Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati

Dipartimento per gli Affari Sociali – Presidenza del Consiglio dei Ministri

 

Organismo Nazionale di Coordinamento per le Politiche di Integrazione Sociale degli Stranieri

Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La qualità della vita

delle famiglie immigrate in Italia

 

 

 

a cura della Fondazione "Silvano Andolfi"

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Maggio 2001

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ricerca a cura della Fondazione “Silvano Andolfi”

 

Finanziata da:

Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati - Dipartimento Affari Sociali - Presidenza del Consiglio dei Ministri e Organismo Nazionale di Coordinamento per le Politiche di Integrazione Sociale degli Stranieri  - CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro).

 

Responsabile della ricerca :

prof. Maurizio Andolfi

 

Gruppo di ricerca:

Maurizio Andolfi, Melania Scali, Lorena Cavalieri, Cristina Finocchiaro, Lucia Palma.

 

Hanno collaborato alla realizzazione:

Cinzia Cimmino, Simona Magazzù, Ye Hui Ming, Emilio Ricci, Giulia Ferrarese, Idris Tchedjougou Sanogo, Paola Balla, Andrea Volpicelli, Jean Pierre Piessou Sourou, Natasha Čobani, Ferdinand Soppo, Angela Fiorello, Khalid Saady, Buoubacar Daou, Michele Babbino e tutti gli altri intervistatori che hanno partecipato.

 

 

Si ringrazia l’Anolf per la collaborazione in particolare le sedi di Prato, Lecco, Verona, Napoli, Roma.

Il Centro per le famiglie di Reggio Emilia; La casa delle culture di Catania; l’Istituto di Terapia Familiare di Napoli; ARI di Rieti; la Caritas (in particolare le sedi di Brindisi e Napoli); Oklaoma di Milano; Centro Stranieri del Comune di Modena; Centro di Accoglienza del Comune di Nonantola e tutte le associazioni che hanno dato la loro disponibilità . 

 

Un grazie particolare a tutte le famiglie che hanno partecipato.

 

 

INDICE

 

 

A - Introduzione

5

 

B - La famiglia in emigrazione: continuità e fratture nelle relazioni intergenerazionali          8                                                                                                                                                                                                    

 

 

 

Come è stata considerata la sua decisione di emigrare

11

 

Cosa le manca della sua famiglia

14

 

Ha ancora un peso?

16

 

Come la vedono oggi i suoi familiari

17

 

La presenza della famiglia

18

 

Il ritorno

19

 

C - Le dinamiche del processo migratorio

 

22

 

La motivazione

23

 

Le difficoltà incontrate all’arrivo in Italia

26

 

Le difficoltà attuali

27

 

Come è cambiata la vita

28

 

I motivi della permanenza in Italia

30

 

Le trasformazioni del carattere

31

 

Le trasformazioni del rapporto di coppia

32

 

Le differenze con il paese d’origine

34

 

Cosa l’ha fatta sentire uno straniero immigrato

35

 

Cosa le manca di più del suo paese

37

 

D – Percorsi lavorativi

 

38

 

E - Lo spazio e il tempo

 

48

 

Lo spazio della casa

48

 

Il tempo: relazioni sociali e tempo libero

55

 

Il tempo della burocrazia

60

 

Tempo e spazio per la religione

61

 

F - L'accesso ai Servizi Sanitari

 

64

 

G - L’educazione e la scuola

 

71

 

Per una scuola integrata

72

 

Per una scuola da condividere

76

 

Il vantaggio del minore straniero

79

 

Difficoltà di educazione e differenze culturali

80

 

Il futuro

84

 

H - Considerazioni conclusive

 

86

 

Avete qualcosa da aggiungere…

 

90

 

Nota bibliografica

 

93

 

Appendice

 

100

 

Contenuti e metodologia

101

 

 

Obiettivi

101

 

 

Lo strumento

102

 

 

I soggetti della ricerca

104

 

Grafici

111

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A - Introduzione

 

 

Negli ultimi decenni abbiamo assistito a rapide e profonde trasformazioni della famiglia nella società occidentale. In Italia gli Anni Settanta hanno segnato mutamenti assai significativi , vuoi attraverso i movimenti femministi che la rivoluzione studentesca e ancor più quella industriale che hanno portato a una progressiva nuclearizzazione della famiglia tradizionale, dove i legami affettivi con la famiglia estesa e le regole autoritarie della famiglia di tipo patriarcale  venivano sostituite da nuovi modelli relazionali improntati sulla parità dei sessi, sulla ricerca della realizzazione personale sia in ambito privato che sul piano lavorativo, su regole assai più flessibili nell’educazione dei figli; la procreazione da evento spontaneo (I figli sono “arrivati”!!) e/o divino (ce li ha mandati la Provvidenza) implicito nello stesso atto di sposarsi diventava  un progetto improntato sul concetto di responsabilità (i due potenziali genitori devono riflettere a fondo sulla motivazione a fare famiglia e devono essere consapevoli di ciò che tutto ciò comporta) e di opportunità (si deve rispondere a una serie di interrogativi: quanto ci costa economicamente, limita la/le nostre carriere professionali o lavorative, a chi possiamo affidarlo in nostra assenza , a che condizioni ci possiamo fidare del nostro rapporto di coppia ?).

 

Tutto ciò ha portato  come prevedibile conseguenza una drastica e progressiva riduzione del numero dei figli e a uno spostamento in avanti nei tempi della prima gravidanza; basti pensare al fatto che 30 anni fa una donna che procreava a 28 anni veniva catalogata su un piano ginecologico come “primipara attempata”. Oggi succede frequentemente che alla stessa età non sia ancora sposata e non abbia ancora un progetto di maternità. Inoltre in seguito ai frenetici ritmi della vita moderna e all’aumento delle più svariate contaminazioni ambientali assistiamo a un incremento notevole della sterilità, sia femminile che maschile, fenomeno quest’ultimo che ha portato nelle ultime decadi a un aumento vertiginoso delle adozioni, sia italiane e ancor più internazionali. La famiglia adottante rientra quindi tra le nuove forme di famiglia, tra queste abbiamo un crescente numero di coppie di fatto e di famiglie ricostituite, ovvero di nuovi nuclei familiari che vengono a costituirsi in seguito a processi di disgregazioni familiari e successive ricomposizione di legami di coppia. Per non parlare di altri legami di coppia, quelli omosessuali, sia maschili che femminili ancora non sufficientemente riconosciuti nel nostro Paese, ma non per questo meno rappresentati. Se è vero che sono aumentate le famiglie ricostituite è anche vero che sono in aumento le famiglie monogenitoriali, ovvero famiglie dove c’è un solo genitore, vuoi perché prevale in Italia l’Istituto dell’affido monoparentale dopo la separazione coniugale, (molto raramente si sceglie l’affido congiunto) vuoi per la morte o l’abbandono di uno dei due genitori.

 

Se è vero che in Italia la famiglia è ancora considerata un bene primario e essenziale, sia sul piano degli affetti che della crescita dei figli, nonché su quello economico, è altrettanto vero che al suo interno coesistono forme e dinamiche affettive profondamente diverse e variegate, nonché modelli educativi e valori fortemente differenziati. Anche se esistono ancora abbastanza radicati pregiudizi e stigmatizzazioni sociali verso tutto ciò che si discosta dalla norma, in questo caso i modelli della famiglia tradizionale (ad esempio, non è infrequente che quando sorge un problema in adolescenza e si manifesta anche in ambito scolastico  si senta dare come spiegazione “..certo è figlio di genitori separati!”, o in altre situazioni si identifichi l’attività della madre fuori casa come giustificazione di qualche problema ecc.), è pur vero che oggi è abbastanza diffusa una cultura delle differenze che permette di adattarsi al nuovo; iIn questo contesto, sempre più laico e poliedrico, ma sicuramente omogeneo sia dal punto di vista razziale che religioso (chi può negare che l’italiano sia bianco e di tradizione cattolica?) assistiamo nelle ultimissime decadi a un fenomeno epocale, tanto più sconvolgente perché “rovesciato” rispetto alla nostra più che centenaria esperienza di migrazioni di massa: l’Italia dopo aver esportato 26 milioni di lavoratori con le proprie famiglie all’Estero è diventata, al pari di molti Paesi ad economia avanzata , sia Europei che Nordamericani, un luogo di sempre crescente migrazione per una miriade di culture e di famiglie provenienti da Paesi in via di sviluppo, chiamati in modo assai infelice come stranieri “extracomunitari”. Per cui implicitamente si confonde l’essenza stessa dell’essere stranieri e si vanno creando delle gerarchie di valore e di gradimento:   i non italiani si distinguono in stranieri comunitari (assimilati e quindi simili : come se accordi economici e politici potessero far saltare automaticamente diversità di lingua, di cultura, di storia e di tradizioni religiose , peraltro assai sentite fino ad epoche assai recenti ecc.) e stranieri extracomunitari, distinti questi ultimi  a seconda dello standard economico, culturale e politico di vita, in stranieri di serie A, quelli a sviluppo avanzato (nordamericani, giapponesi, svizzeri ecc.) , la cui presenza viene sollecitata e inseguita da strutture turistiche , bancarie, universitarie ecc. e stranieri provenienti da Paesi in via di sviluppo, terminologia un po’ ipocrita che ha sostituito la precedente di Paesi del Terzo Mondo: di fatto proprio da questi ultimi paesi avviene  quel massiccio esodo di cittadini e famiglie che migrano dal Sud in cerca di una condizione di vita migliore nei Paesi più abbienti del Nord del Pianeta.

 

Basandoci anche sull’esperienza migratoria italiana, e sui processi di integrazione/assimilazione delle famiglie straniere in Paesi Europei dove il fenomeno è meno recente e più sperimentato e sull’esperienza professionale di alcuni di noi nella realtà italo-americana di New York, abbiamo ipotizzato che l’integrazione del ‘nuovo cittadino’ fosse possibile soltanto nella misura in cui fossero presi in considerazione i suoi bisogni, e non soltanto quelli di tipo individuale,  di soggetto lavoratore con i suoi  diritti e doveri, ma soprattutto fossero riconosciuti e accettati dalle Istituzioni e dal contesto sociale del Paese di accoglienza i propri suoi valori familiari e le proprie sue tradizioni culturali e religiose, sentite con maggiore intensità proprio perché ‘lasciate dietro le spalle’ nel proprio Paese di provenienza.

 

Nel nostro precedente lavoro di formazione dei mediatori culturalie e di supervisione del loro lavoro in diversi ambiti istituzionali, nonché attraverso il contatto diretto con molte comunità straniere, dislocate in tante parti del territorio nazionale, abbiamo spesso sentito riferire da molti immigrati un sentimento di forte pregiudizio, quasi una forma di mancanza di libertà, e non tanto sul piano personale, ma piuttosto per la negazione o il disinteresse avvertito nei confronti dei propri valori familiari, come se mancasse nella cultura ospitante qualsiasi curiosità nei confronti di quanto lo straniero considera più prezioso e fondamentale della propria persona: insomma quest’ultimo sarebbe un soggetto senza vincoli familiari, che gestisce in modo solitario il proprio processo migratorio.  

 

Abbiamo cercato di verificare attraverso la testimonianza diretta di 230 coppie di stranieri quali fossero i parametri gli ingredienti essenziali per definire la qualità della vita della famiglia emigrata in Italia.

 

Siamo ben consapevoli che il campione della nostra ricerca è costituito da famiglie in cui gli individui (parliamo di individui e non famiglie poiché moltissime sono il frutto di ricongiungimenti familiari) vivono mediamente in Italia da almeno 7-8 anni e che rappresentano soltanto una parte, anche se via via più consistente, del variegato mondo degli stranieri immigrati: la stabilizzazione degli individui nel paese di immigrazione segue infatti percorsi e forme familiari molteplici: ricongiungimenti familiari, matrimoni interetnici e/o misti con un coniuge italiano, oppure per corrispondenza, coppie senza prole, “famiglie” di  coabitanti non parenti che formano una sorta di nicchia etnica, spesso unico legame nella migrazione.

Inoltre riteniamo che le coppie che hanno accettato di farsi intervistare e di parlare a lungo (le interviste hanno la durata media di un’ora e quindici minuti) della propria realtà familiare nel contesto sociale e istituzionale italiano si discostino in parte dall’universo degli immigrati, ovvero che abbiano un livello di scolarità di base e di disponibilità a farsi conoscere maggiore della media.  Eravamo tuttavia consapevoli che una quota inevitabile di informazioni sarebbe stata improntata ad un relativo conformismo, sia perché si doveva parlare a terzi di cose anche molto personali, sia per il condizionamento dovuto alla situazione di rispondere congiuntamente alle stesse domande (in particolare nelle famiglie di cultura musulmana è stato più difficile avere risposte più distinte tra marito e moglie).

 

Sarebbe molto istruttivo se nel futuro si potessero studiare più a fondo i diversi percorsi migratori, seguendo magari la costituzione di quei reticoli familiari , già descritti dalla Tognetti-Bordogna,(1993) per verificare la riuscita del progetto migratorio nel passaggio dalla cultura di appartenenza e quella di accoglienza.

 

Allo stesso tempo, se si vuole seguire un approccio multidimensionale e non puramente etnocentrico è necessario accostarsi alla cultura delle famiglie straniere, prendendo in considerazione quella serie di visioni condivise del mondo, di significati e comportamenti adattativi, derivanti dalla diversità nelle forme preferite di organizzazione culturale della famiglia e del sistema di valori che la sottendono.



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

B - La famiglia in emigrazione:
continuità e fratture nelle relazioni intergenerazionali

 

 

§       Come è stata considerata la sua decisione di emigrare

§       Cosa le manca della sua famiglia

§       Ha ancora un peso?

§       Come la vedono oggi i suoi familiari

§       La presenza della famiglia

§       Il ritorno

 

 

 

 

Prima di entrare nel vivo daddentrarci nella ricerca, vorremmo sottolineare alcuni aspetti fondanti della famiglia in emigrazione, riprendendo alcuni dei passaggi così ben descritti da Eugenia Scabini e Camillo Regalia in un lavoro dal titolo omonimo apparso su Terapia Familiare nel 1993.

Gli Autoriautori, noti studiosi della famiglia, ribadiscono quanto da noi già sottolineato nell’introduzione, in merito allo stereotipo assai frequente di considerare l’immigrato come soggetto senza legami familiari, che gestisce in modo indipendente il suo percorso migratorio.

In questi anni si è tentato di colmare questo vuoto conoscitivo, attraverso una serie di contributi e di ricerche di natura sociopsicologica e antropologica sui fenomeni migratori dal punto di vista familiare.

Di fatto affrontare il tema dell’immigrazione in una prospettiva familiare è già di per sé una sfida, come sottolinea acutamente Bensalah (1984): ”…quando parliamo di famiglia immigrata, definiamo dei campi spazio-temporali significativi: da un lato quello dell’immigrazione che è per definizione quello delle fratture e dell’allontanamento, dall’altro quello della  famiglia, per definizione quello delle continuità e dei legami

Da queste considerazioni emerge che la famiglia immigrata non costituisce un oggetto di indagine ben circoscrivibile: come sottolineano diversi Autori, come Sayad e Ciola, essa vive continuamente la dimensione dell’”essere tra”, sia a livello spaziale che temporale, dando origine ad un ordine sociale nel quale l’identità si elabora a partire dalle categorie dello stesso e del diverso, del qui e dell’altrove, del prima e del dopo.

La famiglia migrante e gli individui che la compongono sono sottomessi alle esigenze della società di accoglienza e della società d’origine; stanno tra le aspettative di quest’ultima – la perpetuazione della cultura, della lingua, della religione ecc.- e le regole di relazione e i valori prevalenti della società italiana (come descritti nell’introduzione). L’emigrante, dice Ciola, si trova a vivere un’esperienza nuova “combinatoria” dove si mescolano gli aspetti della cultura propria con quella dell’altro, per formare un nuovo individuo originale e irrepetibile.

L’emigrante è tra due lingue. La o le lingue parlate prima del processo migratorio sono in generale diverse dalla lingua italiana e comunque insufficienti per farsi capire una volta in Italia. E’ essenziale apprendere la lingua del Paese ospitante per lavorare e interagire con il mondo esterno alla famiglia, ma ciò comporta, oltre alle difficoltà insite nell’apprendere da adulti una lingua straniera, un primo “tradimento” rispetto alle proprie appartenenze in quanto rappresenta un primo fondamentale assoggettarsi alle regole di relazione di un altro Paese. E’ assai frequente che qualcuno nella famiglia, spesso la donna se non lavora fuori casa, “resista” ad apprendere il nuovo idioma, come a voler mantenere la continuità con il proprio Paese d’origine. Non c’è dubbio che per uno straniero sarà assai difficile comprendere gli aspetti paralinguistici della lingua italiana, ovvero tutti quei sottili significati del linguaggio non verbale che accompagnano le parole e ciò lo renderà assai vulnerabile in situazioni di conflitto con il mondo esterno o in ogni situazione dove vengano giocati aspetti emozionali in quanto non potrà mai avere una vera padronanza degli aspetti relazionali di una lingua appresa da adulto.

L’emigrante è tra due tempi. Il presente viene costantemente accompagnato dal corteo delle emozioni legate al passato, dal dubbio e dall’incertezza rispetto all’avvenire. La storia del tempo passato, vissuto altrove, con altre persone e in condizioni diverse, attribuisce un significato e condiziona il modo in cui i membri della famiglia migrante vivono il presente e immaginano il futuro, qui od altrove.

L’emigrante, volente o nolente, si trova costretto a far coesistere valori suoi propri con quelli che trova nel nuovo mondo, spesso in contrasto con i primi. Questo determina una condizione di notevole vulnerabilità sociale e psicologica che la società d’accoglienza non può apprezzare nelle sue dimensioni : la paura di perdere le proprie radici, le lealtà invisibili che si annidano in ogni forma di sradicamento e di taglio emotivo, l’illusione di fermare il tempo, la diversità percepita come minaccia alla propria esistenza, la difesa talora esasperata delle proprie tradizioni, il sentimento di solitudine che accompagna il cosiddetto “lutto migratorio” (ci riferiamo a quel vissuto di perdita, fatto non solo di persone e relazioni significative da cui ci si è dovuti distaccare,  ma anche di luoghi, odori, sapori, valori, lingua, cultura ecc.) . Tutte situazioni affettive che se non vengono  sufficientemente elaborate possono rendere lo stare tra due realtà culturali un malessere esistenziale assai penoso che permane nel tempo, tramandandosi a volte da una generazione a quella successiva.

L’emigrante è tra le generazioni. Il processo migratorio coinvolge almeno tre generazioni della famiglia. Le famiglie di origine per l’immigrato ha un ruolo centrale nella vita individuale e sociale. La visione “tradizionale” della famiglia in cui le norme e i confini sono chiari rispetto ai ruoli e ai compiti del proprio agire individuale e sociale è un tratto distintivo e comune delle culture extraeuropee.

Molti Autoriautori, come Scabini, Dumon, Ciola, Di Nicola, Andolfi e altri concordano nell’osservare che il confronto con i modelli familiari occidentali e le nuove forme di famiglia sopra descritte porta gli immigrati a sottolineare con orgoglio la forte base etica e solidaristica che di fatto coinvolge non solo il nucleo familiare in senso stretto, ma anche la parentela allargata e di frequente i vicini di casa. Non di rado tale orgoglio porta all’idealizzazione dell’unità familiare, soprattutto per quanto riguarda il rapporto con gli anziani e con la storia familiare che essi impersonificano, quasi a voler difensivamente rimarcare la propria diversità /superiorità culturale nei confronti del Paese ospitante.

 

§       “Alla fine nel tessuto sociale c’è meno rispetto per la famiglia, per gli anziani, e questo è ciò che si nota di più: l’anziano da noi è il saggio, qui è solo un anziano. Qui si vede subito. La famiglia unita sembra qualcosa di speciale, qui la famiglia non ha più valori e noi vorremmo dare qualcosa di più ai nostri figli”. (marito algerino) [1]


B.1)  Come è stata considerata la sua decisione di emigrare

 

Un radicamento familiare così forte fa sì che il significato dell’emigrazione non sia mai vissuto esclusivamente a livello individuale. Chi decide di partire dal Paese di origine è spesso sostenuto da aiuti concreti di familiari e amici, ma allo stesso tempo ha una funzione da adempiere che è quella di aiutare economicamente la famiglia. In questo caso il migrante che parte è depositario di quello che potremmo definire con Stierlin (1981) un “mandato familiare” per cui svolge un compito per l’intero nucleo.

 

Tabella  b.1.1

Come è stata considerata in famiglia la decisione di emigrare

%

 

Erano d'accordo

56,3

 

Non erano d'accordo - con dolore, con sofferenza

26,6

 

Erano contenti ma anche tristi

14,1

 

Altro

3,0

Totale

100

 

Più della metà dei soggetti intervistati ritiene la famiglia di origine concorde nel sostenere la loro scelta migratoria, 56,3% è il dato, a cui si può unire il 14,1% degli individui che aggiunge una 'coloritura' sentimentale alla partenza. Il progetto migratorio si conferma quindi un 'progetto familiare' condiviso all'interno di una rete parentelare che appunto sostiene e spesso motiva gli uomini e le donne migranti  che in percentuale non si differenziano tra loro. Interessante è anche il 26,6% all'interno del campione, di coloro che non si sentono sostenuti ma che restano emotivamente vincolati all'immagine del doloroso distacco.

 

Tabella  b.1.2

 

Quale peso ha avuto la sua famiglia rispetto alla sua decisione di emigrare

%

 

Nessuno

46,6

 

Mi hanno aiutato, spinto, hanno avuto un peso fondamentale

45,0

 

Mi hanno ostacolato

5,4

 

Altro

3,0

 

Totale

100

 

Il 45% degli individui risponde di essere stato spinto aiutato, ed è concorde il dato con la tabella precedente: la decisione è concordata con i membri della famiglia che aiutano e sostengono l'individuo, oppure è vincolata al conseguente dolore per la separazione, ma questo avviene solo per una piccola percentuale il 5,4%. Risponde ‘nessuno’ il 46,6% degli intervistati, ma si suppone che la parola ‘peso’, culturalmente definita, sia stata equivocata e connotata con un accezione negativa dagli individui di lingua straniera.

 

Un marito etiope così si esprime:

§       ..”non lo sento come peso, ma un senso di appartenenza alla mia famiglia, una parte della mia persona”.

Un marito marocchino dice:

§       …”io penso che i genitori sono la base e senza base come fa un albero? Non può vivere”

 

E’ fuor di dubbio che l’esperienza familiare degli emigranti e la prassi solidaristica sperimentata all’interno della famiglia di origine incidano in maniera determinante sulle modalità di relazionarsi e adattarsi una volta arrivati in Italia, ma è anche interessante notare come esistono diversi modelli di approccio alla relazione tra le culture. Nel caso dell’emigrazione, Scabini e Regalia, hanno studiato i modelli adattativi, lo stile di gestione delle relazioni con la cultura d’accoglienza, distinguendoli in due tipi, inclusivo ed espansivo.

Il primo, tipico delle comunità di religione islamica e di quelle cinesi, si caratterizza per il tentativo di instaurare rapporti molto stretti e quasi esclusivi con altri immigrati del proprio paese d’origine, familiari e non, allo scopo di formare una rete relazionale con una forte funzione protettiva a livello individuale e sociale.

All’opposto di questa concezione possiamo individuare un secondo modello, quello espansivo, nel quale la solidarietà inter-comunitaria non esclude ma anzi favorisce l’apertura nei confronti dell’ambiente circostante. Seguono in prevalenza questa impostazione le comunità che hanno minori vincoli religiosi e che sono caratterizzate al proprio interno da una forte presenza femminile.

Cultura e valori familiari diventano quindi reciprocamente significativi nell’esperienza di ingresso e di successivo insediamento nel paese di accoglienza.

 

Tabella  b.1.3

 

 

 

 

Come è stata considerata in famiglia la decisione di emigrare

Quale peso ha avuto la sua famiglia rispetto alla sua decisione di emigrare

 

Erano d'accordo

Non erano d'accordo, con dolore, con sofferenza

Erano contenti ma anche tristi

Altro

 

Nessuno

%

51,7

27,3

16,3

4,7

 

Mi hanno aiutato, spinto, hanno avuto un peso fondamentale

%

77,6

10,9

10,9

0,6

 

Mi hanno ostacolato

%

 

95,0

5,0

 

 

Altro

%

27,3

27,3

36,4

9,1

 

Questi dati (77,6%) evidenziano la condivisione della decisione di emigrare con gli altri membri del gruppo e quindi la percezione che gli individui hanno del sostegno ricevuto dalla famiglia, dati che però necessitano di un ulteriore riflessione.

 

§       “ lei: io li aiuto economicamente e loro si sono tirati un po’ su, almeno mio padre non ha quei pantaloni che lava e aspetta che si asciugano , ha 2 o 3 paia, magari mi vogliono bene anche per quello, perché io penso a loro. Mi vogliono sempre più bene.”(Algeria)

 

Il sentirsi 'spinti' in modo eccessivo può generare un carico eccessivo di responsabilità e non permettere agli individui un completo inserimento nella società di accoglienza; il sentirsi divisi tra l'essere portatori di un 'peso' della famiglia di origine e le nuove istanze richieste invece dalla famiglia nucleare nel contesto di immigrazione, possono generare conflitti nell'individuo. Egli dovrà costantemente mediare tra il piano della famiglia d'origine, e il piano degli affetti presenti, sia ad un livello individuale che interpersonale. L'omeostasi dell'equilibrio familiare è un continuo processo di istanze culturali, relazionali ed emotive, che va regolato tra il 'dentro e il fuori' della famiglia immigrata, per raggiungere l’obiettivo di una buona qualità della vita all'interno del contesto sociale immigratorio.

 

 

 

Tabella  b.1.4

 

Come mantiene i rapporti con la sua famiglia

%

 

Telefonicamente e vado a trovarli quando posso

41,6

 

Telefonicamente

35,5

 

Telefonando e scrivendo

17,9

 

Altro

4,9

 

Totale

100

 

E’ comunque necessario per l’immigrato il continuare a sentirsi parte di un gruppo di origine e vediamo quindi come, nel mantenere i contatti, superi il limite della distanza con frequenti viaggi e telefonate, dimostrando così di dare ‘peso’ alla famiglia e significare il suo percorso di integrazione facendo costante riferimento ad essa.

 

§       C’è solo tanta nostalgia, mia mamma piange per telefono e io sono la prima figlia quindi quando sta male devo andare là, perché lei non può venire qua(moglie, Sri Lanka)

 

§       “Lui mi prende in giro se telefono e dico: ‘mamma ti ho svegliato? Scusami’ e lui mi dice: ’anche a distanza hai paura!’ ” (Marocco)

 

L’emigrazione crea una frattura culturale e affettiva, come abbiamo già detto in precedenza, ma in genere solidifica i legami con le famiglie d’origine, proprio a causa dello sradicamento familiare: l’assenza e la distanza dalle persone a cui si vuole bene viene costantemente colmata e presentificata attraverso una serie di rituali concreti.

 


 

B.2)  Cosa le manca della sua famiglia

 

 

Tabella  b.2.1

 

Cosa le manca della sua famiglia

%

 

Mi manca proprio la famiglia (affetto e presenza)

89,6

 

Altro

10,4

 

Totale

100

 

Ma vediamo ancora come hanno risposto gli intervistati alla domanda “cosa le manca della sua famiglia”, ben l' 89,6% individua nell'assenza degli affetti e sentimenti familiari un significativo legame con le origini, una carenza che rende interrotta la sequenzialità delle forme familiari divise dall'emigrazione.

Come l’individuo singolo, così, anche la famiglia immigrata, deve affrontare delle problematiche maggiori nel momento in cui si inserisce in un nuovo contesto, dove essa è vista ed agisce in modo diverso da quello appreso e sperimentato nella sua terra d’origine.

Si è potuto comunque constatare che, la presenza della famiglia ricostituita è solitamente motivo di sicurezza e fattore favorente l’inserimento lavorativo.

 

§       “..non è cambiato niente, solo che ho trovato lavoro qua in Italia, un posto di lavoro, poi quando uno si ritrova con la famiglia sta bene e basta” (Albania)

 

 Il sostegno percepito permette di affrontare meglio le difficoltà che si incontrano. Come nota infatti Grinberg (1990): “La maggiore o minore gravità dei disturbi scatenati dall’emigrazione dipenderà dal come si emigra: da soli, in gruppo, in coppia o con la famiglia” , il poter condividere con gli altri i momenti difficili è sempre di conforto. I vincoli di coppia o familiari con una valenza positiva  sono di norma quelli solidi e stabili, in grado di aiutare ad affrontare e tollerare i cambiamenti prodotti dalle nuove esperienze. (cfr. tab C.7.1)

La successiva domanda, connessa alla precedente, tendeva ad individuare il significato di tali legami emotivi.

 

Tabella  b.2.2

 

Come sono cambiati i rapporti con la sua famiglia

%

 

Non sono cambiati

46,5

 

Sono migliorati

26,9

 

Sentiamo una mancanza reciproca

17,8

 

Altro

8,8

 

Totale

100

 

Ricordando che il tempo medio di permanenza del campione è di circa 10 anni, osserviamo come la maggior parte sostiene che i rapporti con la famiglia di origine, nonostante la lontananza, non sono cambiati nel 46,5%, se invece lo sono, ne hanno una percezione positiva per il 26,9%. Questo dato indica una relazione ancora più stretta con l'ipotesi del progetto migratorio condiviso con la famiglia: se migliorano le condizioni di vita dell'emigrante, se riesce, almeno in parte nel progetto, anche la famiglia rimasta in patria ne ha dei benefici e la qualità della relazione migliora di riflesso la percezione dei rapporti affettivi.

 

 

Tabella  b.2.3

 

A chi pensa di mancare di più tra i suoi familiari

%

 

Madre

26,2

 

Genitori

24,6

 

A tutti

19,7

 

Fratelli

9,2

 

Padre

7,3

 

Ai genitori e fratelli

5,1

 

A nessuno

2,7

 

Ai nonni

1,6

 

Ai nipoti

1,4

 

Altro

2,2

 

Totale

100

 

I soggetti di riferimento sono molti e tutti significativi all’interno di culture in cui la rete di parentela è allargata rispetto a quella italiana, ma la madre rappresenta l’oggetto specifico di riferimento affettivo per il 26,2% dei casi, ed emerge soprattutto se la confrontiamo con la figura paterna 7,3%.

 

§       Ai miei amici, a mia madre, ai miei parenti, a tutti, quando tu sei fuori dal tuo paese, ti manca tutto, ti manca anche l’aria, mancherò anche ai vicini di casa che ne so io” (Eritrea)

 

§       “Mia madre è morta subito dopo che io sono andato via, per la disperazione” (Serbia)

 

La madre è il luogo dell’appartenenza emotiva, dell’affetto e della comprensione, quindi anche della sicurezza e stabilità, fattori che spesso segnano negativamente il processo migratorio.

 

Tabella  b.2.4

 

 

 

 

A chi pensa di mancare di più tra i suoi famigliari

 

 

 

genitori

madre

padre

fratelli

a tutti

ai nipoti

ai genitori e fratelli

ai nonni

a nessuno

altro

 

Centro e sud Sud americaAmerica

%

14,3

30,6

14,3

6,1

20,4

2,0

6,1

4,1

0

2,0

 

Oriente

%

40,7

13,9

5,6

5,6

15,7

0

9,3

2,8

2,8

3,7

 

Nord africaAfrica

%

28,0

42,0

6,0

10,0

8,0

0

4,0

0

0

2,0

 

Medio oriente

%

12,5

18,8

12,5

25,0

25,0

0

6,3

0

0

0

 

Africa subsaharsubsahar. E e centralecentrale

%

10,4

34,3

10,4

7,5

28,4

1,5

3,0

1,5

1,5

1,5

 

Europa dell'est

%

21,3

25,0

2,5

13,8

23,8

3,8

1,3

0

7,5

1,3

 

Per ogni Paese le figure di riferimento sono simili, transculturali, ma diverse nel loro valore.


B.3)  Ha ancora un peso?

 

Tabella  b.3.1

 

Ha ancora un peso la sua famiglia nella sua vita

%

 

Si

63,5

 

No

35,2

 

Altro

1,3

 

Totale

100,0

 

Dalle risposte emerge che con  il passare del tempo gli individui rinforzano il senso di appartenenza, l'esser parte di una famiglia con una temporalità, ma non con uno 'spazio condiviso' e di vicinanza, acuisce la percezione di essere ‘ancora parte’, di avere ancora un significato in seno alla famiglia, soprattutto quando questo significato assume anche la forma di un mantenimento a distanza. E’ con le 'rimesse' che gli immigrati danno forza a chi è rimasto, e circolarmente rinforzano la loro motivazione a restare.

