integrata e a minimo costo sociale. Infatti il sostegno offerto dallo sporsor costituisce una garanzia a copertura di qualsiasi eventuale costo nella fase iniziale di inserimento (vitto, alloggio, salute) e valorizza le capacità di integrazione che anche gli immigrati regolari sono capaci di esprimere.  In Stati a lunga esperienza migratoria, come USA e Canada, l’utilizzo della sponsorizzazione per gli ingressi fa parte delle scelte di fondo della politica migratoria. Se proprio si teme che aumenti in tal modo la disoccupazione, il che va dimostrato, si limiti la possibilità di sponsorizzazione a quelle zone o a quelle mansioni in cui si registra una persistente e acuta carenza di manodopera.

 

3. I ricongiungimenti familiari sono colpiti da restrizioni a confronto della norma  oggi in vigore in Italia e in elaborazione nell’UE:  vengono infatti esclusi i genitori a carico qualora i figli siano più di uno; vengono pure esclusi i parenti fino al terzo grado, inabili al lavoro, anche se a carico dell’immigrato. Non è in tal modo tutelato a sufficienza il diritto all’unità familiare garantito dalla nostra Costituzione e da diverse convenzioni internazionali cui l’Italia ha aderito. Ciò tuttavia che maggiormente preoccupa è il fatto che la precarietà della condizione giuridica e lavorativa dello straniero sopra enunciata pone gravi ostacoli anche agli altri familiari aventi titolo al ricongiungimento.

 

4. L’espulsione immediata diventa regola generale per via amministrativa. Per quanto sia legittimo, come si è già rilevato, l’obiettivo di fondo di contrastare il più possibile l’immigrazione clandestina e di rendere efficaci le espulsioni, è inaccettabile la scelta dei mezzi che si intende adottare, in particolare la sommaria procedura che comporta l’accompagnamento immediato alla frontiera come misura amministrativa nella totalità dei casi, senza effettiva possibilità di ricorso e senza preventiva pronuncia del giudice. Tale provvedimento sbrigativo appare in contrasto con l’articolo 13 della Costituzione, come ha dato recentemente conferma la Corte Costituzionale (cfr.  Sent. N. 105/2001). Lo Stato, per escludere le presenze irregolari dal suo territorio, trovi altre vie che non ledano la libertà personale e il diritto alla difesa. E’, ad esempio, in suo potere rafforzare, di concerto con gli altri Stati dell’area Schengen, il controllo delle frontiere comuni; trattenere il clandestino nei centri di permanenza temporanea finché il giudice non si sia pronunciato, in tempi brevissimi, sul suo accompagnamento alla frontiera o sul prolungamento della sua permanenza in detti centri; stipulare e rendere effettivi gli accordi bilaterali o multilaterali di riammissione dell’espellendo nel Paese di origine o di provenienza. E’ ancora in potere dello Stato potenziare (e sollecitare su questa linea i partners europei) la cooperazione per lo sviluppo dei Paesi ad alta pressione emigratoria e rallentare la spinta degli ingressi clandestini con una maggiore apertura per gli ingressi regolari, nei limiti consentiti dal nostro mercato di lavoro.

 

5. Quanto al reato di immigrazione clandestina, intesa sia come reingresso dell’espulso sia come permanenza in Italia dell’espellendo, vi sono positivi indizi che la proposta venga perlomeno ridimensionata. Come linea di principio, se l’irregolarità di soggiorno non viene aggravata da altre complicazioni già perseguibili penalmente, il comune sentire in ambito ecclesiale è lontano dal ritenere l’immigrato che è irregolare per soggiorno come un criminale. Per la stragrande maggioranza di questi irregolari si tratta, come si esprime il Papa, di un “esodo della disperazione” per istinto di sopravvivenza. Recentemente  la Commissione delle Conferenze Episcopali della Comunità Europea (Comece) ha chiaramente affermato che “chiunque  esercita il diritto di cercare migliori condizioni di vita non dovrebbe essere considerato come criminale solo per questo”. La stessa Convenzione ONU di Palermo del dicembre scorso contro il crimine organizzato, approvata anche dall’Italia,  afferma che “l’immigrazione, come fatto in sé, non è un reato e quindi non può essere perseguita per via giudiziaria”.

