Commissione per le
politiche di integrazione degli immigrati Dipartimento per
gli Affari Sociali – Presidenza del Consiglio dei Ministri |
Organismo
Nazionale di Coordinamento per le Politiche di Integrazione Sociale degli
Stranieri Consiglio
Nazionale dell’Economia e del Lavoro |
La qualità della vita
delle famiglie immigrate in Italia
a cura della Fondazione "Silvano Andolfi"
Maggio 2001
Ricerca a cura della
Fondazione “Silvano Andolfi”
Finanziata da:
Commissione per le
politiche di integrazione degli immigrati - Dipartimento Affari
Sociali - Presidenza del Consiglio dei Ministri e Organismo Nazionale di
Coordinamento per le Politiche di Integrazione Sociale degli Stranieri - CNEL (Consiglio
Nazionale dell’Economia e del Lavoro).
Responsabile della
ricerca :
prof. Maurizio
Andolfi
Gruppo di ricerca:
Maurizio Andolfi,
Melania Scali, Lorena Cavalieri, Cristina Finocchiaro, Lucia Palma.
Hanno collaborato alla realizzazione:
Cinzia Cimmino, Simona Magazzù, Ye Hui Ming,
Emilio Ricci, Giulia Ferrarese, Idris Tchedjougou Sanogo, Paola Balla, Andrea
Volpicelli, Jean Pierre Piessou Sourou, Natasha Čobani, Ferdinand Soppo,
Angela Fiorello, Khalid Saady, Buoubacar Daou, Michele Babbino e
tutti gli altri intervistatori che hanno partecipato.
Si ringrazia
l’Anolf per la collaborazione in particolare le sedi di
Prato, Lecco, Verona, Napoli, Roma.
Il Centro per le
famiglie di Reggio Emilia; La casa delle culture di Catania; l’Istituto
di Terapia Familiare di Napoli; ARI di Rieti; la Caritas (in particolare le
sedi di Brindisi e Napoli); Oklaoma di Milano; Centro
Stranieri del Comune di Modena; Centro di Accoglienza del Comune di
Nonantola e tutte le associazioni che hanno dato la loro disponibilità
.
Un grazie particolare
a tutte le famiglie che hanno partecipato.
INDICE
|
|
||||
A - Introduzione |
5 |
||||
B - La famiglia in
emigrazione: continuità e fratture nelle relazioni intergenerazionali 8
|
|
||||
|
Come è
stata considerata la sua decisione di emigrare |
11 |
|||
|
Cosa le manca
della sua famiglia |
14 |
|||
|
Ha ancora un peso? |
16 |
|||
|
Come la vedono
oggi i suoi familiari |
17 |
|||
|
La presenza della
famiglia |
18 |
|||
|
Il ritorno |
19 |
|||
C - Le dinamiche del processo migratorio |
22 |
||||
|
La
motivazione |
23 |
|||
|
Le
difficoltà incontrate all’arrivo in Italia |
26 |
|||
|
Le
difficoltà attuali |
27 |
|||
|
Come è
cambiata la vita |
28 |
|||
|
I motivi della
permanenza in Italia |
30 |
|||
|
Le trasformazioni
del carattere |
31 |
|||
|
Le trasformazioni
del rapporto di coppia |
32 |
|||
|
Le differenze con
il paese d’origine |
34 |
|||
|
Cosa l’ha
fatta sentire uno straniero immigrato |
35 |
|||
|
Cosa le manca di
più del suo paese |
37 |
|||
D – Percorsi lavorativi |
38 |
||||
E - Lo spazio e il tempo |
48 |
||||
|
Lo
spazio della casa |
48 |
|||
|
Il tempo:
relazioni sociali e tempo libero |
55 |
|||
|
Il tempo della
burocrazia |
60 |
|||
|
Tempo e spazio per
la religione |
61 |
|||
F - L'accesso ai Servizi Sanitari |
64 |
||||
G - L’educazione e la scuola |
71 |
||||
|
Per
una scuola integrata |
72 |
|||
|
Per una scuola da
condividere |
76 |
|||
|
Il vantaggio del
minore straniero |
79 |
|||
|
Difficoltà
di educazione e differenze culturali |
80 |
|||
|
Il futuro |
84 |
|||
H - Considerazioni conclusive |
86 |
||||
Avete qualcosa da aggiungere… |
90 |
||||
Nota bibliografica |
93 |
||||
Appendice |
100 |
||||
|
Contenuti e
metodologia |
101 |
|||
|
|
Obiettivi
|
101 |
||
|
|
Lo strumento |
102 |
||
|
|
I soggetti della
ricerca |
104 |
||
|
Grafici |
111 |
|||
A - Introduzione
Negli ultimi decenni abbiamo assistito a rapide e profonde trasformazioni della famiglia nella società occidentale. In Italia gli Anni Settanta hanno segnato mutamenti assai significativi , vuoi attraverso i movimenti femministi che la rivoluzione studentesca e ancor più quella industriale che hanno portato a una progressiva nuclearizzazione della famiglia tradizionale, dove i legami affettivi con la famiglia estesa e le regole autoritarie della famiglia di tipo patriarcale venivano sostituite da nuovi modelli relazionali improntati sulla parità dei sessi, sulla ricerca della realizzazione personale sia in ambito privato che sul piano lavorativo, su regole assai più flessibili nell’educazione dei figli; la procreazione da evento spontaneo (I figli sono “arrivati”!!) e/o divino (ce li ha mandati la Provvidenza) implicito nello stesso atto di sposarsi diventava un progetto improntato sul concetto di responsabilità (i due potenziali genitori devono riflettere a fondo sulla motivazione a fare famiglia e devono essere consapevoli di ciò che tutto ciò comporta) e di opportunità (si deve rispondere a una serie di interrogativi: quanto ci costa economicamente, limita la/le nostre carriere professionali o lavorative, a chi possiamo affidarlo in nostra assenza , a che condizioni ci possiamo fidare del nostro rapporto di coppia ?).
Tutto ciò ha portato come prevedibile conseguenza una drastica e progressiva riduzione del numero dei figli e a uno spostamento in avanti nei tempi della prima gravidanza; basti pensare al fatto che 30 anni fa una donna che procreava a 28 anni veniva catalogata su un piano ginecologico come “primipara attempata”. Oggi succede frequentemente che alla stessa età non sia ancora sposata e non abbia ancora un progetto di maternità. Inoltre in seguito ai frenetici ritmi della vita moderna e all’aumento delle più svariate contaminazioni ambientali assistiamo a un incremento notevole della sterilità, sia femminile che maschile, fenomeno quest’ultimo che ha portato nelle ultime decadi a un aumento vertiginoso delle adozioni, sia italiane e ancor più internazionali. La famiglia adottante rientra quindi tra le nuove forme di famiglia, tra queste abbiamo un crescente numero di coppie di fatto e di famiglie ricostituite, ovvero di nuovi nuclei familiari che vengono a costituirsi in seguito a processi di disgregazioni familiari e successive ricomposizione di legami di coppia. Per non parlare di altri legami di coppia, quelli omosessuali, sia maschili che femminili ancora non sufficientemente riconosciuti nel nostro Paese, ma non per questo meno rappresentati. Se è vero che sono aumentate le famiglie ricostituite è anche vero che sono in aumento le famiglie monogenitoriali, ovvero famiglie dove c’è un solo genitore, vuoi perché prevale in Italia l’Istituto dell’affido monoparentale dopo la separazione coniugale, (molto raramente si sceglie l’affido congiunto) vuoi per la morte o l’abbandono di uno dei due genitori.
Se è vero che in Italia la famiglia
è ancora considerata un bene primario e essenziale, sia sul piano degli
affetti che della crescita dei figli, nonché su quello economico,
è altrettanto vero che al suo interno coesistono forme e dinamiche
affettive profondamente diverse e variegate, nonché modelli educativi e
valori fortemente differenziati. Anche se esistono ancora abbastanza radicati
pregiudizi e stigmatizzazioni sociali verso tutto ciò che si discosta
dalla norma, in questo caso i modelli della famiglia tradizionale (ad esempio,
non è infrequente che quando sorge un problema in adolescenza e si
manifesta anche in ambito scolastico
si senta dare come spiegazione “..certo è figlio di
genitori separati!”, o in altre situazioni si identifichi
l’attività della madre fuori casa come giustificazione di qualche
problema ecc.), è pur vero che oggi è abbastanza diffusa una
cultura delle differenze che permette di adattarsi al nuovo; iIn questo contesto,
sempre più laico e poliedrico, ma sicuramente omogeneo sia dal punto di
vista razziale che religioso (chi può negare che l’italiano sia
bianco e di tradizione cattolica?) assistiamo nelle ultimissime decadi a un
fenomeno epocale, tanto più sconvolgente perché
“rovesciato” rispetto alla nostra più che centenaria
esperienza di migrazioni di massa: l’Italia dopo aver esportato 26
milioni di lavoratori con le proprie famiglie all’Estero è diventata,
al pari di molti Paesi ad economia avanzata , sia Europei che Nordamericani, un
luogo di sempre crescente migrazione per una miriade di culture e di famiglie
provenienti da Paesi in via di sviluppo, chiamati in modo assai infelice come stranieri
“extracomunitari”. Per cui implicitamente si confonde
l’essenza stessa dell’essere stranieri e si vanno creando delle
gerarchie di valore e di gradimento: i
non italiani si distinguono in stranieri comunitari (assimilati e quindi simili
: come se accordi economici e politici potessero far saltare automaticamente
diversità di lingua, di cultura, di storia e di tradizioni religiose ,
peraltro assai sentite fino ad epoche assai recenti
ecc.) e stranieri extracomunitari, distinti questi ultimi a seconda dello standard economico,
culturale e politico di vita, in stranieri di serie A, quelli a sviluppo
avanzato (nordamericani, giapponesi, svizzeri ecc.) , la cui presenza viene
sollecitata e inseguita da strutture turistiche , bancarie, universitarie ecc.
e stranieri provenienti da Paesi in via di sviluppo, terminologia un po’
ipocrita che ha sostituito la precedente di Paesi del Terzo Mondo: di fatto
proprio da questi ultimi paesi avviene
quel massiccio esodo di cittadini e famiglie che migrano dal Sud in
cerca di una condizione di vita migliore nei Paesi più abbienti del Nord
del Pianeta.
Basandoci anche
sull’esperienza migratoria italiana, e sui processi di
integrazione/assimilazione delle famiglie straniere in Paesi Europei dove il
fenomeno è meno recente e più sperimentato e sull’esperienza professionale di alcuni di
noi nella realtà italo-americana di New York, abbiamo ipotizzato
che l’integrazione del ‘nuovo cittadino’ fosse possibile
soltanto nella misura in cui fossero presi in considerazione i suoi bisogni, e
non soltanto quelli di tipo individuale,
di soggetto lavoratore con i suoi
diritti e doveri, ma soprattutto fossero riconosciuti e accettati dalle
Istituzioni e dal contesto sociale del Paese di accoglienza i propri suoi valori familiari e
le proprie
sue tradizioni
culturali e religiose, sentite con maggiore intensità proprio
perché ‘lasciate dietro le spalle’ nel proprio Paese di
provenienza.
Nel nostro
precedente lavoro di formazione dei mediatori culturalie e di supervisione del loro lavoro in
diversi ambiti istituzionali, nonché attraverso il contatto diretto con
molte comunità straniere, dislocate in tante parti del territorio
nazionale, abbiamo spesso sentito riferire da molti immigrati un sentimento di forte
pregiudizio, quasi una forma di mancanza di libertà, e non tanto sul
piano personale, ma piuttosto per la negazione o il disinteresse avvertito nei
confronti dei propri valori familiari, come se mancasse nella cultura ospitante
qualsiasi curiosità nei confronti di quanto lo straniero considera
più prezioso e fondamentale della propria persona: insomma
quest’ultimo sarebbe un soggetto senza vincoli familiari, che gestisce in
modo solitario il proprio processo migratorio.
Abbiamo cercato di
verificare attraverso la testimonianza diretta di 230 coppie di stranieri quali
fossero i parametri gli
ingredienti essenziali per definire la qualità della vita
della famiglia emigrata in Italia.
Siamo ben consapevoli che il campione della
nostra ricerca è costituito da famiglie in cui gli individui (parliamo
di individui e non famiglie poiché moltissime sono il frutto di
ricongiungimenti familiari) vivono mediamente in Italia da almeno 7-8 anni e
che rappresentano soltanto una parte, anche se via via più consistente,
del variegato mondo degli stranieri immigrati: la stabilizzazione degli
individui nel paese di immigrazione segue infatti percorsi e forme familiari
molteplici: ricongiungimenti familiari, matrimoni interetnici e/o misti con un
coniuge italiano, oppure per corrispondenza, coppie senza prole,
“famiglie” di
coabitanti non parenti che formano una sorta di nicchia etnica, spesso
unico legame nella migrazione.
Inoltre riteniamo che le coppie che hanno accettato di farsi intervistare e di parlare a lungo (le interviste hanno la durata media di un’ora e quindici minuti) della propria realtà familiare nel contesto sociale e istituzionale italiano si discostino in parte dall’universo degli immigrati, ovvero che abbiano un livello di scolarità di base e di disponibilità a farsi conoscere maggiore della media. Eravamo tuttavia consapevoli che una quota inevitabile di informazioni sarebbe stata improntata ad un relativo conformismo, sia perché si doveva parlare a terzi di cose anche molto personali, sia per il condizionamento dovuto alla situazione di rispondere congiuntamente alle stesse domande (in particolare nelle famiglie di cultura musulmana è stato più difficile avere risposte più distinte tra marito e moglie).
Sarebbe molto istruttivo se nel futuro si potessero studiare più a fondo i diversi percorsi migratori, seguendo magari la costituzione di quei reticoli familiari , già descritti dalla Tognetti-Bordogna,(1993) per verificare la riuscita del progetto migratorio nel passaggio dalla cultura di appartenenza e quella di accoglienza.
Allo stesso tempo, se si vuole seguire un approccio multidimensionale e non puramente etnocentrico è necessario accostarsi alla cultura delle famiglie straniere, prendendo in considerazione quella serie di visioni condivise del mondo, di significati e comportamenti adattativi, derivanti dalla diversità nelle forme preferite di organizzazione culturale della famiglia e del sistema di valori che la sottendono.
B - La famiglia in emigrazione:
continuità e fratture nelle relazioni intergenerazionali
§
Come
è stata considerata la sua decisione di emigrare §
Cosa le
manca della sua famiglia §
Ha ancora
un peso? §
Come la
vedono oggi i suoi familiari §
La presenza
della famiglia §
Il ritorno |
Prima di entrare nel vivo daddentrarci nella
ricerca, vorremmo sottolineare alcuni aspetti fondanti della famiglia in
emigrazione, riprendendo alcuni dei passaggi così ben descritti da
Eugenia Scabini e Camillo Regalia in un lavoro dal titolo omonimo apparso su
Terapia Familiare nel 1993.
Gli Autoriautori, noti studiosi
della famiglia, ribadiscono quanto da noi già sottolineato
nell’introduzione, in merito allo stereotipo assai frequente di
considerare l’immigrato come soggetto senza legami familiari, che
gestisce in modo indipendente il suo percorso migratorio.
In questi anni si è tentato di colmare questo vuoto conoscitivo, attraverso una serie di contributi e di ricerche di natura sociopsicologica e antropologica sui fenomeni migratori dal punto di vista familiare.
Di fatto affrontare il tema dell’immigrazione in una prospettiva familiare è già di per sé una sfida, come sottolinea acutamente Bensalah (1984): ”…quando parliamo di famiglia immigrata, definiamo dei campi spazio-temporali significativi: da un lato quello dell’immigrazione che è per definizione quello delle fratture e dell’allontanamento, dall’altro quello della famiglia, per definizione quello delle continuità e dei legami”
Da queste considerazioni emerge che la famiglia immigrata non costituisce un oggetto di indagine ben circoscrivibile: come sottolineano diversi Autori, come Sayad e Ciola, essa vive continuamente la dimensione dell’”essere tra”, sia a livello spaziale che temporale, dando origine ad un ordine sociale nel quale l’identità si elabora a partire dalle categorie dello stesso e del diverso, del qui e dell’altrove, del prima e del dopo.
La famiglia migrante e gli individui che la compongono sono sottomessi alle esigenze della società di accoglienza e della società d’origine; stanno tra le aspettative di quest’ultima – la perpetuazione della cultura, della lingua, della religione ecc.- e le regole di relazione e i valori prevalenti della società italiana (come descritti nell’introduzione). L’emigrante, dice Ciola, si trova a vivere un’esperienza nuova “combinatoria” dove si mescolano gli aspetti della cultura propria con quella dell’altro, per formare un nuovo individuo originale e irrepetibile.
L’emigrante è tra due lingue. La o le lingue parlate prima del processo migratorio sono in generale diverse dalla lingua italiana e comunque insufficienti per farsi capire una volta in Italia. E’ essenziale apprendere la lingua del Paese ospitante per lavorare e interagire con il mondo esterno alla famiglia, ma ciò comporta, oltre alle difficoltà insite nell’apprendere da adulti una lingua straniera, un primo “tradimento” rispetto alle proprie appartenenze in quanto rappresenta un primo fondamentale assoggettarsi alle regole di relazione di un altro Paese. E’ assai frequente che qualcuno nella famiglia, spesso la donna se non lavora fuori casa, “resista” ad apprendere il nuovo idioma, come a voler mantenere la continuità con il proprio Paese d’origine. Non c’è dubbio che per uno straniero sarà assai difficile comprendere gli aspetti paralinguistici della lingua italiana, ovvero tutti quei sottili significati del linguaggio non verbale che accompagnano le parole e ciò lo renderà assai vulnerabile in situazioni di conflitto con il mondo esterno o in ogni situazione dove vengano giocati aspetti emozionali in quanto non potrà mai avere una vera padronanza degli aspetti relazionali di una lingua appresa da adulto.
L’emigrante è tra due tempi. Il presente viene costantemente accompagnato dal corteo delle emozioni legate al passato, dal dubbio e dall’incertezza rispetto all’avvenire. La storia del tempo passato, vissuto altrove, con altre persone e in condizioni diverse, attribuisce un significato e condiziona il modo in cui i membri della famiglia migrante vivono il presente e immaginano il futuro, qui od altrove.
L’emigrante, volente o nolente, si trova costretto a far coesistere valori suoi propri con quelli che trova nel nuovo mondo, spesso in contrasto con i primi. Questo determina una condizione di notevole vulnerabilità sociale e psicologica che la società d’accoglienza non può apprezzare nelle sue dimensioni : la paura di perdere le proprie radici, le lealtà invisibili che si annidano in ogni forma di sradicamento e di taglio emotivo, l’illusione di fermare il tempo, la diversità percepita come minaccia alla propria esistenza, la difesa talora esasperata delle proprie tradizioni, il sentimento di solitudine che accompagna il cosiddetto “lutto migratorio” (ci riferiamo a quel vissuto di perdita, fatto non solo di persone e relazioni significative da cui ci si è dovuti distaccare, ma anche di luoghi, odori, sapori, valori, lingua, cultura ecc.) . Tutte situazioni affettive che se non vengono sufficientemente elaborate possono rendere lo stare tra due realtà culturali un malessere esistenziale assai penoso che permane nel tempo, tramandandosi a volte da una generazione a quella successiva.
L’emigrante è tra le generazioni. Il processo migratorio coinvolge almeno tre generazioni della famiglia. Le famiglie di origine per l’immigrato ha un ruolo centrale nella vita individuale e sociale. La visione “tradizionale” della famiglia in cui le norme e i confini sono chiari rispetto ai ruoli e ai compiti del proprio agire individuale e sociale è un tratto distintivo e comune delle culture extraeuropee.