 

§       “Sono cambiati perché gli mando dei soldi e quindi anche loro stanno meglio”(Rwanda)

 

Notiamo ancora che il progetto migratorio, nella maggior parte dei casi, non riguarda esclusivamente il singolo individuo, ma più componenti della famiglia, poiché alla posizione raggiunta di un maggiore prestigio personale corrisponde anche quella del gruppo d’appartenenza; quindi la realizzazione del progetto migratorio diventa sia un fatto individuale che collettivo. Come nota la Tognetti Bordogna: (1996) “La famiglia gioca un ruolo centrale nella strategia migratoria del singolo. Strategia di gruppo, collettivo, familiare”.

 

§       “Dopo si rimane sempre con la paura di deluderli, nel senso che penso: forse avevano ragione, non dovevamo…Vivo questa cosa come una sconfitta se io non realizzo, se non faccio qualcosa di concreto, non riesco a vivere con l’idea di deluderli anche a loro, perché hanno fatto tanti sacrifici per farci studiare…Questo per dire che mi pesa molto” (donna algerina)

 


 

B.4)  Come la vedono oggi i suoi familiari

 

Tabella  b.4.1

 

Come la vedono oggi i suoi familiari

%

 

Bene-realizzato-forte

57,1

 

Come prima

19,5

 

Con un futuro-con una possibilità

5,9

 

Non lo so

3,7

 

Altro

13,9

 

Totale

100

 

E' bassa la percentuale di quelli che riflettono nella percezione della famiglia il vedersi con un futuro, una possibilità, il 5,9%; questo dato è indicativo di uno scarso raggiungimento degli obiettivi desiderati e desiderabili rispetto a quegli intervistati, il 57,1% invece tesi a migliorare la loro situazione di vita e indirettamente quella della propria famiglia di origine;

 

§       “Sono le radici e anche un po’ del motivo per questi sforzi che facciamo qua perché a loro ogni tanto serve una mano” (Mali)

 

entrambi Entrambi le risposte, comunque, sono degli individui che ancora sentono che la famiglia di origine ha ancora un peso nella loro vita (tab.b.3.1), espressione di una necessità di proiettare su di sé l'immagine di persona positiva, realizzata e forte (come osserviamo infatti dalla tabella di correlazione 77,8%-70,2%), bisogno che stimola e rinforza il processo migratorio come evento positivo.

 

Tabella b.4.2

 

 

Come la vedono oggi i suoi familiari

 

Ha ancora un peso la sua famiglia nella sua vita

 

 

 

no

si

altro

 

Bene-realizzato-forte

%

27,3

70,2

2,4

 

Come prima

%

63,9

36,1

0

 

Con un futuro-con una possibilità

%

22,2

77,8

0

 

Non lo so

%

38,5

61,5

0

 

Altro

%

28,0

72,0

0

 

Mentre invece, il 63,9% degli intervistati che non pensa che la famiglia li veda cambiati nega l'essere parte di un processo di cambiamento, spesso necessario per sviluppare uno stile acculturativo e sentimenti di appartenenza al nuovo paese. La metabolizzazione di nuovi modelli è in continuità con il sentimento di appartenenza ai propri sistemi, che però come vediamo in questo caso è privo di 'peso' all'interno della famiglia di origine.

Uno stile di integrazione di tipo assimilativo sarà proprio di questi individui che negano il mantenimento di una propria cultura e identità piuttosto che non uno stile acculturativo che cerca invece di ottenere il meglio da entrambi i mondi.


B.5)  La presenza della famiglia

 

Tabella b.5.1

 

Se la sua famiglia fosse in Italia cosa cambierebbe per lei

%

 

Sarebbe bello, sarei più felice, mi sentirei meno solo

64,8

 

Niente

11,8

 

Aiuto concreto nella vita quotidiana

11,3

 

Altro

12,1

 

Totale

100

 

Il 64,8% degli individui intervistati è convinto che se la famiglia di origine fosse qui in Italia la loro vita cambierebbe in positivo; 

 

§       “Non so forse sarebbe meglio per me, ma qui per loro non è che sia proprio meglio” (Perù)

 

Tabella b.5.2

 

Ha mai pensato di far venire stabilmente i suoi genitori in Italia

%

 

No

50,9

 

Si

46,0

 

Altro

3,1

 

Totale

100

 

I ‘no’, 50,9% e i ‘sì’ 46,0% quasi si equivalgono a dimostrare un indecisione all'interno del nostro campione, confermata anche dal dato della tabella. precedente dove più persone dichiaravano che se la loro famiglia fosse stata qui 'sarebbe stato bello, sarei stato più felice-mi sarei sentito meno solo' per il 64,8%. E’ interessante sottolineare come poi, nella libertà della domanda posta apertamente, molte risposte positive all’inizio, volgevano significativamente verso la comprensione di un impossibilità al ricongiungimento con i genitori, così ben spiegato da un uomo eritreo

 

§       “No mia madre sta bene là, bisogna capire prima di ogni cosa, cosa vuol dire allontanarsi dal suo proprio paese; io non posso immaginare mia madre o i miei parenti qua, uno dove è nato, dove da 100 generazioni è lì che sono nato e sono attaccato a quel posto, anche gli antenati, sono loro che ti legano sai?” (Etiopia)


B.6)  Il ritorno

 

Tabella b.6.1

 

Pensa che la sua famiglia voglia che continui a vivere in Italia

%

 

No

50,6

 

Si

38,2

 

Non lo so

7,5

 

Altro

3,6

 

Totale

100

 

L’immagine del ritorno come mito è rinforzata dal dato avuto da questa domanda: molti pensano che la famiglia voglia il loro ritorno (50,6%), ma è anche interessante quel 38,2% degli individui che risponde che è la loro famiglia a preferire un insediamento definitivo in Italia.

Scegliendo il ricongiungimento familiare, non è detto che avvenga una rinuncia al progetto iniziale di rientro in patria, esso potrà “essere ricondotto, differito, in un tempo indeterminato, e capita che non abbia mai luogo”. Eventuali scelte rispetto al rientro, o rielaborazioni del progetto migratorio, dovranno essere ricontrattate con gli altri membri della famiglia, non più solo dal singolo (Zehraoui, A, 1995).

 

§       “…hanno paura che rimaniamo, che perdiamo.. sai come in Senegal vedono l’Italia perché c’è il Vaticano c’è un’altra religione, altre cose… pensano che non ritorniamo più .. hanno paura perché ogni volta che chiami dicono :guarda, ricordati che tu sei del Senegal, sei di qua…” (Senegal)

 

Tabella b.6.2

 

Pensa un giorno di tornare nel suo paese

%

 

Si

52,4

 

Indeciso

32,3

 

No

15,3

 

Totale

100

 

Anche alla domanda diretta “Ha in mente di tornare un giorno nel suo paese”, sono ancora gli stessi che rispondono ‘sì’, il 52,4%, mentre quelli che hanno deciso di stabilirsi sono il 15,3%, quindi la differenza col risultato di prima è data da una percentuale di immigrati che è piuttosto ‘spinta’ dalla famiglia a restare.

Aumenta inoltre la percentuale degli indecisi e qui assistiamo ad una modificazione del progetto migratorio nel momento in cui ‘l’immigrato lavoratore’, decide di ricongiungersi con la sua famiglia nel paese d’immigrazione. Con il cambiamento di status, a padre di famiglia, egli cerca non solo di dotarla di unità, ma anche di un progetto comune, che potrà essere rivisto o unito a quello degli altri.

Come il singolo individuo, così anche la famiglia con l’insediamento, non mette fine all’indeterminatezza della scelta definitiva tra il ritorno al paese d’origine o l’installarsi nel paese d’immigrazione.

 

§       “Non ho mai pensato di ritornare nel mio paese, sì vado per vedere i miei genitori, però adesso ho i figli qua, ho il lavoro qua, non posso tornare…Quando sarò pensionato forse andrò un po’ e poi tornerò”  (Algeria)

 


Vediamo le differenze tra mariti e mogli

 

Tabella b.6.3

 

Pensa un giorno di tornare nel suo paese

 

 

 

marito

moglie

 

No

%

60,6

39,4

 

Si

%

50,4

49,6

 

Indeciso

%

48,2

51,8

 

Per alcune coppie sono più i mariti delle mogli a preferire la scelta dell’insediamento; c’è concordanza sul ritorno, mentre le mogli sono poco più indecise dei mariti, spesso per i figli, nati e/o cresciuti in Italia

 

§       “Beh a volte ci sono momenti che mi mancano molto le mie radici latine che quello che non si dimenticherà mai, ti trovi a volte ad un bivio torno o sto qua, ma avendo una famiglia è più comodo stare qua, o i figli crescono meglio qua, hanno più possibilità. Socialmente stiamo meglio qua, il nostro paese veramente è un paese che non migliora, allora pensando ai nostri figli pensiamo di fare la vita qua”.(Colombia)

 

Il più delle volte, nell’ambito del progetto migratorio, l’acquisizione di un capitale economico è in relazionecorrelata con il ritorno in patria, anzi, il ritorno prevale a volte per l’importanza che l’immigrato attribuisce ad esso in quanto obiettivo iniziale dell’avventura.

Il rientro si inscrive, infatti, in tutta una simbologia dell’emigrazione e in seno alla famiglia, il luogo del sogno, del successo sociale, dell’identità etno-culturale e il territorio dell’immaginario per l’immigrato. (Zehraoui, A, 1995).

 

§       Sì se riesco a fare casa e ho un lavoro e allora sicuramente devo tornare a casa” (India)

 

L’idea del ritorno nella “madre patria” si ammanta a volte di un idealizzazione che tende a connotare immagini del passato in modo estremamente positivo; comunque, se la meta è certamente il lavoro e la promozione socio-economica, i modi di questo raggiungimento non sono conosciuti al di là di una vaga e generica disponibilità al sacrificio (Mellina, 1987).

Queste ultime tre tabelle correlano l’idea del ritorno con la ‘variabile partenza’ e la ‘variabile famiglia’, ed entrambe sembrano ben rappresentare quale carico hanno le famiglie di origine nel tracciare i percorsi dei loro figli migranti e quale legame significativo con la loro qualità della vita in un paese straniero.

 

Tabella b.6.4

 

Pensa un giorno di tornare nel suo paese

 

quale peso ha avuto la sua famiglia rispetto alla sua decisione di emigrare

 

 

nessuno

mi hanno aiutato, spinto…

mi hanno ostacolato

altro

 

No

%

35,2

59,3

1,9

3,7

 

Si

%

48,7

44,0

5,8

1,6

 

Indeciso

%

49,2

39,0

6,8

5,1

 


 

Tabella b.6.5

 

Pensa un giorno di tornare nel suo paese

 

Pensa che la sua famiglia voglia che continui a vivere in Italia

 

 

 

No

Si

non lo so

altro

 

No

%

21,4

71,4

7,1

0

 

Si

%

63,6

30,6

4,3

1,4

 

Indeciso

%

41,7

35,8

13,3

9,2

 

Tabella b.6.6

 

Pensa un giorno di tornare nel suo paese

Come è stata considerata in famiglia la decisione di emigrare

 

 

 

erano d'accordo

non erano d'accordo, con dolore, con sofferenza

erano contenti ma anche tristi

altro

 

No

%

76,9

16,9

4,6

1,5

 

Si

%

52,0

30,0

14,8

3,1

 

Indeciso

%

55,6

25,6

16,5

2,3

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

C - Le dinamiche del processo migratorio

 

§       La motivazione

§       Le difficoltà incontrate all’arrivo in Italia

§       Le difficoltà attuali

§       Come è cambiata la vita

§       I motivi della permanenza in Italia

§       Le trasformazioni del carattere

§       Le trasformazioni del rapporto di coppia

§       Le differenze con il paese d’origine

§       Cosa l’ha fatta sentire uno straniero immigrato

§       Cosa le manca di più del suo paese

 

 

 

 

Il concetto di migrazione, sfaccettato nella sua globalità, si presta all’analisi di numerose scienze sociali: la politica, la  geografia, l’economia, la demografia, e la stessa sociologia. Il fenomeno migratorio è un elemento dinamico quindiper il quale è necessario “adottare un impostazione multidisciplinare nei confronti del fenomeno” (Franchi, A. , 1991).

Generalmente il termine ‘migrazione’ è usato per definire la mobilità geografica di coloro che si trasferiscono in forma individuale, a piccoli gruppi o in massa.

Per qualificare le persone come emigranti, di solito, il trasferimento deve avvenire di norma da un paese all’altro, o da una regione all’altra sufficientemente distante e diversa, per un tempo che abbia una durata tale da rendere implicito il “vivere” nell’altro paese e lo svolgervi le attività della vita quotidiana (Grinberg, L. e R., 1990).

Le categorie del tempo distinguono le migrazioni temporanee da quelle permanenti, di breve o di lunga durata, mentre le categorie dello spazio, oltre a precisare l’ampiezza del tragitto, discriminano fra migrazioni interne e internazionali, migrazioni città-città, campagna-campagna, e campagna-città.

Le ultime tendenze confermano comunque l’inarrestabile processo, che, ben lungi dal tendere a una stabilizzazione sul breve o sul medio periodo, è in continua, se pur irregolare, espansione, e di questo l’Italia, è attualmente un testimone “privilegiato”.

Secondo una classificazione generica data da Mellina (1987), la spinta alla dislocazione può derivare da motivi di studio, da spirito di avventura, da sfollamenti di guerra, da ragioni politiche o religiose, da inospitalità del territorio, da miraggi di ricchezza, da tendenze erratiche, da persecuzioni etniche; “ma le cause più frequenti sono quelle economiche da lavoro per l’industria, l’agricoltura, il terziario. Il problema basilare di chi non detiene i mezzi di produzione consiste nella ricerca dei luoghi e delle persone che li possiedono”.

 

 

 

C.1) La motivazione

 

In seno all’approccio economico la sociologia individua due meccanismi, determinati dal divario e dall’arretratezza economica tra il “nord e il sud del mondo”, che  determinerebbero la migrazione: i fattori di espulsione o “push factors” e i fattori di attrazione o “pull factors”.

Il veloce mutamento che connota il processo migratorio rende rivisitabili le teorie, soprattutto quella del push-pull, che ritiene fondamentali le differenze economiche tra i paesi. Recenti ipotesi considerano anche la distanza, “lo hiatus tra aspirazioni e possibilità che i contesti socio-economici locali offrono e che si accompagnano all’oppressione politica nella spinta a partire, sia l’importanza della tradizione migratoria che si è costituita nei paesi d’origine” (De Micco, V. e Martelli, P., 1993).

Quindi anche il desiderio di un miglioramento economico e di una diversa qualità della vita, che sono state da sempre le molle che hanno attivato i processi migratori, si ritrova come motivazione principale del campione oggetto della ricerca.

 

 

 

Tabella  c.1.1

 

 

Motivi dell'emigrazione

%

 

 

Motivi economici

38,6

 

 

Motivi familiari

27,6

 

 

Progetto esistenziale

10,5

 

 

Motivi socio-politici

9,6

 

 

Motivi di studio

6,6

 

 

Motivi economici e socio-politici

2,3

 

 

Motivi economici e familiari

2,1

 

 

Motivi economici, socio-politici ed esistenziali

0,5

 

 

Motivi economici

38,6

 

 

Motivi familiari

27,6

 

 

Motivi socio-politici

9,6

 

 

Progetto esistenziale

10,5

 

 

Motivi di studio

6,6

 

 

Motivi economici e socio-politici

2,3

 

 

Motivi economici e familiari

2,1

 

 

Motivi economici, socio-politici ed esistenziali

0,5

 

 

Altro

2,3

 

 

Totale

100

 

 

Accanto ai motivi economici ( 38,6%) abbiamo anche un alta percentuale di motivi familiari (27,6%), segno di un alto numero di ricongiungimenti familiari, con i quali si assiste al passaggio da una emigrazione del ‘provvisorio congiunturale’ ad una emigrazione ‘durevole e strutturale’ femminilizzata e segnata dall’insorgenza di nuove generazioni; ma probabilmente si può parlare di “due facce di una stessa medaglia poiché il significato di un emigrazione per lavoro è volto a garantire una qualità di vita migliore per la famiglia nucleare e per quella allargata.

 

§       “Tranquilla e meno problemi, io ho preferito fare studiare i miei figli qui perchè il mio paese è troppo povero” (Tunisia)

 

Il ricongiungimento familiare come dato è quindi anche indice di un progetto migratorio di vita condiviso all’interno della coppia, per il conseguimento del benessere del gruppo famiglia.

Anche se la ragione più importante che sta alla base della decisione di emigrare dal proprio Paese mostra consistenti differenze tra uomini e donne (Tab.c.1.2) vediamo cosa dice una moglie del Marocco

 

§       “La povertà della mia terra, della famiglia di mio marito, lì non abbiamo una casa, non abbiamo da mangiare; ho venduto l’oro del matrimonio per farlo venire in Italia”

 

Infatti, fra quanti hanno risposto che il motivo di emigrazione è di tipo economico, il 65,7% è il marito; la percentuale sale ancora (oltre il 70%) per quelle persone che indicano motivi relativi alla condizione socio-politica alla base  dell’emigrazione.

Le donne hanno invece una percentuale elevatissima (84,3%)  fra quanti pongono alla base della spinta a migrare i motivi familiari.

Questo potrebbe farci pensare ad un maggiore attaccamento della donna ai valori familiari e culturali del proprio Paese;  dato quest’ultimo confermato dalla tabella successiva relativa alle Difficoltà difficoltà incontrate all’arrivo in Italia (tab. C.2.1): il doppio delle mogli, rispetto ai mariti, infatti risponde di aver trovato difficoltà esistenziali, legate al sentimento di  solitudine e di nostalgia per il del proprio Paese.

 

In numerose situazioni l’uomo risponde di emigrare per lavoro e la donna per il marito, il che è coerente con l’assetto relazionale della famiglia tradizionale.

Semmai, come vedremo in seguito, la moglie modifica la sua percezione rispetto al conseguimento di una vita migliore in funzione dei figli.

 

Tabella  c.1.2

 

 

Motivi dell'emigrazione

 

marito

moglie

 

 

Motivi economici

%

65,7

34,3

 

 

Motivi familiari

%

15,7

84,3

 

 

Motivi socio-politici

%

61,9

38,1

 

 

Progetto esistenziale

%

65,2

34,8

 

 

Motivi di studio

%

72,4

27,6

 

 

Motivi economici e socio-politici

%

70,0

30,0

 

 

Motivi economici e familiari

%

55,6

44,4

 

 

Altro

%

30,0

70,0

 

 

Le donne rispetto agli uomini danno un diverso significatouna diversa valenza, rispetto agli uomini nealla scelta di migrare, probabilmente in virtù del loro ruolo e del valore che rivestono nel dare continuità alla famiglia, ma il loro contributo è fondamentale nel rafforzare la concordanza con il marito per il progetto, che li vede affrontare insieme le difficoltà della migrazione.

 

§       l’idea L’idea principale è sempre seguire il marito, ma anche sapere che io vado in un altro mondo migliore, economicamente parlo. Loro sanno che io vado e che non mi mancherà mai da mangiare e posso comprare quello che mi serve …”(moglie del Marocco)

 

Anche perché, come vedremo più avanti nell’area del lavoro, molte donne iniziano a lavorare sul territorio italiano, ma spesso già sono portatrici di un idea che le motiva ad emigrare per aiutare membri della famiglia allargata rimasti in patria.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tabella  c.1.3

 

zona geografica di provenienza

motivi dell'emigrazione

 

 

 

motivi economici

motivi familiari

motivi socio-politici

progetto esistenziale

motivi di studio

motivi economici e socio-politici

motivi economici e familiari

altro

 

centro Centro e sud americaAmerica

%

41,4

19,0

5,2

24,1

0

5,2

0

5,2

 

orienteOriente

%

49,2

32,8

3,3

5,7

0,8

,8

4,9

2,5

 

nord Nord africaAfrica

%

32,7

40,0

3,6

14,5

5,5

0

1,8

1,8

 

medio Medio oriente

%

5,3

31,6

26,3

10,5

21,1

0

0

5,3

 

africa Africa subsahar. e centrale

%

29,6

25,5

12,2

11,2

20,4

0

1,0

0

 

europa Europa dell'est

%

43,0

19,8

21,0

4,7

1,2

7,0

1,2

2,3

 

 

I dati che emergono all’interno del nostro campione ci indicano, oltre che una diversità di motivazioni, alcuni trend caratteristici di alcune aree di provenienza: anche se tutti i paesi di provenienza individuano fattori economici nella spinta ad emigrare, emergono gli orientali con il 49,2%, i fattori socio-politici sono il motivo che determina la spinta migratoria dei mediorientali (26,3%) e dei  paesi dell’Europa dell’Est (21%), mentre quello  per motivi di studio è simile in percentuale tra il Medioriente e l’Africa subsahariana. I motivi familiari sono indicati dalla maggioranza della popolazione nordafricana.

 


 

C.2) Le difficoltà incontrate all’arrivo in Italia

 

Abbiamo chiesto alle famiglie quali sono state le difficoltà che hanno incontrato al loro arrivo in Italia e nell’analisi qualitativa le abbiamo distinte in: difficoltà di adattamento e difficoltà pratiche; ci è sembrato importante porre l’accento e distinguere tra una categoria che fosse più rappresentativa di effettivi bisogni e un’altra più ‘relazionale’.

Poiché l’adattamento è la risultante di una reale interazione tra due poli, individuo- ambiente, una condizione di equilibrio “fra l’azione dell’organismo sull’ambiente e l’azione inversa” dell’ambiente sull’organismo. E’ un astrazione quindi l’adattamento, è un concetto- punto di intersezione, che si situa tra due società, tra due culture, ma che non permette mai di arrivare in un “luogo” preciso, in un tempo determinato.

 E la relazione ‘con l’altro’ assume un significato ‘tra’ che può ottimizzare/rendere disagio il rapporto di integrazione reciproco uomo/contesto sociale: la lingua dell’altro, la cultura dell’altro, l’essere ‘con l’altro’.

Le difficoltà di adattamento sono la maggioranza (42%) e sono indicative delle più specifiche dimensioni relazionali che nell'impatto con un'altra cultura mettono in crisi gli schemi di riferimento socio culturali, e non solo, dell'individuo. La lingua è la prima 'barriera' (23%), ma anche la solitudine sociale ed affettiva, che possono ostacolare il percorso di inserimento dell'immigrato e rendere difficile l'integrazione sociale.

Le difficoltà sopraccitate sono particolarmente avvertite dagli stranieri provenienti dai Paesi orientali che, come abbiamo detto nella parte introduttiva, hanno modelli familiari di tipo inclusivo, con scarso accesso al contesto esterno.

Una seconda tipologia di difficoltà che gli stranieri accusano al primo impatto con la cultura italiana è costituita da difficoltà pratiche (36,6%), che vanno dalla ricerca della casa e del lavoro e ancora di più da quelle burocratiche che, se risultano un male italiano difficile da debellare per gli autoctoni, diventano un vero ostacolo per lo straniero, che non ha strategie operative valide per superare gli immensi intralci burocratici e organizzativi del nostro Paese.

Osserviamo anche come solo il 15,4% dichiara di non aver incontrato alcuna difficoltà.

 

Tabella  c.2.1

 

difficoltà incontrate all'arrivo in Italia

%

 

 

di adattamento (linguistiche/culturali/esistenziali)

§      linguistiche

§      culturali

§      esistenziali

42,0

23,0

9.5

9.5

 

 

pratiche (economiche/lavorative/alloggiative)

36,6

 

 

nessuna

15,4

 

 

altro

6,1

 

Totale

100

 

 

Quanto riferito da questo uomo eritreo che vive a Roma dal 1977 e lavora come meccanico è esemplificativo di quello che tutti gli emigrati lamentano (e gli italiani no?) e non solo all’inizio, ma come elemento di forte disagio, costante nel tempo:

 

§       Io faccio la mia vita e sto bene così senza amalgamarmi; però le più grosse difficoltà le trovi quando vai in ufficio, perché sembra che ti devono fare un favore invece che un servizio, sia alla posta che in banca che all’anagrafe, quando vai negli uffici vedi solo litigare, c’ero prima io, lei vuole fare il furbo, sembra di essere nella giungla! E poi devi sempre tornare domani perché ti dicono ogni volta che manca  qualche cosa”

 

E’ indubbio che le difficoltà aumentano quanto più ci si sente lontani e sradicati dal proprio Paese e si vive con grande intensità quello che viene descritto come lutto migratorio e si prova un sentimento di forte nostalgia per ciò che si è lasciato alle spalle e di conseguenza si vive una condizione di solitudine nel paese di accoglienza: ciò è avvertito con maggiore intensità dalle mogli.

 

Tabella  c.2.2

Quali difficoltà sono state incontrate all'arrivo in Italia secondo il sesso

sesso

 

 

marito

moglie

 

nessuna

51,5

48,5

 

di adattamento (linguistiche/culturali/esistenziali)

42,2

57,8

 

pratiche (economiche/lavorative/alloggiative)

63,1

36,9

 

altro

50

50

Totale

51,7

48,3

 

§       “All’inizio quando sono venuta sempre mi mettevo a piangere, non sopportavo certe cose, poi appena mi mancava qualche cosa, ricordo i miei, ..però piano piano mi sono abituata” (moglie nigeriana)

 

 

C.3) Le difficoltà attuali

 

Se il 15,4% del nostro campione afferma di non aver incontrato particolari difficoltà al primo impatto con l’Italia, vediamo che al momento attuale è notevolmente aumentata la percentuale di coloro che affermano di non incontrare difficoltà, 44,4%, il che sta a dimostrare che mediamente si assiste ad un notevole incremento nel processo di adattamento alla cultura italiana, anche se le difficoltà linguistiche ancora sussistono per alcune comunità orientali, come quella cinese.

 

Tabella  c.3.1

 

attuali difficoltà incontrate in Italia

%

 

 

nessuna

44,4

 

 

pratiche (economiche/lavorative/alloggiative)

21,1

 

 

di adattamento (linguistiche/culturali/esistenziali)

19,2

 

 

intolleranza/manifestazioni razziste

5,9

 

 

altro

9,4

 

 

Totale

100

 

 

Rimane ancora elevata la difficoltà ad integrarsi, anche per il persistere di intolleranze e manifestazioni razziste, che verranno meglio osservate in una tabella successiva (tab C.9.1) in cui si chiede agli intervistati di descrivere cosa li ha fatti sentire e li fa sentire tuttora come stranieri immigrati.

Vista nel tempo questa situazione tende  ad una evoluzione; la percentuale delle persone che non incontrano nessuna difficoltà in Italia aumenta progressivamente in relazione al tempo di permanenza: infatti dal 26,6% degli intervistati di più recente immigrazione, al 56,3% per quelli residenti da oltre 15 anni.

Lo stesso andamento risulta per le difficoltà di adattamento, come per quelle pratiche, anche se queste ultime restano in percentuale piuttosto alta a dimostrare una situazione problematica strutturale propria del contesto di accoglienza.

Da notare come rispetto alla tabella precedente entrano, in questa delle 'denunce' di episodi di intolleranza razziale che i nuclei di immigrati osservano attualmente più che in passato.

 

 

Tabella  c.3.2

 

 

attuali difficoltà incontrate in Italia

anni di permanenza in Italia

nessuna

di adattamento (linguistiche/culturali/esistenziali)

pratiche (economiche, lavorative, alloggiative)

intolleranza/manifestazioni razziste

altro

 

fino a 2 anni

%

26,7

30,0

30,0

3,3

10

 

da 3 a 5 anni

%

36,5

28,4

18,9

5,4

10,8

 

da 6 a 10 anni

%

41,9

21,0

21,0

7,2

9,0

 

da 11 a 15 anni

%

50,5

14,0

23,7

5,4

6,5

 

oltre 15 anni

%

56,3

6,3

14,6

6,3

16,7

 

 

C.4) Come è cambiata la vita

 

Inoltre gli intervistati affermano (76,3 %) che da quando sono in Italia la loro vita è cambiata: solo il 17,9 % afferma il contrario; i cambiamenti segnalati sono prevalentemente in meglio e sono equamente distribuiti tra i mariti e le mogli.

 

Tabella  c.4.1

 

E' cambiata la sua vita da quandto è in Italia

%

 

 

si, in meglio

41,5

 

 

si, in peggio

19,3

 

 

si, in generale

15,5

 

 

no

17,9

 

 

altro

5,8

 

Totale

100

 

Visto nel tempo (tab. c.4.2) il risultato della tabella precedente mostra una differenza tra gli individui che sono da meno tempo in Italia e che tendono a dare una risposta ‘si in peggio’ maggiore degli altri, probabilmente relativa alle difficoltà conseguenti all’impatto iniziale; dopo i sei anni di residenza la maggior parte dei soggetti risponde ‘sì in meglio’ (42,5%) e nel lungo periodo la risposta è ‘sì in generale’;


 

 

 

 

 

 

Tabella  c.4.2

Permanenza in Italia

 

E' cambiata la sua vita da quanto è in Italia

 

 

 

 

si,

in meglio

si,

in peggio

si,

in generale

no

altro

 

fino a 3 anni

%

42,9

32,1

3,6

21,4

0,0

 

da 3 a 5 anni

%

38,2

26,3

17,1

13,2

5,3

 

da 6 a 10 anni

%

42,5

18,8

13,1

19,4

6,3

 

da 11 a 15 anni

%

42,5

19,5

11,5

20,7

5,7

 

oltre 15 anni

%

34,7

8,2

32,7

16,3

8,2

 

Pur tuttavia se confrontiamo correliamo questi dati alla successiva tabella (tab. C.4.3) che si interroga su cosa manca di più del proprio paese, emerge che se sul piano della sicurezza economica e dei beni di consumo la vita è complessivamente migliore, lo è molto meno sul piano affettivo, sia per il peso inalienabile dello sradicamento familiare e della mancanza di familiari e amici, che per l’assenza di comprensione e di solidarietà da parte della società italiana, che ha più facilità ad integrare la forza lavoro dello straniero piuttosto che a entrare in contatto empatico e rispettoso con i valori (fatti anche di storie di perdite e di tagli emotivi) di chi arriva da fuori.

 

Tabella  c.4.3

 

cosa le manca di più del suo paese

%

 

 

la famiglia

43,0

 

 

tutto

17,0

 

 

i familiari e gli amici

14,2

 

 

gli amici

8,1

 

 

altro

17,7

 

Totale

100

 

 

Significativo e abbastanza frequente è quanto riportato da una moglie albanese:

 

§       ..guardando indietro quello che abbiamo lasciato, dalla parte materiale sto meglio qua, non ho una grande casa, ma vivo meglio... certo facendo dei grossi sacrifici… invece se devo parlare delle parti sentimentali, vivo male, mi manca l’affetto, mi manca la mia patria.

 

Assai frequente, pur nella percezione di un cambiamento complessivamente positivo, è quanto riferisce una moglie etiope:

 

§       ..si è cambiata, qua è tutto frenetico, correre, correre; qui si è sempre indaffarati, ognuno è preso dalla propria vita. 


 

C.5) I motivi della permanenza in Italia

 

Le motivazioni che spingono i soggetti intervistati a rimanere in Italia sono il lavoro (35,7%) e questo soprattutto i mariti (69,6% nella tab. C.5.2), la presenza della famiglia (25,3%), indicata prevalentemente dalle mogli (81,0% nella tab. C.5.2), la speranza di cambiare vita (9,4 %).

 

Tabella  c.5.1

 

cosa l'ha fatta rimanere in Italia

%

 

 

il lavoro/le possibilità economiche

35,7

 

 

la presenza della famiglia/coniuge/parenti

25,3

 

 

la speranza di cambiare modo di vita

9,4

 

 

per i figli

7,2

 

 

difficoltà socio-politiche nel proprio paese

7,2

 

 

perché mi trovo bene in Italia

7,0

 

 

lo studio

1,4

 

 

non lo so

1,4

 

 

altro

5,3

 

Totale

100,0

 

 

A questo proposito ci pare utile sottolineare come il 7,2 % degli intervistati afferma esplicitamente che rimane nel nostro Paese per i figli. Come già accennato nell’introduzione possiamo ipotizzare che i figli diventino il motivo di ancoraggio alla cultura ospitante e il ponte tra le diversità culturali. Ecco cosa dice una moglie filippina in proposito:

 

§       ..per i bambini, perché se fossimo solo io e lui da mò che ce ne saremmo andati! Loro sono ben inseriti e adesso è pure difficile farli tornare.

