COLPIRNE UNO PER EDUCARNE CENTO

Il 24 gennaio u.s.Milan Radosavljevic, un rom serbo di diciannove anni residente da anni con la famiglia ( padre, moglie incinta e figlia di tre anni) nel campo nomadi di Agrigento, veniva raggiunto da un provvedimento di espulsione e quindi internato nel centro di detenzione di Agrigento.

Il giorno successivo il suo avvocato presentava ricorso avverso l'espulsione ed il provvedimento coatto, per vizi di forma e, nel merito, richiamando tra l'altro la nota sentenza della Corte Costituzionale ( la n.376 del 27 luglio 2000) che ha affermato la inespellibilità dello straniero convivente con donna in stato di gravidanza.

E' altresì noto che il Ministero degli interni dopo tale sentenza ha emanato la solita circolare con la quale si precisava che per bloccare l'espulsione lo straniero deve produrre un certificato di matrimonio in originale con allegata traduzione giurata, oppure dimostrare la sussistenza di un regolare matrimonio in Italia.I rom però non si sposano con documenti e certificati e comunque chi vive senza un permesso di soggiorno non può sposarsi in Italia regolarmente.

Si deve anche ricordare che la Corte Europea dei diritti dell'uomo ha già sanzionato l'espulsione del convivente di donna in presenza di figli minori, condannando i paesi responsabili di tali provvedimenti ad un consistente risarcimento dei danni.

Milan inoltre è in età di leva e dopo undici anni passati in Italia, dove era arrivato da bambino, rischia adesso di restare per molto tempo lontano da sua moglie e dai suoi figli, se riceverà- come c'è da attendersi- la chiamata alle armi.

Nel caso di Milan la procedura è stata particolarmente rapida, nel senso che quando sono andato a trovarlo lunedì 29, ad appena cinque giorni dall' internamento, malgrado il ricorso tempestivamente proposto dal suo avvocato, e malgrado il giudice avesse fissato l'udienza per venerdì 2 febbraio,non c'era più niente da fare: Milan era stato trasferito alle 5,30 dello stesso giorno di lunedì all'aeroporto e lì imbarcato su un aereo diretto a Roma e quindi trasferito dopo poche ore a Belgrado.

Tutto era stato fatto con grande premura, al punto che il dirigente del campo, appena rientrato il lunedì mattina,dopo due giorni di assenza, non sapeva nulla del trasferimento e mi faceva compilare il modulo per la richiesta di colloquio, per poi accorgersi da un registro che lo straniero era stato accompagnato coattivamente in frontiera lo stesso giorno,proprio poche ore prima.

Non restava a quel punto che portare la notizia alla moglie in stato di gravidanza , alla piccola figlia di tre anni, ed al padre che ancora stringeva tra le mani il caricabatteria del telefonino che la polizia gli aveva impedito di consegnare al figlio.Scene di disperazione ormai consuete purtroppo nei campi rom italiani ma tali da farci giurare che faremo di tutto per riportare Milan in Italia. Si deve aggiungere che, secondo quanto riferito dal padre, questi, in occasione dell'ultima visita al centro di detenzione di Agrigento, non aveva potuto neppure dare al ragazzo una modesta somma di danaro e qualche effetto personale.Per fortuna, le circolari ministeriali parlano sempre più spesso di umanizzazione dei centri di permanenza temporanea!

Tutto normale si dirà: Milan era un rom, aveva qualche piccolo precedente penale, la sicurezza dei cittadini di Agrigento era gravemente minacciata dalla sua presenza in città,anzi forse questa azione esemplare avrebbe convinto anche altri rom a lasciare il campo di Agrigento senza bisogno neppure di mandare le ruspe, come si fa di solito per rimuovere gli "zingari" dai loro insediamenti come si trattasse di immondizia.