Molti Autoriautori, come Scabini,
Dumon, Ciola, Di Nicola, Andolfi e altri concordano nell’osservare che il
confronto con i modelli familiari occidentali e le nuove forme di famiglia
sopra descritte porta gli immigrati a sottolineare con orgoglio la forte base
etica e solidaristica che di fatto coinvolge non solo il nucleo familiare in
senso stretto, ma anche la parentela allargata e di frequente i vicini di casa.
Non di rado tale orgoglio porta all’idealizzazione
dell’unità familiare, soprattutto per quanto riguarda il rapporto
con gli anziani e con la storia familiare che essi impersonificano, quasi a
voler difensivamente rimarcare la propria diversità /superiorità
culturale nei confronti del Paese ospitante.
§
“Alla fine nel tessuto sociale
c’è meno rispetto per la famiglia, per gli anziani, e questo
è ciò che si nota di più: l’anziano da noi è
il saggio, qui è solo un anziano. Qui si vede subito. La famiglia unita
sembra qualcosa di speciale, qui la famiglia non ha più valori e noi
vorremmo dare qualcosa di più ai nostri figli”. (marito algerino)
[1]
B.1) Come è stata considerata la
sua decisione di emigrare
Un radicamento familiare così forte fa sì che il significato dell’emigrazione non sia mai vissuto esclusivamente a livello individuale. Chi decide di partire dal Paese di origine è spesso sostenuto da aiuti concreti di familiari e amici, ma allo stesso tempo ha una funzione da adempiere che è quella di aiutare economicamente la famiglia. In questo caso il migrante che parte è depositario di quello che potremmo definire con Stierlin (1981) un “mandato familiare” per cui svolge un compito per l’intero nucleo.
■ Tabella
b.1.1 |
||
Come è
stata considerata in famiglia la decisione di emigrare |
% |
|
|
Erano d'accordo |
56,3 |
|
Non erano
d'accordo - con dolore, con sofferenza |
26,6 |
|
Erano contenti ma
anche tristi |
14,1 |
|
Altro |
3,0 |
Totale |
100 |
Più della metà dei soggetti intervistati ritiene la famiglia di origine concorde nel sostenere la loro scelta migratoria, 56,3% è il dato, a cui si può unire il 14,1% degli individui che aggiunge una 'coloritura' sentimentale alla partenza. Il progetto migratorio si conferma quindi un 'progetto familiare' condiviso all'interno di una rete parentelare che appunto sostiene e spesso motiva gli uomini e le donne migranti che in percentuale non si differenziano tra loro. Interessante è anche il 26,6% all'interno del campione, di coloro che non si sentono sostenuti ma che restano emotivamente vincolati all'immagine del doloroso distacco.
■ Tabella
b.1.2 |
|
|
Quale peso ha
avuto la sua famiglia rispetto alla sua decisione di emigrare |
% |
|
|
Nessuno |
46,6 |
|
Mi hanno aiutato, spinto,
hanno avuto un peso fondamentale |
45,0 |
|
Mi hanno
ostacolato |
5,4 |
|
Altro |
3,0 |
|
Totale |
100 |
Il 45% degli individui risponde di essere stato spinto aiutato, ed è concorde il dato con la tabella precedente: la decisione è concordata con i membri della famiglia che aiutano e sostengono l'individuo, oppure è vincolata al conseguente dolore per la separazione, ma questo avviene solo per una piccola percentuale il 5,4%. Risponde ‘nessuno’ il 46,6% degli intervistati, ma si suppone che la parola ‘peso’, culturalmente definita, sia stata equivocata e connotata con un accezione negativa dagli individui di lingua straniera.
Un marito etiope
così si esprime:
§ ..”non lo sento come peso, ma un
senso di appartenenza alla mia famiglia, una parte della mia persona”.
Un marito
marocchino dice:
§ …”io penso che i genitori sono
la base e senza base come fa un albero? Non può vivere”
E’ fuor di dubbio che l’esperienza familiare degli emigranti e la prassi solidaristica sperimentata all’interno della famiglia di origine incidano in maniera determinante sulle modalità di relazionarsi e adattarsi una volta arrivati in Italia, ma è anche interessante notare come esistono diversi modelli di approccio alla relazione tra le culture. Nel caso dell’emigrazione, Scabini e Regalia, hanno studiato i modelli adattativi, lo stile di gestione delle relazioni con la cultura d’accoglienza, distinguendoli in due tipi, inclusivo ed espansivo.
Il primo, tipico delle comunità di religione islamica e di quelle cinesi, si caratterizza per il tentativo di instaurare rapporti molto stretti e quasi esclusivi con altri immigrati del proprio paese d’origine, familiari e non, allo scopo di formare una rete relazionale con una forte funzione protettiva a livello individuale e sociale.
All’opposto di questa concezione possiamo individuare un secondo modello, quello espansivo, nel quale la solidarietà inter-comunitaria non esclude ma anzi favorisce l’apertura nei confronti dell’ambiente circostante. Seguono in prevalenza questa impostazione le comunità che hanno minori vincoli religiosi e che sono caratterizzate al proprio interno da una forte presenza femminile.
Cultura e valori familiari diventano quindi reciprocamente significativi nell’esperienza di ingresso e di successivo insediamento nel paese di accoglienza.
■ Tabella
b.1.3 |
|
||||||
|
|
|
Come è stata considerata in famiglia la
decisione di emigrare |
||||
Quale peso ha
avuto la sua famiglia rispetto alla sua decisione di emigrare |
|
Erano d'accordo |
Non erano d'accordo, con dolore, con sofferenza |
Erano contenti ma anche tristi |
Altro |
||
|
Nessuno |
% |
51,7 |
27,3 |
16,3 |
4,7 |
|
|
Mi hanno aiutato,
spinto, hanno avuto un peso fondamentale |
% |
77,6 |
10,9 |
10,9 |
0,6 |
|
|
Mi hanno
ostacolato |
% |
|
95,0 |
5,0 |
|
|
|
Altro |
% |
27,3 |
27,3 |
36,4 |
9,1 |
|
Questi dati (77,6%) evidenziano la condivisione della decisione di emigrare con gli altri membri del gruppo e quindi la percezione che gli individui hanno del sostegno ricevuto dalla famiglia, dati che però necessitano di un ulteriore riflessione.
§
“ lei: io li aiuto
economicamente e loro si sono tirati un po’ su, almeno mio padre non ha
quei pantaloni che lava e aspetta che si asciugano , ha 2 o 3 paia, magari mi vogliono bene
anche per quello, perché io penso a loro. Mi vogliono sempre più
bene.”(Algeria)
Il sentirsi
'spinti' in modo eccessivo può generare un carico eccessivo di
responsabilità e non permettere agli individui un completo inserimento
nella società di accoglienza; il sentirsi divisi tra l'essere portatori
di un 'peso' della famiglia di origine e le nuove istanze richieste invece
dalla famiglia nucleare nel contesto di immigrazione, possono generare
conflitti nell'individuo. Egli dovrà costantemente mediare tra il piano
della famiglia d'origine, e il piano degli affetti presenti, sia ad un livello
individuale che interpersonale. L'omeostasi dell'equilibrio familiare è un
continuo processo di istanze culturali, relazionali ed emotive, che va regolato
tra il 'dentro e il fuori' della famiglia immigrata, per raggiungere
l’obiettivo di una buona qualità della vita all'interno del
contesto sociale immigratorio.
■ Tabella
b.1.4 |
|
||
Come
mantiene i rapporti con la sua famiglia |
% |
||
|
Telefonicamente e
vado a trovarli quando posso |
41,6 |
|
|
Telefonicamente |
35,5 |
|
|
Telefonando e
scrivendo |
17,9 |
|
|
Altro |
4,9 |
|
|
Totale |
100 |
|
E’ comunque necessario per l’immigrato il continuare a sentirsi parte di un gruppo di origine e vediamo quindi come, nel mantenere i contatti, superi il limite della distanza con frequenti viaggi e telefonate, dimostrando così di dare ‘peso’ alla famiglia e significare il suo percorso di integrazione facendo costante riferimento ad essa.
§
“C’è solo tanta
nostalgia, mia mamma piange per telefono e io sono la prima figlia quindi
quando sta male devo andare là, perché lei non può venire
qua” (moglie, Sri Lanka)
§
“Lui mi prende in giro se
telefono e dico: ‘mamma ti ho svegliato? Scusami’ e lui mi dice: ’anche a
distanza hai paura!’ ” (Marocco)
L’emigrazione crea una frattura culturale e affettiva, come abbiamo già detto in precedenza, ma in genere solidifica i legami con le famiglie d’origine, proprio a causa dello sradicamento familiare: l’assenza e la distanza dalle persone a cui si vuole bene viene costantemente colmata e presentificata attraverso una serie di rituali concreti.
B.2) Cosa le manca della sua famiglia
■ Tabella
b.2.1 |
|
|
Cosa le manca
della sua famiglia |
% |
|
|
Mi manca proprio
la famiglia (affetto e presenza) |
89,6 |
|
Altro |
10,4 |
|
Totale |
100 |
Ma vediamo ancora come hanno risposto gli intervistati alla domanda “cosa le manca della sua famiglia”, ben l' 89,6% individua nell'assenza degli affetti e sentimenti familiari un significativo legame con le origini, una carenza che rende interrotta la sequenzialità delle forme familiari divise dall'emigrazione.
Come l’individuo singolo, così, anche la famiglia immigrata, deve affrontare delle problematiche maggiori nel momento in cui si inserisce in un nuovo contesto, dove essa è vista ed agisce in modo diverso da quello appreso e sperimentato nella sua terra d’origine.
Si è potuto comunque constatare che, la presenza della famiglia ricostituita è solitamente motivo di sicurezza e fattore favorente l’inserimento lavorativo.
§
“..non è cambiato niente,
solo che ho trovato lavoro qua in Italia, un posto di lavoro, poi quando uno si
ritrova con la famiglia sta bene e basta” (Albania)
Il sostegno percepito permette di affrontare meglio le difficoltà che si incontrano. Come nota infatti Grinberg (1990): “La maggiore o minore gravità dei disturbi scatenati dall’emigrazione dipenderà dal come si emigra: da soli, in gruppo, in coppia o con la famiglia” , il poter condividere con gli altri i momenti difficili è sempre di conforto. I vincoli di coppia o familiari con una valenza positiva sono di norma quelli solidi e stabili, in grado di aiutare ad affrontare e tollerare i cambiamenti prodotti dalle nuove esperienze. (cfr. tab C.7.1)
La successiva domanda, connessa alla precedente, tendeva ad individuare il significato di tali legami emotivi.
■ Tabella
b.2.2 |
|
||
Come sono
cambiati i rapporti con la sua famiglia |
% |
||
|
Non sono cambiati |
46,5 |
|
|
Sono migliorati |
26,9 |
|
|
Sentiamo una
mancanza reciproca |
17,8 |
|
|
Altro |
8,8 |
|
|
Totale |
100 |
|
Ricordando che il tempo medio di permanenza del campione è di circa 10 anni, osserviamo come la maggior parte sostiene che i rapporti con la famiglia di origine, nonostante la lontananza, non sono cambiati nel 46,5%, se invece lo sono, ne hanno una percezione positiva per il 26,9%. Questo dato indica una relazione ancora più stretta con l'ipotesi del progetto migratorio condiviso con la famiglia: se migliorano le condizioni di vita dell'emigrante, se riesce, almeno in parte nel progetto, anche la famiglia rimasta in patria ne ha dei benefici e la qualità della relazione migliora di riflesso la percezione dei rapporti affettivi.
■ Tabella
b.2.3 |
|
|
A chi pensa di
mancare di più tra i suoi familiari |
% |
|
|
Madre |
26,2 |
|
Genitori |
24,6 |
|
A tutti |
19,7 |
|
Fratelli |
9,2 |
|
Padre |
7,3 |
|
Ai genitori e
fratelli |
5,1 |
|
A nessuno |
2,7 |
|
Ai nonni |
1,6 |
|
Ai nipoti |
1,4 |
|
Altro |
2,2 |
|
Totale |
100 |
I soggetti di riferimento sono molti e tutti significativi all’interno di culture in cui la rete di parentela è allargata rispetto a quella italiana, ma la madre rappresenta l’oggetto specifico di riferimento affettivo per il 26,2% dei casi, ed emerge soprattutto se la confrontiamo con la figura paterna 7,3%.
§
“Ai miei amici, a mia madre, ai
miei parenti, a tutti, quando tu sei fuori dal tuo paese, ti manca tutto, ti
manca anche l’aria, mancherò anche ai vicini di casa che ne so
io” (Eritrea)
§
“Mia madre è morta subito
dopo che io sono andato via, per la disperazione” (Serbia)
La madre è il luogo dell’appartenenza emotiva, dell’affetto e della comprensione, quindi anche della sicurezza e stabilità, fattori che spesso segnano negativamente il processo migratorio.
■ Tabella
b.2.4 |
|
||||||||||||
|
|
|
A chi pensa di mancare di più tra i
suoi famigliari |
||||||||||
|
|
|
genitori |
madre |
padre |
fratelli |
a tutti |
ai nipoti |
ai genitori e fratelli |
ai nonni |
a nessuno |
altro |
|
|
Centro e |
% |
14,3 |
30,6 |
14,3 |
6,1 |
20,4 |
2,0 |
6,1 |
4,1 |
0 |
2,0 |
|
|
Oriente |
% |
40,7 |
13,9 |
5,6 |
5,6 |
15,7 |
0 |
9,3 |
2,8 |
2,8 |
3,7 |
|
|
Nord |
% |
28,0 |
42,0 |
6,0 |
10,0 |
8,0 |
0 |
4,0 |
0 |
0 |
2,0 |
|
|
Medio oriente |
% |
12,5 |
18,8 |
12,5 |
25,0 |
25,0 |
0 |
6,3 |
0 |
0 |
0 |
|
|
Africa |
% |
10,4 |
34,3 |
10,4 |
7,5 |
28,4 |
1,5 |
3,0 |
1,5 |
1,5 |
1,5 |
|
|
Europa dell'est |
% |
21,3 |
25,0 |
2,5 |
13,8 |
23,8 |
3,8 |
1,3 |
0 |
7,5 |
1,3 |
|
Per ogni Paese le figure di riferimento sono simili, transculturali, ma diverse nel loro valore.
B.3) Ha ancora un peso?
■ Tabella
b.3.1 |
|
||
Ha ancora un
peso la sua famiglia nella sua vita |
% |
||
|
Si |
63,5 |
|
|
No |
35,2 |
|
|
Altro |
1,3 |
|
|
Totale |
100,0 |
|
Dalle risposte emerge che con il passare del tempo gli individui rinforzano il senso di appartenenza, l'esser parte di una famiglia con una temporalità, ma non con uno 'spazio condiviso' e di vicinanza, acuisce la percezione di essere ‘ancora parte’, di avere ancora un significato in seno alla famiglia, soprattutto quando questo significato assume anche la forma di un mantenimento a distanza. E’ con le 'rimesse' che gli immigrati danno forza a chi è rimasto, e circolarmente rinforzano la loro motivazione a restare.
§
“Sono cambiati perché gli
mando dei soldi e quindi anche loro stanno meglio”(Rwanda)
Notiamo ancora che il progetto migratorio, nella maggior parte dei casi, non riguarda esclusivamente il singolo individuo, ma più componenti della famiglia, poiché alla posizione raggiunta di un maggiore prestigio personale corrisponde anche quella del gruppo d’appartenenza; quindi la realizzazione del progetto migratorio diventa sia un fatto individuale che collettivo. Come nota la Tognetti Bordogna: (1996) “La famiglia gioca un ruolo centrale nella strategia migratoria del singolo. Strategia di gruppo, collettivo, familiare”.
§
“Dopo si rimane sempre con la
paura di deluderli, nel senso che penso: forse avevano ragione, non
dovevamo…Vivo questa cosa come una sconfitta se io non realizzo, se non
faccio qualcosa di concreto, non riesco a vivere con l’idea di deluderli
anche a loro, perché hanno fatto tanti sacrifici per farci
studiare…Questo per dire che mi pesa molto” (donna algerina)
B.4)
Come la vedono oggi i suoi familiari
■ Tabella
b.4.1 |
|
||
Come
la vedono oggi i suoi familiari |
% |
||
|
Bene-realizzato-forte |
57,1 |
|
|
Come prima |
19,5 |
|
|
Con un futuro-con
una possibilità |
5,9 |
|
|
Non lo so |
3,7 |
|
|
Altro |
13,9 |
|
|
Totale |
100 |
|
E' bassa la percentuale di quelli che riflettono nella percezione della famiglia il vedersi con un futuro, una possibilità, il 5,9%; questo dato è indicativo di uno scarso raggiungimento degli obiettivi desiderati e desiderabili rispetto a quegli intervistati, il 57,1% invece tesi a migliorare la loro situazione di vita e indirettamente quella della propria famiglia di origine;
§
“Sono le radici e anche un
po’ del motivo per questi sforzi che facciamo qua perché a loro
ogni tanto serve una mano” (Mali)
entrambi Entrambi le risposte, comunque, sono degli
individui che ancora sentono che la famiglia di origine ha ancora un peso nella
loro vita (tab.b.3.1), espressione di una necessità di proiettare su di sé
l'immagine di persona positiva, realizzata e forte (come osserviamo infatti
dalla tabella di correlazione 77,8%-70,2%), bisogno che stimola e rinforza il
processo migratorio come evento positivo.
■ Tabella b.4.2 |
|
|||||
|
Come
la vedono oggi i suoi familiari |
|
Ha ancora un peso la sua
famiglia nella sua vita |
|||
|
|
|
no |
si |
altro |
|
|
Bene-realizzato-forte |
% |
27,3 |
70,2 |
2,4 |
|
|
Come prima |
% |
63,9 |
36,1 |
0 |
|
|
Con un futuro-con
una possibilità |
% |
22,2 |
77,8 |
0 |
|
|
Non lo so |
% |
38,5 |
61,5 |
0 |
|
|
Altro |
% |
28,0 |
72,0 |
0 |
|
Mentre invece, il 63,9% degli intervistati che non pensa che la famiglia li veda cambiati nega l'essere parte di un processo di cambiamento, spesso necessario per sviluppare uno stile acculturativo e sentimenti di appartenenza al nuovo paese. La metabolizzazione di nuovi modelli è in continuità con il sentimento di appartenenza ai propri sistemi, che però come vediamo in questo caso è privo di 'peso' all'interno della famiglia di origine.
Uno stile di integrazione di tipo assimilativo sarà proprio di questi individui che negano il mantenimento di una propria cultura e identità piuttosto che non uno stile acculturativo che cerca invece di ottenere il meglio da entrambi i mondi.