 

6. Lo straniero rischia di essere penalizzato per inadempienze o trasgressioni altrui. Si possono citare due casi riguardanti rispettivamente lo Stato ed i semplici cittadini. Primo caso: l’espellendo, che non può essere rinchiuso in un centro di permanenza per indisponibilità di posti, riceve l’intimazione a lasciare l’Italia entro 5 giorni;  questo straniero, se è privo di mezzi per far ritorno al suo Paese, viene incriminato e incarcerato per un periodo da sei mesi ad un anno; con la nuova legge non si tratterà di caso ipotetico o raro, potrà anzi interessare decine di migliaia di stranieri; e quand’anche la legge non venisse di fatto applicata per evitare l’intasamento delle carceri o perché interviene un “giustificato motivo”, la norma così come suona non mancherà di imprimere sullo straniero il marchio del reato, che lo renderebbe meritevole del carcere. Un altro caso, ancora più frequente, riguarda il datore di lavoro che licenzia lo straniero regolare per assumerne un altro in nero: ne consegue che il licenziato, perdendo il posto di lavoro, perde anche il titolo per il rinnovo del soggiorno. Inoltre la più facile carcerazione dell’immigrato, anche per il solo fatto di essere irregolare, metterà più crudamente in evidenza la drammatica condizione, già ora in atto, degli extracomunitari detenuti, penalizzati in vario modo a confronto dei detenuti italiani, ad esempio per la mancanza di alternative al carcere, per le difficoltà di avvalersi di una valida tutela legale, per le scarse opportunità di occupare il tempo e di porsi in contatto con l’esterno.

 

7. Il diritto di asilo, a parte l’incongruità della sua trattazione in calce alle norme sull’immigrazione, viene quasi cancellato, proprio in questo 2001 in cui si celebra il 50° Anniversario  della Convenzione  di Ginevra,  sottoscritta ora in pieno anche dall’Italia.  Il tema è di tale importanza che esige una più ampia, per quanto rapida, riflessione.

Non si comprende come si possa racchiudere in due soli articoli una materia di tanta gravità e complessità, sulla quale era già stato approvato un disegno di legge dalla Camera lo scorso 7 marzo ed era in ultima fase di approvazione anche al Senato. Questa materia per di più è garantita, oltre che dal diritto internazionale e comunitario, dalla stessa Costituzione italiana la quale, peraltro, va oltre quanto previsto dalla Convenzione di Ginevra che si limita a riconoscere lo “status” di rifugiato agli stranieri che temono a ragione di essere individualmente perseguitati. Infatti l’art. 10, comma 3 della Costituzione estende in diritto di asilo  a tutti coloro ai quali non sia altrove garantito l’effettivo esercizio delle libertà democratiche a causa di guerre, conflitti civili, violazione generalizzata dei diritti fondamentali, disordini gravi e generalizzati, carestie, calamità naturali, ecc., situazioni oggi sempre più frequenti e all’origine di esodi di massa. Merita di essere sottolineata questa sintonia di impostazione tra Costituzione italiana e documenti della S. Sede, in particolare “I rifugiati: una sfida alla solidarietà” del 1992.

Quanto al diritto comunitario, sono già approvate o in fase di approvazione una serie di Direttive, dalle quali molto si scosta il ddl e alle quali l’Italia dovrà adeguarsi entro la fine del 2001. Non sembra razionale che sull’asilo si introduca una nuova disciplina, la quale non potrà entrare in vigore che ad anno molto inoltrato nel 2002, quando cioè già urgono i tempi per adeguarsi alle norme comunitarie.

Né si dica che si tratta di norme transitorie e parziali in attesa di una legge organica in materia, rese urgenti, come si legge nella presentazione del ddl, “al fine di non consentire che tale istituto sia utilizzato impropriamente, al solo scopo di procrastinare o di evitare un provvedimento di allontanamento per irregolarità di soggiorno”. La nuova disciplina infatti viene di fatto ad estendersi alla totalità dei richiedenti asilo; che se è urgente porre rimedio in casi particolari ad abusi, si provveda a contrastare gli abusi per altra via, senza mettere mano a tutta la disciplina di asilo.