Qualche piccolo particolare ha forse tradito gli artefici di questa brillante "operazione":

sembrerebbe che il rimpatrio sia avvenuto dopo la scadenza dei termini di trattenimento coatto, quando Milan, in assenza di un provvedimento di convalida del magistrato avrebbe dovuto essere rimesso in libertà.Come al solito la Questura ha disposto il rimpatrio senza fornire alcuna informazione ai congiunti sui tempi e sulla destinazione dell'espulso,come se si trattasse di un pericoloso mafioso( categoria ben conosciuta nella provincia di Agrigento, ma che forse desta meno allarme che i rom) e solo un vorticoso giro di telefonate ha permesso ai familiari, anche grazie all'aiuto delle associazioni indipendenti, di rintracciare il loro parente.

Sarà il magistrato adesso ad accertare se qualcuno all'interno delle istituzioni ha sbagliato.Il danno è però irreversibile ed il protrarsi dell'assenza del padre dalla sua famiglia non potrà che aggravarlo.

Quanto successo ad Agrigento non rimane però un episodio isolato: oggi abbiamo appreso che un altro rom serbo del campo di Agrigento ( che lo scorso anno ha già scontato un mese di detenzione al C.P.T. Vulpitta di Trapani) è stato convocato in Questura. Anche lui ha moglie e figli, anche in questo caso si vuole evidentemente ripetere la "brillante operazione riuscita con Milan.

Sempre oggi 31 gennaio torneremo al Vulpitta di Trapani per incontrare un altro rom, macedone, che abitava a Palermo con moglie e figli, che era riuscito a trovare casa ed a mandare i propri figli a scuola, e che malgrado questo inserimento sociale e familiare,è stato ieri bloccato dalla polizia e quindi oggetto di un provvedimento di internamento nel centro di detenzione di Trapani, ai fini dell'accompagamento coatto in frontiera.

In provincia di Catania invece il problema rom è stato "risolto" definitivamente. Il campo di Paternò non esiste più perchè dopo una serie di provvedimenti di espulsione e numerose "visite" al campo da parte delle forze dell'ordine, i rom se ne sono andati

"spontaneamente".

Sappiamo che quelli che si stanno verificando in Sicilia non sono casi isolati, ed abbiamo ancora memoria degli sgomberi di Tor de Cenci a Roma e di altre città, che hanno fatto definire lo scorso anno come il "giubileo nero" degli zingari.

La risposta di pochi giuristi impegnati su questo fronte non basta. Gli stessi ricorsi non hanno effetti sospensivi e quanto successo ad Agrigento conferma a che cosa si riduca il diritto di difesa per gli immigrati oggetto di un provvedimento di espulsione, anche quando ci sono parenti ed avvocati che presentano tempestivamente i ricorsi.Riteniamo che solo una forte pressione dei rappresentanti delle comunità e delle associazioni sul Ministero degli interni e a livello locale sulle Questure possa fermare questa recrudescenza delle iniziative contro gli insediamenti rom nel nostro paese, in attesa che una legge nazionale o una direttiva comunitaria affermi il carattere di minoranza etnica di questo popolo.Chi infrange la legge deve essere trattato alla stregua del codice penale, ma non si può consentire che l'espulsione degli immigrati irregolari diventi uno strumento ordinario di sanzione penale, soprattutto quando lede i fondamentali diritti alla vita, all'unità familiare,al giusto processo.

Chiediamo alle organizzazioni umanitarie nazionali ed all'Alto Commissariato dell'ONU per i rifugiati ( ACNUR ) di verificare anche con visite nei centri di detenzione che quanto posto in essere dalle Questure italiane nei confronti dei rom ancora privi di permesso di soggiorno non violi l'art. 33 della Convenzione di Ginevra ( principio di non-refoulment), non neghi il diritto fondamentale di chiedere asilo, non leda il diritto all'unità familiare ed i diritti di difesa riconosciuti da tutte le convenzioni internazionali e dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo.

Palermo 31 gennaio 2001

Fulvio Vassallo Paleologo ( Associazione studi giuridici sull'immigrazione) A.S.G.I.

Cetti Genovese (Consorzio Italiano di solidarietà) I.C.S. Palermo