 

Tabella  c.5.2

 

cosa l'ha fatta rimanere in Italia

 

marito

moglie

 

 

il lavoro/le possibilità economiche

%

69,6

30,4

 

 

la presenza della famiglia/coniuge/parenti

%

19,0

81,0

 

 

per i figli

%

40,0

60,0

 

 

difficoltà socio-politiche nel proprio paese

%

63,3

36,7

 

 

perchè mi trovo bene in Italia

%

55,2

44,8

 

 

la speranza di cambiare modo di vita

%

61,5

38,5

 

 

lo studio

%

83,3

16,7

 

 

non lo so

%

50,0

50,0

 

 

altro

%

50,0

50,0

 

 

La presenza dei figli rompe l’equilibrio di progetti immigratori basati sull’economia per un ritorno in patria e le famiglie straniere diventano attori sociali intessendo scambi e relazioni in Italia e nello stesso tempo costruendo ‘ponti’  tra la propria e la cultura italiana, uno spazio necessario alla qualità della vita del "lavoratore migrante".

In questa ottica, 'la speranza di cambiare vita' per il 9,4% degli intervistati, rappresenta una categoria meno specifica, delle altre ma che ben trasmette una motivazione profonda e una determinazione all’insediamento.

 

C.6) Le trasformazioni del carattere

 

Tabella  c.6.1

 

quali aspetti del suo carattere ha scoperto

%

 

 

la resistenza/la forza/la volontà

25,3

 

 

nessuno

17,9

 

 

l'adattabilità/la flessibilità

14,2

 

 

la pazienza

7,6

 

 

la responsabilità - la maturità

7,4

 

 

il coraggio

4,7

 

 

la voglia di lavorare

3,4

 

 

altro

19,5

 

 

Totale

100,0

 

 

In questa tabella appaiono alcune caratteristiche comuni a chi ha vissuto un processo migratorio, indipendentemente dal Paese di provenienza. La stragrande maggioranza degli intervistati riferisce di aver scoperto aspetti del proprio carattere che non conosceva prima di partire.

Resistenza, forza di volontà, flessibilità, pazienza, maturità, coraggio ecc., tutte risorse positive che potremmo racchiudere nel termine psicologico, piuttosto recente, di resilienza.

Tale termine nasce in riferimento alla resistenza o alla elasticità di un materiale sottoposto ad urti improvvisi. In psicologia sono resilienti quegli individui che sopravvivono ad eventi fortemente stressanti e traumatici: violenze, malattie, gravi lutti, pesanti trascuratezze o rifiuti, facendo ricorso a risorse personali e relazionali, energie interne incredibili. Sentiamo alcune testimonianze dirette dei nostri intervistati per comprendere meglio quanto sopradetto.

 

Moglie filippina:

§       “..di essere forte, che non ho mai avuto veramente questo carattere giù in Filippine, lì sono molto fragile, piango facilmente e invece qua sono diventata forte..Affronto tutti problemi”.

 

Moglie albanese :

§       “..forte, la mia forza a lottare, a tirare la famiglia, a imparare, a registrare un nuovo mondo, un nuovo modo di camminare”.

 

Marito nigeriano :

§       “guarda per me sono diventato più maturo perché con la vita che ho vissuto qua quando sono venuto, certo che devi crescer per forza, perché se no come fai ?”.

 

  

C.7) Le trasformazioni del rapporto di coppia

 

All’incirca metà degli intervistati ha risposto che l’esperienza della migrazione ha migliorato la vita di coppia , aumentandone la coesione, dato questo già ipotizzato e discusso nella parte introduttiva, relativamente al fatto che un evento disgregante come il distacco dalle proprie appartenenze familiari e culturali, all’interno di un progetto comune di migliorare la propria condizione di  vita, aumenta il sentimento di unità di coppia

Tabella  c.7.1

 

Come ha influenzato la vita di coppia

%

 

 

è migliorata- ci ha uniti di più

49,9

 

 

nessuna

37,3

 

 

non avere amici e sfiducia negli altri

3,1

 

 

altro

9,7

 

Totale

100

 

Inoltre se l’affrontare insieme l’esperienza di emigrazione rende uomini e donne concordi nel rispondere che l'evento migratorio li ha uniti di più, sono soprattutto le coppie dell'Africa subsahariana e dell'Europa dell'Est a far emergere un reciproco sentimento di aiuto e sostegno condiviso nella relazione coniugale.

Nell'affrontare l'evento critico c'è un riconoscimento di un bisogno che si può esplicitare, e questo sembra essere meno vero per le culture orientali.

La relazione di coppia è nella migrazione lo spazio che funziona da 'ammortizzatore' quando la famiglia affronta le difficoltà presenti nel diverso ambiente culturale

Ci ha comunque sorpreso che nessuna coppia riportasse un peggioramento della propria relazione coniugale, abbiamo interpretato l’assenza di questo dato a più livelli: innanzitutto con l’inopportunità di parlare di eventuali aspetti negativi di coppia con un intervistatore estraneo che poneva le domande alla presenza di entrambi i coniugi ; inoltre , trovandoci di fronte a coppie con valori fortemente tradizionali e con l’obiettivo di far crescere bene i figli piccoli in un contesto diverso dal proprio, è probabile che le funzioni genitoriali siano più marcate e predominanti di quelle coniugali.

Tabella  c.7.2

 

 

 

E' cambiata la sua vita da quando è in Italia

Come ha influenzato la vita di coppia

si,

in meglio

si,

in peggio

si,

in generale

No

altro

 

nessuna

%

43,9

17,4

15,2

22,0

1,5

 

non avere amici, sfiducia negli altri

%

27,3

45,5

0

18,2

9,1

 

è migliorata, ci ha uniti di più

%

48,5

17,5

12,3

13,5

8,2

 

altro

%

21,2

24,2

21,2

21,2

12,1

 

Questi dati che mettono in relazione la vita di coppia con il cambiamento più generale di vita da quando si è in Italia confermano quelli precedenti: chi risponde che la vita di coppia 'è migliorata' risponde soprattutto che la sua vita è cambiata in meglio 48,5%, anche chi ha risposto che l’esperienza della migrazione non ha influenzato la vita di coppia ritiene che la sua vita sia cambiata in meglio. Chi risponde che la sua vita è cambiata in peggio evidenzia anche nella vita di coppia una mancanza di amici e una sfiducia nelle relazioni che la coppia può avere all’esterno della famiglia. Sono ancora le relazioni affettive, parentali e/o amicali a dare un senso ai progetti di insediamento, quindi di integrazione, posto che il loro valore positivo sia indice di una buona qualità della vita.

Questi dati confermano quelli precedenti: chi risponde che la vita di coppia 'è migliorata' è anche la maggioranza di chi ha risposto che la sua vita è cambiata in meglio 48,5%:, mentre la maggior parte di coloro che sentono la solitudine e la sfiducia negli altri confermano l'idea di un cambiamento negativo per la loro vita (45,5%). Sono ancora le relazioni affettive, parentali e/o amicali a dare un senso ai progetti di insediamento, quindi di integrazione, posto che il loro valore positivo sia indice di una buona qualità della vita.


C.8)  Le differenze con il paese d’origine

 

 

Tabella  c.8.1

Quali differenze rispetto al proprio paese al momento dell’arrivo

%

 

tutto

27,8

 

differenze culturali

21,6

 

differenze ambientali

15,1

 

il livello economico

14,4

 

la tecnologia avanzata

10,4

 

niente

5,8

 

lo sfruttamento lavorativo

1,9

 

altro

3,0

 

Totale

100

 

Alla domanda sulle diversità  rispetto al proprio paese si di origine, quasi un 30% degli intervistati risponde con un ‘tutto’, a voler  indicare una totale estraneità dal Paese di accoglienza. Solo un 5,8% dichiara il contrario, che niente è diverso; se le differenze ambientali (15,1%), economiche (14,4%), e di tecnologia avanzata rappresentano le caratteristiche fisiche e sociali dell’immagine che hanno gli stranieri arrivando in Italia, anche quelle culturali hanno il loro peso (21,6%). Queste, da sole, riproducono l’immagine diversa delle abitudini, dei comportamenti, dei costumi degli italiani e quindi anche il modo di gestire le relazioni che come abbiamo visto nella tab. C.3.1. sono proprio quelle a rendere più difficile il rapporto di insediamento.

Sono le relazioni sociali e le regole che le governano, nonché gli spazi, sia fisici che ambientali a marcare di più le diversità dal Paese d’origine. Questa diversità e le ore lunghe di lavoro dell’immigrato sottolineano la scarsa integrazione dello straniero con la comunità autoctona, come vedremo nella parte relativa all’uso del tempo libero. 

Così si esprime una moglie albanese:

 

§       .. qua è un mondo tutto diverso, pieno di luci, più vita. Poi mi colpisce moltissimo la libertà di esprimersi…poi la parte economica...tanti frutti”.

 

Il marito connota un rilievo fisico singolare per esprimere la diversità della vita italiana rispetto all’Albania :

 

§       la prima cosa che abbiamo visto tutti erano i poliziotti che erano lì ad aspettarci (a Brindisi la faccia era come plastica, bianca, siccome l’Albania è un Paese abbastanza sofferente avevamo tutti il viso stanco, invece qua vedevi tutti bianchi), poi gli italiani hanno tutti una faccia liscia. La prima cosa che colpì tutti, dicevamo: ma come sono bianchi, perché hanno la faccia così, sembrano proprio bambole! E poi le case sistemate, pitturate”.

 

Una moglie nigeriana sottolinea la grande diversità nei costumi e nelle regole sociali:

 

§       il modo di vestire è tanto diverso, perché voi ad esempio (riferito agli italiani) se fa caldo e vuoi mettere un vestito corto, da noi non va bene!”

 


 

C.9)  Cosa l’ha fatta sentire uno straniero immigrato

 

 

Tabella  c.9.1

cosa l'ha fatta sentire uno straniero immigrato

%

 

frasi offensive, atteggiamenti intolleranti, la poca accoglienza

36,3

 

problemi pratici (casa,lavoro, documenti)

14,8

 

la lingua

12,5

 

niente

12,0

 

problemi di inserimento

8,5

 

lo sfruttamento lavorativo

4,8

 

altro

11,3

 

Totale

100

 

Se il 14,8% è rappresentativo di quelli che hanno risposto che il sentirsi immigrati è fondato sull’inaccessibilità ai diritti di base, quali la casa e il lavoro, la lingua rappresenta il 12,5%. Il dato che emerge con forza sono gli atteggiamenti intolleranti, 36,3% e i problemi di inserimento correlati 8,5%, indici entrambi di una percezione negativa della vita di relazione con la popolazione italiana, che conferma quindi un orientamento di scarsa accettazione dell' immigrato rinforzando la sua identità sociale di 'straniero in terra altrui'.

Questa tabella ci fa capire indirettamente quanto ancora scarso sia l’interesse della comunità italiana nei confronti della ricchezza e della varietà culturale arrivata in Italia con l’immigrazione straniera. Se è vero che la manodopera straniera è fortemente richiesta, soprattutto in alcuni ambiti lavorativi – sia in aziende che famiglie italiane- e che con il tempo si crea un buon adattamento sul piano del lavoro, non è altrettanto vero per ciò che concerne una reale accoglienza dei ‘nuovi cittadini ’ nel tessuto delle relazioni sociali e amicali. Di fatto un elevata percentuale delle coppie del nostro campione , che da vari anni operano (con lavoro regolare)  e vivono nel nostro Paese con i loro figli (che frequentano le nostre scuole) , riferiscono di essere oggetto di atteggiamenti intolleranti e discriminatori, di comportamenti e linguaggi offensivi da parte della comunità italiana.

 

Tabella  c.9.2

 

 

 

cosa l'ha fatta sentire uno straniero immigrato

 

 

 

frasi offensive, atteggiamenti intolleranti, la poca accoglie

problemi pratici

la lingua

lo sfruttamento lavorativo

problemi pratici, la lingua e problemi relazionali/di inserimento

Niente

altro

 

fino a 2 anni

%

24,0

24,0

16,0

0

4,0

16,0

16,0

 

da 3 a 5 anni

%

27,5

15,9

17,4

1,4

11,6

18,8

7,2

 

da 6 a 10 anni

%

37,0

13,6

13,6

6,8

4,9

11,1

13,0

 

da 11 a 15 anni

%

49,4

12,9

7,1

7,1

14,1

4,7

4,7

 

oltre 15 anni

%

26,1

19,6

13,0

2,2

10,9

10,9

17,4

 

Notiamo ancora che le frasi offensive e gli atteggiamenti intolleranti acquistano più forza in relazione con il trascorrere del tempo di immigrazione, diventano più evidenti per quelli individui che vorrebbero ormai sentirsi accettati dalla popolazione italiana dopo almeno 10 anni di permanenza in Italia (49,4%).

Se i problemi con la lingua diminuiscono leggermente, la difficoltà di usufruire di  servizi resta invece piuttosto stabile nel tempo ponendo quindi una barriera che rende difficile una piena partecipazione ai bisogni di base; con essa anche l'accedere a casa e lavoro sono discriminanti che non modificano la percezione di una distanza e di una differenza dalle opportunità che hanno i cittadini non stranieri.

Dalle  risposte a questa domanda abbiamo isolato soltanto gli ambiti in cui via via  gli stranieri si sentono discriminati o non accolti : la Questura, la circoscrizione, gli Uffici pubblici, l’autobus, la stazione ferroviaria, la scuola dei bambini, le file per il rinnovo del permesso di soggiorno, i luoghi pubblici per chi è di colore ecc.  Tutto ciò dovrebbe farci riflettere su come modificare alla base alcuni stereotipi e pregiudizi sociali nei confronti di quelle comunità straniere, di cui da un lato abbiamo sempre più bisogno e dall’altro non sappiamo sufficientemente apprezzare sul piano dei valori più elementari.

In questo senso una maggiore conoscenza e curiosità nei confronti delle componenti familiari e relazionali dello straniero potrebbe portare a un rispetto e un’empatia maggiore nei loro confronti, mentre esiste ancora discriminazione quando si ricerca una casa, (tab.e.1.6)o il lavoro. Ma vediamo come invece nel caso di una donna nigeriana vari aspetti di intolleranza si fondono insieme nel suo racconto:

 

§       “Il mio colore per esempio, prima quando lavoravo ci sono alcuni lavori che non ti possono dare per questo colore, per esempio un africana che però è bianca la preferiscono a noi, quindi questo conta molto, a me piace il mio colore però la sento la differenza è tanta” (donna nigeriana)

 


 

C.10) Cosa le manca di più del suo paese

Le risposte a questa domanda ci fanno capire che il processo di sradicamento dal Paese d’origine al Paese di accoglienza ha a che vedere prevalentemente con il piano degli affetti familiari e con quello delle relazioni amicali (insieme assommano a più del 65%) . Il 17% di coloro che rispondono che dice ‘tutto’ si riferisce anche agli spazi fisici e alla casa; in realtà e lo vedremo più avanti  nel settore relativo alla situazione alloggiativa degli stranieri, viene dichiarato da molti un sentimento di perdita molto forte, rispetto alla casa dove si abitava nel proprio Paese;  pur tuttavia anche in questo caso la nostalgia è prevalentemente riferita agli  spazi affettivi della casa e alle relazioni di vicinato, senz’altro meno asettiche e formali dei nostri condomini. Rispetto a questo secondo aspetto , una delle osservazioni ricorrenti nelle nostre interviste è che la gente non saluta e non sifrequenta . Da notare che il sentimento di mancanza degli affetti familiari  non tende a diminuire nel procedere degli anni , come vedremo meglio successivamente.condomini . Una delle osservazioni ricorrenti nelle nostre interviste è che la gente non saluta e non si vede mai !! Da notare che questo sentimento di mancanza degli affetti familiari  non tende a diminuire nel procedere degli anni , come vedremo meglio successivamente.

 

Tabella  c.10.1

cosa le manca di più del suo paese

%

 

la famiglia

43,0

 

tutto

17,0

 

i familiari e gli amici

14,2

 

gli amici

8,1

 

altro

17,7

 

Totale

100,0

 

La domanda che era posta in modo generico ha sollecitato risposte uniformi e specifiche, che sia la famiglia nucleare o la famiglia allargata con le amicizie, sono le relazioni affettive a significare maggiormente le assenze e i percorsi dei nuclei immigrati.

 

Tabella  c.10.2

 

 

 

cosa le manca di più del suo paese

 

 

 

la famiglia

tutto

i familiari e gli amici

gli amici

altro

 

fino a 2 anni

%

42,3

7,7

7,7

26,9

15,4

 

da 3 a 5

%

44,1

14,7

17,6

11,8

11,8

 

da 6 a 10

%

43,4

13,8

17,1

5,9

19,7

 

da 11 a 15

%

43,7

25,3

12,6

3,4

14,9

 

oltre 15 anni

%

41,7

18,8

10,4

10,4

18,8

 

La famiglia, anche nel più lungo tempo di permanenza, è un valore stabile, al contrario degli amici che con il tempo mancano di meno, dal 26,9% nei primi due anni di permanenza al 10,4% intorno ai 15 anni (vedremo in seguito come si modificano nel corso del processo migratorio); le relazioni con i propri familiari restano quindi un punto fermo per l'individuo che nello stesso tempo ne denuncia l'assenza e la mancanza in modo significativo.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

D - LavoroPercorsi lavorativi

 

 

Il lavoro da sempre assume un valore primario sia rispetto ai motivi del migrare che rispetto a gli indici che misurano la qualità di vita degli individui. Il valore del lavoro assume ancor più importanza all’interno di un sistema familiare in cui sono presenti i figli ed è per il futuro di questi ultimi , che si immagina migliore del proprio che vengono rimandate anche le decisioni rispetto al possibile ritorno, come abbiamo visto precedentemente. Nel nostro campione il dato che emerge riguardo la condizione formativa indica che le persone immigrate possiedono potenzialmente un bagaglio di conoscenze da mettere in gioco al momento dell’inserimento nel mondo del lavoro. 

     

Il titolo di studio dei soggetti intervistati è medio-alto: infatti, nel 41.6% dei casi hanno conseguito il diploma di scuola media superiore , nel 14.4% dei casi la laurea e una piccola percentuale ha un titolo di studio professionalizzante (scuola professionale o diploma universitario). Si tratta dunque di un campione piuttosto scolarizzato. Riteniamo che la disponibilità a farsi intervistare sia stata facilitata anche dal possedere un livello medio- alto di istruzione, questo elemento può portare ad una distorsione rispetto all’universo degli immigrati.  

 

Tabella  d.1.1

Grado di istruzione

%

 

inferiore

31,6

 

medio

50,3

 

superiore

15,3

 

nessuno

2,8

 

Totale

100

 

 

 

Tabella  d.1.2

Titolo di studio secondo la zona geografica di provenienza

 

Centro e Sud America

Oriente

Nord Africa

Medio Oriente

Africa Subsahar. e centrale

Europa dell’ Est

TOT

Elementari

0,0

2,1

3,3

0,2

1,2

0,7

7,5

Medie inferiori

2,3

10,0

3,3

0,0

4,8

3,7

24,1

Medie superiori

7,9

11,6

2,8

1,9

7,9

9,5

41,6

Laurea

1,9

2,8

0,9

1,6

4,2

3,2

14,4

Nessuno

0,0

0,7

0,2

0,7

1,2

0,0

2,8

Scuola professionale

1,6

1,9

1,4

0,0

0,7

3,1

8,7

Diploma universitario

0,2

0,2

0,0

0,0

0,2

0,2

0,9

TOTALE

14,0

29,3

11,9

4,4

20,2

20,2

100

 

 

La distribuzione per sesso dei titoli di studio mostra un andamento più o meno omogeneo, con una formazione leggermente inferiore da parte delle donne in particolare rispetto al conseguimento della laurea.

 

Tabella  d.1.3

Titolo di studio secondo il sesso

titolo di studio

 

 

 

inferiore

medio

superiore

nessuno

 

marito

 

29,9

50,0

18,3

1,8

 

moglie

 

33,3

50,7

12,2

3,8

 

 In Italia la domanda di lavoro qualificato è cresciuta negli ultimi anni, da una ricerca condotta dall’Isfol (dati Isfol - Centro statistica aziendale) emerge che nel I° semestre del 1999 le professioni più richieste sono state quelle intermedie, nello specifico la richiesta maggiore è stata quella di tecnici fatta da parte di società che svolgono attività di servizio alle aziende, seguite dal commercio e dall’industria meccanica. I tecnici di ufficio sono quelli maggiormente richiesti, seguono gli agenti, gli operatori informatici e statistici. In questa categoria sono inserite alcune professioni e tra queste al primo posto nelle richieste sono gli infermieri.

La richiesta maggiore di lavoro viene dal nord (46,5%), segue il centro con il 18,5% e chiude il sud con l’8,8%. 

 

 

I dati della ricerca Isfol evidenziano una richiesta sempre maggiore di personale in possesso di conoscenze linguistiche, in particolare l’inglese.

L’aumento della domanda di lavoro qualificato si va ad inserire in un quadro nazionale in cui il tasso di disoccupazione è sceso nel corso del 1999 all’11,4 anche se non in maniera omogenea per ripartizione geografica, settori produttivi, posizione professionale e genere sessuale (Caritas 2000) e che secondo delle previsioni avanzate dall’Isfol , su dati Istat e Eurosat, l’evoluzione all’anno 2006 del mercato del lavoro in Italia dovrebbe portare ad una diminuzione del tasso di disoccupazione al 9,2% (rapporto Isfol 1999).

 

Vediamo adesso come si inserisce il nostro campione in questo quadro generale.

  

Tabella  d.1.4

Qual è la sua attività lavorativa

%

 

lavoro manuale non qualificato

34,5

 

nessuna

16,7

 

piccolo imprenditore

13,5

 

lavoro manuale qualificato

12,6

 

impiegato di basso livello

10,1

 

professionista-imprenditore-dirigente

5,4

 

impiegato di livello medio

4,7

 

lavori vari precari

2,5

 

nessuna

16,7

 

lavoro manuale non qualificato

34,5

 

lavoro manuale qualificato

12,6

 

impiegato di basso livello

10,1

 

piccolo imprenditore

13,5

 

impiegato di livello medio

4,7

 

professionista-imprenditore-dirigente

5,4

 

lavori vari precari

2,5

 

Totale

100,0

 

 

 

 

 

 

Tabella  d.1.5

Le attività lavorative secondo l’area geografica di residenza

 

 

 

Area di residenza

 

 

 

Nord

Centro

Sud e Isole

 

nessuna

 

40,5

32,4

27,0

 

lavoro manuale non qualificato

32,7

32,7

34,6

 

lavoro manuale qualificato

37,5

42,9

19,6

 

impiegato di basso livello

60,0

26,7

13,3

 

piccolo imprenditore

18,3

70,0

11,7

 

impiegato di livello medio

38,1

52,4

9,5

 

professionista-imprenditore-dirigente

54,2

41,7

4,2

 

lavori vari precari

27,3

54,5

18,2

 

Al momento della somministrazione dell’intervista quasi tutti i soggetti della ricerca sono impiegati in una qualche occupazione (83.3%); solo il 16,7% dichiara di non aver nessuna occupazione al momento dell’intervista (la percentuale di donne disoccupate è del 29,5%). In particolare quello che emerge dal nostro campione è che il tipo di attività prevalente che occupa i soggetti nel mercato del lavoro è il lavoro manuale non qualificato (34,5%) oppure sono occupati in attività  manuali qualificate (12,6%) o sono impiegati di basso livello (10,1%). Sono dei piccoli imprenditori (13.5%) in particolare le persone provenienti dall’Oriente (il 33,1%). Il rapporto annuale Censis (2000) rileva che il 77,3% degli avviamenti al lavoro degli extracomunitari sono stati effettuati con la qualifica di operaio generico, il nostro campione non riflette dunque questo dato.

Il fenomeno della crescita del lavoro indipendente è in aumento come rilevato dal secondo rapporto sull’integrazione degli immigrati in Italia (Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati) in particolare è aumentato il numero delle domande di iscrizione alla camera Camera di Commercio. Tra le varie ragioni individuate per questa crescita di lavoro autonomo c’è anche la difficoltà per i lavoratori stranieri di migliorare la propria condizione occupazionale nel lavoro dipendente attraverso normali carriere gerarchiche, sia per il difficile riconoscimento dei titoli di studio, che per le discriminazioni , che per le difficoltà legate ad una scarsa competenza linguistica.

 

Tabella  d.1.6

Le attività lavorative ripartite per aree geografica di provenienza

 

nessuna

lavoro manuale non qualificato

lavoro manuale qualificato

impiegato di basso livello

piccolo imprenditore

impiegato di livello medio

Professionista  imprenditore  dirigente

lavori vari precari

centro Centro e sud americaAmerica

13,3

45,0

11,7

10,0

6,7

3,3

8,3

1,7

orienteOriente

8,1

37,1

12,9

4,0

33,1

3,2

0

1,6

nord Nord africaAfrica

25,5

32,7

12,7

10,9

10,9

3,6

1,8

1,8

medio Medio oriente

42,1

10,5

0

5,3

0

5,3

31,6

5,3

africaAfrica subsahar. e centrale

18,2

25,3

11,1

18,2

9,1

9,1

6,1

3,0

europa Europa dell'est

18,4

40,2

17,2

10,3

0

3,4

6,9

3,4

 

 

 

 

 

 

 

 

Tabella  d.1.7

Le attività lavorative ripartite per sesso

 

nessuna

lavoro manuale non qualificato

lavoro manuale qualificato

impiegato di basso livello

piccolo imprenditore

impiegato di livello medio

Professionista  imprenditore  dirigente

lavori vari precari

marito

4,4

30,0

17,2

16,3

16,3

6,6

6,6

2,6

moglie

29,5

39,2

7,8

3,7

10,6

2,8

4,1

2,3

 

 

Uno dei temi più ricorrenti rilevati attraverso un’analisi qualitativa delle interviste è stato quello relativo alla difficoltà di far riconoscere il titolo di studio posseduto soprattutto nel caso dei laureati  e di conseguenza di trovare un’occupazione in linea con le conoscenze pregresse , una sorta di riadattamento dell’immagine di Se nel sociale

 

 

§       “non mi riconoscono il titolo di studio, all’ufficio di collocamento hanno scritto lavoro manuale, non mi hanno neanche chiesto che ho fatto… i miei studi…” (Iran- scrittrice)

 

e ancora in rapporto al lavoro desiderato:

 

§       “..un lavoro che sia in rapporto con le mie competenze , qualsiasi cosa, sono bravo al computer, sono bravo per altre cose… mi vedo più a fare dei lavori(..) dove il mio intelletto può fare qualcosa. Sono passato dal fare il chirurgo a fare il verniciatore (..) in Italia l’immigrato deve fare questo lavoro e non altro. (..) per lavorare in ospedale devi essere un medico italiano(…) lavorare con i privati non puoi perché sono collegati con le Asl che controlla(… ) Anche a fare l’infermiere sarei stato bravo, ma niente senza diploma.. non si può convertire il diploma di chirurgo in uno di infermiere da un giorno all’altro. Queste cose qui le puoi fare in America, in Francia perché acchiappano al volo le tue competenze, non le lasciano sfuggire. Qui in Italia non c’è questa mentalità, vogliono vedere la carta…(Algeria- chirurgo)

 

 

§       “..qui non si può scegliere devi prendere quello che capita .. (riferendosi al lavoro di infermiera) qui chiedono tante cose per praticare , a me hanno detto devi studiare di nuovo .. due anni per far riconoscere quello che sai.. vuol dire tornare a scuola , io a 40 anni non ho più la voglia di tornare indietro a studiare..” (Filippine - infermiera)

 

 

La maggior parte dei soggetti intervistati (56,7%) ha trovato l’attuale occupazione attraverso canali informali. Il 26,6% dichiara di aver trovato l’attuale lavoro da solo, chiedendo in giro o rispondendo a inserzioni sui giornali.

 

Tabella  d.1.8

Come hanno trovato l’attuale occupazione

%

 

attraverso conoscenze, amici, parenti, ecc.

56,7

 

da solo

26,6

 

non lavora

16,7

 

da solo

26,6

 

attraverso conoscenze, amici, parenti, ecc.

56,7

 

non lavora

16,7

 

Totale

100

 

Tabella  d.1.9

Come hanno trovato l’attuale occupazione

 

 

 

da solo

attraverso conoscenze, amici, parenti, ecc.

non lavora

 

centro Centro e sud americaAmerica

16,7

70,0

13,3

 

orienteOriente

26,3

64,4

9,3

 

nord Nord africaAfrica

26,4

47,2

26,4

 

medio Medio oriente

31,6

26,3

42,1

 

africaAfrica subsahariana e centrale

36,5

49,0

14,6

 

europaEuropa dell'est

22,1

58,1

19,8

Totale

26,6

56,7

16,7

 

 

 

I soggetti intervistati non sembrano infatti utilizzare le specifiche agenzie per la ricerca del lavoro (74.8%) e quando si rivolgono a qualche agenzia lo fanno soprattutto recandosi all’ufficio di collocamento, ma solo nel 7% dei casi . Nel nostro campione di nord africani e di mediorientali nessuno si è mai rivolto ai sindacati per trovare lavoro.

 

Tabella  d.1.10

Si è rivolto a qualche servizio specifico per trovare l’attuale occupazione

 

Centro e Sud America

Oriente

Nord Africa

Medio Oriente

Africa Subsahar e centrale

Europa dell’ Est

TOT

No

12,1

26.6

10,2

4,1

15,2

18,8

86,9

Si, ufficio di collocamento

1,4

0,2

1,4

0,5

2,6

1,0

7,1

Si, sindacato

0,2

1,0

0,0

0,0

1,2

0,2

2,6

Si, agenzia privata di collocamento

0,5

0,5

0,0

0,0

1,7

0,7

3,3

TOTALE

14,3

28,3

11,6

4,5

20,7

20,7

100

 

 

Se osserviamo come si modifica attraverso il tempo il lavoro, notiamo che più aumentano gli anni di permanenza in Italia e più si va verso la regolarizzazione, dal 28,1% di chi è arrivato negli ultimi due anni, al 73,9% di chi è venuto da oltre 15 anni  e decresce in maniera inversamente proporzionale il lavoro al nero. Decresce la disoccupazione che si avvicina alla media nazionale quindi con il tempo trovano il lavoro con la stessa probabilità degli italiani.

 

 

Tabella  d.1.11

La modalità di occupazione nel tempo

 

 

al nero

regolare

non lavora

 

fino a 3 anni

43,8

28,1

28,1

 

da 3 a 5 anni

21,1

60,5

18,4

 

da 6 a 10 anni

18,7

62,0

19,3

 

da 11 a 15 anni

11,7

79,8

8,5

 

oltre 15 anni

17,4

73,9

8,7

Totale

19,3

64,5

16,2

 

 

Inoltre attualmente sono occupati in modo regolare (64.5%) e stabile (67.1%), diminuisce leggermente la percentuale di chi dichiara di non lavorare (16,2%) poiché probabilmente può riconoscersi in chi non ha un lavoro stabile (17,8)

 

Tabelle  d.1.12

 

Tabelle  d.1.13

Che tipo di occupazione svolge

%

 

Con quale modalità è occupato

%

saltuaria

17,8

 

al nero

18,8

stabile

67,1

 

regolare

64,9

non lavora

15,2

 

non lavora

16,3

Totale

100

 

Totale

100

 

 

 

Tabella  d.1.14

La modalità di occupazione secondo la zona geografica di provenienza

 

Centro e Sud America

Oriente

Nord Africa

Medio Oriente

Africa Subsahar e centrale

Europa dell’Est

TOT

Al nero

4

3.8

1.7

0.2

4.3

5

18.9

Regolare

8

22.7

6.9

2.1

13.5

11.3

64.5

Non lavora

1.9

2.4

3.3

2.1

3.3

3.5

16.5

TOTALE

13.9

28.8

11.8

4.5

21

19.9

100

 

Tra le persone che arrivano dal Medio Oriente quasi la metà  (42,1%) dichiara di non lavorare e poiché, alla domanda su qual è la sua attività lavorativa, sono le donne a dichiarare di non avere nessuna occupazione, possiamo dedurre che siano le mogli delle coppie mediorientali a non lavorare. Sebbene non è possibile fare una comparazione tra le diverse aree geografiche, poiché il campione  non è stato scelto secondo questo criterio, non possiamo non notare che per le altre aree geografiche di provenienza  lavorano con maggiore frequenza entrambi i coniugi.