Ciò che più preoccupa nel d.d.l. è la “procedura semplificata” e “accelerata” che porta a decisioni alle quali, se l’esito è negativo, segue l’espulsione immediata, senza possibilità di ricorso con  effetti sospensivi; in casi particolari è previsto il ricorso, non al giudice ma al prefetto il cui responso è inappellabile. Viene così vanificata l’essenza stessa del diritto di asilo che comporta sia la possibilità di accedere a una seria procedura, sia l’esame da parte di un organo che possa giudicare del caso con imparzialità e competenza, qualifiche per le quali la Commissione, così come viene presentata, non dà sufficienti garanzie, non essendo questa un’autorità “terza” rispetto a quella che ha già rigettato la domanda e non avendo  di conseguenza una effettiva autonomia valutativa e decisionale.

Come criterio minimo si chiede non venga usato il medesimo rigore e la medesima procedura per chi chiede asilo avendo già a suo carico un provvedimento di espulsione, da chi è sorpreso e fermato alla frontiera (il richiedente asilo infatti quasi per definizione è un “irregolare”, non potendo approdare in Italia  per vie regolari e con carte in regola) e soprattutto da chi, regolare o meno, si presenta spontaneamente alle forze dell’ordine per chiedere l’asilo.

 

 

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Sia ora consentito, in base a quanto esposto, esprimere una valutazione generale. Il Presidente della CEI, il Card. Camillo Ruini, il 25 settembre in apertura del Consiglio Episcopale Permanente, ha fatto una breve allusione al disegno di legge: “Un questione aperta e assai delicata è quella delle normative che devono regolare l’immigrazione, sulle quali il Governo ha da pochi giorni licenziato un disegno di legge orientato in senso piuttosto restrittivo”.  Sta il fatto che queste misure restrittive rendono tutto l’impianto legislativo notevolmente sbilanciato: il prevalente obiettivo di contrastare l’immigrazione clandestina rischia di dare il tono dominante a tutta la legge e alla conseguente azione delle Pubbliche Istituzioni, rischia soprattutto di deformare nella società italiana l’immagine stessa dell’immigrato, quasi fosse un minor male da sopportare solo nella misura richiesta dalle nostre esigenze economiche e demografiche, un soggetto potenzialmente pericoloso per l’ordine pubblico, forza lavoro che non lascia trasparire il volto umano di chi, col suo carico di problemi spesso drammatici, viene tra noi.

 

            Nella  “Relazione illustrativa”, che accompagnava la bozza di ddl fatta circolare ai primi di settembre, si legge: “Siamo certi che il fenomeno migratorio appartiene al nostro presente e ancor più al nostro futuro… L’immigrazione è per l’Italia, oltre che un’occasione per manifestare solidarietà a chi si trova in difficoltà, una necessità per la sua sopravvivenza: è un fenomeno con il quale dobbiamo imparare a convivere per molti e molti anni, essendo iscritta nel nostro futuro per almeno due generazioni. Il problema dunque non riguarda il se dell’immigrazione, che è risolto dai fatti, ma il come, cioè la disciplina del fenomeno”. Parole nobili, che però più non figurano nella relazione che accompagna il testo definitivo trasmesso al Senato. Si spera tuttavia che l’istanza di solidarietà, di convivenza e di senso civico, espressa da queste parole, rimanga in chi ora deve decidere e appaia nel testo legislativo con maggiore trasparenza.

 

 

Il Presidente della CEI, nel citato intervento al Consiglio Episcopale Permanente enumera i principali obiettivi che la legge in oggetto deve tenere presenti e conclude: “Per la realizzazione  di ciascuno  di questi  obiettivi…  resta  indispensabile  e  preziosa l’opera  di solidarietà e di volontariato, alla quale le comunità e le organizzazioni ecclesiali hanno portato e continueranno a portare tutto il loro contributo”.

