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COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE

Bruxelles, 05.12.2001

COM(2001) 743 definitivo

 

 

DOCUMENTO DI LAVORO DELLA COMMISSIONE

La relazione tra la salvaguardia della sicurezza interna
ed il rispetto degli obblighi e strumenti internazionali in materia di protezione

 

 


 

Il presente documento di lavoro della Commissione è la risposta all’invito formulato dal Consiglio “Giustizia e affari interni” nella riunione straordinaria del 20 settembre 2001, alla conclusione n. 29: “Il Consiglio invita la Commissione ad analizzare con urgenza il rapporto tra salvaguardia della sicurezza interna e rispetto degli obblighi e strumenti internazionali in materia di protezione”.


INDICE

Introduzione

Capitolo 1:     Meccanismi per escludere coloro che non meritano la protezione derivante dall’applicazione della Convenzione relativa allo status dei rifugiati né altre forme di protezione internazionale

1.1.                  Applicazione delle clausole d'esclusione

1.1.1                 Il terrorismo in relazione alle tre cause d'esclusione citate nella Convenzione relativa allo status dei rifugiati

1.1.2                 Definizione del terrorismo

1.1.3                 Appartenenza ad un gruppo terroristico

1.2                   Annullamento dello status di rifugiato ai sensi della Convenzione

1.2.1                 Revisione dello status di rifugiato accordato

1.3.                  Reati commessi nel territorio del paese di accoglienza

1.4                   Procedura di asilo

1.4.1                 Accesso alle procedure di asilo

1.4.2.                Trattamento delle domande di asilo nei casi di estradizione

1.4.2.1              Sospensione dell’esame di una domanda di asilo

1.4.2.2              Domande di asilo dichiarate inammissibili

1.4.3                 Trattamento nell’ambito del procedimento di asilo

1.4.3.1              Esame della domanda di asilo nell’ambito di una procedura ordinaria

1.4.3.2              Esame della domanda di asilo nell’ambito di una procedura accelerata

1.4.4                 Livello di prova

1.4.5                 Diritto di ricorso contro una decisione di esclusione

1.5                   Trattamento amministrativo dei casi che potrebbero rientrare nel campo di applicazione dell’articolo 1(F)

1.5.1                 Unità specializzate per il trattamento dei casi di esclusione dal regime di asilo

1.5.2                 Orientamenti sull’applicazione delle clausole di esclusione

1.5.3                 Meccanismi per lo scambio di informazioni

1.6                   Trattamento dei casi che potrebbero comportare rischi per la sicurezza

1.7                   Esclusione da altre forme di protezione internazionale

 

Capitolo 2:     Conseguenze giuridiche dell'esclusione dallo status conferito dalla Convenzione relativa allo status dei rifugiati o da altre forme di protezione internazionale

2.1                   Azione penale o estradizione

2.2                   Azione penale

2.2.1                 Giurisdizione universale

2.2.2                 Il futuro Tribunale penale internazionale

2.3                   Estradizione

2.3.1                 Ostacoli giuridici all'estradizione o all'espulsione

2.3.2                 Garanzie giuridiche in caso di estradizione

2.4                   La posizione giuridica delle persone escluse dai regimi di protezione ma che non possono essere espulse

2.4.1                 Armonizzazione dei diritti di base garantiti alle persone escluse dai regimi di protezione ma che non possono essere espulse

2.4.2                 Detenzione ed alternative alla detenzione delle persone escluse dai regimi di protezione ma che non possono essere espulse

 

Capitolo 3:     Ravvicinamento delle leggi, dei regolamenti e delle prassi amministrative nell’ambito del regime europeo comune in materia di asilo

3.1                   Quadro generale

3.2                   Armonizzazione delle legislazioni, misure d'accompagnamento, cooperazione amministrativa e metodo aperto di coordinamento

 

Capitolo 4:     Analisi delle “disposizioni relative alla sicurezza interna” contenute nelle (future) proposte di legislazione comunitaria presentate dalla Commissione nel settore dell’asilo e dell’immigrazione

4.1                   Analisi generale

4.2                   Legislazione comunitaria in materia di asilo

                        4.2.1                 Protezione temporanea

                        4.2.2                 Eurodac

4.3                   Proposte di legislazione comunitaria nel settore dell’asilo

4.3.1                 Procedure di asilo

4.3.2                 Condizioni di accoglienza

4.3.3                 Determinazione dello Stato competente per l’esame di una domanda di asilo

4.3.4                 Ammissibilità alla protezione internazionale

4.4                   Proposte di legislazione comunitaria nel settore dell’immigrazione

4.4.1                 Immigrazione per fini economici

4.4.2                 Ricongiungimento familiare Status di residente di lungo periodo

4.4.3.                Status di residente di lungo periodo

4.5                   Proposte future di legislazione comunitaria nel settore dell’immigrazione

                        4.5.1                 Studenti e altri cittadini di paesi terzi

4.5.2                 Vittime della tratta di esseri umani


Introduzione

La conclusione n. 29 formulata nella riunione straordinaria del Consiglio “Giustizia e affari interni” del 20 settembre 2001, che ha fatto seguito ai drammatici avvenimenti dell’11 settembre negli Stati Uniti, invita “la Commissione ad analizzare con urgenza il rapporto tra la salvaguardia della sicurezza interna e rispetto degli obblighi e strumenti internazionali in materia di protezione”. Questo specifico argomento è stato e rimarrà una costante preoccupazione della Commissione e potrebbe essere oggetto nel medio e lungo termine di proposte di (modifiche di) strumenti legislativi. Nell’accogliere il citato invito, il presente documento di lavoro ha inteso, tuttavia, sia agire sollecitamente nella direzione richiesta dal Consiglio, sia presentare una rassegna esaustiva delle disposizioni esistenti in materia di protezione.

A seguito ed in reazione agli avvenimenti dell’11 settembre, il Consiglio europeo ha deciso di elaborare un “Piano d’azione per la lotta contro il terrorismo”. Tale piano interessa diverse politiche, comprese la politica esterna, la politica economico-finanziaria, la politica dei trasporti e quella nel settore Giustizia e affari interni. Per quanto riguarda quest’ultima, è stato elaborato un distinto Piano d’azione, relativo più specificamente ai settori della cooperazione giudiziaria, della cooperazione tra organismi di polizia e servizi di intelligence, al finanziamento del terrorismo, alle misure alle frontiere e ad altre misure. Nella sezione dedicata alle “misure alle frontiere” delle conclusioni del Consiglio straordinario GAI del 20 settembre 2001, all’interno della quale si trova la conclusione n. 29, altre conclusioni specifiche riguardano i controlli alle frontiere, il rilascio di documenti di identità, permessi di soggiorno e visti, ed il funzionamento del Sistema informativo Schengen (SIS).

Dette specifiche conclusioni sono di particolare rilievo ai fini della lotta contro il terrorismo, e più generalmente offrono agli Stati membri gli strumenti per rafforzare la sicurezza nazionale. Reali possibilità di individuare tempestivamente i sospetti di terrorismo potrebbero risultare, in particolare, dall’adozione di un “controllo pre-ingresso”, che comprenda una rigorosa politica dei visti e l’eventuale utilizzo di dati biometrici, nonché da misure atte a migliorare la cooperazione tra le guardie di frontiera, i servizi di intelligence, le autorità competenti in materia di immigrazione e di asilo dello Stato interessato. Anche un effettivo funzionamento di Europol, Eurodac e del SIS potrebbe contribuire in modo sostanziale a conseguire lo stesso obiettivo. Le citate, specifiche conclusioni porteranno tuttavia all’adozione di azioni distinte il cui seguito dovrà essere assicurato a livello europeo e nazionale, e non ricadono pertanto nell’ambito del presente documento della Commissione, che è incentrato sul mandato formulato nella conclusione n. 29.

Il presente documento presenta quattro sezioni principali: in primo luogo il documento analizza i dispositivi giuridici esistenti che permettono di escludere dalla protezione internazionale coloro che non ne sono meritevoli, applicabili in particolare alle persone sospettate di atti terroristici. Successivamente, il documento esamina quali misure legali possono essere adottate dai governi nel cui territorio si trova una persona che è stata esclusa dai regimi di protezione. Il documento approfondisce poi la riflessione sulle azioni che possono essere avviate a livello europeo al riguardo, sia nel breve che nel medio-lungo termine. Per finire, il documento valuta l’adeguatezza delle disposizioni attinenti alla sicurezza interna contenute nella legislazione comunitaria e nelle (future) proposte di direttive della Commissione in materia di asilo e di immigrazione.

