N E W S PROGETTO ATLANTE

 

POLITICHE LEGISLATIVE n. 15/2001

16 febbraio 2001

a cura dell'

ASGI - Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione

Bollettino news aggiornato alla data del 16 febbraio 2001 e curato da Monica Molteni e Paolo Oddi della segreteria dell'ASGI - Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione (tel. fax.040/910603).

 

La riproduzione di questo bollettino o anche di parte di esso, su supporto cartaceo o elettronico, non è consentita senza l'autorizzazione degli autori.

 

ASILO

1. Il Ministero dell'Interno dirama una circolare che prevede la proroga fino al 30 giugno 2001 dei permessi di soggiorno per motivi umanitari rilasciati ai richiedenti asilo kosovari che non avevano avuto accesso alle misure di protezione temporanea e le cui istanze di riconoscimento dello status di rifugiato convenzionale erano state rigettate dalla Commissione centrale, con la specifica raccomandazione del rilascio del permesso di soggiorno ai sensi dell'art. 5 comma 6 del Testo Unico. I contenuti delle disposizioni relative ai profughi dei territori della Repubblica Federale di Jugoslavia e del Kosovo in particolare che hanno cessato con il 30 giugno di beneficiare delle misure di protezione temporanea. Prevista la possibilità di presentare entro il 30 settembre istanza di proroga dell'asilo umanitario per le categorie individuate in base alle indicazioni dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite e di conversione del permesso di soggiorno per i profughi che abbiano realizzato un percorso di inserimento sociale. Gli altri potevano accedere, sempre fino al 30 settembre, al programma di rimpatrio volontario ed assistito predisposto dall'OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni). Un successivo parere del Ministero dell'Interno specifica che il termine del 30 settembre non deve intendersi perentorio e tassativo, ma solo indicativo, potendosi dunque accogliere istanze presentate anche dopo quella data.

Una circolare del Ministero dell'Interno datata 11 ottobre 2000 ha stabilito la proroga dei permessi di soggiorno per motivi umanitari a suo tempo rilasciati ai cittadini kosovari a seguito della specifica "raccomandazione" della Commissione Centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato in sede di rigetto delle istanze. In base ad una prassi oramai consolidata, a tale raccomandazione della Commissione centrale consegue il rilascio di un titolo di soggiorno su basi umanitarie, ai sensi dell'art. 5 comma 6 del D.l.vo n. 286/98, la cui data di scadenza nel caso dei richiedenti asilo kosovari era stata fissata nel 30 giugno 2000, per esigenze di uniformità con la situazione di coloro che avevano avuto accesso al regime di protezione temporanea. Con la circolare ministeriale si prevede che tali permessi di soggiorno vengano prorogati, su istanze degli interessati, fino alla data dl 30 giugno 2001. La motivazione del provvedimento si deve ricercare nel parere del Consiglio di Presidenza della Commissione Centrale, secondo il quale "la situazione in Kosovo permane caratterizzata da forti tensioni interetniche e sviluppi criminali", che rendono quindi non attuabile un rimpatrio degli interessati in condizioni di sicurezza e dignità. Con la suddetta circolare ministeriale viene dunque risolto uno dei problemi che erano rimasti aperti dopo il varo dei provvedimenti di chiusura del regime di protezione temporanea, che non potevano riguardare coloro che avevano avuto invece accesso unicamente alla procedura di riconoscimento dello status di rifugiato convenzionale, essendo giunti in Italia prima dell'apertura del regime di protezione temporanea o dopo la scadenza del medesimo.

Il Ministero dell'Interno aveva diramato il 5 settembre 2000 una circolare telegrafica urgentissima relativa alle misure adottate nei confronti dei profughi del Kosovo presenti in Italia per motivi di protezione temporanea, il cui permesso di soggiorno è scaduto il giorno 30.06.00.

La circolare illustrava il contenuto del DPCM la cui pubblicazione sulla G.U. è successivamente avvenuta il 18.09.2000.

Il contenuto di tale DPCM è conforme a quanto era stato precedentemente annunciato dal Sottosegretario per l'Interno, Aniello Di Nardo, dinanzi alla Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati, riunitasi lo scorso 4 luglio, e più precisamente:

  1. si disciplinavano, seppure a posteriori, le modalità di attuazione del programma di aiuto al rimpatrio volontario attuato con la collaborazione dell'OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) La validità del permesso di soggiorno per gli interessati è stata estesa, senza necessità di apposito rinnovo, fino alla effettiva data di partenza dall'Italia prevista dall'OIM.

Il programma di "rimpatrio volontario" ed "assistito" dei rifugiati kosovari era operativo già dal 1 luglio scorso. I dettagli sono stati riportati in un'apposita nota informativa diffusa agli interessati per il tramite delle questure e delle prefetture,. Il programma ha previsto l'erogazione a favore di ogni profugo adulto che ha deciso di rimpatriare di una somma pari a 1.500 Marchi tedeschi, ridotta a 500 marchi per ogni minore. Per informazioni, ci si può rivolgere all'ufficio dell'OIM a Roma, via Nomentana 62 -tel. 06/44231428, fax 06/4402533, e-Mail: iomrome@iom.int, oppure al Consiglio Italiano per i Rifugiati, via del Velabro, 5/a, ROMA tel. 06/69200114, e-mail: c.i.r.@flashnet.it

b) Sono stati esclusi dal rimpatrio coloro in grado di dimostrare la sussistenza di gravi motivi impeditivi ad un rientro nei luoghi di origine in condizioni di dignità e sicurezza. Ciò tenendo conto delle raccomandazioni e delle indicazioni fornite dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR)(si veda in proposito quanto specificato più avanti). A questi rifugiati è stato concesso un permesso di soggiorno per motivi umanitari, della durata di un anno e valido per lavoro, in base a quanto previsto dall'art. 5 c. 6 del D.lgs. n. 286/98, ma solo previo parere favorevole della Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato. L'istanza per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari doveva essere inoltrata alle questure territorialmente competenti entro il 30 settembre . Nella circolare, peraltro, non sono state indicate le procedure e le relative garanzie di tutela del richiedente attraverso le quali sarebbe stato poi acquisito, caso per caso, il parere della Commissione centrale al fine del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

c) E' stato possibile convertire il permesso di soggiorno per protezione temporanea in quello per motivi di lavoro per coloro in grado di dimostrare un "effettivo e stabile inserimento nel mercato del lavoro, nonché la disponibilità di un alloggio" (circolare art. 3 c. 4), anche senza appartenere alle categorie protette dal rischio di "refoulement" di cui al precedente punto b). Tale decisione è stata motivata con l'opportunità di non interrompere i processi di integrazione lavorativa e sociale già avviati da diversi profughi kosovari, così come di aiutare la ricostruzione del Kosovo, incentivando il positivo afflusso delle rimesse degli immigrati. La domanda per il rilascio del permesso di soggiorno doveva essere presentata alla Prefettura territorialmente competente (non alle questure) entro il 30.09.2000, corredata dei documenti giustificativi. Il permesso di soggiorno precedentemente in possesso degli interessati, in scadenza, è stato prorogato fino alla definizione dell'istanza. La circolare non ha specificato in modo chiaro quali siano i parametri e le modalità di valutazione da parte delle Prefetture dell'effettivo grado di integrazione socio-economica delle persone che hanno richiesto il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di lavoro, specie per coloro che sono giunti in Italia dopo la cessazione del conflitto, quindi in tempi relativamente recenti e che pertanto hanno avuto ancora una posizione lavorativa precaria, oppure disponevano di contratti di lavoro a breve termine.

La circolare ministeriale si è limitata ad affermare che la valutazione delle prefetture doveva essere effettuata anche in relazione alla situazione socio-economica della realtà locale ove il profugo risiedeva.

Un successivo parere trasmesso dal Ministero dell'Interno alle questure e prefetture locali ha indicato che la data del 30 settembre per la presentazione delle istanze di conversione/rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di protezione temporanea di cui ai punti b) e c) non deve considerarsi perentoria e tassativa, per cui possono essere accolte e valutate dagli organi competenti istanze prodotte anche dopo quella data.

 

I rifugiati che hanno goduto delle misure di protezione temporanea e che non hanno aderito al programma di rimpatrio assistito, né hanno presentato istanza per il rinnovo del soggiorno umanitario o per la conversione del titolo di soggiorno per motivi di lavoro, dovevano essere allontanati dall'Italia in base ai provvedimenti previsti dalla legislazione sull'immigrazione. A coloro cui verrà negato il rinnovo del soggiorno umanitario ovvero la sua conversione in quello per motivi di lavoro, dovrà essere notificato il provvedimento con atto scritto e motivato, contenente le modalità per la sua impugnazione (in caso di diniego dell'asilo umanitario previo parere sfavorevole della Commissione centrale, si deve ritenere che l'autorità giurisdizionale competente sia quella ordinaria anziché quella amministrativa, trattandosi di materia riferita al diritto di asilo costituzionale, in virtù delle sentenze di Cassazione 08.10.1999 e 26.06.1997), per cui ogni eventuale provvedimento di espulsione dovrà necessariamente essere proceduto dall'invito a lasciare il territorio nazionale entro i successivi 15 giorni (art. 12 DPR n. 394/99).

Si ricorda ancora una volta inoltre che tutti coloro che hanno usufruito della protezione temporanea in base alla DPCM 12.05.99 e DPCM 31.12.99, e non hanno perciò avuto accesso ad un esame individuale della propria richiesta di protezione hanno diritto di presentare istanza d'asilo (Conv. di Ginevra) secondo quanto stabilito dalla vigente normativa, qualora ritengano di possedere i requisiti per vedersi riconosciuto lo status di rifugiato.

Qualunque tipo di problema relativo all'applicazione e all'interpretazione delle disposizioni sopra illustrate, anche allo scopo di monitorare la situazione nelle varie città italiane e di poter intervenire utilmente, potrà essere segnalato al Servizio Rifugiati dell'ICS (Consorzio Italiano di Solidarietà), Via Roma 28 Trieste tel. 040/3480622, fax 040/3480614 ovvero al Consiglio Italiano per i Rifugiati, via del Velabro, 5/a, ROMA tel. 06/69200114, e-mail: c.i.r.@flashnet.it

In base ai primi dati raccolti dall'OIM a seguito di un censimento condotto nel corso della primavera, sembrerebbe che non più di 4.000 siano i cittadini dei territori della Repubblica Federale di Jugoslavia (e del Kosovo in particolare) ancora presenti in Italia, muniti del permesso di soggiorno per protezione temporanea.

Nell'implementare le disposizioni contenute nella circolare, il Governo italiano si è impegnato a rispettare le raccomandazioni formulate dagli organi delle Nazioni Unite operanti in Kosovo.

Con un documento diffuso nel corso del mese di ottobre (Policy paper on the repatriation of Kosovar Albanians), l'Amministrazione provvisoria delle Nazioni Unite in Kosovo (UNMIK) ha chiesto ufficialmente ai governi dei paesi di asilo si sospendere ogni rimpatrio forzato di profughi kosovari durante la stagione invernale e di concordare per la primavera prossima un piano di rimpatrio graduale e coordinato, basato prioritariamente su incentivi e scelte volontarie.

La posizione espressa dall'UNMIK si basa sulla constatazione dell'esaurimento delle possibilità alloggiative in Kosovo, del rischio di sovraccarico del sistema di assistenza sociale e della perdurante fragilità delle infrastrutture e dei servizi essenziali (energia elettrica, acqua corrente, servizi educativi). L'UNMIK raccomanda in particolare ai governi dei paesi di asilo di non rimpatriare persone vulnerabili sotto il profilo della salute fisica e psichica (es. malati di cancro, di cuore, affetti da disfunzioni ormonali, malati psichici, affetti da AIDS, diabetici e emofiliaci) che non potrebbero essere curate adeguatamente in Kosovo. Ugualmente, l'UNMIK critica severamente i casi di rimpatrio forzato in Kosovo di persone appartenenti a minoranze etniche perseguitate e discriminate, in primo luogo appartenenti ai gruppi rom e ashkalia. Secondo l'UNMIK, tali casi costituiscono una potenziale violazione dell'art. 33 della Convenzione di Ginevra e degli art. 2 e 3 della Convenzione Europea dei diritti dell'Uomo, visto l'elevato rischio che tali persone possano andare incontro a gravi rischi per la loro vita e incolumità personale, nonché a violazioni dei diritti umani una volta rientrati in Kosovo ( a tale riguardo il documento UNMIK cita le risultanze del sesto rapporto OSCE/UNHCR di valutazione della situazione delle minoranze etniche in Kosovo, reperibile sul sito Internet dell'UNHCR (www.unhcr.ch, pagina dell'Est Europa).

L'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) aveva elaborato nel marzo 2000 una propria presa di posizione contenente le raccomandazioni affinché i provvedimenti e le politiche di rimpatrio adottate dai governi corrispondano ai principi di "non refoulement" sanciti da precisi obblighi internazionali e ai requisiti di dignità, sicurezza e umanità (Kosovo Albanians in Asylum Countries: UNHCR Recommendations as regards Return).

Il documento UNHCR innanzitutto precisava che le condizioni di sicurezza e di vita in generale delle persone di etnia non albanese in Kosovo restavano estremamente precarie, per cui permanevano immutate le raccomandazioni già espresse con il precedente documento dell'ottobre 1999 (Asylum seekers from the FRJ. Particular groups) volte ad assicurare la proroga delle misure di protezione internazionale a favore di rifugiati kosovari di etnia diversa da quella albanese (rom, serbi,…).

Nel successivo documento, l'UNHCR riconosceva il significativo miglioramento delle condizioni di vita e di sicurezza per le persone di etnia albanese nella maggior parte del territorio del Kosovo, con l'esclusione di quei territori a maggioranza serba, dove gli albanesi continuano ad essere minoranza e a conoscere situazioni di discriminazione e persecuzione (municipalità a nord di Mitrovica). Per i rifugiati albanesi provenienti da tali municipalità, l'UNHCR raccomandava la proroga delle misure di protezione non considerando il loro rientro né sicuro, ne sostenibile.

Alla luce della situazione di violenza e di impunità ancora vigente in Kosovo, conseguente alla difficoltà di reale implementazione delle strutture preposte all'ordine pubblico e al funzionamento del sistema giudiziario da parte dell'Amministrazione provvisoria delle Nazioni Unite (UNMIK), così come alla permanenza di poteri paralleli facenti capo all'ex Esercito di Liberazione del Kosovo (UCK), anche talune categorie di kosovari albanesi subiscono pesanti e sistematiche violazioni dei diritti umani e serie minacce ala loro vita e libertà personale. Di conseguenza, l'UNHCR raccomandava ai governi di concedere, alla scadenza delle misure di protezione temporanea, ai rifugiati kosovari albanesi appartenenti alle categorie di seguito elencate, l'accesso a procedure di determinazione individuale dei motivi per cui non intendono rientrare in Kosovo: a) persone o nuclei familiari di origine etnica mista; b) persone che hanno collaborato con il regime serbo nel corso degli anni '90 o che vengono, anche a torto, ritenute di aver collaborato con il regime serbo dalla popolazione locale: c) persone che hanno rifiutato di unirsi all'Esercito di Liberazione del Kosovo o vi hanno disertato; d) persone che si sono espresse criticamente nei confronti dell'UCK e/o del governo provvisorio espresso dall'UCK o appartengono a partiti politici critici nei confronti dell'UCK; d) persone che hanno disubbidito a ordini e provvedimenti emanati dal governo provvisorio dell'UCK.

Al di là di tali situazioni, anche per rifugiati di etnia albanese non appartenenti a tali categorie avrebbe potuto non ritenersi conforme ai requisiti di dignità e sicurezza un provvedimento di rimpatrio. Secondo il documento dell'UNHCR, con particolare attenzione dovevano essere esaminate le istanze di proroga della protezione avanzate da individui traumatizzati durante il conflitto in Kosovo (vittime di tortura o di violenza sessuale, ex detenuti, …), avendo anche in considerazione quanto previsto dall'art. 1 ( C ) 5 (2 par.) della Convenzione di Ginevra del 1951 e dal par. 136 del manuale ACNUR sui criteri e le procedure per la determinazione dello status di rifugiato, con riferimento alle condizioni per la cessazione dello status di rifugiato. Parimenti, anche rifugiati appartenenti a gruppi vulnerabili -secondo l'UNHCR - avrebbero dovuto essere esentati da un rientro forzato in Kosovo e beneficiare della proroga delle misure umanitarie di protezione. Era il caso di persone handicappate o malate o di nuclei familiari comprendenti tali persone, di anziani soli, di minori non accompagnati e di donne con figli a carico prive di marito o di altri parenti in Kosovo.

Per tutti gli altri rifugiati di etnia albanesi, non ricadenti in alcuna delle categoria sopra menzionate, l'UNHCR non riteneva vi fossero necessità particolari di protezione che avrebbero impedito il loro rientro in Kosovo. Purtuttavia, l'UNHCR esprimeva la propria preferenza verso forme di rimpatrio volontario piuttosto che forzato, ed in ogni caso, raccomandava un rientro scaglionato e umano, che tenesse in considerazione fattori quali la disponibilità per i rientranti di adeguata sistemazione, l'accesso ai servizi socio-educativi e sanitari e ad un reddito adeguato, in relazione alla situazione generale esistente nella regione e che veniva analizzata - sempre dall'UNHCR - in un apposito documento intitolato UNHCR's Background Note on Ethnic Albanians from Kosovo Who are in Continued Need of Internatonal Protection.

Entrambi i documenti dell'UNHCR (in lingua inglese) possono essere richiesti alla segreteria organizzativa dell'ASGI (e-mail: ledaz@tin.it).

2. Un nuovo decreto del Ministero degli Affari Esteri rivede la materia dell'ingresso e del soggiorno dei cittadini somali in Italia. Le nuove disposizioni cercano di tenere conto delle notevoli difficoltà all'esercizio del diritto al ricongiungimento familiare determinate dal mancato riconoscimento da parte italiana di documenti anagrafici e di viaggio rilasciati o rinnovati da autorità "de facto" somale dopo il 31 gennaio 1991.

Considerati gli sviluppi in corso verso la ricostituzione di un'autorità di governo in Somalia, il Ministero degli Affari Esteri, con decreto 01.09.2000 (in G.U. n. 207 dd. 05.09.2000), ha rivisto la materia dell'ingresso e del soggiorno dei cittadini somali in Italia.

Il nuovo decreto prevede innanzitutto l'automaticità del rinnovo dei permessi di soggiorno annuali rilasciati in base alla direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 06.08.1998, estesa ai cittadini somali in base a quanto previsto dal decreto 01.02.1999 (in G.U. 17.02.1999, n. 39). Nulla si specifica nel nuovo decreto riguardo ai rinnovi dei permessi di soggiorno per motivi di lavoro di durata biennali rilasciati ai cittadini somali che avevano potuto dimostrare lo svolgimento di un'attività lavorativa in corso o un impegno di assunzione da parte di un datore di lavoro, in base al citato decreto 01.02.1999. L'applicazione delle regole ordinarie comporterebbe il mancato rinnovo del permesso di soggiorno e la conseguente espulsione del cittadino somalo titolare del permesso biennale, il quale, alla scadenza, non sarebbe in grado di dimostrare il possesso dei mezzi di sostentamento ovvero si trovasse in stato di disoccupazione da più di un anno a seguito della perdita di un'attività lavorativa precedente (art. 4 c. 3 e art. 22 c. 9 del T.U., così come reso applicativo dagli artt. 36 e 37 del reg. di attuazione). Sebbene nulla venga specificato al riguardo nei decreti ministeriali, è da ritenere che dai principi costituzionali di uguaglianza, di tutela del diritto d'asilo e di "non refoulment", derivi la necessità nei casi sopracitati di rinnovare al cittadino somalo comunque il permesso di soggiorno, rilasciandone uno per motivi umanitari di cui all'art. 5 c. 6 del T.U. E' evidente, infatti, che in caso contrario si determinerebbe una situazione di irragionevole disparità di trattamento rispetto ai cittadini somali, che rimanendo sempre disoccupati, non hanno convertito il loro permesso di soggiorno in quello per motivi di lavoro e ora si vedono riconosciuto comunque il diritto all'automatico rinnovo di quello umanitario. Tale automatico rinnovo, peraltro, è giustificato dal permanere di una situazione di instabilità e, perlomeno, di transizione negli assetti politici ed istituzionali somali, che non consente un rimpatrio dei cittadini somali in condizioni di dignità e sicurezza; condizione, dunque, che spetta a tutti i cittadini somali presenti in Italia, indipendentemente dalla natura del loro titolo di soggiorno.

Con il precedente decreto 01.02.1999, il Ministero degli Affari Esteri italiano aveva ritenuto di non riconoscere più alcuna validità ai passaporti somali o altri documenti di identità o anagrafici rilasciati o rinnovati da autorità "de facto" somale dopo il 31 gennaio 1991, in conseguenza della dissoluzione delle strutture statuali della Somalia. Pertanto, i cittadini somali presenti in Italia, per recarsi all'estero e fare poi rientro in Italia, debbono chiedere alle questure il rilascio di un apposito titolo di viaggio per stranieri, della stessa durata del permesso di soggiorno. In mancanza del passaporto, il rilascio o adeguamento del permesso di soggiorno può avvenire previa esibizione della carta di identità rilasciata dal Comune italiano di residenza.

Con il nuovo decreto 01.09.2000, il Ministero Affari Esteri specifica che i titoli di viaggio rilasciati ai cittadini somali in base alla precedente disposizione ministeriale, sono validi anche per la circolazione nei paesi aderenti agli accordi di Schengen. Non è tuttavia certo che tale disposizione consentirà il superamento delle difficoltà incontrate dai cittadini somali residenti in Italia nel corso di brevi soggiorni in alcuni Stati Schengen, almeno per coloro in possesso del permesso di soggiorno umanitario annuale di cui all'art. 5. 6 del T.U.. Quest'ultimo è infatti un permesso di soggiorno nazionale, emanato in deroga alle disposizioni dell'Accordo di Schengen e, come tale, non in grado di consentire l'ingresso ed il soggiorno del possessore negli Stati diversi da quello in cui è stato rilasciato (art. 5.2 Convenzione applicativa degli Accordi di Schengen) , pena la possibile applicazione di sanzioni - solitamente pecuniarie - previste per i trasgressori dalle leggi nazionali attuative degli accordi di Schengen.