 

Un contributo che la Caritas Italiana e la Fondazione Migrantes, anche a nome di tante altre associazioni di ispirazione cristiana,  volentieri sono disposte ad anticipare “in lege condenda”.

Allegato

 

ALCUNI SUGGERIMENTI CONCRETI DI MODIFICA DELLA’RTICOLATO

 

I seguenti appunti con proposte di emendamento vengono segnalati da Caritas Italiana e Fondazione Migrantes quale risultato di un attento studio del disegno di legge da parte di esperti e di giuristi di loro fiducia

 

 

Art. 1 – Cooperazione con gli Stati stranieri

Comma 1 – E’ apprezzabile quanto viene disposto per favorire le elargizioni per iniziative umanitarie, ma non è il caso di riservare al provvedimento il primo articolo; potrebbe essere collocato al capitolo III, come norma transitoria al fine del suo inserimento tra le leggi finanziarie o tributarie. Si specifichi che il provvedimento è finalizzato alla progressiva riduzione dei fattori economici, sociali e politici che inducono le persone ad emigrare o ad un positivo reinserimento in patria degli stranieri emigrati in Italia.

 

Art. 3   Politiche migratorie

Opportuno il termine del 31 dicembre per il decreto che determina le quote per l’anno seguente ma, per evitare inutili slittamenti dovuti ad altre fasi della procedura (parere di organi istituzionali, emanazione definitiva, registrazione della Corte dei conti), sarebbe opportuno precisare che la data indicata si riferisce alla definitiva pubblicazione del D.P.C.M. Quanto ad eventuali ulteriori decreti o al provvedimento con cui si supplisce alla mancata programmazione annuale, si dovrebbe precisare se e come il Presidente del Consiglio acquisisce i pareri degli organismi di cui all’inizio dell’articolo.

 

Art. 4 – Permesso di soggiorno

In genere: l’articolo riproduce nella sostanza l’art. 5 del T.U.; la stessa espressione “contratto di soggiorno” sembra, come s’è già detto, un’operazinone d’immagine, di scarsa concretezza ed efficacia, senza vere novità: infatti già ora, in base all’art. 22, c. 8 del T.U., l’ingresso per motivi di lavoro richiede l’esistenza di un contratto di lavoro stipulato in antecedenza con lo straniero, mentre per il lavoratore autonomo l’art. 26 esige precise autorizzazioni e le capacità economiche per svolgerlo.

Comma 3-ter: Si precisi per legge in base a quali criteri viene individuato l’abuso, per non lasciare illiminata discrezionalità ossia arbitrarietà all’apparato amministrativo.

Comma 3-quater:  E’ opportuno conformarsi già fin d’ora alla prossima normativa europea che stabilisce 3 anni

Comma 4: l’anticipare a 60 o 90 giorni la richiesta del rinnovo per permesso di soggiorno, ora fissato a 30, risulta un ulteriore ostacolo burocratico all’integrazione dello straniero e riduce pesantemente il tempo a sua disposizione per trovarsi un nuovo posto di lavoro in caso di disoccupazione.

Inoltre il dover ricorrere al questore della provincia di residenza anziché a quello di attuale dimora porta allo straniero gravi complicazioni non solo per gli inutili spostamenti ma pure per il fatto che l’iscrizione anagrafica (che comporta la residenza) non è obbligatoria per lo straniero. Perciò si ritorni al T.U.

Anche la durata del permesso rinnovato  rimanga quella del T.U., cioè di norma il doppio del primo permesso; non riconoscere questa progressività dei diritti rafforza la precarietà, già molto accentuata, della condizione del lavoratore migrante, oltre a comportare il complicarsi delle procedure burocratiche già molto intasate, a danno del lavoratore e della stessa macchina amministrativa.

 

Art. 5  - Contratto di soggiorno per lavoro subordinato.

Come già osservato, il “contratto di soggiorno” porta a una forte discriminazione del lavoratore straniero nei confronti dell’italiano, in contrasto con lo spirito e la lettera del dettato costituzionale e di convenzioni internazionali.