Le due principali premesse sulle quali poggia il documento sono, in primo luogo, il principio secondo il quale i rifugiati ed i richiedenti asilo che sono autenticamente tali non devono divenire vittime dei recenti avvenimenti e, in secondo luogo, la determinazione di non offrire ai responsabili ed ai favoreggiatori di atti terroristici alcuna via di accesso al territorio degli Stati membri dell'Unione europea. Risulta pertanto legittimo e perfettamente comprensibile che gli Stati membri stiano al momento cercando di rafforzare gli strumenti per prevenire l’ingresso di terroristi nel loro territorio nazionale, che potrebbe avvenire tramite diversi canali. Tali canali potrebbero includere la richiesta di asilo, benché in pratica i terroristi probabilmente non ricorrano spesso all’asilo, giacché altre vie, soprattutto illegali, sono più discrete e si prestano meglio alle loro attività criminali. Qualsiasi misura intesa a salvaguardare la sicurezza interna deve pertanto tenere nella giusta considerazione il principio della protezione dei rifugiati, che rischia di subirne pregiudizio. In questo contesto la Commissione approva pienamente la linea adottata ed espressa dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), secondo la quale l’approccio più appropriato consiste, anziché apportare modifiche sostanziali al regime di protezione dei rifugiati, nella scrupolosa applicazione delle deroghe alla protezione dei rifugiati previste dalla normativa in vigore.


Capitolo 1:     Meccanismi per escludere coloro che non meritano la protezione derivante dall’applicazione della Convenzione relativa allo status dei rifugiati né altre forme di protezione internazionale

1.1.                  Applicazione delle clausole d'esclusione

Dopo gli avvenimenti dell'11 settembre, l’UNHCR ha invitato pubblicamente gli Stati ad applicare “in modo scrupoloso e rigoroso” le clausole d'esclusione di cui all'articolo 1(F) della Convenzione relativa allo status dei rifugiati, giacché la Convenzione non ha mai inteso dare un rifugio sicuro ai criminali, né porli al riparo dall’azione penale; al contrario, essa mira a proteggere le vittime delle persecuzioni e non i persecutori.

L’articolo 1(F) della Convenzione relativa allo status dei rifugiati dispone che lo status di rifugiato non può essere riconosciuto alle persone nei confronti delle quali “si hanno serie ragioni per ritenere:

(a) che abbiano commesso un crimine contro la pace, un crimine di guerra o un crimine contro l’umanità, come definito negli strumenti internazionali elaborati per stabilire disposizioni riguardo a questi crimini;

(b) che abbiano commesso un crimine grave di diritto comune al di fuori del Paese di accoglimento e prima di esservi ammesse in qualità di rifugiati;

(c) che si siano rese colpevoli di azioni contrarie ai fini ed ai principi delle Nazioni Unite.”

Il presente documento non è il luogo più opportuno per analizzare in dettaglio l’applicazione delle tre cause d'esclusione enumerate all'articolo 1(F) della Convenzione relativa allo status dei rifugiati. Oltre agli orientamenti emanati in materia dagli Stati membri, l'UNHCR ha elaborato specifiche linee guida relative all’applicazione di questo specifico articolo. La Commissione desidera richiamare anche molti altri documenti pubblicati dall’UNHCR, tra i quali documenti e note d'informazione elaborati all’indirizzo del Comitato permanente UNHCR e nel contesto del processo di consultazione globale dell’UNHCR.

1.1.1                Il terrorismo in relazione alle tre cause d'esclusione citate nella Convenzione relativa allo status dei rifugiati

Conformemente alle risoluzioni dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite e del Consiglio di sicurezza - in particolare la recente risoluzione n. 1373 del 28 settembre 2001 - e all'interpretazione giurisprudenziale del diritto internazionale relativo ai rifugiati, l'esclusione dallo status di rifugiato di una persona che partecipa ad atti di terrorismo può trovare fondamento giuridico in uno dei tre motivi d'esclusione elencati all'articolo 1(F), in funzione delle circostanze particolari di ciascun caso. 

·       Articolo 1F(a): poiché è stato riconosciuto che gli atti di terrorismo possono costituire “crimini di guerra” se perpetrati in un contesto di guerra;

·       Articolo 1F(b): nella misura in cui alcuni atti crudeli possono essere definiti reati gravi di diritto comune, anche se commessi per un presunto fine politico, e rientrano tra i reati passibili di estradizione;

·       Articolo 1F(c): conformemente alle risoluzioni dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite relative alle “misure per combattere il terrorismo” che dispongono che “gli atti, i metodi e le pratiche del terrorismo sono azioni contrarie ai fini ed ai principi delle Nazioni Unite” e che “anche le azioni deliberate di finanziamento, pianificazione e istigazione degli atti terroristici sono contrarie ai fini ed ai principi delle Nazioni Unite.”

1.1.2.               Definizione del terrorismo

Anziché cercare di adottare una definizione generale del terrorismo, gli Stati hanno preferito, fino ad oggi, classificare taluni atti come reati terroristici. All’interno di questa categoria rientrano diversi reati, ad esempio quelli connessi con il dirottamento di aerei, la presa di ostaggi e gli attentati dinamitardi. Benché nell'ambito delle Nazioni Unite siano stati accelerati i lavori tesi all'elaborazione di uno strumento internazionale sul terrorismo, non esiste a tutt’oggi alcuna definizione comune del terrorismo a livello internazionale.

In questo particolare contesto riveste ancora maggior rilievo la recente adozione da parte della Commissione europea della proposta di decisione quadro del Consiglio sulla lotta contro il terrorismo[1] (che comprende anche la definizione di norme minime riguardanti gli elementi costitutivi dei reati in questione) e della proposta di decisione quadro del Consiglio relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri[2]. Una definizione comune a livello dell’Unione dei reati terroristici, se inserita nei trattati di estradizione dell’Unione, può costituire l’elemento che permette di richiamare l’articolo 1(F)(b). Le norme dell'Unione europea si riveleranno particolarmente utili nel chiarire taluni concetti utilizzati dalle Nazioni Unite, ad esempio quello di “atti terroristici”, e forniranno in tal modo un contributo interpretativo ai fini dell’attuazione dell’articolo 1(F)(a) o 1(F)(c).

1.1.3.               Appartenenza ad un gruppo terroristico

La mera appartenenza volontaria ad un gruppo terroristico può, in alcuni casi, essere considerata “partecipazione personale e consapevole”, o “acquiescenza equivalente a complicità” nei reati in questione, e pertanto dare luogo all’esclusione dallo status di rifugiati. In tale valutazione si dovrebbero considerare la finalità del gruppo, la posizione assunta ed il livello di partecipazione della persona interessata, così come fattori quali la costrizione fisica e l’autodifesa contro ordini superiori, nonché la possibilità di praticare una scelta di coscienza. Se è accertato che la persona è tuttora un membro attivo, presente e consenziente, anche la semplice appartenenza può essere difficilmente dissociabile dalla commissione di reati terroristici.

1.2.                  Annullamento dello status di rifugiato ai sensi della Convenzione

Lo status di rifugiato ai sensi della Convenzione può essere revocato, ad esempio se si scopre che la persona ha commesso reati gravi, compresi atti terroristici, prima di essere riconosciuto rifugiato. In tal caso lo status di rifugiato può essere annullato, come previsto dal Manuale sulle procedure ed i criteri per determinare lo status di rifugiato dell’UNHCR.

1.2.1                Revisione dello status di rifugiato accordato

Gli Stati membri potrebbe prendere in considerazione l’ipotesi di una revisione attiva dei “fascicoli relativi a procedimenti espletati” di persone alle quali è stato riconosciuto lo status di rifugiato. Tuttavia, siffatta revisione dovrebbe essere intrapresa soltanto se esiste un chiaro indizio in tal senso, ad esempio sulla base di informazioni fornite dai servizi di intelligence, che accertano l’esistenza di rischi per la sicurezza. Una revisione di casi sulla base della sola nazionalità, religione o opinione politica non è considerata appropriata. Se tale revisione dovesse portare a concludere che la persona interessata ha commesso reati che rientrano nel campo di applicazione delle clausole di esclusione, lo status di rifugiato potrebbe venir annullato.

