MIGRACTION EUROPA
Bollettino
di analisi sulle politiche migratorie in Europa
prodotto dal CeSPI nel quadro del programma MIGRACTION
realizzato con il sostegno di
Compagnia di San Paolo
Monte dei Paschi di Siena
Ministero degli Affari Esteri
Con questo numero, il CeSPI inaugura una serie di analisi periodiche
sulla politica migratoria in Europa, elaborate e diffuse nel quadro del
programma di ricerca e riflessione MIGRACTION.
Le politiche in materia di immigrazione e di asilo, nello spazio
europeo, stanno attraversando una fase di profonda trasformazione. Come, e
forse più che in altri campi, quello che succede a Bruxelles e nelle
altre capitali europee (nonché nei principali paesi di emigrazione) ha
ripercussioni immediate in Italia. Ne sono influenzati il dibattito politico,
il diritto e le prassi amministrative, ma anche l’attività di
gruppi e associazioni, e soprattutto l’esistenza quotidiana delle
centinaia di migliaia di stranieri che abitano nel nostro paese.
Ma per quanto ci tocchi da vicino, l’europeizzazione della
politica migratoria rimane un processo lontano e complesso. Orientarsi, prendere
posizione, partecipare in qualche modo risulta estremamente difficile. I veri
decision-makers si contano sulle dita di poche mani; per il resto, cambiamenti
di grande portata vengono recepiti a posteriori, come dati di fatto a cui
adattarsi.
Lo scopo di MIGRACTION
EUROPA è di contribuire a correggere questa tendenza; di fornire chiavi
di lettura agili e aggiornate a chi si occupa, a vario titolo, di migrazioni in
Italia; nella convinzione che solo da una consapevolezza e da una
partecipazione diffuse possa nascere una politica migratoria davvero equa,
efficace e sostenibile.
Politica migratoria comune:
verso un primo bilancio p.
1
Risultati raggiunti e impasse strutturali p.
2
I cantieri nazionali p.
4
L’Italia e la politica migratoria comune p. 6
Politica migratoria comune:
verso un primo bilancio
Più di quattro
anni sono passati da quando, nel giugno del 1997 ad Amsterdam, i leader europei inclusero nei trattati
l’obiettivo di “comunitarizzare” le politiche in materia di
immigrazione e asilo. Sono passati tre anni da quando il Consiglio di Vienna
approvò un Piano d’azione dettagliato in materia e un biennio
abbondante da quando, a Tampere, il Consiglio europeo volle iniettare una dose
ulteriore di volontà politica nell’intero processo di
comunitarizzazione. Un anno fa, con le comunicazioni gemelle rispettivamente
dedicate a immigrazione [COM(2000) 757] e asilo [COM(2000) 755] la Commissione
enunciava le linee-guida fondamentali della sua strategia di azione nei due
ambiti (questi e altri documenti di base sono reperibili in www.europa.eu.int/comm/justice_home/unit/immigration_en.htm).
Insomma, il tempo
passa e da più parti si fa sentire l’esigenza di tracciare un
bilancio di questo processo di riforma, che sulla carta ha portata
rivoluzionaria, ma nella pratica presenta un andamento incerto, poiché
rimane ancorato al consenso unanime dei Quindici su ogni singolo passaggio.
L’esigenza di
fare un bilancio è iscritta anche nell’agenda ufficiale delle
istituzioni europee. Nel documento conclusivo del vertice di Tampere, i capi di
Stato e di Governo europei si erano espressamente dati un nuovo appuntamento
nel dicembre 2001, al fine di svolgere un “dibattito approfondito per
valutare lo stato di avanzamento” del processo di edificazione di uno
“spazio di libertà, sicurezza e giustizia” in Europa,
all’interno del quale si colloca il percorso di comunitarizzazione delle
politiche migratorie.
