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TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA SICILIA
SEZIONE STACCATA DI CATANIA - SEZ. III

ORD. 25 GENNAIO 2001 N. 30

 

REPUBBLICA ITALIANA

Il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia - Sezione staccata di Catania (sez. III) - adunato in camera di consiglio con la presenza dei sigg. magistrati:

dott. VINCENZO ZINGALES Presidente

dott. SALVATORE SCHILLACI Consigliere

dott. ROSALIA MESSINA Consigliere, rel. est.

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sulla domanda di sospensione della esecuzione del provvedimento impugnato con il ricorso n. 1158/00 R.G., proposto da CROOS WARNAKULASURIYA Anton Claude Mahinda, rappresentato e difeso dallíavv. Giuseppe Giuffrida, domiciliatario;

CONTRO

QUESTURA DI CATANIA, in persona del Questore p.t.;

PREFETTURA DI CATANIA, in persona del Prefetto p.t., entrambi rappresentati e difesi ex lege dallíAvvocatura distrettuale dello Stato di Catania, domiciliataria;

PER

líannullamento:

- del provvedimento prefettizio del 12 agosto 2000, cat. A. 12 2000 n. 186 di espulsione dal territorio nazionale del ricorrente;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Vista la domanda di sospensione dellíesecuzione dei predetti provvedimenti;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore la dott. Rosalia Messina;

Uditi in camera di consiglio, il giorno 29 novembre 2000, líavv. G. Giuffrida (per il ricorrente), e líavv. Angela Palazzo (Avvocatura dello Stato);

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO

Con ricorso n. 1158/2000 R.g. líextracomunitario Croos Warnakulasuriya Anton Claude Mahinda, originario dello Sri Lanka, ha impugnato il provvedimento (17 novembre 1999, cat. A 12 1999/SPR/San98 237, notificato il 10 gennaio 2000 allíinteressato) con il quale il Questore di Catania ha rigettato líistanza - presentata da detto extracomunitario, in data 18 dicembre 1998 - di rinnovo del permesso di soggiorno e regolarizzazione ai sensi del D.M. del 16 ottobre 1998.

Avverso detto provvedimento il ricorrente deduceva le censure di violazione degli artt. 3 e 4 D.P.C.M. 16 ottobre 1998, insufficiente motivazione e manifesta illogicità (unico articolato motivo).

Con ord. 8 aprile 2000, n. 885, un diverso collegio di questa sezione rigettava líistanza cautelare, ritenendo insussistenti sia il fumus di fondatezza, sia il danno.

Con ulteriore ricorso notificato il 20 settembre 2000 (ed inserito nello stesso fascicolo di cui al primo ricorso n. 1158/2000) il Croos impugna il decreto prefettizio di espulsione dal territorio del 12 agosto 2000, cat. A 12 2000 n. 186, deducendo illegittimità congiunta e derivata del provvedimento impugnato dagli atti precedenti e ad esso collegati.

Con ordinanza n. 2570/2000 del 9 dicembre 2000 - motivata anche in relazione al differente avviso di questo collegio rispetto alla soluzione espressa sul fumus di fondatezza dal diverso collegio che ha pronunciato in fase cautelare sullíoriginario ricorso avverso il provvedimento negativo del Questore - è stata accolta provvisoriamente e temporaneamente la domanda di sospensione dellíesecuzione del provvedimento impugnato con il ricorso in epigrafe, ed è stata rinviata líulteriore e definitiva trattazione della questione cautelare alla prima camera di consiglio utile dopo la restituzione degli atti del giudizio da parte della Corte costituzionale, a seguito della decisione della questione di costituzionalità sollevata.

DIRITTO

1. Come già esposto in narrativa, con ricorso n. 1158/2000 líextracomunitario Croos Warnakulasuriya Anton Claude Mahinda, originario dello Sri Lanka, ha impugnato il provvedimento, in epigrafe più precisamente indicato, con il quale il Questore di Catania ha rigettato líistanza - presentata da detto extracomunitario in data 18 dicembre 1998 - di rinnovo del permesso di soggiorno e regolarizzazione ai sensi del D.M. 16 ottobre 1998.

Il provvedimento è stato censurato con unico articolato motivo, in particolare per violazione degli artt. 3 e 4 D.P.C.M. 16 ottobre 1998, insufficiente motivazione e manifesta illogicità.