B.5)
La presenza della famiglia
■ Tabella b.5.1 |
|
||
Se
la sua famiglia fosse in Italia cosa cambierebbe per lei |
% |
||
|
Sarebbe bello,
sarei più felice, mi sentirei meno solo |
64,8 |
|
|
Niente |
11,8 |
|
|
Aiuto concreto
nella vita quotidiana |
11,3 |
|
|
Altro |
12,1 |
|
|
Totale |
100 |
|
Il 64,8% degli individui intervistati è convinto che se la famiglia di origine fosse qui in Italia la loro vita cambierebbe in positivo;
§
“Non so forse sarebbe meglio per
me, ma qui per loro non è che sia proprio meglio” (Perù)
■ Tabella b.5.2 |
|
||
Ha
mai pensato di far venire stabilmente i suoi genitori in Italia |
% |
||
|
No |
50,9 |
|
|
Si |
46,0 |
|
|
Altro |
3,1 |
|
|
Totale |
100 |
|
I ‘no’, 50,9% e i ‘sì’ 46,0% quasi si equivalgono a dimostrare un indecisione all'interno del nostro campione, confermata anche dal dato della tabella. precedente dove più persone dichiaravano che se la loro famiglia fosse stata qui 'sarebbe stato bello, sarei stato più felice-mi sarei sentito meno solo' per il 64,8%. E’ interessante sottolineare come poi, nella libertà della domanda posta apertamente, molte risposte positive all’inizio, volgevano significativamente verso la comprensione di un impossibilità al ricongiungimento con i genitori, così ben spiegato da un uomo eritreo
§
“No mia madre sta bene
là, bisogna capire prima di ogni cosa, cosa vuol dire allontanarsi dal suo proprio paese; io non
posso immaginare mia madre o i miei parenti qua, uno dove è nato, dove
da 100 generazioni è lì che sono nato e sono attaccato a quel
posto, anche gli antenati, sono loro che ti legano sai?” (Etiopia)
B.6) Il ritorno
■ Tabella b.6.1 |
|
|
Pensa
che la sua famiglia voglia che continui a vivere in Italia |
% |
|
|
No |
50,6 |
|
Si |
38,2 |
|
Non lo so |
7,5 |
|
Altro |
3,6 |
|
Totale |
100 |
L’immagine del ritorno come mito è rinforzata dal dato avuto da questa domanda: molti pensano che la famiglia voglia il loro ritorno (50,6%), ma è anche interessante quel 38,2% degli individui che risponde che è la loro famiglia a preferire un insediamento definitivo in Italia.
Scegliendo il ricongiungimento familiare, non è detto che avvenga una rinuncia al progetto iniziale di rientro in patria, esso potrà “essere ricondotto, differito, in un tempo indeterminato, e capita che non abbia mai luogo”. Eventuali scelte rispetto al rientro, o rielaborazioni del progetto migratorio, dovranno essere ricontrattate con gli altri membri della famiglia, non più solo dal singolo (Zehraoui, A, 1995).
§
“…hanno paura che
rimaniamo, che perdiamo.. sai come in Senegal vedono l’Italia
perché c’è il Vaticano c’è un’altra
religione, altre cose… pensano che non ritorniamo più .. hanno
paura perché ogni volta che chiami dicono :guarda, ricordati che tu sei
del Senegal, sei di qua…” (Senegal)
■ Tabella b.6.2 |
|
|
Pensa un giorno
di tornare nel suo paese |
% |
|
|
Si |
52,4 |
|
Indeciso |
32,3 |
|
No |
15,3 |
|
Totale |
100 |
Anche alla domanda diretta “Ha in mente di tornare un giorno nel suo paese”, sono ancora gli stessi che rispondono ‘sì’, il 52,4%, mentre quelli che hanno deciso di stabilirsi sono il 15,3%, quindi la differenza col risultato di prima è data da una percentuale di immigrati che è piuttosto ‘spinta’ dalla famiglia a restare.
Aumenta inoltre la percentuale degli indecisi e qui assistiamo ad una modificazione del progetto migratorio nel momento in cui ‘l’immigrato lavoratore’, decide di ricongiungersi con la sua famiglia nel paese d’immigrazione. Con il cambiamento di status, a padre di famiglia, egli cerca non solo di dotarla di unità, ma anche di un progetto comune, che potrà essere rivisto o unito a quello degli altri.
Come il singolo individuo, così anche la famiglia con l’insediamento, non mette fine all’indeterminatezza della scelta definitiva tra il ritorno al paese d’origine o l’installarsi nel paese d’immigrazione.
§ “Non ho mai pensato di ritornare nel mio paese, sì vado per vedere i miei genitori, però adesso ho i figli qua, ho il lavoro qua, non posso tornare…Quando sarò pensionato forse andrò un po’ e poi tornerò” (Algeria)
Vediamo le differenze tra mariti e mogli
■ Tabella b.6.3 |
|
||||
Pensa un giorno
di tornare nel suo paese |
|||||
|
|
|
marito |
moglie |
|
|
No |
% |
60,6 |
39,4 |
|
|
Si |
% |
50,4 |
49,6 |
|
|
Indeciso |
% |
48,2 |
51,8 |
|
Per alcune coppie
sono più i mariti delle mogli a preferire la scelta
dell’insediamento; c’è concordanza sul ritorno, mentre le
mogli sono poco più indecise dei mariti,
spesso per i figli, nati e/o cresciuti in Italia
§
“Beh a volte ci sono momenti che
mi mancano molto le mie radici latine che quello che non si dimenticherà
mai, ti trovi a volte ad un bivio torno o sto qua, ma avendo una famiglia
è più comodo stare qua, o i figli crescono meglio
qua, hanno più possibilità. Socialmente stiamo meglio qua, il
nostro paese veramente è un paese che non migliora, allora pensando ai
nostri figli pensiamo di fare la vita qua”.(Colombia)
Il più delle volte, nell’ambito
del progetto migratorio, l’acquisizione di un capitale economico è
in relazionecorrelata
con il ritorno in patria, anzi, il ritorno prevale a volte per
l’importanza che l’immigrato attribuisce ad esso in quanto
obiettivo iniziale dell’avventura.
Il rientro si inscrive, infatti, in tutta una simbologia dell’emigrazione e in seno alla famiglia, il luogo del sogno, del successo sociale, dell’identità etno-culturale e il territorio dell’immaginario per l’immigrato. (Zehraoui, A, 1995).
§
“Sì se riesco a fare casa
e ho un lavoro e allora sicuramente devo tornare a casa” (India)
L’idea del ritorno nella “madre patria” si ammanta a volte di un idealizzazione che tende a connotare immagini del passato in modo estremamente positivo; comunque, se la meta è certamente il lavoro e la promozione socio-economica, i modi di questo raggiungimento non sono conosciuti al di là di una vaga e generica disponibilità al sacrificio (Mellina, 1987).
Queste ultime tre tabelle correlano l’idea del ritorno con la ‘variabile partenza’ e la ‘variabile famiglia’, ed entrambe sembrano ben rappresentare quale carico hanno le famiglie di origine nel tracciare i percorsi dei loro figli migranti e quale legame significativo con la loro qualità della vita in un paese straniero.
■ Tabella b.6.4 |
|
||||||
Pensa un giorno
di tornare nel suo paese |
|
quale peso ha avuto la sua famiglia rispetto alla
sua decisione di emigrare |
|||||
|
|
nessuno |
mi hanno aiutato, spinto… |
mi hanno ostacolato |
altro |
||
|
No |
% |
35,2 |
59,3 |
1,9 |
3,7 |
|
|
Si |
% |
48,7 |
44,0 |
5,8 |
1,6 |
|
|
Indeciso |
% |
49,2 |
39,0 |
6,8 |
5,1 |
|
■ Tabella b.6.5 |
|
|||||
Pensa un giorno
di tornare nel suo paese |
|
Pensa che la sua famiglia voglia che continui a
vivere in Italia |
||||
|
|
|
No |
Si |
non lo so |
altro |
|
No |
% |
21,4 |
71,4 |
7,1 |
0 |
|
Si |
% |
63,6 |
30,6 |
4,3 |
1,4 |
|
Indeciso |
% |
41,7 |
35,8 |
13,3 |
9,2 |
■ Tabella b.6.6 |
|
||||||
Pensa un giorno
di tornare nel suo paese |
Come è stata considerata in famiglia la
decisione di emigrare |
||||||
|
|
|
erano d'accordo |
non erano d'accordo, con dolore, con sofferenza |
erano contenti ma anche tristi |
altro |
|
|
No |
% |
76,9 |
16,9 |
4,6 |
1,5 |
|
|
Si |
% |
52,0 |
30,0 |
14,8 |
3,1 |
|
|
Indeciso |
% |
55,6 |
25,6 |
16,5 |
2,3 |
|
C - Le dinamiche del processo migratorio
§
La
motivazione §
Le
difficoltà incontrate all’arrivo in Italia §
Le
difficoltà attuali §
Come
è cambiata la vita §
I motivi
della permanenza in Italia §
Le
trasformazioni del carattere §
Le
trasformazioni del rapporto di coppia §
Le
differenze con il paese d’origine §
Cosa
l’ha fatta sentire uno straniero immigrato §
Cosa le
manca di più del suo paese |
Il concetto di migrazione, sfaccettato nella sua globalità,
si presta all’analisi di numerose scienze sociali: la politica, la geografia, l’economia, la
demografia, e la stessa sociologia. Il fenomeno migratorio è un elemento
dinamico quindiper il quale
è necessario “adottare un impostazione multidisciplinare nei
confronti del fenomeno” (Franchi, A. , 1991).
Generalmente il termine ‘migrazione’ è usato per definire la mobilità geografica di coloro che si trasferiscono in forma individuale, a piccoli gruppi o in massa.
Per qualificare le persone come emigranti, di solito, il trasferimento deve avvenire di norma da un paese all’altro, o da una regione all’altra sufficientemente distante e diversa, per un tempo che abbia una durata tale da rendere implicito il “vivere” nell’altro paese e lo svolgervi le attività della vita quotidiana (Grinberg, L. e R., 1990).
Le categorie del tempo distinguono le migrazioni temporanee da quelle permanenti, di breve o di lunga durata, mentre le categorie dello spazio, oltre a precisare l’ampiezza del tragitto, discriminano fra migrazioni interne e internazionali, migrazioni città-città, campagna-campagna, e campagna-città.
Le ultime tendenze confermano comunque l’inarrestabile processo, che, ben lungi dal tendere a una stabilizzazione sul breve o sul medio periodo, è in continua, se pur irregolare, espansione, e di questo l’Italia, è attualmente un testimone “privilegiato”.
Secondo una classificazione generica data da
Mellina (1987), la spinta alla dislocazione può derivare da motivi di
studio, da spirito di avventura, da sfollamenti di guerra, da ragioni politiche
o religiose, da inospitalità del territorio, da miraggi di ricchezza, da
tendenze erratiche, da persecuzioni etniche; “ma le cause più
frequenti sono quelle economiche da lavoro per l’industria,
l’agricoltura, il terziario. Il problema basilare di chi non detiene i
mezzi di produzione consiste nella ricerca dei luoghi e delle persone che li
possiedono”.
In seno all’approccio economico la sociologia individua due meccanismi, determinati dal divario e dall’arretratezza economica tra il “nord e il sud del mondo”, che determinerebbero la migrazione: i fattori di espulsione o “push factors” e i fattori di attrazione o “pull factors”.
Il veloce mutamento che connota il processo migratorio rende rivisitabili le teorie, soprattutto quella del push-pull, che ritiene fondamentali le differenze economiche tra i paesi. Recenti ipotesi considerano anche la distanza, “lo hiatus tra aspirazioni e possibilità che i contesti socio-economici locali offrono e che si accompagnano all’oppressione politica nella spinta a partire, sia l’importanza della tradizione migratoria che si è costituita nei paesi d’origine” (De Micco, V. e Martelli, P., 1993).
Quindi anche il desiderio di un miglioramento economico e di una diversa qualità della vita, che sono state da sempre le molle che hanno attivato i processi migratori, si ritrova come motivazione principale del campione oggetto della ricerca.
■ Tabella
c.1.1 |
|
|||
|
Motivi
dell'emigrazione |
% |
||
|
|
Motivi economici |
38,6 |
|
|
|
Motivi familiari |
27,6 |
|
|
|
Progetto esistenziale |
10,5 |
|
|
|
Motivi socio-politici |
9,6 |
|
|
|
Motivi di studio |
6,6 |
|
|
|
Motivi economici e
socio-politici |
2,3 |
|
|
|
Motivi economici e familiari |
2,1 |
|
|
|
Motivi economici,
socio-politici ed esistenziali |
0,5 |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Altro |
2,3 |
|
|
|
Totale |
100 |
|
Accanto ai motivi economici ( 38,6%) abbiamo anche un
alta percentuale di motivi familiari (27,6%), segno di un alto numero di
ricongiungimenti familiari, con i quali si assiste al passaggio da una
emigrazione del ‘provvisorio congiunturale’ ad una emigrazione
‘durevole e strutturale’ femminilizzata e segnata
dall’insorgenza di nuove generazioni; ma probabilmente si può
parlare di “due facce di una stessa medaglia poiché il significato
di un emigrazione per lavoro è volto a garantire una qualità di
vita migliore per la famiglia nucleare e per quella allargata.
§
“Tranquilla e meno problemi, io
ho preferito fare studiare i miei figli qui perchè il mio paese è
troppo povero” (Tunisia)
Il ricongiungimento familiare come dato è quindi anche indice di un progetto migratorio di vita condiviso all’interno della coppia, per il conseguimento del benessere del gruppo famiglia.
Anche se la ragione più importante che sta alla base della decisione di emigrare dal proprio Paese mostra consistenti differenze tra uomini e donne (Tab.c.1.2) vediamo cosa dice una moglie del Marocco
§
“La povertà della mia
terra, della famiglia di mio marito, lì non abbiamo una casa, non
abbiamo da mangiare; ho venduto l’oro del matrimonio per farlo venire in
Italia”
Infatti, fra quanti hanno risposto che il motivo di emigrazione è di tipo economico, il 65,7% è il marito; la percentuale sale ancora (oltre il 70%) per quelle persone che indicano motivi relativi alla condizione socio-politica alla base dell’emigrazione.
Le donne hanno invece una percentuale elevatissima (84,3%) fra quanti pongono alla base della spinta a migrare i motivi familiari.
Questo potrebbe
farci pensare ad un maggiore attaccamento della donna ai valori familiari e
culturali del proprio Paese; dato
quest’ultimo confermato dalla tabella successiva relativa alle Difficoltà
difficoltà
incontrate all’arrivo in Italia (tab. C.2.1): il doppio delle
mogli, rispetto ai mariti, infatti risponde di aver trovato difficoltà
esistenziali, legate al sentimento di
solitudine e di nostalgia per il del proprio Paese.
In numerose situazioni l’uomo risponde di emigrare per lavoro e la donna per il marito, il che è coerente con l’assetto relazionale della famiglia tradizionale.
Semmai, come vedremo in seguito, la moglie modifica la sua percezione rispetto al conseguimento di una vita migliore in funzione dei figli.
■ Tabella
c.1.2 |
|
|||||
|
Motivi
dell'emigrazione |
|
marito |
moglie |
||
|
|
Motivi economici |
% |
65,7 |
34,3 |
|
|
|
Motivi familiari |
% |
15,7 |
84,3 |
|
|
|
Motivi
socio-politici |
% |
61,9 |
38,1 |
|
|
|
Progetto
esistenziale |
% |
65,2 |
34,8 |
|
|
|
Motivi di studio |
% |
72,4 |
27,6 |
|
|
|
Motivi economici e
socio-politici |
% |
70,0 |
30,0 |
|
|
|
Motivi economici e
familiari |
% |
55,6 |
44,4 |
|
|
|
Altro |
% |
30,0 |
70,0 |
|
Le donne rispetto agli uomini danno un diverso significatouna diversa
valenza, rispetto agli uomini nealla scelta di migrare,
probabilmente in virtù del loro ruolo e del valore che rivestono nel
dare continuità alla famiglia, ma il loro contributo è
fondamentale nel rafforzare la concordanza con il marito per il progetto, che
li vede affrontare insieme le difficoltà della migrazione.
§
“l’idea L’idea principale
è sempre seguire il marito, ma anche sapere che io vado in un altro
mondo migliore, economicamente parlo. Loro sanno che io vado e che non mi
mancherà mai da mangiare e posso comprare quello che mi serve
…”(moglie del Marocco)
Anche perché, come vedremo più avanti nell’area del lavoro, molte donne iniziano a lavorare sul territorio italiano, ma spesso già sono portatrici di un idea che le motiva ad emigrare per aiutare membri della famiglia allargata rimasti in patria.
■ Tabella
c.1.3 |
||||||||||
|
zona geografica di
provenienza |
motivi dell'emigrazione |
||||||||
|
|
|
motivi economici |
motivi familiari |
motivi socio-politici |
progetto esistenziale |
motivi di studio |
motivi economici e socio-politici |
motivi economici e familiari |
altro |
|
% |
41,4 |
19,0 |
5,2 |
24,1 |
0 |
5,2 |
0 |
5,2 |
|
|
% |
49,2 |
32,8 |
3,3 |
5,7 |
0,8 |
,8 |
4,9 |
2,5 |
|
|
% |
32,7 |
40,0 |
3,6 |
14,5 |
5,5 |
0 |
1,8 |
1,8 |
|
|
% |
5,3 |
31,6 |
26,3 |
10,5 |
21,1 |
0 |
0 |
5,3 |
|
|
% |
29,6 |
25,5 |
12,2 |
11,2 |
20,4 |
0 |
1,0 |
0 |
|
|
% |
43,0 |
19,8 |
21,0 |
4,7 |
1,2 |
7,0 |
1,2 |
2,3 |
|
I dati che emergono all’interno del nostro campione ci indicano, oltre che una diversità di motivazioni, alcuni trend caratteristici di alcune aree di provenienza: anche se tutti i paesi di provenienza individuano fattori economici nella spinta ad emigrare, emergono gli orientali con il 49,2%, i fattori socio-politici sono il motivo che determina la spinta migratoria dei mediorientali (26,3%) e dei paesi dell’Europa dell’Est (21%), mentre quello per motivi di studio è simile in percentuale tra il Medioriente e l’Africa subsahariana. I motivi familiari sono indicati dalla maggioranza della popolazione nordafricana.
Abbiamo chiesto alle famiglie quali sono state le difficoltà che hanno incontrato al loro arrivo in Italia e nell’analisi qualitativa le abbiamo distinte in: difficoltà di adattamento e difficoltà pratiche; ci è sembrato importante porre l’accento e distinguere tra una categoria che fosse più rappresentativa di effettivi bisogni e un’altra più ‘relazionale’.
Poiché l’adattamento è la risultante di una reale interazione tra due poli, individuo- ambiente, una condizione di equilibrio “fra l’azione dell’organismo sull’ambiente e l’azione inversa” dell’ambiente sull’organismo. E’ un astrazione quindi l’adattamento, è un concetto- punto di intersezione, che si situa tra due società, tra due culture, ma che non permette mai di arrivare in un “luogo” preciso, in un tempo determinato.
E la relazione ‘con l’altro’ assume un significato ‘tra’ che può ottimizzare/rendere disagio il rapporto di integrazione reciproco uomo/contesto sociale: la lingua dell’altro, la cultura dell’altro, l’essere ‘con l’altro’.
Le difficoltà di adattamento sono la maggioranza (42%) e sono indicative delle più specifiche dimensioni relazionali che nell'impatto con un'altra cultura mettono in crisi gli schemi di riferimento socio culturali, e non solo, dell'individuo. La lingua è la prima 'barriera' (23%), ma anche la solitudine sociale ed affettiva, che possono ostacolare il percorso di inserimento dell'immigrato e rendere difficile l'integrazione sociale.
Le difficoltà sopraccitate sono particolarmente avvertite dagli stranieri provenienti dai Paesi orientali che, come abbiamo detto nella parte introduttiva, hanno modelli familiari di tipo inclusivo, con scarso accesso al contesto esterno.
Una seconda tipologia di difficoltà che gli stranieri accusano al primo impatto con la cultura italiana è costituita da difficoltà pratiche (36,6%), che vanno dalla ricerca della casa e del lavoro e ancora di più da quelle burocratiche che, se risultano un male italiano difficile da debellare per gli autoctoni, diventano un vero ostacolo per lo straniero, che non ha strategie operative valide per superare gli immensi intralci burocratici e organizzativi del nostro Paese.
Osserviamo anche come solo il 15,4% dichiara di non aver incontrato alcuna difficoltà.