1.3.                  Reati commessi nel territorio del paese di accoglienza

Qualora un rifugiato abbia commesso un reato grave, compreso un atto terroristico, nel territorio del paese che gli ha riconosciuto lo status di rifugiato, la protezione contro l’espulsione in qualità di rifugiato può essere revocata, in conformità dell’articolo 32, paragrafo 1 “Gli Stati contraenti non espelleranno un rifugiato residente regolarmente sul loro territorio, se non per motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico” e dell’articolo 33, paragrafo 2 sul divieto di espulsione o di respingimento (“refoulement”) della Convenzione relativa allo status dei rifugiati. Lo scopo di quest’ultimo articolo è di salvaguardare il paese ospitante da persone che costituiscono un pericolo per la sicurezza pubblica e recita: “Il beneficio di detta disposizione non potrà tuttavia essere invocato da un rifugiato per il quale vi siano gravi motivi per considerarlo un pericolo per la sicurezza dello Stato in cui si trova, oppure da un rifugiato il quale, essendo stato oggetto di una condanna già passata in giudicato per un crimine o un delitto particolarmente grave, rappresenti una minaccia per la comunità di detto Stato”.

L’articolo 33, paragrafo 2 prevede pertanto una deroga al principio di non-refoulement, sancito all’articolo 33, paragrafo 1. Ciò significa sostanzialmente che i rifugiati possono in circostanze eccezionali essere rimpatriati qualora rappresentino una minaccia per la sicurezza nazionale del paese ospitante, e qualora la loro comprovata natura criminale e i loro precedenti penali costituiscano un pericolo per la comunità. I diversi elementi di tali circostanze estreme ed eccezionali devono tuttavia essere interpretati in senso restrittivo e richiedono un elevato livello di prova. Tuttavia, qualsiasi persona che soddisfi le condizioni previste dall’articolo 33, paragrafo 2 può essere legittimamente espulsa, anche se l’unica alternativa consiste nel rimpatriare tale persona nel paese nel quale può essere esposta a persecuzione, fermi restando altri obblighi giuridici internazionali degli Stati, in particolare l’articolo 3 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo e le libertà fondamentali.

1.4                   Procedura di asilo

1.4.1                Accesso alle procedure di asilo

Al fine di dare correttamente attuazione “in ogni sua componente” alla Convenzione relativa allo status dei rifugiati del 1951, è indispensabile stabilire con precisione chi soddisfa i criteri enunciati dalla Convenzione. Pertanto tutte le persone che chiedono asilo nello Stato membro competente per l’esame di tale domanda dovrebbero avere accesso ad un procedimento volto ad esaminare la loro domanda. Barriere automatiche all’accesso al procedimento di asilo, anche nei confronti di sospetti criminali, ad esempio tramite il respingimento alla frontiera, potrebbero essere interpretate come “refoulement”. Inoltre, ciò sarebbe anche contrario all’articolo 4 della Proposta di direttiva del Consiglio recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato[3].

Convogliare tutti i richiedenti asilo verso una procedura di asilo volta a determinare il riconoscimento o il diniego dello status di rifugiato risulta inoltre necessario da un punto di vista della sicurezza pratica. Ciò offre effettivamente l’opportunità di individuare possibili sospetti di reati. I richiedenti asilo sono sottoposti a procedure volte alla loro identificazione e  all’esame dei loro trascorsi in occasione di uno o più colloqui e gli elementi raccolti vengono verificati sulla scorta di tutte le informazioni disponibili su paesi, gruppi ed avvenimenti. Inoltre, essi sono facilmente “rintracciabili” durante il procedimento, anche se non sono posti in stato di trattenimento.

1.4.2.               Trattamento delle domande di asilo nei casi di estradizione

1.4.2.1             Sospensione dell’esame di una domanda di asilo

Anche dopo che è stato concesso l’accesso ad un procedimento di asilo, si può comunque ipotizzare la possibilità di sospendere immediatamente, di “congelare”, l’esame di una domanda di asilo se si verifica una delle due seguenti circostanze. Innanzitutto, nei casi di incriminazione del richiedente asilo da parte di un tribunale penale internazionale. In tali casi, la misura più appropriata consiste nella consegna dell’individuo in questione all’autorità giudiziaria affinché sia sottoposto all’azione penale. Il secondo possibile motivo di sospensione dell’esame di una domanda di asilo consiste in una richiesta di estradizione pendente emessa da un paese diverso dal paese di origine del richiedente asilo e relativa a reati gravi. In entrambi i casi il procedimento penale rivestirebbe priorità sull’espletamento del procedimento di asilo. A conclusione dell’azione penale in tali casi, e eventualmente dopo che la pena detentiva inflitta sia stata scontata, la precedente situazione di richiesta di asilo verrebbe “scongelata”. Ciò significa in pratica che il richiedente asilo verrebbe rinviato nel paese in cui pende la sua domanda di asilo. Se si opta per questa impostazione, la Proposta di direttiva del Consiglio recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato[4] dovrebbe essere modificata per consentirne l’applicazione.

1.4.2.2             Domande di asilo dichiarate inammissibili

Una impostazione giuridica alternativa per trattare le domande di asilo nei casi di richiesta di estradizione o di incriminazione da parte di un tribunale penale internazionale potrebbe consistere nel respingere la domanda di asilo dichiarandola “inammissibile”. Secondo tale opzione, sarebbe necessario aggiungere all’articolo 18 della Proposta di direttiva del Consiglio recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato[5], che tratta dell’inammissibilità di talune domande di asilo, due nuovi casi di inammissibilità, ovvero: quando sia pendente una richiesta di estradizione fatta da un paese diverso dal paese di origine del richiedente asilo, o quando il richiedente asilo sia stato incriminato da un tribunale penale internazionale. Nel primo caso, e se al termine dell’azione penale il richiedente asilo intende tuttora chiedere l’asilo, l’articolo 18 riformulato dovrebbe includere una norma nel senso che l’esame del merito di tale rinnovata domanda di asilo deve essere effettuato dallo Stato membro nel quale la persona interessata è stata estradata.

Il vantaggio di entrambe tali impostazioni è che l’azione penale contro un presunto criminale non sarebbe ostacolata dal semplice fatto che egli ha presentato una domanda di asilo. Si tratterebbe anche di una misura conforme alle diverse Risoluzioni dell’Assemblea delle Nazioni Unite relative alle “Misure per eliminare il terrorismo internazionale”, le quali dispongono che, prima di considerare il riconoscimento dello status di rifugiato, gli Stati devono adottare tutte le opportune misure al fine di escludere che il richiedente asilo possa aver partecipato ad azioni terroristiche, tenendo conto di qualsiasi informazione utile dalla quale si evince che il richiedente asilo è oggetto di indagine, è indiziato o è stato condannato per reati collegati al terrorismo.

1.4.3                Trattamento nell’ambito del procedimento di asilo

Il procedimento volto ad esaminare la domanda di asilo, basata sulla Convenzione relativa allo status dei rifugiati, prevede anche l’esame dell’applicabilità delle c.d. “clausole di esclusione”, riportate all’articolo 1(F) di detta Convenzione. L’articolo 1(F) della Convenzione relativa allo status dei rifugiati consente agli Stati contraenti di escludere talune categorie di persone dalla protezione in qualità di rifugiati. La logica che ispira tali disposizioni di esclusione è che taluni atti sono di tale gravità che rendono chi li commette non meritevole della protezione come rifugiato. Tuttavia, giacché l’esclusione dallo status di rifugiato potrebbe avere in potenza delle conseguenze deleterie per l’incolumità della persona interessata, tali decisioni dovrebbero essere adottate nell’ambito del procedimento di asilo, dall’autorità che dispone dell’esperienza e della specifica formazione per applicare la legislazione sui rifugiati e per determinarne lo status, nel contesto di una più generale disamina della domanda di asilo.

1.4.3.1             Esame della domanda di asilo nell’ambito di una procedura ordinaria

La regola generale applicabile all’esame delle domande di asilo dovrebbe essere che il trattamento di tali domande deve essere completo, olistico ed integrale. Ciò significa che si devono esaminare in modo esaustivo tutti i fatti pertinenti sui quali poggia una domanda di asilo. Tuttavia, l’eventuale applicabilità delle clausole di esclusione non dovrebbe essere esaminata in tutti i casi, come procedura di routine, bensì soltanto quando vi siano specifiche ragioni per ritenere che la persona rientri nel campo di applicazione di tali clausole. Infatti, gli elementi che giustificano una verifica dell’escludibilità del richiedente asilo emergono di solito durante la “fase di inclusione” del procedimento di determinazione dello status di rifugiato, durante la quale si valutano i motivi che giustificano il riconoscimento del diritto di asilo, e possono essere richiamati durante la “fase di esclusione” del procedimento.