Con ulteriore ricorso, notificato il 20 settembre 2000 (ed inserito nello stesso fascicolo del primo ricorso, n. 1158/2000), il Croos ha impugnato altresì il successivo decreto prefettizio di espulsione dal territorio del 12 agosto 2000, cat. A 12 2000 n. 186, deducendo illegittimità congiunta e derivata del provvedimento impugnato dagli atti precedenti e ad esso collegati.

Orbene, il collegio ritiene di dover sottoporre, díufficio, al giudizio della Corte costituzionale - in quanto rilevante ai fini del decidere e non manifestamente infondata - la questione di legittimità costituzionale degli artt. 6, comma 10, e 13, comma 8, D.l.vo 25 luglio 1998 n. 186, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., sulla base delle ragioni che infra saranno meglio specificate.

2. Il primo aspetto da esaminare è quello della rilevanza della questione di cui trattasi nel presente giudizio.

In proposito, il collegio osserva che líapplicazione alla fattispecie della normativa sopra indicata, e che si sospetta di incostituzionalità, costituirebbe unica ragione determinante della reiezione dellíistanza cautelare presentata con i motivi aggiunti (e, successivamente, nel merito, del ricorso per motivi aggiunti), anzi, precisamente, della declaratoria di inammissibilità per difetto di giurisdizione della predetta istanza (e in seguito del ricorso stesso), con conseguenze che, per le ragioni che verranno esposte, sono altresì irreparabili, in quanto il ricorrente rimarrebbe privo di tutela giurisdizionale. Sicché la risoluzione della predetta questione si pone assolutamente ed incontrovertibilmente, a norma dellíart. 23/2 L. n. 87/1953, quale necessaria pregiudiziale per la definizione della controversia portata allíesame del Tribunale, in quanto, ovviamente, soltanto dalla declaratoria di illegittimità costituzionale delle disposizioni denunziate potrebbe derivare la valutazione di illegittimità dei provvedimenti impugnati, e dunque la sospensione di essi in sede cautelare, e líannullamento nel merito. Insomma, líaccoglimento definitivo della domanda di sospensione dellíesecuzione di tali provvedimenti - temporaneamente accolta, come si è già detto nelle premesse di fatto, sino alla prima camera di consiglio successiva alla restituzione degli atti da parte della Corte costituzionale dopo la decisione sulla predetta questione di costituzionalità - e del successivo accoglimento, nel merito, del ricorso di cui trattasi, ha come unico ed indefettibile presupposto la declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme che devono essere applicate alla fattispecie.

Va infatti ricordato che la giurisdizione in materia di provvedimenti concernenti gli extracomunitari è suddivisa fra giudice amministrativo e giudice ordinario: è affidata al primo - art. 6, comma 10, D.l.vo n. 286/1998, cit. - la cognizione delle controversie aventi ad oggetto i provvedimenti di cui allíart. 5 ed allíart. 6 dellíappena citato D.l.vo n. 286/1998 (e cioè i provvedimenti dellíautorità di p.s. in materia di soggiorno, quindi il rifiuto di rilascio o rinnovo di esso, o la revoca del medesimo, il divieto di soggiornare in Comuni o località di interesse per la difesa militare dello Stato); è affidata al giudice ordinario la cognizione delle controversie concernenti il decreto di espulsione dello straniero dal territorio dello Stato (art. 13, comma 8, del medesimo D.l.vo).

Il ricorrente ha dapprima adito, ai sensi dellíart. 6/10 poco sopra citato, il giudice amministrativo, impugnando il diniego che il Questore aveva opposto alla istanza di regolarizzazione da lui presentata; poi, con motivi aggiunti, ha impugnato - dinanzi al medesimo giudice amministrativo - il decreto di espulsione emanato dal Prefetto, che invece, ai sensi dellíart. 13/8, pure pocíanzi citato, avrebbe dovuto impugnare entro cinque giorni con ricorso al giudice ordinario.

La soluzione che la normativa imporrebbe è quella, cui sopra si accennava, di una parziale declaratoria di inammissibilità per difetto di giurisdizione. In altre parole, mentre il ricorso principale appartiene, alla stregua della normativa vigente, alla cognizione giudice amministrativo, in ordine ai motivi aggiunti - per altro consistenti esclusivamente nella censura di illegittimità derivata del provvedimento prefettizio di espulsione rispetto al diniego di regolarizzazione del Questore - dovrebbe dichiararsi il difetto di giurisdizione del giudice adito in favore del giudice ordinario.