Il mancato riconoscimento della validità dei documenti anagrafici somali ha comportato notevoli difficoltà per l'esercizio del ricongiungimento familiare, di fatto provocando il mancato rilascio dei visti di ingresso per l'impossibilità della dimostrazione del legame familiare in base a documenti consentiti. Le autorità diplomatico-consolari italiane non sono state più disposte ad accettare eventuali autocertificazioni da parte dei cittadini somali interessati, sebbene tale procedura era in precedenza consentita in base ad una vecchia circolare del Ministero dell'Interno ( n. 48 dd. 27 giugno 1992), ritenuta non più compatibile con le disposizioni nel frattempo impartite in materia di dichiarazioni sostitutive per i cittadini stranieri. Alcuni decreti dei tribunali di Forlì, Milano e Firenze avevano peraltro annullato provvedimenti di diniego al rilascio del visto per familiari di cittadini somali residenti in Italia, disponendo il loro diritto all'ingresso in Italia per motivi di coesione familiare, riconoscendo tra l'altro la legittimità e sufficienza del ricorso all'autocertificazione nelle forme e modalità consentite dagli artt. 1 e 5 del d.p.r. n. 403/98. Resta il fatto, tuttavia, che tali decreti giudiziari (pubblicati sul n. 1/2000 della Rivista "Diritto, Immigrazione e Cittadinanza" -Franco Angeli editore, Milano) sono anteriori all'emanazione del regolamento di attuazione della legge sull'immigrazione che ha espressamente negato la possibilità del ricorso all'autocertificazione di stati e fatti non verificabili da autorità italiane da parte dei cittadini stranieri extracomunitari.

Al fine di porre maggiore chiarezza su questa questione, il nuovo decreto del Ministero Affari Esteri specifica che per l'identificazione dei cittadini somali che intendono entrare in Italia per ricongiungimento familiare, si può fare ricorso ad elementi tratti da: a) documenti emessi dal Governo somalo fino al 31 gennaio 1991; b) documenti rilasciati dagli organismi internazionali ritenuti idonei dal MAE; c) certificazioni provenienti da soggetti che nel quadro del processo di ricostituzione dell'autorità centrale in Somalia esercitino a livello centrale o locale un'effettiva capacità di organizzazione amministrativa e civile (si ricorda in proposito che la ricostituzione di un'autorità istituzionale in Somalia sembra si stia determinando su basi federali, con una suddivisione territoriale facente capo ai diversi clan etnici). Le autorità consolari e ministeriali potranno prendere in considerazione di volta in volta ulteriore documentazione probatoria.

Per ovviare alle obiettive difficoltà di provare il legame familiare ai fini dell'esercizio del diritto alla coesione familiare da parte di rifugiati somali, alcuni paesi europei hanno recentemente introdotto il ricorso al test DNA (così i Paesi Bassi e la Finlandia), con diritto al parziale rimborso delle spese relative in caso di conferma della sussistenza del legame (in "ECRE Documentation Service" n. 2/2000).

 

3. Stabilita l'esenzione dal pagamento dei tickets per le prestazioni sanitarie fornite ai richiedenti lo status di rifugiato.

Con circolare del Ministero della Sanità n.5 del 24 marzo 2000 è stata disposta l'esenzione dalla compartecipazione alla spesa (pagamento dei tickets) in relazione alle prestazioni sanitarie fornite ai richiedenti lo status di rifugiato in possesso dello specifico permesso di soggiorno previsto dall'art.1 della legge 39/90. Il Ministero della Sanità motiva il provvedimento con l'impossibilità dei richiedenti asilo di intrattenere rapporti di lavoro durante la procedura di esame dell'istanza. Di conseguenza i richiedenti asilo vengono assimilati ai disoccupati iscritti alle liste di collocamento.

Con la circolare del Ministero della Sanità viene compiuto un piccolo passo in avanti nella direzione di una migliore condizione giuridica e sociale per i richiedenti asilo in Italia.

L'assistenza sanitaria per i richiedenti asilo è stata introdotta dall'art.34 del TU ( D.lgs. 286/98) che ha incluso questa categoria di stranieri tra i beneficiari del diritto all'iscrizione obbligatoria al SSN.

Prima dell'emanazione del regolamento attuativo (Dpr 394/99) talune Aziende Sanitarie avevano ugualmente negato l'iscrizione dei richiedenti asilo sul presupposto della mancanza della residenza anagrafica, impossibile da ottenere per i richiedenti asilo titolari soltanto del permesso di soggiorno temporaneo. Il regolamento attuativo ha opportunamente precisato (art.42) - e la circolare ministeriale ora lo ribadisce - che la legge sull'immigrazione non richiede la residenza anagrafica al fine dell'iscrizione obbligatoria al SSN per le categorie di stranieri che ne hanno diritto, facendo esclusivo riferimento al concetto dell' effettiva dimora dello straniero che, in mancanza di residenza anagrafica, può intendersi anche con il domicilio indicato nel permesso di soggiorno.

La circolare del Ministero della Sanità contiene inoltre l'importante precisazione che il periodo di copertura sanitaria obbligatoria per i richiedenti asilo deve decorrere dal momento della presentazione della richiesta di riconoscimento dello status, incluso il periodo dell'eventuale ricorso contro il diniego al rilascio del permesso di soggiorno, così come la titolarità del diritto deve essere documentata mediante esibizione della ricevuta di presentazione dell'istanza alle autorità di polizia. Sebbene non completamente sviluppata, la disposizione lascerebbe intendere che il richiedente asilo possa godere della copertura sanitaria obbligatoria anche successivamente all'eventuale diniego al riconoscimento dello status notificato dalla Commissione Centrale, purché egli abbia debitamente inoltrato ricorso al giudice civile ( anziché al TAR in base alla recente sentenza della Corte di Cassazione ) e abbia inoltrato istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di richiesta di asilo alla Questura competente, ottenendo anche solo il cedolino per ricevuta. La questione non è di poco conto. L'assenza di una normativa organica sull'asilo rende tuttora irrisolta la questione della regolare presenza in Italia del richiedente asilo nelle pendenze di un ricorso avverso la decisone negativa adottata in prima istanza dalla Commissione Centrale. L'art.1 c.5 della Legge n.39/90 prevede che al richiedente asilo sia rilasciato un permesso di soggiorno valido "sino alla definizione della procedura di riconoscimento dello status " , potendosi dunque ritenere compresa anche la fase dell'eventuale esperimento dei mezzi di ricorso. Contro tale argomentazione, tuttavia, molte questure fanno prevalere un'interpretazione restrittiva dell'art.5 del Dpr 136/90 , con il quale il richiedente asilo cui sia negato il riconoscimento "deve lasciare il territorio nazionale", per effetto dunque della sola decisione negativa della Commissione Centrale. E' vero peraltro che la competenza ora attribuita al giudice unico del Tribunale civile in materia di ricorsi attinenti lo status dei rifugiati rende possibile per la parte chiedere entro termini brevissimi l'emanazione di un provvedimento di urgenza di natura cautelare e sospensiva ex art.700 cpc, nell'attesa del provvedimento definitivo di merito. Il richiedente appare legittimato alla richiesta del provvedimento cautelare in quanto la mancanza di una normativa chiara che gli garantisca un titolo di soggiorno in Italia e lo tuteli dal rischio di un provvedimento espulsivo costituisce per lui una fonte di immediato pregiudizio e danno irreparabile, anche in relazione alle conseguenti violazioni del principio di non-refoulement.

Nell'attesa dell'approvazione del disegno di legge sull'asilo, che appare peraltro sempre più improbabile nella corrente legislatura, sarebbe dunque auspicabile un chiarimento a livello amministrativo sugli aspetti relativi al soggiorno del richiedente asilo nella pendenza del ricorso. Nel frattempo, la formulazione adottata nella circolare del Ministero della Sanità sembrerebbe far intendere che al richiedente asilo spetti la proroga dell'iscrizione obbligatoria al SSN anche nel periodo di pendenza del ricorso al giudice unico avverso la decisione negativa della Commissione Centrale, e ciò prescindendo anche dalla legalità del suo soggiorno in Italia, ritenendosi sufficiente la mera presentazione dell'istanza di rinnovo del permesso di soggiorno alla questura competente.

4. La Corte di Cassazione attribuisce alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie concernenti i dinieghi al riconoscimento dello stato di rifugiato in base alla Convenzione di Ginevra. Le problematiche relative all'ammissione dei richiedenti asilo al beneficio del gratuito patrocinio.

Con una clamorosa sentenza datata 8.10.1999, la Corte di Cassazione sezioni unite civili ha dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario nelle controversie (ricorsi) relativi al mancato riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951, da parte della Commissione centrale di cui all' articolo 1 della Legge 39/90 e al Dpr. 136/90.

La Corte di Cassazione ha preso le mosse dall'avvenuta espressa abrogazione - contenuta nell'articolo 46 della Legge 40/98 - della disposizione dell'articolo 5 della " Legge Martelli" che attribuiva al giudice amministrativo ( TAR) la decisione sull'impugnazione del provvedimento di diniego del riconoscimento dello status di rifugiato. Di conseguenza l'attribuzione al TAR della competenza sui ricorsi avverso le decisioni assunte in prima istanza dalla Commissione centrale non può più ritenersi automatica, ma la giurisdizione in proposito deve essere determinata secondo al Corte di Cassazione in base ai principi generali dell'ordinamento secondo i quali tutte le controversie concernenti lo status delle persone rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario .In appoggio a tale argomento, la Corte di Cassazione ha fatto riferimento alla disposizione contenuta nella Convenzione di Ginevra del 1951 che garantisce ad ogni rifugiato il libero e facile accesso ai tribunali degli Stati contraenti (art. 16), parificando sostanzialmente la sua condizione a quella dei cittadini .

La Corte di Cassazione ha ulteriormente richiamato la sua precedente giurisprudenza volta a far rientrare nella giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria le controversie riguardanti il riconoscimento del diritto di asilo costituzionale ( Cass. Sez. unite 26.5.97 n° 4674) .La Cassazione ha messo in evidenza la convergenza tra le due situazioni, sebbene distinte sotto il profilo dei requisiti per il riconoscimento ( non richiedendo l'asilo costituzionale l'ulteriore requisito della persecuzione soggettiva richiesta al rifugiato), riferendosi entrambe ad uno status, o diritto soggettivo, con la conseguenza che tutti i provvedimenti assunti dagli organi competenti in materia hanno natura meramente dichiarativa e non costitutiva . Ad ulteriore conferma del ragionamento, la Corte ha citato il trasferimento della giurisdizione dal giudice amministrativo a quello ordinario avvenuta con il varo della legge sull'immigrazione nelle controversie relative alle misure di espulsione degli stranieri.

Avendo la Cassazione pronunciato al sentenza a sezioni unite civili questa assume valore vincolante per l'autorità giudiziaria. D'ora in avanti, dunque, i ricorsi avverso i dinieghi al riconoscimento dello status di rifugiato emanati dalla Commissione centrale potranno essere presentati dinanzi al giudice ordinario anziché a quello amministrativo senza il timore che il primo possa pronunciare una propria incompetenza di giurisdizione.

Il problema che ora si pone ai richiedenti asilo e alle organizzazioni che li assistono è quello dell'accesso al gratuito patrocinio, materia che nei procedimenti innanzi alle autorità civili e amministrative è regolata dal R.D. 3282 del 1923., così come nei procedimenti penali dalla legge n. 217/90 La prima normativa innanzitutto è penalizzante per gli avvocati, in quanto prevede il gratuito patrocinio come una difesa non retribuita che costituisce titolo onorifico e obbligatorio. Inoltre, entrambe le normative fissano modalità e tempi per l'ammissione al beneficio difficilmente compatibili con la condizione del richiedente asilo, impossibilitato a richiedere certificazioni e documentazione alle autorità, anche consolari e diplomatiche, del paese di origine. Appare quanto mai opportuno e necessario dunque che il Ministero della Giustizia disponga opportuni chiarimenti normativi volti a consentire un effettivo accesso dei richiedenti asilo all'istituto del gratuito patrocinio in sede di ricorso di appello contro la decisione in prima istanza, rendendo concretamente usufruibili le disposizioni in materia di assistenza amministrativa ai rifugiati previste dall'art. 25 della Convenzione di Ginevra, che possono ritenersi applicabili anche ai richiedenti tale condizione, in ragione del fatto che il riconoscimento dello status di rifugiato da parte degli organi nazionali competenti ha valore dichiarativo e non costitutivo della condizione del rifugiato (in proposito Manuale ACNUR sulle procedure e i criteri per la determinazione dello status di rifugiato, par. 28). A ciò va aggiunto il riferimento all'effettività del diritto di difesa, sancito dall'art. 24 della Costituzione italiana e valido per tutti, cittadini italiani e stranieri, regolari e non.

Tali argomenti sono stati proposti da ASGI, CIR, ICS e Magistratura Democratica, in un appello indirizzato al Ministro della Giustizia, Fassino nell'ottobre scorso.. Il testo dell'appello può essere richiesto alla segreteria organizzativa dell'ASGI (indirizzo e-mail: ledaz@tin.it).

Copia della sentenza della Corte di Cassazione è reperibile sul sito Internet http: //briguglio.frascati.enea.it/immigrazione-e-asilo/2000/febbraio/cassazione-87-10-99.html ed è stata pubblicata sul n. 1/2000 della rivista "Diritto, Immigrazione e Cittadinanza" (Franco Angeli editore).

5. La circolare del Ministero dell'Interno relativa al regolamento di applicazione della legge sull'immigrazione ribadisce la possibilità del rilascio del permesso di soggiorno umanitario nei casi in cui venga sollecitato della Commissione centrale nonostante il diniego al riconoscimento dello status di rifugiato.

La circolare diffusa ai primi di gennaio dal Ministero dell'Interno e firmata dal capo della polizia, Masone, conferma per la prima volta per iscritto la possibilità, già ampiamente diffusa e consolidata nella prassi dall'entrata in vigore della legge n. 40/1998, per le questure di rilasciare appositi permessi di soggiorno umanitari, di durata di norma annuale e validi per lavoro, ai richiedenti asilo che si siano visti respingere l'istanza di riconoscimento dello status di rifugiato, ma ai quali l'apposita commissione centrale abbia riconosciuto valide ragioni per non fare ritorno nel paese di origine, per le motivazioni richiamate dall'art. 5 comma 6 del TU e riconducibili a ragioni di carattere umanitario o derivanti dagli obblighi internazionali di "non refoulement" ovvero da quelli costituzionali inerenti al diritto d'asilo. Sebbene la timida e prudente formulazione usata dalla circolare ministeriale sembra sottolineare il carattere di raccomandazione della segnalazione della commissione centrale, non giuridicamente vincolante per la questura almeno in via ultimativa, il richiamo contenuto nella circolare non può che essere accolto positivamente, nell'attesa che il DDL sull'asilo possa completare il suo iter parlamentare e consentire finalmente una piena attuazione nel nostro paese di un sistema normativo organico in materia di protezione temporanea e di diritto d'asilo costituzionale.

La formulazione aperta della norma di cui all'art. 5 c. 6 del TU non pregiudica tuttavia la possibilità, almeno teorica, che la scelta di rinnovare un permesso di soggiorno, anche in deroga alle norma vigenti, possa essere adottata dalle autorità locali di polizia anche in assenza di una specifica raccomandazione della commissione centrale, così come dell' accesso dell'interessato alla procedura di riconoscimento dello status di rifugiato, in presenza di comprovate ragioni che richiamino ai suddetti obblighi internazionali o costituzionali dello Stato italiano.

 

 

6. Il Ministero dell'Interno, assieme all'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati e all'ANCI (Associazione Nazionale dei Comuni Italiani), vara un progetto pilota per la costituzione a partire dal 1 gennaio 2001 di un sistema nazionale di accoglienza, di assistenza e di protezione dei richiedenti asilo e dei rifugiati in Italia, utilizzando la quota dell'otto per mille destinata allo Stato in sede di dichiarazione dei redditi.

Il Ministero dell'Interno, assieme all'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati e all'ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani), ha varato alla fine di settembre un progetto pilota per la costituzione e la gestione di un sistema nazionale d'accoglienza, di assistenza e protezione in favore dei richiedenti asilo e dei rifugiati in Italia. Il progetto, che avrà la durata di un anno, dal 1 gennaio al 31 dicembre 2001, prevede l'utilizzo dei 40 miliardi di lire destinati allo Stato attraverso il meccanismo dell'8 per mille in sede di dichiarazione dei redditi.

Il progetto intende dar vita ad un sistema di accoglienza decentrato e diffuso sull'interno territorio nazionale, a favore dei richiedenti asilo, che coinvolga iniziative di accoglienza già convenzionate con il Ministero dell'Interno (come quelle previste nella regione Puglia attraverso la legge 563/95), oppure da attuarsi con Enti locali e organizzazioni di volontariato. Il progetto ipotizza l'inserimento di almeno 5.000 persone per un periodo di accoglienza stimato di norma in 180 giorni. Il progetto si articolerebbe su due livelli: a) una struttura tecnica di coordinamento centrale, gestita da Ministero dell'Interno, ACNUR e ANCI e b) i progetti territoriali di intervento a livello locale che riguarderebbero 4 ambiti territoriali: 1) aree di ingresso; 2) aree metropolitane e urbane particolarmente interessate dalla presenza di richiedenti asilo; 3) altre aree con presenza di richiedenti asilo; 4) aree di uscita. In ciascuna di queste aree verrebbero finanziate iniziative coordinate e collegate in rete di accoglienza (vitto, alloggio e accesso ai servizi), di orientamento sociale e di informazione e tutela legale.

Il progetto parte dalla constatazione della crescita del numero dei richiedenti asilo in Italia negli ultimi anni, in corrispondenza con l'entrata in vigore della Convenzione di Dublino, che ha costretto il nostro paese a non poter più rimanere un mero paese di transito di richiedenti asilo. A tale crescita dei richiedenti asilo non ha trovato riscontro un conseguente adattamento delle possibilità di assistenza ed accoglienza adeguato alle nuove esigenze, con la derivante marginalizzazione dei richiedenti asilo, i quali, privi di strutture di accoglienza e di orientamento, sono costretti a lasciare il nostro paese per cercare asilo in altri paesi europei sotto false generalità ovvero a entrare nel circuito della clandestinità. Alcuni dati rendono ben evidente tale fenomeno: nel corso del 1999, 33.000 sono stati i richiedenti asilo che si sono dichiarati tali negli uffici di polizia al momento dell'ingresso in Italia o subito dopo. Di questi, solo 8.311 hanno completato la procedura di registrazione, identificazione e di consegna del permesso di soggiorno provvisorio*/, ma solo 2.200 circa di essi si sono presentati dinanzi alla Commissione Centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato, ottenendo in 809 casi il riconoscimento dello status, in 860 il rigetto accompagnato dalla speciale raccomandazione di rilascio del permesso di soggiorno su basi umanitarie ed in 633 il mero rigetto (dati ICS). Poco più del 5% dunque dell'intero numero dei richiedenti asilo ha dunque completato la procedura di determinazione dello status di rifugiato, mentre il rimanente 95% si è disperso clandestinamente sul territorio italiano o ha cercato ingresso in altri paesi europei.

Nell'attesa dunque dell'indispensabile riforma del sistema generale dell'asilo nel nostro paese, anche per renderlo compatibile agli standard in via di formazione a livello europeo, il progetto dunque cercherà di ovviare almeno in parte alle carenze dell'attuale sistema e di realizzare le esigenze di un'accoglienza dignitosa dei richiedenti asilo.

Per maggiori informazioni sul progetto pilota ci si può rivolgere al Ministero dell'Interno- Dipartimento Servizi Civili oppure alla delegazione in Italia dell'ACNUR, via Caroncini, 119, Roma.

7. Imminente la votazione alla Camera del ddl asilo.

In attesa della riproposizione alla Camera - per la votazione - del disegno di legge contenente "norme in materia di protezione umanitaria e di diritto d'asilo" (Ddl n. 5381, approvato dalla Commissione Affari costituzionali, per il testo si veda il sito della Camera; progetti di legge) in calendario in questi giorni, un appello dell'ICS sollecita deputati e senatori a varare l'attesa riforma. L'appello, che l'ICS invita tutti a sottoscrivere (e ad inviare via fax ai presidenti di Camera e Senato), nasce dal timore che la legislatura si chiuda senza che la nuova legge venga varata. Il testo infatti, dopo l'approvazione della Camera, dovrà essere votato dal Senato nelle parti sottoposte a modifica. Il lungo iter parlamentare del progetto di legge sull'asilo ha visto recepite, rispetto al testo inizialmente approvato dal Senato, molte delle proposte avanzate dal gruppo di lavoro delle ONG (convocato dall'Alto commissariato delle Nazioni Unite e composto, oltre che dall'ICS, dall'ASGI, dal Consiglio Italiano per i Rifugiati, dal Gruppo di riflessione dell'area religiosa e da Médicins sans frontières). Dopo l'approvazione in Commissione il testo è stato introdotto alla discussione in aula a fine novembre scorso. Tale discussione, tuttavia, non iniziò per la presa di posizione della Presidenza della Camera circa un'insufficiente copertura finanziaria del provvedimento. Oggi tali ostacoli sono stati superati e il testo, accompagnato da alcune ultime proposte di emendamenti per l'aula (tra cui, quelli di maggior rilievo riguardano le modifiche del testo in relazione all'esito negativo del pre-esame), dovrebbe essere finalmente messo in votazione. Come sottolineato dall'appello dell'ICS " … la persistente mancanza di una legislazione organica italiana in materia di asilo, situazione anomala unica tra i paesi aderenti all'Unione europea, sta ponendo da alcuni anni serissimi problemi sulle procedure d'asilo, contribuendo a creare forti problemi di carattere organizzativo e logistico, nonché gravi disagi ed incertezza di diritto per i richiedenti asilo e rifugiati, per gli operatori della pubblica sicurezza, per le amministrazioni pubbliche coinvolte, per il volontariato".

Per scaricare l'appello dell'ICS, nonché per gli aggiornamenti sullo stato di avanzamento del dibattito parlamentare sul ddl asilo e sugli emendamenti, si rinvia al sito internet:

http://briguglio.frascati.enea.it/immigrazione-e-asilo/2001/gennaio/febbraio

PROGRAMMAZIONE DEI FLUSSI (Ingresso, Soggiorno, Espulsioni).

8. Bozza del decreto del presidente del consiglio dei ministri (D.P.C.M.) di programmazione dei flussi di ingresso dei lavoratori extracomunitari nel territorio dello Stato per l'anno 2001, approvata dal comitato dei ministri il 15-12-2000

E' stata recentemente diffusa la bozza del decreto-flussi per l'anno 2001, che prevede l'ingresso in Italia per 63.000 cittadini extracomunitari residenti all'estero. Tale flusso viene così suddiviso:

50.000 ingressi sono riservati ai lavoratori subordinati non stagionali e 13.000 ai lavoratori stagionali.

La quota dei 50.000 ingressi è ulteriormente così suddivisa:

Nella bozza della Relazione di accompagnamento al decreto flussi 2001, il comitato dei ministri delinea i criteri sulla base dei quali lo stesso è stato redatto.

Tuttavia, poichè il Testo Unico sull'immigrazione (art. 3) stabilisce che solo il "documento programmatico" triennale delle politiche migratorie debba indicare i criteri per la determinazione delle quote annuali di ingresso e quest'ultimo non risulta essere stato ancora approvato per il triennio 2001-2004, ad oggi si profila un'incongruenza nel modus operandi del Governo.

A fronte della richiesta pervenuta dalle imprese di autorizzare l'ingresso di circa 100.000 stranieri per l'anno il corso - comprovata anche dall'eccesso di domanda da parte delle stesse rispetto alle quote dell'ultimo decreto e dalla velocità di esaurimento di queste ultime -, il Governo ha giustificato la predetta quota di 63.000 considerando alcuni fattori "decrementali" come, ad esempio, la tendenza all'aumento della mobilità interna di manodopera dalle regioni del centro-sud verso quelle del nord, le problematiche relative all'inserimento alloggiativo, il trend occupazionale e la congiuntura economica previsti per il 2001.