Sarà dunque a
Laeken, in Belgio, il 14 e il 15 dicembre prossimi, che i governi europei
effettueranno il loro bilancio ufficiale. Il documento che ne scaturirà
sarà ovviamente il frutto di una mediazione: ciascun paese valuta
infatti diversamente i progressi fatti. Per quanto riguarda il Belgio, che
detiene la presidenza a rotazione dell’Unione, il Primo Ministro
Verhofstadt - in occasione della Conferenza sulle Migrazioni svoltasi a
Bruxelles il 16 ottobre scorso - ha ammesso: “non abbiamo progredito
quanto avremmo voluto”.
Quanto alla
Commissione, anch’essa ha anticipato il suo bilancio, non certo
soddisfatto. Nell’Introduzione all’ultima versione del
“Quadro di controllo per l’esame dei progressi compiuti nella
creazione di uno spazio di ‘libertà, sicurezza e giustizia’
nell’Unione europea” [COM(2001) 628, 30 ottobre 2001],
l’esecutivo europeo addita proprio la politica migratoria quale esempio
negativo di quelle aree in cui la rigidezza degli Stati membri rallenta lo
sviluppo di una politica comune, pregiudicandone così la
credibilità presso l’opinione pubblica e la stessa efficacia
potenziale.
Ma l’esigenza
di un bilancio non riguarda solo gli attori istituzionali. Il processo di
comunitarizzazione investe uno snodo fondamentale del rapporto tra
autorità e individui (non solo stranieri). Laddove una società
civile esiste, le politiche europee in questo campo dovrebbero essere un suo
terreno privilegiato di riflessione e di intervento. Purtroppo, non è
sempre così. In alcuni paesi di vecchia immigrazione, operano da tempo
organizzazioni - come lo European Council on Refugees and Exiles (www.ecre.org/policy/eu_developments.shtml) e il Migration Policy Group (www.migpolgroup.com/amsterdam/adampublicat.html) – che “coprono”
(più o meno) adeguatamente i passaggi cruciali del percorso di
comunitarizzazione.
In Italia, invece, la
tecnicità e la relativa rapidità del processo continuano a
rappresentare ostacoli di difficile superamento. Sul piano
dell’informazione, il notiziario prodotto dall’Associazione per gli
Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI) per conto della Provincia di
Torino (www.provincia.torino.it/xatlante/ne201001.htm) è uno strumento accurato e
prezioso. Ma continua a rimanere debole l’anello successivo, quello che
dovrebbe elaborare le informazioni, trasformandole in analisi, prese di
posizione e campagne di opinione.
Risultati
raggiunti e impasse strutturali
La delusione per il
ritardo accumulato non deve impedire di vedere i passi avanti che sono stati
concretamente compiuti. Anzi, proprio l’esame di questi progressi
è il metodo migliore per distinguere le reali priorità dei governi dalle
priorità dichiarate
che però, alla prova dei fatti, recedono di fronte alla constatazione
dei costi elevati, all’urgenza del processo legislativo interno,
all’ostruzionismo delle burocrazie nazionali.
Limitandosi agli atti
adottati in via definitiva (e tralasciando dunque il vastissimo corpus delle proposte presentate dalla Commissione
e, in misura assai più ridotta, dagli Stati membri), emergono
essenzialmente due blocchi di misure:
I) Perfezionamenti
ed estensioni del “sistema Schengen”, in materia di lotta
all’immigrazione clandestina. Il nucleo principale della normativa
europea in materia di immigrazione e asilo è tuttora rappresentato
dall’acquis di
Schengen, incorporato nell'ordinamento dell'Unione ai sensi del trattato di
Amsterdam*. In seguito all'entrata in vigore di
tale trattato, l' acquis ha
rappresentato uno "zoccolo" solido su cui si sono potuti ancorare
sviluppi normativi ulteriori e mirati. In alcuni casi, si è trattato di
semplici modifiche o puntuali adattamenti di regole approvate in ambito
Schengen (per esempio, la direttiva sulle sanzioni ai vettori, GUCE L187 del 10
luglio 2001 p. 45); per altri provvedimenti - come il regolamento che
istituisce il sistema Eurodac (2725/2000/EC, in GUCE L 316 del 15 dicembre
2000) o la direttiva sul riconoscimento reciproco delle decisioni di
allontanamento (GUCE L149 2 giugno 2001 p. 34) - si deve piuttosto parlare di estensioni del "sistema Schengen" originario,
che rimangono però coerenti con l'impostazione di fondo della
Convenzione del 1990. Sulla stessa scia, diretta essenzialmente al contrasto
dell’immigrazione clandestina, si collocano altri sviluppi recenti come
il “via libera” politico dato dal Consiglio del 27 e 28 settembre
2001 alla decisione-quadro “sulla lotta alla tratta degli esseri
umani” [COM(2000) 854] e la conclusione del primo accordo europeo di
riammissione, firmato con le autorità di Hong Kong il 22 novembre 2001.