Orbene, la rilevanza della questione nel giudizio in esame può essere maggiormente apprezzata alla luce delle considerazioni che subito si passa ad esporre.

2.1. Innanzitutto, deve osservarsi che il ricorrente perderebbe, ove il collegio applicasse la normativa di riferimento (cioè art. 6, comma 10, D.l.vo n. 286/1998, ed art. 13/8 del medesimo provvedimento normativo), e di conseguenza declinasse la propria giurisdizione, ogni tutela.

Infatti, il termine di cinque giorni per la proposizione del ricorso dinanzi al giudice ordinario, e quello di dieci per la sua definizione - termini, si ricorda, la cui brevità la Corte costituzionale ha ritenuto non contrastante - così come per il termine di dieci giorni per la definizione del relativo giudizio - con gli artt. 2, 3, 4, 10, 24, 41 e 113 Cost. (con líordinanza n. 485 del 9 novembre 2000) è ampiamente scaduto.

Orbene, ai fini della valutazione di rilevanza nel presente giudizio della questione, deve tenersi presente la totale perdita della tutela giurisdizionale che líerrore sulla giurisdizione comporta, non essendo possibile dinanzi al giudice ordinario far valere líerrore scusabile ai fini della rimessione in termini. Infatti, líart. 184 bis C.p.c. prevede la rimessione in termini durante líistruttoria, ancorandola ad un presupposto assai più rigido della scusabilità dellíerrore, e cioè che la parte incorsa in una decadenza dimostri che ciò è dipeso da causa a lei non imputabile, con esclusione, dunque, di condotte negligenti della parte o del procuratore, e, a maggior ragione, della semplice ignoranza del dettato normativo, come nella specie; laddove il giudice amministrativo può valutare la scusabilità dellíerrore (artt. 34 e 36 T.u. C.S., appr. con R.D. 26 giugno 1924, n. 1054; si veda, per quanto in particolare riguarda líerrore sulla giurisdizione, il secondo comma dellíappena citato art. 36, che la giurisprudenza aveva interpretato estensivamente fino a ricomprendere tale figura o categoria di errore nellíambito di applicazione della predetta disposizione, nonché, adesso, il secondo comma dellíart. 34 L. n. 1034/1971).

In altri termini, e più chiaramente, la disciplina processualcivilistica non consente di utilizzare líistituto della rimessione in termini, prevista dal citato art. 184 bis C.p.c., alle decadenze relative al compimento del termine perentorio per instaurare il giudizio, in quanto la formulazione della norma è chiaramente limitata alle ipotesi in cui le parti costituite siano decadute dal potere di compiere determinate attività difensive nellíabito della causa in trattazione, e non anche in relazione a situazioni esterne allo svolgimento del giudizio (cfr. Cass., 15 ottobre 1997, n. 10094); oltretutto, la norma, per il suo carattere palesemente eccezionale, non è applicabile analogicamente (cfr., in tal senso, Cass., 25 maggio 1998, n. 5197).

Né, comunque, nelle ipotesi in cui il giudice amministrativo declini la propria giurisdizione a favore di quella del giudice ordinario (come si sarebbe verificato pure nella vicenda in esame ove il collegio non avesse ritenuto di sollevare la presente questione di legittimità costituzionale), sarebbe in alcun modo possibile per i ricorrenti che abbiano originariamente adito il giudice amministrativo utilizzare líistituto della riassunzione della causa a norma dellíart. 50 C.p.c., dato che la c.d. translatio iudicii prevista da tale disposizione è applicabile soltanto, come è pacifico sia in dottrina sia in giurisprudenza, ove vi sia stata una contestazione sulla competenza del giudice ordinario adito, e non già anche nelle ben diverse ipotesi in cui tale giudice o quello amministrativo abbiano dichiarato il proprio difetto relativo di giurisdizione a favore dellíaltro, non potendosi assolutamente configurare una riassunzione e prosecuzione di un giudizio instaurato in ordine ad una questione che non poteva "in radice" essere proposta davanti allía.g.o. o allía.g.a.

Tutto ciò posto, il ricorrente finirebbe, ove il collegio applicasse la normativa in esame, e dichiarasse il proprio difetto di giurisdizione con riguardo al decreto di espulsione, per non poter adire, di fatto, alcun organo giurisdizionale a tutela della propria sfera giuridica.

