OSSERVAZIONI SULLO

SCHEMA DI DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

"Programmazione dei flussi d'ingresso dei lavoratori extracomunitari nel territorio dello Stato

per l'anno 2001"

 

  1. in generale la cifra complessiva delle quote appare del tutto insufficiente.

In tal senso è evidente dalla relazione illustrativa che mentre sono piuttosto precisi e circostanziati e comunque segnalano un fabbisogno annuo di almeno 100.000 i dati relativi ai "fattori incrementali indicativi del fabbisogno di lavoratori extracomunitari", assai vaghi e poco congruenti e talvolta addirittura contraddittori appiano gli elementi qualificati dalla relazione stessa come "fattori decrementali che in alcuni casi hanno portato ad una riduzione della quota complessiva rispetto ai fabbisogni stimati".

1) Alcuni elementi inseriti tra i "fattori decrementali" sono in realtà elementi del tutto infondati o contraddittori:

  1. le problematiche di inserimento, in particolare alloggiative, sono del tutto non pertinenti nell'ambito della determinazione del numero massimo di ingressi (e dunque non possono essere mai tenute in considerazione nell’ambito di un decreto sulle quote), perchè i nuovi immigrati indicati nel decreto sulle quote sono persone che fin dal loro ingresso non hanno problematiche di inserimento di tipo economico o alloggiativo. Infatti in base al T.U. tutti i tipi di ingressi per lavoro (lavoro subordinato, lavoro stagionale, lavoro autonomo, inserimento nel mercato del lavoro) sono consentiti soltanto se nel caso concreto sussistono durature e consistenti garanzie circa l'effettiva disponibilità da parte del nuovo immigrato di un alloggio idoneo in Italia e di risorse economiche sufficienti per il mantenimento economico e sanitario (e tali garanzie devono essere preventivamente verificate caso per caso dai competenti uffici dei Ministeri del Lavoro, dell'Interno e degli Affari esteri, oltre che dei Comuni);
  2. l'ultimo "fattore decrementale" conferma che gli effetti della regolarizzazione del 1998/1999 non si possono inserire tra i fattori decrementali, ma sono del tutto ininfluenti sulla disponibilità di nuovi lavoratori;
  3. circa le "altre entrate migratorie regolari extraquote inseribili nel mercato del lavoro (rifugiati e ricongiungimenti familiari)" la stima appare fondata su fattori sovrastimati, perchè fondati su postulati non dimostrati.

c1)Anzitutto si presume che tutti i familiari ricongiuntisi e tutti i rifugiati riconosciuti vogliano e/o possano effettivamente instaurare un rapporto di lavoro. Non si tiene conto che tra costoro vi può essere chi è troppo piccolo o non può o non vuole lavorare, cioè non si tiene conto delle migliaia di minori in tenera età, degli invalidi, delle migliaia di donne che si dedicano al lavoro casalingo, di chi studia. Nè si tiene conto del fatto che un familiare appena arrivato non sempre riesce ad inserirsi subito nel mercato del lavoro anche perchè è sprovvisto della conoscenza della lingua italiana. Del resto la relazione illustrativa non indica il numero dei rifugiati riconosciuti, nè indica quanti degli stranieri finora entrati con visto di ingresso per ricongiungimento familiare o comunque titolari di un permesso di soggiorno per motivi familiari abbiano finora instaurato rapporti di lavoro o avviato attività professionali.

c2) Inoltre la relazione illustrativa allude alla necessità di tenere conto di nuovi lavoratori che deriverebbero dall'eventuale approvazione della nuova legge sul diritto d'asilo che consentirebbe ai richiedenti asilo di lavorare. Tale affermazione appare largamente sovrastimata perchè essa si basa due aspetti infondati: in primo luogo l'effettiva approvazione definitiva di tale legge è un evento futuro e incerto e anzi col passare delle settimane appare sempre più improbabile che comunque la legge entri in vigore prima del marzo 2000, ammesso e non concesso che essa possa davvero avvenire in questa legislatura (la Camera ne discuterà soltanto il 17/18 gennaio e il Senato dovrà ancora riesaminare il testo), in secondo luogo in base al testo del relativo disegno di legge approvato dalla Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati (cfr. artt. 7, comma 11, e 10, comma 6) il richiedente asilo potrebbe lavorare non al momento della presentazione della domanda di asilo, ma soltanto soltanto dopo 6 mesi dalla presentazione della domanda qualora la Commissione centrale non abbia dato risposta alla domanda o durante il giudizio sul ricorso giurisdizionale presentato contro la decisione di rigetto della Commissione stessa. Inoltre dal testo del disegno di legge si ricava facilmente che non tutti i nuovi richiedenti asilo potranno fruire di questa nuova possibilità, perchè molti potrebbero essere espulsi o respinti immediatamente qualora durante il pre-esame della domanda essa sia ritenuta inammissibile o manifestamente infondata.