Rispetto al decreto flussi 2000 la bozza 2001 introduce una novità: la previsione di una specifica quota di ingresso per manodopera qualificata (infermieri e operatori della new economy) per far fronte alla cronica carenza di lavoratori italiani in questi settori.

Per una prima valutazione di tale bozza si segnala il puntuale commento di Paolo Bonetti sul sito: http://briguglio.frascati.enea.it/immigrazione-e-asilo/2001/gennaio.

 

9. Emanato il decreto del Ministero degli Affari Esteri relativo alle tipologie dei visti di ingresso e ai requisiti per il loro ottenimento. Finalmente disciplinata compiutamente la materia del rilascio dei visti per ingresso per lavoro autonomo nei casi di contratti per lavoro parasubordinato (collaborazioni coordinate e continuative) o di lavoro autonomo da svolgere in qualità di socio di cooperative. Esteso il rilascio del visto per ricongiungimento familiare anche ai casi di adozione di stranieri maggiorenni da parte di cittadini italiani.

Con decreto del Ministero degli Affari Esteri, emanato il 12 luglio scorso di concerto con quelli dell'Interno, della Giustizia, del Lavoro e della Solidarietà sociale (in G.U. n. 178 del 01.08.2000), sono state definite le tipologie dei visti rilasciabili per l'ingresso dei cittadini extracomunitari in Italia e i requisiti per il loro ottenimento. Il decreto tiene conto delle disposizioni contenute negli Accordi di Schengen - divenuti parte integrante del diritto comunitario a seguito dell'entrata in vigore del Trattato di Amsterdam (c.d "aquis di Schengen")- nonché di quanto previsto dal Testo Unico sull'immigrazione (d.lgs.n. 286/98), di cui costituisce la necessaria integrazione applicativa, secondo quanto previsto dall'art. 5 del DPR 31.08.1999, n. 394.

I visti di ingresso previsti dal decreto sono suddivisi in tre gruppi:

  1. Visti Schengen Uniformi (V.S.U.), previsti dagli artt. 10 e 11 della Convenzione di applicazione degli Accordi di Schengen, che a sua volta si dividono in: 1) visti di "tipo A" per transito aeroportuale (transito nelle zone internazionali degli aeroporti); 2) visti di "tipo B" per transito, della durata massima di 5 giorni; 3) visti di "tipo C", per soggiorni di breve durata o di viaggio, con validità massima di 90 giorni.
  2. Tali visti danno diritto all'ingresso in tutti i paesi aderenti agli Accordi Schengen, indipendentemente dal paese che li ha rilasciati.

  3. Visti a Validità Territoriale Limitata (V.T.L.), rilasciabili per i medesimi motivi indicati al punto a), ma valevoli soltanto per il paese che li ha rilasciati.
  4. Visti nazionali , previsti dal'art. 18 della Convenzione di applicazione di Schengen, (V.N.), di lunga durata, di "tipo D", con validità superiore ai 90 giorni.

Del primo gruppo di visti (Visti Schengen Uniformi) fanno parte quelli per affari, gara sportiva, invito ,transito, trasporto e turismo. Del secondo gruppo (Visti a Validità Territoriale Limitata) fa parte soltanto quello per transito aeroportuale, mentre i Visti Nazionali sono quelli per adozione, per accreditamento diplomatico, per familiare al seguito, per inserimento nel mercato del lavoro, di reingresso, per residenza elettiva, per ricongiungimento familiare, per vacanze-lavoro. Possono essere rilasciati sia come "Visti Schengen Uniformi" ovvero come "visti Nazionali" quelli per cure mediche, lavoro autonomo, lavoro subordinato, missione, motivi religiosi, studio.

Tra le novità introdotte dal decreto, che integrano quanto previsto dalla legge sull'immigrazione e dal regolamento applicativo, va innanzitutto annoverata la disciplina per il rilascio del visto per lavoro autonomo nelle ipotesi di esercizio di attività autonome che non trovano corrispondente iscrizione nel registro delle imprese e che sono svincolate da licenze e autorizzazioni o da iscrizione ad albi o registri, come nel caso di stipula di contratti di collaborazione coordinata e continuativa (lavoro parasubordinato) oppure di svolgimento di attività in qualità di socio e/o amministratore in società e cooperative di produzione e lavoro. Al riguardo, il decreto prevede che lo straniero per ottenere il rilascio del visto per lavoro autonomo deve presentare, dapprima alla questura per il rilascio del nulla-osta all'ingresso e poi all'autorità diplomatico-consolare italiana competente, la seguente documentazione:

  1. idoneo contratto di lavoro (non necessario in caso di socio prestatore d'opera) corredato da certificazione di iscrizione nel registro delle imprese del soggetto committente; b) copia di una dichiarazione di responsabilità del committente o del responsabile della società , preventivamente inviata alla competente Direzione provinciale del Lavoro, nella quale si indichi che non verrà stipulato alcun rapporto di lavoro subordinato; c) dichiarazione del committente o del responsabile della società che assicura al lavoratore autonomo un compenso di importo superiore al minimo previsto dalle legge per l'esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria (circa 17 milioni di lire annui); d) copia dell'ultimo bilancio della società o dell'ultima dichiarazione dei redditi del committente, se persona fisica.

L'autorità consolare dovrà inoltre verificare la sussistenza del requisito alloggiativo, dimostrabile mediante l'esibizione di un contratto di acquisto o locazione di immobile ovvero mediante dichiarazione (autocertificazione) di un cittadino italiano o straniero regolarmente soggiornante in Italia che attesti la messa a disposizione di alloggio idoneo a favore del richiedente.

Ai medesimi requisiti e condizioni si deve fare riferimento nelle ipotesi di richiesta di conversione del permesso di soggiorno di studio o per altri ragioni che non consentano l'esercizio dell'attività lavorativa in quello per motivi di lavoro autonomo, secondo quanto previsto dall'art. 6 comma 1 del d.lgs. n. 286/98 e dagli art. 14 c. 5 e 39 comma 7 del D.P.R. n. 394/99, fermo restando la necessità che il richiedente rientri nelle quote di programmazione annuale dei flussi di ingresso in Italia per ragioni di lavoro.

Un'altra importante novità introdotta dal decreto M.A.E. sui visti di ingresso riguarda l'estensione del rilascio del visto per ricongiungimento familiare, con conseguente diritto all'ottenimento di un permesso di soggiorno biennale e multifunzionale (valido quindi anche per l'esercizio dell'attività lavorativa), anche ai casi di adozione di stranieri maggiorenni da parte di cittadini italiani, in presenza di un provvedimento definitivo adottato in tal senso dall'Autorità giudiziaria italiana competente, in base all'istituto previsto dal Codice Civile.

Viene così colmata una lacuna della legislazione sull'immigrazione che nulla prevedeva al riguardo dell'ingresso e soggiorno degli stranieri maggiorenni adottati da cittadini italiani, ai quali invece - è opportuno ricordarlo - la legislazione sulla cittadinanza riserva condizioni agevolate per l'accesso alla naturalizzazione italiana, prevedendo un requisito di residenza quinquennale in Italia invece di quello decennale previsto per gli stranieri in generale (art. 9 legge n. 91/92).

 

 

Nella tabella di seguito riportata vengono elencati i 21 tipi di visti previsti dal decreto, unitamente ai soggetti destinatari dei medesimi, rinviando alla lettura del decreto per quanto concerne i requisiti e le condizioni per il rilascio.

 

 

 

DENOMINAZIONE TIPOLOGIA BENEFICIARI

ADOZIONE

V.N.

Straniero destinatario del provvedimento di adozione o di affidamento pre-adottivo

AFFARI

V.S.U.

Straniero che intenda viaggiare per finalità economico-commerciali, per contatti o trattative, per l'apprendimento o la verifica dell'uso o del funzionamento di beni strumentali acquistati o venduti nell'ambito di contratti commerciali o di cooperazione industriale

CURE MEDICHE

V.S.U. o V.N.

Straniero che abbia necessità di sottoporsi a trattamenti medici presso istituzioni sanitarie italiane.

DIPLOMATICO

V.N.

Straniero titolare di passaporto diplomatico o di servizio destinato a prestare servizio presso le rappresentanze diplomatico-consolari del suo Paese, in Italia o presso la Santa Sede

FAMILIARE AL SEGUITO

V.N.

Straniero al seguito di un familiare, cittadino italiano o dell'Unione Europea o di un paese aderente all'Accordo sullo Spazio economico europeo, o di uno straniero extracomunitario, secondo quanto previsto dall'art. 29 comma 4 e 5 del T.U.

GARA SPORTIVA

V.S.U.

Straniero che intenda partecipare a singole competizioni o ad una serie di manifestazioni sportive, professionistiche o dilettanti, allenatori, direttori tecnico-sportivi, preparatori atletici e accompagnatori.

INSERIMENTO NEL MERCATO DEL LAVORO

V.N.

Straniero in favore del quale sia stata accettata la garanzia per l'accesso al lavoro (art. 23 commi 1,2, 3 T.U.)

INVITO

V.S.U.

Straniero invitato da istituzioni, organizzazioni pubbliche o private, quale ospite di particolari eventi e manifestazioni politiche, culturali o scientifiche. Straniero convocato o invitato dall'autorità giudiziaria italiana.

LAVORO AUTONOMO

V.S.U. o V.N.

Straniero che intende esercitare attività professionale o lavorativa a carattere non subordinato (art. 26 T.U.)

LAVORO SUBORDINATO

V.S.U. o V.N.

Straniero chiamato in Italia a prestare attività lavorativa a carattere subordinato

MISSIONE

V.S.U. o V.N.

Straniero che intende entrare in Italia per ragioni legate alla sua funzione politica, governativa o di pubblica utilità

MOTIVI RELIGIOSI

V.S.U. o V.N.

Religiosi stranieri (che hanno ricevuto ordinazione sacerdotale o condizione equivalente, ministri di culti appartenenti ad organizzazioni confessionali registrate presso il Ministero dell'Interno) che intendono partecipare a manifestazioni di culto o esercitare attività ecclesiastica, religiosa o pastorale

REINGRESSO

V.N.

Stranieri titolari di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno che si trovino incidentalmente sprovvisti di tali documenti e intendano rientrare nel territorio italiano

RESIDENZA ELETTIVA

V.N.

Straniero che intenda stabilirsi in Italia e sia in grado di mantenersi autonomamente, senza esercitare attività lavorativa

RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE

V.N.

Straniero che intenda riacquistare la sua riunione familiare con cittadini italiani, dell'Unione Europea o extracomunitari (art. 28 del T.U.)

Stranieri maggiorenni adottati da cittadini italiani.

STUDIO

V.S.U. o V.N.

Straniero che intenda seguire corsi universitari, corsi di studio o di formazione professionale o chiamato a svolgere attività culturali e di ricerca.

TRANSITO AEROPORTUALE

V.T.L.

Consente l'accesso dello straniero alla zona internazionale o di transito di un aeroporto italiano, durante scali o tratte di un volo o di voli internazionali

TRANSITO

V.S.U.

Consente allo straniero di attraversare il territorio di uno Stato aderente agli accordi di Schengen nel corso di un viaggio da uno Stato terzo ad un altro Stato terzo. Rilasciabile anche a marittimi stranieri che intendano imbarcarsi o sbarcare presso porti italiani o nello spazio Schengen

TRASPORTO

V.S:U.

Straniero che intende recarsi in Italia per svolgere l'attività professionale connessa al trasporto di merci o di persona, sia per via terrestre che aerea autotrasportatori, equipaggi di voli charter o privati)

TURISMO

V.S.U.

Straniero che intende entrare in Italia (e negli altri paesi dello Spazio Schengen) per motivi turistici. Minori stranieri accolti nell'ambito di programmi turistico-umanitari

VACANZE-LAVORO

V.N.

Stranieri appartenenti a paesi con cui l'Italia abbia stipulato accordi specifici in materia (art. 27 comma 1 lett. r) T.U. e art. 40 c. 16 del D.P.R. n. 394/99)

 

10. Approvazione del modello di cui all’art. 32, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 394 del 31 agosto 1999, valido ai fini dell’inserimento nell’anagrafe annuale informatizzata di cui all’art. 21, comma 5, del decreto legislativo n. 286 del 25 luglio 1998, concernente la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.

 

Il decreto del Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale adottato di concerto con il Ministero degli Affari esteri e del Ministero dell’Interno del 4/09/2000 ha approvato il modello delle schede di iscrizione che i cittadini extracomunitari residenti all’estero potranno compilare presso le autorità diplomatiche italiane al fine di inoltrare la domanda per poter lavorare in Italia.

Tali dati saranno poi messi a disposizione dei datori di lavoro e delle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro che ne faranno richiesta tramite le Direzioni Provinciali del Lavoro.

In particolare il modello conterrà i seguenti dati:

11. Circolare Min. Lavoro n. 13/2001 del 22/01/2001 "Autorizzazioni al lavoro per ingresso dall’estero — procedure autorizzative"

La circolare n. 13/2001 suindicata prevede l’onere per il datore di lavoro che ha presentato alla Direzione Provinciale del Lavoro la domanda di autorizzazione per l’ingresso in Italia di un lavoratore extracomunitario residente all’estero di riproporre la domanda l’anno successivo qualora la richiesta non sia stata accolta, in quanto tali richieste hanno validità soltanto per l’anno solare in cui sono state presentate.

Le Direzioni provinciali del Lavoro comunicheranno agli interessati il mancato accoglimento della domanda per esaurimento delle quote previste dal decreto annuale dei flussi di ingresso.

In particolare, per i documenti da allegare alla domanda di autorizzazione, il datore di lavoro farà riferimento alla documentazione precedentemente presentata e agli atti della Direzione Provinciale del Lavoro.

12. Circolare Min. Lavoro n. 82/2000 del 23 /11/2000 "D.L.vo 25.2.2000 n. 72 — Attuazione della Direttiva 96771/CE in materia di distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi. Art. 27 1° comma lett.i) del T.U. D.L.vo n. 286/98

La circolare n. 82/2000 prevede che la Direzione Provinciale del Lavoro può rilasciare l’autorizzazione al lavoro ai lavoratori dipendenti regolarmente retribuiti da datori di lavoro residenti, o aventi sede all’estero e da questi direttamente retribuiti solo in presenza dei seguenti requisiti:

Qualora non esistano convenzioni in materia di sicurezza sociale con il paese straniero da cui provengono i lavoratori interessati gli stessi sono assoggettati a tutta la legislazione vigente in Italia in materia previdenziale e assicurativa.

 

13. Il Ministero del Lavoro specifica con propria circolare le modalità e le procedure per il rilascio dell'autorizzazione al lavoro per l'ingresso dei cittadini extracomunitari nell'ambito della politica di programmazione dei flussi. Importanti novità relative all'ingresso dei collaboratori domestici, con riferimento in particolare ai limiti di reddito familiare del datore di lavoro richiesto per l'autorizzazione all'assunzione dello straniero.

Il Ministero del Lavoro (Servizio per i problemi dei lavoratori immigrati extracomunitari e delle loro famiglie) ha emanato una circolare (n. 55/2000 dd. 28 luglio 2000) contenente le istruzioni relative al rilascio delle autorizzazioni al lavoro per l'ingresso degli stranieri in Italia nell'ambito della politica di programmazione dei flussi migratori di cui agli artt. 22 e 24 del T.U. (e relativi artt. 30 e 38 del regolamento di attuazione).

Per quanto concerne la domanda di autorizzazione al lavoro subordinato, di cui all'art. 22 del T.U., si specifica tra l'altro che il datore di lavoro debba presentare la relativa istanza alla Direzione provinciale del Lavoro competente per il luogo in cui l'attività lavorativa dovrà effettuarsi. Si conferma che, con l'avvenuta abrogazione dell'art. 8 comma 4 della legge n. 943/86 relativo alla validità biennale dell'autorizzazione la lavoro e all'obbligo di permanenza della qualifica di ingresso, lo straniero che una volta fatto ingresso in Italia e instaurato il rapporto di lavoro, si dimetta o venga licenziato, potrà iscriversi alle liste di collocamento e concorre senza limiti di qualifica professionale alla ricerca di una nuova collocazione lavorativa. In caso invece di mancata instaurazione del rapporto di lavoro successivamente all'ingresso in Italia, la relativa autorizzazione verrà revocata con conseguente revoca del permesso di soggiorno.

Per quanto attiene alla procedura per il rilascio dell'autorizzazione al lavoro, la circolare precisa che questa presuppone l'acquisizione di copia del contratto di lavoro sottoscritto dal datore di lavoro e dallo straniero. La firma del datore di lavoro sarà autenticata presso la direzione provinciale del lavoro, mentre quella dello straniero presso la Rappresentanza diplomatico-consolare italiana all'estero , al momento del rilascio del visto di ingresso (un'eccezione è prevista per i contratti di lavoro stagionale, che potranno esser perfezionati con la sottoscrizione da parte del lavoratore anche successivamente al suo ingresso in Italia, dinanzi all'autorità di P.S. nel momento della richiesta del permesso di soggiorno). Al momento della richiesta di autorizzazione al lavoro per l'ingresso del cittadino straniero, il datore di lavoro deve presentare apposita documentazione fiscale, attestante la sua capacità economica (art. 30 c. 3 DPR n. 394/99). La circolare specifica che detta documentazione deve consistere nella copia delle denunce IRPEF/IRPEG oppure nel registro dei corrispettivi, nel bilancio d'esercizio, nelle ricevute dei contributi previdenziali versati. Viene prevista la facoltà per il datore di lavoro di avvalersi di apposita autocertificazione. Il criterio della capacità economica del datore di lavoro sarà analizzato caso per caso, in relazione sia al numero dei lavoratori da assumere sia all'esigenza dell'impresa. Per tale valutazione, il Ministero del Lavoro precisa che il termine di 20 gg. per il rilascio dell'autorizzazione previsto dalla legge ha carattere ordinatorio e non tassativo.

Una precisazione importante contenuta nella circolare riguarda l'ammissibilità del rilascio dell'autorizzazione anche nel caso di contratti di lavoro part-time, purché l'orario di lavoro abbia una consistenza tale da assicurare un reddito sufficiente per il mantenimento del lavoratore.

Con la circolare del Min. Lavoro n. 55/2000 trova compiuta disciplina anche la questione dell'ingresso degli immigrati extracomunitari ai fini dello svolgimento del lavoro domestico. La circolare regolamenta in particolare la questione del reddito familiare del datore di lavoro necessario ai fini della dimostrazione del requisito della capacità economica per l'assunzione dello straniero. Si precisa innanzitutto che tale reddito potrà risultare anche dal cumulo dei redditi di primo grado non conviventi o in mancanza, di altri soggetti tenuti legalmente all'assistenza (art. 433 C.C.), sulla base di un'autocertificazione dei medesimi. Per quanto concerne i limiti di reddito, il Ministero del Lavoro ha preso in considerazione il c.d "redditometro" di cui al D.M. 10.09.1992 del Ministero delle Finanze, adeguato del 50% rispetto a quello determinato dal Decreto della Direzione generale delle Entrate del 21.09.1999 (in G.U. n. 237 dd. 08.10.1999), con una valutazione differenziata su base provinciale (si veda tabella di seguito).

La circolare precisa che l'autorizzazione all'ingresso per lavoro domestico potrà essere rilasciata anche per rapporti di lavoro a tempo parziale o con numero di ore settimanali inferiore a 24, purché la durata dell'orario di lavoro concordata tra le parti sia tale da garantire un reddito sufficiente per il lavoratore pari ad almeno 850.000 lire oltre all'alloggio. L'autorizzazione inoltre può essere rilasciata anche per l'instaurazione di una pluralità di rapporti con diversi datori di lavoro, fermo restando la garanzia di un reddito complessivo pari alle citate 850.000 lire mensili più la garanzia di un alloggio.

La circolare infine stabilisce che ogni autorizzazione al lavoro rilasciata per l'ingresso di un lavoratore extracomunitario dovrà essere utilizzate entro sei mesi dalla data del rilascio, pena la sua decadenza.

La circolare del Ministero del Lavoro può essere reperita sul sito Internet: www.minlavoro.it , dal quale possono essere scaricati anche i formulari e le tabelle.

MINISTERO DEL LAVORO E DELLA PREVIDENZA SOCIALE

Direzione Generale per l’Impiego

Reddito del nucleo familiare da prendere a base per

L’assunzione di una COLF a tempo pieno o a tempo parziale

 

Provincia

REDD. BASE

Costo annuo

Esempio:

REDDITO

Reddito

per calcolo

Forfettario

assunzione

per assumere

per assun. colf.

 

 

assun.colf

 

Per colf a T.P.

 

colf P.T.50%

 

colf a T.Pieno

 

P.T. al.50%

Milano

75.222.400

24.000.000

12.000.000

99.222.400

87.222.400

Bologna

75.094.418

24.000.000

12.000.000

99.094.418

87.094.418

Trieste

72.429.283

24.000.000

12.000.000

96.429.283

84.429.283

Modena

72.159.320

24.000.000

12.000.000

96.159.320

84.159.320

Treviso

71.032.974

24.000.000

12.000.000

95.032.974

83.032.974

Bolzano

70.997.479

24.000.000

12.000.000

94.997.479

82.997.479

Firenze

70.955.985

24.000.000

12.000.000

94.955.985

82.955.985

Parma

70.894.993

24.000.000

12.000.000

94.894.993

82.894.993

La Spezia

70.674.523

24.000.000

12.000.000

94.674.523

82.674.523

Biella

70.620.531

24.000.000

12.000.000

94.620.531

82.620.531

Aosta

70.594.034

24.000.000

12.000.000

94.594.034

82.594.034

Vicenza

70.566.038

24.000.000

12.000.000

94.566.038

82.566.038

Reggio Emilia

70.319.072

24.000.000

12.000.000

94.319.072

82.319.072

Verona

70.366.066

24.000.000

12.000.000

94.366.066

82.366.066

Prato

69.870.634

24.000.000

12.000.000

93.870.634

81.870.634

Padova

69.851.136

24.000.000

12.000.000

93.851.136

81.851.136

Roma

69.678.160

24.000.000

12.000.000

93.678.160

81.678.160

Genova

69.658.663

24.000.000

12.000.000

93.658.663

81.658.663

Torino

69.569.175

24.000.000

12.000.000

93.569.175

81.569.175

Lecco

69.443.692

24.000.000

12.000.000

93.443.692

81.443.692

Udine

69.377.701

24.000.000

12.000.000

93.377.701

81.377.701

Gorizia

69.364.703

24.000.000

12.000.000

93.364.703

81.364.703

Mantova

69.333.707

24.000.000

12.000.000

93.333.707

81.333.707

Ancona

69.041.747

24.000.000

12.000.000

93.041.747

81.041.747

Trento

68.743.788

24.000.000

12.000.000

92.743.788

80.743.788

Ravenna

68.546.315

24.000.000

12.000.000

92.546.315

80.546.315

Piacenza

68.543.815

24.000.000

12.000.000

92.543.815

80.543.815

Novara

68.498.822

24.000.000

12.000.000

92.498.822

80.498.822

Varese

68.413.833

24.000.000

12.000.000

92.413.833

80.413.833

Pordenone

68.331.844

24.000.000

12.000.000

92.331.844

80.331.844

Brescia

68.234.858

24.000.000

12.000.000

92.234.858

80.234.858

Forlì

68.188.364

24.000.000

12.000.000

92.188.364

80.188.364

Savona

68.080.879

24.000.000

12.000.000

92.080.879

80.080.879

Como

68.032.885

24.000.000

12.000.000

92.032.885

80.032.885

Bergamo

67.847.911

24.000.000

12.000.000

91.847.911

79.847.911

Vercelli

67.706.930

24.000.000

12.000.000

91.706.930

79.706.930

Alessandria

67.474.962

24.000.000

12.000.000

91.474.962

79.474.962

Rovigo

67.472.462

24.000.000

12.000.000

91.472.462

79.472.462

Venezia

67.421.469

24.000.000

12.000.000

91.421.469

79.421.469

Cuneo

67.322.483

24.000.000

12.000.000

91.322.483

79.322.483

Ferrara

66.999.027

24.000.000

12.000.000

90.999.027

78.999.027

.Verbania-Cusio-ossola

66.945.534

24.000.000

12.000.000

90.945.534

78.945.534

Pistoia

66.886.043

24.000.000

12.000.000

90.886.043

78.886.043

Rimini

66.826.551

24.000.000

12.000.000

90.826.551

78.826.551

Belluno

66.765.559

24.000.000

12.000.000

90.765.559

78.765.559

Pisa

66.740.063

24.000.000

12.000.000

90.740.063

78.740.063

MINISTERO DEL LAVORO E DELLA PREVIDENZA SOCIALE

Direzione Gnenerale per l’Impiego

Reddito del nucleo familiare da prendere a base per

L’assunzione di una COLF a tempo pieno o a tempo parziale

 

Provincia

REDD. BASE

Costo annuo

Esempio:

REDDITO

Reddito

per calcolo

Forfettario

assunzione

per assumere

per assun. colf.