II) Sviluppi
essenzialmente simbolici o privi di ricadute immediate in materia di asilo.
All'interno del vasto programma normativo concordato dalle istituzioni europee,
solo due atti di una certa portata sono stati sinora adottati in via
definitiva. Il primo, cioè la decisione del Consiglio che istituisce il
Fondo Europeo Rifugiati (2000/596/EC, in GUCE L 252 del 6 ottobre 2000), ha una
valenza poco più che simbolica, dato l’ammontare modesto delle
somme stanziate per il co-finanziamento da parte della Comunità di
misure di rafforzamento dei sistemi nazionali di asilo. Il secondo
provvedimento approvato in questo ambito, ossia la direttiva sulla protezione temporanea
[COM(2000) 303, adottata formalmente dal Consiglio il 20 luglio 2001], pur
avendo anch’essa una indubbia rilevanza sul piano dei principi, non
sembra destinata a produrre grandi effetti pratici, almeno nel breve e medio
periodo. Affinché il Consiglio possa adottare a maggioranza qualificata
una specifica misura di protezione temporanea europea, infatti, non basta un
“afflusso massiccio di sfollati provenienti da paesi terzi” sul
territorio dell’Unione, ma occorre che sussista il rischio concreto che
il sistema d’asilo ‘ordinario’ dei paesi interessati “non
possa far fronte a tali flussi migratori senza effetti pregiudizievoli per il
suo funzionamento”. Come le dinamiche dell’esodo recente
dall’Afghanistan hanno sinora dimostrato, è ben difficile che tali
condizioni si realizzino pienamente in caso di crisi geograficamente remote
(alcune prese di posizione favorevoli ad un’entrata in vigore anticipata
della direttiva, finalizzata a far fronte a un eventuale esodo massiccio, non
hanno avuto seguito). In realtà, la protezione temporanea europea nasce
come un rimedio ex post - ormai inutile nello specifico
- alle ondate di profughi generate dalle guerre jugoslave (1991-1999). Future
occasioni di applicazione dello strumento non sono certo difficili da
immaginare (una fuga di massa dalla Cabilia algerina verso la Francia è
l’esempio che si sente fare più spesso), ma per fortuna non
appaiono incombenti.
Ciò che accomuna tutte queste realizzazioni concrete è il loro scarso impatto normativo, politico e finanziario sugli ordinamenti giuridici e sulle preesistenti politiche migratorie degli Stati membri. Rimangono invece sostanzialmente bloccate dai veti incrociati degli Stati le due grandi linee di riforma strutturale che rappresentano i veri assi portanti dell’approccio strategico seguito sinora dalla Commissione:
i) sul terreno
dell’asilo, l’insieme delle proposte presentate sinora
dall’esecutivo comunitario mira essenzialmente a riequilibrare il sistema
di protezione europeo, oggi fortemente sbilanciato tra paesi dell’Europa
centrale e settentrionale (più il Regno Unito), più ricettivi e
‘generosi’ nonostante le riforme restrittive degli ultimi anni, e
paesi meridionali, accomunati da politiche dell’asilo assai meno
sviluppate.