3. Quanto alla non manifesta infondatezza della questione proposta, ritiene il collegio che le disposizioni in esame siano evidentemente lesive del principio di ragionevolezza e del diritto alla difesa (artt. 3 e 24 Cost.).

La frammentazione della tutela dinanzi a giudici diversi, che indubbiamente aggrava líesperimento dei relativi mezzi giurisdizionali - in quanto per una medesima vicenda, che si snoda in due fasi di un medesimo procedimento (o in due procedimenti strettamente connessi), occorre rivolgersi a due giudici diversi, con le possibili conseguenze sopra descritte, in caso di erronea instaurazione del giudizio avverso líespulsione prefettizia dinanzi al giudice amministrativo, non avente giurisdizione - non ha alcuna plausibile ragion díessere (v. infra, paragrafo 3.1).

Il collegio deve in proposito sottolineare che la irrilevanza dellíerrore dal punto di vista soggettivo, come corollario della nota irrilevanza dellíignorantia legis, tuttavia finisce per mettere in crisi la coerenza dellíordinamento, in quanto suscettibile di condurre alle gravi conseguenze di perdita della tutela giurisdizionale di cui síè detto.

Ciò, per altro, come si accennava, in assenza di qualsivoglia reale ragione giustificativa di una simile dicotomia della giurisdizione, come meglio sarà illustrato al successivo paragrafo 3.1; e, per di più, in contrasto con la tendenza normativa ormai affermatasi a concentrare presso un unico giudice la tutela delle situazioni soggettive dei privati, a prescindere dalla qualificazione delle stesse in termini di diritto soggettivo o interesse legittimo (distinzione che tende a perdere sempre più importanza), procedendosi alla devoluzione delle controversie a questo o quel giudice per "blocchi di materie", secondo una terminologia oggi molto usata. E, se è vero che la concentrazione della tutela non assurge a valore costituzionale, è altrettanto vero che la coerenza e la intrinseca ragionevolezza dellíordinamento - e delle singole discipline normative - costituisce invece un valore di rilievo costituzionale (art. 3 della Carta).

Inoltre, anche nei confronti dello straniero si è ritenuto applicabile il principio di uguaglianza sancito dallíart. 3, comma primo - pur letteralmente riferito ai soli "cittadini" - tutte le volte in cui si tratti di disparità che impingano in diritti fondamentali (come, nel caso di specie, il diritto di difesa, che addirittura ha rango costituzionale, ai sensi dellíart. 24 della Carta) rispetto ai quali la cittadinanza non si ponga come ragionevole criterio differenziatore (cfr.: C. cost. n. 120/1967; n. 104/1969; n. 14/1970; n. 47/1977; n. 215/1983; n. 490/1988).

3.1. La frammentazione della giurisdizione in materia, come si è già detto, non ha ragion díessere.

In particolare, non vi è una differenziazione qualitativa fra le situazioni incise dai provvedimenti di cui allíart. 5 ed allíart. 6 dellíappena citato D.l.vo n. 286/1998 - e cioè i provvedimenti dellíautorità di p.s. in materia di soggiorno, quindi il rifiuto di rilascio o rinnovo di esso, o la revoca del medesimo, il divieto di soggiornare in Comuni o località di interesse per la difesa militare dello Stato - e il decreto di espulsione dello straniero dal territorio dello Stato (art. 13, comma 8, del medesimo D.l.vo). Infatti, in ogni caso si tratta di situazioni di diritto soggettivo, in quanto sia i provvedimenti che attengono al "soggiorno" dello straniero conformandolo, limitandolo o escludendolo, sia il decreto di espulsione - che è in ultima analisi la definitiva ed estrema ablazione del soggiorno stesso - incidono sul diritto di circolazione e soggiorno, garantito dallíart. 16 Cost..

Senza addentrarci nella disamina dei limiti in cui il diritto appena richiamato è riconosciuto e riconoscibile allo straniero - tematica che esula dalla questione di costituzionalità che il collegio intende sottoporre allíesame della Corte costituzionale, posto che il vulnus che si ritiene di poter individuare ha per oggetto il diverso diritto di difesa, sancito dallíart. 24 della Carta, ed irragionevolmente (almeno ad avviso del collegio) compresso (con ulteriore e connessa violazione dellíart. 3 della Carta stessa) dalla vigente ripartizione della giurisdizione in materia di provvedimenti che su tale diritto incidono - qui si pongono due alternative.