1.4.3.2             Esame della domanda di asilo nell’ambito di una procedura accelerata

Vi possono tuttavia essere casi in cui è stato stabilito prima facie che una persona rientra nel campo di applicazione delle clausole di esclusione. In tali situazioni, gli Stati dovrebbero aver facoltà di trattare tali domande con procedura accelerata. In tale procedura gli Stati possono iniziare dall’esame dell’applicabilità delle clausole di esclusione e, se giudicate applicabili, limitarsi a tale esame, come fase preliminare all’avvio del procedimento, senza dover considerare anche le “clausole di inclusione” stabilite dalla Convenzione relativa allo status dei rifugiati. In tali casi si potrebbe considerare la possibilità di dichiarare una domanda di asilo “manifestamente infondata” come sarà previsto nella modifica della Proposta di direttiva del Consiglio recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato[6]. Qualora tale opzione fosse adottata, si dovrà approfondire la questione dell’eventuale effetto sospensivo automatico dei ricorsi presentati contro una decisione che dichiara una domanda “manifestamente infondata”.

1.4.4                Livello di prova

Per quanto riguarda il livello di prova, si deve riconoscere che il procedimento volto a determinare l’esclusione differisce da un vero e proprio procedimento penale. I termini “serie ragioni per ritenere”, utilizzati nel primo comma dell'articolo 1(F), dovrebbero essere interpretati nel senso che le norme sull’ammissibilità delle prove e su un elevato livello di prova richieste in un normale procedimento penale non trovano applicazione in questo contesto. Non è necessario provare che la persona abbia commesso un atto che giustifica l’esclusione dallo status di rifugiato. È sufficiente stabilire che esistono serie ragioni per ritenere che la persona abbia commesso simili azioni. Gli elementi che hanno condotto a siffatta conclusione devono essere chiaramente indicati. Pertanto, il procedimento avviato deve verificare i potenziali collegamenti o la partecipazione ad attività violente del richiedente asilo. Al fine di decidere l'esclusione di una persona dallo status di rifugiato a motivo della sua responsabilità personale in atti terroristici, il criterio della “partecipazione personale” a tali atti deve essere oggetto di accurato esame. Qualsiasi persona i cui atti contribuiscono alla commissione di tali reati, sia attraverso ordini, istigazione o sostanziale assistenza, può essere esclusa dallo status di rifugiato.

1.4.5                Diritto di ricorso contro una decisione di esclusione

L'applicazione di qualsiasi clausola d'esclusione deve essere valutata in base alle circostanze individuali di ciascun caso. I motivi d'esclusione devono basarsi soltanto sul comportamento  personale e consapevole della persona interessata, nonché sugli elementi di prova disponibili e nel rispetto dei principi giuridici d'equità e di giustizia. La persona interessata deve avere diritto di presentare ricorso nello Stato membro in questione, conformemente alle disposizioni contenute nella Proposta di direttiva del Consiglio recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato[7].

1.5                   Trattamento amministrativo dei casi che potrebbero rientrare nel campo di applicazione dell’articolo 1(F)

1.5.1                Unità specializzate per il trattamento dei casi di esclusione dal regime di asilo

Fermo restando il punto 1.4.5 ed il diritto di ricorso avverso una decisione di diniego del riconoscimento dello status di rifugiato dinanzi ad un organo giurisdizionale indipendente, gli Stati membri dell'Unione europea possono prevedere disposizioni logistiche diverse per il trattamento delle domande presentate da persone sospettate di essere criminali di guerra o terroristi. In alcuni Stati membri sono state istituite “Unità speciali” alle quali sono trasferiti tutti i casi che presentano un rischio per la sicurezza ed i casi di sospetta partecipazione ad atti violenti gravi o a violazioni dei diritti dell'uomo. Altri Stati membri stanno considerando di introdurre regolari “controlli preliminari sulla sicurezza”, in base ai quali tutte le domande di asilo sarebbero esaminate sotto il profilo dei potenziali rischi per la sicurezza, raffrontando i dati personali di ciascun richiedente asilo con le informazioni contenute nelle specifiche banche dati. Tali misure logistiche sono pienamente compatibili con gli obblighi derivanti agli Stati membri da strumenti giuridici e potrebbero rivelarsi di grande utilità.

Vista la complessità della questione, gli Stati membri che non dispongono di “Unità di esclusione/sicurezza” specializzate nell'ambito del loro regime d'asilo, potrebbero prevederne l’istituzione. Il trasferimento di un caso a tale Unità potrebbe avvenire quando vi sia immediato sospetto di partecipazione a crimini di guerra o altri reati gravi, quale la partecipazione ad atti terroristici (per esempio, quando un richiedente asilo è un presunto membro di un gruppo estremista che pratica la violenza), ovvero quando tali sospetti emergono nel corso della valutazione nell’ambito della procedura ordinaria di asilo. Sebbene sia probabile che si tratterebbe solo di un numero relativamente limitato di casi, siffatta valutazione potrebbe essere effettuata dalle specializzate “Unità di esclusione”. Per poter operare effettivamente ed efficacemente tale Unità dovrebbe disporre di esperienza e competenza sia nel campo della legislazione sui rifugiati sia in quello penale e di una conoscenza approfondita delle organizzazioni terroristiche. Altrettanto importante per tale Unità sarebbe l’accesso a tutte le informazioni normalmente disponibili sul paese di origine e, se necessario, anche alle informazioni riservate, nonché a efficienti collegamenti di lavoro con gli organismi investigativi e di intelligence e con le autorità giudiziarie penali.

L’Unità specializzata potrebbe trattare prioritariamente e celermente i casi che presentano in potenza un elemento di esclusione. Le risorse e competenze di cui dispone dovrebbero consentire di effettuare una valutazione più approfondita di qualsiasi domanda di asilo presentata da una persona sospettata di partecipazione ad attività terroristiche. Successivamente, tale Unità potrebbe trasmettere il caso all’ufficio del pubblico ministero ai fini dell’azione penale, quale procedura idonea per assicurare alla giustizia i sospetti di terrorismo. La sua maggiore competenza specializzata e le sue risorse chiaramente finalizzate ad un obiettivo permetterebbero un processo decisionale rapido e di qualità.

1.5.2                Orientamenti sull’applicazione delle clausole di esclusione

Alcuni Stati membri hanno emanato specifici orientamenti interni sull'applicazione delle clausole d'esclusione contenute nella Convenzione sui rifugiati. Tali orientamenti possono servire ad individuare quanto tempestivamente possibile i casi che potrebbero rientrare nel campo di applicazione di tali clausole. Si potrebbe ipotizzare di elaborare tali orientamenti a livello europeo, ispirandosi alle migliori prassi nazionali.

1.5.3                Meccanismi per lo scambio di informazioni

Si potrebbe prevedere di creare meccanismi per lo scambio di informazioni al fine di consentire agli Stati membri sprovvisti di risorse sufficienti di beneficiare delle competenze già esistenti in materia in altri Stati membri, ottenendo informazioni e assistenza quando devono trattare un potenziale caso. Detti meccanismi potrebbero considerare l'elaborazione di elenchi di contatto e l’utilità di creare siti Intranet.

Essi permetterebbero inoltre agli Stati membri di informarsi reciprocamente sull'esistenza di un caso d'esclusione, per evitare che la persona interessata cerchi di ottenere protezione in un altro Stato membro. In questo contesto, si potrebbe anche studiare la possibilità di costituire un registro europeo delle “persone escluse dalla Convenzione sui rifugiati”. Nel quadro della condivisione di informazioni, è necessario sottolineare che le usuali norme relative alla riservatezza dei dati a carattere personale, in particolare per quanto riguarda l'eventuale trasmissione di informazioni tra uno Stato membro ed il paese di origine della persona, devono essere rispettate.

1.6                   Trattamento dei casi che potrebbero comportare rischi per la sicurezza

Gli Stati membri dispongono di una serie di misure per evitare che i richiedenti asilo che si trovano nel loro territorio si rendano irreperibili durante il procedimento. Tali misure comprendono il trattenimento dei richiedenti asilo in centri di accoglienza, l’obbligo di presentarsi, l'obbligo di informare le autorità di qualsiasi variazione d'indirizzo o anche la detenzione. La scelta della misura idonea dipende dalle circostanze individuali, benché quando sia comprovato che un richiedente asilo dispone di collegamenti che possono costituire un rischio per l'ordine pubblico o la sicurezza nazionale, la detenzione sembra lo strumento più idoneo. Occorre tuttavia riconoscere che nella maggior parte dei sistemi esistono dei limiti alla detenzione dei richiedenti asilo; la legittimità e la necessità della detenzione devono anch’esse essere oggetto di un controllo giurisdizionale. 