Ma questi ultimi
(l’Italia e la Grecia, in particolare) costituiscono anche vie
d’accesso privilegiate al territorio comunitario per un’ampia quota
dei richiedenti asilo che raggiungono il nostro continente. Per questo secondo
gruppo di paesi, un’armonizzazione dei sistemi nazionali – o anche
solo una loro convergenza verso standard minimi comuni – è destinata a generare
costi proporzionalmente assai più elevati che per gli altri partner. Tale sproporzione sarebbe particolarmente
accentuata in assenza di una revisione sostanziale dei criteri “per la
determinazione dello Stato responsabile per l’esame di una domanda di
asilo”, definiti dalla Convenzione di Dublino in modo particolarmente
gravoso per paesi “di frontiera” (come il nostro) e che la proposta
di regolamento emanata dalla Commissione nel luglio 2001 [COM(2001) 447 del 26
luglio 2001] non altera radicalmente.
ii) in materia di
immigrazione regolare, la Commissione ha proposto un’impostazione
articolata su due livelli (“two-tier approach”): sul piano normativo, l’approccio
suggerito è quello di una parziale armonizzazione delle regole nazionali
relative alle “condizioni d’ingresso e di soggiorno dei cittadini
di paesi terzi ai fini dello svolgimento di un’occupazione retribuita e
di attività di lavoro autonomo” [proposta di direttiva COM(2001)
386 dell’11 luglio 2001); su un piano più strettamente politico,
invece, lo strumento proposto è un “metodo aperto di
coordinamento” [comunicazione della Commissione al Consiglio e al
Parlamento europeo, COM(2001) 387, 11 luglio 2001) che, oltre a garantire la
trasparenza reciproca dei processi legislativi dei Quindici in materia di immigrazione,
dovrebbe promuovere una più profonda coerenza tra politiche nazionali,
attraverso l’approvazione da parte del Consiglio di Linee-guida
pluriennali a cui gli Stati
membri dovrebbero rispondere con Piani d’azione nazionali.
Sebbene l’esame
della proposta di direttiva in materia di ammissione non sia ancora cominciato
in seno al Consiglio, si può già prevedere che assai
difficilmente i due volets
dell’approccio sostenuto dalla Commissione potranno svilupparsi
simultaneamente. E’ forse possibile (oltreché auspicabile) –
sebbene si siano già delineate tenaci resistenze, in particolare di
origine burocratica, da parte di alcuni Stati membri - che già a Laeken
il Consiglio europeo dia il ‘via libera’ politico al metodo aperto
di coordinamento. Esistono invece forti dubbi sulla effettiva
possibilità di ridurre a un minimo comun denominatore, nel breve-medio
periodo, le normative nazionali in materia di ammissione. L’impasse in cui sembra trovarsi, nei negoziati
all’interno del Consiglio, il dibattito sulla proposta di direttiva in
materia di ricongiungimento famigliare [COM(2000) 624, 10 ottobre 2000] non
lascia ben sperare per la proposta già citata sull’ingresso e
soggiorno per lavoro e per quella, che la Commissione sta elaborando, in materia
di ammissione per ragioni di studio (annunciata dallo scoreboard per la prima metà del 2002).
Lo stallo decisionale
a livello europeo non riflette la situazione interna di molti Stati membri,
dove si osserva invece un notevole dinamismo, che si traduce in importanti
riforme recentemente effettuate o preannunciate. Nel tentativo di cogliere le
tendenze fondamentali all’interno di uno scenario movimentato ed
estremamente complesso, si possono distinguere i seguenti processi:
a) Diversi Stati di
immigrazione matura, in cui per molti anni i ricongiungimenti famigliari e le
diverse forme di protezione internazionale avevano rappresentato
pressoché gli unici canali di accesso regolare, hanno ormai avviato da
tempo e proseguono tuttora dei percorsi di riequilibrio che, se da un lato
rendono più rigorose le norme e le prassi in materia di immigrazione
famigliare e di asilo, dall’altro mirano ad espandere gradualmente le
opportunità di ammissione per motivi economici.