■ Tabella
c.2.1 |
|||
|
difficoltà
incontrate all'arrivo in Italia |
% |
|
|
|
di adattamento
(linguistiche/culturali/esistenziali) §
linguistiche §
culturali §
esistenziali |
42,0 23,0 9.5 9.5 |
|
|
pratiche
(economiche/lavorative/alloggiative) |
36,6 |
|
|
nessuna |
15,4 |
|
|
altro |
6,1 |
|
Totale |
100 |
|
Quanto riferito da questo uomo eritreo che vive a Roma dal 1977 e lavora come meccanico è esemplificativo di quello che tutti gli emigrati lamentano (e gli italiani no?) e non solo all’inizio, ma come elemento di forte disagio, costante nel tempo:
§ “Io faccio la mia vita e sto bene così senza amalgamarmi; però le più grosse difficoltà le trovi quando vai in ufficio, perché sembra che ti devono fare un favore invece che un servizio, sia alla posta che in banca che all’anagrafe, quando vai negli uffici vedi solo litigare, c’ero prima io, lei vuole fare il furbo, sembra di essere nella giungla! E poi devi sempre tornare domani perché ti dicono ogni volta che manca qualche cosa”
E’ indubbio che le difficoltà aumentano quanto più ci si sente lontani e sradicati dal proprio Paese e si vive con grande intensità quello che viene descritto come lutto migratorio e si prova un sentimento di forte nostalgia per ciò che si è lasciato alle spalle e di conseguenza si vive una condizione di solitudine nel paese di accoglienza: ciò è avvertito con maggiore intensità dalle mogli.
■ Tabella
c.2.2 |
|||
Quali
difficoltà sono state incontrate all'arrivo in Italia secondo il
sesso |
sesso |
||
|
|
marito |
moglie |
|
nessuna |
51,5 |
48,5 |
|
di adattamento
(linguistiche/culturali/esistenziali) |
42,2 |
57,8 |
|
pratiche
(economiche/lavorative/alloggiative) |
63,1 |
36,9 |
|
altro |
50 |
50 |
Totale |
51,7 |
48,3 |
§ “All’inizio quando sono venuta sempre mi mettevo a piangere, non sopportavo certe cose, poi appena mi mancava qualche cosa, ricordo i miei, ..però piano piano mi sono abituata” (moglie nigeriana)
Se il 15,4% del nostro campione afferma di non aver incontrato particolari difficoltà al primo impatto con l’Italia, vediamo che al momento attuale è notevolmente aumentata la percentuale di coloro che affermano di non incontrare difficoltà, 44,4%, il che sta a dimostrare che mediamente si assiste ad un notevole incremento nel processo di adattamento alla cultura italiana, anche se le difficoltà linguistiche ancora sussistono per alcune comunità orientali, come quella cinese.
■ Tabella
c.3.1 |
|||
|
attuali
difficoltà incontrate in Italia |
% |
|
|
|
nessuna |
44,4 |
|
|
pratiche
(economiche/lavorative/alloggiative) |
21,1 |
|
|
di adattamento
(linguistiche/culturali/esistenziali) |
19,2 |
|
|
intolleranza/manifestazioni
razziste |
5,9 |
|
|
altro |
9,4 |
|
|
Totale |
100 |
Rimane ancora elevata la difficoltà ad integrarsi, anche per il persistere di intolleranze e manifestazioni razziste, che verranno meglio osservate in una tabella successiva (tab C.9.1) in cui si chiede agli intervistati di descrivere cosa li ha fatti sentire e li fa sentire tuttora come stranieri immigrati.
Vista nel tempo questa situazione tende ad una evoluzione; la percentuale delle persone che non incontrano nessuna difficoltà in Italia aumenta progressivamente in relazione al tempo di permanenza: infatti dal 26,6% degli intervistati di più recente immigrazione, al 56,3% per quelli residenti da oltre 15 anni.
Lo stesso andamento risulta per le difficoltà di adattamento, come per quelle pratiche, anche se queste ultime restano in percentuale piuttosto alta a dimostrare una situazione problematica strutturale propria del contesto di accoglienza.
Da notare come rispetto alla tabella precedente entrano, in questa delle 'denunce' di episodi di intolleranza razziale che i nuclei di immigrati osservano attualmente più che in passato.
■ Tabella
c.3.2 |
||||||||
|
|
attuali difficoltà incontrate in Italia |
||||||
anni di
permanenza in Italia |
nessuna |
di adattamento
(linguistiche/culturali/esistenziali) |
pratiche (economiche, lavorative,
alloggiative) |
intolleranza/manifestazioni razziste |
altro |
|||
|
fino a 2 anni |
% |
26,7 |
30,0 |
30,0 |
3,3 |
10 |
|
|
da 3 a 5 anni |
% |
36,5 |
28,4 |
18,9 |
5,4 |
10,8 |
|
|
da 6 a 10 anni |
% |
41,9 |
21,0 |
21,0 |
7,2 |
9,0 |
|
|
da 11 a 15 anni |
% |
50,5 |
14,0 |
23,7 |
5,4 |
6,5 |
|
|
oltre 15 anni |
% |
56,3 |
6,3 |
14,6 |
6,3 |
16,7 |
|
Inoltre gli intervistati affermano (76,3 %) che da quando sono in Italia la loro vita è cambiata: solo il 17,9 % afferma il contrario; i cambiamenti segnalati sono prevalentemente in meglio e sono equamente distribuiti tra i mariti e le mogli.
■ Tabella
c.4.1 |
|||
|
E' cambiata la
sua vita da quand |
% |
|
|
|
si, in meglio |
41,5 |
|
|
si, in peggio |
19,3 |
|
|
si, in generale |
15,5 |
|
|
no |
17,9 |
|
|
altro |
5,8 |
|
Totale |
100 |
|
Visto nel tempo (tab. c.4.2) il risultato della tabella precedente mostra una differenza tra gli individui che sono da meno tempo in Italia e che tendono a dare una risposta ‘si in peggio’ maggiore degli altri, probabilmente relativa alle difficoltà conseguenti all’impatto iniziale; dopo i sei anni di residenza la maggior parte dei soggetti risponde ‘sì in meglio’ (42,5%) e nel lungo periodo la risposta è ‘sì in generale’;
■ Tabella
c.4.2 |
|||||||
Permanenza in
Italia |
|
E' cambiata la sua vita da quanto è in
Italia |
|
||||
|
|
|
si, in meglio |
si, in peggio |
si, in generale |
no |
altro |
|
fino a 3 anni |
% |
42,9 |
32,1 |
3,6 |
21,4 |
0,0 |
|
da 3 a 5 anni |
% |
38,2 |
26,3 |
17,1 |
13,2 |
5,3 |
|
da 6 a 10 anni |
% |
42,5 |
18,8 |
13,1 |
19,4 |
6,3 |
|
da 11 a 15 anni |
% |
42,5 |
19,5 |
11,5 |
20,7 |
5,7 |
|
oltre 15 anni |
% |
34,7 |
8,2 |
32,7 |
16,3 |
8,2 |
Pur tuttavia se confrontiamo correliamo questi
dati alla successiva tabella (tab. C.4.3) che si interroga su cosa
manca di più del proprio paese, emerge che se sul piano della sicurezza
economica e dei beni di consumo la vita è complessivamente migliore, lo
è molto meno sul piano affettivo, sia per il peso inalienabile dello
sradicamento familiare e della mancanza di familiari e amici, che per
l’assenza di comprensione e di solidarietà da parte della
società italiana, che ha più facilità ad integrare la
forza lavoro dello straniero piuttosto che a entrare in contatto empatico e
rispettoso con i valori (fatti anche di storie di perdite e di tagli emotivi)
di chi arriva da fuori.
■ Tabella
c.4.3 |
|||
|
cosa le manca
di più del suo paese |
% |
|
|
|
la famiglia |
43,0 |
|
|
tutto |
17,0 |
|
|
i familiari e gli
amici |
14,2 |
|
|
gli amici |
8,1 |
|
|
altro |
17,7 |
|
Totale |
100 |
|
Significativo e abbastanza frequente è quanto riportato da una moglie albanese:
§
“..guardando indietro quello che
abbiamo lasciato, dalla parte materiale sto meglio qua, non ho una grande
casa, ma vivo meglio... certo facendo dei grossi sacrifici… invece se
devo parlare delle parti sentimentali, vivo male, mi manca l’affetto, mi
manca la mia patria.
Assai frequente, pur nella percezione di un cambiamento complessivamente positivo, è quanto riferisce una moglie etiope:
§ “..si è cambiata, qua è tutto frenetico, correre, correre; qui si è sempre indaffarati, ognuno è preso dalla propria vita”.
Le motivazioni che spingono i soggetti intervistati a rimanere in Italia sono il lavoro (35,7%) e questo soprattutto i mariti (69,6% nella tab. C.5.2), la presenza della famiglia (25,3%), indicata prevalentemente dalle mogli (81,0% nella tab. C.5.2), la speranza di cambiare vita (9,4 %).
■ Tabella
c.5.1 |
|||
|
cosa l'ha
fatta rimanere in Italia |
% |
|
|
|
il lavoro/le
possibilità economiche |
35,7 |
|
|
la presenza della
famiglia/coniuge/parenti |
25,3 |
|
|
la speranza di
cambiare modo di vita |
9,4 |
|
|
per i figli |
7,2 |
|
|
difficoltà
socio-politiche nel proprio paese |
7,2 |
|
|
perché mi
trovo bene in Italia |
7,0 |
|
|
lo studio |
1,4 |
|
|
non lo so |
1,4 |
|
|
altro |
5,3 |
|
Totale |
100,0 |
|
A questo proposito ci pare utile sottolineare come il 7,2 % degli intervistati afferma esplicitamente che rimane nel nostro Paese per i figli. Come già accennato nell’introduzione possiamo ipotizzare che i figli diventino il motivo di ancoraggio alla cultura ospitante e il ponte tra le diversità culturali. Ecco cosa dice una moglie filippina in proposito:
§
“..per i bambini, perché se
fossimo solo io e lui da mò che ce ne saremmo andati! Loro sono ben
inseriti e adesso è pure difficile farli tornare”.
■ Tabella
c.5.2 |
|||||
|
cosa l'ha
fatta rimanere in Italia |
|
marito |
moglie |
|
|
|
il lavoro/le
possibilità economiche |
% |
69,6 |
30,4 |
|
|
la presenza della
famiglia/coniuge/parenti |
% |
19,0 |
81,0 |
|
|
per i figli |
% |
40,0 |
60,0 |
|
|
difficoltà
socio-politiche nel proprio paese |
% |
63,3 |
36,7 |
|
|
perchè mi
trovo bene in Italia |
% |
55,2 |
44,8 |
|
|
la speranza di
cambiare modo di vita |
% |
61,5 |
38,5 |
|
|
lo studio |
% |
83,3 |
16,7 |
|
|
non lo so |
% |
50,0 |
50,0 |
|
|
altro |
% |
50,0 |
50,0 |
La presenza dei figli rompe l’equilibrio di progetti immigratori basati sull’economia per un ritorno in patria e le famiglie straniere diventano attori sociali intessendo scambi e relazioni in Italia e nello stesso tempo costruendo ‘ponti’ tra la propria e la cultura italiana, uno spazio necessario alla qualità della vita del "lavoratore migrante".
In questa ottica, 'la speranza di cambiare vita' per il 9,4% degli intervistati, rappresenta una categoria meno specifica, delle altre ma che ben trasmette una motivazione profonda e una determinazione all’insediamento.
■ Tabella
c.6.1 |
|||
|
quali aspetti
del suo carattere ha scoperto |
% |
|
|
|
la resistenza/la
forza/la volontà |
25,3 |
|
|
nessuno |
17,9 |
|
|
l'adattabilità/la
flessibilità |
14,2 |
|
|
la pazienza |
7,6 |
|
|
la
responsabilità - la maturità |
7,4 |
|
|
il coraggio |
4,7 |
|
|
la voglia di
lavorare |
3,4 |
|
|
altro |
19,5 |
|
|
Totale |
100,0 |
In questa tabella appaiono alcune caratteristiche comuni a chi ha vissuto un processo migratorio, indipendentemente dal Paese di provenienza. La stragrande maggioranza degli intervistati riferisce di aver scoperto aspetti del proprio carattere che non conosceva prima di partire.
Resistenza, forza di volontà, flessibilità, pazienza, maturità, coraggio ecc., tutte risorse positive che potremmo racchiudere nel termine psicologico, piuttosto recente, di resilienza.
Tale termine nasce in riferimento alla resistenza o alla elasticità di un materiale sottoposto ad urti improvvisi. In psicologia sono resilienti quegli individui che sopravvivono ad eventi fortemente stressanti e traumatici: violenze, malattie, gravi lutti, pesanti trascuratezze o rifiuti, facendo ricorso a risorse personali e relazionali, energie interne incredibili. Sentiamo alcune testimonianze dirette dei nostri intervistati per comprendere meglio quanto sopradetto.
Moglie filippina:
§
“..di essere forte, che non ho
mai avuto veramente questo carattere giù in Filippine, lì sono
molto fragile, piango facilmente e invece qua sono diventata forte..Affronto
tutti problemi”.
Moglie albanese :
§
“..forte, la mia forza a
lottare, a tirare la famiglia, a imparare, a registrare un nuovo mondo, un
nuovo modo di camminare”.
Marito nigeriano :
§
“guarda per me sono diventato
più maturo perché con la vita che ho vissuto qua quando sono
venuto, certo che devi crescer per forza, perché se no come fai
?”.
All’incirca metà degli intervistati ha risposto che
l’esperienza della migrazione ha migliorato la vita di coppia ,
aumentandone la coesione, dato questo già ipotizzato e discusso nella
parte introduttiva, relativamente al fatto che un evento disgregante come il
distacco dalle proprie appartenenze familiari e culturali, all’interno
di un progetto comune di migliorare la propria condizione di vita, aumenta il sentimento di
unità di coppia
■ Tabella
c.7.1 |
|||
|
Come
ha influenzato la vita di coppia |
% |
|
|
|
è
migliorata- ci ha uniti di più |
49,9 |
|
|
nessuna |
37,3 |
|
|
non avere amici e
sfiducia negli altri |
3,1 |
|
|
altro |
9,7 |
|
Totale |
100 |
|
Inoltre se l’affrontare insieme l’esperienza di emigrazione rende uomini e donne concordi nel rispondere che l'evento migratorio li ha uniti di più, sono soprattutto le coppie dell'Africa subsahariana e dell'Europa dell'Est a far emergere un reciproco sentimento di aiuto e sostegno condiviso nella relazione coniugale.
Nell'affrontare l'evento critico c'è un riconoscimento di un bisogno che si può esplicitare, e questo sembra essere meno vero per le culture orientali.
La relazione di coppia è nella migrazione lo spazio che
funziona da 'ammortizzatore' quando la famiglia affronta le difficoltà
presenti nel diverso ambiente culturale
Ci ha comunque sorpreso che nessuna coppia riportasse un peggioramento della propria relazione coniugale, abbiamo interpretato l’assenza di questo dato a più livelli: innanzitutto con l’inopportunità di parlare di eventuali aspetti negativi di coppia con un intervistatore estraneo che poneva le domande alla presenza di entrambi i coniugi ; inoltre , trovandoci di fronte a coppie con valori fortemente tradizionali e con l’obiettivo di far crescere bene i figli piccoli in un contesto diverso dal proprio, è probabile che le funzioni genitoriali siano più marcate e predominanti di quelle coniugali.
■ Tabella
c.7.2 |
||||||||
|
|
|
E' cambiata la sua vita da quando è in
Italia |
|||||
Come ha influenzato la vita di
coppia
|
si, in meglio |
si, in peggio |
si, in generale |
No |
altro |
|||
|
nessuna |
% |
43,9 |
17,4 |
15,2 |
22,0 |
1,5 |
|
|
non avere amici,
sfiducia negli altri |
% |
27,3 |
45,5 |
0 |
18,2 |
9,1 |
|
|
è
migliorata, ci ha uniti di più |
% |
48,5 |
17,5 |
12,3 |
13,5 |
8,2 |
|
|
altro |
% |
21,2 |
24,2 |
21,2 |
21,2 |
12,1 |
|
Questi dati che mettono in relazione la vita di
coppia con il cambiamento più generale di vita da quando si è in
Italia confermano quelli precedenti: chi risponde che la vita di coppia
'è migliorata' risponde soprattutto che la sua vita è cambiata
in meglio 48,5%, anche chi ha risposto che l’esperienza della migrazione
non ha influenzato la vita di coppia ritiene che la sua vita sia cambiata in
meglio. Chi risponde che la sua vita è cambiata in peggio evidenzia
anche nella vita di coppia una mancanza di amici e una sfiducia nelle
relazioni che la coppia può avere all’esterno della famiglia.
Sono ancora le relazioni affettive, parentali e/o amicali a dare un senso ai
progetti di insediamento, quindi di integrazione, posto che il loro valore
positivo sia indice di una buona qualità della vita.
Questi
dati confermano quelli precedenti: chi risponde che la vita di coppia
'è migliorata' è anche la maggioranza di chi ha risposto che la
sua vita è cambiata in meglio 48,5%:, mentre la maggior parte di coloro
che sentono la solitudine e la sfiducia negli altri confermano l'idea di un
cambiamento negativo per la loro vita (45,5%). Sono ancora le relazioni
affettive, parentali e/o amicali a dare un senso ai progetti di insediamento,
quindi di integrazione, posto che il loro valore positivo sia indice di una
buona qualità della vita.
C.8) Le differenze con il paese
d’origine
■ Tabella
c.8.1 |
||
Quali
differenze rispetto al proprio paese al momento dell’arrivo |
% |
|
|
tutto |
27,8 |
|
differenze
culturali |
21,6 |
|
differenze ambientali |
15,1 |
|
il livello
economico |
14,4 |
|
la tecnologia
avanzata |
10,4 |
|
niente |
5,8 |
|
lo sfruttamento
lavorativo |
1,9 |
|
altro |
3,0 |
|
Totale |
100 |
Alla domanda sulle
diversità rispetto al
proprio paese si di origine, quasi un 30% degli intervistati
risponde con un ‘tutto’, a voler indicare una totale estraneità dal Paese di
accoglienza. Solo un 5,8%
dichiara il contrario, che niente è diverso; se le differenze
ambientali (15,1%), economiche (14,4%), e di tecnologia avanzata rappresentano
le caratteristiche fisiche e sociali dell’immagine che hanno gli
stranieri arrivando in Italia, anche quelle culturali hanno il loro peso
(21,6%). Queste, da sole, riproducono l’immagine diversa delle
abitudini, dei comportamenti, dei costumi degli italiani e quindi anche il modo
di gestire le relazioni che come abbiamo visto nella tab. C.3.1. sono proprio
quelle a rendere più difficile il rapporto di insediamento.
Sono le relazioni sociali e le regole che le governano, nonché gli spazi, sia fisici che ambientali a marcare di più le diversità dal Paese d’origine. Questa diversità e le ore lunghe di lavoro dell’immigrato sottolineano la scarsa integrazione dello straniero con la comunità autoctona, come vedremo nella parte relativa all’uso del tempo libero.
Così si esprime una moglie albanese:
§
“.. qua è un mondo tutto
diverso, pieno di luci, più vita. Poi mi colpisce moltissimo la
libertà di esprimersi…poi la parte economica...tanti frutti”.
Il marito connota un rilievo fisico singolare per esprimere la diversità della vita italiana rispetto all’Albania :
§
“la prima cosa che abbiamo
visto tutti erano i poliziotti che erano lì ad aspettarci (a Brindisi
la faccia era come plastica, bianca, siccome l’Albania è un Paese
abbastanza sofferente avevamo tutti il viso stanco, invece qua vedevi tutti
bianchi), poi gli italiani hanno tutti una faccia liscia. La prima cosa che
colpì tutti, dicevamo: ma come sono bianchi, perché hanno la
faccia così, sembrano proprio bambole! E poi le case sistemate,
pitturate”.