 

Tabella  d.1.15

Attività lavorativa ripartita per zona geografica di provenienza

 

 

nessuna

lavoro manuale non qualificato

lavoro manuale qualificato

impiegato di basso livello

piccolo imprenditore

impiegato di livello medio

professionista-imprenditore-dirigente

lavori vari precari

 

centro Centro e sud americaAmerica

13,3

45,0

11,7

10,0

6,7

3,3

8,3

1,7

 

orienteOriente

8,1

37,1

12,9

4,0

33,1

3,2

0,0

1,6

 

nord Nord africaAfrica

25,5

32,7

12,7

10,9

10,9

3,6

1,8

1,8

 

medio Medio oriente

42,1

10,5

0,0

5,3

0,0

5,3

31,6

5,3

 

africaAfrica subsahariana subsahar. e centralecentr.

18,2

25,3

11,1

18,2

9,1

9,1

6,1

3,0

 

europaEuropa dell'est

18,4

40,2

17,2

10,3

0,0

3,4

6,9

3,4

Totale

16,7

34,5

12,6

10,1

13,5

4,7

5,4

2,5

 

 

I soggetti intervistati sono praticamente equi distribuiti tra chi è iscritto (55.5%) e chi no (44.5%) all’ufficio di collocamento. Più della metà dei soggetti intervistati in Italia centrale non è iscritta (52.5%) scende invece la percentuale al nord e al sud Italia.

 

 

 

Tabella  d.1.16

Iscrizione all'ufficio di collocamento secondo area di residenza

 

 

Nord

Centro

Sud e Isole

 

si

41,2

33,3

25,4

 

no

28,4

52,5

19,1

TOTALE

35,5

41,8

22,6

 

Rispetto alla qualità della vita cambiare frequentemente lavoro è un elemento di instabilità e insicurezza sociale ed economica che non può non essere preso in considerazione quand’anche si dichiari di avere attualmente un’occupazione. Nel nostro campione dal loro  arrivo in Italia i soggetti intervistati sono stati impegnati in lavori vari e non  qualificati (48%), o sempre nella stessa tipologia lavorativa ma in situazioni diverse (20.8%) non ha cambiato occupazione solo 21,9% .

 

 

Tabella  d.1.17

 

zona georgrafica di provenienza

 

Centro e Sud America

Oriente

Nord Africa

Medio Oriente

Africa Subsahar e centrale

Europa dell’ Est

Diversi e non qualificati

14,2

20,1

14,2

2,9

31,9

16,7

solo quello attuale

17,6

42,9

6,6

2,2

3,3

27,5

nessuno: non ha mai lavorato

2,6

10,3

20,5

15,4

20,5

30,8

sempre lo stesso, ma in situazioni diverse

12,4

39,3

12,4

3,4

16,9

15,7

prima del lavoro attuale non ha mai lavorato

0

0

0

50,0

0

50,0

Totale

57,0

119,0

54,0

18,0

91,0

86,0

 

Inoltre il processo di inserimento lavorativo procede prevalentemente attraverso un passaggio attraverso un’iniziale precarietà, ma soprattutto si tratta di lavori al nero che spesso coincidono con l’iniziale irregolarità rispetto alla presenza in Italia.

 Al loro primo lavoro in Italia erano occupati al nero (61.9%) e in modo saltuario (47.9%).

 

Tabella  d.1.1817

Con quale modalità era occupato al suo primo lavoro in Italia

%

 

al nero

61,9

 

è quello attuale

4,5

 

non ha mai lavorato

9,2

 

prima del lavoro attuale non ha mai lavorato

0,7

 

regolare

23,8

 

Totale

100

 

Tabella  d.1.1918

Di che tipo era la sua prima occupazione in Italia

%

 

saltuaria

47,9

 

stabile

37,9

 

non ha mai lavorato

9,3

 

è quella attuale

4,3

 

prima del lavoro attuale non ha mai lavorato

0,7

 

Totale

100

 

 

Tabella  d.1.2019

La modalità di occupazione secondo il tempo di permanenza in Italia

 

 

Con quale modalità è occupato

Totale

 

 

al nero

regolare

non lavora

 

 

fino a 2 anni

43,7

28,1

28,1

100

 

da 3 a 5 anni

21,0

60,5

18,4

100

 

da 6 a 10 anni

18,7

62,0

19,3

100

 

da 11 a 15 anni

11,7

79,8

8,5

100

 

oltre 15 anni

17,4

73,9

8,7

100

Totale

19,3

64,5

16,2

100

 

Oltre alla precarietà e all’irregolarità  il primo lavoro in cui sono stati impegnati in Italia è stato manuale non qualificato (60,1%)in una percentuale quasi raddoppiata rispetto al lavoro attuale. Cresce anche la percentuale di non si è rivolto a nessuna agenzia specifica per trovare il primo lavoro (81,8%) e sale la percentuale di chi ha utilizzato canali informali, come parenti o conoscenti arrivati in Italia precedentemente o attraverso canali religiosi.

Solo il 14,8 degli intervistati ha partecipato a qualche corso di formazione o di avviamento al lavoro, nonostante un sempre maggiore investimento viene fatto a livello europeo con lo stanziamento di fondi strutturali riservati all’integrazione nel mondo del lavoro di immigrati in cerca di occupazione, la percentuale di coloro che ne usufruiscono è bassa nel campione preso in esame. (tab.d.1.2423)

 

Tabella  d.1.2210

Qual è stato il suo primo lavoro in Italia

%

 

lavoro manuale non qualificato

60,1

 

quello attuale

14,9

 

nessuno: non ha mai lavorato

10,3

 

lavoro manuale qualificato

6,0

 

impiegato di basso livello

3,1

 

lavori vari precari

2,4

 

piccolo imprenditore

1,7

 

impiegato di livello medio

0,5

 

professionista-imprenditore-dirigente

0,5

 

prima del lavoro attuale non lavorava

0,5

 

nessuno: non ha mai lavorato

10,3

 

lavoro manuale non qualificato

60,1

 

lavoro manuale qualificato

6,0

 

impiegato di basso livello

3,1

 

piccolo imprenditore

1,7

 

impiegato di livello medio

0,5

 

professionista-imprenditore-dirigente

0,5

 

lavori vari precari

2,4

 

quello attuale

14,9

 

prima del lavoro attuale non lavorava

0,5

 

Totale

100

 

Tabella  d.1.2221

Si è rivolto a qualche servizio specifico per trovare il suo primo lavoro in Italia

%

 

No

81,8

 

non ha mai lavorato

6,7

 

si, agenzia privata di collocamento

2,6

 

Si, sindacato

1,2

 

Si, ufficio di collocamento

7,7

 

Totale

100

 

 

 

 

 

Tabella  d.1.2322

Come ha trovato il suo primo lavoro in Italia

%

 

attraverso amici, conoscenti, parenti, ecc.

72,1

 

da solo

17,5

 

non ha mai lavorato

10,4

 

Totale

100

 

Tabella  d.1.2423

Da quando è in Italia ha mai partecipato a corsi di formazione o di avviamento al lavoro

%

 

No

85,2

 

Si

14,8

 

Totale

100

                                                                                                                                            

Prima di emigrare in Italia, il 15,5% era studente e solo all’arrivo in Italia si è inserito nel mondo del lavoro, il 12,9% era impiegato in lavori manuali non qualificati rispetto al 34,5% che lo è attualmente, il 17,2% era disoccupato prima della partenza. C’è un abbassamento della qualifica lavorativa rispetto a quella avuta nei rispettivi Paesi d’origine, nonostante questo possa avere un’incidenza rispetto alla realizzazione personale solo il 22,4% si dichiara non soddisfatto, mentre quasi la metà dichiara piena soddisfazione (48,1%). Ma da dove arriva la soddisfazione allora ? Il 14,5% con si e no sottolinea la distinzione tra soddisfazione per quel che riguarda il piano economico e insoddisfazione per il tipo di lavoro svolto.  

 

§       “ .. nel mio Paese lavoravo facendo quello per cui ho studiato però venendo qua ho visto che economicamente stavo meglio facendo altri lavori. Domestica, perché la laurea nostra non è valida e quindi dobbiamo adattarci a fare questi lavori, ma economicamente si stà bene e allora non è tanto peso.”(Colombia)

 

Ma c’è anche chi ha la percezione di un’evoluzione che sta avvenendo 

 

§       “.. sto in una ditta e in 4 anni sto salendo di livello , all’inizio operaio comune avevo 1.200.000 come stipendio, poi qualificato e ora specialista ..”  (Serbia)

 

E chi dichiara la piena soddisfazione e la realizzazione dei desideri che aveva prima della partenza

 

§       “.. a me va bene questo (lavoro) ho realizzato quello che volevo. Ho comprato la casa in Tunisia , poi questa a Roma, i figli studiano, stiamo bene.” (Tunisia)

 

La soddisfazione inoltre aumenta al passare del tempo, dopo due anni dall’arrivo è il 21,9% a dichiararsi soddisfatto , ma dopo i primi 10 anni  questa quota supera il 60%.


 

Tabella  d.1.2524

Soddisfazione per l’attuale occupazione secondo gli anni di permanenza in Italia

 

 

E' soddisfatto della sua attuale occupazione

 

 

No

Si

Si e no

Non lavora

 

fino a 2 anni

34,4

21,9

12,5

31,3

 

da 3 a 5 anni

28,4

36,5

18,9

16,2

 

da 6 a 10 anni

22,1

46,0

16,6

15,3

 

da 11 a 15 anni

20,0

61,1

10,0

8,9

 

oltre 15 anni

17,0

61,7

10,6

10,6

Totale

23,2

47,5

14,5

14,8

 

Tabella  d.1.2625

Occupazione svolta nel proprio paese d’origine

 

Centro e Sud America

Oriente

Nord Africa

Medio Oriente

Africa Subsahar e centrale

Europa dell’ Est

TOT

Nessuna

1.7

6.4

2.9

1

2.9

2.4

17.2

Studente

1.2

4.3

1.9

1.9

5.3

1

15.5

Lavoro manuale non qualificato

1.4

4.1

2.1

0.2

2.9

2.4

13.1

Lavoro manuale qualificato

2.1

4.3

1.2

0

2.4

4.3

14.3

Impiegato di basso livello

1

2.4

0.5

0.2

2.1

3.8

10

Piccolo imprenditore

1

2.4

1.7

0

1.4

1

7.4

Impiegato di livello medio

4.1

4.3

0.5

0.7

3.1

3.6

16.2

Professionista-dirigente-imprenditore

1.7

1

0.7

0.2

0

1.9

5.5

Lavori vari precari

0.2

0.2

0.2

0

0

0

0.7

TOTALE

14.3

29.4

11.7

4.3

20

20.3

100

 

 

Inoltre la soddisfazione è collegata alle aspettative e ai desideri presenti prima della partenza.

I desideri e le aspettative sono legate a studi o esperienze già avute nel proprio Paese ma c’è anche chi desidererebbe un lavoro attraverso il quale raggiungere una maggiore integrazione:

 

§       il  lavoro che facevo al mio Paese, ma visto che non è possibile almeno qualcosa che permetta di socializzare di più con gli italiani.” (Colombia).

 

Solo l’11,8% risponde qualunque lavoro pur di lavorare.   

 

Tabella  d.1.2726

Che lavoro le sarebbe piaciuto fare in Italia

%

 

indica una specifica occupazione

35,0

 

quello attuale

25,1

 

qualunque

11,8

 

quello svolto nel proprio paese

11,0

 

non lo so

7,7

 

attinente agli studi

6,6

 

quello che svolgeva nel proprio paese e che era attinente

1,5

 

quello attuale, che è anche quello che facevo nel mio paese

1,3

 

Totale

100

 

Tabella  d.1.2827

Che lavoro le sarebbe piaciuto fare in Italia

E' soddisfatto della sua attuale occupazione

 

No

Si

Si e no

Non lavora

qualunque

19,0

47,6

2,4

31,0

quello attuale

6,3

85,4

7,3

1,0

attinente agli studi

26,9

30,8

23,1

19,2

quello svolto nel proprio paese

35,7

28,6

16,7

19,0

non lo so

10,3

48,3

24,1

17,2

indica una specifica occupazione

34,3

34,3

18,2

13,1

quello che svolgeva nel proprio paese e che era attinente

0

16,7

50,0

33,3

quello attuale, che è anche quello che facevo nel mio paese

20,0

80,0

0

0

Totale

22,7

49,1

14,6

13,6


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E - Lo spazio e il tempo

 

§       Lo spazio della casa

§       Il tempo : relazioni sociali e tempo libero

§       Il tempo della burocrazia

§       Tempo e spazio per la religione

 

 

Indicatori importanti per la qualità della vita sono sicuramente lo spazio e il tempo. Lo spazio inteso come spazio fisico in cui si vive, l’attuale abitazione , o la casa che si è lasciata, lo spazio inteso come luoghi frequentati e quindi lo spazio pubblico o privato che si condivide con altri, lo spazio sanitario al quale si ricorre maggiormente, lo spazio educativo al quale hanno accesso i figli e al quale sentono di avere accesso i genitori. E accanto a questo lo spazio della nostalgia, lo spazio delle generazioni e dei rapporti con la famiglia che è rimasta a casa. Il tempo inteso come il tempo libero dal lavoro, il tempo trascorso con gli amici o con la famiglia, il tempo del vagheggiamento del ritorno, il tempo della burocrazia.

 

E.1) Lo spazio della casa

Lo spazio che la famiglia maggiormente condivide  è senza dubbio la casa. Come già accennavamo precedentemente gran parte delle interviste sono state somministrate andando a casa delle famiglie, molti  intervistatori sono entrati nel mondo familiare e negli spazi abitativi, spesso sono stati invitati a cena o hanno guardato insieme le fotografie di famiglia. Le impressioni delle persone che hanno fatto questa esperienza hanno arricchito i dati che emergono dai soli numeri, allora la ricostruzione di uno spazio ricco di tanti oggetti che ricordano la casa lasciata o la cura con cui anche in uno spazio esiguo viene ricavato un angolo per i bambini, sono tutte cose che non possono essere descritte dalle tabelle che seguono, che ci riportano comunque a dati dai quali emerge che la maggior parte delle famiglie  vive in appartamenti condominiali (79,2%) e in affitto regolare (75,9%); dato che confermerebbe la tendenza a trovare soluzioni abitative adeguate per una famiglia, (come veniva già previsto nel I° rapporto sull’integrazione degli immigrati in Italia) piuttosto che strutture di accoglienza e pensionati e sempre più attraverso regolari contratti d’affitto. Solo l’8% dichiara infatti%). Solo l’8% dichiara di essere in affitto al nero e il 2,2% di essere in affitto con altre persone. Vive presso il datore di lavoro lo  0,9 % delle famiglie intervistate indice del fatto che è più difficile che questo si verifichi quando c’è un’intera famiglia con figli che si è spostata dal luogo di origine e che deve adattarsi ai molti limiti posti da questa condizione (tab. e.1.1 e tab. e.1.2)

 

 

§       “…adattarsi ad una minore libertà dovendo vivere a casa dei datori di lavoro…” (Filippine).  

 

 

Nel 3,1% che non paga l’affitto sono collocati coloro i quali abitano in case messe a disposizione dalle Ditte per le quali lavorano o da istituti religiosi, ma soprattutto si tratta di famiglie cinesi che vivono in laboratori o magazzini dove lavorano . Il 9,8% degli intervistati è proprietario della casa dove vive

 

 

§       “Tu pensa che questa casa qui in 4 anni 8 mesi e 10 giorni io l’ho comprata, era il mio punto.. non di riferimento… da dire io devo comprare la casa perché se un domani rimango senza lavoro cosa faccio? Devo pagare l’affitto.. e chi me lo paga? Dove vado? Chi conosco? Allora se io c’ho la casa mia, come dicono ‘pane e cipolla’ e vado avanti, questo in caso che non trovavo lavoro e invece ho sempre lavorato!”(Eritrea).

 

 

Il condominio è un’esperienza nuova  per molte persone che appartengono a culture dove lo spazio dove si vive è condiviso o diviso tra persone appartenenti alla stessa famiglia o dove il vicinato significa amicizia e condivisione:

 

 

§       “… amicizia qui si trova pochissimo. Guarda nel palazzo dove abito io sono già 6 anni che abito là e conosco solo una signora le altre niente… in Nigeria … hai un sacco di gente che ti stà vicina però qua anche se ti muore una persona troppo cara, niente, sei sola per me è brutto!”.

 

 

Per abitazione unifamiliare (4,4%) si intende piccole case indipendenti spesso locali appartenenti a condomini, precedentemente utilizzati come attrezzerie, con entrate di servizio separate dall’entrata principale. I laboratori o magazzini dove dichiarano di vivere il 3,1% degli intervistati possono essere dei capannoni grandi fino a 400 mq. Se togliamo dal conteggio questi locali cosi grandi, che in realtà non hanno nessuna caratteristica di abitazione e per i quali calcolare lo spazio realmente a disposizione per la vita privata di ognuno non è possibile, le abitazioni sono in media di circa 68 mq[2]  (la casa media, esclusi i laboratori/abitazione, ha una superficie di 68,07 mq a disposizione dei 4,2 occupanti; includendo i laboratori la superficie media sale a 80,23 mq, e la media di persone che ci vivono arriva a 4,9).

 

 

Tabella e.1.1

 

Tipo di abitazione

%

 

appartamento condominiale

79,2

 

monolocale

7,5

 

abitazione unifamiliare

4,4

 

laboratorio/magazzino dove lavora

3,1

 

villetta plurifamiliare

2,7

 

vive presso il datore di lavoro

1,3

 

palazzina bifamiliare

0,9

 

altro

0,9

 

Totale

100

 

 

 

Tabella e.1.2

 

La sua abitazione è

%

 

in affitto regolare

75,9

 

di proprietà

9,8

 

in affitto al nero

8,0

 

non paga affitto

3,1

 

in affitto con altre persone

2,2

 

vive presso il datore di lavoro

0,9

 

Totale

100

 

Le abitazioni hanno in media 2,59 stanze e sono abitate da 5 persone.

Inoltre si tratta di abitazioni che non dispongono di accessori quali terrazzi, giardino, garage, ecc. nel 43,0% dei casi. Quando invece ne dispongono si tratta di terrazza/balcone (21,5%) oppure di terrazza e garage (5,5%).

 

Tabella e.1.3

 

La sua casa dispone di

%

 

nessuna opzione

43,0

 

terrazza/balcone

21,5

 

altro

15,7

 

cantina

10,6

 

terrazza/balcone e garage

5,5

 

terrazza/balcone e giardino

3,7

 

Totale

100

 

Abbiamo visto che in media il nostro campione è arrivato in Italia da 9,3 anni , le famiglie intervistate risiedono nella attuale abitazione da meno di quattro anni nel 56,3% dei casi e l’81,6% risponde di non aver abitato sempre nella stessa casa da quando è arrivato, ciò vuol dire che si sono dovuti riadattare a nuovi tessuti sociali e spesso a zone d’Italia estremamente diverse da quelle dove avevano vissuto in precedenza, quindi al grande sentimento di sradicamento dalla propria terra d’origine sono seguiti nuovi adattamenti: fisici, di relazione, ma anche di contesto

 

§       “Il razzismo qui al nord si sente molto, al sud (primo arrivo a Palermo) la gente è più socievole, anche se non capisci la gente prova a capirti, si può toccare la frutta al mercato, ci siamo sentiti immigrati invece qui a Modena, però capisci che non è la gente è il sistema.” (Ghana) .

 

 

 

 

 

Tabella e.1.4

Da quanti anni abita nella sua attuale casa

%

 

0-3 anni

 

56,3

 

4-9 anni

 

35,9

 

10-20 anni

 

7,8

 

Totale

 

100

 

 

Nel trovare la casa solo il 36,5% dichiara di non aver avuto difficoltà (tab e.1.6), che sono state soprattutto economiche[3] e per il fatto di essere straniero, inoltre nella maggior parte dei casi (60,8%) per trovare la casa si sono utilizzati canali informali, spesso l’aiuto di amici, conoscenti o colleghi di lavoro, soprattutto italiani, tramiti fondamentali per vincere la diffidenza di chi si rifiutava di affittare la casa a una famiglia straniera.

Nel trovare la casa solo il 36,5% dichiara di non aver avuto difficoltà (tab e.1.6), che sono state soprattutto economiche e per il fatto di essere straniero , inoltre nella maggior parte dei casi (60,8%) per trovare la casa ci si sono utilizzati canali informali, spesso l’aiuto di amici, conoscenti o colleghi di lavoro, soprattutto italiani, è stato fondamentale per vincere la diffidenza di chi si rifiutava di affittare la casa a una famiglia straniera.

 

§       “…si perché alcuni pensano uno straniero non sa mantenere un appartamento, che lo sporca e allora dice che non ce l’ha. Addirittura uno mi ha detto se ti do l’appartamento non deve venire tua moglie perché le donne africane sporcano la casa.” (Nigeria)

 

 

§       “..quando cerchi l’alloggio qualche volta non te lo danno perché sei straniero, se va un compagno di lavoro dicono che c’è l’appartamento, se vai tu dicono che non c’è.” (Nigeria)

 

 

Tabella e.1.5

 

Come ha trovato casa

%

 

attraverso conoscenze, amici, parenti

60,8

 

attraverso agenzia immobiliare

20,9

 

da solo

17,4

 

Altro

0,9

 

Totale

100

 

Le difficoltà a trovare la casa perché straniero scende solo dopo i 10 anni di permanenza in Italia, ma non per gli altri motivi. Questo dato conferma il dato emerso da altre ricerche[4] che una delle difficoltà maggiori che incontrano gli immigrati riguarda l’abitazione e questo può rappresentare un elemento di insicurezza e di difficoltà nel più ampio processo di integrazione.

 

Le difficoltà a trovare la casa perché straniero scende solo dopo i 10 anni di permanenza in Italia

 

Tabella e.1.6

Ci sono state delle difficoltà a trovare casa

%

 

No

36,5

 

Si, di tipo economico

28,7

 

Si, per essere straniero

20,7

 

Si, di tipo economico e perché sono straniero

5,6

 

altro

5,6

 

Si, di tipo economico e non abitabili

2,9

 

Totale

100

 

Tabella e.1.7

Ci sono state delle difficoltà a trovare casa secondo zona geografica di provenienza

 

 

centro Centro e sud americaAmerica

orienteOriente

nord Nord africaAfrica

medio Medio oriente

africaAfrica subsahariana e centrale

europaEuropa dell'est

 

Nessuna

14,7

29,3

13,3

6,0

19,3

17,3

 

Si, di tipo economico

16,1

28,8

15,3

6,8

21,2

11,9

 

Si, per essere straniero

9,4

21,2

10,6

 

28,2

30,6

 

altro

17,4

8,7

26,1

8,7

17,4

21,7

 

 

§       “.. magari trovavi la casa, poi andavi, guardavi, parlavi del prezzo, poi dicevi sono albanese.. e più di una volta dicevano si, si ti faremo sapere”(Albania)

 

La soddisfazione per l’attuale abitazione 57,1% tiene conto anche del fatto che il 59,8% ha trascorso periodi in precedenza in cui ha dovuto coabitare con altre persone che non erano familiari (tab. e.1.9 e tab. e.1.14).

 

 

§       “Prima vivevamo in una casa grande ma con molte famiglie eravamo quasi in 15 con due bagni e tre grandi camere in ogni camera ci stavano 2 famiglie c’era il caos..” (Filippine)

 

 

Il motivo di maggiore insoddisfazione è la dimensione , troppo piccola per il 24,8% . Abitare in uno spazio esiguo incide fortemente sulla qualità della vita di queste famiglie , che arriva ad essere una vita di limitazioni ancor maggiore quando l’incontro con le situazioni italiane più svantaggiate definisce l’emarginazione anche sullo spazio davanti alla porta di casa, come nel caso dei ‘bassi napoletani’ di 16 mq. , dove il marciapiede antistante diventa lo spazio per sedersi all’aperto.

 

 

§       “.. i vicini dicono che noi non siamo napoletani, .. io lavoro tutto il giorno e devo litigare per un pezzo di marciapiede per stendere i panni..” (Senegal).

 

 

Tabella e.1.8

Da quando è in Italia ha sempre abitato nella stessa casa

%

 

No

81,6

 

si

18,4

 

Totale

100

 

Tabella e.1.9

E' soddisfatto della sua attuale abitazione

%

 

Si

57,1

 

No, perché è piccola

24,8

 

No, perché è uno scantinato-magazzino-laboratorio

5,1

 

No, perché è costosa

3,9

 

altro

9,0

 

Totale

100

 

Tabella e.1.10

Se potesse, cosa cambierebbe della sua attuale casa

%

 

la farei più grande

29,6

 

niente

24,5

 

tutto

18,4

 

altro

14,1

 

i mobili/l'arredamento

13,3

 

Totale

100

 

La maggior parte dei soggetti intervistati da quando è in Italia non ha mai dormito presso un dormitorio (82.9%), né presso un “centro di prima accoglienza” (90,0%), né si è trovato a dormire per strada (87.7%). Questo dato sembrerebbe contrastare con l’enorme richiesta di posti letto nei Centri di Accoglienza[5] , ma collocato sempre nel campione, rappresentato da famiglie con figli, risulta difficilmente confrontabile con l’intero universo degli immigrati.

 

 

Tabella e.1.11

Da quando è in Italia ha mai dormito presso un dormitorio

%

 

No

82,9

 

Si

17,1

 

Totale

100

 

 

Tabella e.1.12

E' stato ospite presso uno dei cosiddetti centri di prima accoglienza

%

 

No

90,0

 

Si

10,0

 

Totale

100

 

 

Tabella e.1.13

Da quando è in Italia si è trovato nella condizione di dover dormire per strada

%

 

Si

12,3

 

No

87,7

 

Totale

100,0

 

 

Tabella e.1.14

Ci sono stati periodi che ha dovuto coabitare con persone non familiari

%

 

Si

59,8

 

No

40,2

 

Totale

100

 

Rispetto all’abitazione  nel proprio paese quella attuale è migliore solo nel 28,7% dei casi, soprattutto tra gli intervistati del Centro e Sud America e tra gli intervistati dell’Europa dell’Est  la maggior parte la considera migliore, altrimenti è peggiore (33,2%) soprattutto per gli orientali , che ricordiamo vivono nei laboratori dove lavorano, più piccola (26,2%).[6]

 

Tabella e.1.15

Rispetto alla casa nel suo paese, la sua abitazione attuale è

%

 

peggiore

33,2

 

migliore

28,7

 

piccola

26,2

 

nessuna differenza

7,4

 

altro

4,5

 

I motivi per cui sono considerate peggiori sono molti, riportiamo qui degli esempi.

 

§       “.. in casa c’è la muffa un sacco di riparazioni da fare e la padrona non vuole fare niente e poi mio figlio allergico che non può respirare la muffa e a casa c’è la muffa, l’umidità non c’è il riscaldamento…”  (Mauritius)

 

§       “.. (appartamento del custode) questa casa dentro ci piace , però il problema è che non si può aprire una finestra, perché sempre passano qua gente per garage, noi non è libero come casa.. qualcuno amico non può venire per mangiare… non puoi respirare aria perché quando queste finestre quando aperto vedono tutti da fuori allora un po’ di difficoltà..”  (Sri Lanka)

 

§       “E’ piccola , non c’è ascensore e non è pulita, questo palazzo è troppo vecchio, guarda l’estate tu non puoi stare qui perché c’è troppi scarafaggi…”  (Marocco)

 

§       “E’ più moderna nei materiali, la nostra casa di Addis Abeba era di fango, la casa tipica etiope, era spaziosa , due camere, un salotto, la cucina, il box, poi aveva un cortile. Questa casa è più moderna nei materiali da costruzione però come spazio e comodità no .. la nostra era di fango, ma era comoda, questa casa invece è scomoda, non c’è lo spazio dove i miei figli possono giocare e io e mio marito non abbiamo privacy” (Eritrea)

 

 

 

 


E.2) Il tempo : relazioni sociali e tempo libero

Come abbiamo già avuto modo di introdurre nella prima parte la somministrazione delle interviste è avvenuta spesso in ore serali (talvolta dopo le 22.00) o durante i fine settimana per difficoltà legate alla mancanza di tempo libero dal lavoro e dalla difficoltà ad incontrare entrambi i coniugi nello stesso momento. Questo dato da solo ci fa riflettere sulla qualità della vita delle famiglie che abbiamo incontrato, che non è certo alta, nonché sull’enorme disponibilità mostrata nell’accoglierci nelle loro case rinunciando quel giorno a quel ‘tempo libero’ al fine di far conoscere la realtà quotidiana di chi spesso non ha voce per raccontarsi.

Un elemento che ci pare significativo sottolineare è la difficoltà ad adeguarsi ad un ritmo, da molti definito veloce, che è assolutamente nuovo per chi arriva da realtà dove i ritmi seguono maggiormente i cicli circadiani, tanto da essere uno dei motivi di cambiamento di vita da quando sono qui:

 

§       è cambiata tantissimo da una vita normale, tranquilla a una tutta stress perché qua si corre. La vita è sfrenata qua , non ha un minimo di tranquillità , sempre a correre tra bambini, la scuola, la casa e il lavoro..” (Filippine)

 

§       “…ritmo di vita che non è così agitato come qui, mi manca la tranquillità”(S. :Salvador)

 

Cambia il ritmo e cambiano gli orari :

 

§       “.. è cambiato l’orario del sonno” (Eritrea)

 

§       “… tutto è diverso, non abbiamo niente in comune, niente, niente proprio, persino l’orario di mangiare una cosa sciocca!” (Marocco)

 

Quando il tempo libero a disposizione è poco è difficile anche frequentare luoghi di ritrovo, risponde di non frequentare alcun luogo il 23,2% degli intervistati e se frequentano qualche luogo si tratta soprattutto di case di amici (35,4%) ,

 

§       “Non frequentiamo niente . Casa e basta. Lavoriamo, vengo, corri, corri, devo preparare, accompagnare i bambini .. di pomeriggio spesso devo preparare per il giorno dopo…”  (Albania)

 

oppure:

 

§       “… parlo con il mio amico, sto con la famiglia , con mio figlio” (Marocco)

 

Le attività del tempo libero sono fatte prevalentemente in casa (60,8%)

 

§       “noi il tempo libero lo dedichiamo alla casa e ai figli” (Filippine)

 

e tra quelle che si fanno fuori dalle mura domestiche ci sono soprattutto le passeggiate (5,6%) e l’andare a trovare gli amici (6,8%). Chi risponde nessuna (13,3%) aggiunge spesso che sta’ con la famiglia o con i figli proprio perché generalmente il ritmo di vita condotto non permette la vita di relazioni familiari che si desidererebbero:

 

§       “…non ti puoi permettere di passare qualche ora in più in famiglia e questo è importante! .. ma il tempo non si trova! E’ un ritmo pazzesco! Proprio non puoi trovare il tempo per te stesso e per la tua famiglia!” (Serbia)

 

 

 

Tabella e.2.1

Attività svolta nel tempo libero

%

 

In casa

60,8

 

Fuori casa

19,6

 

nessuna

13,3

 

altro

6,1

 

Totale

100

 

 

Sono quasi tutte donne che rispondono che tra le attività svolte nel tempo libero c’è la cucina (7,0% + 0,9%), che spesso significa preparare cibi del proprio Paese d’origine, oppure vedersi con altre donne e  cucinare insieme:

 

 

§       “..vado dalla mia amica prepariamo insieme la cena quasi ogni giorno, noi stiamo insieme così come oggi”  (Marocco)

 

 

Tabella e.2.2

Attività svolta nel tempo libero

%

 

nessuna

13,3

 

letture

8,4

 

ascolto musica

8,0

 

cucina

7,0

 

letture e ascolto musica

7,0

 

trovare gli amici

6,8

 

guardare la tv

6,1

 

"fai da te"

5,9

 

passeggiate

5,6

 

letture e tv

4,4

 

letture,musica, noleggio videocassette

3,5

 

ascolto musica e tv

3,5

 

noleggio videocassette

3,0

 

trovare gli amici,bar,sedi comunità,passeggiate,sale giochi

2,1

 

trovare gli amici e passeggiate

2,1

 

cucina,foto/video, musica

1,6

 

Ballo

1,4

 

dormire-riposare

1,2

 

guardare tv,letture,passeggiate

1,2

 

volontariato,cucinam amici

0,9

 

cinema,concerti,sagre,sedi comunità

0,7

 

altro

6,1

 

Totale

100

 

 

 

 

 

Tabella e.2.3

Luoghi frequentati nel tempo libero

%

 

casa di amici

35,4

 

nessuno

23,2

 

casa di amici,bar,sedi comunità d'appartenenza,sala giochi

9,2

 

chiesa e casa di amici

7,6

 

sedi delle comunità di appartenenza

3,4

 

cinema, concerti,sagre, sedi comunità di appartenenza

3,2

 

feste popolari/sagre

3,0

 

sedi comunità di appartenenza e casa di amici

2,8

 

pub, bar, birrerie

2,5

 

cinema e musei

0,9

 

concerti e sedi della comunità di appartenenza

0,9

 

centri sociali

0,7

 

chiesa,cinema e musei

0,5

 

musei

0,5

 

altro

6,2

 

Totale

100

 

La rete sociale, al di fuori dei momenti lavorativi, delle famiglie intervistate è costituita da connazionali e italiani (31,4%), oppure altri stranieri, connazionali e italiani (27,7%), oppure solo connazionali (26,0%). Ma se si chiede loro chi sono i loro amici i connazionali aumentano e diventano il 33,0%, risponde connazionali e italiani il 29,4% delle persone intervistate e altri stranieri, connazionali e italiani il 25,09% . Gli amici vengono frequentati soprattutto nel tempo libero senza che ci siano occasioni particolari (55,4%).