1.7                   Esclusione da altre forme di protezione internazionale

Le conclusioni del presente capitolo 1 dovrebbero essere considerate anche per i casi in cui una persona ha chiesto, o le è stata concessa un'altra forma di protezione internazionale, quale la protezione sussidiaria.


Capitolo 2:     Conseguenze giuridiche dell'esclusione dallo status conferito dalla Convenzione relativa allo status dei rifugiati o da altre forme di protezione internazionale

2.1.                  Azione penale o estradizione

In seguito al rigetto di un appello contro una decisione di esclusione di una persona dallo status di rifugiato o dallo status di avente diritto alla protezione sussidiaria, e in conformità con il principio di diritto internazionale conosciuto come “aut dedere aut judicare”, lo Stato è tenuto a consegnare o a perseguire la persona esclusa dai regimi di protezione. Tale principio fornisce una soluzione alla contraddizione interna tra la necessità, e in realtà il dovere, dello Stato di contrastare le attività criminali quali il terrorismo, e il diritto di ogni individuo alla protezione contro il respingimento. Questo principio è, tra l'altro, formulato all'articolo 7 della Convenzione europea per la repressione del terrorismo.

2.2                   Azione penale

2.2.1                Giurisdizione universale

Per quanto riguarda l'attuazione del principio suddetto, la situazione varia da uno Stato membro all'altro. Alcuni Stati membri cercano di perseguire in giudizio la persona di propria iniziativa, se hanno dei criteri specifici che conferiscono loro la giurisdizione sul caso, oppure se la propria legislazione penale conferisce loro una competenza giurisdizionale universale. In siffatti ordinamenti giuridici, lo Stato può perseguire e punire di sua iniziativa le persone sospettate di reati che rientrano nella giurisdizione universale, a prescindere dall'aspetto territoriale del reato commesso o dalla nazionalità della persona sospettata. Tuttavia, si deve riconoscere che spesso non è "de facto" possibile perseguire una persona per un reato a causa delle severe regole in materia di ammissione della prova e degli alti livelli di certezza probatoria richiesti dal sistema giudiziario penale degli Stati membri dell'Unione europea. I livelli richiesti sono qui molto più elevati di quanto non lo siano quelli richiesti nei procedimenti relativi all'esclusione dallo status di rifugiato e all'espulsione. In particolare, la mancanza di testimoni (attendibili) si è rivelata nella pratica un ostacolo molto serio al successo dell'azione penale degli Stati membri contro le persone escluse dalla Convenzione relativa allo status dei rifugiati.

2.2.2                Il futuro Tribunale penale internazionale

Il futuro Tribunale penale internazionale (ICC) potrebbe svolgere un ruolo importante nel contesto delle azioni penali nei confronti di persone cui si applicano le clausole di esclusione della Convenzione sui rifugiati. Tuttavia, l'attuale mandato del tribunale, sancito dal suo statuto, non abbraccia il terrorismo in quanto tale, salvo che sia associato ad altri reati gravi (che preoccupano la comunità internazionale) che rientrano nell'ambito della competenza giurisdizionale del tribunale. Questi reati hanno anche una rilevanza diretta per l'interpretazione ed applicazione dell'articolo 1(F) della convenzione del 1951. Il futuro ICC potrebbe essere d'aiuto anche per risolvere i problemi che si presentano nei casi in cui le procedure nazionali volte a determinare lo status di rifugiato non abbiano accesso alle pertinenti informazioni riservate e/o alle risorse ed agli strumenti disponibili ad un giudice o ad un pubblico ministero che indaga su tali reati. È prevista anche l'istituzionalizzazione della cooperazione tra l'ICC e le agenzie delle Nazioni Unite, quali l'UNHCR. Potrebbe pertanto essere utile studiare accordi formali e riservati di cooperazione tra gli Stati membri e l'ICC sui casi che potenzialmente rientrano nell'articolo 1(F).  

2.3                   Estradizione

Se non vi è alcuna possibilità di processare la persona nel paese di rifugio, né di farla processare dal Tribunale penale internazionale, in linea di principio detta persona deve essere estradata; questo se l'estradizione è giuridicamente e in pratica possibile verso il paese d'origine, verso un altro Stato membro dell'UE o verso un paese terzo. Per quanto riguarda le richieste di estradizione nei confronti di persone accusate di avere commesso reati terroristici, sia la Convenzione europea per la repressione del terrorismo del 1977 che la Convenzione internazionale per la repressione del finanziamento del terrorismo prevedono che gli Stati parti non siano tenuti ad accogliere la richiesta di estradizione se hanno fondati motivi di ritenere che tale richiesta è stata fatta al fine di perseguire o punire la persona in ragione della sua razza, religione, nazionalità, origine etnica o opinioni politiche oppure che il soddisfacimento della richiesta possa cagionare un pregiudizio alla posizione di detta persona per una di queste ragioni.

2.3.1                Ostacoli giuridici all'estradizione o all'espulsione

L'estradizione può tuttavia risultare impossibile a causa di ostacoli giuridici. Segnatamente, la tutela contro il respingimento come conseguenza del divieto di taluni trattamenti o punizioni, previsto da strumenti relativi ai diritti dell'uomo, quali la Convenzione dell’ONU contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici e la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e le libertà fondamentali (CEDU) è di natura assoluta, ossia non ammette eccezioni. La Corte europea dei diritti dell'uomo ha più volte affermato che la Convenzione europea dei diritti dell'uomo vieta, in termini assoluti, anche nelle circostanze più difficili, quali la lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata, di ricorrere alla tortura e a trattamenti o punizioni disumani o degradanti. La Corte europea dei diritti dell'uomo ha evidenziato che, a differenza della maggior parte delle clausole di natura sostanziale di tale specifica convenzione, l'articolo 3 non prevede alcuna eccezione e nessuna deroga è ammissibile neanche in casi di emergenza pubblica che minaccia la vita della nazione. In seguito agli eventi dell'11 settembre, la Corte europea dei diritti dell'uomo potrebbe doversi pronunciare nuovamente, in futuro, su questioni relative all'interpretazione dell'articolo 3, in particolare sulla questione della misura in cui ci possa essere un "atto di bilanciamento" per operare una compensazione tra le esigenze di tutela dell'individuo e gli interessi attinenti alla sicurezza dello Stato.

2.3.2                Garanzie giuridiche in caso di estradizione

L'estradizione dev'essere considerata legale quando è possibile ottenere, dallo Stato che processerà la persona, garanzie giuridiche atte a dissipare le preoccupazioni relative alle potenziali violazioni della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Tali “garanzie” da parte di Stati terzi potrebbero ad esempio riferirsi alla non applicazione della pena capitale in un caso particolare, benché la legge dello Stato consenta di applicare tale pena.

2.4                   La posizione giuridica delle persone escluse dai regimi di protezione ma che non possono essere espulse

La questione che rimane irrisolta - e che esula dall'ambito del regime dei rifugiati o della protezione internazionale - attiene allo status che dev'essere accordato alla persona che non è ammessa allo status di rifugiato e non ha diritto ad altre forme di protezione internazionale, che non può essere utilmente perseguita, ma che non può essere espulsa a causa della natura assoluta del divieto di respingimento sancito da alcuni strumenti, internazionali e regionali, in materia di diritti dell'uomo. Non esistono strumenti internazionali che disciplinino lo status e i diritti di una persona che sia esclusa da ogni diritto alla protezione internazionale ma che non possa essere espulsa a causa di ostacoli giuridici. Tuttavia, il comitato dei diritti dell'uomo delle Nazioni Unite ha ravvisato l'obbligo per gli Stati parti di continuare ad ospitare alcuni stranieri con legami di lunga data nel paese, nonostante le loro attività criminali.

La situazione attuale in cui gli Stati membri non hanno molte opzioni per il trattamento adeguato delle persone escluse ma che non possono essere espulse è molto insoddisfacente. La questione deve pertanto essere urgentemente riesaminata, ed alla fine risolta a livello europeo. In questo contesto, si deve di nuovo mettere in evidenza il fatto che, nonostante i seri ostacoli a cui si è appena fatto riferimento, l'azione penale da parte della comunità internazionale, sia a livello globale che a livello di Stati membri, contro le persone che hanno commesso crimini contro l'umanità, crimini di guerra o attacchi terroristici, e che sono escluse dai regimi di protezione, costituisce una soluzione adeguata. Oltre alle possibili azioni penali contro queste persone, sarebbe anche necessario armonizzare i diritti di base conferiti a questa categoria di persone escluse ma che non possono essere espulse, nonché valutare i diversi mezzi per trattare queste persone qualora esse costituiscano una minaccia per la sicurezza.