Una moglie nigeriana sottolinea la grande diversità nei costumi e nelle regole sociali:
§
“il modo di vestire è
tanto diverso, perché voi ad esempio (riferito
agli italiani) se fa caldo e vuoi mettere un vestito corto, da noi non va
bene!”
C.9) Cosa l’ha fatta sentire uno
straniero immigrato
■ Tabella
c.9.1 |
||
cosa l'ha
fatta sentire uno straniero immigrato |
% |
|
|
frasi offensive,
atteggiamenti intolleranti, la poca accoglienza |
36,3 |
|
problemi pratici
(casa,lavoro, documenti) |
14,8 |
|
la lingua |
12,5 |
|
niente |
12,0 |
|
problemi di
inserimento |
8,5 |
|
lo sfruttamento
lavorativo |
4,8 |
|
altro |
11,3 |
|
Totale |
100 |
Se il 14,8% è rappresentativo di
quelli che hanno risposto che il sentirsi immigrati è fondato
sull’inaccessibilità ai diritti di base, quali la casa e il
lavoro, la lingua rappresenta il 12,5%. Il dato che emerge con forza sono gli
atteggiamenti intolleranti, 36,3% e i problemi di inserimento correlati 8,5%,
indici entrambi di una percezione negativa della vita di relazione con la
popolazione italiana, che conferma quindi un orientamento di scarsa accettazione
dell' immigrato
rinforzando la sua identità sociale di 'straniero in terra altrui'.
Questa tabella ci fa capire indirettamente quanto ancora scarso sia l’interesse della comunità italiana nei confronti della ricchezza e della varietà culturale arrivata in Italia con l’immigrazione straniera. Se è vero che la manodopera straniera è fortemente richiesta, soprattutto in alcuni ambiti lavorativi – sia in aziende che famiglie italiane- e che con il tempo si crea un buon adattamento sul piano del lavoro, non è altrettanto vero per ciò che concerne una reale accoglienza dei ‘nuovi cittadini ’ nel tessuto delle relazioni sociali e amicali. Di fatto un elevata percentuale delle coppie del nostro campione , che da vari anni operano (con lavoro regolare) e vivono nel nostro Paese con i loro figli (che frequentano le nostre scuole) , riferiscono di essere oggetto di atteggiamenti intolleranti e discriminatori, di comportamenti e linguaggi offensivi da parte della comunità italiana.
■ Tabella
c.9.2 |
|||||||||
|
|
|
cosa l'ha fatta sentire uno straniero immigrato |
||||||
|
|
|
frasi offensive, atteggiamenti intolleranti,
la poca accoglie |
problemi pratici |
la lingua |
lo sfruttamento lavorativo |
problemi pratici, la lingua e problemi
relazionali/di inserimento |
Niente |
altro |
|
fino a 2 anni |
% |
24,0 |
24,0 |
16,0 |
0 |
4,0 |
16,0 |
16,0 |
|
da 3 a 5 anni |
% |
27,5 |
15,9 |
17,4 |
1,4 |
11,6 |
18,8 |
7,2 |
|
da 6 a 10 anni |
% |
37,0 |
13,6 |
13,6 |
6,8 |
4,9 |
11,1 |
13,0 |
|
da 11 a 15 anni |
% |
49,4 |
12,9 |
7,1 |
7,1 |
14,1 |
4,7 |
4,7 |
|
oltre 15 anni |
% |
26,1 |
19,6 |
13,0 |
2,2 |
10,9 |
10,9 |
17,4 |
Notiamo ancora che le frasi offensive e gli atteggiamenti intolleranti acquistano più forza in relazione con il trascorrere del tempo di immigrazione, diventano più evidenti per quelli individui che vorrebbero ormai sentirsi accettati dalla popolazione italiana dopo almeno 10 anni di permanenza in Italia (49,4%).
Se i problemi con la lingua diminuiscono leggermente, la difficoltà di usufruire di servizi resta invece piuttosto stabile nel tempo ponendo quindi una barriera che rende difficile una piena partecipazione ai bisogni di base; con essa anche l'accedere a casa e lavoro sono discriminanti che non modificano la percezione di una distanza e di una differenza dalle opportunità che hanno i cittadini non stranieri.
Dalle risposte a questa domanda abbiamo isolato soltanto gli ambiti in cui via via gli stranieri si sentono discriminati o non accolti : la Questura, la circoscrizione, gli Uffici pubblici, l’autobus, la stazione ferroviaria, la scuola dei bambini, le file per il rinnovo del permesso di soggiorno, i luoghi pubblici per chi è di colore ecc. Tutto ciò dovrebbe farci riflettere su come modificare alla base alcuni stereotipi e pregiudizi sociali nei confronti di quelle comunità straniere, di cui da un lato abbiamo sempre più bisogno e dall’altro non sappiamo sufficientemente apprezzare sul piano dei valori più elementari.
In questo senso una maggiore conoscenza e curiosità nei confronti delle componenti familiari e relazionali dello straniero potrebbe portare a un rispetto e un’empatia maggiore nei loro confronti, mentre esiste ancora discriminazione quando si ricerca una casa, (tab.e.1.6)o il lavoro. Ma vediamo come invece nel caso di una donna nigeriana vari aspetti di intolleranza si fondono insieme nel suo racconto:
§
“Il mio colore per esempio,
prima quando lavoravo ci sono alcuni lavori che non ti possono dare per questo
colore, per esempio un africana che però è bianca la
preferiscono a noi, quindi questo conta molto, a me piace il mio colore
però la sento la differenza è tanta” (donna nigeriana)
C.10) Cosa le manca di più del suo paese
Le risposte a
questa domanda ci fanno capire che il processo di sradicamento dal Paese
d’origine al Paese di accoglienza ha a che vedere prevalentemente con il
piano degli affetti familiari e con quello delle relazioni amicali (insieme
assommano a più del 65%) . Il 17% di coloro che rispondono che dice ‘tutto’
si riferisce anche agli spazi fisici e alla casa; in realtà e lo
vedremo più avanti nel
settore relativo alla situazione alloggiativa degli stranieri, viene
dichiarato da molti un sentimento di perdita molto forte, rispetto alla casa
dove si abitava nel proprio Paese;
pur tuttavia anche in questo caso la nostalgia è prevalentemente
riferita agli spazi affettivi
della casa e alle relazioni di vicinato, senz’altro meno asettiche e
formali dei nostri condomini.
Rispetto a questo secondo aspetto , una delle osservazioni ricorrenti nelle
nostre interviste è che la gente non saluta e non sifrequenta . Da
notare che il sentimento di mancanza degli affetti familiari non tende a diminuire nel procedere
degli anni , come vedremo meglio successivamente.condomini . Una delle
osservazioni ricorrenti nelle nostre interviste è che la gente non
saluta e non si vede mai !! Da notare che questo sentimento di mancanza degli
affetti familiari non tende a
diminuire nel procedere degli anni , come vedremo meglio successivamente.
■ Tabella
c.10.1 |
||
cosa le manca
di più del suo paese |
% |
|
|
la famiglia |
43,0 |
|
tutto |
17,0 |
|
i familiari e gli
amici |
14,2 |
|
gli amici |
8,1 |
|
altro |
17,7 |
|
Totale |
100,0 |
La domanda che era posta in modo generico ha sollecitato risposte uniformi e specifiche, che sia la famiglia nucleare o la famiglia allargata con le amicizie, sono le relazioni affettive a significare maggiormente le assenze e i percorsi dei nuclei immigrati.
■ Tabella
c.10.2 |
|||||||
|
|
|
cosa le manca di più del suo paese |
||||
|
|
|
la famiglia |
tutto |
i familiari e gli amici |
gli amici |
altro |
|
fino a 2 anni |
% |
42,3 |
7,7 |
7,7 |
26,9 |
15,4 |
|
da 3 a 5 |
% |
44,1 |
14,7 |
17,6 |
11,8 |
11,8 |
|
da 6 a 10 |
% |
43,4 |
13,8 |
17,1 |
5,9 |
19,7 |
|
da 11 a 15 |
% |
43,7 |
25,3 |
12,6 |
3,4 |
14,9 |
|
oltre 15 anni |
% |
41,7 |
18,8 |
10,4 |
10,4 |
18,8 |
La famiglia, anche nel più lungo tempo di permanenza, è un valore stabile, al contrario degli amici che con il tempo mancano di meno, dal 26,9% nei primi due anni di permanenza al 10,4% intorno ai 15 anni (vedremo in seguito come si modificano nel corso del processo migratorio); le relazioni con i propri familiari restano quindi un punto fermo per l'individuo che nello stesso tempo ne denuncia l'assenza e la mancanza in modo significativo.
D -– LavoroPercorsi lavorativi
Il lavoro da sempre assume un valore primario sia rispetto ai motivi
del migrare che rispetto a gli indici che misurano la
qualità di vita degli individui. Il valore del lavoro assume ancor
più importanza all’interno di un sistema familiare in cui sono
presenti i figli ed è per il futuro di questi ultimi , che si immagina
migliore del proprio che vengono rimandate anche le decisioni rispetto al
possibile ritorno, come abbiamo visto precedentemente. Nel nostro campione il
dato che emerge riguardo la condizione formativa indica che le persone
immigrate possiedono potenzialmente un bagaglio di conoscenze da mettere in
gioco al momento dell’inserimento nel mondo del lavoro.
Il titolo di studio dei soggetti intervistati è medio-alto: infatti, nel 41.6% dei casi hanno conseguito il diploma di scuola media superiore , nel 14.4% dei casi la laurea e una piccola percentuale ha un titolo di studio professionalizzante (scuola professionale o diploma universitario). Si tratta dunque di un campione piuttosto scolarizzato. Riteniamo che la disponibilità a farsi intervistare sia stata facilitata anche dal possedere un livello medio- alto di istruzione, questo elemento può portare ad una distorsione rispetto all’universo degli immigrati.
■ Tabella
d.1.1 |
||
Grado di
istruzione |
% |
|
|
inferiore |
31,6 |
|
medio |
50,3 |
|
superiore |
15,3 |
|
nessuno |
2,8 |
|
Totale |
100 |
|
■ Tabella
d.1.2 |
|||||||
Titolo di studio
secondo la zona geografica di provenienza
|
||||||||
|
Centro e Sud America |
Oriente |
Nord Africa |
Medio Oriente |
Africa Subsahar. e centrale |
Europa dell’ Est |
TOT |
|
Elementari |
0,0 |
2,1 |
3,3 |
0,2 |
1,2 |
0,7 |
7,5 |
|
Medie inferiori |
2,3 |
10,0 |
3,3 |
0,0 |
4,8 |
3,7 |
24,1 |
|
Medie superiori |
7,9 |
11,6 |
2,8 |
1,9 |
7,9 |
9,5 |
41,6 |
|
Laurea |
1,9 |
2,8 |
0,9 |
1,6 |
4,2 |
3,2 |
14,4 |
|
Nessuno |
0,0 |
0,7 |
0,2 |
0,7 |
1,2 |
0,0 |
2,8 |
|
Scuola professionale |
1,6 |
1,9 |
1,4 |
0,0 |
0,7 |
3,1 |
8,7 |
|
Diploma universitario |
0,2 |
0,2 |
0,0 |
0,0 |
0,2 |
0,2 |
0,9 |
|
TOTALE |
14,0 |
29,3 |
11,9 |
4,4 |
20,2 |
20,2 |
100 |
|
La distribuzione per sesso dei titoli di studio mostra un andamento più o meno omogeneo, con una formazione leggermente inferiore da parte delle donne in particolare rispetto al conseguimento della laurea.
■ Tabella
d.1.3 |
||||||
Titolo di
studio secondo il sesso |
titolo di studio |
|||||
|
|
|
inferiore |
medio |
superiore |
nessuno |
|
marito |
|
29,9 |
50,0 |
18,3 |
1,8 |
|
moglie |
|
33,3 |
50,7 |
12,2 |
3,8 |
In Italia la domanda di lavoro qualificato è cresciuta negli ultimi anni, da una ricerca condotta dall’Isfol (dati Isfol - Centro statistica aziendale) emerge che nel I° semestre del 1999 le professioni più richieste sono state quelle intermedie, nello specifico la richiesta maggiore è stata quella di tecnici fatta da parte di società che svolgono attività di servizio alle aziende, seguite dal commercio e dall’industria meccanica. I tecnici di ufficio sono quelli maggiormente richiesti, seguono gli agenti, gli operatori informatici e statistici. In questa categoria sono inserite alcune professioni e tra queste al primo posto nelle richieste sono gli infermieri.
La richiesta maggiore di lavoro viene dal nord (46,5%), segue il centro con il 18,5% e chiude il sud con l’8,8%.
I dati della ricerca Isfol evidenziano una richiesta sempre maggiore di personale in possesso di conoscenze linguistiche, in particolare l’inglese.
L’aumento della domanda di lavoro qualificato si va ad inserire in un quadro nazionale in cui il tasso di disoccupazione è sceso nel corso del 1999 all’11,4 anche se non in maniera omogenea per ripartizione geografica, settori produttivi, posizione professionale e genere sessuale (Caritas 2000) e che secondo delle previsioni avanzate dall’Isfol , su dati Istat e Eurosat, l’evoluzione all’anno 2006 del mercato del lavoro in Italia dovrebbe portare ad una diminuzione del tasso di disoccupazione al 9,2% (rapporto Isfol 1999).
Vediamo adesso come si inserisce il nostro campione in questo quadro generale.
■ Tabella
d.1.4 |
||
Qual è
la sua attività lavorativa |
% |
|
|
lavoro manuale non
qualificato |
34,5 |
|
nessuna |
16,7 |
|
piccolo imprenditore |
13,5 |
|
lavoro manuale qualificato |
12,6 |
|
impiegato di basso livello |
10,1 |
|
professionista-imprenditore-dirigente |
5,4 |
|
impiegato di livello medio |
4,7 |
|
lavori vari precari |
2,5 |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Totale |
100,0 |
■ Tabella
d.1.5 |
|||||
Le
attività lavorative secondo l’area geografica di residenza |
|||||
|
|
|
Area di residenza |
||
|
|
|
Nord |
Centro |
Sud e Isole |
|
nessuna |
|
40,5 |
32,4 |
27,0 |
|
lavoro manuale non
qualificato |
32,7 |
32,7 |
34,6 |
|
|
lavoro manuale
qualificato |
37,5 |
42,9 |
19,6 |
|
|
impiegato di basso
livello |
60,0 |
26,7 |
13,3 |
|
|
piccolo
imprenditore |
18,3 |
70,0 |
11,7 |
|
|
impiegato di
livello medio |
38,1 |
52,4 |
9,5 |
|
|
professionista-imprenditore-dirigente |
54,2 |
41,7 |
4,2 |
|
|
lavori vari
precari |
27,3 |
54,5 |
18,2 |
Al momento della somministrazione dell’intervista quasi tutti i soggetti della ricerca sono impiegati in una qualche occupazione (83.3%); solo il 16,7% dichiara di non aver nessuna occupazione al momento dell’intervista (la percentuale di donne disoccupate è del 29,5%). In particolare quello che emerge dal nostro campione è che il tipo di attività prevalente che occupa i soggetti nel mercato del lavoro è il lavoro manuale non qualificato (34,5%) oppure sono occupati in attività manuali qualificate (12,6%) o sono impiegati di basso livello (10,1%). Sono dei piccoli imprenditori (13.5%) in particolare le persone provenienti dall’Oriente (il 33,1%). Il rapporto annuale Censis (2000) rileva che il 77,3% degli avviamenti al lavoro degli extracomunitari sono stati effettuati con la qualifica di operaio generico, il nostro campione non riflette dunque questo dato.
Il fenomeno della crescita del lavoro indipendente è in aumento
come rilevato dal secondo rapporto sull’integrazione degli immigrati in
Italia (Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati) in
particolare è aumentato il numero delle domande di iscrizione alla camera Camera di Commercio. Tra
le varie ragioni individuate per questa crescita di lavoro autonomo
c’è anche la difficoltà per i lavoratori stranieri di
migliorare la propria condizione occupazionale nel lavoro dipendente attraverso
normali carriere gerarchiche, sia per il difficile riconoscimento dei titoli di
studio, che per le discriminazioni , che per le difficoltà legate ad una
scarsa competenza linguistica.
■ Tabella
d.1.6 |
||||||||
Le
attività lavorative ripartite per aree geografica di provenienza |
||||||||
|
nessuna |
lavoro manuale non
qualificato |
lavoro manuale
qualificato |
impiegato di basso
livello |
piccolo imprenditore |
impiegato di livello
medio |
Professionista imprenditore dirigente |
lavori vari precari |
|
13,3 |
45,0 |
11,7 |
10,0 |
6,7 |
3,3 |
8,3 |
1,7 |
|
8,1 |
37,1 |
12,9 |
4,0 |
33,1 |
3,2 |
0 |
1,6 |
|
25,5 |
32,7 |
12,7 |
10,9 |
10,9 |
3,6 |
1,8 |
1,8 |
|
42,1 |
10,5 |
0 |
5,3 |
0 |
5,3 |
31,6 |
5,3 |
|
18,2 |
25,3 |
11,1 |
18,2 |
9,1 |
9,1 |
6,1 |
3,0 |
|
18,4 |
40,2 |
17,2 |
10,3 |
0 |
3,4 |
6,9 |
3,4 |
■ Tabella
d.1.7 |
||||||||
Le
attività lavorative ripartite per sesso |
||||||||
|
nessuna |
lavoro manuale non
qualificato |
lavoro manuale
qualificato |
impiegato di basso
livello |
piccolo imprenditore |
impiegato di livello
medio |
Professionista imprenditore dirigente |
lavori vari precari |
marito |
4,4 |
30,0 |
17,2 |
16,3 |
16,3 |
6,6 |
6,6 |
2,6 |
moglie |
29,5 |
39,2 |
7,8 |
3,7 |
10,6 |
2,8 |
4,1 |
2,3 |
Uno dei temi più ricorrenti rilevati attraverso un’analisi qualitativa delle interviste è stato quello relativo alla difficoltà di far riconoscere il titolo di studio posseduto soprattutto nel caso dei laureati e di conseguenza di trovare un’occupazione in linea con le conoscenze pregresse , una sorta di riadattamento dell’immagine di Se nel sociale
§
“non mi riconoscono il titolo di
studio, all’ufficio di collocamento hanno scritto lavoro manuale, non mi
hanno neanche chiesto che ho fatto… i miei studi…” (Iran-
scrittrice)
e ancora in rapporto al lavoro desiderato:
§ “..un lavoro che sia in rapporto con le mie competenze , qualsiasi cosa, sono bravo al computer, sono bravo per altre cose… mi vedo più a fare dei lavori(..) dove il mio intelletto può fare qualcosa. Sono passato dal fare il chirurgo a fare il verniciatore (..) in Italia l’immigrato deve fare questo lavoro e non altro. (..) per lavorare in ospedale devi essere un medico italiano(…) lavorare con i privati non puoi perché sono collegati con le Asl che controlla(… ) Anche a fare l’infermiere sarei stato bravo, ma niente senza diploma.. non si può convertire il diploma di chirurgo in uno di infermiere da un giorno all’altro. Queste cose qui le puoi fare in America, in Francia perché acchiappano al volo le tue competenze, non le lasciano sfuggire. Qui in Italia non c’è questa mentalità, vogliono vedere la carta…” (Algeria- chirurgo)
§
“..qui non si può
scegliere devi prendere quello che capita .. (riferendosi
al lavoro di infermiera) qui chiedono tante cose per praticare , a me hanno
detto devi studiare di nuovo .. due anni per far riconoscere quello che sai..
vuol dire tornare a scuola , io a 40 anni non ho più la voglia di
tornare indietro a studiare..” (Filippine - infermiera)
La maggior parte dei soggetti intervistati (56,7%) ha trovato l’attuale occupazione attraverso canali informali. Il 26,6% dichiara di aver trovato l’attuale lavoro da solo, chiedendo in giro o rispondendo a inserzioni sui giornali.