2) Alcuni elementi inseriti tra i "fattori decrementali" sono configurati in modo vago e immotivato:

a) circa il "livello e evoluzione della disoccupazione italiana", la "mobilità interna" e la "disoccupazione degli stranieri già presenti in Italia" la relazione conferma in realtà che è in atto un trend positivo di assorbimento della disoccupazione, ma omette di considerare che una notevole quota di disoccupati italiani e stranieri potrà essere ridimensionata sotto diversi profili.

Anzitutto recenti provvedimenti del Ministero del Lavoro produrranno già fra pochi mesi una riduzione dei disoccupati fittizi (piena attivazione dei collegamenti telematici del S.I.L., riordino delle liste di collocamento, obbligo di tutti gli iscritti nelle liste di collocamento di dichiarare formalmente la propria disponibilità a svolgere corsi di formazione professionale).

In secondo luogo lo stesso Ministero ha disposto un robusto rafforzamento delle ispezioni sul lavoro al fine di contrastare in modo mirato i fenomeni di lavoro nero, tanto diffusi tra gli stranieri (il lavoro nero degli stranieri disoccupati citato dalla stessa relazione conferma dunque che si tratta la cifra dei disoccupati stranieri non può essere presa in blocco come quale "fattore decrementale").

Dunque il decreto sulle quote 2001 potrebbe essere modificato in modo da aumentare i numeri complessivi delle quote, ma in modo tale che almeno gli ingressi per inserimento nel mercato del lavoro avvengano prioritariamente verso le zone italiane in cui maggiore è richiesta di manodopera. Infatti l'art. 4 del decreto non prevede alcuna norma che espressamente e preventivamente indichi quali possano essere i criteri per il rilascio delle autorizzazioni all'ingresso su garanzia, cioè su come accogliere o rigettare le domande, qualora le garanzie regolarmente presentate e verificate siano complessivamente superiori al numero massimo indicato nel decreto annuale di determinazione delle quote, mentre è evidente che è essenziale dare certezze agli immigrati presenti e futuri prima della presentazione delle domande, prevenire eventuali abusi della discrezionalità amministrativa e prevenire eventuali obiezioni secondo le quali attraverso tali garanzie si potrebbero favorire ingressi di nuovi disoccupati nelle zone in cui vi sono molti disoccupati.

A tal fine un criterio ragionevole potrebbe essere quello di prevedere che gli artt. 3 e 4 del decreto siano modificati in modo da dare priorità per il 2001 alle domande presentate da garanti che vivono nelle Regioni o nelle Province in cui il tasso di disoccupazione su base annua sia inferiore alla media nazionale (l'art. 36, comma 1 del regolamento di attuazione del T.U. prevede infatti che il permesso di soggiorno per inserimento nel mercato del lavoro deve essere richiesto alla stessa questura che ha rilasciato l'autorizzazione all'ingresso) e, in tale ambito, dare priorità in primo luogo agli ingressi di persone che abbiano titoli di studio o precedenti professionali compatibili con settori, qualifiche e mansioni per i quali nella Provincia in cui abiteranno si verifica una perdurante mancanza di manodopera (secondo un elenco che potrebbe essere fornito dal Ministero del Lavoro e che potrebbe essere allegato al decreto annuale sulle quote) e, in secondo luogo agli ingressi di persone che risultino parenti o affini del soggetto che presenta la garanzia o offre l’alloggio ovvero che abbiano in precedenza svolto regolari lavori stagionali in Italia.