 

Tabella e.2.4

Chi frequenta nel tempo libero

%

 

connazionali e italiani

31,4

 

altri stranieri, connazionali e italiani

27,7

 

solo connazionali

26,0

 

solo italiani

3,5

 

altri stranieri e connazionali

2,8

 

altri stranieri

1,6

 

altro

7,0

 

Totale

100

 

 

 

Tabella e.2.5

 

Gli amici sono

%

 

solo connazionali

33,0

 

connazionali e italiani

29,4

 

altri stranieri, connazionali e italiani

25,0

 

solo italiani

6,2

 

altro

6,4

 

Totale

100

 

 

 

 

Tabella e.2.6

 

Chi frequenta nel tempo libero anni di permanenza in Italia

 

 

 

Chi frequenta nel tempo libero

 

 

 

solo connazionali

solo italiani

connazionali e italiani

altri stranieri

altri stranieri e connazionali

altri stranieri, connazionali e italiani

altro

 

fino a 2 anni

37,5

3,1

25,0

6,3

0,0

21,9

6,3

 

da 3 a 5 anni

33,3

2,7

25,3

0,0

2,7

25,3

10,7

 

da 6 a 10 anni

26,0

3,6

27,8

1,2

3,0

32,5

5,9

 

da 11 a 15 anni

24,2

3,3

35,2

3,3

4,4

25,3

4,4

 

oltre 15 anni

12,5

6,3

43,8

0,0

2,1

25,0

10,4

Totale

 

26,3

3,6

30,6

1,7

2,9

28,0

7,0

 

Se osserviamo l’andamento nel tempo delle frequentazioni e delle amicizie vediamo che le relazioni con gli italiani aumentano con gli anni , mentre tendono a diminuire quelle con i connazionali, possiamo parlare di una maggiore integrazione e di un bisogno maggiore all’inizio di ritrovarsi tra connazionali in quei reticoli sociali in cui si è accomunati dall’essere tutti immigrati dallo stesso Paese e di possedere i medesimi codici culturali.

Non avere gli strumenti per comprendere il contesto di arrivo e leggere i diversi comportamenti sociali rappresenta una difficoltà soprattutto all’inizio come ben descrive un marito intervistato al suo arrivo a Verona:

 

§       “Le difficoltà al primo impatto sono state legate al trovare la “chiusura” perché da noi il rapporto con la gente è socievole qui è tutto privatizzato ognuno vive per conto suo io in primo tempo dicevo: non ce la faccio a vivere qua voglio tornare laggiù. Il rapporto interpersonale era difficoltoso perché c’era quella diffidenza anche il salutare la gente per strada, non ti rispondevano, uno rimaneva male perché da noi è educato quando saluta…” (Guinea Bissau)

 

Tabella e.2.7

In quali occasioni frequenta gli amici

%

 

tempo libero

55,4

 

feste

13,2

 

tempo libero e feste

10,0

 

al lavoro e nel tempo libero

6,9

 

feste/funzioni religiose

4,4

 

al lavoro

3,7

 

ricorrenze come compleanni e onomastici

3,2

 

ricorrenze come compleanni, onomastici e feste tipiche

2,0

 

quando hanno bisogno di un aiuto

0,5

 

concerti musicali

0,5

 

funzioni religiose e tempo libero

0,2

 

Totale

100

 

Le relazioni sociali ed il rapporto con la città risentono delle paure che si possono avere nel contesto in cui si vive. La maggior parte degli intervistati dichiara che da quando è in Italia non ha avuto paura che facessero loro del male (70,4%) %) ma se si domanda se si è avuto paura che facessero del male al proprio coniuge  o ai figli da quando si trova in Italia la percentuale che risponde affermativamente cresce ed è il 58,8% in questo caso a rispondere no. Dati questi che confermerebbero quanto rilevato dalla ricerca di M. Merelli e M.G.Ruggerini (2000) sulla sicurezza , rispetto al fatto che per un campione di lunga permanenza in Italia la situazione rilevata denota che oltre la metà degli intervistati dichiara di non avere avuto paura per la sicurezza propria e della propria famiglia.

ma se si domanda se si è avuto paura che facessero del male al proprio coniuge  o ai figli da quando è in Italia la percentuale che risponde affermativamente cresce.

Episodi già subiti giustificano la paura del 19,8%, il 9,8% dichiara una paura generica, che va dalla paura di essere mandati via perché si è irregolarmente presenti in Italia,  alla paura di essere aggrediti perché stranieri, od offesi in luoghi pubblici per lo stesso motivo; dalla paura degli altri stranieri alle paure delle aggressioni, scippi, furti ‘come chiunque altro’.

 

§       “io ho tanta paura per la strada all’inizio perché eravamo irregolari paura delle persone in divisa che controllano i documenti , poi dei ragazzi per la strada che quando cammini ti inseguono e dicono cose brutte e una volta mi hanno spruzzato una bomboletta addosso.”( Colombia)

 

§       “le stesse paure che hanno tutti (italiani) purtroppo in Italia non c’è la certezza della pena .. quindi può succedere di tutto in strada di essere scippati , di essere.. le paure che hanno tutti insomma.”(Ghana)

 

Tabella e.2.8

Da quando è in Italia ha mai avuto paura che le facessero del male

%

 

No

70,4

 

SI, per episodi già subiti

19,8

 

Si

9,8

 

Totale

100

 

Tabella e.2.9

Da quando è in Italia ha mai avuto che facessero del male al suo coniuge e a suoi figli

%

 

No

58,8

 

Si

37,0

 

Si, perché siamo stranieri

4,3

 

Totale

100

 

Tra le paure ci sono anche quelle legate ad azioni che potrebbero essere intraprese nei loro confronti  dalle istituzioni italiane, come quella della sottrazione dei figli da parte dei Servizi Sociali , paure a volte giustificate dall’esperienza vissuta da altri:

Tra le paure ci sono anche quelle delle azioni che potrebbero subire da parte delle istituzioni italiane, come quella della sottrazione dei figli da parte dei Servizi Sociali , paure a volte giustificate dall’esperienza vissuta da altri:

 

§       “si , ho paura che succede come ai miei amici che gli hanno tolto i figli, poi sempre devi stare attento perché possono chiamare la Polizia e magari ci mandano via, devi stare buono sempre..” (Algeria)

 

Nella condizione di pericolo il 56,7% chiederebbe aiuto alle Forze dell’Ordine in particolare alla Polizia, anche se alcuni giustificano il loro chiedere aiuto ad amici o ai vicini di casa perché le Forze dell’Ordine , in particolare i Carabinieri chiederebbero subito: documenti!  Anche se vengono chiamati per una condizione di pericolo e questo chi sente di essere sempre controllato non lo riesce a connotare come una procedura normale quanto piuttosto come una discriminazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tabella e.2.10

Se lei o i suoi familiari vi trovaste in pericolo a chi chiederebbe aiuto

%

 

Forze dell'Ordine

56,7

 

dipende dal pericolo

9,7

 

Vicini di casa

7,0

 

Altro

6,5

 

alle forze dell'ordine e ai vicini di casa

6,2

 

Amici connazionali

5,2

 

alle forze dell'ordine e amici connazionali

4,0

 

Amici italiani

3,5

 

alle forze dell'ordine, ai vicini e agli amici connazionali

1,2

 

Totale

100

 

 

 

 

 

E.3) Il tempo della burocrazia

Un discorso a parte merita il tempo che viene richiesto loro per ‘essere in regola’ il tempo della burocrazia, rispetto al quale non viene percepita una durata certa, ne la possibilità di padroneggiarlo, ne tante volte la possibilità di comprenderlo.

Un discorso a parte merita il tempo rispetto al quale non viene percepita una durata certa, ne la possibilità di padroneggiarlo, ne tante volte la possibilità di comprenderlo, il tempo che viene richiesto loro per ‘essere in regola’ il tempo della burocrazia.

Se analizziamo in modo trasversale le interviste ci accorgiamo che in tutte le occasioni dove si esprimono difficoltà, ciò che emerge è proprio il difficile rapporto con la burocrazia italiana ed i suoi tempi. In genere viene raccontata la procedura per il rinnovo del permesso di soggiorno, ma non solo, riteniamo interessante dare spazio alle voci degli intervistati riportando dei brani delle interviste.

 

§       “ …il rinnovo del permesso di soggiorno anche dopo 23 anni che sto qui .. e poi i comportamenti non corretti della Questura sono un professionista perdo giorni di lavoro poi magari si arriva e dicono che non è pronto. E’ brutale vedere le file alle 4 di notte, quando piove, non si può trattare la gente in questo modo, mi ha turbato.(Iran)”

 

§       “il problema per noi è il permesso di soggiorno regolare (…) quando il permesso scade noi lo andiamo a rinnovare e troviamo un grande problema con la questura, il problema è che chiedono tutti documenti dalla A alla Z (..) Per prima cosa devi fare appuntamento, allora loro prendono 10 persone, per andare a prendere il permesso di soggiorno bisogna svegliare alle 4 di mattina, e io alle 4 mi sveglio solo per fare la fila e prendere appuntamento. Loro aprono alle 8 e mezza 9 e danno queste 10 prenotazioni, danno appuntamento tra 3, 4 mesi.. mò questo permesso di soggiorno è finito e io devo rispettare appuntamento e se scade la carta sanitaria per il bambino non la rinnovano perché ci vuole il permesso di soggiorno (…) poi non ci sono informazioni , poi manca sempre qualcosa … io sono qua da 10 anni, sono 10 anni che lavoro, sono in regola, tu sul computer non mi conosci? (..) questo è il problema che ti fanno stancare, sono 10 anni che sono qua e non è cambiato niente , mi sento lo stesso di quando sono entrato prima, lo stesso documento che chiedono , la stessa domanda, lo stesso non è cambiato niente e poi quando ti manca un foglio puf! …”(Zaire)

 

Alcune difficoltà che incontrano gli immigrati sono le stesse con cui si scontrano spesso anche gli italiani , ma vi giungono impreparati e spesso con meno speranza di poter aggirare gli ostacoli o risolvere i problemi burocratici.

 

§       “..le più grosse difficoltà le trovi quando vai in un ufficio, perché sembra che ti devono fare un favore invece di un servizio, sia alla posta, sia alla banca, sia all’anagrafe (…) poi oggi ti chiede di portare la penna poi domani ti dice porta la carta e ti ha fatto fare un’altra fila, non è che ti dice ci vuole la penna e ci vuole la carta (…) ‘ma signora non me l’aveva detto’ , e lei: ‘mi dispiace torni domani’. Questo è un altro mondo!” (Eritrea)

 

Problema segnalato da tutti coloro che provengono dalla Serbia è quello relativo alla patente di guida poiché non esistono accordi tra Italia e Serbia per la conversione della patente[7].

Problema segnalato da tutti coloro che provengono dalla Serbia è quello relativo alla patente di guida

 

§       ho una storia incredibile sulla patente di guida, per farla trasformare qui in qualcosa di valido.., questo non succede per i bosniaci, per i croati, ma solo per noi serbi, ho speso tanti soldi e tanti nervi per averla e alla fine ho dovuto rifare la teoria e la pratica e ora ho finalmente la patente..”

 

 

 

 

 

E.4) Tempo e spazio per la religione

Per la maggior parte dei soggetti intervistati la religione è importante, ha un valore fondante nella propria vita (73,1%). Vediamo allora se esiste un tempo e dei luoghi dove poter praticare la propria fede. La maggior parte di coloro che rispondono dicono di non aver trovato alcuna difficoltà a professare la loro religione (79,9%) , coloro che specificano il tipo di difficoltà fanno emergere la mancanza dei luoghi di culto nel 4,4% e la non concordanza tra i giorni di festa cattolici ed i propri (3,7%): 

 

§       “..difficoltà si, abbiamo i nostri mesi in cui cambiano l’orario di festa, l’orario di lavoro, abbiamo il nostro mangiare diverso, noi abbiamo bisogno di svegliarci alle 7 e abbiamo una giornata di digiuno, qua siamo costretti ad andare a lavorare, io chiedo il permesso, ma c’è chi non lo può fare…”(Marocco)

 

Ma c’è anche chi, pur professando la stessa religione cattolica trova delle differenze culturali e nella ritualità che li fa sentire estranei e lontani rispetto al modo di vivere la cerimonia religiosa:

 

§       “se c’è una difficoltà è che arrivando noi anche se abbiamo la stessa religione siamo abituati a manifestare la fede in modo diverso, da noi la messa va cantata è una gioia, una festa, invece qua è un cerimoniale lontano…” (Guinea Bissau)

 


 

Tabella e.4.1

Che valore ha per lei la religione

%

 

è importante, fondamentale

73,1

 

poco valore

14,3

 

non professo nessuna religione- nessun valore

10,6

 

altro

2,0

 

Totale

100

 

Tabella e.4.2

Ha difficoltà a praticare la sua religione in Italia

%

 

No

79,9

 

Non pratica nessuna religione

6,3

 

Si

4,9

 

Si, perché non ci sono le nostre chiese

4,4

 

Si, per orari/giorni festivi diversi

3,7

 

altro

0,7

 

Totale

100

 

Inoltre la religione ha un valore di continuità con la propria cultura, la propria famiglia, la propria appartenenza , praticamente nessuno da quando è in Italia ha cambiato religione (98%). La famiglia d’origine che è rimasta a casa si erige a sentinella del mantenimento dei valori culturali e soprattutto religiosi.

 

§       “…hanno paura che rimaniamo, che perdiamo.. sai come in Senegal vedono l’Italia perché c’è il Vaticano c’è un’altra religione, altre cose… pensano che non ritorniamo più .. hanno paura perché ogni volta che chiami dicono: guarda, ricordati che tu sei del Senegal, sei di qua…”

 

Inoltre praticamente nessuno da quando è in Italia ha cambiato religione (98%)

 

Tabella e.4.3

Vivendo in Italia si è trovato nella condizione di cambiare religione

%

 

No

98,0

 

Si

2,0

 

Totale

100

 

I soggetti intervistati pensano che per i propri figli la religione avrà lo stesso valore che ha per loro (64,2%). Mentre per un 23,7% la scelta viene lasciata a loro, forse consapevoli della difficoltà di trasmettere dei valori diversi da quelli prevalenti nel Paese dove vivono anche per la mancanza della generazione anziana, in molte culture delegata a tale compito.

 

§       “.. da quando sono nato ho sentito i nonni che dicevano che c’è un Dio solo Allah  e Maometto e allora.. è importante che io credo.” (Tunisia)

 

§       “Io faccio di tutto perché loro seguano la mia religione, la grande fa anche lei il digiuno e non le pesa è come la dieta, certo non  arriverò mai a farle mettere il fazzoletto, non so se ci riuscirò ma è una cosa che mi fa star male perché son sicura che non lo farà.”(Marocco)

 

Tabella e.4.4

Che valore pensa che avrà la religione per i suoi figli

%

 

lo stesso che ha per me

64,2

 

decideranno loro

23,7

 

non lo so

8,1

 

migliore di quello che ha per me

3,0

 

altro

1,1

 

Totale

100

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

F- L'accesso ai Servizi Sanitari

 

 

La maggior parte delle famiglie immigrate intervistate utilizza il Servizio Sanitario e usufruisce delle prestazione sanitarie al pari dei cittadini italiani e ciò può essere considerato come un indice di integrazione nella società di accoglienza. Senza dubbio il percorso di integrazione delle famiglie immigrate intervistate dipende anche dalle caratteristiche del campione: si tratta di famiglie con una permanenza media di 10 anni in Italia, giovani (età media 37 anni), che hanno un regolare permesso di soggiorno, hanno un'occupazione e una buona situazione alloggiativa e trovano nel nucleo familiare un adeguato sostegno psico-affettivo. L'insieme di questi fattori, che vengono definiti di tipo sociale, ha una grande rilevanza nel determinare le condizioni di vita globali delle persone immigrate influenzando di conseguenza il loro stato di salute, per cui si può dire che complessivamente le famiglie immigrate intervistate stanno portando avanti  con successo il loro progetto migratorio e ciò ha giocato a favore di una maggiore e più facile integrazione nella società italiana.

 

Per quanto riguarda l'accesso ai Servizi Sanitari i dati emersi ci indicano che la grande maggioranza delle famiglie intervistate è iscritta al Servizio Sanitario Nazionale (88.2%) e quindi  ha anche scelto il medico di base (88.2%). [8]

Tuttavia esiste quasi un 12% delle famiglie del nostro campione che non è iscritta al Servizio Sanitario Nazionale e che risente delle problematiche della cattiva informazione sui diritti/doveri riguardo all’assistenza sanitaria e ospedaliera per gli immigrati in Italia.Per quanto riguarda l'accesso ai Servizi Sanitari i dati emersi ci indicano che la grande maggioranza delle famiglie intervistate è iscritta al Servizio Sanitario Nazionale (88.2%) e quindi  ha anche scelto il medico di base (88.2%).

 

 

Tabella f.1.1

 

Tabella f.1.2

E' iscritto al servizio sanitario nazionale

%

 

Ha scelto un medico di base

%

 

si

88,2

 

 

si

88,2

 

no

11,8

 

 

no

11,8

 

Totale

100,0

 

 

Totale

100,0

 

 

 

Se a questi dati aggiungiamo che un'alta percentuale delle famiglie intervistate sostiene di avere un rapporto buono (51.7%) o normale (27.4%) con il proprio medico di base si può affermare che gli obiettivi contenuti nelle disposizioni in materia sanitaria della Legge 40 del 1998 che si proponevano di “favorire anche nell'ambito sanitario, i percorsi di integrazione degli stranieri regolarmente presenti nel nostro paese, con parità di diritti  e di doveri rispetto ai cittadini italiani” sono stati in gran parte raggiunti.

 

A questo proposito è importante segnalare che sebbene l'11,8 % del campione non sia iscritto al Servizio Sanitario Nazionale e non abbia un medico di base ciò non significa che non possa accedere o non abbia diritto alle prestazioni sanitarie in quanto la Legge 40 nelle già citate disposizioni garantisce la tutela della salute a chiunque si trovi sul territorio nazionale, rispondendo così a un  approccio di salute pubblica tale per cui la tutela della salute collettiva può essere garantita solo attraverso la salvaguardia di ogni individuo presente sul territorio, indipendentemente dal suo status giuridico”.

Ma non si tratta solo di un problema di salute pubblica.

Come è già stato segnalato in diversi studi, un reale percorso di integrazione della popolazione straniera nella società di accoglienza deve passare anche attraverso la tutela della salute, garantendo alle persone immigrate la piena accessibilità e fruibilità delle prestazioni sanitarie, soprattutto se pensiamo che la salute è l'unico patrimonio di cui dispone la persona immigrata per realizzare il proprio progetto migratorio nel paese di accoglienza, per cui in molti casi la malattia viene vissuta come un evento traumatico che in qualche modo spezza e può determinare il fallimento del progetto migratorio.

Semmai il problema è come favorire una corretta informazione sul diritto alla cura per tutti, irregolari compresi, sia attraverso i mass-media che attraverso i canali istituzionali. In questo senso il Ministero della Sanità nello scorso marzo 2001 ha diffuso un primo studio sulle cure ospedaliere ricevute dagli immigrati e sul loro accesso alle Strutture del Servizio Sanitario Nazionale e una guida pratica destinata agli operatori sociali e sanitari per migliorare la qualità dell’assistenza agli immigrati, nonché ha presentato un decalogo in molte lingue per l’assistenza sanitaria destinato agli immigrati.

 

Se andiamo ad analizzare il tipo di prestazioni sanitarie alle quali ricorrono più frequentemente le famiglie immigrate (tab. f.1..3) risulta che il 46% ricorre al medico generico, seguito dall'acquisto di medicinali (11.4%) e da un 8,5% che utilizza frequentemente il Pronto Soccorso.

I primiQuesti dati sembrano indicare un corretto utilizzo da parte delle famiglie immigrate dei servizi sanitari, nel senso che chi si iscrive al Servizio Sanitario, sceglie un medico di base al quale ricorre in caso di necessità e conseguentemente ricorre anche all'acquisto di medicinali. Per quanto riguarda invece il Pronto Soccorso, risulta anche dalla nostra ricerca (come in quelle riportate nel II° rapporto sull’integrazione degli immigrati in Italia) che se ne faccia un uso eccessivo e sostitutivo di altre forme di prestazione sanitaria :si ricorre frequentemente ad esso per ovviare le lunghe attese per le visite specialistiche

 

Come si diceva nel paragrafo precedente la possibilità di utilizzare e di accedere ai servizi consente una più concreta integrazione delle famiglie immigrate, per cui anche questi dati sembrano confermare le considerazione fatte in precedenza. Per quanto riguarda l'uso del Pronto Soccorso, come prestazione sanitaria alla quale si ricorre frequentemente e non come servizio di urgenza, da alcune risposte emerse nelle interviste sembrerebbe che in alcuni casi esso venga utilizzato per ovviare le lunghe attese per le visite specialistiche

 

§       “Noi utilizziamo il medico di famiglia e il Pronto Soccorso: invece di aspettare l'appuntamento con il medico specialista, meglio rivolgersi subito al Pronto Soccorso, se è una cosa urgente ti curano subito, se no, dobbiamo aspettare…”(Marito, Sri Lanka)

 

 

oppure si ricorre perché non si sa dove andare a causa di un'inadeguata conoscenza del funzionamento dei servizi sanitari

 

 

§       “Perché quando porto il bambino all'ospedale, loro chiedono “Perché l'ha portato? Non è grave”, però noi dove dobbiamo andare quando lui è malato?” (Moglie, SriLanka)

 

 

 

 

Tabella f.1.3

 

A quali prestazioni sanitarie ricorre più frequentemente

%

 

medico generico

46,0

 

acquisto medicinali

11,4

 

nessuna

9,0

 

pronto soccorso

8,5

 

acquisto medicinali, medico generico, pronto soccorso

8,0

 

acquisto medicinali e medico generico

3,1

 

medico generico e pronto soccorso

2,9

 

medico generico, medico spec. privato e pronto soccorso

2,9

 

medico propria comunità

2,9

 

medico specialistico

1,2

 

ricovero ospedaliero

1,0

 

medico della Caritas

1,0

 

medico specialistico privato

0,5

 

ospedale, medico di base, specialistico privato

0,5

 

altro

1,2

 

Totale

100,0

 

 

I dati riguardanti la bassa percentuale di ricoveri ospedalieri (1%), il fatto di non ricorrere a nessuna prestazione (9%) e la bassa percentuale nell'acquisto di medicinali (11.4%) potrebbero essere spiegati considerando due fattori: l'età media del campione (37 anni), età compresa nella fascia 19-40 anni che coincide con il periodo di miglior stato di salute di una popolazione e il fenomeno del “migrante sano” già segnalato in diversi studi e articoli.

 

Per quanto riguarda le difficoltà che le persone hanno trovato nell'accesso ai servizi sanitari al loro arrivo in Italia (tab. f.1.4), la grande maggioranza sostiene di non aver avuto difficoltà (63%) in quanto erano in regola con il permesso di soggiorno per cui si sono potuti iscrivere senza problemi al Servizio Sanitario Nazionale. Invece un 13,2% del campione ha avuto difficoltà in quanto non avevano i soldi per pagare le prestazioni o non avevano i documenti per accedervi Anche qui riteniamo che spesso è mancata una corretta informazione (Decreto Dini del 1995) o una non conoscenza da parte degli immigrati sui diritti alle cure mediche d’emergenza, alla assistenza ospedaliera alla gravidanza e al parto, ma soprattutto il nostro campione (che ricordiamo è rappresentato da famiglie presenti in Italia anche da 15 anni e oltre) nel rispondere a questa domanda fa spesso riferimento al passato e in particolare ai primi tempi della permanenza in Italia.

 

 

§       “E' un problema, una volta sono stato ricoverato e mi hanno detto che dovevo pagare e non avevo i soldi e gli ho detto di far pagare l'ambasciata, poi sempre il problema dei documenti” … (Marito, Costa d'Avorio)

 

§       “Io quando ero irregolare sono rimasta incinta e sono dovuta tornare nel mio paese a partorire perché non potevo partorire qua, era un rischio (Moglie, Perù”).

 

Un 7.9% del campione ha avuto problemi linguistici

 

§       “Non conoscevo la struttura, la lingua e in più ero irregolare…” (Marito, Cina)

 

che non è solo un problema di non conoscenza della lingua italiana, ma anche del contesto e del modo di funzionamento dei servizi

 

§       “Non sapevo dove iscrivermi e dove avere queste informazioni precise” (Marito, Serbia)

 

§       “In fondo, in fondo sempre per il problema della lingua…” (Marito Cina)

 

§       “Mancanza di informazioni per sapere come fare le cose, i procedimenti per fare le cose, la burocrazia…”(Moglie, Ruanda)

 

 

Tabella f.1.4

Quali difficoltà ha incontrato al suo arrivo nell'accesso ai servizi sanitari pubblici

%

 

nessuna

63,0

 

non avere i soldi e i documenti per accedervi

13,2

 

problemi linguistici

7,9

 

nessuna, perché mai usati

7,7

 

non avere documenti e non sapere la lingua

2,9

 

altro

5,3

 

Totale

100,0

 

 

Se andiamo a vedere i dati sulle difficoltà che attualmente trovano le persone quando si rivolgono a uno dei servizi pubblici emerge che il 63% non incontra alcuna difficoltà, il 16,0% incontra difficoltà dovute ai lunghi tempi di attesa, il 4.6% trova difficoltà linguistiche mentre per il 3,3% la maggiore difficoltà è dovuta alle poche spiegazioni. Un 6,5% del campione non incontra alcuna difficoltà perché non ha mai usato i servizi.

In questo senso è stato ampiamente sottolineato sia dalla Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati, dall’Organismo di Coordinamento Nazionale (O.N.C.) del C.N.E.L. , nonché dalle Direzioni Sanitarie di molti ospedali italiani e dalle esperienze sul campo condotte attraverso specifici progetti , l’utilità del mediatore linguistico-culturale nei diversi contesti sanitari, sia per facilitare la comprensione linguistica e l’informazione dell’immigrato sui suoi diritti – doveri in ambito sanitario che per facilitare un uso corretto delle strutture ospedaliere e per ridurre i tempi di attesa.

mia usato i servizi.

 

Se questi stessi dati vengono analizzati in base agli anni di permanenza in Italia (tab. f.1.5) risulta che il 34,8 % dei soggetti che risiedono in Italia da meno di tre anni attualmente non trova difficoltà quando si rivolge ai servizi sanitari, mentre per i soggetti che risiedono da oltre 15 anni in Italia la percentuale è del 68,1; se per i soggetti che risiedono da meno di tre anni il problema della lingua costituisce una difficoltà quando si rivolgono ai servizi sanitari nel 17,4% dei casi, per quelli che risiedono da più di 15 anni, la percentuale scende al 6,4 e mentre nel primo gruppo di soggetti (quelli che risiedono da meno di tre anni)  il 17,4% non incontra difficoltà perché non utilizza i servizi, nel secondo gruppo (quelli che risiedono da oltre 15 anni) non risulta che non utilizzino i servizi; un'altra annotazione importante  riguarda il fatto che per i soggetti del primo gruppo le difficoltà legate alle scarse spiegazioni non è rilevante, per i soggetti del secondo gruppo lo è nel 6,4% dei casi. Invece le difficoltà dovute ai lunghi tempi di attesa si discostano di poco nei due gruppi (21,7% per il primo gruppo, 14,9% per il secondo)

 

 

Tabella f.1.5

Difficoltà incontrate nel rivolgersi ad uno dei servizi sanitari pubblici secondo il tempo di permanenza in Italia

 

 

Nessuna

Si, tempi lunghi d'attesa

Si, per la lingua

No, perché mai usati

Si, poche spiegazioni

Altro

fino a 3 anni

34,8

21,7

17,4

17,4

0

8,7

da 3 a 5 anni

57,9

12,3

5,3

15,8

0

8,8

da 6 a 10 anni

68,6

14,7

1,9

5,1

3,8

5,8

da 11 a 15 anni

66,3

19,8

4,7

3,5

3,5

2,3

oltre 15 anni

68,1

14,9

6,4

0

6,4

4,3

Totale

64,2

16,0

4,6

6,5

3,3

5,4

 

 

Queste osservazioni ci permettono di fare alcune considerazioni di carattere generale. Per quanto riguarda le difficoltà legate alla lingua, è chiaro che chi è da poco tempo nel paese di accoglienza ha una scarsa padronanza della lingua e ciò ostacola il processo di comprensione-comunicazione del contesto di accoglienza; non a caso la conoscenza della lingua è un importante indice di integrazione. Ma si può anche dire, come è stato segnalato in molti studi, che il processo di comprensione-comunicazione è ostacolato da una serie di fattori culturali che ogni persona porta con sé e che incidono nel suo modo di rapportarsi con gli altri: il migrante è portatore di una “biculturalità” per cui lascia alle sue spalle la cultura del paese d'origine per inserirsi in quella del paese di accoglienza, ha un concetto di malattia, di salute, di percezione del proprio corpo che non sempre coincidono con quelle della cultura occidentale. Comunque è importante ricordare che anche gli operatori sanitari trovano difficoltà a rapportarsi con questo nuovo tipo di utenza rappresentata dagli immigrati. L'operatore sanitario è stato formato in un contesto culturale dove domina la razionalità scientifica, per cui l'interpretazione dei sintomi e la formulazione della diagnosi si basa sulla misurazione dei dati fisico-chimici e quindi sull'oggettività della misurazione quantitativa dei fenomeni. Invece sappiamo che iIn molte società che non appartengono alla cultura occidentale esiste un rapporto stretto tra malattia e comportamenti sociali: le cause della malattia sono attribuite a comportamenti personali talora con forti componenti magiche, o a personali o a fattori sociali, per cui la patologia di un membro diventa un problema per tutta la comunità. Bisogna anche ricordare che l'operatore italiano è abituato a trattare con pazienti che parlano la  stessa lingua e condividono le stesse basi storiche e culturali. Ecco quindi che le difficoltà di comprensione-comunicazione dovute alle differenze culturali sono vissute sia da parte degli operatori sanitari che dagli utenti stranieri. Da alcune risposte emerse nelle interviste si può intuire che le difficoltà linguistiche racchiudono anche tutta questa sfera culturale, e tutto ciò ci porta a ribadire quanto sia utile formare mediatori culturali, competenti e capaci a fare da ponte tra istituzioni e bisogni degli immigrati.

Bisogna anche ricordare che l'operatore italiano è abituato a trattare con pazienti della stessa lingua e cultura e provenienti dallo stesso territorio. Ecco quindi che le difficoltà di comprensione-comunicazione dovute alle differenze culturali sono vissute sia da parte degli operatori sanitari che dagli utenti stranieri. Da alcune risposte emerse nelle interviste si può intuire che le difficoltà linguistiche racchiudono anche tutta questa sfera culturale,

 

§       “Perché qua è un po' diverso dalla Cina, qua il medico di famiglia non ti dice quale malattia hai, sempre ti manda all'ospedale dallo specialista, anzi quando tu vai dal medico devi tu chiedere cosa vuoi, invece nel mio paese è diverso, tu dici che non sto bene, lui decide cosa devi fare…”(Marito, Cina)

 

§       “…ho partorito in ospedale e non ci sono stati problemi grandi, solo forse che i dottori non capivano o non credevano che era il tempo che il bambino nasce e mi hanno mandato di nuovo a casa e poi la sera mio marito mi ha portato di nuovo e ho partorito…” (Moglie, Marocco).