 

 

assun.colf

 

Per colf a T.P.

 

colf P.T.50%

 

colf a T.Pieno

 

P.T. al.50%

 

Macerata

66.498.096

24.000.000

12.000.000

90.498.096

78.498.096

Cremona

66.496.096

24.000.000

12.000.000

90.496.096

78.496.096

Siena

66.467.600

24.000.000

12.000.000

90.467.600

78.467.600

Lucca

66.344.617

24.000.000

12.000.000

90.344.617

78.344.617

Perugia

66.001.664

24.000.000

12.000.000

90.001.664

78.001.664

Pescara

65.545.226

24.000.000

12.000.000

89.545.226

77.545.226

Arezzo

65.495.733

24.000.000

12.000.000

89.495.733

77.495.733

Pesaro e Urbino

65.491.734

24.000.000

12.000.000

89.491.734

77.491.734

Lodi

65.421.743

24.000.000

12.000.000

89.421.743

77.421.743

Asti

65.409.745

24.000.000

12.000.000

89.409.745

77.409.745

Ascoli Piceno

65.331.256

24.000.000

12.000.000

89.331.256

77.331.256

Livorno

65.090.289

24.000.000

12.000.000

89.090.289

77.090.289

Imperia

64.814.827

24.000.000

12.000.000

88.814.827

76.814.827

Pavia

64.503.369

24.000.000

12.000.000

88.503.369

76.503.369

Chieti

64.234.406

24.000.000

12.000.000

88.234.406

76.234.406

Grosseto

64.040.933

24.000.000

12.000.000

88.040.933

76.040.933

Frosinone

63.981.441

24.000.000

12.000.000

87.981.441

75.981.441

Teramo

63.896.952

24.000.000

12.000.000

87.896.952

75.896.952

Terni

63.829.962

24.000.000

12.000.000

87.829.962

75.829.962

Latina

63.795.466

24.000.000

12.000.000

87.795.466

75.795.466

Sondrio

63.780.968

24.000.000

12.000.000

87.780.968

75.780.968

Massa Carrara

63.177.051

24.000.000

12.000.000

87.177.051

75.177.051

L'Aquila

63.060.567

24.000.000

12.000.000

87.060.567

75.060.567

Campobasso

63.023.072

24.000.000

12.000.000

87.023.072

75.023.072

Viterbo

62.876.592

24.000.000

12.000.000

86.876.592

74.876.592

Taranto

62.811.101

24.000.000

12.000.000

86.811.101

74.811.101

Bari

62.724.113

24.000.000

12.000.000

86.724.113

74.724.113

Ragusa

62.381.660

24.000.000

12.000.000

86.381.660

74.381.660

Sassari

62.353.164

24.000.000

12.000.000

86.353.164

74.353.164

Messina

62.171.189

24.000.000

12.000.000

86.171.189

74.171.189

Cagliari

62.164.190

24.000.000

12.000.000

86.164.190

74.164.190

Rieti

61.980.715

24.000.000

12.000.000

85.980.715

73.980.715

Isernia

61.444.289

24.000.000

12.000.000

85.444.289

73.444.289

Palermo

61.378.298

24.000.000

12.000.000

85.378.298

73.378.298

Siracusa

61.240.316

24.000.000

12.000.000

85.240.316

73.240.316

Matera

61.189.323

24.000.000

12.000.000

85.189.323

73.189.323

Potenza

60.985.851

24.000.000

12.000.000

84.985.851

72.985.851

Napoli

60.914.361

24.000.000

12.000.000

84.914.361

72.914.361

Salerno

60.805.876

24.000.000

12.000.000

84.805.876

72.805.876

Avellino

60.428.928

24.000.000

12.000.000

84.428.928

72.428.928

Benevento

60.285.447

24.000.000

12.000.000

84.285.447

72.285.447

Catanzaro

60.056.479

24.000.000

12.000.000

84.056.479

72.056.479

Cosenza

60.012.485

24.000.000

12.000.000

84.012.485

72.012.485

Trapani

59.924.497

24.000.000

12.000.000

83.924.497

71.924.497

 

 

MINISTERO DEL LAVORO E DELLA PREVIDENZA SOCIALE

Direzione Gnenerale per l’Impiego

Reddito del nucleo familiare da prendere a base per

L’assunzione di una COLF a tempo pieno o a tempo parziale

 

Provincia

REDD. BASE

Costo annuo

Esempio:

REDDITO

Reddito

per calcolo

Forfettario

assunzione

per assumere

per assun. colf.

 

 

assun.colf

 

Per colf a T.P.

 

colf P.T.50%

 

colf a T.Pieno

 

P.T. al.50%

Oristano

59.907.499

24.000.000

12.000.000

83.907.499

71.907.499

Catania

59.843.508

24.000.000

12.000.000

83.843.508

71.843.508

Foggia

59.714.026

24.000.000

12.000.000

83.714.026

71.714.026

Brindisi

59.686.529

24.000.000

12.000.000

83.686.529

71.686.529

Nuoro

59.600.041

24.000.000

12.000.000

83.600.041

71.600.041

Enna

59.489.556

24.000.000

12.000.000

83.489.556

71.489.556

Reggio Calabria

59.388.570

24.000.000

12.000.000

83.388.570

71.388.570

Caltanisetta

59.141.604

24.000.000

12.000.000

83.141.604

71.141.604

Lecce

59.063.115

24.000.000

12.000.000

83.063.115

71.063.115

Vibo Valentia

59.056.616

24.000.000

12.000.000

83.056.616

71.056.616

Crotone

58.991.625

24.000.000

12.000.000

82.991.625

70.991.625

Caserta

58.963.629

24.000.000

12.000.000

82.963.629

70.963.629

Agrigento

58.685.167

24.000.000

12.000.000

82.685.167

70.685.167

 

 

 

 

 

 

 

 

Il reddito da considerare per l’assunzione di un collaboratore domestico,

è quello risultante dalla somma del reddito base per calcolo assunzione colf

ed il costo complessivo effettivo della colf da assumere.

14. Una circolare del Ministero del Lavoro conferma di fatto le vecchie disposizioni di legge secondo cui alla cessazione del rapporto di lavoro il libretto di lavoro del cittadino extracomunitario deve essere restituito dal datore di lavoro alla Direzione provinciale del Lavoro anziché all'interessato. Notevoli le complicazioni e i disagi pratici che tale normativa comporta per i lavoratori extracomunitari, in violazione anche al principio di parità di trattamento proclamato dalla legge sull'immigrazione.

La circolare del Ministero del Lavoro n. 55/2000 dd. 28 luglio 2000 ha implicitamente confermato la permanenza in vigore delle disposizioni di cui all'art. 2 ultimo comma della legge 10.01.1935 n. 112, in base alle quali il libretto di lavoro del cittadino extracomunitario deve essere richiesto dal datore di lavoro in sede di prima assunzione e va da questi restituito alla direzione provinciale del lavoro anziché all'interessato alla cessazione del rapporto di lavoro. La norma, risalente all'epoca fascista, discrimina il cittadino straniero rispetto a quello italiano, che invece ottiene personalmente il rilascio del libretto di lavoro prima dell'iscrizione alle liste di collocamento e la sua restituzione dopo la cessazione del rapporto di lavoro. Il testo unico sull'immigrazione non ha proceduto all'abrogazione esplicita di tale disposizione, per cui il Ministero del Lavoro la considera tuttora valida, sebbene si possa anche sostenere la tesi della sua incompatibilità con il principio di parità di trattamento tra lavoratori stranieri regolarmente soggiornati e lavoratori italiani, di cui alla Convenzione OIL n. 143/1975, esplicitamente richiamata dall'art. 2 c. 3 del D.lgs., n. 286/98 e, di conseguenza ritenere la norma del 1935 implicitamente abrogata per effetto dell'art. 15 delle disposizioni preliminari al Codice Civile.

La norma del 1935 che impedisce al lavoratore extracomunitario di possedere personalmente il proprio libretto di lavoro crea notevoli disagi e complicazioni in sede di assunzione dello straniero. Talvolta succede che i datori di lavoro non siano a conoscenza di tali norme e ritengano erroneamente che lo straniero sia privo del libretto di lavoro perché non in regola con le norme sul soggiorno in Italia, rifiutando così l'assunzione nel timore di venire incontro a sanzioni. Inoltre, tutta la procedura di assunzione del lavoratore straniero viene perlomeno rallentata dalla necessità per il datore di lavoro di richiedere il libretto di lavoro dello straniero alla direzione provinciale del lavoro, soprattutto se lo straniero era stato precedentemente occupato in un'altra regione.

Sarebbe dunque opportuno un intervento del Ministero del Lavoro volto ad eliminare questa disparità di trattamento, che crea inutili ostacoli pratici all'inserimento sociale e lavorativo degli stranieri nel nostro paese.

15. Decreto Min. Interno 6 ottobre 2000 "Procedura per la comunicazione ai comuni del codice fiscale"

Il decreto 6/10/2000 del Ministero dell’Interno adottato di concerto con il Ministero delle Finanze prevede che ai fini dell’acquisizione del codice fiscale da attribuire a chi ne sia sprovvisto, i comuni di residenza del richiedente debbano trasmettere al Ministero delle Finanze i dati anagrafici dello stesso compresi gli aggiornamenti dei dati e l’eventuale decesso del cittadino.

Il Ministero delle Finanze, ricevuti i dati anagrafici, provvederà a trasmettere ai comuni i relativi codici fiscali.

16. Una circolare del Ministero del Lavoro chiarisce che sono pienamente regolari i rapporti di lavoro dell'immigrato in attesa del rinnovo del permesso di soggiorno.

La circolare del Ministero del Lavoro n. 67 dd. 29.09.2000 ha messo fine ai dubbi e alle incertezze che erano sorte a seguito di accertamenti condotti da ispettori ministeriali che avevano rilevato l'irregolarità di rapporti di lavoro svolti da stranieri che si trovavano nella fase di rinnovo del permesso di soggiorno e che, pertanto, erano provvisti soltanto della ricevuta del permesso medesimo. La circolare ministeriale chiarisce la completa regolarità della prosecuzione del rapporto di lavoro in corso con lo straniero, che si trovi nella fase di rinnovo del suo permesso di soggiorno, il quale in sede di eventuale ispezione dovrà esibire la ricevuta di presentazione della domanda di rinnovo del permesso, unitamente alla copia della domanda presentata alla locale questura.

17. Circ. Min. Lavoro n. 20/2001 del 5 febbraio 2001 "Circolari n. 66/2000 e 67/2000. Precisazioni e integrazioni"

La circolare n. 20/2001 chiarisce due distinte fattispecie:

- il possesso del cedolino da parte del cittadino straniero in attesa del rilascio del permesso di soggiorno nell’ambito della regolarizzazione prevista dal DPCM 16/10/1998 costituisce elemento sufficiente per instaurare un regolare rapporto di lavoro;

- diversamente il cedolino in possesso del cittadino straniero in attesa di rinnovo del permesso di soggiorno non incide sulla regolare prosecuzione del rapporto di lavoro in corso solo qualora accompagnato, in sede di ispezione da parte dei funzionari del Ministero, dalla domanda corredata da tutta la documentazione richiesta per il rinnovo stesso presentata alla locale Questura.

 

18. Una circolare del Ministero dell'Interno chiarisce quando possono essere rilasciati i permessi di soggiorno per motivi di giustizia a seguito di ricorsi ai tribunali amministrativi regionali avverso dinieghi al rinnovo o al rilascio di permessi di soggiorno o revoca dei medesimi.

Una circolare del Ministero dell'Interno datata 1 luglio 2000 ha inteso chiarire i dubbi emersi sulla legittimità del rilascio del permesso di soggiorno per motivi di giustizia a seguito di ricorsi pendenti dinanzi ai Tribunali amministrativi regionali avverso atti di diniego al rinnovo o al rilascio dei permessi di soggiorno o di revoca dei medesimi.

Sebbene l'art. 5 comma 2 del d.lgs. n. 286/98 prevedesse genericamente tale tipologia di permesso di soggiorno, il successivo regolamento applicativo (dpr. n. 394/99) nulla ha previsto al riguardo, determinando quindi la necessità di una legiferazione per circolare amministrava.

La circolare specifica che nel caso di revoca del permesso di soggiorno e di successiva ordinanza di sospensiva del provvedimento da parte del TAR , le questure debbano ripristinare lo "status quo ante", restituendo il permesso di soggiorno originario fino alla sentenza di merito dell'organo giurisdizionale amministrativo ovvero fino ad eventuale rigetto dell'istanza di sospensiva da parte dell'organo di appello (Consigli di Stato), qualora l'ordinanza del TAR venga impugnata. Non viene esclusa peraltro la possibilità delle questure di emanare un nuovo provvedimento negativo, soprattutto in presenza di una sospensiva adottata sull'assunto dell'insufficiente motivazione.

Nei casi di rifiuto di rilascio o di rinnovo del permesso di soggiorno, trattandosi di provvedimento "in negativo" (di negazione di qualcosa), l'eventuale accoglimento dell'istanza di sospensiva non comporta -secondo il Ministero- un obbligo delle questure di emettere un permesso di soggiorno per motivi di giustizia, né tantomeno di rilasciare il permesso di soggiorno richiesto. Viene tuttavia suggerito agli organi periferici di polizia di procedere ad un riesame del caso, tenendo conto dell'eventuale motivazione dell'ordinanza di sospensiva del TAR, al fine di verificare l'opportunità di soddisfare la richiesta dello straniero, ovvero di produrre appello dinanzi al Consiglio di Stato o anche di provvedere all'emanazione di un nuovo provvedimento negativo, motivato tenendo conto di quanto espresso dall'ordinanza cautelare. La circolare peraltro afferma la necessità del rilascio del permesso di soggiorno per motivi di giustizia in tutti i casi in cui l'ordinanza cautelare di accoglimento sia divenuta definitiva, perché non più opponibile e/o perché confermata dal Consiglio di Stato.

Il testo integrale della circolare è stato pubblicato sul n. 3/2000 della rivista "Diritto, Immigrazione e Cittadinanza", edita da Franco Angeli di Milano (Ufficio abbonamenti tel. 02/2895762).

19. Secondo la Corte Costituzionale, non è illegittima costituzionalmente l'espulsione dello straniero extracomunitario irregolare convivente more uxorio con il cittadino italiano.

L’espulsione dell’extracomunitario senza permesso di soggiorno ma convivente more uxorio con un cittadino italiano è legittima costituzionalmente e compatibile con i principi di eguaglianza (art. 3 Cost.) riconosciuti dal nostro ordinamento.

Così si è espressa la Corte Costituzionale con l'ordinanza n. 313/2000, poi confermata da quella n. 481/2000, che ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 17 comma 2 lettera c) della legge 40/98 poi sostituito dall’art. 19 comma 2 lettera c) del d.lgs 25/7/98 n. 286.

Il Pretore di Vibo Valentia si era rivolto alla Consulta, prima nel marzo 1999 e poi nel febbraio 2000, ed aveva sollevato questione di legittimità della norma citata nella parte in cui non ricomprende tra le categorie per le quali "in nessun caso si può disporre" l’espulsione od il respingimento (artt.13 e 10 legge 286/98) anche quella degli stranieri conviventi con cittadini italiani, annoverando invece gli stranieri coniugati con cittadini italiani e i parenti entro il quarto grado dei medesimi e con essi conviventi.

Secondo l’opinione del giudice siciliano, la previsione dell’articolo appena descritto contrasterebbe con l’articolo 3 della Costituzione. Infatti, così come formulata, la norma attribuirebbe rilevanza a relazioni- quali i rapporti entro il quarto grado di parentela - spesso più evanescenti di quelle che stanno alla base di una unione di fatto.

Sempre secondo il giudice, al contrario, i rapporti di convivenza dovrebbero essere intesi nella ampia accezione di "legami di comunanza di abitudini e di stile di vita" e tutelati come di pari dignità rispetto alle unioni formalizzate col matrimonio: i primi coincidono con le seconde dal punto di vista sostanziale e potrebbero costituire l’occasione per estendere l’applicazione dell’articolo 19, legge 286.

Nonostante gli avvisi del Pretore e le recenti pronunce in materia di diritto di famiglia con le quali la Consulta ha segnato un'evoluzione della concezione di unione more uxorio come "formazione sociale nella quale si esplica la personalità umana" e che avrebbero ad essa accordato "tutela e dignità di trattamento", tutto ciò premesso, in entrambe le ordinanze (313 e 481) la Corte Costituzionale ha sottolineato l’impossibilità di estendere l’applicazione della legge 286 anche alle famiglie di fatto, soprattutto alla luce della tassatività delle ipotesi indicate dall’art. 19.

Poiché, ad avviso della Corte, la convivenza è comunque un "rapporto privo dei caratteri di stabilità e certezza e della reciprocità e corrispettività dei diritti e dei doveri dei coniugi, propri della sola famiglia legittima" e poiché coloro che "hanno inteso instaurare un rapporto di mero fatto dimostrano di non voler assumere i diritti ed i doveri che nascono dal matrimonio", è esclusa la possibilità di accordare loro le garanzie e le tutele previste dall’ordinamento a sostegno delle "società naturali fondate sul matrimonio".

20. La Corte Costituzionale estende il divieto di espulsione anche al marito convivente della donna in stato di gravidanza o che ha partorito da non oltre sei mesi. Dal ragionamento seguito dalla Corte si potrebbe ricavare un profilo di illegittimità costituzionale anche della norma che esclude dalla regolarizzazione in loco il genitore straniero naturale di minore regolarmente residente nel caso in cui il figlio sia di cittadinanza straniera.

Con sentenza n. 376 del 12 luglio 2000, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 19 comma 2 lett. d) del Testo Unico sull'immigrazione (D.Lgs. n. 286/98), nella parte in cui non estende il divieto di espulsione al marito convivente della donna in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi al parto. Il giudizio di legittimità costituzionale era stato promosso con ordinanza del Pretore di Termini Imerese a seguito del ricorso avverso l'espulsione decretata dal Prefetto di Palermo nei confronti di un cittadino albanese coniugato e convivente con una sua concittadina in stato di gravidanza.

Nell'assumere la decisione, la Corte ha preso le mosse dalla particolare ratio delle norme che prevedono benefici a favore delle donne nel periodo immediatamente precedente ed in quello successivo al parto e cioè l'intento di tutelare non solo la salute della donna, ma anche il rapporto che in tale periodo necessariamente si svolge tra madre e figlio, con riferimento tanto alle esigenze biologiche quanto a quelle affettive e relazionali collegate allo sviluppo della personalità del bambino (sent. C. Cost. 1/1997).

Di conseguenza, la norma in esame riporta all'esigenza di assicurare una speciale protezione alla famiglia e ai figli minori, in conformità alle previsioni costituzionali e alle disposizioni contenute in numerosi trattati internazionali ratificati dall'Italia, che configurano il diritto-dovere dei genitori di mantenere, educare ed assistere i figli, quale diritto fondamentale della persona e perciò spettante in via di principio anche agli stranieri (sent. C.Cost. n. 28/95, sent. n. 203/97). Proseguendo il proprio ragionamento, la Corte Costituzionale rileva che tale diritto-dovere di assistenza e tutela dei figli minori sussiste in capo ad entrambi i genitori e non solo alla madre in base ad un "principio di paritetica partecipazione di entrambi i coniugi alla cura e all'educazione della prole, senza distinzione o separazione di ruoli fra uomo e donna, ma con reciproca integrazione di essi" (sent. Corte Cost. n. 341/91). Pertanto, la Corte conclude che deve ritenersi illegittima la norma che non prevede un divieto di espulsione anche nei riguardi del coniuge convivente della donna incinta o che ha partorito da non oltre sei mesi, sempre che non sussistano motivi di ordine pubblico o di sicurezza nazionale.

Al fine di applicare i contenuti della sentenza della Corte Costituzionale, il Ministero dell'Interno ha emanato in data 12.09.2000 una circolare amministrativa nella quale si dettano le condizioni affinché gli stranieri possano far valere il diritto di non espulsione, evidenziando le modalità pratiche per l'accertamento dei due elementi ritenuti necessari dalla Corte: lo stato di coniugio e quello di convivenza. Il primo dovrà essere adeguatamente documentato. Qualora il matrimonio sia stato contratto all'estero, questo dovrà risultare dalla certificazione di stato civile del paese di provenienza, debitamente tradotta e legalizzata dalla competente rappresentanza diplomatica italiana, mentre in caso di documentazione proveniente da rappresentanza consolare o diplomatica estera in Italia, la legalizzazione dovrà avvenire a cura delle Prefetture (art. 17 comma IV, legge 15/68).

Alla luce del ragionamento sviluppato dai giudici costituzionali, altre norme del TU sull'immigrazione palesano un evidente difetto di legittimità costituzionale.