■ Tabella
d.1.8 |
||
Come hanno
trovato l’attuale occupazione
|
% |
|
|
attraverso conoscenze, amici,
parenti, ecc. |
56,7 |
|
da solo |
26,6 |
|
non lavora |
16,7 |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Totale |
100 |
■ Tabella
d.1.9 |
||||||
Come hanno
trovato l’attuale occupazione
|
||||||
|
|
|
da solo |
attraverso conoscenze, amici, parenti, ecc. |
non lavora |
|
|
|
16,7 |
70,0 |
13,3 |
||
|
|
26,3 |
64,4 |
9,3 |
||
|
|
26,4 |
47,2 |
26,4 |
||
|
|
31,6 |
26,3 |
42,1 |
||
|
|
36,5 |
49,0 |
14,6 |
||
|
|
22,1 |
58,1 |
19,8 |
||
Totale |
26,6 |
56,7 |
16,7 |
|||
I soggetti intervistati non sembrano infatti utilizzare le specifiche agenzie per la ricerca del lavoro (74.8%) e quando si rivolgono a qualche agenzia lo fanno soprattutto recandosi all’ufficio di collocamento, ma solo nel 7% dei casi . Nel nostro campione di nord africani e di mediorientali nessuno si è mai rivolto ai sindacati per trovare lavoro.
■ Tabella
d.1.10 |
|||||||
Si è
rivolto a qualche servizio specifico per trovare l’attuale occupazione
|
|||||||
|
Centro e Sud America |
Oriente |
Nord Africa |
Medio Oriente |
Africa Subsahar e centrale |
Europa dell’ Est |
TOT |
No |
12,1 |
26.6 |
10,2 |
4,1 |
15,2 |
18,8 |
86,9 |
Si, ufficio di collocamento |
1,4 |
0,2 |
1,4 |
0,5 |
2,6 |
1,0 |
7,1 |
Si, sindacato |
0,2 |
1,0 |
0,0 |
0,0 |
1,2 |
0,2 |
2,6 |
Si, agenzia privata di
collocamento |
0,5 |
0,5 |
0,0 |
0,0 |
1,7 |
0,7 |
3,3 |
TOTALE |
14,3 |
28,3 |
11,6 |
4,5 |
20,7 |
20,7 |
100 |
Se osserviamo come si modifica attraverso il tempo il lavoro, notiamo che più aumentano gli anni di permanenza in Italia e più si va verso la regolarizzazione, dal 28,1% di chi è arrivato negli ultimi due anni, al 73,9% di chi è venuto da oltre 15 anni e decresce in maniera inversamente proporzionale il lavoro al nero. Decresce la disoccupazione che si avvicina alla media nazionale quindi con il tempo trovano il lavoro con la stessa probabilità degli italiani.
■ Tabella
d.1.11 |
||||
La
modalità di occupazione nel tempo
|
||||
|
|
al nero |
regolare |
non lavora |
|
fino a 3 anni |
43,8 |
28,1 |
28,1 |
|
da 3 a 5 anni |
21,1 |
60,5 |
18,4 |
|
da 6 a 10 anni |
18,7 |
62,0 |
19,3 |
|
da 11 a 15 anni |
11,7 |
79,8 |
8,5 |
|
oltre 15 anni |
17,4 |
73,9 |
8,7 |
Totale |
19,3 |
64,5 |
16,2 |
Inoltre attualmente sono occupati in modo regolare (64.5%) e stabile (67.1%), diminuisce leggermente la percentuale di chi dichiara di non lavorare (16,2%) poiché probabilmente può riconoscersi in chi non ha un lavoro stabile (17,8)
■ Tabelle
d.1.12 |
|
■ Tabelle
d.1.13 |
||
Che tipo di
occupazione svolge |
% |
|
Con quale
modalità è occupato |
% |
saltuaria |
17,8 |
|
al nero |
18,8 |
stabile |
67,1 |
|
regolare |
64,9 |
non lavora |
15,2 |
|
non lavora |
16,3 |
Totale |
100 |
|
Totale |
100 |
■ Tabella
d.1.14 |
|||||||
La modalità
di occupazione secondo la zona geografica di provenienza
|
|||||||
|
Centro e Sud America |
Oriente |
Nord Africa |
Medio Oriente |
Africa Subsahar e centrale |
Europa dell’Est |
TOT |
Al nero |
4 |
3.8 |
1.7 |
0.2 |
4.3 |
5 |
18.9 |
Regolare |
8 |
22.7 |
6.9 |
2.1 |
13.5 |
11.3 |
64.5 |
Non lavora |
1.9 |
2.4 |
3.3 |
2.1 |
3.3 |
3.5 |
16.5 |
TOTALE |
13.9 |
28.8 |
11.8 |
4.5 |
21 |
19.9 |
100 |
Tra le persone che arrivano dal Medio Oriente quasi la metà (42,1%) dichiara di non lavorare e poiché, alla domanda su qual è la sua attività lavorativa, sono le donne a dichiarare di non avere nessuna occupazione, possiamo dedurre che siano le mogli delle coppie mediorientali a non lavorare. Sebbene non è possibile fare una comparazione tra le diverse aree geografiche, poiché il campione non è stato scelto secondo questo criterio, non possiamo non notare che per le altre aree geografiche di provenienza lavorano con maggiore frequenza entrambi i coniugi.
■ Tabella
d.1.15 |
|||||||||
Attività
lavorativa ripartita per zona geografica di provenienza |
|||||||||
|
|
nessuna |
lavoro manuale non qualificato |
lavoro manuale qualificato |
impiegato di basso livello |
piccolo imprenditore |
impiegato di livello medio |
professionista-imprenditore-dirigente |
lavori vari precari |
|
|
13,3 |
45,0 |
11,7 |
10,0 |
6,7 |
3,3 |
8,3 |
1,7 |
|
|
8,1 |
37,1 |
12,9 |
4,0 |
33,1 |
3,2 |
0,0 |
1,6 |
|
|
25,5 |
32,7 |
12,7 |
10,9 |
10,9 |
3,6 |
1,8 |
1,8 |
|
|
42,1 |
10,5 |
0,0 |
5,3 |
0,0 |
5,3 |
31,6 |
5,3 |
|
|
18,2 |
25,3 |
11,1 |
18,2 |
9,1 |
9,1 |
6,1 |
3,0 |
|
|
18,4 |
40,2 |
17,2 |
10,3 |
0,0 |
3,4 |
6,9 |
3,4 |
Totale |
16,7 |
34,5 |
12,6 |
10,1 |
13,5 |
4,7 |
5,4 |
2,5 |
I soggetti intervistati sono praticamente equi distribuiti tra chi è iscritto (55.5%) e chi no (44.5%) all’ufficio di collocamento. Più della metà dei soggetti intervistati in Italia centrale non è iscritta (52.5%) scende invece la percentuale al nord e al sud Italia.
■ Tabella
d.1.16 |
||||
Iscrizione
all'ufficio di collocamento secondo area di residenza |
||||
|
|
Nord |
Centro |
Sud e Isole |
|
si |
41,2 |
33,3 |
25,4 |
|
no |
28,4 |
52,5 |
19,1 |
TOTALE |
35,5 |
41,8 |
22,6 |
Rispetto alla qualità della vita cambiare frequentemente lavoro è un elemento di instabilità e insicurezza sociale ed economica che non può non essere preso in considerazione quand’anche si dichiari di avere attualmente un’occupazione. Nel nostro campione dal loro arrivo in Italia i soggetti intervistati sono stati impegnati in lavori vari e non qualificati (48%), o sempre nella stessa tipologia lavorativa ma in situazioni diverse (20.8%) non ha cambiato occupazione solo 21,9% .
|
||||||
|
|
|||||
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Inoltre il processo di inserimento lavorativo procede prevalentemente attraverso un passaggio attraverso un’iniziale precarietà, ma soprattutto si tratta di lavori al nero che spesso coincidono con l’iniziale irregolarità rispetto alla presenza in Italia.
Al loro primo lavoro in Italia erano occupati al nero (61.9%) e in modo saltuario (47.9%).
■ Tabella
d.1. |
||
Con quale modalità
era occupato al suo primo lavoro in Italia |
% |
|
|
al nero |
61,9 |
|
è quello
attuale |
4,5 |
|
non ha mai
lavorato |
9,2 |
|
prima del lavoro
attuale non ha mai lavorato |
0,7 |
|
regolare |
23,8 |
|
Totale |
100 |
■ Tabella
d.1. |
||
Di che tipo era
la sua prima occupazione in Italia |
% |
|
|
saltuaria |
47,9 |
|
stabile |
37,9 |
|
non ha mai
lavorato |
9,3 |
|
è quella
attuale |
4,3 |
|
prima del lavoro
attuale non ha mai lavorato |
0,7 |
|
Totale |
100 |
■ Tabella
d.1. |
|||||
La
modalità di occupazione secondo il tempo di permanenza in Italia |
|||||
|
|
Con quale modalità è occupato |
Totale |
||
|
|
al nero |
regolare |
non lavora |
|
|
fino a 2 anni |
43,7 |
28,1 |
28,1 |
100 |
|
da 3 a 5 anni |
21,0 |
60,5 |
18,4 |
100 |
|
da 6 a 10 anni |
18,7 |
62,0 |
19,3 |
100 |
|
da 11 a 15 anni |
11,7 |
79,8 |
8,5 |
100 |
|
oltre 15 anni |
17,4 |
73,9 |
8,7 |
100 |
Totale |
19,3 |
64,5 |
16,2 |
100 |
Oltre alla precarietà e all’irregolarità il primo lavoro in cui sono stati impegnati in Italia è stato manuale non qualificato (60,1%)in una percentuale quasi raddoppiata rispetto al lavoro attuale. Cresce anche la percentuale di non si è rivolto a nessuna agenzia specifica per trovare il primo lavoro (81,8%) e sale la percentuale di chi ha utilizzato canali informali, come parenti o conoscenti arrivati in Italia precedentemente o attraverso canali religiosi.
Solo il 14,8 degli intervistati ha partecipato a qualche corso di
formazione o di avviamento al lavoro, nonostante un sempre maggiore
investimento viene fatto a livello europeo con lo stanziamento di fondi
strutturali riservati all’integrazione nel mondo del lavoro di immigrati
in cerca di occupazione, la percentuale di coloro che ne usufruiscono è
bassa nel campione preso in esame. (tab.d.1.2423)
■ Tabella
d.1.2 |
||
Qual è
stato il suo primo lavoro in Italia |
% |
|
|
lavoro manuale non
qualificato |
60,1 |
|
quello attuale |
14,9 |
|
nessuno: non ha mai lavorato |
10,3 |
|
lavoro manuale qualificato |
6,0 |
|
impiegato di basso livello |
3,1 |
|
lavori vari precari |
2,4 |
|
piccolo imprenditore |
1,7 |
|
impiegato di livello medio |
0,5 |
|
professionista-imprenditore-dirigente |
0,5 |
|
prima del lavoro attuale non
lavorava |
0,5 |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Totale |
100 |
■ Tabella
d.1. |
||
Si è
rivolto a qualche servizio specifico per trovare il suo primo lavoro in
Italia |
% |
|
|
No |
81,8 |
|
non ha mai lavorato |
6,7 |
|
si, agenzia
privata di collocamento |
2,6 |
|
Si, sindacato |
1,2 |
|
Si, ufficio di
collocamento |
7,7 |
|
Totale |
100 |
■ Tabella
d.1. |
||
Come ha trovato
il suo primo lavoro in Italia |
% |
|
|
attraverso amici,
conoscenti, parenti, ecc. |
72,1 |
|
da solo |
17,5 |
|
non ha mai
lavorato |
10,4 |
|
Totale |
100 |
■ Tabella
d.1. |
||
Da quando è in Italia ha mai partecipato a corsi di formazione
o di avviamento al lavoro |
% |
|
|
No |
85,2 |
|
Si |
14,8 |
|
Totale |
100 |
Prima di emigrare in Italia, il 15,5% era studente e solo
all’arrivo in Italia si è inserito nel mondo del lavoro, il 12,9%
era impiegato in lavori manuali non qualificati rispetto al 34,5% che lo
è attualmente, il 17,2% era disoccupato prima della partenza.
C’è un abbassamento della qualifica lavorativa rispetto a quella
avuta nei rispettivi Paesi d’origine, nonostante questo possa avere
un’incidenza rispetto alla realizzazione personale solo il 22,4% si
dichiara non soddisfatto, mentre quasi la metà dichiara piena
soddisfazione (48,1%). Ma da dove arriva la soddisfazione allora ? Il 14,5% con
si e no sottolinea la distinzione tra soddisfazione
per quel che riguarda il piano economico e insoddisfazione per il tipo di
lavoro svolto.
§ “ .. nel mio Paese lavoravo facendo quello per cui ho studiato però venendo qua ho visto che economicamente stavo meglio facendo altri lavori. Domestica, perché la laurea nostra non è valida e quindi dobbiamo adattarci a fare questi lavori, ma economicamente si stà bene e allora non è tanto peso.”(Colombia)
Ma c’è anche chi ha la percezione di un’evoluzione che sta avvenendo
§ “.. sto in una ditta e in 4 anni sto salendo di livello , all’inizio operaio comune avevo 1.200.000 come stipendio, poi qualificato e ora specialista ..” (Serbia)
E chi dichiara la piena soddisfazione e la realizzazione dei desideri che aveva prima della partenza
§ “.. a me va bene questo (lavoro) ho realizzato quello che volevo. Ho comprato la casa in Tunisia , poi questa a Roma, i figli studiano, stiamo bene.” (Tunisia)
La soddisfazione inoltre aumenta al passare del tempo, dopo due anni dall’arrivo è il 21,9% a dichiararsi soddisfatto , ma dopo i primi 10 anni questa quota supera il 60%.
■ Tabella
d.1. |
|||||
Soddisfazione
per l’attuale occupazione secondo gli anni di permanenza in Italia |
|||||
|
|
E' soddisfatto della sua attuale occupazione |
|||
|
|
No |
Si |
Si e no |
Non lavora |
|
fino a 2 anni |
34,4 |
21,9 |
12,5 |
31,3 |
|
da 3 a 5 anni |
28,4 |
36,5 |
18,9 |
16,2 |
|
da 6 a 10 anni |
22,1 |
46,0 |
16,6 |
15,3 |
|
da 11 a 15 anni |
20,0 |
61,1 |
10,0 |
8,9 |
|
oltre 15 anni |
17,0 |
61,7 |
10,6 |
10,6 |
Totale |
23,2 |
47,5 |
14,5 |
14,8 |
■ Tabella
d.1. |
|||||||
Occupazione
svolta nel proprio paese d’origine |
|||||||
|
Centro e Sud America |
Oriente |
Nord Africa |
Medio Oriente |
Africa Subsahar e centrale |
Europa dell’ Est |
TOT |
Nessuna |
1.7 |
6.4 |
2.9 |
1 |
2.9 |
2.4 |
17.2 |
Studente |
1.2 |
4.3 |
1.9 |
1.9 |
5.3 |
1 |
15.5 |
Lavoro manuale non
qualificato |
1.4 |
4.1 |
2.1 |
0.2 |
2.9 |
2.4 |
13.1 |
Lavoro manuale qualificato |
2.1 |
4.3 |
1.2 |
0 |
2.4 |
4.3 |
14.3 |
Impiegato di basso livello |
1 |
2.4 |
0.5 |
0.2 |
2.1 |
3.8 |
10 |
Piccolo imprenditore |
1 |
2.4 |
1.7 |
0 |
1.4 |
1 |
7.4 |
Impiegato di livello medio |
4.1 |
4.3 |
0.5 |
0.7 |
3.1 |
3.6 |
16.2 |
Professionista-dirigente-imprenditore |
1.7 |
1 |
0.7 |
0.2 |
0 |
1.9 |
5.5 |
Lavori vari precari |
0.2 |
0.2 |
0.2 |
0 |
0 |
0 |
0.7 |
TOTALE |
14.3 |
29.4 |
11.7 |
4.3 |
20 |
20.3 |
100 |
Inoltre la soddisfazione è collegata alle aspettative e ai desideri presenti prima della partenza.
I desideri e le aspettative sono legate a studi o esperienze già avute nel proprio Paese ma c’è anche chi desidererebbe un lavoro attraverso il quale raggiungere una maggiore integrazione:
§ “il lavoro che facevo al mio Paese, ma visto che non è possibile almeno qualcosa che permetta di socializzare di più con gli italiani.” (Colombia).
Solo l’11,8% risponde qualunque lavoro pur di lavorare.
■ Tabella
d.1. |
||
Che lavoro le
sarebbe piaciuto fare in Italia |
% |
|
|
indica una
specifica occupazione |
35,0 |
|
quello attuale |
25,1 |
|
qualunque |
11,8 |
|
quello svolto nel
proprio paese |
11,0 |
|
non lo so |
7,7 |
|
attinente agli
studi |
6,6 |
|
quello che
svolgeva nel proprio paese e che era attinente |
1,5 |
|
quello attuale,
che è anche quello che facevo nel mio paese |
1,3 |
|
Totale |
100 |
■ Tabella
d.1. |
||||
Che lavoro le
sarebbe piaciuto fare in Italia |
E' soddisfatto della sua attuale occupazione |
|||
|
No |
Si |
Si e no |
Non lavora |
qualunque |
19,0 |
47,6 |
2,4 |
31,0 |
quello attuale |
6,3 |
85,4 |
7,3 |
1,0 |
attinente agli studi |
26,9 |
30,8 |
23,1 |
19,2 |
quello svolto nel proprio paese |
35,7 |
28,6 |
16,7 |
19,0 |
non lo so |
10,3 |
48,3 |
24,1 |
17,2 |
indica una specifica occupazione |
34,3 |
34,3 |
18,2 |
13,1 |
quello che svolgeva nel proprio paese e che era attinente |
0 |
16,7 |
50,0 |
33,3 |
quello attuale, che è anche quello che facevo nel mio paese |
20,0 |
80,0 |
0 |
0 |
Totale |
22,7 |
49,1 |
14,6 |
13,6 |
E - Lo spazio e il tempo
§
Lo spazio
della casa §
Il tempo :
relazioni sociali e tempo libero §
Il tempo
della burocrazia §
Tempo e
spazio per la religione |
Indicatori importanti per la qualità della vita sono sicuramente lo spazio e il tempo. Lo spazio inteso come spazio fisico in cui si vive, l’attuale abitazione , o la casa che si è lasciata, lo spazio inteso come luoghi frequentati e quindi lo spazio pubblico o privato che si condivide con altri, lo spazio sanitario al quale si ricorre maggiormente, lo spazio educativo al quale hanno accesso i figli e al quale sentono di avere accesso i genitori. E accanto a questo lo spazio della nostalgia, lo spazio delle generazioni e dei rapporti con la famiglia che è rimasta a casa. Il tempo inteso come il tempo libero dal lavoro, il tempo trascorso con gli amici o con la famiglia, il tempo del vagheggiamento del ritorno, il tempo della burocrazia.