Va comunque soppresso l’impegno richiesto al datore di lavoro di pagare le spese di viaggio, non serve certamente a incoraggiare le assunzioni regolari; o perlomeno si precisi a chi spetti pagare queste spese nel caso che lo straniero abbia lavorato alle dipendenze di più datori di lavoro.

 

Art. 6 – Circa il passaggio dal pds per studio a pds per lavoro

Imporre al datore di lavoro di garantire la sistemazione logistica e le spese per il rientro in patria che per lo studente, che è in Italia probabilmente da diversi anni, è misura eccessivamente onerosa e non tiene conto che lo studente, per legge, deve già disporre di un minimo di mezzi economici e di alloggio.

 

Art. 7 – Sanzioni per l’ospitante o datore di lavoro per la mancata comunicazione

Viene ripristinata la sanzione pecuniaria (dell’abrogato art. 147 T.U. delle leggi di P.S.) se l’ospitante o il datore di lavoro non segnala l’ospite. Quanto ai datori di lavoro si tratta di una duplicazione inutile, perché essi sono già tenuti entro 5 giorni a segnalare ai servizi per l’impiego lo straniero con cui hanno stipulato il contratto di lavoro; sarebbe sufficiente la comunicazione di ufficio tra servizi per l’impiego e questura.

 

Art. 8   Carta di soggiorno

Si propone di lasciare i 5 anni come tempo utile per ottenere la carta di soggiorno, la quale è soggetta a diverse altri requisiti restrittivi. La proposta, contenuta nella direttiva europea in fase di definizione e già avanzata anche dall’ANCI non è stata recepita nel ddl, perché “non sarebbe in linea con l’indirizzo di politica legislativa a cui è improntato l’intero provvedimento”: una ragione che non convince, anche perché in contrasto con la direttiva europea in elaborazione, che propone appunto 5 anni.

Inoltre sembrerebbe più logico rivolgersi, per la carta di soggiorno, al neo-costituito Sportello unico per l’immigrazione e non più alla questura.

 

Art. 10 – Disposizioni contro le immigrazioni clandestine. Modifiche  al TU, art. 12

Comma 1: Estende opportunamente la sanzione per chi favorisce “l’ingresso degli stranieri, èresenti illegalmente in Italia, nel territorio di altro Stato” a tutti quelli che favoriscono l’ingresso illegale in altro stato agli stranieri anche legalmente presenti.

Comma 3: Va bene la riformulazione, ma è necessario dopo “utilizzando” aggiungere “ovvero” altrimenti l’utilizzo di mezzi di trasporto internazionale o di documenti contraffatti cessa di essere figura autonoma di reato come invece è nel T.U. In altri termini senza “ovvero” verrebbe punito in modo più lieve di oggi chi favorisce l’ingresso a fine di lucro o in concorso con altri senza però utilizzare mezzi di trasporto di linea o documenti contraffatti.

Comma 3-bis : Va conservata la dura sanzione, già presente nel T.U., anche per chi favorisce l’ingresso di minori da destinare ad attività illecite e sfruttamento.

 

 

N.B.  Dovrà, qui o in altra parte, essere recepita la Direttiva del Consiglio Europeo (approvata il 28 giugno 2001) che integra quanto stabilito da Schengen sulle sanzioni nei confronti dei vettori che trasportano clandestini. In qualche articolo si dovrà adeguare le nostre norme a queste innovazioni della normativa comunitaria.

 

Art. 11 – Espulsione amministrativa

Viene modificata profondamente la disciplina dei provvedimenti amministrativi di espulsione previsti dall’art. 13 del T.U.

In genere e specialmente in rif. al comma 4: si riconferma la contrarietà per l’espulsione amministrativa immediata e generalizzata, salvo una sola rara eccezione. Perciò al comma 4 si deve affermare che il provvedimento richiede la previa convalida da parte dell’autorità giudiziaria”. Infatti l’espulsione coatta, come conferma la Corte costituzionale (n. 105/2001), è limitativa della libertà personale, per cui non basta un decreto del prefetto deve intervenire un decreto del giudice.