Tra queste, va citato in particolare l'art. 30 comma 1 lett. d) del D.lgs. n. 286/98, nella parte in cui prevede un diritto soggettivo del genitore straniero, anche naturale, di un minore residente in Italia, di regolarizzare la propria presenza, mediante l'automatico acquisto di un permesso di soggiorno per motivi familiari, limitatamente ai casi del genitore di minore di cittadinanza italiana ed escludendosi tale beneficio per il genitore naturale di minore straniero. Se la ratio della norma era quella di attuare e soddisfare nella legislazione sull'immigrazione gli obblighi di tutela del minore e del suo diritto all'unità familiare derivanti dai principi costituzionali e dagli strumenti internazionali di tutela dei diritti fondamentali, tale obiettivo viene parzialmente vanificato dall'introduzione di un principio di discriminazione tra minori di cittadinanza italiana e non, che la Corte Costituzionale ritiene assolutamente illegittimo, per i motivi che abbiamo indicato. Il rilievo di incostituzionalità dell'art. 30. 1 lett. d) del TU per il principio discriminatorio in esso contenuto è tanto più fondato se consideriamo che già la Corte Costituzionale, nella vigenza della normativa precedente sull'immigrazione (leggi n. 943/86 e 39/90), aveva sanzionato come incostituzionale la norma che non prevedeva a favore del genitore straniero extracomunitario il diritto al soggiorno in Italia per motivi di coesione familiare, semprechè avesse potuto godere di normali condizioni di vita, per ricongiungersi al figlio considerato minore secondo la legislazione italiana, legalmente residente e convivente in Italia con l'altro genitore, ancorché solo more uxorio e non unito in matrimonio (sentenza n. 203/97, in "Guida del diritto", Il Sole-24 ore, 12 luglio 1997, n. 26, pp. 28-36, all. 10). Tale sentenza era stata pronunciata nell'ambito di un giudizio di legittimità costituzionale promosso dal TAR F.V.G. a seguito di un ricorso di una cittadina bulgara espulsa dall'Italia, nonostante la legale residenza in Italia di una figlia nata dalla convivenza more uxorio con l'altro genitore pure di cittadinanza bulgara e legalmente residente. Di conseguenza, la Corte Costituzionale ha già avuto modo di pronunciarsi sull'illegittimità costituzionale di una normativa sull'immigrazione che non consenta la regolarizzazione "in loco" ed automatica del genitore extracomunitario per ricongiungimento con il figlio minore pure extracomunitario regolarmente residente e convivente con l'altro genitore, sempre che il nucleo famigliare sia in grado di assicurare nel suo complesso normali condizioni di vita e di mantenimento. In conclusione, è del tutto evidente che presenta un profilo netto di illegittimità costituzionale la discriminazione operata dal legislatore a danno del genitore naturale del minore di cittadinanza straniera rispetto a quello di minore italiano, di cui all'art. 30 comma 1 lett. d) del TU.

21. La Corte Costituzionale dichiara legittima la rimessione in termini da parte del giudice di merito del ricorso tardivo avverso il provvedimento espulsivo qualora questo sia stato notificato omettendo la traduzione in lingua conosciuta dallo straniero destinatario.

La Corte Costituzionale, con sentenza 8-16 giugno 2000, n. 198 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, 1.a Serie Speciale, 21.06.2000, n. 26) ha dichiarato infondata la questione di illegittimità costituzionale sollevata dal Pretore di Modena riguardo all'art. 13 c. 8 del D.lgs.. n. 286/98 nella parte in cui non consentirebbe la rimessione in termini del ricorso tardivo avverso il provvedimento espulsivo notificato allo straniero omettendo la traduzione in lingua a lui conosciuta.

Nel motivare la sentenza, la Corte Costituzionale ha affermato che lo straniero presente nel territorio nazionale deve godere pienamente ed effettivamente del diritto alla difesa, costituzionalmente previsto all'art. 24, e che pertanto, gli atti della Pubblica Amministrazione destinati ad incidere sulla sua condizione giuridica debbono essere resi concretamente conoscibili, mediante traduzione nella lingua a lui nota ovvero in una delle lingue internazionalmente più diffuse, come prescritto dall'art. 13 del T.U. in merito ai provvedimenti espulsivi. In mancanza di detta traduzione, secondo la Corte lo "strumento di conoscibilità dell'atto espulsivo" viene messo in discussione e, conseguentemente, anche il termine perentorio per la sua ricorribilità (cinque giorni secondo il TU delle norme sull'immigrazione) può essere disapplicato dal giudice di merito che accerti, di volta in volta, che l'omessa traduzione abbia effettivamente influito sull'esercizio del diritto di difesa dello straniero, non consentendogli di presentare il ricorso nei termini prescritti. Ne consegue la possibilità, sancita dai principi generali del diritto, per il giudice di merito di rimettere in termini il ricorso tardivo, cioè eventualmente presentato oltre il termine di legge fissato in cinque giorni, senza che il giudice sia al contrario obbligato a dichiararne l'inammissibilità.

Il pronunciamento della Corte Costituzionale è importante perché potrebbe consentire ai giudici di rimettere in termini e dichiarare ammissibili ricorsi avverso provvedimenti espulsivi, allorché i destinatari non abbiano potuto rispettare il termine di legge (di particolare brevità: cinque giorni) anche per situazioni analoghe a quella ora discussa, ad es. per caso fortuito, forza maggiore, ove non vi sia colpa addebitabile all'interessato, rendendo così meno restrittivo il dettato legislativo fissato dall'art. 13 del Tu così come modificato dal D.lgs. n. 113/99.

22. La Corte Costituzionale dichiara inammissibili o non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate da alcuni pretori in merito alle norme della legge sull'immigrazione relative agli strumenti di difesa avverso i provvedimenti espulsivi.

Con sentenza n. 161 del 25/31.05.2000 (red. Guizzi), la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibili o non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dai pretori di Ancona, Padova, Palermo e dal TAR Toscana riguardo alle norme della legge sull'immigrazione (l. n. 40/98) e a quelle del precedente decreto-legge "Dini" n. 269/96 relative ai mezzi di impugnazione e difesa avverso i provvedimenti espulsivi.

Riguardo alle censure sollevate dai pretori di Padova e Palermo e ai dubbi di incostituzionalità da loro sollevati dell'art. 13 commi 8 e 9 del D.lgs. n. 286/98 per i termini ritenuti eccessivamente brevi sia per l'impugnativa del provvedimento di espulsione, sia per la definizione del procedimento, la Corte Costituzionale ha evitato di assumere una posizione definitiva e di merito. Essa si è limitata infatti ad un giudizio di inammissibilità, considerando la questione priva di rilevanza "giacchè l'asserita brevità (del termine con presunta violazione del diritto costituzionale di difesa ex art. 24 ndr) ) non ha impedito l'esercizio del diritto e l'eventuale declaratoria di illegittimità non modificherebbe l'esito del giudizio". Il giudice costituzionale rileva infatti che non solo i provvedimenti espulsivi erano stati impugnati nei termini previsti, ma che nemmeno veniva indicato per quali ragioni la difesa doveva ritenersi carente in ragione del termine ritenuto eccessivamente breve per l'inoltro del reclamo. Si può tuttavia giungere indirettamente ad una valutazione "di merito" di legittimità costituzionale del termine di cinque giorni per l'impugnazione del provvedimento espulsivo, previsto dalla legge n. 40/98, considerando le valutazioni espresse dal giudice costituzionale nella medesima sentenza riguardo alle censure di illegittimità costituzionale sollevate dal TAR Toscana verso la norma del decreto-legge "Dini" n. 269/96 che limitava a soli sette giorni il termine per la ricorribilità dinanzi al giudice amministrativo del provvedimento espulsivo dello straniero. Qui il giudice costituzionale parte dalla considerazione che "per valutare la congruità di un termine in relazione al principio sancito dall'art. 24, occorre comparare non soltanto l'interesse di chi è onerato dal rispetto di esso, ma anche il generale interesse dell'ordinamento al celere compimento dell'attività processuale soggetta al termine di decadenza" e che "nel caso in specie la necessità di una sollecita definizione del procedimento di impugnazione risponde senza dubbio all'interesse generale di un razionale ed efficiente controllo dell'immigrazione da Paesi extracomunitari". La Corte Costituzionale rileva inoltre che la determinazione dei termini processuali rientra nella piena discrezionalità del legislatore, con il solo limite della ragionevolezza, che nel caso in specie non appare violato, sia per le considerazioni sopra svolte circa le funzioni generali di ordine pubblico che un termine breve di ricorribilità soddisfa, sia per le caratteristiche peculiari del procedimento in oggetto.

Il giudice costituzionale non ritiene nemmeno fondate le censure sollevate dai pretori di Padova e Palermo nei confronti delle parti dell'art. 13 del dlg. n. 286/98 che non consentono di sospendere, in via cautelare, l'efficacia del provvedimento espulsivo impugnato. La Corte Costituzionale ritiene infatti che la tutela cautelare anticipatoria non sia necessaria, proprio per la brevità dei termini previsti dalla legge per la definizione del procedimento giudiziario di opposizione al provvedimento espulsivo dello straniero. Peraltro, la Corte Costituzionale non esclude ipotesi nelle quali il giudice possa legittimamente esercitare la tutela cautelare e sospendere dunque l'efficacia del decreto prefettizio espulsivo impugnato, qualora per ragioni obiettive il procedimento non possa concludersi nei dieci giorni fissati dalla legge (ad es. per legittimo impedimento del giudice, per sua astensione o ricusazione, ovvero per interruzione necessitata del provvedimento). Ciò in ragione del fatto che la mera proposizione del ricorso non impedisce l'esecutività dell'espulsione allo scadere dei quindici giorni successivi alla sua notifica , al contrario delle previsioni di caducazione dei provvedimenti impugnati in caso di mancato rispetto dei termini di decisione da parte del giudice in relazione alle misure cautelari sulla libertà personale nel procedimento penale.

La sentenza della Corte Costituzionale, peraltro, evita di pronunciarsi sulla legittimità dell'adozione da parte del giudice civile di misure cautelari di sospensione del provvedimento espulsivo impugnato in ragione della pendenza di procedimenti giudiziari precedenti o contemporanei in relazione di pregiudizialità, ex art, 295 c.p.c. (si pensi ad esempio al caso dell'impugnazione del provvedimento espulsivo emanato nei confronti dello straniero che si sia trovato privo di permesso di soggiorno per la revoca di quello precedentemente in suo possesso ed avverso la quale egli abbia presentato ricorso al TAR in base a quanto previsto dall'art. 6 c. 10 d.lgs. n 286/98). Peraltro, sussiste già una ricca giurisprudenza favorevole alla possibilità per il giudice di esercitare in questi casi il potere cautelare (per tutte, ordinanza 18.09.1999 del Tribunale di Trieste, in "Diritto, Immigrazione e Cittadinanza", Franco Angeli, Milano, n. 1/2000, pp. 125-127).

23. Per la Corte di Cassazione, impiegare immigrati clandestini non costituisce di per sé favoreggiamento all'ingresso e soggiorno di immigrati irregolari nel nostro paese.

Assumere immigrati senza permesso di soggiorno non configura di per sé il reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. . Sulla base della normativa attualmente vigente, infatti, può essere punito per tale fattispecie colui il quale agevoli l’ingresso illegale nel nostro paese di cittadini stranieri e tragga un ingiusto profitto dalla loro condizione di illegalità. Due imprenditori pugliesi erano stati condannati per il reato previsto dall'art. 12 comma 5 del D.lgs. n. 286/98, secondo il quale "chiunque, al fine di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità,…, favorisce la permanenza di questi nel territorio dello Stato in violazione delle norme, è punito con la reclusione fino a quattro anni e con la multa fino a lire trenta milioni".

La Corte di Cassazione, sezione penale, ha scagionato definitivamente questi due imprenditori pugliesi per i quali la Corte d’Appello di Lecce aveva confermato la sentenza di condanna a nove mesi di reclusione e ad otto milioni di ammenda, nonostante avessero violato la norma di cui al comma 10 dell’articolo 22, legge 286 secondo la quale colui che "occupa alle proprie dipendenze lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno, ovvero il cui permesso sia scaduto, revocato o annullato, è punito con l'arresto da tre mesi a un anno o con l'ammenda da lire due milioni a lire sei milioni".

I due imputati si erano avvalsi, infatti, della collaborazione di extracomunitari illegalmente presenti sul territorio nazionale sfruttandone il lavoro, ma durante il processo non era stato esplicitamente contestato loro il reato di cui alla norma appena citata, bensì quello di favoreggiamento dell’ingresso e/o permanenza di clandestini sul territorio italiano, di cui all'art. 12 comma 5. Tuttavia, secondo la Corte di Cassazione, in base alle norme attualmente in vigore, impiegare stranieri senza permesso di soggiorno non "favorisce" automaticamente la permanenza o l’ingresso in Italia degli stessi e, di conseguenza, non ne comporta il reato.

24. Con ordinanza 25 gennaio 2001, la sezione distaccata di Catania del T.A.R. Sicilia, solleva una questione di legittimità costituzionale degli artt. 6, comma 10, e 13, comma 8, del D.L.vo n. 286/98, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui non devolvono ad un unico giudice - e segnatamente al giudice amministrativo - sia le controversie relative al soggiorno degli stranieri in Italia sia quelle aventi ad oggetto il decreto di espulsione dello straniero emanato dal Prefetto.

A fronte del rigetto dell'istanza di sanatoria da parte del questore di Catania, presentata da un cittadino dello Sri Lanka, quest'ultimo impugnava tale provvedimento innanzi alla sezione distaccata di Catania del T.A.R. Sicilia. Un diverso collegio della medesima sezione che oggi solleva la questione di legittimità costituzionale rigettava l'istanza cautelare ritenendo insussistenti sia il fumus di fondatezza sia il danno. Nel frattempo lo stesso cittadino straniero veniva raggiunto da decreto prefettizio di espulsione, avverso cui - erroneamente - proponeva ricorso sempre innanzi al T.A.R., deducendo illegittimità congiunta e derivata del provvedimento impugnato dagli atti precedenti e ad esso collegati. Con ordinanza 9-12-2000 il T.A.R. questa volta accoglie provvisoriamente e temporaneamente la domanda di sospensione ripresentata dal ricorrente, e rinvia l'ulteriore e definitiva trattazione della questione cautelare alla prima camera di consiglio utile dopo che la Corte Costituzionale avrà deciso sul tema deferitole.

Secondo il collegio di cui alla presente ordinanza gli articoli 6, comma 10, e 13, comma 8, del Testo Unico sono censurabili per violazione degli articoli 3 e 24 Costituzione. Esso ritiene che soltanto dalla declaratoria di illegittimità costituzionale di tali disposizioni potrebbe derivare la valutazione di illegittimità dei provvedimenti impugnati innanzi a sé, e dunque la sospensione di essi in sede cautelare e quindi l'annullamento nel merito. Il collegio sottopone all'esame della Corte Costituzionale la questione di legittimità della ripartizione della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo in materia di provvedimenti concernenti gli extracomunitari, così come introdotta e disciplinata dal D. L.vo. n. 286/98. Nel caso di specie il ricorrente ha dapprima adito - ex art. 6, comma 10, TU - il giudice amministrativo (impugnando il diniego di sanatoria del Questore); poi, con motivi aggiunti, ha impugnato davanti al medesimo giudice il decreto di espulsione emanato dal Prefetto. Tale decreto invece - ai sensi dell'art. 13, comma 8, TU - avrebbe dovuto essere impugnato (entro 5 giorni dalla comunicazione del provvedimento) con ricorso al giudice ordinario. Per il T.A.R. la questione sollevata è rilevante perché il ricorrente, ove il collegio applicasse la normativa di riferimento (artt. 6/10 e 13/8 TU), perderebbe ogni tutela. Ciò in quanto il giudice amministrativo dovrebbe declinare la propria giurisdizione e per il ricorrente non sarebbe possibile - ai sensi della consolidata interpretazione dell'art. 184-bis c.p.c. - far valere davanti al giudice ordinario l'errore scusabile ai fini della rimessione in termini. Così come brevemente ricordata dal T.A.R., la disciplina processual-civilistica non consente infatti né di utilizzare l'istituto della rimessione in termini in ordine alle decadenze relative al termine perentorio per instaurare il giudizio, né di utilizzare - qualora il g.a. declini la propria giurisdizione a favore del g.o. - l'istituto della riassunzione della causa a norma dell'art. 50 c.p.c. (dato che la c.d. translatio iudicii prevista da tale norma è applicabile soltanto ove vi sia stata una contestazione sulla competenza del g.o. adito, cosa non successa nel caso di specie). Sulla base di tale ricostruzione e di fronte dunque ad una dichiarazione di difetto di giurisdizione da parte del g.a. con riguardo al decreto prefettizio di espulsione, il ricorrente si troverebbe nella condizione di non poter adire - di fatto - alcun organo giurisdizionale a tutela della propria sfera giuridica. Per il collegio le disposizioni in esame sono lesive del principio ragionevolezza e del diritto di difesa (artt. 3 e 24 Cost.) e, perciò, la questione oltre che rilevante è non manifestamente infondata. Il collegio ritiene infatti che la frammentazione della tutela innanzi a giudici diversi per una medesima vicenda che si snoda in due fasi di un medesimo procedimento (o in due procedimenti strettamente connessi) non ha ragion d'essere (è irragionevole). Oltre che aggravare l'esperimento dei relativi mezzi giurisdizionali, per il collegio la dicotomia della giurisdizione conduce a gravi conseguenze di perdita della tutela giurisdizionale. Infatti qualora il ricorrente erroneamente adisca un giudice non competente (il g.a. al posto del g.o., o viceversa), il suo errore soggettivo - che è irrilevante in quanto derivante da una ignorantia legis che l'ordinamento non scusa - finisce per mettere in crisi la coerenza dell'ordinamento stesso. Coerenza e intrinseca ragionevolezza dell'ordinamento - e delle singole normative - che costituisce invece un valore di rilievo costituzionale (art. 3 Cost.). Il collegio ritiene che il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3, comma 1, della Costituzione debba valere anche per gli stranieri tutte le volte in cui si tratti di disparità di trattamento che ledano diritti fondamentali (come, nel caso di specie, il diritto di difesa, avente rango costituzionale ex art. 24 Cost.), come ampiamente affermato anche dalla Corte costituzionale stessa. Ad avviso del collegio dunque il vulnus causato dalla frammentazione della giurisdizione ha per oggetto proprio il diritto di difesa ex art. 24 Cost., irragionevolmente compresso. Per il collegio non vi è una differeziazione qualitativa fra le situazioni incise dai provvedimenti ex artt. 5 e 6 TU e il decreto di espulsione dello straniero dal territorio dello Stato (art. 13 TU). Si tratta, in ogni caso, di situazioni di diritto soggettivo, in quanto sia i provvedimenti che attengono al soggiorno (confermandolo, limitandolo o escludendolo) sia il decreto di espulsione (definitiva ed estrema ablazione del soggiorno stesso), incidono sul diritto di circolazione e soggiorno, garantito dall'art. 16 Cost. Il collegio ritiene che tale diritto sia un diritto soggettivo perfetto, e che esso sia tale di fronte a tutti i provvedimenti citati (quelli del Questore e quelli del Prefetto). Qualora si volesse dire - continua il collegio - che tale diritto subisce, in presenza dell'atto autoritativo dell'autorità di p.s., una degradazione ad interesse legittimo, ciò vale sia per i provvedimenti ex artt. 5 e 6 del TU, sia per il decreto di espulsione ex art. 13 TU. Il collegio dunque ritiene che non vi sia alcun ostacolo dogmatico per concentrare la tutela presso l'uno o l'altro dei due giudici. Alla luce della recente riforma del processo amministrativo (L. 21 luglio 2000, n. 205) sarebbe poi più coerente una soluzione che prevedesse la devoluzione dell'intera materia al giudice amministrativo. Le ragioni addotte dal collegio a sostegno di una tale soluzione partono dalla constatazione che si è davanti o a segmenti (o sub-procedimenti) di un medesimo procedimento in senso lato (esito negativo dell'istanza di regolarizzazione sancito da Questore, espulsione da parte del Prefetto), ovvero a procedimenti collegati tra loro. Entrambe le due ipotesi ricostruttive suggerite portano comunque alla conclusione che la soluzione processuale più logica e rispettosa dei valori costituzionali in gioco sarebbe quella (in concreto erroneamente seguita dalla difesa del ricorrente) di impugnare tutti gli atti successivi al primo, con motivi aggiunti al ricorso principale, davanti al g.a. Ciò in ossequio alla nuova formulazione dell'art. 21, comma 1, L. n. 1034/1971 introdotta dalla L. n. 205/2000, secondo cui: "Tutti i provvedimenti adottati in pendenza del ricorso tra le stesse parti, connessi all'oggetto del ricorso stesso, sono impugnati mediante proposizione di motivi aggiunti".

 

INTEGRAZIONE SOCIALE E DIRITTI CIVILI

 

25. La legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali conferma il principio di parità di trattamento tra cittadini e stranieri extracomunitari titolari di permessi di soggiorno di lunga durata (almeno un anno) nella fruizione dei diritti sociali.

Il Parlamento italiano ha varato la legge di riforma dell'assistenza sociale in Italia (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali), Legge 8 novembre 2000, n. 328 (in G.U. n. 265 del 13.11.2000, Suppl. ord. n. 186). La legge ridefinisce le competenze in materia di programmazione e organizzazione degli interventi e dei servizi sociali tra lo Stato, le Regioni e gli Enti locali, così come prevede tra l'altro una delega al Governo per il riordino degli assegni e delle indennità di invalidità civile. Tra i principi generali della legge, va citato l'art. 2 comma 1 che individua i beneficiari del diritto all'accesso alle prestazioni assistenziali. In tale articolo viene ribadito il principio -contenuto nell'art. 41 del Testo unico sull'immigrazione- di parità di trattamento tra cittadini italiani e stranieri non appartenenti all'Unione Europa titolari di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno della durata di almeno un anno, mentre ai profughi, agli stranieri e agli apolidi con permessi di soggiorno di durata inferiore ovvero privi di permesso di soggiorno sono assicurate soltanto le misure di prima assistenza, di cui all'art. 129 comma 1 lettera h) del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (il quale prevede tra l'altro che sia compito dello Stato provvedere alla prima assistenza del richiedente asilo fino al completamento delle procedure di identificazione e di rilascio dell'eventuale permesso di soggiorno transitorio).

Va peraltro sottolineato che nell'attuale ordinamento italiano, tale principio di parità di trattamento sancito dal Testo Unico sull'immigrazione non ha trovato ancora piena attuazione da parte dell'INPS che si ostina a negare finora l'erogazione degli assegni sociali e di invalidità agli stranieri extracomunitari che non siano titolari di carta di soggiorno, così come le leggi finanziarie 1998 e 1999 hanno escluso le donne extracomunitarie titolari di permesso di soggiorno dalla fruizione dell'assegno di maternità, riservato esclusivamente a quelle titolari di carta di soggiorno.

26. Legge 23 dicembre 2000, n. 388" Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2001)". Art. 80 co. 19 "Assistenza sociale prevista per i cittadini extracomunitari".