 

§       "Tirano troppo sangue per non trovare niente, da noi no"Moglie, Ghana”)

 

§       “Vorrei che ci fosse meno diffidenza da parte dei medici verso gli immigrati, maggior rispetto per la loro malattia indipendentemente dal colore della pelle o della lingua” (Marito, Nigeria)

 

§       "pensano che tutti siamo "vu' comprà", che siamo stanchi, ti danno le punture per la stanchezza e via…"(Marito, Senegal)

 

Se all'inizio del processo migratorio per le persone non è rilevante chiedere o avere più spiegazione rispetto  alle cure  mediche o alla diagnosi, come si evidenzia dal primo gruppo, per chi è invece da oltre 15 anni in Italia nel 6.4% dei casi  emerge questa necessità: anche il sorgere di quest'esigenza denota che le persone straniere ormai non sono più soggetti passivi rispetto al contesto di accoglienza, ma si collocano come soggetti attivi consapevoli di avere diritti e doveri al pari dei cittadini italiani,

 

§       “Che ci diano più spiegazioni sulle cose invece di darci solo farmaci. Fare visita, non scrivere solo la ricetta e basta"(Marito, Perù)

 

§       "quando sono rimasta incinta la prima volta, siccome non sapevo cosa fare, era la prima volta, certamente devo chiedere informazioni a lui (il medico), in vece lui non dà le informazioni e subito si arrabbia"(Moglie, Filippine)

 

§       "Di spiegarci perché abbiamo preso quella malattia, cosa dobbiamo fare, di cosa abbiamo bisogno” (Moglie, famiglia del Perù)

 

§       "Quando comincio a spiegare la malattia del bambino, lui (il medico) dice "Sì, sì, ho capito", ti fa una ricetta, non ha guardato il bambino, quale malattia ha il bambino, allora  non lo sai"(Moglie, Costa d'Avorio).

 

La maggior parte della famiglie straniere non si è mai rivolta ai medici privati perché finora non ne hanno avuto bisogno, ma il 12% si è rivolta per i figli

 

§       "Siamo andati una volta dall'oculista (privato) per il bambino, ma prendono tanti soldi…"(Moglie, Marocco)

 

§       "l'unica volta è stato il dentista per mio figlio"… (Moglie, Algeria)

 

§       "Per i miei figli"… Moglie,(Pakistan)

 

e un 15.3% l'ha fatto quando si è trattato di una cosa urgente

 

§       "In certe difficoltà che non possiamo intervenire noi, mal di denti e altri problemi gravi"… (Marito, Ecuador)

 

§       "Quando dobbiamo fare qualcosa di più urgente, lastre, ecc, per non aspettare i tempi lunghi della mutua…"Moglie, Tunisia).

 

 Quest'ultimo dato è legato alle difficoltà dovute ai lunghi tempi di attesa per le visite specialistiche: infatti il 15.4% degli intervistati ha confermato questa difficoltà, ma nello stesso tempo ha riconosciuto che è un problema che devono affrontare anche gli italiani

 

§       "Il problema più grande è il concetto del tempo da parte dei servizi sanitari, uno va dal medico perché sta male e non perché lo saprà che si sentirà male… in questo modo si rischia che un malato per avere l'appuntamento per la visita muore prima…" (Marito, Cina)

 

§       "Per esempio, quando andiamo a fare una visita ci dicono che dobbiamo prendere un appuntamento e gli appuntamenti sono lunghi e rimanere con la malattia è un problema"(Marito, Costa D'Avorio)

 

§       "Anch'io devo parlare delle attese, ma non è solo un problema di immigrati…"(Moglie, Serbia)

 

§       “…le lunghe attese delle prenotazioni, ma è così anche per gli italiani"… (Moglie Filippine).

 

 

A modo di conclusione si può dire che la maggior parte delle famiglie immigrate intervistate utilizza il Servizio Sanitario e usufruisce delle prestazione sanitarie al pari dei cittadini italiani e ciò può essere considerato come un indice di integrazione nella società di accoglienza. Senza dubbio il percorso di integrazione delle famiglie immigrate intervistate dipende anche dalle caratteristiche del campione: si tratta di famiglie con una permanenza media di 10 anni in Italia, giovani (età media 37 anni), che hanno un regolare permesso di soggiorno, hanno un'occupazione e una buona situazione alloggiativa e trovano nel nucleo familiare un adeguato sostegno psico-affettivo. L'insieme di questi fattori, che vengono definiti di tipo sociale, ha una grande rilevanza nel determinare le condizioni di vita globali delle persone immigrate influenzando di conseguenza il loro stato di salute, per cui si può dire che complessivamente le famiglie immigrate intervistate stanno portando avanti  con successo il loro progetto migratorio e ciò ha giocato a favore di una maggiore e più facile integrazione nella società italiana.

 

Rispetto all'accesso ai servizi sanitari le maggiori difficoltà incontrate riguardano aspetti burocratici e organizzativi, ma sono difficoltà che toccano anche gli utenti italiani. Una difficoltà invece che riguarda esclusivamente l'utenza immigrata è quella di tipo linguistico che, come abbiamo visto in precedenza, include variabili che  hanno a che fare con la sfera culturale e che compaiono in forma  più velata. Ciò potrebbe essere dovuto al tempo di permanenza delle famiglie in Italia (l'impatto culturale si va attenuando con il trascorrere del tempo) e anche al fatto che molti servizi stanno adeguando le loro strutture per accogliere meglio questa nuova utenza in modo da eliminare le barriere che possono ostacolare il pieno accesso ai servizi sanitari da parte delle persone immigrate.     

 

 

 

 

 

 

 

  

 

 

 

  

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

G - L’educazione e la scuola

 

§       Per una scuola integrata

§       Per una scuola da condividere

§       Il vantaggio del minore straniero

§       Difficoltà di educazione e differenze culturali

§       Il futuro

 

 

Soltanto la famiglia, la più piccola unità sociale, può cambiare e, tuttavia mantenere sufficiente continuità per allevare i figli in modo da non farne ‘degli estranei in terra straniera’, e dar loro radici sufficientemente solide su cui crescere e adattarsi” (Minuchin, 1976).

 

Dall’insieme delle nuove norme[9]  si inquadra un progetto educativo e culturale che assegna all’educazione il compito di eliminare le barriere sociali, ribadendo la parificazione dei diritti di tutti i minorenni presenti sul territorio italiano.

Il traguardo è quello di puntare soprattutto alla cooperazione e al rispetto reciproco, nell’accoglienza delle varie esperienze culturali e religiose degli alunni, con la proposta di un nuovo modello di integrazione

La legge 40 (ora Testo Unico) si inquadra in un progetto educativo e culturale preesistente che assegna all’educazione il compito di eliminare le barriere sociali, ribadendo la parificazione dei diritti di tutti i minorenni presenti sul territorio italiano.

Dal 1985, il traguardo è stato quello di puntare soprattutto alla cooperazione e al rispetto reciproco, nell’accoglienza delle varie esperienze culturali e religiose degli alunni.

Oggi l’ordine di grandezza della presenza dei minorenni stranieri in Italia, è una realtà che conferma il trend immigratorio come un fenomeno familiare, caratterizzato da stabilità, con progetti di sedentarizzazione, dimostrato dal progressivo riequilibrio di presenze maschili e femminili, dal numero crescente di ricongiungimenti familiari e dall’incremento di nascite di bambini di coppie straniere.

In questo contesto la scuola si trova ad essere un attore sociale in prima linea, in quanto già scuola multiculturale con circa 120.000 bambini stranieri nell’anno scolastico 99/00 (dati ISTAT), in cui si ipotizza una crescita progressiva di presenze nel prossimo futuro, destinata quindi a diventarlo sempre più.

La scuola è anche l’ambiente dove i bambini / ragazzi immigrati diventano visibili e dove è possibile valutare direttamente le difficoltà di integrazione che incontrano, e indirettamente quelle delle loro famiglie. Infatti spesso la famiglia immigrata è in condizioni socioeconomiche precarie che possono influenzare l’impatto, la motivazione, l’inserimento del bambino a scuola e il successivo apprendimento.

Inoltre la famiglia ha riferimenti socioeducativi suoi specifici, basati sulla cultura di appartenenza di cui il bambino riflette gli schemi di acculturazione, diventando implicita emanazione di essi, sia se nato in Italia, sia se emigrato con i genitori.

 

 

 

G.1) Per una scuola integrata

I genitori del nostro campione inseriscono i loro bambini nelle scuole pubbliche italiane, frequentate dal 94,8% dei casi, riconoscendo, nella grande maggioranza, il ruolo dell’istruzione scolastica come un’ esperienza costruttiva e vantaggiosa; ma se notiamo dalla tabella (tab. g.1.1) che, il 18,3% non ha nessun suggerimento da dare, per migliorare la vita scolastica dei minori, e il 14% non sa quali suggerimenti dare, vediamo come questi dati avvalorano la distanza che separa i genitori da una reale partecipazione nella scuola.

Si nota un atteggiamento di approvazione e di fiduciosa delega verso un sistema considerato positivamente da molti genitori.

 

I genitori del nostro campione inseriscono i loro bambini nelle scuole pubbliche italiane, frequentate dal 94,8% dei casi, riconoscendo, nella grande maggioranza, una esperienza valorizzativa all’istruzione scolastica; ma se notiamo dalla tabella (tab. g.1.1) che, il 18,3% non ha nessun suggerimento da dare e il 14% non sa quali suggerimenti dare, vediamo come questi dati avvalorano la distanza che separa i genitori da una reale partecipazione scolastica.

Si nota un atteggiamento di approvazione e di fiduciosa delega verso un sistema considerato positivamente da molti genitori e questo sappiamo che ha un valore diverso tra le culture.

 

§       “In Italia è più facile educare i figli, perché c’è un ambiente migliore e scuole migliori” (Albania)

 

§       “Esistono differenze qui, qui educazione più buona, anche rapporto fra genitori e insegnanti è migliore, anche livello istruzione più alto” (Ecuador)

 

 

E’ transculturale quindi il valore riconosciuto all’istruzione dalle famiglie straniere, che,  a costo di grandi sacrifici, mantengono i figli nel loro percorso scolastico, , certi così di garantirgli un futuro migliore, come meglio vedremo in seguito.

Le risposte, relative ai suggerimenti, in percentuale maggiori, si sono avute comunque verso un incremento dell’area dell’intercultura, della convivenza e dell’integrazione dei bambini a scuola piuttosto che non recriminazioni sul sistema scolastico in quanto spazio di apprendimento, dimostrando così di rappresentare un’area di grande sensibilità per la maggior parte delle famiglie.

 

Per tutti l’istruzione rappresenta un valore riconosciuto, quindi transculturale, e a costo di grandi sacrifici mantengono i figli nel loro percorso scolastico, fino all’università in molti casi, certi così di garantirgli un futuro migliore, come meglio vedremo in seguito; le risposte in percentuale maggiori si sono avute comunque verso un incremento dell’area dell’intercultura, della convivenza e dell’integrazione dei bambini a scuola piuttosto che non recriminazioni sul sistema scolastico in quanto spazio di apprendimento, dimostrando così di rappresentare un’area di grande sensibilità per la maggior parte delle famiglie.

 

§       nella scuola invece di far finta che il bambino non è straniero si può dire puoi parlare del tuo Paese , della tua cultura… è la scuola che deve far vedere che ci sono tante persone e culture diverse (…) non si deve parlare dell’Algeria solo perché lui è algerino ma si deve parlare del giapponese, del cinese”(Algeria)

 

 

Emerge come suggerimento che l’interesse da stimolare a scuola, dovrebbe essere focalizzato su tutte le culture, sulla diversità come risorsa e come accrescimento culturale per bambini che si troveranno domani ad essere parte di una società meticcia.

 

 

Tabella g.1.1

 

Quali suggerimenti per migliorare la vita scolastica di minori stranieri

%

 

maggiore integrazione tra le due culture, ed alla convivenza

34,7

 

nessuno

18,3

 

non lo so

14,0

 

insegnare a scrivere in due lingue, insegnare la lingua madre

10,7

 

insegnare l'inglese

6,0

 

maggiore importanza alla cultura di provenienza

3,3

 

insegnare l'italiano ai genitori, integrare i genitori

3,0

 

altro

10,0

 

Totale

100

 

§       “Qualche maestra con titoli di studio di diversi Paesi almeno per stranieri è importante avere altre culture a scuola. Maestro di colore a scuola almeno il bambino vede che non c’è nessuna differenza invece tutti bianchi, bianchi, bianchi, per esempio mio figlio quando torna dall’asilo dice: mamma perché sono tutti bianchi a scuola anche le maestre? Perché qui è un Paese di bianchi dico io”(Nigeria)

 

§       “Forse far capire che ci sono altri mondi oltre questo, con altri modi di vivere ugualmente importanti” (Mali)

 

Dove anche l’evento migratorio in sé va contestualizzato all’interno di un esperienza, di un evento molto significativo per la famiglia che lo vive e per il bambino che lo ‘transita’.

 

§       “Che spieghino di più agli altri bambini il motivo dell’immigrazione” (Polonia)

 

§       Allora i genitori devono cercare di non dimostrare che siamo stranieri, che siamo emigrati, che abbiamo difficoltà. I bambini devono essere inseriti nella società italiana e devono avere un comportamento normale come gli altri bambini”(Etiopia)

 

Un efficace politica d’intervento, volta alla piena integrazione del minore, deve quindi tener conto anche di situazioni assai differenziate tra loro perché molto diversi sono anche i bisogni espressi dai genitori, per storia personale, Paese d’emigrazione, progetto migratorio, tipologia familiare, presenza di una rete di connazionali in Italia, presenza di legami affettivi con il Paese di origine ecc.

 

Tra i nostri intervistati quasi nessuno dichiara difficoltà di inserimento scolastico(tab. g.1.2) per i propri figli  nel 80% dei casi, mentre quando ci sono, sono soprattutto le barriere relative alla lingua, che non permettono ai ragazzi di inserirsi senza ostacoli nell’ambiente classe (15,9%), mentre solo il 3,6% fa notare problemi più di ordine relazionale, di convivenza tra culture.

 

§       “Un po’ di inserimento, perché i bambini immigrati soffrono di più per la lingua e quindi hanno bisogno che le maestre li seguano di più con un po’ di pazienza…però qua se segui va bene, se no non importa a nessuno”(Albania)

 

Tabella g.1.2

 

Ci sono state difficoltà di inserimento scolastico per i figli legate alla differente nazionalità

%

 

No

79,9

 

Si, per la lingua

15,9

 

Si

3,6

 

altro

0,6

 

Totale

100

 

§       “All’inizio ci sono stati dei rifiuti per quanto riguarda l’inserimento , perché non sapeva la lingua”(Uruguay)

 

§       “Inizialmente la prendevano in giro, le facevano dispetti, era andata in esaurimento, piangeva, ora ha imparato a reagire e si è inserita bene”(Marocco)

 

Sono i bambini che arrivano in Italia già socializzati nel paese di origine ad avere i problemi maggiori, ad essere più a rischio, il quale è ben sintetizzato in questa intervista.

Sono i bambini che arrivano già in Italia socializzati nel paese di origine ad avere i problemi maggiori, ad essere più a rischio, il quale è ben sintetizzato in questa intervista.

 

§       “… sono passati più di 2 anni per far capire alla maestra il bambino (..) .. il bambino è molto timido e poi vedeva che non lo capivano, aveva paura ad esprimersi , perché se sbagliava cominciavano a ridere gli amici… le maestre allora hanno detto alla Direttrice che questo bambino non è normale, è handicappato ed io questo l’ho scoperto molto tardi… il bambino non voleva più andare a scuola… ma come fa un bambino ad esprimersi se gli altri gli ridono addosso.. allora pensate di entrare nel suo mondo e se non avete un mediatore , una persona che gli sta vicino che lo aiuta ad integrare, chiamate una persona che sa la lingua…”(Albania)

 

In effetti la probabilità è l’altoNel nostro paese si registra un alto numero di abbandoni scolastici che si registra nel nostro paese, po, poiché il sistema scolastico è un contenitore affidabile che può anche diventare critico per i minori stranieri se non sostenuti nel loro percorso da figure competenti in ‘interculturalismo attivo’. Il rischio è infatti è l’interruzione della scuolal’abbandono della scuola,  anche se nel nostro campione l’interruzione scolastica (7%) è motivata piuttosto dalle esigenze  economiche (6%) dei genitori (di tutti gli orientali il 23,1% dichiara che almeno uno dei loro figli lavora orientali).

 

§       “I primi due figlioli  hanno interrotto la scuola perché devono aiutarci a lavorare”( Cina)

 

§       “Ha interrotto gli studi per aiutarci sul lavoro; la mia figlia unica ci aiuta nella confezione, sia per i contatti esterni che per le lavorazioni interne”(padre, Cina)

 

 

La lingua quindi è una barriera iniziale del percorso scolastico che non motiva, nel nostro campione, interruzioni scolastiche; l’agenzia scuola risulta evidentemente impegnata nel creare competenza nella lingua ufficiale comune: strumento indispensabile per garantire la possibilità di una piena partecipazione alla vita sociale. Questo impegno avviene in maniera congiunta con i genitori.

 

Nonostante gli ostacoli, infatti, osserviamo come le famiglie straniere si dimostrano competenti nello stimolare il coinvolgimento e l’istruzione dei figli, non senza grandi sforzi e sacrifici, spesso con sofferenza.

Nonostante gli ostacoli, allora, osserviamo come le famiglie straniere si dimostrano competenti nello stimolare il coinvolgimento e l’istruzione dei figli, non senza grandi sforzi e sacrifici, spesso con sofferenza.

 

§       “I genitori non possono aiutare i figli a inserirsi nella società italiana, non sono capaci a insegnare la cultura e l’educazione italiana perché sono estranei loro stessi”(Filippine)

 

Il genitore immigrato è impegnato in un difficile processo di inserimento che lo vede ‘in bilico’ tra il suo paese e il paese di accoglienza, tra la famiglia di origine e la famiglia nucleare, tra le lingue e le culture, teso però a lasciare vivo e ha trasmettere quello che a lui è stato trasmesso; perciò risulta assente, anche se non del tutto, all’interno dei momenti scolastici, che comunque reputa importanti, perché è il ‘il tempo’ quello che manca, quello che andrebbe sottratto al lavoro, per un maggiore coinvolgimento nel processo di educazione dei figli all’interno della scuola.

 

§       “… se un giorno un genitore vuole parlare per un problema con gli insegnanti deve aspettare per forza il giorno di ricevimento ed è strano, non esiste nelle scuole una struttura a cui rivolgersi quando senti che tuo figlio ha delle difficoltà, devi aspettare i ricevimenti e se non puoi andare perché lavori significa per loro che non ti interessa tuo figlio!”(Iran)

 

§       “Ai ricevimenti, quando si deve andar ‘per forza’, non manchiamo mai”(Colombia)


 

Tabella g.1.3

A quali momenti della vita scolastica partecipa

%

 

riunioni con insegnanti

37,1

 

Tutti: riunioni con genitori, con insegnanti, feste, ecc.

36,5

 

a nessuno

14,4

 

le feste dei bambini

11,4

 

altro

0,7

 

Tutti: riunioni con genitori, con insegnanti, feste, ecc.

36,5

 

a nessuno

14,4

 

le feste dei bambini

11,4

 

riunioni con insegnanti

37,1

 

altro

0,7

 

Totale

100

 

La delega al sistema scuola sembra quindi una necessità che se a volte appare priva di approfondimento critico, causa invece sofferenza quando i genitori si trovano nell’impossibilità di partecipare in modo pieno al processo di apprendimento dei figli, come avrebbero fatto nel loro paese di origine.

 

§       “Ai compiti io non partecipo per scelta, perché hanno un modo di imparare diverso da quello che era una volta. Non puoi nemmeno dare una mano a tuo figlio in matematica perché devono pensare così e non così. Contano in maniera diversa da noi, così per scelta non gli diamo una mano perché non vorremmo che si mischia tutto nella testa. Non possiamo imporre il nostro modo di pensare, di contare, di leggere, hanno il loro modo” (Algeria)

 

Se quindi il nucleo familiare permette la ricostruzione di modalità di vita propri della cultura di origine ed una più agevole salvaguardia della propria identità, per i membri più piccoli di esso, inseriti in un sistema scolastico diverso culturalmente, può significare un distanziamento affettivo dalle proprie origini, dalla propria famiglia. Il bambino è tra due sentimenti di non appartenenza, tra la cultura dei pari italiani e quella della famiglia, e in questo, la donna emigrata riveste un ruolo chiave nel ricreare un ambiente favorevole alla transizione; se da una parte con i suoi atteggiamenti può rappresentare nella scelta migratoria il punto di non ritorno di una solitudine familiare (nella direzione di una totale chiusura in sé della famiglia), dall’altra può diventare il ponte incoraggiando e autorizzando i figli alla nuova realtà, alla sua lingua, ai valori e comportamenti.

 

§       Padre: “Sì è un problema proprio di accettazione delle sue origini. Forse quando cresce capirà che è importante anche la nostra cultura per la sua crescita.

 

§       Madre: “Forse col più piccolo, non accetta di avere dei genitori della Tunisia. Non vuole sentire questo. Lui vede la gente di là come antichi non li sente vicini alla sua mentalità. Lui è italiano. Vorremmo che imparasse come gli altri la nostra lingua, ma lui non vuole proprio, forse è presto.(Tunisia)

 

 

 

 

G.2) Per una scuola da condividere

Notiamo che i momenti della vita scolastica rendono poco inserite in modo attivo le figure genitoriali, e solo i momenti ‘necessari’ li vedono più presenti (tab.g.1.3). I rapporti con gli insegnanti sono dichiarati ‘buoni’ per il 65,8% e ‘normali’ per il 22,5% (il ’quasi’ nullo è prevalentemente della comunità cinese). In generale quindi è positiva la relazione, basata sulla fiducia quella che si instaura con la figura dell’insegnante, a parte alcuni episodi segnalati come quello di una madre serba.

 

§       “..sono andata pure a verificare e ho visto un suo professore che neanche mi ha dato il tempo di spiegare, cioè proprio così…magari ascoltare di più perché già loro si sentono…anzi persino una maestra, una professoressa mi ha detto che essendo lui immigrato, straniero non dovrebbe reagire così…perché? Dico, che ha fatto mio figlio”(Albania)

 

Tabella g.2.1

 

Tipo di rapporto con gli insegnanti

%

 

Buono

65,8

 

Normale

22,5

 

Quasi nullo

11,4

 

altro

0,3

 

Totale

100

 

Le insegnanti, in quanto figure istituzionali, sono chiamate a mediare con le famiglie straniere, nel rapporto tra i genitori, sia all’interno del gruppo classe,  a cui spesso i genitori fanno riferimento per denunciare episodi di razzismo.

 

§       “Ma quello grande mi dice che i compagni lo chiamano invece che col nome: “nero”, ma mi ha detto anche che si trova bene con le maestre”(Nigeria)

 

§       Bisogna dare loro più attenzione, perché uno straniero, diciamo un bambino, che entra in una scuola di italiani qualche volta si sente in disagio perché trova…mio figlio ha avuto tante esperienze in cui si sente trattato in un altro modo, non li trattano tutti uguale. L’altra volta ha litigato con un professore che gli ha detto: “Ma che non conosci l’italiano? Ma come non capisce, lui è nato qui, cresciuto qui, parla bene l’italiano e li guardava in modo diverso dagli altri, non perché non parla bene, ma perché non sembra italiano”(Giordania)

 

§       “Se picchiano mio figlio, io non vado mai a scuola per dire così…ma se mio figlio picchia una persona subito è una cosa che dovunque passo, mio figlio oggi ha picchiato questo, non è buono…sono bambini come tutti gli altri…”(Senegal)

 

Inoltre agli insegnanti è anche richiesta maggiore attenzione verso le problematiche, quali la difficoltà con la lingua e più comprensione e pazienza verso i minori immigrati.

Tabella g.2.2

Che rapporto ha con i genitori dei compagni di scuola dei suoi figli

%

 

Buono

45,1

 

Normale

25,0

 

Nessun rapporto-non li conosco

29,3

 

Altro

0,6

Totale

100

 

I rapporti con gli altri genitori scendono qualitativamente rispetto a quelli con gli insegnanti, e aumenta la percentuale di quelli che asseriscono di non avere nessun rapporto, di non conoscerli neanche (29,3%). Sempre l’assenza del tempo, necessario alla vita di relazione pregiudica gli incontri con gli altri genitori, ma le famiglie immigrate giudicano piuttosto ostile  il comportamento dei genitori italiani nei loro confronti:

 

§       LUI: “Nessuno, anche per noi è una formalità il saluto”

§       LEI: “ Sì perché a me sembra che a loro non interessa conoscermi, io non ho tempo, buon giorno e via” (Serbia)

 

§       Con una gran parte sono buoni poi ci sono alcuni che ci guardano storti”(Marocco)

 

§       “Con alcuni buoni, si parla, con altri no. Forse non gli piace parlare con noi. Io parlerò con chi mi parla”(Sri Lanka)

 

Se l’incontro avviene è però stimolante per una buona convivenza.

 

§       “Un ciao, ci si vede, anche se non con tutti, alcuni ci invitano a casa al compleanno dei loro figli e anche noi la stessa cosa, con questa gente qui ci si riesce a parlare”(Etiopia)

 

§       “Bene, prima no per il lavoro, ma dalla gita ci siamo avvicinate di più, ci siamo unite, andiamo alle feste, ci prendiamo un caffè, è bello conoscere altra gente” (Filippine)

 

Inoltre l’isolamento della famiglia immigrata le rende più difficoltoso difficile il gestire i ritmi della vita sociale e per questo denuncia fortemente l’assenza di una rete di sostegno, la mancanza di una famiglia, di una figura che aiuti l’entourage nel frenetico vivere quotidiano e riproduca, magari quello che è stato per loro in passato, e questo, per i loro bambini:

 

§       “..per il bambino.. per gli affetti dovrebbe avere i nonni vicini come tutti gli altri, le coccole dei nonni sono un’altra cosa, perché noi siamo bloccati per certe cose con certe difficoltà e dobbiamo andare avanti nella nostra vita e lui ha bisogno di noi per raccontare le favole per coccolare di più per essere insieme per andare al parco, io quando avevo mia nonna vicina ..”( Iran)

 

L’assetto è quello di una famiglia spezzata che deve adoperarsi energicamente per ricreare un contenitore affettivo per i propri figli, per ricreare spazi  svuotati dalla lontananza dalla famiglia di origine, da riferimenti sicuri.

 

§       “sarebbe bello anche per i nostri figli che ogni tanto dicono: perché non vengono i nonni a prenderci a scuola come gli altri compagni di scuola?” (Filippine)

 

§       “cambierebbero molto i rapporti con me e con i nipoti .. loro sentono questa mancanza quando i nonni dei compagni vanno a prenderli a scuola o raccontano di vacanze con i nonni i miei figli chiedono: ma noi abbiamo i nostri nonni? Dove sono? Sentono questa mancanza…mancando questa figura manca qualcosa” (Filippine)

 

 

Anche la religione ha un alto valore simbolico nel fornire regole e pratiche, rassicurazione emotiva, quando sono specialmente assenti altre figure di riferimento.

 

 

 

Tabella g.2.3

 

Nella scuola dei suoi figli si rispettano le festività/solennità religiose non cattoliche

%

 

Si

48,1

 

No

51,9

Totale

100

 

All’interno della scuola italiana si evidenzia un momento di transizione in cui alcune scuole hanno già intrapreso una ‘politica’ favorente la convivenza multiculturale e quindi il rispetto di altre religioni; anche i genitori del nostro campione rispondono in questo senso dividendosi nel rispondere ‘sì o no’ sul rispetto delle festività  quasi nella stessa percentuale (i sì risultano leggermente superiori al nord). Quindi in questo momento di passaggio è importante chiedersi quali siano le richieste dei genitori rispetto alla loro religione, perché tutte sono portatrici di valori diversi anche rispetto al processo di integrazione

 

§       La scuola non ha conoscenze in proposito, ma i nostri figli preferiscono studiare la religione cattolica, insieme agli altri bambini. Io anche preferisco che si integrino così, imparando le usanze del posto” (Albania)

 

§       “Ci hanno chiesto se per noi era un problema che la bambina impara la religione cattolica, la suora lo sa che siamo buddisti, ma per noi no problema altre religioni”(Sri Lanka)

 

Questi genitori sembrano condividere le istanze di una cultura senza confini.

 

 

 

G.3) Il vantaggio del minore straniero

A questa domanda  c’è sembrato che pochi genitori hanno saputo mettersi in gioco e questo sottolinea la differenza tra chi è convinto che l’appartenenza a due culture, tra loro in ibridazione, sia più arricchente di quanto non sia il riferimento ad un solo mondo culturale.

Ad una domanda così provocatoria c’è sembrato che pochi genitori hanno saputo mettersi in gioco e questo sottolinea la differenza tra chi è convinto che l’appartenenza a due culture, tra loro in ibridazione, sia più arricchente di quanto non sia il riferimento ad un solo mondo culturale.

 

Tabella g.3.1

Quali sono i vantaggi nella vita scolastica dei suoi figli di venire da un altro paese

%

 

Parlare due lingue-avere due culture

51,2

 

non lo so

26,8

 

nessuno

22,0

Totale

100

 

Quelli che hanno saputo ‘mettersi in gioco’ hanno detto:

 

§       “Sarà senz’altro più flessibile nelle relazioni con gli altri stranieri” (Zaire)

 

§       “Per i più grandi è l’opportunità di essere bilingui, di vedere sin da piccoli paesi così diversi che stimola, secondo me, la curiosità ad apprendere. Per il piccolo ora non si sa”(Camerun)

 

§       “Ha due culture da cui prendere la parte più buona” (Albania)

 

Se il vantaggio è la possibilità per il bambino di stare tra due ‘mondi’, esso diventa anche lo svantaggio quando il suo essere ‘segmento’ che unisce la famiglia all’esterno, lo rende ‘mezzo’ per i genitori di traduzione dell’italiano, che lui acquisisce sin dall’inizio (se nato in Italia) come se fosse la sua lingua.

 

§       La storia dell’Italia, la geografia, quel posto qua, quello là, io proprio... e anche qualche volta la grammatica cioè l’italiano proprio che loro mi correggono tante volte quando parlo, e specialmente a lui, allora abbiamo pure…mentre assisto loro che fanno i compiti ho modo pure di imparare”(Filippine)

 

 

Tabella g.3.2

 

Cosa le hanno fatto conoscere i suoi figli dell'Italia

%

 

La lingua italiana, mi fa da "traduttore"- imparo da loro...

64,8

 

Niente

20,3

 

Non lo so

6,9

 

Grazie a loro sono più in contatto con persone italiane.

3,8

 

altro

4,1

Totale

100

 

Ma se la famiglia nucleare è senza legami all’esterno, lo spazio al suo interno può amplificarsi di relazioni meno strutturate e modificare i suoi ruoli, con più alti livelli di sovrapposizione: è questo il caso del bambino che impara prima la lingua italiana e i genitori apprendono con lui parole nuove, investendolo così di un ulteriore richiesta, mai esplicitata, di renderli partecipi alla nuova esperienza di inculturazione.

Quindi sono i figli che conducono i genitori a conoscere meglio l’Italia, e non solo attraverso il miglior dominio della lingua, ma attraverso tutte le acquisizioni scolastiche e relazionali che il bambino immigrato riporta in casa, generando a volte contraddizioni e sofferenza.

Come notiamo dalla tabella (tab. g.3.2) ben il 64,8% degli intervistati risponde che il figlio è spesso l’effettivo intermediario tra la famiglia e la cultura italiana, anche se ‘altro’ filtra attraverso il comportamento, le abitudini, i gesti e le richieste, come ci dice una madre filippina.

