COLPIRNE UNO PER EDUCARNE CENTO

La diffusione dei centri di permanenza temporanea per stranieri espellendi, punto "forte" delle politiche migratorie in atto nel nostro paese, a partire dalla legge Turco -Napolitano del 1998 ha comportato il moltiplicarsi di veri e propri abusi ai danni degli stranieri privi di permesso di soggiorno ma residenti da anni nel nostro paese. Tra questi i casi più eclatanti riguardano i Rom, che anche attraverso il respingimento in paesi terzi (Albania),o sulle rotte della immigrazioni clandestine,hanno pagato un tributo altissimo in termini di vite umane e sofferenze personali.

Se con la legge 40 del 1998 si è creato per gli immigrati espellendi un vero e proprio diritto "speciale" che si è rivelato ben presto in contrasto con le garanzie costituzionali previste anche per chi commette un reato( diritto di difesa, giusto processo,divieto di estradizione in caso di rischio per la vita, diritto di asilo), per i rom si è andati ancora oltre, e spesso la discrezionalità delle forze di polizia si è tradotta in comportamenti illegittimi e persecutori, sintomo evidente di pregiudizio razziale.

Il 24 gennaio u.s.Milan Radosavljevic, un rom serbo di diciannove anni residente da anni con la famiglia ( padre, moglie incinta e figlia di tre anni) nel campo nomadi di Agrigento, veniva raggiunto da un provvedimento di espulsione e quindi internato nel centro di detenzione di Agrigento.

Il giorno successivo il suo avvocato presentava ricorso avverso l'espulsione ed il provvedimento di trattenimento , per vizi di forma e, nel merito, richiamando tra l'altro la nota sentenza della Corte Costituzionale ( la n.376 del 27 luglio 2000) che ha affermato la inespellibilità dello straniero convivente con donna in stato di gravidanza.

E' altresì noto che il Ministero degli interni dopo tale sentenza ha emanato la solita circolare con la quale si precisava che per bloccare l'espulsione lo straniero deve produrre un certificato di matrimonio in originale con allegata traduzione giurata, oppure dimostrare la sussistenza di un regolare matrimonio in Italia.I rom però non si sposano con documenti e certificati e comunque chi vive senza un permesso di soggiorno non può sposarsi in Italia regolarmente.

Si deve anche ricordare che la Corte Europea dei diritti dell'uomo ha già sanzionato l'espulsione del convivente di donna in presenza di figli minori, condannando i paesi responsabili di tali provvedimenti ad un consistente risarcimento dei danni.

Milan inoltre è in età di leva e dopo undici anni passati in Italia, dove era arrivato da bambino, rischia adesso di restare per molto tempo lontano da sua moglie e dai suoi figli, se riceverà- come c'è da attendersi- la chiamata alle armi.

Nel caso di Milan la procedura è stata particolarmente rapida, nel senso che quando sono andato a trovarlo lunedì 29, ad appena cinque giorni dall' internamento, malgrado il ricorso tempestivamente proposto dal suo avvocato, e malgrado il giudice avesse fissato l'udienza per venerdì 2 febbraio,non c'era più niente da fare: Milan era stato trasferito alle 5,30 dello stesso giorno di lunedì all'aeroporto e lì imbarcato su un aereo diretto a Roma e quindi trasferito dopo poche ore a Belgrado.

Tutto era stato fatto con grande premura, al punto che il dirigente del campo, appena rientrato il lunedì mattina,dopo due giorni di assenza( ma poi si è saputo che si sarebbe negato al telefono anche ad altri rappresentanti di organizzazioni umanitarie), non sapeva nulla del trasferimento e mi faceva compilare il modulo per la richiesta di colloquio, per poi accorgersi da un registro che lo straniero era stato accompagnato coattivamente in frontiera lo stesso giorno,proprio poche ore prima.

Non restava a quel punto che portare la notizia alla moglie in stato di gravidanza , alla piccola figlia di tre anni, ed al padre che ancora stringeva tra le mani il caricabatteria del telefonino che la polizia gli aveva impedito di consegnare al figlio.Scene di disperazione ormai consuete purtroppo nei campi rom italiani ma tali da farci giurare che faremo di tutto per riportare Milan in Italia. Si deve aggiungere che, secondo quanto riferito dal padre, questi, in occasione dell'ultima visita al centro di detenzione di Agrigento, non aveva potuto neppure dare al ragazzo una modesta somma di danaro e qualche effetto personale.Per fortuna, le circolari ministeriali parlano sempre più spesso di umanizzazione dei centri di permanenza temporanea!

Tutto normale si dirà: Milan era un rom, aveva qualche piccolo precedente penale, la sicurezza dei cittadini di Agrigento era gravemente minacciata dalla sua presenza in città,anzi forse questa azione esemplare avrebbe convinto anche altri rom a lasciare il campo di Agrigento senza bisogno neppure di mandare le ruspe, come si fa di solito per rimuovere gli "zingari" dai loro insediamenti come si trattasse di immondizia.

Anche a Catania proprio questo tipo di "politica repressiva" aveva svuotato a colpi di espulsioni il campo nomadi di Paternò.