E.1) Lo spazio
della casa
Lo spazio che la famiglia maggiormente
condivide è senza dubbio la
casa. Come già accennavamo precedentemente gran parte delle interviste
sono state somministrate andando a casa delle famiglie, molti intervistatori sono entrati nel mondo
familiare e negli spazi abitativi, spesso sono stati invitati a cena o hanno
guardato insieme le fotografie di famiglia. Le impressioni delle persone che
hanno fatto questa esperienza hanno arricchito i dati che emergono dai soli
numeri, allora la ricostruzione di uno spazio ricco di tanti oggetti che
ricordano la casa lasciata o la cura con cui anche in uno spazio esiguo viene
ricavato un angolo per i bambini, sono tutte cose che non possono essere
descritte dalle tabelle che seguono, che ci riportano comunque a dati dai quali
emerge che la maggior parte delle famiglie vive in appartamenti condominiali (79,2%) e in affitto
regolare (75,9%); dato che confermerebbe la tendenza a trovare
soluzioni abitative adeguate per una famiglia, (come veniva già previsto
nel I° rapporto sull’integrazione degli immigrati in Italia)
piuttosto che strutture di accoglienza e pensionati e sempre più
attraverso regolari contratti d’affitto. Solo l’8% dichiara infatti%). Solo
l’8% dichiara di essere in affitto al nero e il 2,2% di
essere in affitto con altre persone. Vive presso il datore di lavoro lo 0,9 % delle famiglie intervistate
indice del fatto che è più difficile che questo si verifichi
quando c’è un’intera famiglia con figli che si è
spostata dal luogo di origine e che deve adattarsi ai molti limiti posti da
questa condizione (tab. e.1.1 e tab. e.1.2)
§ “…adattarsi ad una minore libertà dovendo vivere a casa dei datori di lavoro…” (Filippine).
Nel 3,1% che non paga l’affitto sono collocati coloro i quali abitano in case messe a disposizione dalle Ditte per le quali lavorano o da istituti religiosi, ma soprattutto si tratta di famiglie cinesi che vivono in laboratori o magazzini dove lavorano . Il 9,8% degli intervistati è proprietario della casa dove vive
§ “Tu pensa che questa casa qui in 4 anni 8 mesi e 10 giorni io l’ho comprata, era il mio punto.. non di riferimento… da dire io devo comprare la casa perché se un domani rimango senza lavoro cosa faccio? Devo pagare l’affitto.. e chi me lo paga? Dove vado? Chi conosco? Allora se io c’ho la casa mia, come dicono ‘pane e cipolla’ e vado avanti, questo in caso che non trovavo lavoro e invece ho sempre lavorato!”(Eritrea).
Il condominio è un’esperienza nuova per molte persone che appartengono a culture dove lo spazio dove si vive è condiviso o diviso tra persone appartenenti alla stessa famiglia o dove il vicinato significa amicizia e condivisione:
§
“… amicizia qui si trova
pochissimo. Guarda nel palazzo dove abito io sono già 6 anni che abito
là e conosco solo una signora le altre niente… in Nigeria …
hai un sacco di gente che ti stà vicina però qua anche se ti
muore una persona troppo cara, niente, sei sola per me è brutto!”.
■ Tabella e.1.1 |
|
|
Tipo di
abitazione |
% |
|
|
appartamento
condominiale |
79,2 |
|
monolocale |
7,5 |
|
abitazione
unifamiliare |
4,4 |
|
laboratorio/magazzino
dove lavora |
3,1 |
|
villetta
plurifamiliare |
2,7 |
|
vive presso il
datore di lavoro |
1,3 |
|
palazzina
bifamiliare |
0,9 |
|
altro |
0,9 |
|
Totale |
100 |
■ Tabella e.1.2 |
|
|
La sua
abitazione è |
% |
|
|
in affitto
regolare |
75,9 |
|
di
proprietà |
9,8 |
|
in affitto al nero |
8,0 |
|
non paga affitto |
3,1 |
|
in affitto con
altre persone |
2,2 |
|
vive presso il
datore di lavoro |
0,9 |
|
Totale |
100 |
Le abitazioni hanno in media 2,59 stanze e sono abitate da 5 persone.
Inoltre si tratta di abitazioni che non dispongono di accessori quali terrazzi, giardino, garage, ecc. nel 43,0% dei casi. Quando invece ne dispongono si tratta di terrazza/balcone (21,5%) oppure di terrazza e garage (5,5%).
■ Tabella e.1.3 |
|
|
La sua casa
dispone di |
% |
|
|
nessuna opzione |
43,0 |
|
terrazza/balcone |
21,5 |
|
altro |
15,7 |
|
cantina |
10,6 |
|
terrazza/balcone e
garage |
5,5 |
|
terrazza/balcone e
giardino |
3,7 |
|
Totale |
100 |
Abbiamo visto che in media il nostro campione è arrivato in Italia da 9,3 anni , le famiglie intervistate risiedono nella attuale abitazione da meno di quattro anni nel 56,3% dei casi e l’81,6% risponde di non aver abitato sempre nella stessa casa da quando è arrivato, ciò vuol dire che si sono dovuti riadattare a nuovi tessuti sociali e spesso a zone d’Italia estremamente diverse da quelle dove avevano vissuto in precedenza, quindi al grande sentimento di sradicamento dalla propria terra d’origine sono seguiti nuovi adattamenti: fisici, di relazione, ma anche di contesto
§
“Il razzismo qui al nord si
sente molto, al sud (primo arrivo a Palermo) la gente è più
socievole, anche se non capisci la gente prova a capirti, si può toccare
la frutta al mercato, ci siamo sentiti immigrati invece qui a Modena,
però capisci che non è la gente è il sistema.”
(Ghana) .
■ Tabella e.1.4 |
|||
Da quanti anni
abita nella sua attuale casa |
% |
||
|
0-3 anni |
|
56,3 |
|
4-9 anni |
|
35,9 |
|
10-20 anni |
|
7,8 |
|
Totale |
|
100 |
Nel trovare la casa solo il
36,5% dichiara di non aver avuto difficoltà (tab
e.1.6), che sono state soprattutto economiche[3]
e per il fatto di essere straniero, inoltre nella maggior parte dei casi
(60,8%) per trovare la casa si sono utilizzati canali informali, spesso
l’aiuto di amici, conoscenti o colleghi di lavoro, soprattutto italiani,
tramiti fondamentali per vincere la diffidenza di chi si rifiutava di affittare
la casa a una famiglia straniera.
Nel trovare la casa solo il
36,5% dichiara di non aver avuto difficoltà (tab e.1.6),
che sono state soprattutto economiche e per il fatto di essere straniero ,
inoltre nella maggior parte dei casi (60,8%) per trovare la casa ci si sono
utilizzati canali informali, spesso l’aiuto di amici, conoscenti o
colleghi di lavoro, soprattutto italiani, è stato fondamentale per
vincere la diffidenza di chi si rifiutava di affittare la casa a una famiglia
straniera.
§ “…si perché alcuni pensano uno straniero non sa mantenere un appartamento, che lo sporca e allora dice che non ce l’ha. Addirittura uno mi ha detto se ti do l’appartamento non deve venire tua moglie perché le donne africane sporcano la casa.” (Nigeria)
§ “..quando cerchi l’alloggio qualche volta non te lo danno perché sei straniero, se va un compagno di lavoro dicono che c’è l’appartamento, se vai tu dicono che non c’è.” (Nigeria)
■ Tabella e.1.5 |
|
|
Come ha trovato
casa |
% |
|
|
attraverso
conoscenze, amici, parenti |
60,8 |
|
attraverso agenzia
immobiliare |
20,9 |
|
da solo |
17,4 |
|
Altro |
0,9 |
|
Totale |
100 |
Le
difficoltà a trovare la casa perché straniero scende solo dopo i
10 anni di permanenza in Italia, ma non per gli altri motivi. Questo dato
conferma il dato emerso da altre ricerche[4]
che una delle difficoltà maggiori che incontrano gli immigrati riguarda
l’abitazione e questo può rappresentare un elemento di insicurezza
e di difficoltà nel più ampio processo di integrazione.
Le difficoltà
a trovare la casa perché straniero scende solo dopo i 10 anni di
permanenza in Italia
■ Tabella e.1.6 |
||
Ci sono state
delle difficoltà a trovare casa |
% |
|
|
No |
36,5 |
|
Si, di tipo
economico |
28,7 |
|
Si, per essere
straniero |
20,7 |
|
Si, di tipo
economico e perché sono straniero |
5,6 |
|
altro |
5,6 |
|
Si, di tipo
economico e non abitabili |
2,9 |
|
Totale |
100 |
■ Tabella e.1.7 |
|||||||
Ci sono state
delle difficoltà a trovare casa secondo zona geografica di provenienza |
|||||||
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Nessuna |
14,7 |
29,3 |
13,3 |
6,0 |
19,3 |
17,3 |
|
Si, di tipo
economico |
16,1 |
28,8 |
15,3 |
6,8 |
21,2 |
11,9 |
|
Si, per essere
straniero |
9,4 |
21,2 |
10,6 |
|
28,2 |
30,6 |
|
altro |
17,4 |
8,7 |
26,1 |
8,7 |
17,4 |
21,7 |
§ “.. magari trovavi la casa, poi andavi, guardavi, parlavi del prezzo, poi dicevi sono albanese.. e più di una volta dicevano si, si ti faremo sapere”(Albania)
La soddisfazione per l’attuale abitazione 57,1% tiene conto anche del fatto che il 59,8% ha trascorso periodi in precedenza in cui ha dovuto coabitare con altre persone che non erano familiari (tab. e.1.9 e tab. e.1.14).
§ “Prima vivevamo in una casa grande ma con molte famiglie eravamo quasi in 15 con due bagni e tre grandi camere in ogni camera ci stavano 2 famiglie c’era il caos..” (Filippine)
Il motivo di maggiore insoddisfazione
è la dimensione , troppo piccola per il 24,8% . Abitare in uno spazio
esiguo incide fortemente sulla qualità della vita di queste famiglie ,
che arriva ad essere una vita di limitazioni ancor maggiore quando
l’incontro con le situazioni italiane più svantaggiate definisce
l’emarginazione anche sullo spazio davanti alla porta di casa, come nel
caso dei ‘bassi napoletani’ di 16 mq. , dove il marciapiede
antistante diventa lo spazio per sedersi all’aperto.
§
“.. i vicini dicono che noi non
siamo napoletani, .. io lavoro tutto il giorno e devo litigare per un pezzo di
marciapiede per stendere i panni..” (Senegal).
■ Tabella e.1.8 |
||
Da quando
è in Italia ha sempre abitato nella stessa casa |
% |
|
|
No |
81,6 |
|
si |
18,4 |
|
Totale |
100 |
■ Tabella e.1.9 |
||
E' soddisfatto
della sua attuale abitazione |
% |
|
|
Si |
57,1 |
|
No, perché
è piccola |
24,8 |
|
No, perché
è uno scantinato-magazzino-laboratorio |
5,1 |
|
No, perché
è costosa |
3,9 |
|
altro |
9,0 |
|
Totale |
100 |
■ Tabella e.1.10 |
||
Se potesse,
cosa cambierebbe della sua attuale casa |
% |
|
|
la farei
più grande |
29,6 |
|
niente |
24,5 |
|
tutto |
18,4 |
|
altro |
14,1 |
|
i
mobili/l'arredamento |
13,3 |
|
Totale |
100 |
La maggior parte dei soggetti intervistati
da quando è in Italia non ha mai dormito presso un dormitorio (82.9%),
né presso un “centro di prima accoglienza” (90,0%),
né si è trovato a dormire per strada (87.7%). Questo dato sembrerebbe
contrastare con l’enorme richiesta di posti letto nei Centri di
Accoglienza[5] , ma
collocato sempre nel campione, rappresentato da famiglie con figli, risulta
difficilmente confrontabile con l’intero universo degli immigrati.
■ Tabella e.1.11 |
||
Da quando
è in Italia ha mai dormito presso un dormitorio |
% |
|
|
No |
82,9 |
|
Si |
17,1 |
|
Totale |
100 |
■ Tabella e.1.12 |
||
E' stato ospite
presso uno dei cosiddetti centri di prima accoglienza |
% |
|
|
No |
90,0 |
|
Si |
10,0 |
|
Totale |
100 |
■ Tabella e.1.13 |
||
Da quando
è in Italia si è trovato nella condizione di dover dormire per
strada |
% |
|
|
Si |
12,3 |
|
No |
87,7 |
|
Totale |
100,0 |
■ Tabella e.1.14 |
||
Ci sono stati
periodi che ha dovuto coabitare con persone non familiari |
% |
|
|
Si |
59,8 |
|
No |
40,2 |
|
Totale |
100 |
■ Tabella e.1.15 |
||
Rispetto alla
casa nel suo paese, la sua abitazione attuale è |
% |
|
|
peggiore |
33,2 |
|
migliore |
28,7 |
|
piccola |
26,2 |
|
nessuna differenza |
7,4 |
|
altro |
4,5 |
§ “.. in casa c’è la muffa un sacco di riparazioni da fare e la padrona non vuole fare niente e poi mio figlio allergico che non può respirare la muffa e a casa c’è la muffa, l’umidità non c’è il riscaldamento…” (Mauritius)
§
“.. (appartamento del custode)
questa casa dentro ci piace , però il problema è che non si
può aprire una finestra, perché sempre passano qua gente per
garage, noi non è libero come casa.. qualcuno amico non può
venire per mangiare… non puoi respirare aria perché quando queste
finestre quando aperto vedono tutti da fuori allora un po’ di
difficoltà..” (Sri Lanka)
§ “E’ piccola , non c’è ascensore e non è pulita, questo palazzo è troppo vecchio, guarda l’estate tu non puoi stare qui perché c’è troppi scarafaggi…” (Marocco)
■ Tabella e.2.1 |
||
Attività
svolta nel tempo libero |
% |
|
|
In casa |
60,8 |
|
Fuori casa |
19,6 |
|
nessuna |
13,3 |
|
altro |
6,1 |
|
Totale |
100 |
■ Tabella e.2.2 |
||
Attività
svolta nel tempo libero |
% |
|
|
nessuna |
13,3 |
|
letture |
8,4 |
|
ascolto musica |
8,0 |
|
cucina |
7,0 |
|
letture e ascolto
musica |
7,0 |
|
trovare gli amici |
6,8 |
|
guardare la tv |
6,1 |
|
"fai da
te" |
5,9 |
|
passeggiate |
5,6 |
|
letture e tv |
4,4 |
|
letture,musica,
noleggio videocassette |
3,5 |
|
ascolto musica e
tv |
3,5 |
|
noleggio
videocassette |
3,0 |
|
trovare gli
amici,bar,sedi comunità,passeggiate,sale giochi |
2,1 |
|
trovare gli amici
e passeggiate |
2,1 |
|
cucina,foto/video,
musica |
1,6 |
|
Ballo |
1,4 |
|
dormire-riposare |
1,2 |
|
guardare
tv,letture,passeggiate |
1,2 |
|
volontariato,cucinam
amici |
0,9 |
|
cinema,concerti,sagre,sedi
comunità |
0,7 |
|
altro |
6,1 |
|
Totale |
100 |
■ Tabella e.2.3 |
||
Luoghi
frequentati nel tempo libero |
% |
|
|
casa di amici |
35,4 |
|
nessuno |
23,2 |
|
casa di
amici,bar,sedi comunità d'appartenenza,sala giochi |
9,2 |
|
chiesa e casa di
amici |
7,6 |
|
sedi delle
comunità di appartenenza |
3,4 |
|
cinema,
concerti,sagre, sedi comunità di appartenenza |
3,2 |
|
feste
popolari/sagre |
3,0 |
|
sedi
comunità di appartenenza e casa di amici |
2,8 |
|
pub, bar, birrerie |
2,5 |
|
cinema e musei |
0,9 |
|
concerti e sedi
della comunità di appartenenza |
0,9 |
|
centri sociali |
0,7 |
|
chiesa,cinema e
musei |
0,5 |
|
musei |
0,5 |
|
altro |
6,2 |
|
Totale |
100 |
■ Tabella e.2.4 |
||
Chi frequenta
nel tempo libero |
% |
|
|
connazionali e
italiani |
31,4 |
|
altri stranieri,
connazionali e italiani |
27,7 |
|
solo connazionali |
26,0 |
|
solo italiani |
3,5 |
|
altri stranieri e
connazionali |
2,8 |
|
altri stranieri |
1,6 |
|
altro |
7,0 |
|
Totale |
100 |
■ Tabella e.2.5 |
|
|
Gli amici sono |
% |
|
|
solo connazionali |
33,0 |
|
connazionali e
italiani |
29,4 |
|
altri stranieri,
connazionali e italiani |
25,0 |
|
solo italiani |
6,2 |
|
altro |
6,4 |
|
Totale |
100 |
■ Tabella e.2.6 |
|
|||||||||
Chi frequenta
nel tempo libero anni di permanenza in Italia |
||||||||||
|
|
|
Chi frequenta nel tempo libero |
|||||||
|
|
|
solo connazionali |
solo italiani |
connazionali e italiani |
altri stranieri |
altri stranieri e connazionali |
altri stranieri, connazionali
e italiani |
altro |
|
|
fino a 2 anni |
37,5 |
3,1 |
25,0 |
6,3 |
0,0 |
21,9 |
6,3 |
||
|
da 3 a 5 anni |
33,3 |
2,7 |
25,3 |
0,0 |
2,7 |
25,3 |
10,7 |
||
|
da 6 a 10 anni |
26,0 |
3,6 |
27,8 |
1,2 |
3,0 |
32,5 |
5,9 |
||
|
da 11 a 15 anni |
24,2 |
3,3 |
35,2 |
3,3 |
4,4 |
25,3 |
4,4 |
||
|
oltre 15 anni |
12,5 |
6,3 |
43,8 |
0,0 |
2,1 |
25,0 |
10,4 |
||
Totale |
|
26,3 |
3,6 |
30,6 |
1,7 |
2,9 |
28,0 |
7,0 |
||
■ Tabella e.2.7 |
||
In quali
occasioni frequenta gli amici |
% |
|
|
tempo libero |
55,4 |
|
feste |
13,2 |
|
tempo libero e
feste |
10,0 |
|
al lavoro e nel
tempo libero |
6,9 |
|
feste/funzioni
religiose |
4,4 |
|
al lavoro |
3,7 |
|
ricorrenze come
compleanni e onomastici |
3,2 |
|
ricorrenze come
compleanni, onomastici e feste tipiche |
2,0 |
|
quando hanno
bisogno di un aiuto |
0,5 |
|
concerti musicali |
0,5 |
|
funzioni religiose
e tempo libero |
0,2 |
|
Totale |
100 |
§ “io ho tanta paura per la strada all’inizio
perché eravamo irregolari paura delle persone in divisa che controllano
i documenti , poi dei ragazzi per la strada che quando cammini ti inseguono e
dicono cose brutte e una volta mi hanno spruzzato una bomboletta
addosso.”( Colombia)
■ Tabella e.2.8 |
||
Da quando
è in Italia ha mai avuto paura che le facessero del male |
% |
|
|
No |
70,4 |
|
SI, per episodi
già subiti |
19,8 |
|
Si |
9,8 |
|
Totale |
100 |
■ Tabella e.2.9 |
||
Da quando
è in Italia ha mai avuto che facessero del male al suo coniuge e a
suoi figli |
% |
|
|
No |
58,8 |
|
Si |
37,0 |
|
Si, perché
siamo stranieri |
4,3 |
|
Totale |
100 |
■ Tabella e.2.10 |
||
Se lei o i suoi
familiari vi trovaste in pericolo a chi chiederebbe aiuto |
% |
|
|
Forze dell'Ordine |
56,7 |
|
dipende dal
pericolo |
9,7 |
|
Vicini di casa |
7,0 |
|
Altro |
6,5 |
|
alle forze
dell'ordine e ai vicini di casa |
6,2 |
|
Amici connazionali |
5,2 |
|
alle forze
dell'ordine e amici connazionali |
4,0 |
|
Amici italiani |
3,5 |
|
alle forze
dell'ordine, ai vicini e agli amici connazionali |
1,2 |
|
Totale |
100 |
■ Tabella e.4.1 |
||
Che valore ha
per lei la religione |
% |
|
|
è
importante, fondamentale |
73,1 |
|
poco valore |
14,3 |
|
non professo
nessuna religione- nessun valore |
10,6 |
|
altro |
2,0 |
|
Totale |
100 |
■ Tabella e.4.2 |
||
Ha
difficoltà a praticare la sua religione in Italia |
% |
|
|
No |
79,9 |
|
Non pratica
nessuna religione |
6,3 |
|
Si |
4,9 |
|
Si, perché
non ci sono le nostre chiese |
4,4 |
|
Si, per
orari/giorni festivi diversi |
3,7 |
|
altro |
0,7 |
|
Totale |
100 |
■ Tabella e.4.3 |
||
Vivendo in
Italia si è trovato nella condizione di cambiare religione |
% |
|
|
No |
98,0 |
|
Si |
2,0 |
|
Totale |
100 |
■ Tabella e.4.4 |
||
Che valore
pensa che avrà la religione per i suoi figli |
% |
|
|
lo stesso che ha
per me |
64,2 |
|
decideranno loro |
23,7 |
|
non lo so |
8,1 |
|
migliore di quello
che ha per me |
3,0 |
|
altro |
1,1 |
|
Totale |
100 |
La maggior parte
delle famiglie immigrate intervistate utilizza il Servizio Sanitario e
usufruisce delle prestazione sanitarie al pari dei cittadini italiani e
ciò può essere considerato come un indice di integrazione nella
società di accoglienza. Senza dubbio il percorso di integrazione delle
famiglie immigrate intervistate dipende anche dalle caratteristiche del
campione: si tratta di famiglie con una permanenza media di 10 anni in Italia,
giovani (età media 37 anni), che hanno un regolare permesso di
soggiorno, hanno un'occupazione e una buona situazione alloggiativa e trovano
nel nucleo familiare un adeguato sostegno psico-affettivo. L'insieme di questi
fattori, che vengono definiti di tipo sociale, ha una grande rilevanza nel
determinare le condizioni di vita globali delle persone immigrate influenzando
di conseguenza il loro stato di salute, per cui si può dire che
complessivamente le famiglie immigrate intervistate stanno portando avanti con successo il loro progetto
migratorio e ciò ha giocato a favore di una maggiore e più facile
integrazione nella società italiana.