Il comma 19 dell’art. 80 della legge finanziaria apporta sostanziali modifiche all’articolo 41 del T.U. delle leggi sull’immigrazione intitolato "Assistenza sociale" in quanto prevede che l’assegno sociale e le provvidenze economiche che costituiscono diritti soggettivi in base alla legislazione vigente in materia di assistenza sociale (indennità per l’autonomia di disabili gravi o pluriminorati, concessa a titolo di minorazione, indennità di cura e di assistenza per ultrasessantacinquenni totalmente dipendenti, pensione sociale, ecc.) sono concesse ai titolari di carta di soggiorno.

Le altre prestazioni — incluse anche quelle relative al reddito minimo di inserimento, l’assegno per il nucleo familiare con almeno tre figli e l’assegno di maternità — sono riconosciute anche ai cittadini stranieri titolari di un permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno con le stesse modalità previste per i cittadini italiani.

 

MINORI STRANIERI E DIRITTO DI FAMIGLIA

27. Una circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri fissa le disposizioni transitorie per le procedure di adozione internazionale ancora in itinere all'entrata in vigore della Convenzione dell'Aja sulla protezione dei minori e le cooperazione in materia di adozione internazionale. Le competenze della Commissione centrale per le adozioni nei casi di ingressi di minori stranieri non accompagnati e la speciale tutela prevista per il minore straniero solo che sia stato fatto entrare in Italia per esigenze di soccorso.

Con la circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per gli Affari Sociali - del 30.10.2000 n. DAS/715/UC/710 firmata dal Ministro per la Solidarietà Sociale e da quello per la Giustizia, sono state fissate alcune disposizioni transitorie relativamente all'entrata in vigore della legge 31.12.1998, n. 476 di ratifica ed esecuzione della Convenzione dell'Aja sulla protezione dei minori e la cooperazione in materia di adozioni internazionali.

Come è noto la nuova legge prevede che d'ora in avanti le pratiche di adozione debbano essere curate da organismi ritenuti idonei e autorizzati dalla Commissione centrale per le adozioni Internazionali, recentemente insediatasi e divenuta operativa e che agisce quale autorità centrale prevista dalla Convenzione Internazionale. Sempre in base alla legge n. 476/98, l'adozione deve ora essere dichiarata dalla Commissione Centrale, la quale provvede all'autorizzazione all'ingresso e alla residenza del minore a scopo di adozione.

La circolare, dopo aver rilevato gli altri compiti della Commissione Centrale, ricorda che la Convenzione dell'Aja dispiegherà pienamente tutti i suoi effetti solo con l'entrata in vigore dell'albo degli enti autorizzati (art. 8 legge n. 476/98, art. 16 DPR 1.12.1999, n. 492). Pertanto, la circolare si preoccupa di chiarire la peculiare situazione in cui possono venirsi a trovare quegli aspiranti adottanti i quali prima dell'entrata in vigore dell'albo delle associazioni abbiano già ottenuto il decreto di idoneità all'adozione oppure non abbiano ancora concluso l'iter di individuazione del minore straniero da adottare e di rilascio del provvedimento di adozione o di affidamento preadottivo da parte della competente autorità straniera, fornendo in relazione a queste situazioni alcune disposizioni transitorie. Viene dunque previsto che coloro i quali alla data di entrata in vigore dell'albo delle associazioni/enti non abbiano ancora ottenuto l'individuazione del minore straniero da adottare, potranno concludere l'iter di adozione solo con l'assistenza di un ente dotato di autorizzazione, mentre negli altri casi citati, per i quali l'atto di idoneità sia stato già rilasciato, la Commissione centrale per le adozioni potrà dichiarare l'adozione e autorizzare l'ingresso del minore, analizzando ciascuna situazione caso per caso.

Con decreto del Presidente della Repubblica 1 dicembre 1999, n. 492 (in GU 27.12.1999, n. 302), era stato varato il regolamento recante le norme per la costituzione, l'organizzazione ed il funzionamento della Commissione per le adozioni internazionali, previsto dall'art. 7 commi 1 e 2 della legge n. 476 del 31.12.1998 (in G.U. n. 8 del 12.01.1999), con la quale l'Italia ha ratificato e reso esecutiva la Convenzione dell'Aja in materia di adozioni internazionali e protezione dei minori, sottoscritta da 37 paesi il 29 maggio 1993. Successivamente si è provveduto alla nomina dei componenti della Commissione.

La Commissione è l'autorità centrale prevista dalla Convenzione che provvede fra l'altro ad autorizzare, entro il termine di 120 giorni, gli enti ad operare nel campo delle adozioni internazionali (art. 39-ter), nonché ad adottare le linee guida operative, a promuovere incontri e conferenze di studio con gli enti autorizzati, i servizi competenti e le associazioni operanti nel settore. Una volta autorizzati, gli enti sono iscritti su un apposito albo, che entrerà in vigore quindici giorni dopo la sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. L'attività degli enti sarà sottoposta a verifica da parte della Commissione almeno ogni due anni.

La legge sull'adozione internazionale disciplina i casi di ingresso del minore in Italia (artt. 33 e 39 co. 1 lett. h)) in parte integrando e modificando la legge n. 40/1998. Nella legge, infatti, viene vietato l'ingresso per motivi di lavoro del minore straniero solo, non accompagnato da un genitore o dal rappresentante legale e fatti salvi i casi di adozione internazionale, le disposizioni relative al ricongiungimento familiare, all'ingresso per motivi turistici, di studio e di cura, così come quelle relative ai flussi eccezionali determinati da eventi bellici, calamità naturali, secondo quanto previsto dall'art. 18 della legge n. 40/98. In quest'ultimo caso si prevede l'obbligo della segnalazione dell'ingresso del minore alla Commissione istituita dalla legge e al Tribunale per i minorenni competente territorialmente in relazione alla residenza degli accompagnatori. Uguale obbligo di segnalazione alla Commissione e, per la conseguente apertura di una tutela, al Tribunale per i minorenni, viene previsto dall'art. 33 c. 5 della legge in caso di avvenuto ingresso di un minore straniero "solo" al di fuori delle situazioni consentite dalla legge n. 476/98. Per evitare inutili sovrapposizioni di competenze, l'art. 18 del citato regolamento approvato ora con Dpr 1.12.1999, n. 492 prevede che l'unico compito attribuito alla Commissione in questi casi sia quello di provvedere a comunicare al comitato per i minori stranieri istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri di cui all'art. 33 del D.lgs. n. 286/98, come modificato dal D.lgs. n.113/99, i nominativi dei minori la cui presenza le è stata segnalata sul territorio dello Stato in base alle disposizioni della legge n. 476/98. In base alle previsioni di cui al D.lgs. n. 113/99 correttivo della disciplina sull'immigrazione, al Comitato per i minori stranieri sono state attribuite infatti le responsabilità dell'adozione del provvedimento di "rimpatrio assistito" del minore straniero non accompagnato e, più in generale, le competenze riferite alle modalità di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati da parte dei servizi sociali degli enti locali e alle soluzioni praticabili, di accoglienza, di rimpatrio assistito, di ricongiungimento famigliare nel paese di origine. Tali disposizioni, per le quali si attende tuttora il varo del regolamento applicativo previsto dal D.lgs. n. 113/99, hanno suscitato peraltro prese di posizione assai critiche, sia sotto il profilo della loro dubbia legittimità costituzionale, sia in relazione alle perplessità circa l'effettiva capacità di una politica di rimpatrio dei minori non accompagnati a corrispondere tanto agli interessi superiori dei medesimi quanto alle esigenze di sicurezza della collettività nazionale (in proposito, si rimanda al dossier "I diritti dei minori stranieri in Italia", contenuto nel prossimo numero della rivista "Minorigiustizia", edita da Franco Angeli e a quanto scritto da Paolo Bonetti, Anomalie costituzionali delle deleghe legislative e dei decreti legislativi previsti dalla legge sull'immigrazione straniera (parte II), comparso sulla rivista "Diritto, Immigrazione e Cittadinanza", Franco Angeli editore, n. 3/1999, pp 74-83).

Vale la pena soffermarsi, infine, sulla necessità di una lettura coordinata delle citate disposizioni della legge n. 476/98 sulla "tutela" del minore straniero "solo" avente fatto comunque ingresso in Italia al di fuori delle situazioni consentite con quelle contenute nell'art. 10 del T.U. che prevedono il respingimento con accompagnamento alla frontiera disposto dal questore nei confronti degli stranieri che siano entrati nel territorio dello stato illegalmente e siano fermati all'ingresso o subito dopo, e di quelli che sono stati temporaneamente ammessi per necessità di pubblico soccorso. E' evidente che il carattere di specialità della norma contenuta nella legge sull'adozione internazionale debba prevalere su quello generale della disciplina dell'immigrazione , così che il minore straniero "solo" irregolare individuato all'ingresso in Italia o subito dopo, e ricoverato in ospedale per esigenze di cura immediata, non potrà essere riaccompagnato alla frontiera una volta dimesso, così come potrebbe avvenire per lo straniero adulto, ma dovrà essere segnalato al Tribunale per i minorenni per l'apertura di una tutela con conseguente affido temporaneo all'ente locale.

 

28. Approvato il Piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti dei minori per il biennio 2000/2001. Gli interventi prospettati dal Governo a favore dei minori stranieri non accompagnati e di quelli legalmente residenti.

Con D.P.R. 13.06.2000 (in G.U. n. 194 dd. 21.08.2000), è stato approvato il Piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva per il biennio 2000/2001, previsto dalla legge 27.12.1997, n. 451 istitutiva dell'Osservatorio Nazionale per l'Infanzia. Il piano prevede interventi del Governo anche riguardo ai minori stranieri presenti nel nostro Paese, cui viene dedicato il paragrafo E).

Per quanto concerne i minori stranieri non accompagnati, il piano cerca di identificare le competenze del Comitato per i minori stranieri e cioè: a) l'accertamento dell'identità del minore, la sua identificazione ed il rintraccio dei familiari anche attraverso la collaborazione di organismi internazionali quali la CRI, l'UNICEF, l'UNHCR; b) la predisposizione delle condizioni indispensabili per un rimpatrio sicuro ed assistito, che rappresenterebbe la soluzione privilegiata da adottare in questi casi. Nel piano sono dunque annunciati programmi di prevenzione che il Governo intende attuare nei paesi di provenienza della maggior parte dei minori stranieri non accompagnati (Albania , Marocco, Romania e Bangladesh), inclusa la stipula di protocolli d'intesa relativi alle procedure di rimpatrio. Il piano prevede inoltre l'attivazione di un'Agenzia nazionale che si farà carico di esaminare, caso per caso, l'opportunità di avviare un processo di integrazione del minore nel nostro Paese ovvero di organizzare il rientro in famiglia nel paese di origine. Stando a questa ipotesi, le decisioni sulle soluzioni da adottare nell'interesse superiore del minore per ogni minore straniero solo verrebbero centralizzate in questa Agenzia, contraddicendo quanto recentemente affermato dal Presidente del Comitato per i minori stranieri, Prof. Vercellone, sull'opportunità di decentralizzare le decisioni al riguardo ai contesti giudiziari e amministrativi locali (si veda oltre).

Sempre riguardo ai minori stranieri non accompagnati, il piano fa riferimento anche alla condizione dei richiedenti asilo, per i quali dovrebbero attuarsi gli interventi previsti dalla risoluzione del Consiglio d'Europa del 26.06.1997.

Per i bambini stranieri regolarmente soggiornanti, il Piano ribadisce le indicazioni contenute nel documento programmatico relativo alle politiche dell'immigrazione. Le priorità individuate dal Governo sono quindi: a) l'integrazione scolastica dei bambini immigrati attraverso la vigilanza sull'adempimento dell'obbligo scolastico, il sostegno all'apprendimento della lingua italiana e la promozione dell'educazione interculturale; b) il miglioramento della condizione dei minori stranieri sottoposti a procedimenti coercitivi, mediante la promozione della presenza dei mediatori culturali nelle carceri minorili, la garanzia di un effettivo accesso alle misure alternative alla detenzione e lo sviluppo di strumenti per l'inserimento sociale dopo la carcerazione; c)una migliore tutela del minore straniero nei conflitti familiari, anche attraverso l'avvio di una campagna di informazione e sensibilizzazione presso le famiglie immigrate contro le mutilazioni genitali delle bambine.

In materia di adozione internazionale, il piano annuncia l'impegno del Governo per realizzare una rete di intese bilaterali per rendere le procedure adozionali efficaci, snelle e trasparenti, così come una campagna informativa sulle nuove procedure dell'adozione a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 476/98, anche al fine di far conoscere i benefici e le agevolazioni da essa riconosciute (nuovo sistema di astensione dal lavoro, deduzione delle spese nella dichiarazione dei redditi, riduzione dei tempi per conseguire l'idoneità).

Infine ,il governo reputa opportuno stipulare protocolli operativi specifici, con il CONI e la FEDERCALCIO, per affrontare il tema dei numerosi minori stranieri che ogni anno vengono a contatto con il sistema delle società sportive nella speranza di un ingaggio.

29. Circolare del Ministero dell'interno n. 300/C/2000/785/P/12.229.28/1^ Div. del 13.11.2000 sui permessi di soggiorno per minore età, rilasciati ai sensi dell'art. 28, comma 1, lett. a) del D.P.R. n. 394/99.

La fattispecie contemplata in questa circolare del Ministero dell'interno è quella relativa alla condizione degli stranieri minori di 18 anni in condizione di clandestinità e che - alla luce dell'art. 19, comma 2, lett. a (e salvo i casi previsti dall'art. 13, comma 1, TU) del TU - non possono essere espulsi e ai quali, ex art. 28, comma 1, lett. a D.P.R. n. 394/99, il questore deve rilasciare il "permesso di soggiorno per minore età" (salvo l'iscrizione del minore di anni 14 nel permesso di soggiorno del genitore o dell'affidatario stranieri regolarmente soggiornanti e salvo il caso di minore abbandonato, del quale il Tribunale per i minorenni deve esserne immediatamente informato per i provvedimenti di competenza). Il Ministero ribadisce che il titolo di soggiorno da attribuire al minore presente sul territorio nazionale in stato di clandestinità è determinabile solo dopo che sia stata individuata puntualmente l'effettiva situazione familiare in cui il medesimo versa. Per il Ministero, che sul punto richiama la sua precedente circolare n. 300/C/227729/12/207/1^ Div. del 23-12-1999 (in Diritto Immigrazione e Cittadinanza n. 1/2000, p. 222 e ss.), il permesso di soggiorno per minore età - ex art. 28, comma 1, lett. a, D.P.R. n. 394/99 - ha carattere "residuale" rispetto ai casi in cui possa essere rilasciato altro titolo di soggiorno. Ovvero: è necessario prima verificare se ai minori "inespellibili" sia possibile rilasciare un altro tipo di permesso di soggiorno, quale quello per motivi familiari, per adozione o per affidamento. Si sottolinea dunque che, in linea generale, il minore infraquattordicenne in condizione di clandestinità dovrà essere iscritto sul p.s. di cui è titolare il genitore o l'affidatario straniero, fatto salvo il rilascio di un autonomo p.s. per motivi familiari al compimento del 18° anno di età. Ciò, naturalmente, presuppone che il minore infraquattordicenne sia convivente con il genitore o con l'affidatario regolarmente soggiornanti (ai sensi dell'art. 31 del TU). Un permesso di soggiorno per motivi familiari andrà rilasciato anche ad un minore ultraquattordicenne qualora convivente con il proprio genitore regolarmente soggiornante. Alla luce di quanto esposto, la circolare ritiene "evidente" che il minore straniero "accompagnato", pur se entrato irregolarmente, non potrà essere beneficiario di un permesso di soggiorno per minore età. Quest'ultimo titolo deve infatti essere riservato ai "minori stranieri non accompagnati", come definiti dal D.P.R. n. 535/1999 (in Diritto Immigrazione e Cittadinanza n. 1/2000, p. 189 e ss.). Sul punto la circolare in esame introduce alcune disposizioni che, come evidenziato dall'appello di cui diamo conto nella prossima notizia, rischiano di impedire l'integrazione dei minori stranieri non accompagnati. Il Ministero infatti - dopo avere ricordato che il D.P.R. n. 535/99 ha previsto la possibilità di un "rimpatrio assistito" per quei minori non accompagnati relativamente ai quali siano stati individuati i loro familiari nel paese d'origine, ovvero nell'ipotesi in cui il Tribunale per i minorenni tempestivamente informato non determini formalmente l'affidamento di tali soggetti ai sensi dell'art. 2 della L. 184/83 - specifica che il p.s. per minore età può essere rilasciato anche in assenza di un provvedimento di affidamento, qualora il competente Giudice tutelare abbia semplicemente nominato un tutore ai sensi del codice civile. Tuttavia il Ministero reputa che detto titolo (il p.s. per minore età) non consenta lo svolgimento di attività lavorativa "in ragione della provvisorietà dell'autorizzazione che non è finalizzata a tutelare un diritto di stabilimento". Inoltre esclude che, di fronte alla situazione de qua, possa applicarsi l'art. 32 del TU, che disciplina la possibilità di rilascio di un ulteriore p.s. al compimento della maggiore età allo straniero cui - in applicazione dell'art. 31 TU - sia stato rilasciato un p.s. per motivi familiari o sia stato iscritto in quello del genitore o dello straniero affidatario, ovvero, a seguito dell'emanazione di un provvedimento ex art. 4 L. 184/83 sia titolare di un p.s. per affidamento. In altri termini, il minorenne straniero titolare di un p.s. per minore età al compimento del 18 ° anno di età non potrà ottenere un nuovo p.s. per lavoro o per studio e, quindi, potrà essere in qualsiasi momento espulso.

30. Un appello promosso da Rete d'urgenza contro il razzismo, ASGI, Caritas servizio migranti di Torino, CTP Parini intitolato "Per i minori stranieri, e per noi tutti".

Un accorato appello, che invita tutti ad aderire, chiede che si modifichino le disposizioni (v. anche notizia precedente) relative ai minori stranieri non accompagnati che: a) non consentono agli stessi di lavorare; b) prevedono che al compimento dei 18 anni, il p.s. venga revocato ed essi siano quindi espulsi; c) prospettano il rimpatrio dei minori come soluzione tendenzialmente generale, trasformandolo di fatto in un'espulsione mascherata.

Il testo dell'appello si trova sul sito:

http://briguglio.frascati.enea.it/immigrazione-e-asilo/2001/gennaio

31. Una sentenza della Cassazione (n. 1714) sancisce che un immigrato che sia già in possesso di un permesso di soggiorno per motivi familiari ha diritto di ottenere il ricongiungimento familiare di un altro figlio residente nel paese di provenienza.

Una cittadina marocchina residente in Italia con un permesso di soggiorno per motivi familiari, entrata a seguito di ricongiungimento promosso dal figlio già regolarmente soggiornante nel nostro territorio, ha diritto di ottenere, a sua volta, il ricongiungimento familiare della figlia minore residente in Marocco. Così ha stabilito la Corte di Cassazione con sentenza n. 1714, a conclusione di un complesso iter giudiziario che a visto coinvolta la donna. Quest'ultima infatti, ottenuto nel 1998 il permesso di soggiorno per ricongiungimento con il figlio maggiorenne che lavora in Italia, aveva chiesto il ricongiungimento con la figlia minore residente in Marocco. Tuttavia, pur in presenza di nulla osta rilasciato dalla Questura di Bologna, l'ambasciata italiana in Marocco negava il visto d'ingresso alla figlia. Oggetto di discorde interpretazione era il comma 1 dell'art. 28 (diritto all'unità familiare) del D. L.vo n. 286/98 (TU), che non prevede esplicitamente il diritto a mantenere o a riacquistare l'unità famigliare in capo agli stranieri titolari di permesso di soggiorno per motivi familiari.

Con sentenza del 25 ottobre 1999 il Tribunale di Bologna accoglieva il ricorso della donna, affermando che il rifiuto da parte dell'ambasciata di concedere il visto era ingiustificato, visto anche che l'art. 29 del TU (permesso di soggiorno per motivi familiari), al comma 2, consente al titolare di un permesso di soggiorno per motivi familiari di accedere ai servizi assistenziali, di iscriversi a corsi di studio o di formazione professionale e alle liste di collocamento, di svolgere lavoro subordinato o autonomo; e quindi che è la stessa legge ad equiparare il possessore di un tale permesso al titolare di uno di quelli previsti dall'art. 29, comma 1, TU (e che legittimano il diritto all'unità familiare). A seguito della reazione del Ministero dell'interno - che contestava tale interpretazione - il secondo grado si concludeva con una sentenza in cui la Corte d'Appello negava il visto d'ingresso alla figlia della donna, secondo argomentazioni che oggi la Cassazione non fa proprie. Per la Cassazione infatti, in linea con la pronuncia del Tribunale di Bologna, " (…) l'argomentazione della Corte d'Appello di Bologna è in contrasto con il citato art. 28 TU (…)", che dunque va interpretato così come inteso dal Tribunale.

RAZZISMO E DISCRIMINAZIONE

32. Il Ministro dell'Interno scioglie con proprio decreto il movimento politico di estrema destra "Fronte Nazionale", dopo che l'autorità giudiziaria aveva accertato il suo coinvolgimento in atti di violenza a sfondo razziale.

Con decreto 09.11.2000 (in G.U. 20.11.2000, n. 271), il Ministro dell'Interno ha sciolto il movimento politico "Fronte Nazionale", costituito nel 1991 da esponenti di estrema destra quali Franco Freda e altri, e ha disposto la confisca di tutti i suoi beni.

Il decreto di scioglimento giunge a seguito della sentenza della Suprema Corte di Cassazione sezione I penale, emanata in data 07.05.1999, che aveva accertato come l'organizzazione politica avesse tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione razziale. La base legale del provvedimento ministeriale è costituita dall'art. 7 comma 3 del decreto-legge 26.04.1993, n. 122, convertito con modificazioni dalla legge 25.06.1993, n. 205, meglio conosciuta come "legge Mancino". Tale disposizione prevede lo scioglimento delle organizzazioni le cui attività favoriscono la commissione di reati con finalità di discriminazione o violenza razziale, previo accertamento in tal senso da parte dell'autorità giudiziaria. Tale normativa mira a rendere effettivamente applicative le disposizioni della Convenzione Internazionale di New York per la lotta alla discriminazione razziale del 07.03.1966.

33. Il Centro Internazionale per i Diritti dei Rom (International Roma Rights Center) con sede a Budapest, pubblica un rapporto dettagliato sulle violazione dei diritti e la segregazione razziale delle popolazioni Rom in Italia.

Su iniziativa della principale fondazione europea per i diritti dei Rom, il Centro Internazionale per i diritti dei Rom (International Roma Rights Center), con sede a Budapest, è stato pubblicato e diffuso in Italia il rapporto sulle violazioni dei diritti umani e la segregazione razziale dei Rom in Italia (Supplemento al numero 12 della Rivista "Carta", Via Flaminia 259, 00196 Roma). Il libro giunge a conclusione di una ricerca iniziata dall'ERRC nel 1997, in seguito a continui rapporti su discorsi ostili ai Rom pronunciati da politici italiani e preoccupanti relazioni sulle violenze delle forze dell'ordine italiane nei confronti dei Rom. L'ERRC ha regolarmente monitorato la situazione italiana, ha svolto una ricerca sul campo e ha mantenuto regolari rapporti con varie organizzazioni non governative italiane che agiscono nel campo dei diritti dei Rom e delle minoranze.