3) In ogni caso tutte le considerazioni sui "fattori decrementali" si addicono al lavoro subordinato a tempo indeterminato e non già al lavoro stagionale e la sottostima delle quote per lavoro stagionale sembra essere confermata ogni anno dall'emanazione di circolari del Ministero del Lavoro che riguardano proprio impellenti necessità di lavoratori stagionali. Il numero delle quote di ingresso per lavoro stagionale deve essere dunque almeno triplicato, anche perché si tratta di lavoratori che poi davvero rientrano nel loro Paese di origine alla fine del lavoro svolto (in tal senso è emblematica l’esperienza positiva della massiccia presenza da alcuni anni di emigrati dall’Est che vanno e vengono ogni anno per svolgere regolari rapporti di lavoro stagionale nel Trentino Alto Adige).

4) nella fissazione delle quote 2001 si è omesso di tenere in considerazione alcuni altri criteri generali:

  1. occorre sempre tenere presente che il D.P.C.M. indica soltanto un numero massimo di quote annue, sicchè tale numero non necessariamente deve essere esaurito, nel senso che nell'ambito di tali quote i visti di ingresso possono essere rilasciati soltanto se vi sono domande verificate e si deve ricordare che circa i 2/3 degli ingressi avverrebbe comunque sulla base di preventive verifiche di rapporti di lavoro già esistenti.
  2. occorre tenere presente che la fissazione delle quote è uno degli strumenti più indispensabili di prevenzione dell'immigrazione clandestina e dunque la prudenza delle quote massime deve accompagnarsi all'esigenza di non occultare i flussi migratori che comunque esistono.

5) per il 2001 appare improbabile che sia effettivamente possibile un altro decreto di determinazione delle quote, sia perchè tale anno è una anno di elezioni politiche generali e di mutamento del Governo e del Parlamento, sia perchè il procedimento di verifica delle quote deliberate col primo decreto e di approvazione di un nuovo decreto potrebbe intervenire soltanto negli ultimissimi mesi del 2001, cioè quando ormai sarebbe troppo tardi. Se davvero si ritenesse di non procedere ad aumentare fin da subito il numero delle quote di ingresso allora sarebbe più opportuno ed efficace modificare l’art. 5 in modo da esplicitare fin da subito ulteriori quote di ingresso da attivare durante l’anno (con direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri) qualora si esaurissero le precedenti quote.

Alla luce delle precedenti osservazioni sarebbe opportuna la fissazione di quote più realistiche.

In ogni caso il numero complessivo di ingressi programmato, pari a 63.000 unità per l’intero anno, risulta sensibilmente inferiore alle stime, anche le più misurate, formulate dai soggetti istituzionali o dalle parti sociali a cui anche la relazione di accompagnamento si riferisce (Direzioni Regionali del Lavoro e Assinform) e che indicano valori non inferiori alle 100.000 unità.

Peraltro la stessa esperienza del 2000 conferma che una quota vicina alle 100.000 unità costituisce la previsione più realistica; infatti l’insufficienza della quota iniziale, stimata come quest’anno in 63.000 unità, ha costretto ad una successiva integrazione di ben 20.000 per il solo lavoro stagionale disposta nell’agosto. Dalle circolari del Ministero del Lavoro con cui si è provveduto a distribuire territorialmente la quota aggiuntiva, si desume chiaramente (l’ultima del novembre 2000) che la stessa quota è stata interamente assorbita.

Si ritiene dunque che la quota complessiva per l’anno 2001 deve essere individuata in un numero massimo di ingressi tra le 83.000 (63.000+20.000 del 2001) e le 105.778 unità segnalate dalle Direzioni regionali del lavoro.

A tal fine se si vuole mantenere la stima più prudente, si possono prendere in considerazione, con un arrotondamento in riduzione, le cifre del fabbisogno indicate dal Ministero del Lavoro calcolate al 13 dicembre 2000

Il decreto dovrebbe dunque indicare all’art. 1 una cifra complessiva di 100.000 ingressi annui (più dei 63.000 proposti dal governo, ma meno dei 105.778 segnalati dalle Direzioni regionali del Lavoro), dei quali

  1. all’art. 1, comma 1, 63.000 per lavoro subordinato non stagionale e per lavoro autonomo (più dei 50.000 proposti dal Governo, ma meno dei 64.783 ingressi per lavoro subordinato a tempo indeterminato segnalati dalle Direzioni provinciali del Lavoro);
  2. all’art. 1, comma 2, 37.000 per lavoro stagionale (più dei 12.000 proposti dal Governo, ma meno dei 40.995 segnalati dalle Direzioni provinciali del Lavoro).