 

§       “La mentalità, il carattere italiani, perché lui vive in un altro ambiente, diverso da quello dove siamo cresciuti noi. A volte si arrabbia, poi però, subito si riprende, invece noi siamo più permalosi, perché anche non possiamo ragionare con i nostri genitori”(Filippine)

 

Figli quindi potenzialmente bilingue e biculturali, che diventano gli intermediari per i loro genitori, ma anche bambini ‘tra’ riferimenti culturali diversi, ‘tra’ l’appartenere alla famiglia, luogo primario di acculturazione e trasmissione di valori anche affettivi e ‘tra’ l’inserirsi in un ambiente dove avviene la socializzazione tra pari quindi secondario luogo di socializzazione.

Apprendere da un bambino di 6-7 anni può essere un’esperienza positiva per un genitore ed anche un modo indiretto e sottile per integrarsi maggiormente in Italia, ma al contempo può essere l’inizio di una sbilanciamento dei rapporti gerarchici ed educatici tra le generazione dei grandi e quella dei bambini e può essere la preparazione di quelle fratture intergenerazionali che potranno emergere con veemenza quando i figli diventano adolescenti.

 

 

 

G.4) Difficoltà di educazione e differenze culturali

La scelta di analizzare insieme queste due domande è stata dettata da un stretta relazione che emergeva nell’analisi dei dati: le differenze culturali che i genitori stranieri osservano rispetto al proprio paese di origine, sono poi anche gli atteggiamenti che i figli riportano in casa, creando così vissuti di perdita e frattura dei legami con la cultura d’origine dei genitori, e senso di inadeguatezza nel gestire l’educazione del figlio. I figli da parte loro sono divisi tra diverse istanze (scuola e coetanei e famiglia) e una scelta definitiva è per loro indice di un grave conflitto di lealtà.

Tra le culture del nostro campione osserviamo che ci sono delle divergenze nel giudicare ‘le differenze’ di educazione: sono sostanzialmente nessuna per il 29% delle famiglie dell’Europa dell’Est e il 20,4% per i Paesi centro e sud americani, mentre gli orientali e quelli dell’Africa subsahariana e centrale osservano in maggioranza che ‘è tutto diverso’, solo le popolazioni del Nord Africa colgono nella religione l’unica differenza nel sistema educativo.

 

Tabella g.4.1

Differenze di educazione dei figli nelle due culture secondo la zona geografica di provenienza

 

 

centro e sud america

oriente

nord africa

medio oriente

africa subsahariana e centrale

europa dell'est

 

sostanzialmente nessuna

20,4

18,3

10,8

9,7

11,8

29,0

 

è tutto diverso

0

40,7

0

3,7

44,4

11,1

 

qui l'educazione è più aperta, meno rispettosa dei genitori

6,7

27,4

17,7

4,3

25,0

18,9

 

qui c'è un insegnamento avanzato

66,7

0

0

0

20,0

13,3

 

ci sono differenze solo di tipo religioso

0

0

60

0

20

20

 

altro

0

10,5

21,1

0

15,8

52,6

Totale

12,2

22,9

14,9

5,2

22,0

22,9

 

Anche le differenze di educazione che i genitori riscontrano, ci narrano di come le famiglie possono adottare vari stili nella gestione dell’educazione dei figli, che attraversano la fase dell’inserimento e della socializzazione in una cultura a volte molto distante dal loro modello.

 

§       “Diciamo che al mio paese quando bambino fa qualcosa che non deve fare, puoi picchiare, qui i bambini non si toccano, non si menano, quando il bambino cresce con quella maniera un giorno potrà anche picchiare la mamma!…I bambini che sono a scuola hanno diritto di chiamare la Polizia quando la mamma o il papà l’ha picchiato, ma al nostro paese no” (Nigeria)

 

Tabella g.4.2

Differenze di educazione dei figli nelle due culture

%

 

sostanzialmente nessuna

50,0

 

è tutto diverso

28,4

 

qui l'educazione è più aperta-meno rispettosa dei genitori

8,2

 

qui c'è un insegnamento avanzato

5,8

 

ci sono differenze solo di tipo religioso

4,6

 

altro

3,0

Totale

100

 

La trasmissione di valori è un complesso sistema intergenerazionale di regolazione di appartenenze sociali ed affettive all’interno del sistema familiare ed è rimesso in discussione, con l’emigrazione, tra la prima e la seconda generazione

 

§       “In Europa mia figlia cresce e forse quando avrà 18 anni, io quanto ho rispettato mamma e papà forse lei non rispetta. Non lo so. Il peso dei genitori sta nel legame che ci danno con le tradizioni, attaccato così…” (Sry Lanka)

 

Inoltre tale modello può risultare idealizzato e stereotipato, oppure superato nel loro paese di origine, può impedirne l’ulteriore sviluppo culturale, può essere il caso di chi afferma ‘è tutto diverso’(28,4%), ma poi non trova le parole per  spiegare in cosa consista la diversità.

 

§       “…se potessi vorrei educare miei figli nel nostro Paese.. lì c’è un altro modo non lo so spiegare.. non è come nel nostro Paese che un genitore lo educa a casa in un modo e anche a scuola lo educano così e lui cresce uguale, qua no , si adatta troppo ai ragazzi italiani… lui ha la ragazza italiana e vuole uscire e noi non possiamo dire no .. perché se tutti i ragazzi italiani possono uscire non vogliamo che si senta diverso”(Filippine)

 

Quello che principalmente manca ai genitori stranieri è il sostegno della famiglia allargata, un senso di solitudine nell’affrontare  un compito importante quale quello dell’educazione, ma anche il poter fare riferimento a figure educative con cui si possa condividere un modello formativo.

 

§       “Tante, ad esempio da noi tante figure partecipano all’educazione dei bambini” ( Mali)

 

 

“Qua i maestri non hanno diritto sui bambini che stanno in aula con loro, quindi qua i bambini hanno più autorità, cosa che non esiste nel mio paese. C’è più rispetto da parte dei bambini nei confronti di chi è più grande invece i bambini qui, delle volte decidono quello che devono fare i genitori, decidono cosa devono mangiare, decidono i vestiti che devono mettere, decidono tutto!” (Algeria)

 

Valori fondati sulla solidarietà diventano assenti quando si entra in un mondo estraneo, perché più difficili da ricostruire, ma anche perché vissuti in uno spazio e in un tempo meno caotico e disaggregato.

 

§       “ per me noi siamo stati educati all’amicizia ad aiutarci uno con l’altro qua a me sembra che ognuno vive per se stesso, che la gente è sola alla fine di tutto”  (Algeria)

 

§       “Da noi i bimbi salutano chiunque incontrano, è un obbligo, invece qua no, non saluta nessuno, l’ ho portata anche da uno psichiatra per questo”(Ghana)

 

Quest’ultima intervista in particolare è stata fatta ad una coppia del Ghana, la cui madre si lamentava del comportamento della figlia che non salutava mai nessuno; vediamo come la distanza tra due sistemi di riferimento culturali sia poi rischiosa, se non condivisa, nel rapporto madre/figlia, e di come sia difficile accettare che un figlio sia in parte diverso da come i genitori se lo erano rappresentato, più distante dalle origini di quanto lo avrebbero pensato e voluto.

 

Tabella g.4.3

Difficoltà incontrate nell'educazione dei figli legate al vivere in un paese straniero

%

 

Nessuna

68,2

 

Si, imitano i bambini italiani, meno rispetto per i genitori

19,7

 

Si, legate alla lingua

12,1

Totale

100

 

La maggior parte dei genitori dichiara di non incontrare nessuna difficoltà, ma osserviamo che l’età media dei figli è molto bassa e che molti genitori anticipano le difficoltà future probabilmente in virtù degli scambi con altri stranieri della loro comunità, o dall’osservazione attenta dei comportamenti degli italiani.

 

§       “Magari più avanti, magari più avanti mi chiede di uscire, a me non piace perché noi un’altra cultura, io ho vissuto in un'altra cultura dove la ragazza non la fanno uscire sempre, la verità una volta ogni tanto. Meno libero. …quando avrà 14 anni sicuramente chiederà di uscire, io la lascia perché non voglio che si sente male…diversa, non voglio tenere dentro casa, se no poi lei odia noi, si sente diversa” (madre, Sry Lanka)

 

Un concetto ponte che si insinua tra le ‘differenze’ e le ‘difficoltà’ di educare i figli in un contesto diverso è quello di “rispetto”, un concetto che spiega la frattura affettiva e di legame culturale che sta alla base dei rapporti tra le generazioni.

 

§       “C’è una grande differenza per il rispetto, poi gli italiani, come vediamo, parlano in altro modo, non come da noi, che c’è più rispetto quando si parla con i genitori, invece qui, come hanno cresciuto i bambini, si può parlare come si vuole, qualche volta ha pure la voce più alta dei genitori. Qui è tutta un'altra cosa, se io potessi vorrei educare mio figlio nel nostro paese”(Costa Avorio)

 

§       “Io penso che la differenza sta nel fatto che noi comandiamo i nostri figli, non il contrario”(madre, Filippine)

 

§       “Qua i maestri non hanno diritto sui bambini che stanno in aula con loro, quindi qua i bambini hanno più autorità, cosa che non esiste nel mio paese. C’è più rispetto da parte dei bambini nei confronti di chi è più grande invece i bambini qui, delle volte decidono quello che devono fare i genitori, decidono cosa devono mangiare, decidono i vestiti che devono mettere, decidono tutto!” (Marocco)

 

Genitori educati al rispetto per i propri genitori sentono un forte limite nel riprodurre ciò che è stato loro insegnato e trasmesso; ciò che sembrava loro naturale, le regole delle relazioni che li hanno cresciuti, non hanno più forza, perdono di senso quando i figli apprendono per imitazione gli atteggiamenti dei bambini italiani, “più liberi” e li riportano in casa

 

§       “Sì perché i figli qua sono molto coccolati e viziati, non danno rispetto ai genitori e agli insegnanti per questa cosa, al nostro paese non esiste, le maestre i genitori devono essere rispettati”(Albania)

 

Anche in questo caso la valorizzazione della doppia cultura del bambino può esistere se i genitori sostengono senza contrasti o negazioni le richieste del bambino, se riescono a mediare tra i significati individuali, familiari sociali, come forse dimostrano questi genitori:

 

§       “Noi vorremmo educarli, anche se non del tutto, ma con qualcosa come siamo stati educati noi; anche alcune cose occidentali possono essere prese, ci sono anche, come da noi, cose buone e cose cattive, come per es. il viziare i bambini, se si inizia, poi, non si fermano più, si pensa di essere un buon padre invece…è meglio essere fermi all’inizio e cercare di dialogare” ( Etiopia)

 

§       “Delle volte mi rimprovera, ma poi penso che ha ragione, perché noi non siamo cresciuti così. Io allora cerco di parlare con lui e di capire perché ha fatto quello”(madre, Mauritius)

 

§       “Da noi da piccoli non possiamo esprimere le cose che vogliamo, invece qui io cerco di farlo parlare di più, di esprimere di più, certo è importante sempre il rispetto, perché noi siamo cresciuti che non possiamo ragionare con i genitori” (Filippine)

 

 

 

G.5) Il futuro

Tutti i genitori stranieri hanno risposto in modo specifico e determinato alla domanda: “Che futuro desiderate per i vostri figli?”, con una risposta all’unisono, che produceva un sorriso e segnava la fine dell’intervista, tutte le coppie si sono trovate concordi nel volere per i loro figli un futuro diverso dal loro:

 

§       Prima devono studiare a più non posso, non vogliamo che vivano quello che abbiamo vissuto noi” (Polonia)

 

§       “Scuola al massimo livello, noi lavoriamo per dargli questo”(Sri Lanka)

 

§       “Stiamo lavorando ogni giorno per creare a nostra figlia un avvenire più buono perché non vogliamo che la vita che facciamo noi la fa anche lei, io penso che dobbiamo seguirla tanto ora che ha iniziato la scuola…”(Albania)

 

§       “Futuro brillante. Futuro con una educazione buona come abbiamo avuto noi, ma con un lavoro migliore”(Filippine)

 

§       “Migliore, ma sulla loro terra che è la nostra”(Mali)

 

I genitori richiedono ai figli che riescano a soddisfarli sul piano della riuscita sociale ed economica, e soprattutto che possano fare giustizia del loro ‘dover essere’ immigrati, nei lavori poco retribuiti e pericolosi, nel dormire per strada, nel varcare una frontiera, affrontare ingiustizie e razzismi.

 

§       “Un futuro meglio di quello nostro, io non sono potuta andare all’università, mi piacerebbe che mio figlio diventasse medico se vuole”.(Filippine)

 

§       “Noi desideriamo che siano educati bene e che riescano ad integrarsi facilmente qui in Italia” (Camerun)

 

§       Che finiscano la scuola, poi trovare un buon lavoro per poi integrare nella vita italiana, istruire i figli per inserirsi dentro questa società”(Perù)

 

§       “Ogni genitore sogna il meglio, che studino, che non abbiano le difficoltà come le nostre. Diventare dottore, così aiuta ed è quello che voglio io, ed il sogno mio lo deve, e quello è un mio desiderio che avevo da piccolo”(Kosovo)

 

§       “Per i miei figli, io credo che loro possono essere inseriti bene in questo paesi. Sposano e…stanno qua con calma e lavorano bene per aiutare per contribuire alla nuova patria…come persone in Italia…Io credo che loro hanno opportunità, vantaggio, a lavorare anche in Europa…adesso che è un grande paese...loro possono vivere in queste parti molto bene, senza problemi ( Ghana)

 

E’ importante notare che la stragrande maggioranza proietta il futuro dei figli nella società italiana o europea, pochi fanno riferimento ad un ritorno con loro, ma vengono lasciati liberi di scegliere; quindi se molti genitori si vedono tornare in patria, dopo anni, o alla fine della vita lavorativa, portano a termine idealmente un progetto di insediamento definitivo per i figli.

E come la maggior parte di loro era portatrice di un mandato familiare, così anche i loro figli, stavolta però, sufficientemente integrati nel paese di accoglienza.

 

§       “Decideranno loro stessi, ormai sono italiani”(Senegal)

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

H - Considerazioni conclusive

 

 

In questa ricerca abbiamo fotografato una famiglia piuttosto stabile e coesa che risiede in Italia da circa 10 anni, che costituisce una realtà migratoria sufficientemente inserita nella società italiana.

Il tempo di permanenza incide in modo consistente sulle condizioni lavorative e sulla soddisfazione per il lavoro svolto dalle coppie immigrate che tendono ad un occupazione più stabile e regolarizzata durante l’insediamento. Il passaggio da una condizione di vita singola  ad una familiare incrementa quindi alcuni bisogni sociali che  muovono verso un miglioramento dello status sociale di lavoratore legalizzato. Se da una parteavviene l’incontro tra un elevata domanda ed una forte ricerca di lavoro, dall’altra l’immigrato tende ad essere prevalentemente inserito in ruoli lavorativi poco specializzati ed il mancato riconoscimento del titolo di studio e la negata valorizzazione di competenze e capacità professionali acquisite, possono creare le condizioni per una situazione poco soddisfacente.

Possiamo quindi affermare che, se la presenza della famiglia favorisce meno ricadute nella irregolarità, per gli individui con un titolo di studio medio o medio-alto e con maggiori aspirazioni, andrebbero garantiti dei percorsi più snelli di riconoscimento del titolo di studio ed un’analisi delle competenze professionali, almeno così da garantire pari opportunità rispetto alla popolazione italiana ed un’effettiva ottimizzazione del capitale umano.

L’elevato tempo di permanenza permette anche la costruzione di reti di relazione sociale più solide, canali privilegiati sia per la ricerca del lavoro che dell’abitazione; la famiglia infatti permette il passaggio da una condizione di tendenziale invisibilità sociale ad un rapporto più intenso con il paese di accoglienza, aumentano gli scambi con gli italiani e quelli con i connazionali non rimangono esclusivi. Nel lungo periodo di insediamento la famiglia straniera, che tende a privilegiare relazioni con la comunità italiana, non sembra promuovere in modo attivo uno scambio sociale, soprattutto nelle sedi delle comunità di appartenenza. Un motivo plausibile è lo scarso tempo libero a disposizione, speso all’interno della casa, con i membri della famiglia, nonostante l’abitazione rappresenti un contesto disagevole per molte famiglie immigrate.

La difficoltà di  reperimento, l’alto costo e la scarsa vivibilità dello spazio abitativo, nonché la percezione di aver lasciato una casa migliore, sono solo alcuni dei fattori che ostacolano il raggiungimento di una condizione abitativa migliore, ponendosi così in contrasto con un’accettabile qualità della vita. Il costituirsi e il crescere del gruppo famiglia, diversamente dagli immigrati singoli, rende anche i percorsi istituzionali più regolari, come ad esempio l’iscrizione al servizio sanitario; la presenza dei figli, infatti, sollecita maggiori contatti sul territorio. Il benessere dei figli è la spinta che facilita l’integrazione per la famiglia immigrata, in quanto gruppo sociale, , nel momento in cui si fa promotrice della tutela della salute tra tutti i suoi membri.

In particolare  è la donna che rende più visibili i bisogni della famiglia immigrata e che diventa l’interlocutore principale degli operatori dei servizi, basti pensare ai rapporti con la scuola e le strutture sanitarie, è lei  quindi che va sostenuta concretamente e favorita  nelle sue funzioni all’interno della famiglia.

Una famiglia che si pone come un’agenzia di intermediazione per i suoi membri interni o per gli altri del proprio paese di residenza, si costituisce come reticolo formale ed informale di supporto basato su un forte sentimento di coesione familiare. Entrambi i coniugi  si sacrificano  per la famiglia in modo assai concreto: attraverso le rimesse familiari a casa, vera forma di lealtà nei confronti di un mandato familiare che  modula l’intero processo migratorio e, con l’arrivo e la crescita dei figli, lavorando prevalentemente per il benessere di questi ultimi.

Scopriamo quindi una famiglia che emigra e che si trova divisa tra gli affetti del passato e quelli del presente, davanti ad una doppia richiesta di sacrifici: da parte della famiglia di origine e di quella di nuova formazione .

Quindi relativa 'soddisfazione', che rileviamo attraverso questa ricerca, rispetto al contesto di vita italiano, nasce da un appagamento del bisogno affettivo che porta gli immigrati di prima generazione a espletare le rimesse per la famiglia rimasta in patria, e, nello stesso tempo, a migliorare le condizioni di vita dei loro figli.

Il bilancio del loro dare è pesantissimo, divisi 'tra' le generazioni considerano il loro benessere in equilibrio tra la dimensione del 'dare' e del 'ricevere' sia in modo concreto che affettivo.

In definitiva danno luogo ad una famiglia che si appaga di uno standard di vita che, potrebbe essere appena sufficiente per una famiglia medio-bassa italiana, ma che nel lungo periodo si dimostra vincente nel creare le basi per l'insediamento futuro dei figli.

 

Siamo di fronte a delle famiglie dove i valori tradizionali e religiosi sono ancora il bene primario, compreso il rispetto e la cura degli anziani, vera cartina di tornasole per verificare il passaggio da una cultura  preindustriale  a una, come l’Italia attuale, a forte propensione produttiva, dove l’anziano diventa progressivamente un peso da gestire e perde  il suo valore di depositario della cultura e delle tradizioni familiari. “L’anziano da noi è un saggio, qui è solo un anziano”: questa espressione racchiude in sé la forte base etica e solidaristica che di fatto coinvolge non solo il nucleo familiare in senso stretto, ma anche la parentela allargata e di frequente i vicini di casa. Non di rado l’orgoglio con cui si parla delle proprie radici e dei valori lasciati dietro le spalle, ma fortemente idealizzati, tende a compensare il sentimento di non appartenenza e quindi di vuoto nei confronti di un mondo, quello italiano, sentito come non proprio e non infrequentemente ostile nei confronti di quei valori così fortemente sentiti. Di fatto quanto più lungo è il periodo di permanenza in Italia, tanto maggiore è il sentimento di essere oggetto di atteggiamenti intolleranti e discriminatori da parte della comunità italiana, e qui non parliamo di clandestini, ma di cittadini in regola con il permesso di soggiorno , che sono produttivi e residenti in Italia con le proprie famiglie da un periodo medio di 7-10 anni.

 

Le interviste alle famiglie straniere, spesso condotte a casa o all’interno delle comunità straniere ci hanno permesso di raccogliere la voce di tanti stranieri, ma anche di cogliere con gli occhi le immagini, gli oggetti, le foto più significative che rappresentano il famigliare  di chi ha affrontato un salto molto difficile, sradicandosi dai suoi luoghi d’origine e riempiendo la propria vita attuale e relazionale di ricordi, suggestioni e nostalgie della propria casa, di genitori e parenti lontani con cui si hanno frequenti contatti telefonici e epistolari per mitigare tagli emotivi e distanze affettive assai dolorose. 

 

In particolare, e i dati della ricerca ce lo confermano, ci è stato assai utile riferirci al concetto della diade dominante, come descritto dalla Falicov (1997) all’interno dell’organizzazione della famiglia. Mentre nei Paesi a forte sviluppo industriale la diade marito-moglie è il nucleo fondamentale su cui si articolano le relazioni familiari e la famiglia nucleare è l’immagine più pregnante di forma di famiglia e l’individualismo il modello di relazione prevalente, nelle culture più tradizionali o a forte impronta religiosa, così come negli strati più poveri delle società sviluppate, la diade dominante è quella genitore/figlio all’interno di una visione di famiglia estesa su più piani generazionali, in cui la dimensione coniugale è sotto molti aspetti sovrapponibile o al servizio di quella di coppia genitoriale. Questo tipo di organizzazione affettiva  spiega  perché più della metà dei nostri intervistati sentono che l’esperienza della migrazione ha influenzato positivamente la vita di coppia, con un aumento della coesione coniugale.  

 

Pertanto perché avvenga una reale integrazione è necessario conoscere e rispettare il codice organizzativo delle culture piuttosto che imporre quello della cultura del paese di accoglienza, perché considerato più avanzato. Allo stesso tempo è necessario apprezzare quei mutamenti che derivano dall’impatto con un mondo totalmente diverso, quel “muoversi da una sedia all’altra” della famiglia immigrata ; è cioè necessario cogliere i conflitti di lealtà e la confusione che spesso deriva dal contrasto o dal passaggio da una diade dominante all’altra, il che pone in luce la diversità, a volte dolorosa, tra valori e comportamenti discordanti a livello di una generazione (la prima ad arrivare) e quella successiva (quella della transizione). 

E’ nel rapporto tra le generazioni, dunque, che si deve guardare per comprendere l’intero assetto culturale della famiglia; se la prima generazione di immigrati è impegnata da un lato a mediare l’impatto con l’esterno ( cultura e Istituzioni Italiane), dall’altro ad allevare e socializzare i propri figli in un mondo diverso da quello originario, mentre la seconda, quella dei figli, orienta  l’intero processo di integrazione della famiglia nel contesto italiano. Come abbiamo visto dai risultati della nostra ricerca, sono i figli che conducono i genitori a conoscere meglio l’Italia, e non solo attraverso il miglior dominio della lingua, ma attraverso tutte le acquisizioni scolastiche e relazionali che il bambino immigrato riporta in casa, generando curiosità e nuove conoscenze, ma insieme molte contraddizioni e sofferenza.

 

In questo senso la scuola con i suoi attuali 140.000 alunni stranieri (con aumenti percentuali sempre più significativi di anno in anno) rappresenta un veicolo interculturale significativo che può facilitare un interscambio tra comunità italiana e straniere, può  diventare una  vera e propria agenzia di integrazione transculturale, se saprà cogliere e utilizzare l’immenso patrimonio culturale che filtra al suo interno, senza amplificare i contrasti e attingendo alle inesauribili risorse insite nel far conoscere e apprezzare le diversità culturali. Sono ancora i figli che stabilizzano la generazione degli adulti (il sistema dei doveri si sposta progressivamente dalle rimesse a casa ai bisogni di crescita e di mantenimento dei figli) e che permettono di guardare al futuro, piuttosto che fantasticare l’eterno ritorno indietro …come se il tempo si fosse fermato con la loro partenza da casa.

In sintesi studiare a fondo e specificare meglio il tessuto affettivo e sociale della famiglia immigrata, può aiutare ad orientare in modo mirato le politiche sociali a sostegno della famiglia dei “nuovi cittadini”.

Collocare il soggetto famiglia nei processi di integrazione sociale e culturale, significa riservare maggiore attenzione al nucleo familiare nel suo insieme e superare lo stereotipo dell’immigrato come soggetto senza vincoli familiari che gestisce in modo indipendente il suo processo migratorio.

Questo sarà possibile nella misura in cui verrà favorita a livello di mass-media, delle istituzioni e dei luoghi di ritrovo una maggiore conoscenza e curiosità nei confronti delle componenti familiari e dello straniero portando così a un rispetto e ad un’empatia maggiore nei loro confronti. Si favorirà così anche il superamento del pregiudizio e delle forme di discriminazione sociale nei confronti degli stranieri ancora abbondantemente diffusi nella comunità italiana e nelle strutture istituzionali. Ciò richiede una maggiore sensibilizzazione degli operatori sociali e la formazione e l’utilizzo dei mediatori culturali.

Considerare quindi la famiglia immigrata come risorsa, in grado di favorire processi positivi di integrazione, nella consapevolezza che nella famiglia coesiste sia il ruolo di trasmissione della tradizione sia quello dell’innovazione culturale che accompagna i percorsi di integrazione dei singoli individui.Attraverso questa ricerca si è profilato un panorama delle famiglie immigrate molto diversificato che corrisponde alla presenza di culture assai diverse tra loro sul territorio italiano, ma allo stesso tempo sono emersi alcuni elementi in comune che corrispondono, in senso assai generale, a un forte sentimento di coesione familiare, dove entrambi i coniugi  si sacrificano  per la famiglia in modo assai concreto: attraverso le rimesse familiari a casa, vera forma di lealtà nei confronti di un mandato familiare che ha modulato l’intero processo migratorio e, con l’arrivo e la crescita dei figli, lavorando prevalentemente per il benessere di questi ultimi. La qualità della vita è decisamente migliore per la stragrande maggioranza degli intervistati, ma prevalentemente sul piano della sicurezza economica e della crescita dei figli; molto meno sul piano degli affetti, perché lontani (quelli della propria famiglia) e dell'integrazione nel contesto italiano.

Scopriamo quindi una famiglia che emigra e che si trova divisa tra gli affetti del passato e quelli del presente, davanti ad una doppia richiesta di sacrifici: da parte della famiglia di origine e di quella di nuova formazione .

 La vita è improntata a un forte senso del dovere, che porta a dare comunque e sempre tanto spazio al lavoro, con ancora maggior sforzo in quanto spesso sottopagato o comunque inadeguato rispetto alle proprie competenze. Il tempo libero è prevalentemente trascorso in casa con la famiglia o con saltuarie attività esterne, insieme ad amici e connazionali … perché poi sostanzialmente di tempo libero ce ne è pochissimo. 

Quindi la loro 'soddisfazione', rispetto al contesto di vita italiano, nasce da un appagamento del bisogno affettivo che porta gli immigrati di prima generazione a espletare le rimesse per la famiglia rimasta in patria, e, nello stesso tempo, a migliorare le condizioni di vita dei loro figli.

Il bilancio del loro dare è pesantissimo, divisi 'tra' le generazioni considerano il loro benessere un equilibrio tra la dimensione del 'dare' e del 'ricevere' sia in modo concreto che affettivo.

In definitiva danno luogo ad una famiglia che si appaga di uno standard di vita che potrebbe essere appena sufficiente per una famiglia media italiana, ma che nel lungo periodo si dimostra vincente nel creare le basi per l'insediamento futuro dei figli.

 

 

Siamo di fronte a delle famiglie dove i valori tradizionali e religiosi sono ancora il bene primario, compreso il rispetto e la cura degli anziani, vera cartina di tornasole per verificare il passaggio da una cultura  preindustriale  a una, come l’Italia attuale, a forte propensione produttiva, dove l’anziano diventa progressivamente un peso da gestire e perde  il suo valore di depositario della cultura e delle tradizioni familiari. “ L’anziano da noi è un saggio, qui è solo un anziano”: questa espressione racchiude in sé la forte base etica e solidaristica che di fatto coinvolge non solo il nucleo familiare in senso stretto, ma anche la parentela allargata e di frequente i vicini di casa. Non di rado l’orgoglio con cui si parla delle proprie radici e dei valori lasciati dietro le spalle, ma fortemente idealizzati, tende a compensare il sentimento di non appartenenza e quindi di vuoto nei confronti di un mondo, quello italiano, sentito come non proprio e non infrequentemente ostile nei confronti di quei valori così fortemente sentiti. Di fatto quanto più lungo è il periodo di permanenza in Italia, tanto maggiore è il sentimento di essere oggetto di atteggiamenti intolleranti e discriminatori da parte della comunità italiana, e qui non parliamo di clandestini, ma di cittadini in regola con il permesso di soggiorno , che sono produttivi e residenti in Italia con le proprie famiglie da un periodo medio di 7-10 anni.

 

Le interviste alle famiglie straniere, spesso condotte a casa o all’interno delle comunità straniere ci hanno permesso di raccogliere la voce di tanti stranieri, ma anche di cogliere con gli occhi le immagini, gli oggetti, le foto più significative che rappresentano il famigliare  di chi ha affrontato un salto molto difficile, sradicandosi dai suoi luoghi d’origine e riempiendo la propria vita attuale e relazionale di ricordi, suggestioni e nostalgie della propria casa, di genitori e parenti lontani con cui si hanno frequenti contatti telefonici e epistolari per mitigare tagli emotivi e distanze affettive assai dolorose. 

 

Abbiamo cercato di utilizzare in questa ricerca un approccio multidimensionale  prendendo in considerazione quella serie di visioni condivise del mondo, di significati e comportamenti adattativi, derivanti dalla diversità nelle forme preferite di organizzazione culturale della famiglia e del sistema di valori che la sottendono.

 

In particolare, e i dati della ricerca ce lo confermano, ci è stato assai utile riferirci al concetto della diade dominante, come descritto dalla Falicov (1997) all’interno dell’organizzazione della famiglia. Mentre nei Paesi a forte sviluppo industriale la diade marito-moglie è il nucleo fondamentale su cui si articolano le relazioni familiari e la famiglia nucleare è l’immagine più pregnante di forma di famiglia e l’individualismo il modello di relazione prevalente, nelle culture più tradizionali o a forte impronta religiosa, così come negli strati più poveri delle società sviluppate, la diade dominante è quella genitore/figlio all’interno di una visione di famiglia estesa su più piani generazionali, in cui la dimensione coniugale è sotto molti aspetti sovrapponibile o al servizio di quella di coppia genitoriale. Questo tipo di organizzazione affettiva  spiega  perché più della metà dei nostri intervistati sentono che l’esperienza della migrazione ha influenzato positivamente la vita di coppia, con un aumento della coesione coniugale.  

 

Pertanto perché avvenga una reale integrazione è necessario conoscere e rispettare il codice organizzativo delle culture piuttosto che imporre quello della cultura del paese di accoglienza, perché considerato più avanzato. Allo stesso tempo è necessario apprezzare quei mutamenti che derivano dall’impatto con un mondo totalmente diverso, quel “muoversi da una sedia all’altra” della famiglia immigrata ; è cioè necessario cogliere i conflitti di lealtà e la confusione che spesso deriva dal contrasto o dal passaggio da una diade dominante all’altra, il che pone in luce la diversità, a volte dolorosa, tra valori e comportamenti discordanti a livello di una generazione (la prima ad arrivare) e quella successiva (quella della transizione). 

 

E’ nel rapporto tra le generazioni, dunque, che si deve guardare per comprendere l’intero assetto culturale della famiglia; se la prima generazione di immigrati è impegnata da un lato a mediare l’impatto con l’esterno ( cultura e Istituzioni Italiane), dall’altro ad allevare e socializzare i propri figli in un mondo diverso da quello originario, mentre la seconda, quella dei figli, orienta  l’intero processo di integrazione della famiglia nel contesto italiano. Come abbiamo visto dai risultati della nostra ricerca, sono i figli che conducono i genitori a conoscere meglio l’Italia, e non solo attraverso il miglior dominio della lingua, ma attraverso tutte le acquisizioni scolastiche e relazionali che il bambino immigrato riporta in casa, generando curiosità e nuove conoscenze, ma insieme molte contraddizioni e sofferenza.