Gli ultimi e
più rilevanti sviluppi di questo tipo si sono prodotti in Gran Bretagna
e in Germania. Nel Regno Unito – il quale però mantiene, si
ricordi, un opt out di
principio rispetto al processo di comunitarizzazione, che tuttavia non esclude
la partecipazione mirata a singole iniziative – il processo di riforma
è stato lanciato dal governo sulla base di proposte precise in materia
di asilo, mentre si trova ancora ad uno stadio embrionale sul terreno
dell’immigrazione economica (una sintesi dell’iniziativa illustrata
dal ministro dell’interno David Blunkett il 29 ottobre 2001 è
reperibile in www.ind.homeoffice.gov.uk).
Anche in quest’ultimo campo, tuttavia, una svolta non potrà
tardare, in presenza di stime ufficiose circa il fabbisogno nazionale di
manodopera straniera per il 2002, che oscillano tra le 40 e le 50.000
unità (di cui solo 2.000 highly skilled).
In Germania, il
percorso di riforma – avviato nel luglio 2001 con la presentazione di un
approfondito rapporto da parte di una commissione consultiva indipendente
(“Zuwanderung gestalten, Integration fördern”, disponibile in www.bmi.bund.de/top/dokumente/Artikel/ix_48771.htm) – ha raggiunto un primo traguardo
con l’approvazione di un’ampia proposta di legge da parte del
Gabinetto federale, il 7 novembre scorso (una sintesi si trova
all’indirizzo appena indicato). Tra le numerose innovazioni ora
all’esame del Bundestag, quelle più significative in una prospettiva comparativa sono le
seguenti:
Ø
sul piano
istituzionale, una forte concentrazione di competenze in capo al costituendo
Ufficio Federale per le Migrazioni e i Rifugiati (Bundesamt für
Migration und Flüchtlinge);
Ø
sul piano
amministrativo, una drastica semplificazione del sistema dei titoli di
soggiorni, che verrebbero ridotti a due tipi fondamentali (uno a durata
determinata, Aufenthaltserlaubnis, e uno a durata indeterminata, Niederlassungserlaubnis);
Ø
in materia di
asilo e altre forme di protezione, le maggiori novità sarebbero
rappresentate dall’abolizione del controverso istituto della Duldung (forma di “non
espellibilità”, che però non dà titolo a ottenere un
permesso di soggiorno; si tratta di una condizione giuridica precaria e spesso
gestita in maniera ambigua, che però concerne oggi circa 250.000
stranieri) e da una migliore regolamentazione della protezione sussidiaria
(permesso di soggiorno per ragioni umanitarie), che verrebbe concessa anche a
categorie particolari, oggi protette in maniera lacunosa, quali le vittime di
persecuzioni operate da soggetti non governativi (non-state agents nella terminologia internazionale);
Ø
in materia di
immigrazione, la proposta amplia i canali di accesso per motivi economici, sia
attraverso l’istituzione di un meccanismo di selezione qualitativa (che
si avvarrebbe di un “sistema a punti” basato su criteri molteplici)
operante all’interno di quote massime determinate centralmente, sia
mediante la facilitazione della “conversione” dei permessi di
soggiorno per studio in permessi per lavoro.
b) Anche nei paesi di
immigrazione più recente, si registra un persistente dinamismo normativo
e politico: nel solo 2001, modifiche legislative di un certo rilievo sono state
effettuate in Grecia, Portogallo e Spagna (per una panoramica, utile per quanto
incompleta e non sempre accurata, vd. www.ulb.ac.be/assoc/odysseus/index21.html). Sebbene non si possa forse parlare di un
“modello mediterraneo” di politica migratoria, indubbiamente si
riscontrano alcuni tratti fondamentali comuni, che rappresentano altrettante
specificità in ambito europeo. Basti pensare alla frequenza delle
regolarizzazioni (371.641 domande di regolarizzazione nel 1998 in Grecia; 137.454
regolarizzazioni concesse su 246.089 domande presentate nel 2000 in Spagna) o
alla presenza di un sistema di programmazione annuale degli ingressi sulla base
di quote numeriche (peculiarità di Austria, Grecia, Italia e Spagna;
maggiori dettagli si possono trovare nell’importante studio comparativo
sulle politiche di ammissione per scopi lavorativi dei Quindici, realizzato da
una società di consulenza per la Commissione, disponibile nella sezione
“Reports” in www.europa.eu.int/comm/justice_home/unit/immigration_en.htm).