Conseguentemente, tenendo conto della necessità (illustrata nei punti sub C2 e C3) che gli ingressi tramite le quote preferenziali previste nell’art. 3 devono essere aumentati a 19.500, la quota massima complessiva indicata nell’articolo 2 deve essere portata a 62.500 e devono essere modificate come segue le quote indicate nell’art. 2:

1. all’art. 2, comma 1 lett. a) la quota complessiva dei lavoratori per lavoro subordinato deve essere portata da 12.000 a 20.500.

Infatti all’insufficienza della quota complessiva di ingressi corrisponde un significativo squilibrio interno delle varie componenti: le previsioni dell’art. 2, comma 1 lett. a) di ingresso per lavoro subordinato con chiamata nominativa (una delle forme più frequenti e collaudate di ingresso e avviamento al lavoro) per paesi diversi da quelli previsti all’art.3 costituiscono meno del 20% del totale (12.000 su 63.000). Appare realistico un significativo incremento di questa componente che la riporti ai valori non lontani da quelli già previsti il 2000, quindi ad almeno non inferiore alle 20.500 unità (tenendo conto che tra gli altri ingressi per lavoro subordinato sono previsti quelli di 2000 infermieri e di 3000 lavoratori della new economy e).

2. All’art. 2, comma 1 lett. b) la quota per lavoro subordinato a carattere stagionale deve essere portata da 12.000 a 34.000.

In via subordinata, qualora si preferisca una determinazione ancora più prudente delle quote si può prevedere di modificare soltanto l’art. 5 aggiungendovi un nuovo comma nel quale si preveda che nel caso in cui le quote previste negli articoli precedenti (secondo le originarie misure prefigurate dalla proposta del Governo) si esaurissero prima della fine del 2001 è consentito l’ulteriore ingresso nel 2001 di una quota massima di stranieri pari alla differenza tra le cifre indicate nella proposta del Governo e quelle indicate dalle rilevazioni delle Direzioni provinciali del lavoro e cioè

B. In particolare dal punto di vista formale e sostanziale il testo del decreto appare inficiato da diversi vizi di legittimità che sarebbero immediatamente rilevati dalla Corte dei Conti in sede di registrazione del decreto sulle quote, sicchè occorre eliminare fin da subito tali vizi per prevenire un esito negativo del controllo di legittimità della Corte, al fine di non procrastinare inutilmente nel tempo la pubblicazione del decreto:

1) per una completa valutazione occorrerebbe disporre anche del testo della proposta di Documento programmatico delle politiche migratorie per il 2001-2003 che il Consiglio dei Ministri ha esaminato in prima lettura a dicembre. Il T.U. infatti rende vincolanti per il Governo le indicazioni e i criteri ivi previsti al fine della determinazione delle quote. Tra l'altro anche quel nuovo ed essenziale testo deve raccogliere i prescritti pareri (Commissioni parlamentari, CNEL, Conferenza Stato-Regioni ecc.).

In ogni caso il decreto sulle quote 2001 non può essere esaminato prima che il Governo, ricevuti i prescritti pareri, abbia deciso di adottare il testo definitivo del Documento programmatico 2001-2003. Un eventuale omissione di tale adempimento sarebbe un vizio di legittimità;

2) il T.U. prevede che le quote debbano essere definite dallo stesso D.P.C.M. e non da successivi decreti interministeriali e perciò il testo dell'art. 2, comma 2 è illegittimo. E dunque già nel D.P.C.M. di determinazione delle quote devono essere individuate le professionalità specifiche necessarie nell'ambito del settore delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (è tra l'altro inutile rinviare ulteriormente nel tempo - 90 giorni sono un termine eccessivo per le esigenze dell'economia - una decisione che ben può essere adottata oggi, se davvero si vuole attivare questo tipo di quote).