Qualche piccolo particolare ha forse tradito ad Agrigento gli artefici di questa brillante "operazione": sembrerebbe che il rimpatrio sia avvenuto dopo la scadenza dei termini di trattenimento coatto, quando Milan, in assenza di un provvedimento di convalida del magistrato avrebbe dovuto essere rimesso in libertà.Come al solito la Questura ha disposto il rimpatrio senza fornire alcuna informazione ai congiunti sui tempi e sulla destinazione dell'espulso,come se si trattasse di un pericoloso mafioso( categoria ben conosciuta nella provincia di Agrigento, ma che forse desta meno allarme che i rom) e solo un vorticoso giro di telefonate ha permesso ai familiari, anche grazie all'aiuto delle associazioni indipendenti, di rintracciare il loro parente.

Venerdì 2 febbraio il giudice ha annullato il decreto di espulsione ma ormai Milan si trovava a Belgrado e non ci è rimasto altro da fare che contattarlo, tramite l'ICS, per comunicargli che richiederemo al Ministero degli Interni ed al Ministero degli Esteri un visto di ingresso per raggiungere la moglie incinta e la figliola ad Agrigento. Temiamo infatti che possa ripetersi quanto già successo in altri casi: che lo straniero illegittimamente espulso faccia comunque rientro in Italia clandestinamente, esponendosi ad ulteriori gravissimi rischi e ad altre sanzioni, ed impedendo così di sanzionare il comportamento illegittimo delle autorità resposabili del decreto di espulsione e della sua frettolosa esecuzione.

Dal provvedimento del magistrato si apprende che il trattenimento non era stato convalidato nei termini di legge, e che quindi l'accompagnamento in frontiera era stato effettuato non solo in assenza dei requisiti prescritti dalla legge, ma anche oltre il termine temporale fissato dalla vigente normativa.

Lo stesso magistrato di Agrigento rileva nel suo provvedimento che ai fini del divieto di espulsione " al marito deve essere equiparato il convivente in quanto sono le stesse le esigenze di tutela della donna e del nascituro". E' notorio peraltro che interi gruppi etnici come i Rom non si sposano con documenti regolari e che anche altri immigrati non possono provare il proprio matrimonio per assenza di documentazione.

L'iniziativa della Questura di Agrigento non è rimasta isolata ed a Palermo un altro rom che si era recato in Questura accompagnato dal suo datore di lavoro,per informarsi della possibilità di regolarizzarsi, è stato trasportato direttamente al centro di detenzione Vulpitta di Trapani e da lì in soli 5 giorni rimpatriato in Macedonia,prima che l'avvocato riuscisse a presentare ricorso. Nezdat aveva in tutta buona fede consegnato il proprio passaporto alla polizia, ed era incensurato; a Palermo viveva ormai da anni con la moglie e due bambini, regolarmente iscritti a scuola, che non parlano neppure la lingua dei genitori. Adesso un altra famiglia è distrutta ed un altro "pericoloso" irregolare è stato rimpatriato con un buon esito per la crescita delle statistiche del Ministero degli Interni relative alle espulsioni effettivamente eseguite.

Risultano altri casi, in Sicilia ed in Italia di Rom tutti con moglie o figli, convocati in questura per un accompagnamento coatto. Ad altri rom, richiedenti asilo,e ci consta personalmente, in qualche Questura siciliana si sconsiglia addirittura di presentarsi per l'audizione in Commissione centrale a Roma, quando proprio la mancata audizione comporta automaticamente il rigetto della domanda di asilo.E questo i funzionari dell'ufficio stranieri dovrebbero proprio saperlo.

Riteniamo che solo una forte pressione dei rappresentanti delle comunità e delle associazioni sul Ministero degli interni, e a livello locale sulle Questure, possa fermare questa recrudescenza delle iniziative contro i rom nel nostro paese, in attesa che una legge nazionale o una direttiva comunitaria affermi il carattere di minoranza etnica di questo popolo e garantisca a tutti il conseguimento di un permesso di soggiorno. Proprio in questi giorni apprendiamo da organi di informazione inconfutabili che in tutta la ex Yugoslavia, e non solo in Kosovo, le stragi e gli attacchi ai danni della etnia rom continuano ancora.

Se qualcuno infrange la legge deve essere trattato alla stregua del codice penale, ma non si può consentire che l'espulsione degli immigrati irregolari diventi uno strumento ordinario di sanzione penale, soprattutto quando lede i fondamentali diritti alla vita, all'unità familiare,al giusto processo.

Chiediamo alle organizzazioni umanitarie nazionali ed all'Alto Commissariato dell'ONU per i rifugiati ( ACNUR ) di verificare, anche con visite nei centri di detenzione e presso gli uffici stranieri , che quanto posto in essere dalle Questure italiane nei confronti dei rom non violi l'art. 33 della Convenzione di Ginevra ( principio di non-refoulment), non neghi il diritto fondamentale di chiedere asilo, non leda il diritto all'unità familiare ed i diritti di difesa riconosciuti da tutte le convenzioni internazionali e dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo.

Palermo 18 febbraio 2001

Fulvio Vassallo Paleologo ( Associazione studi giuridici sull'immigrazione) A.S.G.I.