Il fervore che anima
i cantieri legislativi nazionali in materia migratoria rappresenta un problema
per la comunitarizzazione. Ogni Stato tende infatti a prendere tempo a livello
europeo, in attesa che il quadro nazionale si stabilizzi. Ciò ha indotto
addirittura la Presidenza belga a proporre, in un rapporto sullo stato
avanzamento del programma di Tampere presentato in vista del Consiglio europeo
di Laeken, una sorta di moratoria delle legislazioni nazionali (standstill), per consentire avanzamenti più
rapidi e significativi a livello europeo. L’ardita proposta, che di fatto
renderebbe temporaneamente esclusiva la competenza comunitaria in questa
materia, non è stata seriamente considerata dagli Stati membri. La
dinamica a cui assistiamo è anzi esattamente opposta: su diversi tavoli
negoziali, è il processo decisionale europeo che si trova sottoposto a
uno standstill, in attesa
che i cantieri nazionali più importanti si chiudano o producano
risultati definitivi. Le elezioni politiche previste per il 2002 in Francia e
soprattutto in Germania rappresentano, da questo punto di vista, un freno
ulteriore.
L’Italia e la politica migratoria comune
La deleteria rincorsa
tra legislatori nazionali e legislatore europeo che abbiamo appena descritto
vede coinvolta anche l’Italia, dove esigenze di natura politica generale
si sono sovrapposte a motivazioni tecniche specifiche, nell’indurre il
nuovo governo ad avviare rapidamente un vasto processo di riforma del Testo
unico 286/1998 in materia di immigrazione e asilo (disegno di legge presentato
in Senato il 2 novembre 2001, Atto Senato 795, attualmente all’esame
della Commissione Affari Costituzionali; il testo è reperibile in www.parlamento.it/att/ddl/home.htm,
i lavori si possono seguire alla pagina www.parlamento.it/att/resocon/home.htm).
Il disegno di legge
si discosta in alcuni punti qualificanti dalle proposte presentate sinora dalla
Commissione europea: limita, per esempio, a due anni la durata massima del
permesso di soggiorno per lavoro, contro una durata massima di tre anni
contemplata dalla Commissione; eleva a sei anni il periodo di soggiorno
regolare che dà titolo al rilascio della carta di soggiorno, in
contrasto con la soglia quinquennale fissata dalla proposta di direttiva sullo status dei cittadini di paesi terzi residenti di
lungo periodo [COM(2001) 127 del 13 marzo 2001]; ma, soprattutto, il testo ora
all’esame del Parlamento italiano regola in maniera sbrigativa e
particolarmente restrittiva il diritto d’asilo, a cui la Commissione ha
invece consacrato un pacchetto di proposte assai completo e meditato.
In relazione a
quest’ultimo punto, colpisce in modo particolare il rovesciamento del
principio sostenuto dalla Commissione, in base al quale il ricorso contro la
decisione che respinge una domanda d’asilo ha generalmente effetto
sospensivo nei confronti del procedimento di espulsione. Il disegno di legge
nega infatti tale effetto sospensivo al ricorso, in tutti i casi (che saranno,
con ogni probabilità, la maggioranza) in cui venga applicata la
procedura semplificata. E’ vero che, nella relazione introduttiva, i
proponenti del DDL 795 presentano le norme in questione come una soluzione
provvisoria al “problema costituito dalla domande di asilo realmente
strumentali ” e rinviano una disciplina organica “a quando saranno
definite le procedure minime, identiche per tutta l’Unione europea,
attualmente in discussione a Bruxelles”. Ma, data la difficoltà di
legiferare in questa delicata materia e la complessità degli adeguamenti
amministrativi che ogni modifica normativa impone, la strada scelta non convince.
Il rischio che una normativa concepita come parziale e provvisoria diventi
invece permanente - come avvenne nel 1990 con l’articolo 1 della
“legge Martelli” - appare serio e concreto. Le conseguenze
sarebbero gravi, non solo per l’efficienza del sistema italiano di asilo,
ma anche per la credibilità del paese al tavolo della
comunitarizzazione.