Se il diritto di circolazione e soggiorno è un diritto soggettivo perfetto (e non si vede come si potrebbe negarlo), lo è sia di fronte ai provvedimenti del Questore più volte indicati, sia di fronte al provvedimento prefettizio di espulsione.

Se tuttavia si volesse dire che tale diritto subisce, in presenza dellíatto autoritativo dellíautorità di p.s., una degradazione ad interesse legittimo (o affievolimento che dir si voglia), ciò vale sia per i provvedimenti di cui agli artt. 5 e 6 del D.l.vo n. 286/1998, sia per il decreto di espulsione di cui allíart. 13 del medesimo D.l.vo.

Non si vede, dunque, alcun ostacolo dogmatico alla concentrazione della tutela presso uno o líaltro dei due giudici; con la precisazione che sarebbe coerente con lo spirito della recente riforma del processo amministrativo (L. 21 luglio 2000, n. 205) una soluzione che prevedesse la devoluzione dellíintera materia al giudice amministrativo, per le ragioni che verranno ora esposte.

Ad avviso del collegio, sono qui configurabili le seguenti ipotesi ricostruttive: o si tratta di segmenti (o sub-procedimenti) di un medesimo procedimento in senso lato, che - esitata negativamente da parte del Questore la fase del rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno - culmina con líespulsione da parte del Prefetto, ovvero si tratta di procedimenti collegati fra loro, e quello che si conclude con líespulsione presuppone la conclusione non favorevole dellíiter che è amministrato dal Questore.

In entrambe le ipotesi, attesa la identità della situazione incisa dai provvedimenti adottati in entrambi i procedimenti o sub-procedimenti, la soluzione processuale più logica, coerente con il sistema complessivo, e rispettosa dei valori costituzionali in gioco, sarebbe quella (in concreto erroneamente seguita dalla difesa del ricorrente) di impugnare tutti gli atti successivi al primo con motivi aggiunti al ricorso principale, come ormai opportunamente previsto dallíart. 21, comma 1, L. n. 1034/1971, nella formulazione introdotta dalla L. n. 205/2000: "Tutti i provvedimenti adottati in pendenza del ricorso tra le stesse parti, connessi allíoggetto del ricorso stesso, sono impugnati mediante proposizione di motivi aggiunti".

4. In conclusione, per tutte le considerazioni finora svolte, atteso che la dedotta questione di costituzionalità appare rilevante per la decisione del ricorso, e non manifestamente infondata, si rende necessario sospendere il presente giudizio, sia cautelare sia di merito, in attesa che la Corte costituzionale si pronunci sulla eccezione di incostituzionalità degli artt. artt. 6, comma 10, e 13, comma 8, D.l.vo 25 luglio 1998 n. 186, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui non devolvono ad un unico giudice - e segnatamente al giudice amministrativo - le controversie relative al soggiorno degli stranieri in Italia, e cioè sia quelle aventi ad oggetto i provvedimenti di cui agli artt. 5 e 6 D.l.vo n. 268/1998, sia quelle aventi ad oggetto il decreto di espulsione dello straniero emanato dal Prefetto.

P.Q.M.

il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia - Sezione staccata di Catania (sez. III), visti gli artt. 134 Cost. e 23 L. n. 87/1953, così statuisce:

  1. solleva díufficio, ritenendola rilevante e non manifestamente infondata, la questione di incostituzionalità degli artt. artt. 6, comma 10, e 13, comma 8, D.l.vo 25 luglio 1998 n. 186, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui non devolvono ad un unico giudice - e segnatamente al giudice amministrativo - le controversie relative al soggiorno degli stranieri in Italia, e cioè sia quelle aventi ad oggetto i provvedimenti di cui agli artt. 5 e 6 D.l.vo n. 268/1998, sia quelle aventi ad oggetto il decreto di espulsione dello straniero emanato dal Prefetto;
  2. sospende il giudizio, sia in sede cautelare sia nel merito;
  3. dispone la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.

La presente ordinanza sarà eseguita dallíautorità amministrativa; essa viene depositata in Segreteria che provvederà a notificarne copia alle parti ed al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonché ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.

Così deciso in Catania, in camera di consiglio, il 29 novembre 2000.

LíESTENSORE IL PRESIDENTE

 IL SEGRETARIO

Depositata in Segreteria il 25 gennaio 2001

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