 

NB: Il provvedimento è certamente di grande effetto sulla gente comune, ma si deve porre fortemente in dubbio che dal provvedimento repressivo essa venga maggiormente rassicurata e tranquillizzata: anzi la “caccia sistematica al clandestino”, l’espulsione o l’imprigionamento di massa - così almeno secondo il dettato della legge, anche se in pratica ciò non può avvenire - non può che destare maggiore allarme ed agitazione non soltanto tra gli immigrati. Inoltre, per dare effettiva esecuzione al provvedimento, un esorbitante contingente di forze dell’ordine verrebbe assorbito nel fare il pendolare tra le questure, i campi di permanenza, le frontiere e i Paesi di destinazione degli espellendi, con conseguente sottrazione di forze al controllo del territorio e incalcolabile dispendio economico. Il controllo del territorio è certamente un’esigenza prioritaria a confronto dell’esecuzione coatta dell’espulsione.

Comunque l’espulsione coatta, come conferma la Corte costituzionale (n. 105/2001), è limitativa della libertà personale; pertanto anziché il decreto del prefetto esige un decreto del giudice, lo stesso giudice della convalida del trattenimento provvisorio. Perciò al comma 4 va fatta l’aggiunta: “Previa convalida da parte del giudice”.

 

Nuovo comma 3 più comma 3-sexties: così come formulati vengono a privilegiare il clandestino imputato di reati di media gravità (furto, ecc) al cittadino italiano e allo straniero con carta di soggiorno: per questi infatti, rei di tali reati, è previsto il carcere, per clandestino invece l’espulsione e non il carcere. Non giustifica questa disparità di trattamento la preoccupazione dello sfoltimento penitenziario.

Comma 4: L’art. 1 del Prot. N. 7 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo (22 nov. 1984), ratificata e resa esecutiva in Italia con legge n. 98/1990, impone di lasciare agli stranieri già regolarmente soggiornanti un termine per potersi difendere contro l’espulsione, prima che questa sia eseguita. Perciò il “beneficio” previsto dal comma (intimazione a lasciare l’Italia entro 15 giorni) deve riguardare tutti costoro e non soltanto coloro il cui permesso di soggiorno è scaduto da oltre 60 giorni.

Comma 14: Per il rientro dell’espulso va ripristinato il termine di cinque anni o una durata da proporzionare alla gravità del motivo di espulsione. Inoltre l’eventuale riduzione della durata deve restare di competenza non del prefetto, ma del giudice su richiesta dell’interessato, per evitare una eccessiva discrezionalità del potere amministrativo.

 

 

Art. 12 – Esecuzione dell’espulsione

Comma 5: nella totalità dei casi se non sono stati sufficienti 20 o 30 giorni di trattenimento, non lo saranno nemmeno 60. Questo prolungamento, lesivo della libertà personale, non pare dunque sufficientemente giustificato.

Comma 5-ter: Tra i “giustificati” motivi che esimono dalla incriminazione di reato dovrebbero annoverarsi i motivi non dolosi, cioè quelli che hanno obiettivamente impedito allo straniero di uscire dall’Italia, indipendente mente dalla sua volontà., e tra questi – come già detto – anche la mancanza di mezzi economici per affrontare il viaggio di rientro.

Comma 5-quater e 5-quinquies: si è contrari per principio alle due sanzioni detentive così come formulate. Dal punto di vista pratico, potrebbero con gestionareintaserebbero all’inverosimile le carceri. Tali sanzioni, benché in pratica inapplicabili perché potrebbero congestionare al di là di ogni limite sopportabile le carceri, avrebbero l’effetto deleterio di confermare l’opinione pubblica che l’Italia è infestata da criminali in stato di libera circolazione.

 

Art. 13 – Espulsione a titolo di sanzione sostitutiva

In genere: norma opportuna, ma dovrebbe essere detto espressamente che tale espulsione non è applicabile agli stranieri che si trovino nelle condizioni per le quali è previsto il divieto di espulsione (cfr. art. 19 T.U.).