2.4.1                Armonizzazione dei diritti di base garantiti alle persone escluse dai regimi di protezione ma che non possono essere espulse

I 15 Stati membri dell'Unione europea trattano in modo diverso le persone escluse ma che non possono essere espulse. Alcuni Stati membri non conferiscono alcun diritto a tali persone tranne quello di non essere respinte. In altri Stati membri, queste persone hanno accesso ai diritti umani di base, quali l'assistenza medica in caso di urgenza e l'istruzione per i propri figli. In altri ancora tra gli Stati membri queste persone hanno accesso a diritti e vantaggi socio-economici ancora maggiori. Questa differenza di trattamento potrebbe richiedere un approccio armonizzato a livello europeo in modo da eliminare potenziali “fattori di attrazione” (“pull factors”) per persone che non meritano la protezione internazionale.

2.4.2.               Detenzione ed alternative alla detenzione delle persone escluse dai regimi di protezione ma che non possono essere espulse

Le persone escluse dai regimi di protezione, ma che non possono essere espulse, non necessariamente e non automaticamente costituiscono una minaccia per la sicurezza nazionale. Ad esempio molti criminali di guerra che giustamente gli Stati membri hanno escluso dai regimi di protezione non sono automaticamente messi in stato di detenzione dagli Stati stessi. Infatti, ad oggi gli Stati membri non conoscono un sistema di detenzione amministrativa illimitata, e inoltre potrebbe essere utile considerare le possibili alternative alle misure di detenzione totale, quali la “residenza sorvegliata”.

Tuttavia possono esservi casi in cui è necessario proteggere la generalità dei cittadini da persone giustamente escluse dai regimi di protezione, quali i terroristi, che effettivamente costituiscono una minaccia per la sicurezza dello Stato. In questo contesto è pertinente rilevare una iniziativa legislativa proposta al livello degli Stati membri relativa alla custodia di cittadini stranieri la cui presenza è ritenuta una minaccia per la sicurezza nazionale e che sono sospettati di essere terroristi internazionali. Questa iniziativa legislativa è stata proposta in previsione delle situazioni in cui l'articolo 3 della CEDU non consente l'espulsione o la deportazione delle persone in questione verso luoghi in cui sussiste il rischio che esse vengano sottoposte a trattamenti contrari a tale articolo. Se non c'è un'altra destinazione immediatamente disponibile l'espulsione non può, per il momento, avere luogo, anche se l'intenzione ultima rimane quella dell'espulsione, non appena si sia trovata una soluzione soddisfacente. Nonostante il fatto che continui a sussistere l'intenzione di espellere la persona che si trova in stato di detenzione, non è possibile dire che “è in corso un procedimento di espulsione” ai sensi dell'articolo 5, paragrafo 1, lettera f), CEDU, così come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. Pertanto, nella misura in cui la detenzione prevista delle persone suddette può porsi in contrasto con gli obblighi di cui all'articolo 5, paragrafo 1, CEDU, si potrebbe invocare il diritto alla deroga previsto dall'articolo 15, paragrafo1, CEDU, purché siano riunite le condizioni restrittive di cui all'articolo 15, paragrafo 1, e “a condizione che tali misure non siano in contraddizione con le altre obbligazioni (degli Stati) derivanti dal diritto internazionale”.


Capitolo 3:     Ravvicinamento delle leggi, dei regolamenti e delle prassi amministrative nell’ambito del regime europeo comune in materia di asilo

3.1                   Quadro generale

I lavori a livello dell'Unione europea in materia possono proseguire con l’applicazione del metodo e degli strumenti illustrati dalla Commissione nella sua comunicazione del 22 novembre 2000 “Verso una procedura comune in materia di asilo e uno status uniforme e valido in tutta l'Unione per le persone alle quali è stato riconosciuto il diritto d'asilo[8] alla quale ha fatto seguito la recente “Comunicazione relativa alla politica comune in materia di asilo, recante un metodo aperto di coordinamento - Prima relazione della Commissione sull’attuazione della comunicazione COM(2000)755 def. del 22 novembre 2000”[9].

L’instaurazione di un regime comune europeo in materia di asilo avverrà in due fasi. La relazione tra la salvaguardia della sicurezza interna e il rispetto degli obblighi internazionali in materia di protezione deve costituire un elemento di riflessione in entrambe le fasi. Infatti, è indispensabile elaborare procedure comuni, più efficaci e ben informate, e giungere ad una interpretazione ed applicazione più convergente delle possibilità d'esclusione ed al miglioramento delle possibilità di repressione e di detenzione, ipotizzando anche delle alternative a quest'ultima. Si deve inoltre assicurare che i terroristi, per quanto riguarda la protezione internazionale, siano sottoposti ad un trattamento comparabile in tutti gli Stati membri. Se un terrorista non beneficia della protezione internazionale in uno Stato membro o se tale protezione viene revocata/annullata, la persona interessata deve sapere che le sarebbe riservato il medesimo trattamento in qualsiasi Stato membro.

3.2                   Armonizzazione delle legislazioni, misure d'accompagnamento, cooperazione amministrativa e metodo aperto di coordinamento

È necessario far progredire rapidamente l’esame delle diverse proposte di direttive presentate dalla Commissione al Consiglio e considerare con la dovuta attenzione le disposizioni relative all’esame ed al processo decisionale, l'esclusione, l'annullamento dello status e la revoca dei benefici. Sarà inoltre necessario un idoneo e rapido recepimento degli strumenti legislativi comunitari a livello nazionale. La Commissione redigerà periodiche relazioni sull'attuazione di tali strumenti. I Comitati di contatto istituiti per seguire la loro attuazione faciliteranno le consultazioni tra gli Stati membri e la Commissione al fine di garantire la coerenza interpretativa delle pertinenti disposizioni e stabilire un raffronto tra le norme e le prassi nazionali. Si dovrà operare anche un’ulteriore analisi approfondita della giurisprudenza elaborata dai tribunali nazionali ed europei o dalle autorità di ricorso. Una riunione con i rappresentanti delle autorità competenti a decidere in merito alle domande di asilo e le autorità di ricorso potrebbe essere organizzata nel 2002 per studiare gli sviluppi e la giurisprudenza, e discutere problemi comuni e le possibili soluzioni. 

Un costante investimento volto al miglioramento degli strumenti analitici comuni si rende necessario. In tale contesto potrebbero essere designati dei punti di contatto nazionali per sviluppare la cooperazione e lo scambio di informazioni. Il nuovo programma ARGO, un programma d'azione finalizzato alla cooperazione amministrativa nei settori delle frontiere esterne, dei visti, dell'asilo e dell'immigrazione[10], potrebbe essere utile per sostenere tale cooperazione amministrativa.

La Commissione ha raccomandato il ricorso al metodo aperto di coordinamento. Una descrizione di tale metodo specificamente ideato per la politica in materia di asilo si trova nella “Comunicazione della Commissione sulla politica comune in materia di asilo che introduce un metodo aperto di coordinamento[11]. Si attira l’attenzione sul secondo orientamento europeo proposto in relazione allo sviluppo di un sistema di asilo efficiente, che offra protezione a coloro che ne hanno bisogno, basato sulla piena applicazione della convenzione di Ginevra, ed in particolare sulle lettere g) (“enucleando i principi e le tecniche per individuare meglio le persone che non meritano la protezione internazionale in virtù delle clausole di esclusione”) e j) (“valutando ... il ricorso alle clausole di revoca ed esclusione”). Nei piani di azione nazionali volti a dare attuazione all’orientamento in parola, gli Stati membri dovrebbero individuare strumenti e obiettivi per conseguire la finalità europea ed analizzare l’attuazione degli strumenti nazionali e comunitari. Ciò servirà anche a raffrontare e individuare le migliori prassi e ad analizzare l’impatto effettivo ed i risultati delle scelte operate. Infine, per conseguire il fine voluto, si renderanno necessari anche un’adeguata consultazione e cooperazione con l’UNHCR, le organizzazioni internazionali competenti ed i paesi terzi.