 

In questo senso la scuola con i suoi attuali 140.000 alunni stranieri (con aumenti percentuali sempre più significativi di anno in anno) può  diventare una  vera e propria agenzia di integrazione transculturale, se saprà cogliere e utilizzare l’immenso patrimonio culturale che filtra al suo interno, senza amplificare i contrasti e attingendo alle inesauribili risorse insite nel far conoscere e apprezzare le diversità culturali. Sono ancora i figli che stabilizzano la generazione degli adulti (il sistema dei doveri si sposta progressivamente dalle rimesse a casa ai bisogni di crescita e di mantenimento dei figli) e che permettono di guardare al futuro, piuttosto che fantasticare l’eterno ritorno indietro …come se il tempo si fosse fermato con la loro partenza da casa.

 

 

§“Al contrario, penso di vivere stabilmente qui per il futuro di mia figlia, non posso farle cambiare paese quando mi pare, lei è italiana al 100% anche se io sono di nazionalità algerina loro si considerano italiani”

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Avete qualcosa da aggiungere che possa farci capire meglio la realtà delle famiglie immigrate?

 

Nel tirare le conclusioni tornano in mente le frasi, le idee, gli stimoli che sono venuti fuori da questa ricerca e la paura che non abbiano trovato tutte sufficiente spazio. La qualità della vita è stata inquadrata nei segmenti di un quotidiano che vede gli stranieri migranti muoversi nel ‘nostro’ contesto, ma per questa volta siamo entrati noi nel ‘loro’.

Raggiungerli è stata un impresa, un viaggio, disponibili solo ‘fuori orario’, scettici e scontrosi al telefono, interminabile fiume in piena nel raccontare la loro storia familiare, i ‘loro’ problemi, i loro progetti.

E’ per questo che abbiamo riservato questa sezione alle loro voci di cui però, ci dispiace, non potrete apprezzare l’accento: napoletano, modenese, milanese, palermitano...

 

 

(le leggi)

§“Allora l’emigrazione è una realtà non trascurabile. Spesso capitano emigrati con un regolare lavoro e con il permesso di soggiorno ma trovano difficoltà nel ricongiungimento familiare. Si sposano e devono aspettare 3 anni per avere...Questo è un fatto che bisogna rivedere” (Zaire)

 

§        “Credo che per quanto riguarda l’accoglienza delle famiglie immigrate, in Italia manchi un agenzia che dica agli immigrati che arrivano cosa devono fare, dove devono rivolgersi, io mi rendo conto; anche se io sono venuto 23 anni fa, ma gli stessi problemi che ebbi io agli inizi ce li hanno quelli che vengono adesso e diciamo riescono a risolverli in maniera similare a come li abbiamo risolti noi, nel senso le indicazioni, gli uffici da incontrare, a me li davano chi mi aveva preceduto, non c’è un agenzia, un ufficio preposto che dica a lei è così, in base a questa legge vada qua, si iscriva qui, faccia questo, addirittura per prepararsi i documenti necessari…niente bisogna incontrare qualcuno che è venuto qualche anno prima e che ti dica Ah si vai là…manca l’organizzazione”(Senegal)

 

§       “Sì, il rinnovo del permesso di soggiorno mi sembra una cosa assurda quelle file, quella brutalità inutile, a cui si potrebbe mettere rimedio eliminando la burocrazia che non si trova in altri paesi europei” (Iran)

 

§       “Vorrei aggiungere che oggi stesso sono andato all’ufficio di collocamento per far registrare uno che è straniero con diploma di scuola superiore e mi hanno detto che non possono scrivere il lavoro che lui sa fare perché la legge non lo permette. Allora se è così io non so come facciamo ad integrarci in Italia e a far si che l’economia cresce.. “(Albania) [10]

 

§       ”.. noi ormai siamo in Italia e non sappiamo quando torneremo e se dobbiamo morire qua vogliamo avere la possibilità come gli italiani , inserire, fare tutto come gli italiani perché stiamo vivendo qua .. lavorando come un italiano fai tutto come un italiano paghi i contributi uguale e tu non puoi avere le possibilità che vuoi. (…) un immigrato che vive in Italia .. dopo 10 anni deve essere inserito, deve avere tutti i diritti come gli italiani .. per esempio io ho la macchina, volevo fare la rottamazione , ma non posso farla perché non sono italiano, io da 11 anni sto lavorando, pagando tutto e facendo tutto e ci sono tante cose che non possiamo… perché?”(Marocco) [11]

 

(per noi)

§       “Non fare l’assistenza in termini di aiuto perché questo non va bene, perché crea l’azione negativa degli italiani. Bisogna invece dare le buone condizioni che permettano  un immigrato di farsi una situazione decente però che se la faccia lui.., non dando aiuti perché si viene a creare un’ingiustizia che non verrà mai dall’italiano e qui viene fuori tutta la rabbia. (..) oltre la manodopera l’immigrato può portare di qua qualcosa di più che non sia solo questo. L’Italia non lo permette, ti blocca con la sua troppa burocrazia.”(Etiopia)

 

§       “C’è bisogno di avere un rapporto buono con gli italiani specialmente quando arriviamo qui in Italia, non abbiamo i genitori i fratelli, le sorelle, abbiamo bisogno di avere un comportamento buono dalla cittadinanza italiana, avere un posto dove dormire per quelli che sono appena arrivati in Italia”(Albania)

 

 

§       “Le persone che vengono qua dai vari paesi andrebbero responsabilizzate sui rischi che vengono a correre qui in Italia, non c’è nessuna prospettiva; si viene e non si può avere la carta di soggiorno, l’Italia non dà asilo politico, quindi se vuoi venire come clandestino è un rischio perché se non hai un lavoro, ti manca la casa, ti manca la salute, ci sono tanti problemi che non me la sentirei di consigliare ai miei paesani ‘ok, tentate di entrare”(Macedonia)

 

§       “Servirebbero dei mediatori all’interno dei consultori, che spieghino com’è la vita matrimoniale, perché tanti filippini si separano, oppure sono impreparati sugli aspetti ginecologici della gravidanza, hanno delle credenze antiche, e non hanno fiducia nell’assistenza medica italiana. Un altro problema è quello dei filippini che fanno i figli e poi li mandano giù a crescere, diventano viziati o drogati molti, altri non riconoscono i genitori e questo provoca sofferenza, ma continuano a farlo in molti”(Filippine)

 

§       “Sì, bisogna fare una differenza tra chi viene qui per lavorare e poi vuole tornare e chi invece viene qui per inserirsi, perché questo ha importanza sia nell’accoglienza tra la gente, che nelle discriminazioni sul posto di lavoro, o nel cercare le case. Oppure tra chi emigra individualmente e chi emigra con la famiglia, che non può tornare a trovare la famiglia al paese ogni anno per evidenti motivi di ferie o di denaro”(Serbia)

 

§       “La famiglia immigrata ha tanti problemi. Ci vuole una sensibilizzazione degli italiani per far capire che l’immigrazione è una realtà e che non si può cacciare tutti da un giorno all’altro come c’è un cambiamento politico. Capire che dobbiamo convivere, come da noi, ci sono anche italiani da noi, americani, tutti, ognuno cerca di fare il suo lavoro e di stare bene dove sta, dunque deve cambiare un po’ la mentalità e non pensare sempre disoccupazione e malattie, anzi portiamo ricchezza, senza immigrati non so che fine faranno gli italiani, tutte queste fabbriche che stanno per chiudere! Quindi secondo me questa intervista è molto interessante, sperando che un giorno servirà a realizzare qualcosa e non che finisca nell’immondizia!”(Mauritius)

 

§       “l’immigrato deve sentirsi una persona…”(Mali)

 

(per loro)

§       “A me ha fatto piacere perché lo so che qualcun altro leggerà questa intervista, la nostra esperienza. Volevo anche dire agli altri immigrati; dipende anche da noi stessi come possiamo vivere meglio, non dipende solo dagli italiani, sì, c’è l’influenza politica, c’è anche il problema di come incontrarsi con i datori di lavoro se non ti mettono in regola, però tutto viene col tempo, tutto viene, c’è solo bisogno di pazienza, come l’abbiamo avuta noi, che prima non avevamo niente, neanche il permesso di soggiorno, l’aiuto sociale, niente; ma noi ce l’abbiamo fatta con la pazienza e con lo stare insieme, essendo uniti come famiglia, avendo un valore ognuno per la famiglia, bé ci siamo riusciti, non è tanto, ma diciamo abbastanza bene.”(Albania)

 

§       “Speriamo che serva a qualcosa, non per noi ma per chi entra”(Albania)

 

§       “Come emigrante posso dire che il modo di vivere di un emigrante lo può sapere solo chi è emigrante"(Rwanda)

 

§       “Sì questa intervista potrebbe servire per quelli che stanno peggio di noi, perché noi adesso stiamo bene”(Filippine)

 

 

(ascoltiamoli)

§       Sì, veramente è la prima volta in 10 anni che sono in Italia che qualcuno mi chiede come mi trovo!”(Uruguay)

 

§       “E’ stata una sorpresa questa intervista. Io penso che non tutti gli italiani ci vogliono e figurati per ascoltare nostra esperienza”(Filippine)

 

 (per tutti)

§       “Mi ha fatto piacere farla, tutta la famiglia è contenta, vogliamo ringraziare e speriamo che ci porti fortuna”(Sri lanka)

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nota bibliografica

La nota bibliografica seguente comprende testi che nel corso della stesura del report sono stati direttamente citati, ma anche altri che, indirettamente, hanno rappresentato un valido contributo alla ricerca.

 

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Appendice


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Contenuti e metodologia

 

 

§       Obiettivi

§       Lo strumento

§       I soggetti della ricerca

 

 

 

 

Obiettivi

 

Obiettivo di questa ricerca è stato quello di indagare le modalità in cui gli immigrati vivono la propria dimensione familiare e come la adattano e la integrano con quella italiana  in un contesto assai diverso da quello in cui sono cresciuti, che non conosce o riconosce i valori culturali, religiosi e familiari loro propri. Abbiamo scelto di intervistare coppie di stranieri che abbiano almeno un figlio in età scolare considerando il limite di età quello dell’accesso alla scuola materna (almeno 3 anni), in quanto ci interessa comprendere  come avviene e se avviene il processo di progressiva integrazione dei figli, nati in Italia o comunque presenti come alunni nel sistema scolastico italiano; come pure ci siamo riproposti di capire l’eventuale emergenza di  conflitti  tra famiglia e scuola o all’interno della famiglia stessa di fronte ad un eventuale scontro ‘culturale intrafamiliare’ tra le due generazioni.

 

In sostanza si sono volute verificare quali condizioni influenzano la qualità della vita della famiglia immigrata in Italia, prendendo in considerazione gli aspetti strutturali, economici, abitativi e soprattutto relazionali; l’interesse di ricerca è stato quello di indagare se la famiglia immigrata trova in Italia la possibilità di uno standard di vita adeguato e soddisfacente.

Si è cercato anche di far emergere le difficoltà incontrate e le eventuali aree sentite come maggiormente carenti per una qualità di vita che possa essere considerata soddisfacente. 

A tal fine sono stati presi in considerazioni aspetti della vita di relazione all’interno delle famiglie immigrate e di relazione nel contesto sociale.

 

 

 

Lo strumento

 

Al fine di raggiungere gli obiettivi della ricerca è stato scelto come strumento una intervista semi-strutturata costruita ad hoc. La costruzione di questo strumento è avvenuta per fasi.

Una prima stesura dell’intervista è avvenuta in base alla letteratura e ai più recenti contributi di ricerca sul tema. Una volta definita una sua prima versione, si è proceduto all’addestramento degli intervistatori per metà stranieri e per metà italiani. Questo è consistito in una familiarizzazione in gruppo delle domande dell’intervista e del senso di ogni singolo item. Inoltre si è favorito negli intervistatori un apprendimento delle modalità di porre le domande dell’intervista.

A questa fase di addestramento è seguita la somministrazione da parte degli intervistatori della prima versione dello strumento. Le interviste sono state effettuate face to face, audioregistrate e integralmente trascritte.

Queste interviste di prova hanno consentito di individuare eventuali domande superflue, poco chiare, inesatte o mancanti. Ha inoltre permesso agli intervistatori di provare “sul campo” la somministrazione dello strumento.

Infatti, il momento successivo si è caratterizzato nei termini di un altro incontro tra tutti gli intervistatori e lo staff di ricerca che ha avuto due obiettivi principali: il primo è stato quello di dare ad ogni intervistatore un feedback individuale sulle loro modalità di somministrazione dello strumento (avendo il gruppo di ricerca precedentemente ascoltato e letto le trascrizioni delle interviste di prova) al fine di migliorare le loro competenze; il secondo è stato quello di ricevere dagli intervistatori indicazioni per migliorare ulteriormente lo strumento.

Così definita l’intervista nella sua versione finale, è stata somministrata alle famiglie immigrate. A questo proposito va detto che la somministrazione delle interviste è avvenuta alla presenza di entrambi i coniugi e sottoponendo ogni item dell’intervista ad entrambi. Le interviste sono state somministrate per lo più nelle case delle famiglie intervistate che hanno accolto gli intervistatori spesso in ore serali o durante i fine settimana per difficoltà legate alla mancanza di tempo libero dal lavoro e dalla difficoltà ad incontrare entrambi i coniugi nello stesso momento. In alternativa le famiglie hanno dato la disponibilità a recarsi presso Centri, Associazioni e sedi Anolf presenti sul territorio , oppure presso le sedi delle loro comunità di appartenenza. 

La tecnica di ricerca usata è stata l’analisi del contenuto, applicata al testo delle interviste audioregistrate nella somministrazione, precedentemente trascritto in maniera integrale. L’analisi del contenuto, in generale, consiste nella classificazione in categorie prestabilite degli elementi della “comunicazione” da analizzare (in questo caso, il testo trascritto delle interviste); per tanto è stata predisposta una griglia di lettura del testo.

Si è scelta come unità di contesto, (intesa come quella parte del testo in riferimento alla quale é possibile attribuire un significato alle unità di analisi,) l’intero testo dell’intervista; mentre come unità d’analisi, (ovvero lo specifico segmento di contenuto oggetto di analisi,) la frase così come essa compare nel testo della intervista, prendendola in considerazione in riferimento al significato prevalente che essa esprime.

Individuate le singole unità di analisi, si è proceduto alla costruzione delle categorie di analisi, costruendo così il sistema di codifica.

Una volta approntato un primo sistema di categorie esso è stato applicato ad un campione di sentenze con l’obiettivo di

- individuare eventuali categorie mancanti o superflue

- individuare errori o inesattezze nella definizione concettuale ed operativa delle categorie

- trarre indicazioni per l’eventuale estensione o riduzione, aggregazione o disaggregazione delle categorie.

Così definito il sistema di codifica, esso è stato applicato al testo delle interviste e quindi si è  proceduto alla rilevazione dei dati.

 

 

 


I soggetti della ricerca

 

I soggetti della nostra ricerca non sono stati individui singoli, ma famiglie. Va detto che non è mai stato fatto un censimento in Italia su quante famiglie sono presenti sul territorio e da quali Paesi sono arrivate. Le presenze degli stranieri a livello individuale non sono sufficienti , poiché la presenza di un numero considerevole di uomini e di donne che provengono da uno stesso Paese non è indicativo a definirne il progetto migratorio che può comunque essere individuale e non familiare. Anche il numero di ricongiungimenti familiari sono insufficienti di per se ad individuare la presenza familiare se si pensa a quante famiglie giungono insieme. Inoltre il dato riguardante lo stato civile degli stranieri presenti in Italia non indica la presenza in Italia del coniuge o la nazionalità di quest’ultimo.  Inoltre le comunità straniere presenti sul territorio nazionale non è detto che siano rappresentative delle rispettive culture d’appartenenza. Da ultimo va considerato che è difficile conoscere il numero degli stranieri non regolari sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo.

Si è comunque proceduto a contattare personalmente alcuni  membri di diverse etnie attraverso le comunità presenti sul territorio nazionale presentando gli obiettivi della ricerca e chiedendo la loro collaborazione nel reperimento delle famiglie; come pure si sono contattati Servizi pubblici e Associazioni che si occupano di offrire servizi agli immigrati. Le famiglie da intervistare hanno risposto ad alcuni criteri: innanzitutto abbiamo scelto coppie coniugate preferibilmente da almeno tre anni in Italia, o con almeno un coniuge arrivato nel nostro Paese da almeno tre anni, che avessero almeno un figlio la cui età minima doveva essere di tre anni (questo limite di età consente di ipotizzare che si tratta di famiglie i cui figli potrebbero essere inseriti nel sistema scolastico in quanto i tre anni  rappresentano l’età di accesso alla scuola materna), entrambi i coniugi non dovevano avere nazionalità italiana (sono state quindi escluse le coppie miste, ovvero con un coniuge di nazionalità italiana).

Sulla base di questi criteri sono state contattate le famiglie così come descritto.

 I soggetti che hanno costituito il campione sono 460 , ovvero 230 mogli e 230 mariti di 230 famiglie immigrate.

Al momento dell’intervista hanno un’età media di 37.2 anni; inoltre avevano in media 27.2 anni quando sono emigrati la prima volta dal loro Paese d’origine e 27.9 quando sono arrivati in Italia per la prima volta per il passaggio di alcuni di loro in altri Paesi prima di stabilizzarsi in Italia.

Inoltre a questo proposito va considerata la differenza tra marito e moglie. Infatti, al momento dell’intervista i mariti hanno in media 39.2 anni e le moglie 35. Al momento della prima emigrazione i mariti hanno in media 27.9 anni e le moglie 26.5; al primo arrivo in Italia i mariti hanno in media 28.9 anni e le mogli 26.9.

Provengono da paesi orientali (28.7%), da quelli dell’Africa Subsahariana (22.4%), dall’Europa dell’Est (19.1%), dal Centro e Sud America (13.5%), dal Nord Africa (12,2%) e dal Medio Oriente (4.1%).

 

Zona geografica di provenienza

%

 

Oriente

28,7

 

Africa subsahariana e centrale

22,4

 

Europa dell'est

19,1

 

Centro e sud America

13,5

 

Nord Africa

12,2

 

Medio oriente

4,1

Totale

100

 

In particolare provengono da 45 paesi diversi, in prevalenza si tratta di famiglie i cui membri arrivano dalla Cina ( 12,6%) dall’Albania (10,0%) dalle Filippine (7,4%) dal Marocco (7,2%) e dallo Sri Lanka (6,5%), poiché tenendo in considerazione le presenze per sesso, i ricongiungimenti familiari (nonostante i limiti precedentemente descritti), si possono considerare le aree geografiche dalle quali provengono il maggior numero di “famiglie immigrate” presenti in Italia,. (Dossier Caritas 2000)

 

Paese d'origine

%

 

Cina

12,6

 

Albania

10,0

 

Filippine

7,4

 

Marocco

7,2

 

Sri Lanka

6,5

 

Perù

5,7

 

Ex-Yugoslavia

4,3

 

Eritrea

3,3

 

Tunisia

3,0

 

Nigeria

3,0

 

Senegal

2,6

 

Mali

2,4

 

Costa d'Avorio

2,0

 

Mauritius

2,0

 

Argentina

1,7

 

Iran

1,7

 

Polonia

1,7

 

Romania

1,7

 

Ghana

1,7

 

S. Domingo

1,3

 

Ecuador

1,3

 

Etiopia

1,3

 

Congo

1,3

 

Camerun

1,3

 

Pakistan

1,1

 

Egitto

1,1

 

Burkina Faso

0,9

 

India

0,9

 

San Salvador

0,9

 

Algeria

0,9

 

Macedonia

0,9

 

Cile

0,9

 

Cuba

0,9

 

Guinea

0,4

 

Guinea Bissau

0,4

 

Uruguay

0,4

 

Rwanda

0,4

 

Colombia

0,4

 

Kurdistan

0,4

 

Bulgaria

0,4

 

Zambia

0,4

 

Turchia

0,4

 

Seychelles

0,2

 

Giordania

0,2

 

Kuwait

0,2

 

Totale

100

Inoltre nella stragrande maggioranza (94.3%) sono regolari con permesso di soggiorno; in media hanno il permesso di soggiorno da 7.8 anni; e in particolare i mariti in media da 8.5 anni e le mogli da 7 anni.

 

Possesso del permesso di soggiorno ripartito per zona geografica di provenienza

 

 

 

Si

No

 

Centro e sud America

 

90,3

9,7

 

Oriente

 

99,2

0,8

 

Nord Africa

 

100,0

0

 

Medio oriente

 

100,0

0

 

Africa subsahar. e centrale

 

96,1

3,9

 

Europa dell'est

 

83,0

17,0

Totale

 

94,3

5,7

 

Si tratta di famiglie straniere che in media sono emigrate la prima volta da 9,3 anni; in particolare i mariti in media sono emigrati la prima volta da 10,8 anni e le mogli invece da 8,6 anni.

 

Se analizziamo gli anni di permanenza in Italia rispetto al sesso appare in maniera evidente che gli uomini, arrivati da 11 a 15 anni fa ed oltre, sono quasi il doppio delle donne arrivate nello stesso periodo e che queste ultime aumentano in percentuale negli anni più recenti. Questo ci ricollega ai ricongiungimenti familiari e ci induce a pensare che le donne arrivano più tardi, ma in modo regolare attraverso il ricongiungimento familiare, mentre gli uomini, sebbene arrivino per primi con molta probabilità hanno vissuto un periodo di irregolarità .

 

Anni di permanenza in Italia secondo il sesso

 

 

Sesso

 

 

Marito

Moglie

 

Fino a 3 anni

47,1

52,9

 

Da 3 a 5 anni

38,5

61,5

 

Da 6 a 10 anni

48,0

52,0

 

Da 11 a 15 anni

62,6

37,4

 

Oltre 15 anni

64,0

36,0

 

La maggior parte delle famiglie intervistate è di religione cristiana cattolica nel 38.5% e musulmana nel 31.9%.

 

Religione professata secondo l’area geografica di provenienza

 

 

cristiana cattolica

musulmana

buddista

cristiana ortodossa

sick

cristiana protestante

altro

 

Centro e sud America

90,3

0

0

0

0

0

9,7

 

Oriente

40,5

1,6

25,4

0

3,2

27,8

1,6

 

Nord Africa

3,7

88,9

0

3,7

0

0

3,7

 

Medio oriente

0

100,0

0

0

0

0

0

 

Africa subsahariana e centrale

42,2

41,3

0

9,2

0

1,8

5,5

 

Europa dell'est

23,8

36,9

0

36,9

0

0

2,4

Totale

38,5

31,9

7,0

9,5

0,9

8,1

4,0

 

 

 

Si sono intervistate famiglie straniere residenti in 15 regioni italiane:

 

 

Regione di residenza

%

 

Lazio

23,9

 

Lombardia

17,8

 

Toscana

13,5

 

Campania

11,3

 

Veneto

8,3

 

Emilia Romagna

7,0

 

Sicilia

3,5

 

Piemonte

3,0

 

Puglia

3,0

 

Sardegna

2,6

 

Friuli

1,7

 

Marche

1,7

 

Abruzzo

1,3

 

Calabria

0,9

 

Umbria

0,4

Totale

100,0

 

In particolare le famiglie straniere sono state intervistate in 34 città italiane, secondo la seguente distribuzione:

 

Attuale città italiana di residenza

%

 

Roma

19,3

 

Milano

11,8

 

Prato

11,4

 

Napoli

10,1

 

Lecco

5,3

 

Verona

5,3

 

Ravenna

3,5

 

Latina

3,5

 

Torino

3,1

 

Venezia

2,6

 

Brindisi

2,2

 

Sassari

2,2

 

Modena

2,2

 

Firenze

1,8

 

Catania

1,8

 

Palermo

1,8

 

Trieste

1,8

 

Ascoli Piceno

1,3

 

L'aquila

1,3

 

Caserta

1,3

 

Rieti

0,9

 

Parma

0,9

 

Cosenza

0,9

 

Bergamo

0,4

 

Cagliari

0,4

 

Lecce

0,4

 

Massa Carrara

0,4

 

Pisa

0,4

 

Perugia

0,4

 

Reggio Emilia

0,4

 

Brescia

0,4

 

Padova

0,4

 

Totale

100

 

Le famiglie intervistate sono sostanzialmente venute direttamente in Italia (80,4%):  nella attuale città di residenza nel 47,3% dei casi e nel 33.1% in una città italiana diversa da quella attuale, e nel 19.9% dei casi sono emigrate in un altro Paese prima di venire in Italia.

 

Emigrato la prima volta in:

%

 

Italia, nella stessa città di attuale residenza

47,3

 

Italia, ma in una città diversa da quella attuale

33,1

 

Altro paese

19,6

 

Totale

100

 

 Le famiglie intervistate risiedono nelle rispettive città da 7,5 anni; in particolare i mariti in media da 7,9 anni e le mogli da 7 anni.

Sono emigrati in Italia  da soli (47,8%) oppure con i familiari (43,0%):

 

Con chi è emigrato

%

 

Da solo

47,8

 

Con familiari

43,0

 

Con amici

8,5

 

Altro

0,7

 

Totale

100

 

Fra quanti sono emigrati da soli, è rilevante la quota dei mariti (64,1%) mentre le mogli, fra quelli che hanno dichiarato di essere emigrati con i familiari, rappresentano il 63,8%. Dal raffronto con i dati riguardanti gli anni di permanenza in Italia, è possibile affermare che questa disparità è frutto dei ricongiungimenti familiari.

 

Con chi è emigrato secondo il sesso

 

 

 

Marito

Moglie

 

Da solo

 

64,1

35,9

 

Con familiari

 

36,2

63,8

 

Con amici

 

59,5

40,5

 

Altro

 

33,3

66,7

 

 Il 52,4% degli intervistati ha la patente di guida, oltre i tre quarti di questi (77,6%) sono uomini.

 

Possesso della patente di guida

%

 

Si

52,4

 

No

47,6

 

Totale

100

 

Possesso della patente di guida secondo il sesso

 

 

Si

No

 

Marito

77,6

22,0

 

Moglie

25,6

74,4

 

Possiedono mezzi di locomozione nel 56.6% dei casi e si tratta soprattutto dell’automobile o del motorino. In particolare, fra quanti non hanno mezzi di locomozione le donne rappresentano il 67,2%.

 

 

Possiede mezzi di locomozione

%

 

No

43,6

 

Si, l'automobile

36,5

 

Si, la bicicletta

7,2

 

Si, il motorino

6,7

 

Si, la bicicletta e l'automobile

2,2

 

Si, la macchina e il motorino

2,2

 

Si, il motorino, l'automobile e la bicicletta

1,1

 

Si, il motorino e la bicicletta

0,4

 

Totale

100

 

Possiede mezzi di locomozione

sesso

 

marito

moglie

 

No

32,8

67,2

 

Si, la bicicletta

31,3

68,8

 

Si, il motorino

70,0

30,0

 

Si, l'automobile

68,7

31,3

 

Si, la bicicletta e l'automobile

70,0

30,0

 

Si, il motorino, l'automobile e la bicicletta

80,0

20,0

 

Si, la macchina e il motorino

80,0

20,0

 

Si, il motorino e la bicicletta

100,0

0

 

 

Le coppie intervistate si sono sposate nella stragrande maggioranza dei casi (84,0%) nel proprio Paese d’origine. Solo in un caso hanno fatto il rito civile in Italia e quello religioso nel Paese d’origine

 

Dove si è sposato

%

 

Nel proprio paese

84,0

 

In Italia

11,7

 

In un altro paese

3,8

 

Doppio matrimonio

0,5

 

Totale

100

 

Sono sposati in media da 11,7 anni e hanno celebrato il matrimonio prima di venire in Italia (64,4%). Su quest’ultimo punto è interessante considerare la differenza tra moglie e marito. Infatti, sono soprattutto gli uomini (40,6%) a sposarsi dopo essere venuti in Italia, il che fa pensare che una volta emigrati in Italia ritornano al loro paese per sposarsi.

 

Quando si è sposato

%

 

Prima di venire in Italia

64,4

 

Dopo essere venuto in Italia

35,6

 

Totale

100

 

Quando si è sposato secondo il sesso

 

 

Prima di venire in Italia

Dopo essere venuto in Italia

 

Marito

59,4

40,6

 

Moglie

69,3

30,7

 

Le famiglie intervistate sono composte in media da 2 figli e questi sono nati prevalentemente in Italia (44,3 %),nel Paese d’origine (34,3%) , nel 20,7% parte dei figli sono nati nel Paese di provenienza e parte in Italia. Solo in 8 casi le mogli sono tornate a partorire nel Paese d’origine dopo essere già immigrate in Italia., si tratta di 2 famiglie peruviane,2 famiglie marocchine, 1 del Camerun, 1 cinese, 1 kosovara e 1 albanese.

 

Dove sono nati i figli

%

 

In Italia

44,3

 

Nel paese d'origine

34,3

 

In Italia e nel proprio paese

20,7

 

In un altro paese

0,7

 

Totale

100,0

 

Al momento della somministrazione dell’intervista le famiglie immigrate vivono da sole (72.0%); quando vi sono altre persone conviventi si tratta di familiari (17,7%).

 

Altre persone conviventi

%

 

No

72,0

 

Si, familiari

17,7

 

Si, amici/conoscenti

6,5

 

Si, i propri operai/colleghi di lavoro

3,7

 

Totale

100

 

Altre persone conviventi secondo la zona geografica di provenienza

 

zona geografica di provenienza

 

Centro e sud America

Oriente

Nord Africa

Medio oriente

Africa subsahar. e centrale

Europa dell'est

No

10,4

21,7

14,2

5,2

25,9

22,7

Si, amici/conoscenti

21,4

35,7

14,3

7,1

 

21,4

Si, familiari

23,7

46,1

5,3

1,3

13,2

10,5

Si, i propri operai/colleghi di lavoro

0

100

0

0

0

0

 

La presenza di altri conviventi oltre i membri stessi della famiglia si distribuisce diversamente a seconda anche del paese di provenienza. Infatti nel caso dell’Oriente le famiglie cinesi sono le uniche che dichiarano di dividere l’abitazione, che spesso è rappresentata da capannoni dove lavorano, con operai e colleghi di lavoro.

 

 



[1] Tutte le citazioni presenti nel testo sono state riportate integralmente lasciando volutamente l’italiano, non sempre corretto, parlato dagli immigrati .

[2]  Bisogna tenere conto di 2 fattori nella lettura di questo dato: la stima il rilevamento approssimativao fattao dalle coppie ; la tendenza che potrebbe esserci la tendenza a dichiarare mq abitativi superiori a quanto realmente corrispondenti , poiché nella maggioranza dei casi si tratta di coppie che hanno chiesto il ricongiungimento familiare e per il rinnovo di quest’ultimo è necessario rispettare dei parametri rispetto allo spazio abitativo.

[3] I dati del centro studi NOMISMA confermano per il 2000 un aumento degli affitti rispetto al 1999, nella misura tra il 10% e il 20% . Per le fasce deboli della popolazione il problema della casa in Italia è divenuto ancora più drammatico dopo la liberalizzazione degli affitti favorita dalla legge 431/98, i canoni lievitano senza che venga fuori il “sommerso” secondo il SUNIA nel 1999 i contratti registrati sarebbero diminuiti del 5% rispetto all’anno precedente.

[4] Cfr. M. Merelli; M.G.Ruggerini (2000) ; Ares (2000)

[5] Si tratta di 820 strutture di cui 620 ubicate al Nord, che sono in grado di offrire 17.200 posti letto di fronte ad una domanda urgente di almeno 100.000 posti letto. Il Lazio , dove affluiscono annualmente circa 16.000 nuovi immigrati, dispone soltanto di 36 centri, con circa 900 posti letto complessivi. (Ares 2000)

[6] Dato che confermato anche nella ricerca di M. Merelli; M.G.Ruggerini (2000)  

[7] Vedi circolare D.G.M. 063 - Ministero dei Trasporti

[8] Ci sembra utile ricordare che il nostro campione è costituito da famiglie con figli e quindi rappresentativo di questo tipo di realtà .

[9] Legge del 6 marzo 1998 n°. 40, il decreto legislativo 25 luglio 1998, n°. 286; il decreto del presidente della Repubblica del 5 agosto 1998; il decreto legislativo 13 aprile 1999, n°.113; il decreto del presidente della Repubblica del 31 agosto 1999, n°. 394.

[10] Il problema dell’equipollenza dei titoli di studio è molto sentito. (vedi Art. 48 del Regolamento d’attuazione Testo Unico L. 286)

[11] Nonostante la legislazione italiana preveda che dopo 10 anni si possa chiedere la cittadinanza (L. n°.91 del 5 febbraio 1992), la scarsa conoscenza delle leggi e i lunghi tempi di attesa rendono molto lento il processo di acquisizione della cittadinanza.