 

 

Art. 15 – Lavoro subordinato e autonomo

In genere: L’articolo sembra contrastare in diversi punti con le progettate norme comunitarie (COM (2001) 386 dell’11 luglio 2001); necessita l’adeguamento.

Inoltre le “novità” introdotte non sono di fatto novità, perché corrispondono quasi in tutto all’art. 22 del T.U. Ci si limiti a enunciare le vere novità, altrimenti non si fa che indurre a confusione.

Comma 3 – Venga tolta la lettera c), relativa all’impegno del datore di lavoro a pagare le spese di ritorno del suo dipendente. Tale clausola era già stata soppressa nel 1986. Essa è un onere eccessivo, che irrigidisce il mercato di lavoro e incentiva l'irregolarità.

Comma 4 – Anche la direttiva europea  introduce la verifica della indisponibilità, ma c’è da domandarsi se nel caso italiano questa verifica non sia già contenuta nel sistema di determinazione delle quote d’ingresso. Si tenga presente che il criterio di verifica dell’indisponibilità in confronto a quello attuale della programmazione vanifica la possibilità della chiamata nominativa, in quanto il datore di lavoro si troverebbe costretto all’assunzione del lavoratore che viene avviato  al lavoro dai centri per l’impiego, secondo non lo specifico nominativo, ma secondo una graduatoria.

Comma 11 – In caso di perdita del lavoro, si lasci ad un anno e non si riduca a 6 mesi il tempo per cercare altro lavoro e frequentare corsi professionali.

Comma 12 – Non si scarichi sul datore di lavoro il controllo se il permesso di soggiorno del suo dipendente sia scaduto, revocato o annullato.

Comma 13 – Non venga soppressa  la facoltà ora vigente per  il lavoratore che rientra in patria di riavere indietro i contributi previdenziali versati in suo favore, maggiorati del 5% annuo. Questa diventerà norma europea. Sembra inoltre contrastare con l’art. 3 Cost.  a pretesa dello Stato di incamerare i contributi di chi deve rientrare in Patria prima di aver i requisiti per la pensione di anzianità o di vecchiaia o di invalidità.

 

 

Art. 16 – Prestazione di garanzia per l’accesso al lavoro

Rimanga l’art. 23 del T. U. sulla possibilità della sponsorizzazione, come già proposto.

 

Art. 18 – Ingresso e soggiorno per lavoro autonomo

Disposizione opportuna, ma non sembra vada riferita soltanto ai lavoratori autonomi, bensì a tutti gli stranieri. Inoltre dovrebbe colpire anche coloro che, cittadini italiani compresi, forniscono merce contraffatta.

 

Art. 19 – Attività sportive

Sembra norma superflua, perché già ora il Ministero competente ha facoltà di intervenire determinando il limite massimo.

 

Art. 20 – Ricongiungimento familiare

Si lasci inalterato il dispositivo del T. U.

 

Art. 23 – Disposizioni di contrasto ai matrimoni simulati.

L’ingerenza dello Stato in tale materia deve essere effettuata con la massima cautela per non incorrere in violazione del diritto di formare una famiglia, garantito a tutti dagli artt. 29, 30, 31 e dalle norme internazionali (cfr. art. 12 Convenzione europea dei diritti dell’uomo). Questo bene costituzionalmente tutelato non va affidato alla gestione dell’autorità di pubblica sicurezza, ma agli ufficiali di stato civile e agli uffici del pubblico ministero che a norma di legge sovraintendono a tutta la materia matrimoniale.

L’accertamento va fatto prima del matrimonio, ad ogni modo va sottratta ogni competenza di intervento, circa il permesso di soggiorno, all’autorità amministrativa.

 

 

Artt. 24 e 25 – Disposizioni in materia di asilo

Si ribadisce che i due articoli vengono di fatto a vanificare il diritto di asilo. Perciò

in prima istanza si chiede che venga stralciata tutta questa materia sull’asilo, rinviandola ad apposito disegno di legge sintonizzato con la Costituzione e le Direttive comunitarie già approvate o di prossima approvazione.