Tutti gli strumenti menzionati contribuiranno ad individuare i miglioramenti necessari, in particolare al fine di adottare ulteriori norme nella seconda fase dell’armonizzazione delle politiche nel settore dell’asilo nell’Unione europea.


Capitolo 4:     Analisi delle “disposizioni relative alla sicurezza interna” contenute nelle (future) proposte di legislazione comunitaria presentate dalla Commissione nel settore dell’asilo e dell’immigrazione.

4.1                   Analisi generale

La normativa comunitaria in vigore o le proposte della Commissione di strumenti legislativi nel settore dell’asilo e dell’immigrazione contengono tutte sufficienti disposizioni standard per consentire di escludere qualsiasi cittadino di un paese terzo che possa essere considerato come una minaccia alla sicurezza pubblica/nazionale dal diritto di ricevere protezione internazionale, di ottenere il soggiorno o l’accesso a determinate prestazioni. Tuttavia, nell’ambito delle attuali e future discussioni e negoziazioni delle diverse proposte, dette disposizioni saranno riesaminate alla luce delle nuove circostanze, fermi restando i pertinenti obblighi internazionali alla base delle proposte. Le disposizioni in materia di protezione sono succintamente analizzate nei paragrafi che seguono e, ove opportuno, sono state messe in risalto le possibilità di chiarimento o di miglioramento delle stesse.

4.2                   Legislazione comunitaria in materia di asilo

4.2.1                Protezione temporanea

La direttiva, formalmente adottata dal Consiglio, sulle norme minime per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati e sulla promozione dell'equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono gli sfollati e subiscono le conseguenze dell'accoglienza degli stessi[12] dà facoltà agli Stati membri, a norma dell’articolo 28, paragrafo 1, lettera b), di escludere una persona dalla protezione internazionale qualora, tra gli altri motivi, sussistano motivi ragionevoli per considerarla un pericolo per la sicurezza dello Stato membro ospitante o, in quanto condannata con sentenza passata in giudicato per un reato particolarmente grave, un pericolo per la comunità dello Stato membro ospitante.

4.2.2                Eurodac

Il regolamento, formalmente adottato dal Consiglio, che istituisce l'«Eurodac» per il confronto delle impronte digitali per l'efficace applicazione della convenzione di Dublino[13], consente il rilevamento delle impronte digitali di tutti i richiedenti asilo di età superiore ai 14 anni. Ai fini dell’applicazione della Convenzione di Dublino, è necessario accertare con sicurezza l’identità dei richiedenti asilo e delle persone fermate in relazione all’attraversamento illecito delle frontiere esterne della Comunità. Ad ogni modo, il sistema aiuterà gli Stati membri a conoscere l’identità delle persone che entrano nel loro territorio e, di conseguenza, a migliorare la loro sicurezza nazionale.

4.3                   Proposte di legislazione comunitaria nel settore dell’asilo

4.3.1                Procedure di asilo

La Proposta di direttiva del Consiglio recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato[14] prevede, all’articolo 26, l’ “annullamento dello status di rifugiato” a seguito dell’accertamento di circostanze indicanti che la persona stessa non avrebbe mai dovuto ottenere la qualifica di rifugiato. L’articolo 33, paragrafo 2, lettera c) dispone inoltre che gli Stati membri hanno facoltà di derogare dalla norma secondo la quale il ricorso ha effetto sospensivo, quando sussistono motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico.

Come già indicato nel paragrafo 1.4.2.1, nel contesto della futura revisione di questa specifica proposta si potrebbe considerare di includere norme che consentano la sospensione del procedimento di asilo in situazioni nelle quali è stata presentata da un altro Stato, diverso dal paese di origine del richiedente asilo, una richiesta di estradizione, attinente ad un reato grave, o in casi di incriminazione da parte di un tribunale penale internazionale. In alternativa, come illustrato al paragrafo 1.4.2.2, l’articolo 18 della proposta in questione, relativo all’inammissibilità di talune domande di asilo, potrebbe essere modificato nel senso di consentire di dichiarare inammissibile una richiesta di asilo nei casi sopra citati.

Come indicato al paragrafo 1.4.3.2., la Commissione sta anche considerando di sopprimere l’articolo 28, paragrafo 2, lettera b) della proposta, secondo il quale gli Stati membri non considerano che il fatto che vi siano seri motivi per ritenere che le disposizioni dell’articolo 1(F) della Convenzione di Ginevra si applicano nei confronti del richiedente sia un motivo sufficiente per dichiarare manifestamente infondata una richiesta di asilo. A seguito di tale eventuale soppressione si dovrebbe aggiungere un altro motivo all’articolo 28, paragrafo 1 che consenta di dichiarare una domanda di asilo manifestamente infondata nei casi in cui sia stato stabilito prima facie che le clausole di esclusione della convenzione sui rifugiati trovano applicazione.

4.3.2                Condizioni di accoglienza

Secondo l’articolo 22, paragrafo 1, lettera d) della Proposta di direttiva del Consiglio recante norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri[15], gli Stati membri possono ridurre o revocare le condizioni di accoglienza se il richiedente asilo è considerato una minaccia per la sicurezza nazionale o vi sono seri motivi per ritenere che abbia commesso un crimine di guerra o un crimine contro l'umanità o se, nel corso dell'esame della domanda di asilo, emergono gravi ed evidenti ragioni per ritenere che i motivi di cui all'articolo 1 (F) della Convenzione di Ginevra siano applicabili al richiedente asilo.

Si potrebbe anche pensare di aggiungere un nuovo paragrafo 4, lettera a) all’articolo 22 relativo alla riduzione o revoca delle condizioni di accoglienza, del seguente tenore: “Qualora sia accertato il coinvolgimento del richiedente asilo in attività terroristiche, per avervi preso parte attiva o per favoreggiamento o aver fornito sostegno finanziario ad organizzazioni terroristiche, come definite dall’Unione europea, prima o dopo la presentazione della domanda di asilo, gli Stati membri devono revocare le usuali condizioni di accoglienza nei confronti del richiedente asilo e dare attuazione alle disposizioni sulla protezione previste dalla rispettiva legislazione nazionale.”

Giova altresì rammentare, con riferimento al presente documento, che l’attuale formulazione dell’articolo 7 della proposta consente, ove necessario, di limitare la libertà di circolazione dei richiedenti asilo ad una specifica parte del territorio nazionale dello Stato membro.

4.3.3                Determinazione dello Stato competente per l’esame di una domanda di asilo

Nella proposta di regolamento del Consiglio che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d'asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo[16] non vi sono specifiche disposizioni attinenti alla sicurezza nazionale. Tuttavia, non è necessario che ve ne siano atteso che la proposta non contiene disposizioni relative al riconoscimento o al diniego di diritti o di status.

4.3.4                Ammissibilità alla protezione internazionale

A norma dell’articolo 14 della recente proposta di direttiva del Consiglio recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi ed apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto dello status di protezione[17] gli Stati membri sono tenuti ad assicurare che una persona che rientra nelle condizioni di una delle clausole di esclusione della Convenzione sui rifugiati sia esclusa dallo status di rifugiato. La proposta, all’articolo 17, fa obbligo altresì agli Stati membri di escludere chiunque rientri nell’ambito di applicazione di dette clausole di esclusione anche dallo status di protezione sussidiaria.

Nell’ambito delle future discussioni su questa proposta si potrebbe prevedere l’inserimento all’articolo 19, relativo alla “Protezione dal respingimento e dall’espulsione”, di un paragrafo 2 il quale, in conformità dell’articolo 33, paragrafo 2 della convenzione sui rifugiati, disporrebbe che l’applicazione a suo favore di tale disposizione (l’obbligo di non respingimento) “non può essere invocata da una persona che goda della protezione internazionale nei confronti del quale vi siano ragionevoli motivi per ritenere che rappresenti una minaccia per la sicurezza dello Stato membro nel quale si trova, o che, essendo stato condannato con sentenza definitiva per un reato di particolare gravità, costituisce un pericolo per la comunità di tale Stato membro”.

Le disposizioni di cui ai citati articoli 14 e 17, e eventualmente la nuova formulazione dell’articolo 19, lasciano impregiudicati gli altri obblighi internazionali degli Stati membri, in particolare quelli che discendono dall’articolo 3 della CEDU.