Il rapporto contiene anche qualche cenno sulla storia dei Rom in Italia, una storia che ha condotto all'odierna segregazione razziale. Successivamente viene presentata la documentazione sugli abusi delle autorità italiane, compresi i casi estremi di morte di Rom provocate dalle forze dell'ordine. Nel rapporto l'ERRC sottolinea la massiccia distruzione delle proprietà e delle abitazioni dei Rom e documenta il recente intensificarsi dell'azione delle autorità italiane per espellere i Rom stranieri dall'Italia. Un capitolo si sofferma sugli abusi e le discriminazioni da parte di privati cittadini, specie nell'accesso ai pubblici servizi. Infine, il rapporto esamina le violazioni dei diritti dei Rom nei campi dell'istruzione e del lavoro. In conclusione, l'ERRC esamina gli sforzi del governo italiano nella lotta conto la discriminazione razziale, specie alla luce delle critiche mosse dal Comitato per l'eliminazione della discriminazione razziale delle Nazioni Unite (CERD). Il rapporto si chiude con alcune specifiche raccomandazioni al governo italiano per migliorare la situazione nel campo della tutela dei diritti dei Rom.

Per informazioni sull'ERRC si può consultare il sito Internet: http: //errc.org.

 

IMMIGRAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

34. Un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri stabilisce l'organizzazione del Dipartimento Affari Sociali.

Con il DPCM 24.10.2000 (in G.U. 02.11.2000 n. 256) sono state riordinate le competenze e l'organizzazione del Dipartimento Affari Sociali presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Nel decreto viene confermato che al Dipartimento spettano le competenze di elaborazione e di coordinamento delle politiche sociali, ivi compreso nel settore dell'integrazione sociale degli immigrati. Al Dipartimento sono attribuiti i compiti e le attività finalizzate ad assicurare l'applicazione delle leggi e dei decreti concernenti le competenze del Ministero per la Solidarietà Sociale, tra cui il Testo Unico sull'immigrazione (D.Lgs. n. 286/98) , la legge di ratifica della Convenzione Internazionale sui diritti del fanciullo, quella contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia e del turismo sessuale a danno dei minori (l. 03.08.1998, n. 269) ed infine quella di ratifica ed esecuzione della Convenzione per la tutela di minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale (l. 31.12.1998, n. 476).

35.Decreto Min. Interno 6 ottobre 2000 "Procedura per la comunicazione ai comuni del codice fiscale"

Il decreto 6/10/2000 del Ministero dell’Interno adottato di concerto con il Ministero delle Finanze prevede che ai fini dell’acquisizione del codice fiscale da attribuire a chi ne sia sprovvisto, i comuni di residenza del richiedente debbano trasmettere al Ministero delle Finanze i dati anagrafici dello stesso compresi gli aggiornamenti dei dati e l’eventuale decesso del cittadino.

Il Ministero delle Finanze, ricevuti i dati anagrafici, provvederà a trasmettere ai comuni i relativi codici fiscali.

 

ACCORDI INTERNAZIONALI

36. Pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale gli accordi di riammissione delle persone in condizioni di irregolarità stipulati tra l'Italia e rispettivamente la Tunisia, l'Ungheria, l'Estonia.

Sul supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 11 del 15.01.2000 (n. 14) relativo agli atti internazionali entrati in vigore per l'Italia nel periodo 16.09.1999-15.09.1999 non soggetti a legge di autorizzazione alla ratifica, sono stati pubblicati i testi degli accordi di riammissione delle persone in condizione di irregolarità stipulati tra il governo italiano e rispettivamente la Tunisia, l'Ungheria e l'Estonia.

La stipula di accordi di riammissione degli stranieri irregolari è prevista dalla normativa sull'immigrazione (legge n. 40/98), che all'art. 9.4 dispone che "il Ministero degli Affari Esteri ed il Ministero dell'Interno promuovano le iniziative occorrenti, d'intesa con i Paesi interessati, al fine di accelerare l'espletamento degli accertamenti ed il rilascio dei documenti eventualmente necessari per migliorare l'efficacia dei provvedimenti previsti dalla legge", così come all'art. 19.1 ne fa un cenno esplicito.

Gli accordi mirano ad ottenere la collaborazione delle autorità del paese straniero nelle operazioni di rimpatrio dei migranti non autorizzati sottoposti a provvedimento di espulsione o di respingimento alla frontiera, in particolare ai fini dell'ammissione sul territorio, previo eventuale concorso nell'identificazione dei soggetti qualora questi siano privi di documenti di riconoscimento ufficiali che ne attestino identità e nazionalità certe. L'Italia ha intensificato notevolmente negli ultimi anni la stipula di tali accordi con i principali paesi di provenienza o di transito di immigrati (ne risultano attualmente sottoscritti ed in vigore una ventina), quale parte integrante della propria politica migratoria, tesa all'obiettivo di dare maggiore esecutività possibile ai provvedimenti espulsivi intimati, mediante la collaborazione delle autorità dei paesi esteri. Quale incentivo alla stipula di tali accordi, la legge sull'immigrazione prevede l'assegnazione ai lavoratori dei paesi sottoscrittori di quote preferenziali di ingresso nell'ambito della politica di programmazione dei flussi, così come avvenuto con riferimento alla Tunisia, al Marocco e all'Albania negli anni 1998 e 1999 ed annunciato anche per l'anno 2000.

La stipula di tali accordi avviene in forma semplificata con conseguente sottrazione degli stessi alla procedura parlamentare di autorizzazione alla ratifica.

Oggetto di tali accordi bilaterali di riammissione sono innanzitutto i cittadini degli Stati contraenti che "non soddisfano o non soddisfano più le condizioni di ingresso o di soggiorno applicabili nel territorio della parte contraente richiedente". Essendo dunque l'accertamento della cittadinanza il presupposto della riammissione, per l'effettuazione del medesimo l'accordo tra Italia e Tunisia prevede una complessa procedura di identificazione, che verte sulla collaborazione delle autorità diplomatiche e consolari. Queste sono tenute entro termini rigidamente stabiliti a rilasciare il lasciapassare per il rimpatrio in presenza di determinati documenti identificativi della persona espellenda ovvero possono procedere alla sua audizione e, comunque, in mancanza di altri mezzi identificativi, sono tenute a fornire una riposta motivata sull'identità della persona in base alle impronte digitali e alle fotografie inviate dalla parte richiedente. L'accordo con l'Ungheria demanda invece a successive intese o protocolli esecutivi tra i due Ministeri dell'Interno l'individuazione delle modalità e degli elementi che consentano la presunzione della titolarità della cittadinanza della persona espellenda. Una peculiarità dell'accordo con l'Estonia è la previsione della persistenza dell'obbligo di riammissione anche in caso di privazione della cittadinanza ("l'accordo è applicabile anche alle persone che hanno perduto la cittadinanza della parte contraente dopo essere entrati nel territorio dell'altra parte contraente, senza acquisire la cittadinanza di alcun altro Stato"). E' evidente che tale specifica previsione trova le sue ragioni nella specifiche problematiche di apolidia che interessano gli appartenenti alla minoranza russa nella Repubblica baltica.

Comune a tutti gli accordi bilaterali in questione è la presenza di un meccanismo di tutela dello Stato richiesto, operante nel caso di riammissione effettuata sulla base di presupposti errati o inesistenti.

Le spese di trasporto della persona riammessa sono generalmente poste a carico dello Stato richiedente fino alla frontiera della parte richiesta, ma nell'accordo con l'Estonia si stabilisce che debbano essere sostenute da un vettore.

Gli accordi di riammissione prevedono in determinate circostanze e con modalità diverse, l'estensione dell'obbligo di riammissione anche ai non cittadini delle parti contraenti. Nell'accordo con la Tunisia l'obbligo di riammissione sussiste per i cittadini di uno Stato terzo diverso da quelli membri dell'Unione del Maghreb Arabo (U.M.A.) che si trovano in situazione irregolare dal punto di vista delle norme sull'ingresso e soggiorno dello Stato richiedente, i quali "siano entrati nel territorio della parte richiedente dopo aver soggiornato o dopo essere transitati attraverso il territorio della parte contraente richiesta". Negli accordi con Estonia ed Ungheria, la riammissione riguarda invece innanzitutto gli stranieri irregolari nello Stato richiedente, i quali dispongano di "un visto o di un titolo di soggiorno, rilasciati dalla parte contraente richiesta, in corso di validità". A questi vanno ad aggiungersi i cittadini di paesi terzi che "abbiano fatto ingresso illegalmente nel territorio dello Stato richiedente provenendo direttamente dal territorio della parte contraente richiesta". L'esclusione dall'obbligo di riammissione dei cittadini di paesi membri dell'Unione del Maghreb Arabo, contenuta nell'accordo bilaterale con la Tunisia, si spiega con la volontà da parte tunisina di preservare il regime di relativa libertà di circolazione e di assenza di obbligo di visto instaurato con gli altri paesi maghrebini, in particolare con il Marocco.

Tutti gli accordi di riammissione si preoccupano di individuare alcune clausole ostative all'insorgere dell'obbligo ovvero di decadenza del medesimo:

  1. nel caso in cui lo Stato richiedente, prima di presentare la domanda di riammissione, ma dopo la partenza del cittadino straniero dal territorio della parte contraente richiesta, ha rilasciato alla persona in questione un visto o un titolo di soggiorno (accordi con l'Ungheria e l' Estonia);
  2. nel caso in cui la persona di cui è richiesta la riammissione ha soggiornato sul territorio della parte richiedente per un periodo superiore a un tempo massimo individuato (quattro mesi nell'accordo con l'Ungheria, un anno nell'accordo con l'Estonia, tre mesi nell'accordo con la Tunisia);
  3. nel caso in cui lo Stato richiedente abbia riconosciuto lo status di rifugiato in applicazione della Convenzione di Ginevra del 1951 alla persona di cui è richiesta la riammissione (accordo con l'Ungheria)

Gli accordi bilaterali di riammissione generalmente prevedono l'istituto dell'"ammissione in transito", col quale ciascuna parte contraente si impegna ad autorizzare il transito sul proprio territorio di cittadini di Stati terzi " oggetto di un provvedimento di allontanamento di rifiuto d'ingresso nel territorio, adottato dalla parte richiedente ".

L'applicazione di tale istituto può insorgere a seguito della valutazione della parte richiedente sull'opportunità e la convenienza di procedere al rimpatrio dello straniero seguendo un determinato itinerario geografico . Ne consegue che la parte richiedente si assume ogni responsabilità in merito all'esito e ai costi dell'operazione . Per quanto concerne le modalità dell'operazione, sostanziali differenze si riscontrano nei diversi accordi nella disciplina dell'attività di scorta. Nell'accordo con l'Ungheria viene previsto che la scorta dello straniero possa essere esercitata unicamente dalle autorità di polizia dello Stato richiesto in caso di transito per via terrestre, previo rimborso delle spese da parte dello stato richiedente. Nel caso dell'accordo con l'Estonia non viene esclusa la possibilità della scorta da parte dell'autorità di polizia della parte richiedente, previa valutazione discrezionale della parte richiesta, che potrà integrare la scorta con un proprio rappresentante. L'accordo con la Tunisia non prevede l'istituto dell'ammissione in transito .

Attraverso l'ammissione in transito, lo Stato richiesto coopera di fatto all'esecuzione di una misura di allontanamento adottata dallo stato richiedente e pertanto i limiti che il diritto internazionale pone all'espulsione dello straniero (principio di non-refoulement e limiti all'estradizione) dovrebbero gravare anche sullo Stato di transito.

Proprio con riferimento a tali limiti, gli accordi di riammissione prevedono la possibilità per lo Stato richiesto di rifiutare l' ammissione in transito se "per lo straniero, nel paese di destinazione, sono presenti rischi di persecuzione a causa della propria razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un certo gruppo sociale o opinione politica" o se lo straniero " corre il rischio di essere imputato o condannato in base alla legge penale dello Stato di destinazione per fatti anteriori al transito ".

L'accordo di riammissione stipulato con la Tunisia ha la particolarità rispetto agli altri perché prevede la spesa di 15 miliardi per ciascun anno del triennio 1998-2000 per interventi in Tunisia di " sostegno in termini di equipaggiamento tecnico e operativo " nel settore della prevenzione e della lotta all'immigrazione clandestina. A queste somme sono aggiunti nell'accordo 500 milioni di lire per la " realizzazione in Tunisia di centri di accoglienza " per le persone riammesse in virtù dell'accordo. A tali spese si è data copertura finanziaria con il decreto legislativo 19.10.1998 n° 280.

L'accordo con la Tunisia che è entrato in vigore il 23.9.1999, quello con l'Ungheria il 10.4.1999 e quello con l'Estonia il 3.3.1999.

Per un'analisi approfondita degli accordi di riammissione stipulati dal nostro paese contenente pure l'elenco completo dei medesimi si rimanda al saggio di Ferruccio Pastore, L'obbligo di riammissione in diritto internazionale : sviluppi recenti, sulla Rivista di diritto internazionale, n°4/1998 pp.968-1021, cui siamo largamente debitori per la stesura del presente commento.

37. Previsti ulteriori finanziamenti per il completamento dei programmi di cooperazione a sostegno delle forze di polizia albanesi, in base a quanto previsto dal Protocollo d'intesa tra il Ministero dell'interno italiano e quello albanese concernente la consulenza e l'assistenza per la riorganizzazione delle forze di polizia albanesi.

Con il D.L. 28.08.2000, n. 239 (ripubblicato sulla G.U. n. 253 del 28.10.2000) sono stati previsti ulteriori finanziamenti per il completamento nell'anno 2000 dei programmi italiani a sostegno delle forze di polizia albanesi. In base all'art. 2 bis del decreto, il governo si è impegnato a presentare al Parlamento entro il 30 giugno ed il 31 dicembre di ogni anno una relazione sugli obiettivi fissati, i risultati raggiunti e gli interventi effettuati nell'ambito del programma. Il testo del decreto prevede tra l'altro la cessione a titolo gratuito alle autorità di polizia albanesi di mezzi dismessi della Polizia di Stato italiana, di eventuali materiali di consumo non altrimenti utilizzabili e del relativo supporto logistico.

I programmi di cooperazione tra le forze di polizia italiane e quelle albanesi si basano sul Protocollo d'intesa tra il Ministero dell'interno italiano e quello albanese concernente la consulenza e l'assistenza finalizzate alla riorganizzazione delle forze di polizia albanesi, firmato a Roma il 17 settembre 1997 e divenuto operativo dal 29 aprile 1998 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale (S.O. del 15.04.2000 n°89).

In base a questo Protocollo i vertici dell'amministrazione di polizia albanese sono affiancati con esperti delle forze di polizia italiane (Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza) ai fini della riorganizzazione delle strutture di polizia albanesi e dell'impiego delle risorse in termini di uomini e mezzi sul territorio (art.5) . Tra gli obiettivi dell'intesa vi è anche lo sviluppo delle attività finalizzate alla riorganizzazione della polizia di frontiera albanese e al controllo del confine marittimo mediante l'impiego di un "nucleo di frontiera marittima" delle forze di polizia italiane insediato nei porti di Durazzo e Valona , con funzioni di consulenza, assistenza, e addestramento coll'ausilio di proprie motovedette, nel rispetto delle norme di diritto internazionale (art.8 ).

L'intesa esclude, peraltro, qualsiasi coinvolgimento diretto degli operatori italiani nelle attività operative svolte dalla polizia albanese (art.7)

38. Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale l'Accordo tra il Governo italiano e quello austriaco sulla cooperazione di polizia

E' stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale (S.O. G. U. n°89 del 15.04.2000 ) l'Accordo tra il Governo italiano e quello austriaco sulla cooperazione di polizia, firmato a Vienna il 15.12.1997 e entrato in vigore il 1 marzo 2000.

L'Accordo prevede il distacco reciproco di funzionari di collegamento, l'invio di esperti di polizia per missioni di breve durata , una formazione e aggiornamento comuni del personale nonché l'applicazione delle parti dell'Accordo di Schengen relative alla cooperazione di polizia nelle zone di frontiera (titolo II), all'osservazione e inseguimento di polizia oltre frontiera (titolo III) .Per tali funzioni sono creati appositi uffici di collegamento per la parte italiana nelle questure di Bolzano, Belluno e Udine.

39. Pubblicato il Memorandum sulla cooperazione di polizia tra la Repubblica Italiana e quella di Slovenia con riguardo anche alla materia della lotta contro l'immigrazione clandestina.

E' stato pubblicato sulla G.U. (Suppl. n.14 dd. 15.01.2000) il testo del Memorandum sulla cooperazione di polizia tra il governo italiano e quello della Repubblica di Slovenia sottoscritto a Lubiana il 14.11.1997 ed operativo peraltro già dal 29.11.1997. Il Memorandum riguarda fra l'altro anche la cooperazione nella lotta contro l'immigrazione clandestina . Si prevede che in caso di operazioni di polizia o d'indagini di particolare complessità che travalichino i rispettivi confini nazionali, ciascun paese possa inviare nel territorio dell'altro esperti con il compito di collaborare in tali indagini o operazioni, così come che i rispettivi uffici di collegamento presso le autorità di polizia di frontiera possano procedere al reciproco scambio d'informazioni, di assistenza e alla concertazione di piani di attività comuni anche con riferimento all'applicazione dell'accordo bilaterale sulla riammissione delle persone alla frontiera. Nel Memorandum è pure previsto l'istituzione di unità miste di vigilanza del confine comune, previo consenso degli organi centrali.

Al fine di impedire che i controlli confinari possano ostacolare un traffico scorrevole ai valichi, il Memorandum prevede l'istituzione di corsie separate per i cittadini dell'UE, per quelli della Repubblica di Slovenia e infine per quelli dei paesi terzi.

40. Ratificati e resi esecutivi gli accordi di adesione dei Governi di Svezia, Danimarca e Finlandia agli Accordi di Schengen, nonché l'accordo di cooperazione tra gli Stati parte degli Accordi di Schengen e la Repubblica di Islanda ed il Regno di Norvegia per la soppressione dei controlli alle persone alle frontiere comuni.

Con leggi 27 maggio 1999, n. 197 e 198 (G.U. Suppl. dd. 25 giugno 1999 n. 122/L), il Parlamento italiano ha ratificato e reso esecutivi rispettivamente gli accordi di cooperazione tra gli Stati parte degli Accordi di Schengen e la Norvegia e l'Islanda per la soppressione dei controlli delle persone alle frontiere comuni, e gli accordi di adesione di Svezia, Danimarca e Finlandia all'accordo di Schengen e alla relativa Convenzione applicativa.

Con l'adesione di Svezia, Danimarca e Finlandia, avvenuta il 19 dicembre 1996, sono saliti a tredici gli Stati membri dell'Unione Europea parte dell'accordo di Schengen e alla relativa Convenzione di Applicazione, dalle quali restano estranei invece soltanto il Regno Unito e l'Irlanda.

L'adesione dei paesi scandinavi membri dell'Unione Europea ha determinato la necessità di estendere le disposizioni dell'accordo di Schengen e della relativa Convenzione anche agli altri paesi membri della c.d "Unione Nordica dei passaporti", sottoscritta a Copenghen il 12 luglio 1957 e che prevede uno spazio di libera circolazione alla frontiere nordiche comuni, cioè l'Islanda e la Norvegia. Considerato che per essere parte della Convenzione di Schengen occorre essere membri dell'Unione Europea e che Islanda e Norvegia non lo sono, si è resa necessaria la stipula di un accordo di cooperazione con questi due paesi, sottoscritto congiuntamente all'adesione all'accordo di Schengen di Svezia, Danimarca e Finlandia il 19 dicembre 1996 a Lussemburgo.

L'effettiva entrata in vigore dell'accordo di cooperazione con Norvegia e Islanda e la soppressione dunque dei controlli alla frontiere comuni con gli Stati membri dell'accordo di Schengen potrà peraltro avvenire solo una volta che entreranno in vigore gli accordi specifici con gli Stati membri dell'Unione Europea per l'adesione di Islanda e Norvegia alle disposizioni della Convenzione di Dublino sulla determinazione dell'unico Stato responsabile dell'istanza di asilo, che ha sostituito le disposizioni del Capitolo 7 del Titolo II della Convenzione di Applicazione dell'accordo di Schengen.

41. Entrati in vigore gli accordi bilaterali tra Italia e rispettivamente Regno del Marocco e Repubblica di Estonia in materia di reciproca promozione e protezione degli investimenti. Ratificato e reso esecutivo dal parlamento italiano il medesimo accordo con la Repubblica di Slovacchia. Con la nuova legge sull'immigrazione ed il varo del regolamento di attuazione non è più richiesta la condizione di reciprocità per l'acquisto di immobili ad uso abitativo da parte di immigrati stranieri.

Il Ministero Affari Esteri ha comunicato l'avvenuta entrata in vigore dell'accordo bilaterale con il Regno del Marocco sulla reciproca protezione e promozione degli investimenti (in G.U. n. 220 del 20.09.2000), firmato a Rabat il 18 luglio 1990, e successivamente interpretato e modificato con scambio di note concluso il 15 ottobre 1991, nonché quello con la Repubblica di Estonia, firmato a Roma il 20 marzo 1997 (in G.U. n. 157 dd 07.07.2000). Con legge n. 166 dd. 26.05.2000 (in G.U. n. 144 dd. 22.06.2000), è stato ratificato e reso esecutivo dal Parlamento italiano accordo similare con la Repubblica di Slovacchia.