L’Italia
è stata tra gli Stati dell’Unione che più hanno sostenuto
la svolta comunitaria in materia migratoria (in seno alla Conferenza
intergovernativa che portò al trattato di Amsterdam, il nostro paese si
schierò ufficialmente per un periodo transitorio di soli tre anni,
invece di cinque, per il processo di comunitarizzazione). Tuttora, la posizione
italiana è spiccatamente europeista, tanto che ancora recentemente, a
livello diplomatico, è stato ribadito il nostro favore verso il
passaggio al voto a maggioranza qualificata in questo settore (Agence Europe,
N° 8088, 10 novembre 2001).
Questo atteggiamento
non deriva da scelte di carattere ideale (non per tutti, perlomeno), ma si
spiega con motivi di ordine pragmatico: l’Italia infatti, in quanto paese
di frontiera e di transito, è tra gli Stati dell’Unione che hanno
maggiore interesse a che si sviluppi rapidamente una politica migratoria comune
coerente ed efficace. Ma, affinché l’impegno italiano diretto a
questo scopo sia fruttuoso, bisogna dimostrare di crederci davvero, assumendo
delle responsabilità precise e pagando dei prezzi. La radicale
ristrutturazione del nostro apparato di controllo alle frontiere – che,
tra 1997 e 1998, ci ha permesso di essere ammessi nel club di Schengen – è stata un primo
passo. Le sfide aperte ora sono due: perfezionare un sistema di ammissione per
scopi economici che, con la sua marcata originalità, è per molti
versi all’avanguardia in Europa; dotare finalmente il paese di un sistema
di asilo equo ed efficiente. Se si fallisce rispetto a questi due obiettivi
strategici, l’ambizione di fare da “motore” per rilanciare
una comunitarizzazione sull’orlo della crisi appare velleitaria.
Bollettino a
cura di Ferruccio Pastore; chiuso il 1° dicembre 2001
Altre attività in corso nel quadro
del programma MIGRACTION
· Sono state attivate collaborazioni con il
Centro Studi Economici e Sociali di Tirana e con il Laboratorio di Statistica
Applicata all’Analisi e la Ricerca in Economia di Rabat per avviare
rispettivamente una ricerca su politiche e strumenti di gestione delle rimesse
verso l’Albania e uno studio sul mercato del lavoro marocchino.
· E’ in corso una ricerca su decentramento
e cooperazione in Marocco con particolare riferimento alle iniziative per la
creazione di occupazione.
· Sta per concludersi la prima fase del
monitoraggio comparato delle politiche e programmi sull’immigrazione e
sulla cooperazione a livello decentrato.
· Infine sta per essere avviato un Osservatorio
sulle Migrazioni nei Balcani che sarà ospitato prossimamente sul sito web: www.osservatoriobalcani.org.
Il programma MIGRACTION è coordinato da
Ferruccio Pastore (fe.pastore@flashnet.it)
e Andrea Stocchiero (anstoc@edl.it).
Responsabile dell’osservatorio sulle migrazioni nei Balcani è
Alessandro Rotta (lamont@infinito.it).
Il coordinamento organizzativo del programma è assicurato da Cinzia Augi
(cespibiblio@flashnet.it). La
segreteria del programma MIGRACTION è situata presso il CeSPI (via
d’Aracoeli 11, 00186, Roma - tel. 06-6990630 - fax 06-6784104.
* Dopo una lunga attesa, il contenuto quasi integrale (alcuni atti sono coperti da un vincolo di riservatezza) dell'acquis è oggi di dominio pubblico (Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee - GUCE, L 239 del 22 settembre 2000, disponibile, purtroppo solo a pagamento, sul sito http://europa.eu.int/eur-lex/it/index.html). Nonostante la tardiva (e insufficiente) pubblicità, la vastità e la complessità di questo insieme normativo rappresentano ancora dei seri ostacoli a una sua conoscenza diffusa, anche ai fini di un effettivo controllo giudiziario e politico sulla sua applicazione.