In seconda istanza, si propone di riscrivere l’intero articolato tenendo conto delle osservazioni critiche e delle proposte sopra presentate al n. 7 (pag. 6-7), nonché quelle che venissero presentate dall’Acnur, sulle quali si trovano consonanti altre associazioni e organismi attivi in questo campo, tra le quali la Caritas Italiana e la Fondazione Migrantes.

Tra i più rilevanti emendamenti all’art. 25, riteniamo i seguenti:

Art. 1-bis/comma 1 e comma 4: Per il trattenimento anche negli appositi centri per richiedenti asilo deve intervenire la convalida giurisdizionale prevista all’art. 14 del TU.

Art. 1-bis/comma 2, a) – Sia riformulata la parte finale “o, comunque in condizioni di soggiorno irregolare”, per non mettere alla stressa stregua chi viene fermato dalle forze dell’ordine e portato in questura, da chi si presenta spontaneamente alle forze dell’ordine o alla questura.

Art. 1-ter/comma 6 – Si ripropone l’effetto sospensivo del ricorso o almeno che venga attribuita al giudice e non prefetto la sentenza sulla sospensione dell’allontanamento.

 

 

 

APPENDICE

 

1. Una proposta di regolarizzazione è già stata avanzata da più parti. In linea di principio si è contrari alle frequenti sanatorie perché in se stesse sono un “vulnus legis”; nel caso attuale poi potrebbero distogliere l’attenzione dal problema principale che non è la regolarizzazione di chi non è in regola col soggiorno, ma l’assicurare la certezza del diritto a chi è regolarmente presente in Italia.

Tuttavia in concreto è consigliabile, se non addirittura indispensabile, una provvedimento di regolarizzazione circoscritto da chiare condizioni e limitazioni, non però riservata a una sola categoria di stranieri, ad esempio agli addetti alla collaborazione familiare e alla cura delle persone.

 

Realisticamente si deve prendere atto che un’espulsione di massa di qualche centinaia di migliaia di stranieri è assurda, che la stagnazione troppo prolungata in condizioni di clandestinità è nocivo per gli stranieri e per l’intera società italiana, che le sacche di clandestinità alimentano di fatto anche le varie forme di devianza, che gli ingressi clandestini come pure il ritorno in condizione di irregolarità è dovuto, come già accennato, molto più a disfunzioni, “inadempienze o trasgressioni” delle nostre pubbliche amministrazioni o dei privati cittadini che alla calcolata decisione degli immigrati.

 

Quale condizione fondamentale va posta la presenza in Italia del candidato alla regolarizzazione in data antecedente l’approvazione definitiva del disegno di legge. Tale prova di presenza dovrà essere fornita da documenti e atti provenienti dalla pubblica amministrazione od anche con documenti nominativi dello straniero, aventi data certa (ad esempio versamenti in denaro quali rimesse al suo Paese).

La richiesta di regolarizzazione potrà essere presentata dallo straniero che non ha avuto a che fare con la giustizia per motivi seri o che non sia stato espulso per motivi di ordine pubblico, che possa dimostrare di poter essere regolarmente assunto da un datore di lavoro, particolarmente per attività di lavoro domestico e di cura o che sia già stato titolare di permesso di soggiorno attualmente scaduto.

 

 

2. Quanto ai detenuti stranieri sarebbe opportuno qualche provvedimento ad attenuare la loro particolare condizione di disagio che li penalizza nei confronti dei detenuti italiani a causa soprattutto della mancanza di formule alternative al carcere, della scarsa o nulla conoscenza della lingua italiana, dell’ignoranza delle leggi, dell’indisponibilità degli avvocati a difenderli nei processi, del difficile rapporto tra i detenutiti stranieri di paesi diversi e degli stessi con i detenuti italiani.

 

 

3. Si dovrà accertare che i contributi previdenziali di un lavoratore rimpatriato alla scadenza del contratto di soggiorno possano essere cumulati con quelli che lo stesso lavoratore maturerà nel caso di un suo secondo o terzo contratto di soggiorno.