Per quanto concerne gli aspetti specificatamente legati agli interessi dei cittadini extracomunitari residenti in Italia, tali accordi hanno perso molta della loro importanza con l'entrata in vigore della legge organica in materia di immigrazione che ha disposto l'abrogazione della verifica della condizione di reciprocità per quanto attiene l'esercizio dei diritti civili da parte del cittadino extracomunitario regolarmente residente (tra cui va ricompreso l'esercizio dell'attività di lavoro autonomo e l'acquisto di immobili), salvo nei casi espressamente previsti dalla legge medesima e dalle convenzioni internazionali (art. 2.2 TU n. 286/98) Cosi' come ha riconosciuto lo stesso Ministero degli Affari Esteri, con circolare del 11 giugno 1998, la disposizione contenuta nell'art. 2 c. 2 del D.L.vo n. 286/98 consente al cittadino extracomunitario regolarmente residente in Italia di svolgere attività di lavoro autonomo, di costituire società di capitali e di investire e parteciparvi, senza essere sottoposto alla verifica della condizione di reciprocità. Maggiori difficoltà sono registrate invece nella prassi per l'affermazione del medesimo principio di esenzione dalla condizione di reciprocità per l'acquisto di beni immobili (ad uso innanzitutto abitativo) da parte del cittadino extracomunitario residente in Italia. All'assenza di una chiara presa di posizione sull'argomento da parte dei Ministeri degli Esteri e dell'Interno, ha peraltro fatto riscontro l'iniziativa del Ministero di Grazia e Giustizia - Ufficio Centrale degli Archivi Notarili, che con parere del 15.01.1999, ha rilevato che "sembra che, per quanto riguarda i diritti in materia civile, con l'entrata in vigore della legge n. 40 del 1998, l'art. 16, primo comma, delle preleggi, non sia più applicabile allo straniero regolarmente soggiornante, munito cioè di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno". Già in precedenza non erano mancate iniziative locali volte a far applicare correttamente le nuove disposizioni introdotte dalla legislazione nazionale sull'immigrazione. Così, il Collegio notarile di Brescia, con delibera del 29 ottobre 1998 aveva ritenuto "non essere contrario alla legge e quindi non costituire violazione della Legge Notarile ricevere atti, i quali abbiano oggetto l'acquisto da parte di cittadini di Paesi extracomunitari di beni immobili in Italia, e l'eventuale relativo finanziamento degli stessi, prescindendo dalla condizione di reciprocità, alle seguenti condizioni: a) che i cittadini extracomunitari abbiano un regolare permesso di soggiorno e siano residenti in Italia; b) che siano iscritti nelle liste di collocamento o esercitino una regolare attività di lavoro subordinato o di lavoro autonomo; c) che l'acquisto degli immobili abbia per oggetto la prima casa di abitazione, con caratteristiche non di lusso, secondo quanto previsto dall'attuale normativa fiscale agevolativa in tema di acquisto della prima casa" (entrambi i documenti sono pubblicati sul secondo numero della rivista dell'ASGI e di Magistratura Democratica "Diritto, Immigrazione e Cittadinanza", edita da Franco Angeli di Milano). Dopo l'entrata in vigore del regolamento di attuazione della legge sull'immigrazione, non dovrebbero sussistere più dubbi ed incertezze sulle possibilità per i cittadini stranieri extracomunitari di acquistare immobili ad uso abitativo. L'art. 1 del regolamento (Dpr. N. 394/99) specifica infatti, in accordo con il dispositivo di legge cui fa riferimento, che "1. Per le persone fisiche straniere, i responsabili del procedimento amministrativo che ammettono lo straniero al godimento dei diritti in materia civile attribuiti al cittadino, ed i notai che redigono gli atti che comportano l'esercizio di taluno dei predetti diritti, richiedono l'accertamento della condizione di reciprocità al Ministero degli Affari Esteri, nei soli casi previsti dal Testo unico sull'immigrazione, ed in quelli per i quali le convenzioni internazionali prevedono la condizione di reciprocità. 2.L'accertamento non è richiesto per i cittadini stranieri titolari della carta di soggiorno, nonché per i cittadini stranieri titolari di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato o di lavoro autonomo, per l'esercizio di un impresa individuale e per i relativi familiari in regola con o il soggiorno".

Un elenco aggiornato degli accordi vigenti tra l'Italia e i paesi terzi in materia di mutua promozione e protezione degli investimenti è disponibile sul sito Internet del Ministero degli Affari Esteri: www.esteri.it/attivita/operatori/index.htm

42. Ratificata e resa esecutiva in Italia la Convenzione n. 182 e la Raccomandazione n. 190 dell'OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) relativa alla proibizione delle forme peggiori di lavoro minorile e all'azione immediata per la loro eliminazione.

Con legge 25 maggio 2000 n. 148 (in G.U. n. 135 del 12.06.2000), è stata ratificata e resa esecutiva in Italia la Convenzione n. 182 e la Raccomandazione n. 190 adottate dalla Conferenza generale dell'O.I.L. (Organizzazione Internazionale del Lavoro), durante la sessione tenutasi a Ginevra il 17 giugno 1999 e relative alla proibizione delle forme peggiori di lavoro minorile e all'azione immediata per la loro eliminazione.

La Convenzione impegna ogni Stato membro che la ratifichi a prendere misure immediate ed efficaci atte a garantire la proibizione e l'eliminazione delle forme peggiori di lavoro minorile, con procedura d'urgenza. L'espressione forme peggiori di lavoro minorile include tutte le forme di schiavitù o pratiche analoghe ad essa, l'impiego, l'ingaggio di minori a fini di prostituzione ovvero a fini di attività illecite quali il traffico di stupefacenti ovvero qualsiasi altro tipo di lavoro che rischi di compromettere la salute, la sicurezza o la moralità del minore. Con la ratifica della Convenzione, l'Italia si impegna a definire ed attuare programmi di azione volti ad eliminare le forme peggiori di lavoro minorile, ivi compresa la fornitura di assistenza diretta ai minori per sottrarli a tali forme di lavoro e per garantirne la riabilitazione ed il loro reinserimento sociale mediante l'accesso all'istruzione di base e alla formazione professionale. La Raccomandazione specifica in particolare alcune forme di azione immediata che i Governi dovrebbero intraprendere, tra cui l'istituzione di procedure speciali di denuncia e di provvedimenti atti a proteggere da discriminazioni e rappresaglie coloro che denunciano legittimamente le violazioni delle disposizioni della Convenzione, nonché l'istituzione di linee telefoniche e di centri di assistenza provvisti di mediatori culturali. Le disposizioni sulla protezione sociale delle vittime della tratta di donne e minori immigrati ai fini di prostituzione contenute nella legge sull'immigrazione (art. 18 D.lgs. n. 286/98) costituiscono senza dubbio una normativa applicativa dei principi contenuti nella Convenzione. Quest'ultima può dunque costituire un utile strumento affinché tale parte della normativa sull'immigrazione trovi effettiva e ampia applicazione.

43. Entrata in vigore la Convenzione n.181 e la raccomandazione n.188 dell'OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) concernenti le agenzie per l'impiego privato.

Come comunicato dal M.A.E. ( in G.U. del 02.02.2000 n.226), a seguito del deposito dello strumento di ratifica è entrata in vigore in Italia la Convenzione OIL n.181 adottata dalla conferenza internazionale del lavoro a Ginevra il 19.6.1997. La Convenzione riguarda il funzionamento delle agenzie di collocamento private e la protezione dei diritti dei lavoratori (persone in cerca di occupazione) che utilizzano tali servizi. Le norme a tutela dei lavoratori contenute nella Convenzione sono ulteriormente rafforzate dal testo della raccomandazione n.188 adottata congiuntamente . Alcune norme riguardano specificatamente i lavoratori migranti, prevedendo che l'attività delle agenzie di collocamento private debba essere improntata a principi di non discriminazione e che i lavoratori migranti, per quanto possibile, debbano essere informati nella loro lingua o in una lingua a loro familiare della natura della posizione lavorativa offerta e delle condizioni di lavoro applicabili.

44. Ratificato e reso esecutivo l'Accordo tra Italia e Cuba, sottoscritto il 9 giugno 1998, per l'esecuzione delle sentenze penali ed il trasferimento delle persone condannate.

Con legge 18 luglio 2000 (pubblicata sulla G.U. n. 184 del 27.07.2000), il Parlamento italiano ha autorizzato il Presidente della Repubblica a ratificare l'Accordo tra Italia e Cuba per l'esecuzione delle sentenze penali, firmato a L'Avana il 9 giugno 1998.

L'accordo consente ai cittadini dei due paesi, privati della libertà in conseguenza di una sentenza penale delle autorità giudiziarie del paese contraente straniero, la possibilità di scontare la condanna inflitta nel loro paese di origine, mediante apposito trasferimento.

L'accordo prevede specifiche condizioni per la sua applicazione (art. 3) e cioè che: a) la sentenza sia passata in giudicato; b) la parte della condanna tuttora da espiare al momento della ricezione della domanda sia per lo meno di un anno; c) la persona condannata acconsenta al trasferimento; d) l'infrazione penale che ha dato luogo alla condanna rappresenti una infrazione penale anche per la legge dello Stato di esecuzione; e) la persona non sia stata condannata alla pena capitale; f) ambedue gli Stati acconsentano al trasferimento; g) il delitto non costituisca una minaccia alla sicurezza dello Stato.

Le autorità dei due Stati valuteranno le istanze di trasferimento avendo in considerazione la finalità proclamata dell'accordo, cioè quella di favorire la riabilitazione sociale della persona condannata, che si presume sia meglio soddisfatta mediante l'esecuzione della pena nell'ambiente sociale di origine della persona. Pertanto, saranno presi in considerazione fattori quali la gravità del reato, le sue conseguenze sociali, i precedenti penali, le relazioni socio-familiari della persona condannata ed il suo stato di salute (art. 7). Le autorità dello Stato di esecuzione dovranno eseguire la condanna senza modificarne la natura giuridica o la durata, così come sono state fissate dallo Stato che l'ha inflitta, tranne nei casi in cui risultino incompatibili con la legge dello Stato di esecuzione. In tali situazioni, attraverso apposito procedimento amministrativo o giudiziario, lo Stato di esecuzione potrà modificare la condanna inflitta dall'altro Stato in modo che non superi il massimo della pena prevista dalla propria legislazione.

45. Entrato in vigore il Trattato tra Italia e Bolivia sull'assistenza giudiziaria in materia penale.

Con apposito comunicato (in G.U. n. 63 del 16.03.2000), il MAE ha comunicato l'entrata in vigore a partire dal 1 marzo 2000 del Trattato tra Italia e Bolivia sull'assistenza giudiziaria in materia penale, firmato a Cochabamba il 15 aprile 1996. Il Trattato, ratificato in Italia con legge 24.03.1999, n. 92 (in G.U. n. 88 del 16.04.1999), impegna ciascuna delle due parti nei confronti dell'altra a prestare l'assistenza nello svolgimento dei procedimenti giudiziari con l'esclusione dei provvedimenti restrittivi della libertà personale e dell'esecuzione di pene o condanne. Per l'esecuzione di sequestri preventivi, probatori e conservativi, nonché di perquisizioni, ovvero degli analoghi istituti previsti dalla legislazione boliviana, l'assistenza è consentita sole se il fatto per il quale si procede nella parte richiedente è previsto come reato anche dalla legislazione della parte richiesta. In ogni caso, l'assistenza può essere rifiutata se la parte richiesta considera il fatto in relazione al quale si procede un reato politico od esclusivamente militare ovvero alla stregua di una persecuzione motivata da ragioni di razza, religione, nazionalità, lingua, opinioni politiche o da condizioni sociali o personali.

46. Entrato in vigore il trattato bilaterale tra Italia e Perù sull'assistenza giudiziaria in materia penale e quello sul trasferimento di persone condannate e di minori in trattamento speciale.

Con comunicato del M.A.E. pubblicato sulla G.U. del 26.10.1999 n. 252, è stata resa nota l'entrata in vigore del trattato sull'assistenza giudiziaria in materia penale tra Italia e Perù, sottoscritto a Roma il 24 novembre 1994 e ratificato in Italia con legge 24 marzo 1999, n. 90 (G.U. 14.04.1999, n. 86). Il trattato impegna reciprocamente le parti a fornire la più ampia assistenza nello svolgimento dei procedimenti giudiziari penali, in particolare per quanto concerne la notifica di citazioni e atti giudiziari, l'interrogatorio di testimoni o di persone sottoposte a procedimento penale, lo svolgimento di attività di acquisizione probatoria, il trasferimento di persone detenute a fini probatori, l'esecuzione di perizie, sequestri probatori, preventivi e conservativi, ispezioni e perquisizioni, la comunicazione di sentenze penali e di certificati del casellario giudiziale.

Con comunicato del M.A.E. pubblicato sulla G.U. 05.10.1999 n. 234, è stata resa nota l'entrata in vigore, a partire dal 17 agosto 1999, del trattato sul trasferimento di persone condannate e di minori in trattamento speciale tra il Governo italiano e quello peruviano, fatto a Roma il 24 novembre 1994 (e ratificato con legge n. 90 del 24 marzo 1999, in G.U. n. 86 dd. 14.04.99). Il trattato prevede la possibilità per i cittadini di uno dei due Stati, privati della propria libertà in conseguenza di una sentenza penale commutata dall'autorità dell'altro Stato, di scontare la condanna nel paese di appartenenza, ottenendo, a determinate condizioni il trasferimento nel medesimo.

47. Ratificato e reso esecutivo lo scambio di note tra Italia e Austria sul reciproco riconoscimento dei titoli e gradi accademici, fatto a Vienna il 28.01.1999. Esclusi dall'applicazione dell'accordo i cittadini dei paesi terzi.

Con legge 10.10.2000, n. 322 (in Suppl. ord. Alla G.U. n. 183/L dell'8.11.2000, n. 261), è stato ratificato e reso esecutivo lo Scambio di note tra i governi italiano ed austriaco sul riconoscimento reciproco dei titoli e gradi accademici, fatto a Vienna il 28 gennaio 1999.

Con tale scambio di note viene modificato l'accordo precedentemente firmato a Roma l'11.09.1996, aggiornando in pratica la lista dei titoli accademici oggetto del riconoscimento reciproco. Lo scambio di note prevede che ai fini del riconoscimento in Italia di un grado accademico austriaco, i richiedenti possano presentare domanda all'Università prescelta che provvederà in merito entro i successivi quattro mesi. Il punto 9.1 e 2 dello scambio di note esclude dalla sua applicazione i cittadini dei paesi terzi così come i titoli e i gradi rilasciati da Università di Stati terzi e riconosciuti in uno dei due Stati parte in base a convenzioni internazionali o procedure di equipollenza. La portata applicativa dello scambio di note per eventuali cittadini extracomunitari residenti in Italia e titolari di un titolo accademico conseguito o riconosciuto equipollente in Austria è dunque pressoché nulla.

48. Aggiornato ed integrato l'accordo culturale dell'11 agosto 1955 tra Italia e Spagna sul reciproco riconoscimento dei titoli di studio superiori ed universitari.

Con scambio di note avvenuto in data 14 luglio1999 ( Suppl. alla G.U. n.14 del 15.01.2000), è stato aggiornato ed integrato, con decorrenza dalla stessa data, l'elenco dei titoli accademici e d'istruzione secondaria superiore che possono essere riconosciuti equipollenti in via automatica ed amministrativa in virtù dell'accordo bilaterale culturale sottoscritto tra Italia e Spagna l'11 agosto 1955 ( Legge 3.1.1957 n.8 in G:U. 4257 n.31 ; elenco dei titoli contenuto nel DM 29.5.1964 in G.U. 19.6.1964 n.149).

49. Entrato in vigore l'accordo tra Italia e Argentina sul riconoscimento dei titoli di studio a livello elementare e medio firmato a Bologna il 3 dicembre 1997.

Il Ministero degli Affari Esteri ha comunicato l'entrata in vigore il giorno 28 dicembre 1999 dell'accordo tra Italia e Argentina sul reciproco riconoscimento dei titoli di studio a livello elementare e medio, firmato a Bologna il 3 dicembre 1997 (in GU 27.11.1999, n. 279). L'accordo era stato ratificato e reso esecutivo con legge 7 giugno 1999, n. 210 (in G.U. 01.07.1999 n. 152).

In virtù di questo accordo, i titoli di studio elementare e medi (inferiori e superiori) conseguiti nel territorio di uno dei due Stati da un cittadino italiano o argentino saranno automaticamente riconosciuti nel territorio dell'altro Stato, ma ai soli fini della prosecuzione degli studi. Il riconoscimento automatico non potrà invece essere chiesto ai fini lavorativi (per l'accesso ad esempio a concorsi pubblici che richiedano un particolare livello di studi) per i quali si dovrà seguire il complesso iter procedurale previsto dai D.M. 1.02.1975 e 02.04.1980 (rispettivamente Suppl. G.U. n. 58/1975 e n. 135/1980), richiamati dal TU delle leggi in materia di istruzione del 1994.

Tra le previsioni dell'accordo italo-argentino, va segnalato l'esonero dalla prova di conoscenza della lingua italiana o spagnola per l'accesso alla rispettive Università o istituti di istruzione superiori, per gli studenti che abbiano conseguito un titolo di istruzione media che abbia compreso nel piano di studio l'insegnamento per almeno cinque anni della lingua italiana in Argentina o di quella spagnola in Italia (art. 2.2). L'accordo prevede il riconoscimento non solo dei titoli di studio finali, ma anche dei certificati attestanti la promozione di anni scolastici intermedi (art. 3).

Nell'allegato all'accordo sono indicate le corrispondenze tra gli indirizzi scolastici italiani e quelli argentini ai fini dell'applicazione dell'accordo medesimo.

50. Ratificate e rese esecutive le Convenzioni con la Slovenia e la Croazia in materia di sicurezza sociale.

Con leggi 27 maggio 1999 n. 167 e 199 (rispettivamente G.U. Suppl. ord. N. 114/L e n. 147), il Parlamento italiano ha approvato la ratifica e l'esecuzione delle convenzioni in materia di sicurezza sociale firmate con la Repubblica di Slovenia a Lubiana il 7 luglio 1997 e con la Repubblica di Croazia a Roma il 27 giugno 1997.

Tali convenzioni sostituiranno in tutte le sue parti la Convenzione sulle assicurazioni sociali stipulata tra la Repubblica Italiana e la Repubblica Federativa Socialista di Jugoslavia il 14 novembre 1957, che ha continuato ad essere applicata anche dopo la dissoluzione dello Stato jugoslavo.

Le Convenzioni riguardano gli aspetti dell'assicurazione generale obbligatoria per invalidità, vecchiaia, l'assicurazione per malattia e maternità, contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, la disoccupazione involontaria e le prestazioni familiari e si applicheranno ai cittadini degli Stati contraenti, nonché ai rifugiati in base alla Convenzione di Ginevra del 1951 residenti nei due Stati.

In particolare, le Convenzioni prevedono la possibilità del cumulo e della totalizzazione dei periodi assicurativi maturati nei due Stati contraenti ai fini dell'accesso alle prestazioni.

51. Entrata in vigore la Carta sociale europea, riveduta con annesso, firmata a Strasburgo il 3

maggio 1996.

Con comunicato del M.A.E. pubblicato sulla G.U. dd. 05.10.1999 n. 234, è stato reso noto l'avvenuto deposito, in data 6 luglio 1999, dello strumento di ratifica italiana della Carta sociale europea, riveduta con annesso, firmata a Strasburgo il 3 maggio 1996, dopo che con legge 09.02.1999, n. 30, pubblicata sulla G.U. n. 44, Suppl. ord. dd 23.02.1999, detta ratifica era stata autorizzata dal Parlamento italiano.

I diritti e le misure previsti dalla Carta sociale europea, attinenti essenzialmente il campo dei diritti sociali, nella sfera lavorativa o della sicurezza sociale, solo garantiti soltanto ai cittadini degli Stati contraenti, facenti parte del Consiglio d'Europa. L'appendice della Carta Sociale Europea specifica, infatti, che le persone interessate dagli articoli 1 - 17 "includono gli stranieri solo fintantoché sono cittadini di Stati parte della Carta Sociale Europea legalmente residenti o regolarmente impiegati nel territorio dello Stato parte interessato…". Ugualmente, gli articoli 18 e 19 (attinenti i diritti dei lavoratori migranti, ivi compreso il principio di parità di trattamento) sono garantiti solo ai cittadini degli Stati parte della Carta . La Carta Sociale Europea è attualmente in vigore per i seguenti paesi: Austria, Belgio, Cipro, Danimarca, Finlandia, Germania, Grecia, Islanda, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Malta, Olanda, Norvegia, Polonia, Portogallo, Slovacchia, Spagna, Svezia, Turchia e Regno Unito. Di conseguenza, è del tutto evidente l'impatto assai limitato e marginale della Carta sociale europea sulle questioni attinenti l'immigrazione.

Il comunicato del MAE informa che al momento del deposito della ratifica, l'Italia ha formulato una riserva sull'art. 25 della Carta, che prevede il diritto dei lavoratori alla protezione delle loro spettanze in caso di insolvenza da parte del datore di lavoro, mediante la costituzione di appositi fondi di garanzia pubblici. L'Italia dunque non si ritiene impegnata al rispetto di tale disposizione.

52. Entrato in vigore l'accordo tra il governo italiano e le Nazioni Unite per l'esecuzione delle sentenze del Tribunale penale internazionale per l'ex-Jugoslavia, firmato a L'Aja il 6 febbraio 1997.

Il Ministero degli Affari Esteri ha comunicato (in GU 26.11.1999 n. 278) che lo scorso 27 agosto 1999 è entrato in vigore l'accordo firmato a L'Aja il 06.02.1997 tra il governo italiano e le Nazioni Unite per l'esecuzione delle sentenze del Tribunale Penale Internazionale per l'ex-Jugoslavia, ratificato e reso esecutivo in Italia con legge 7 giugno 1999, n. 207 (G.U.30.06.1999 n. 151).

L'Italia, infatti, è uno dei Paesi che ha indicato al Consiglio di Sicurezza dell'ONU la propria disponibilità a dare esecuzione alle sentenze pronunciate dal Tribunale penale Internazionale dell'Aja per i crimini di guerra compiuti nel territorio della ex-Jugoslavia, e dunque a garantire la reclusione nelle proprie strutture carcerarie delle persone condannate dal suddetto tribunale. L'accordo regola tra l'altro gli aspetti procedurali dei rapporti tra le autorità italiane e quelle del tribunale sugli aspetti dell'esecuzione della sentenza (ivi compresi quelli concernenti l'eventuale applicazione di misure non detentive e di eventuali provvedimenti di condono), nonché sulle ispezioni del Comitato Internazionale della Croce Rossa.

53. Sospesa ufficialmente nei confronti della Bosnia Erzegovina l'efficacia dell'accordo tra la Repubblica Italiana e la ex Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia sul riconoscimento dei diplomi e dei titoli accademici rilasciati dalle università, effettuato a Roma il 18 febbraio 1983.

Con comunicato pubblicato sulla G.U. 20 aprile 1999 n. 91, il Ministero degli Affari Esteri ha reso nota la decisione di non considerare più efficace a partire dal 22 marzo scorso nei confronti della Bosnia Erzegovina l'accordo a suo tempo sottoscritto con la ex-Jugoslavia per il reciproco riconoscimento dei titoli d studio universitari. Pari decisioni erano state negli anni scorsi assunte nei confronti di altre Repubbliche sorte dalla dissoluzione dell' ex Stato jugoslavo.

In verità, fin dal 1993 le università italiane non procedevano al riconoscimento automatico, in vi amministrativa, dell'equipollenza dei titoli di studio conseguiti nelle Università della ex-Jugoslavia, in virtù di una circolare in questo senso diramata dal Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica.

In virtù delle regole di diritto internazionale, gli Stati sorti dalla dissoluzione di formazioni statuali preesistenti, possono ritenersi successori degli accordi internazionali di portata generale e non aventi contenuto di carattere territoriale solo in presenza di un atto esplicito di assenso da parte dell'altro Stato firmatario degli accordi o di una prassi indicante tale assenso. Poiché il Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica italiano aveva già raccomandato particolare cautela alle Università nel procedere all'equipollenza dei titoli di studio conseguiti nella ex-Jugoslavia, si può dire che l'accordo tra Italia e ex-Jugoslavia in materia non poteva essere più invocato fin dal 1993, ancora prima delle comunicazioni ufficiali diramate dal Ministro degli Affari Esteri. L'unica eccezione riguarda la Slovenia, con la quale il nostro paese ha rinegoziato un nuovo accordo, entrato in vigore il 6 agosto 1997 (legge 7 aprile 1997 n. 104 G.U. n. 93 dd 22 aprile 1997).