3) vi è un evidente errore o una palese contraddizione circa l’accessibilità ai visti di ingresso per lavoro stagionale dei cittadini con i quali sono in vigore quote preferenziali: dal combinato disposto degli artt. 1, comma 1 lett. b) e 3 si ricava che dall’accesso ai visti di ingresso per lavoro stagionale sarebbero esclusi soltanto i cittadini dei Paesi con i quali sono attivate quote preferenziali. A tale proposito si ricorda che proprio i cittadini di tali Paesi possono essere indotti a usufruire di tale tipo di occupazione che più si addice agli abitanti di zone vicine e proprio gli accordi già sottoscritti con Tunisia e Albania a quel tipo di lavori si riferiscono. Inoltre gli artt. e 19 T.U. prescrivono che i cittadini di Paesi con i quali sono conclusi particolari accordi e intese siano semmai privilegiati e non già penalizzati rispetto alla determinazione delle quote, sicchè se è legittima la previsione di quote preferenziali è invece illegittima l’esclusione esplicita dei cittadini di un Paese da qualsiasi tipo di accesso a tali visti.

 

C. In particolare dal punto di vista sostanziale si osserva che la proporzione delle quote preferenziali previste dall’art. 3 risultano in alcuni casi sensibilmente inferiori alla percentuale che gli stessi gruppi nazionali rivestono attualmente nel complesso degli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia

C1) all’art. 2, comma 1, lett. d) la previsione di una quota preferenziale destinata all’ingresso di infermieri per essere realistica ed effettiva deve tenere conto dell’art. 50 del regolamento di attuazione del T.U. per l’accesso alle professioni sanitarie. Infatti per potere svolgere la professione di infermiere sia come lavoratore autonomo, sia come lavoratore dipendente, lo straniero, oltre ad avere un titolo riconosciuto, deve aver superato un esame di lingua italiana ed essere iscritto nell’albo professionale. Pertanto occorre che il decreto sia modificato in modo da prevedere modalità accelerate e semplificate di espletamento di tali adempimenti.

Si potrebbe prevedere che il Ministero della sanità, d’intesa con i Ministeri del Lavoro, della Giustizia e degli Affari esteri, organizzi apposite prove di lingua italiana all’estero per il tramite degli istituti italiani di cultura e che l’Ordine professionale organizzi un’apposita sessione di esami di Stato (anche in più sedi all’estero) per gli infermieri stranieri che siano sprovvisti dell’abilitazione all’esercizio della professione.

Al fine di rendere immediatamente pubblica la disponibilità di infermieri si potrebbe prevedere che i nominativi degli infermieri che abbiano superato tali prove siano comunque immediatamente inseriti negli appositi elenchi tenuti dal Ministero della Sanità ai sensi dell’articolo 50, comma 3 regolamento, a cui dovrebbero ricorrere i datori di lavoro, gli ordini professionali e le Direzioni provinciali del Lavoro.

C2) all'art. 3, comma 1 non si tiene conto dell'avvenuta entrata in vigore dell'accordo bilaterale con la Romania che già nell'ottobre 2000 ha indotto il Ministero del Lavoro con propria circolare n. 72/2000 a disporre che 3000 romeni fossero compresi nelle 4.500 quote preferenziali residue del 2000: occorre dunque aggiungere una specifica quota preferenziale di romeni (3.000), anche in considerazione della necessità di prevenire l'immigrazione clandestina. E' infatti visibile e assai consistente al Nord Italia una catena migratoria che da qualche anno sta facendo spostare clandestinamente migliaia di romeni in cerca di lavoro.

In ogni caso l'aggiunta di 3.000 romeni non dovrebbe andare a discapito della quota preferenziale residua di 4.500, ma dovrebbe essere aggiunta all'ammontare complessivo delle quote di ingresso per lavoro.

C3) all'art. 3, comma 1 non si comprende per quale ragione sia prevista una diminuzione della quota di cittadini marocchini. In tal senso la relazione illustrativa è oscura e ambigua ("La quota assegnata al Marocco è stata ridotta da 3000 a 1500 lavoratori, secondo quanto previsto dall’intesa originale, alla luce del permanere di alcune questioni problematiche") e comunque non tiene conto del fatto che una riduzione delle quote finirebbe per incentivare l'immigrazione clandestina, poiché il Marocco è il primo Paese di immigrazione in Italia e da esso provengono intensi flussi migratori.

 

D. In ogni caso è necessario che fin da subito il Governo provveda a redigere e distribuire con la massima sollecitudine un vademecum (analogo a quello approntato nel 2000) che spieghi agli utenti e alle amministrazioni periferiche come comportarsi. Il vademecum deve essere pubblicato in coincidenza con la pubblicazione del decreto. E' sufficiente, a questo scopo, apportare piccole correzioni al testo dello scorso anno.