4.4                   Proposte di legislazione comunitaria nel settore dell’immigrazione

Nel settore dell’immigrazione, tutte e tre le proposte di direttive del Consiglio presentate finora dalla Commissione e relative, rispettivamente, al ricongiungimento familiare, allo status dei cittadini di paesi terzi che siano residenti di lungo periodo, e alle condizioni di ingresso e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi che intendono svolgere attività di lavoro subordinato o autonomo, prevedono già delle clausole relative all’ “ordine pubblico”. Tali clausole danno facoltà agli Stati membri di negare l’ingresso di cittadini di paesi terzi per motivi di ordine pubblico o di sicurezza interna. Sembra che una scrupolosa applicazione di tali clausole sia un metodo più appropriato per aumentare la sicurezza interna piuttosto che procedere alla sostanziale modifica delle proposte di cui trattasi.

L’applicazione di detti motivi deve essere fondata esclusivamente sulla condotta individuale del cittadino di un paese terzo interessato. In pratica, ciò significa che la passata o presente appartenenza ad una determinata organizzazione - terroristica - deve essere interpretata come un elemento attinente alla “condotta personale” dell’individuo e potrebbe quindi giustificare l’applicazione della clausola di “ordine pubblico”. Le citate direttive escludono espressamente qualsiasi discriminazione operata sulla base della razza, dell’origine etnica, della religione o delle convinzioni, delle opinioni politiche o dell’appartenenza ad una minoranza nazionale. L’origine etnica o la nazionalità di una persona non può comunque mai essere sufficiente per giustificare l’applicazione della clausola di ordine pubblico, anche perché ciò contravverrebbe al principio di non discriminazione sancito dall’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.

4.4.1                Immigrazione per fini economici

In base all’articolo 27 della proposta di direttiva del Consiglio relativa alle condizioni d'ingresso e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi che intendono svolgere attività di lavoro subordinato o autonomo[18] “gli Stati membri possono negare il rilascio o il rinnovo del permesso o possono revocare il permesso ai sensi della presente direttiva per ragioni di ordine pubblico, pubblica sicurezza e salute pubblica. Le ragioni relative all'ordine pubblico o alla pubblica sicurezza possono fondarsi unicamente sulla condotta personale del cittadino di paese terzo.”

Tale disposizione conferisce agli Stati membri un maggiore grado di discrezionalità. L’attuale formulazione dell’articolo 27 della proposta può pertanto ritenersi sufficiente e non si ritiene che debba subire una modifica.

4.4.2                Ricongiungimento familiare

La proposta di direttiva del Consiglio relativa al diritto al ricongiungimento familiare[19] contiene nell’articolo 8 una disposizione relativa all’ordine pubblico che consente agli Stati membri di rifiutare “l'ingresso e il soggiorno di un membro della famiglia per ragioni di ordine pubblico, di sicurezza interna e di salute pubblica. Le ragioni di ordine pubblico o di sicurezza interna devono essere fondate esclusivamente sul comportamento personale del membro della famiglia in questione.”

La medesima logica illustrata al punto 1.4.4.1 si applica anche nel contesto di questa particolare proposta, e una modifica del testo non è pertanto considerata necessaria.

4.4.3                Status di residente di lungo periodo

La proposta di direttiva del Consiglio relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano residenti di lungo periodo[20] contiene diverse disposizioni che hanno attinenza con la sicurezza nazionale. La Commissione sta considerando la possibilità di modificare tali disposizioni nel seguente modo.

In base all’articolo 7 relativo a Ordine pubblico e sicurezza interna gli Stati membri possono negare lo status di residente di lungo periodo ove il comportamento personale dell'interessato costituisca una minaccia attuale per l'ordine pubblico o la sicurezza interna. Si sta considerando di eliminare dal paragrafo 1 l’aggettivo “attuale” e di sopprimere nel paragrafo 2 dell’articolo 7 la clausola secondo cui “la sola esistenza di condanne penali non può automaticamente giustificare il diniego di cui al paragrafo 1”. Lo stesso vale per l’articolo 19, con riferimento al diritto di soggiorno in un altro Stato membro.

Per quanto riguarda l’articolo 13 “Tutela contro l'allontanamento” la Commissione sta considerando di sopprimere il paragrafo 7 che non ammette la procedura d'espulsione per direttissima nei confronti dei residenti di lungo periodo. Tale disposizione si applica solo quando il cittadino di un paese terzo abbia ottenuto lo status di residente di lungo periodo e pertanto dovrebbe godere di un livello più elevato di protezione. Nonostante ciò, la procedura d'espulsione per direttissima può essere giustificata nel caso di una minaccia terroristica.

Infine, l’articolo 25 sulla “Revoca del titolo di soggiorno” recita: “1. Durante un periodo transitorio di cinque anni, il secondo Stato membro può adottare un provvedimento di allontanamento nei confronti del residente di lungo periodo e/o dei suoi familiari: a) per motivi di ordine pubblico e di sicurezza interna ai sensi dell'articolo 19; (…). 2. Il provvedimento di allontanamento non può essere accompagnato dal divieto permanente di soggiorno.” In tali casi, il secondo Stato membro può allontanare il residente di lungo periodo soltanto verso il territorio dello Stato membro che gli ha concesso tale status. In caso di minacce gravi, ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, il secondo Stato membro può allontanare il residente di lungo periodo direttamente verso il suo paese di origine o un altro paese terzo. La Commissione sta considerando l’aggiunta di un articolo 2 bis: “In caso di minaccia attuale e sufficientemente grave, trova applicazione la procedura di cui all’articolo 13.”

4.5                   Proposte future di legislazione comunitaria nel settore dell’immigrazione

4.5.1                Studenti e altri cittadini di paesi terzi

Gli obiettivi perseguiti dalla futura proposta di direttiva relativa alle condizioni di ingresso e soggiorno per i cittadini di paesi terzi ai fini di studio o dell’esercizio di un’attività lavorativa autonoma saranno meglio realizzati, si ritiene, garantendo al contempo agli Stati membri la possibilità di soddisfare le proprie esigenze in materia di sicurezza pubblica. La proposta contiene pertanto una clausola intesa a mantenere la facoltà di negare l’ingresso o il rinnovo, o ancora di revocare il permesso di soggiorno per motivi di ordine pubblico, di sicurezza pubblica e di sanità pubblica, precisando tuttavia che tali motivi devono essere fondati sulla condotta personale del cittadino di un paese terzo interessato. Una siffatta formulazione ha portata sufficientemente ampia per mantenere lo spazio di manovra necessario agli Stati membri per negare l’ingresso o porre termine al soggiorno di un cittadino di un paese terzo qualora tali provvedimenti risultino oggettivamente necessari. Analoghe disposizioni saranno inserite nella proposta di direttiva relativa alle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi per altre finalità.

4.5.2                Vittime della tratta di esseri umani

I servizi della Commissione stanno approntando una proposta di direttiva relativa al permesso di soggiorno di breve durata per le vittime della tratta di esseri umani. Non si intende creare il diritto a tale permesso in quanto tale, che può essere rilasciato soltanto a specifiche condizioni. Una di tali condizioni è che “non osti al rilascio di tale permesso alcuna considerazione attinente all’ordine pubblico e alla sicurezza pubblica”. Lo stesso vale per il rinnovo e quindi per la revoca del permesso. Tale formulazione appare sufficientemente ampia per consentire agli Stati membri di tutelare l’ordine pubblico e la sicurezza interna.



[1]           Bruxelles, 19.9.2001 COM(2001)521 def.

[2]           Bruxelles, 19.9.2001 COM(2001)522 def.

[3]           Bruxelles, 20.9.2000 COM(2000) 578 def.

[4]           Cfr. nota n. 3

[5]           Cfr. nota n. 3

[6]           Cfr. nota n. 3

[7]           Cfr. nota n. 3

[8]           Bruxelles, 22.11.2000 COM(2000)755 def.

[9]           Bruxelles, 28.11.2001 COM(2001)710 def.

[10]          Bruxelles, 16.10.2001 COM(2001)567 def.

[11]          Op. cit.

[12]          Direttiva 2001/55/CE del 20.7.2001

[13]          Regolamento n. 2725/2000/CE, dell’11.12.2000

[14]          Cfr. nota n. 3

[15]          Bruxelles, 3.4.2001 COM(2001) 181 def.

[16]          Bruxelles, 26.7.2001 COM(2001) 447 def.

[17]          Bruxelles, 12.9.2001 COM(2001)510 def.

[18]          Bruxelles, 11.7.2001 COM(2001) 386 def.

[19]          Bruxelles, 10.10.2000 COM(2000) 624 def.

[20]          Bruxelles, 13.3.2001 COM(2001) 127 def.