Per quanto riguarda l'accesso ai Servizi Sanitari i
dati emersi ci indicano che la grande maggioranza delle famiglie intervistate
è iscritta al Servizio Sanitario Nazionale (88.2%) e quindi ha anche scelto il medico di base
(88.2%). [8]
Tuttavia esiste quasi un 12% delle famiglie del
nostro campione che non è iscritta al Servizio Sanitario Nazionale e che
risente delle problematiche della cattiva informazione sui diritti/doveri riguardo
all’assistenza sanitaria e ospedaliera per gli immigrati in Italia.Per quanto
riguarda l'accesso ai Servizi Sanitari i dati emersi ci indicano che la grande
maggioranza delle famiglie intervistate è iscritta al Servizio Sanitario
Nazionale (88.2%) e quindi ha
anche scelto il medico di base (88.2%).
■ Tabella f.1.1 |
|
■ Tabella f.1.2 |
||||||
E' iscritto al
servizio sanitario nazionale |
% |
|
Ha scelto un
medico di base |
% |
||||
|
si |
88,2 |
|
|
si |
88,2 |
||
|
no |
11,8 |
|
|
no |
11,8 |
||
|
Totale |
100,0 |
|
|
Totale |
100,0 |
||
Se a questi dati
aggiungiamo che un'alta percentuale delle famiglie intervistate sostiene di
avere un rapporto buono (51.7%) o normale (27.4%) con il proprio medico di base
si può affermare che gli obiettivi contenuti nelle disposizioni in
materia sanitaria della Legge 40 del 1998 che si proponevano di “favorire
anche nell'ambito sanitario, i percorsi di integrazione degli stranieri
regolarmente presenti nel nostro paese, con parità di diritti e di doveri rispetto ai cittadini
italiani” sono stati in gran parte raggiunti.
A questo proposito
è importante segnalare che sebbene l'11,8 % del campione non sia
iscritto al Servizio Sanitario Nazionale e non abbia un medico di base
ciò non significa che non possa accedere o non abbia diritto alle
prestazioni sanitarie in quanto la Legge 40 nelle già citate disposizioni
garantisce la tutela della salute a chiunque si trovi sul territorio nazionale,
rispondendo così a un
“approccio di salute pubblica tale per cui la tutela della
salute collettiva può essere garantita solo attraverso la salvaguardia
di ogni individuo presente sul territorio, indipendentemente dal suo status
giuridico”.
Ma non si tratta solo di un problema di salute
pubblica.
Come è già stato
segnalato in diversi studi, un reale percorso di integrazione della popolazione
straniera nella società di accoglienza deve passare anche attraverso la
tutela della salute, garantendo alle persone immigrate la piena
accessibilità e fruibilità delle prestazioni sanitarie,
soprattutto se pensiamo che la salute è l'unico patrimonio di cui
dispone la persona immigrata per realizzare il proprio progetto migratorio nel
paese di accoglienza, per cui in molti casi la malattia viene vissuta come un
evento traumatico che in qualche modo spezza e può determinare il
fallimento del progetto migratorio.
Semmai il problema è come favorire una corretta informazione sul diritto alla cura per tutti, irregolari compresi, sia attraverso i mass-media che attraverso i canali istituzionali. In questo senso il Ministero della Sanità nello scorso marzo 2001 ha diffuso un primo studio sulle cure ospedaliere ricevute dagli immigrati e sul loro accesso alle Strutture del Servizio Sanitario Nazionale e una guida pratica destinata agli operatori sociali e sanitari per migliorare la qualità dell’assistenza agli immigrati, nonché ha presentato un decalogo in molte lingue per l’assistenza sanitaria destinato agli immigrati.
Se andiamo ad analizzare il tipo di prestazioni sanitarie alle quali ricorrono più frequentemente le famiglie immigrate (tab. f.1..3) risulta che il 46% ricorre al medico generico, seguito dall'acquisto di medicinali (11.4%) e da un 8,5% che utilizza frequentemente il Pronto Soccorso.
I primiQuesti dati
sembrano indicare un corretto utilizzo da parte delle famiglie immigrate dei
servizi sanitari, nel senso che chi si iscrive al Servizio Sanitario, sceglie
un medico di base al quale ricorre in caso di necessità e
conseguentemente ricorre anche all'acquisto di medicinali. Per quanto riguarda invece il
Pronto Soccorso, risulta anche dalla nostra ricerca (come in quelle riportate
nel II° rapporto sull’integrazione degli immigrati in Italia) che se
ne faccia un uso eccessivo e sostitutivo di altre forme di prestazione
sanitaria :si ricorre frequentemente ad esso per ovviare le lunghe attese per
le visite specialistiche
Come si diceva nel paragrafo precedente la
possibilità di utilizzare e di accedere ai servizi consente una
più concreta integrazione delle famiglie immigrate, per cui anche questi
dati sembrano confermare le considerazione fatte in precedenza. Per quanto
riguarda l'uso del Pronto Soccorso, come prestazione sanitaria alla quale si
ricorre frequentemente e non come servizio di urgenza, da alcune risposte
emerse nelle interviste sembrerebbe che in alcuni casi esso venga utilizzato
per ovviare le lunghe attese per le visite specialistiche
§ “Noi utilizziamo il medico di famiglia e il Pronto Soccorso:
invece di aspettare l'appuntamento con il medico specialista, meglio rivolgersi
subito al Pronto Soccorso, se è una cosa urgente ti curano subito, se
no, dobbiamo aspettare…”(Marito, Sri Lanka)
oppure si ricorre perché non si sa
dove andare a causa di un'inadeguata conoscenza del funzionamento dei servizi
sanitari
§ “Perché quando porto il bambino all'ospedale, loro
chiedono “Perché l'ha portato? Non è grave”,
però noi dove dobbiamo andare quando lui è malato?”
(Moglie, SriLanka)
■ Tabella f.1.3 |
|
|
A quali
prestazioni sanitarie ricorre più frequentemente |
% |
|
|
medico generico |
46,0 |
|
acquisto
medicinali |
11,4 |
|
nessuna |
9,0 |
|
pronto soccorso |
8,5 |
|
acquisto
medicinali, medico generico, pronto soccorso |
8,0 |
|
acquisto
medicinali e medico generico |
3,1 |
|
medico generico e
pronto soccorso |
2,9 |
|
medico generico,
medico spec. privato e pronto soccorso |
2,9 |
|
medico propria
comunità |
2,9 |
|
medico
specialistico |
1,2 |
|
ricovero
ospedaliero |
1,0 |
|
medico della
Caritas |
1,0 |
|
medico
specialistico privato |
0,5 |
|
ospedale, medico
di base, specialistico privato |
0,5 |
|
altro |
1,2 |
|
Totale |
100,0 |
I dati riguardanti la bassa percentuale di ricoveri ospedalieri (1%), il fatto di non ricorrere a nessuna prestazione (9%) e la bassa percentuale nell'acquisto di medicinali (11.4%) potrebbero essere spiegati considerando due fattori: l'età media del campione (37 anni), età compresa nella fascia 19-40 anni che coincide con il periodo di miglior stato di salute di una popolazione e il fenomeno del “migrante sano” già segnalato in diversi studi e articoli.
Per quanto riguarda le
difficoltà che le persone hanno trovato nell'accesso ai servizi sanitari
al loro arrivo in Italia (tab. f.1.4), la grande maggioranza
sostiene di non aver avuto difficoltà (63%) in quanto erano in regola
con il permesso di soggiorno per cui si sono potuti iscrivere senza problemi al
Servizio Sanitario Nazionale. Invece un 13,2% del campione ha avuto
difficoltà in quanto non avevano i soldi per pagare le prestazioni o non
avevano i documenti per accedervi Anche qui riteniamo che spesso è mancata
una corretta informazione (Decreto Dini del 1995) o una non conoscenza da parte
degli immigrati sui diritti alle cure mediche d’emergenza, alla
assistenza ospedaliera alla gravidanza e al parto, ma soprattutto il nostro
campione (che ricordiamo è rappresentato da famiglie presenti in Italia
anche da 15 anni e oltre) nel rispondere a questa domanda fa spesso riferimento
al passato e in particolare ai primi tempi della permanenza in Italia.
§ “E' un problema, una volta sono stato ricoverato e mi hanno
detto che dovevo pagare e non avevo i soldi e gli ho detto di far pagare
l'ambasciata, poi sempre il problema dei documenti” … (Marito,
Costa d'Avorio)
§ “Io quando ero irregolare sono rimasta incinta e sono dovuta tornare
nel mio paese a partorire perché non potevo partorire qua, era un
rischio (Moglie, Perù”).
Un 7.9% del campione ha avuto problemi linguistici
§ “Non conoscevo la struttura, la lingua e in più ero
irregolare…” (Marito, Cina)
che non è solo un problema di non conoscenza della lingua italiana, ma anche del contesto e del modo di funzionamento dei servizi
§ “Non sapevo dove iscrivermi e dove avere queste informazioni
precise” (Marito, Serbia)
§ “In fondo, in fondo sempre per il problema della
lingua…” (Marito Cina)
§ “Mancanza di informazioni per sapere come fare le cose, i
procedimenti per fare le cose, la burocrazia…”(Moglie, Ruanda)
■ Tabella f.1.4 |
|||
Quali
difficoltà ha incontrato al suo arrivo nell'accesso ai servizi
sanitari pubblici |
% |
||
|
nessuna |
63,0 |
|
|
non avere i soldi
e i documenti per accedervi |
13,2 |
|
|
problemi
linguistici |
7,9 |
|
|
nessuna,
perché mai usati |
7,7 |
|
|
non avere
documenti e non sapere la lingua |
2,9 |
|
|
altro |
5,3 |
|
|
Totale |
100,0 |
|
Se
andiamo a vedere i dati sulle difficoltà che attualmente trovano le
persone quando si rivolgono a uno dei servizi pubblici emerge che il 63% non
incontra alcuna difficoltà, il 16,0% incontra difficoltà dovute
ai lunghi tempi di attesa, il 4.6% trova difficoltà linguistiche mentre
per il 3,3% la maggiore difficoltà è dovuta alle poche
spiegazioni. Un 6,5% del campione non incontra alcuna difficoltà
perché non ha mai
usato i servizi.
In questo senso è stato
ampiamente sottolineato sia dalla Commissione per le politiche di integrazione
degli immigrati, dall’Organismo di Coordinamento Nazionale (O.N.C.) del
C.N.E.L. , nonché dalle Direzioni Sanitarie di molti ospedali italiani e
dalle esperienze sul campo condotte attraverso specifici progetti ,
l’utilità del mediatore linguistico-culturale nei diversi contesti
sanitari, sia per facilitare la comprensione linguistica e l’informazione
dell’immigrato sui suoi diritti – doveri in ambito sanitario che
per facilitare un uso corretto delle strutture ospedaliere e per ridurre i
tempi di attesa.
mia usato i servizi.
Se questi stessi dati vengono analizzati in base agli anni di permanenza in Italia (tab. f.1.5) risulta che il 34,8 % dei soggetti che risiedono in Italia da meno di tre anni attualmente non trova difficoltà quando si rivolge ai servizi sanitari, mentre per i soggetti che risiedono da oltre 15 anni in Italia la percentuale è del 68,1; se per i soggetti che risiedono da meno di tre anni il problema della lingua costituisce una difficoltà quando si rivolgono ai servizi sanitari nel 17,4% dei casi, per quelli che risiedono da più di 15 anni, la percentuale scende al 6,4 e mentre nel primo gruppo di soggetti (quelli che risiedono da meno di tre anni) il 17,4% non incontra difficoltà perché non utilizza i servizi, nel secondo gruppo (quelli che risiedono da oltre 15 anni) non risulta che non utilizzino i servizi; un'altra annotazione importante riguarda il fatto che per i soggetti del primo gruppo le difficoltà legate alle scarse spiegazioni non è rilevante, per i soggetti del secondo gruppo lo è nel 6,4% dei casi. Invece le difficoltà dovute ai lunghi tempi di attesa si discostano di poco nei due gruppi (21,7% per il primo gruppo, 14,9% per il secondo)
■ Tabella f.1.5 |
|||||||
Difficoltà incontrate nel rivolgersi ad uno dei servizi
sanitari pubblici secondo il tempo di permanenza in Italia |
|||||||
|
|
Nessuna |
Si, tempi lunghi d'attesa |
Si, per la lingua |
No, perché mai usati |
Si, poche spiegazioni |
Altro |
fino a 3 anni |
34,8 |
21,7 |
17,4 |
17,4 |
0 |
8,7 |
|
da 3 a 5 anni |
57,9 |
12,3 |
5,3 |
15,8 |
0 |
8,8 |
|
da 6 a 10 anni |
68,6 |
14,7 |
1,9 |
5,1 |
3,8 |
5,8 |
|
da 11 a 15 anni |
66,3 |
19,8 |
4,7 |
3,5 |
3,5 |
2,3 |
|
oltre 15 anni |
68,1 |
14,9 |
6,4 |
0 |
6,4 |
4,3 |
|
Totale |
64,2 |
16,0 |
4,6 |
6,5 |
3,3 |
5,4 |
Queste
osservazioni ci permettono di fare alcune considerazioni di carattere generale.
Per quanto riguarda le difficoltà legate alla lingua, è chiaro
che chi è da poco tempo nel paese di accoglienza ha una scarsa
padronanza della lingua e ciò ostacola il processo di
comprensione-comunicazione del contesto di accoglienza; non a caso la
conoscenza della lingua è un importante indice di integrazione. Ma si
può anche dire, come è stato segnalato in molti studi, che il
processo di comprensione-comunicazione è ostacolato da una serie di
fattori culturali che ogni persona porta con sé e che incidono nel suo
modo di rapportarsi con gli altri: il migrante è portatore di una
“biculturalità” per cui lascia alle sue spalle
la cultura del paese d'origine per inserirsi in quella del paese di
accoglienza, ha un concetto di malattia, di salute, di percezione del proprio
corpo che non sempre coincidono con quelle della cultura occidentale. Comunque
è importante ricordare che anche gli operatori sanitari trovano
difficoltà a rapportarsi con questo nuovo tipo di utenza rappresentata
dagli immigrati. L'operatore sanitario è stato formato in un
contesto culturale dove domina la razionalità scientifica, per cui
l'interpretazione dei sintomi e la formulazione della diagnosi si basa sulla
misurazione dei dati fisico-chimici e quindi sull'oggettività della
misurazione quantitativa dei fenomeni. Invece sappiamo che iIn molte società
che non appartengono alla cultura occidentale esiste un rapporto stretto tra
malattia e comportamenti sociali: le cause della malattia sono attribuite a
comportamenti personali
talora con forti componenti magiche, o a personali o a fattori
sociali, per cui la patologia di un membro diventa un problema per tutta la
comunità. Bisogna
anche ricordare che l'operatore italiano è abituato a trattare con
pazienti che parlano la stessa
lingua e condividono le stesse basi storiche e culturali. Ecco quindi che le
difficoltà di comprensione-comunicazione dovute alle differenze
culturali sono vissute sia da parte degli operatori sanitari che dagli utenti
stranieri. Da alcune risposte emerse nelle interviste si può intuire che
le difficoltà linguistiche racchiudono anche tutta questa sfera
culturale, e tutto ciò ci porta a ribadire quanto sia utile formare
mediatori culturali, competenti e capaci a fare da ponte tra istituzioni e
bisogni degli immigrati.
Bisogna anche ricordare che
l'operatore italiano è abituato a trattare con pazienti della stessa
lingua e cultura e provenienti dallo stesso territorio. Ecco quindi che le
difficoltà di comprensione-comunicazione dovute alle differenze
culturali sono vissute sia da parte degli operatori sanitari che dagli utenti
stranieri. Da alcune risposte emerse nelle interviste si può intuire che
le difficoltà linguistiche racchiudono anche tutta questa sfera
culturale,
§ “Perché qua è un po' diverso dalla Cina, qua il
medico di famiglia non ti dice quale malattia hai, sempre ti manda all'ospedale
dallo specialista, anzi quando tu vai dal medico devi tu chiedere cosa vuoi,
invece nel mio paese è diverso, tu dici che non sto bene, lui decide
cosa devi fare…”(Marito, Cina)
§ “…ho partorito in ospedale e non ci sono stati problemi
grandi, solo forse che i dottori non capivano o non credevano che era il tempo
che il bambino nasce e mi hanno mandato di nuovo a casa e poi la sera mio
marito mi ha portato di nuovo e ho partorito…” (Moglie, Marocco).
§ "Tirano troppo sangue per non trovare niente, da noi
no"Moglie, Ghana”)
§ “Vorrei che ci fosse meno diffidenza da parte dei medici verso
gli immigrati, maggior rispetto per la loro malattia indipendentemente dal
colore della pelle o della lingua” (Marito, Nigeria)
§ …"…pensano che tutti siamo "vu'
comprà", che siamo stanchi, ti danno le punture per la stanchezza e
via…"(Marito, Senegal)
Se all'inizio del processo migratorio per le persone non è rilevante chiedere o avere più spiegazione rispetto alle cure mediche o alla diagnosi, come si evidenzia dal primo gruppo, per chi è invece da oltre 15 anni in Italia nel 6.4% dei casi emerge questa necessità: anche il sorgere di quest'esigenza denota che le persone straniere ormai non sono più soggetti passivi rispetto al contesto di accoglienza, ma si collocano come soggetti attivi consapevoli di avere diritti e doveri al pari dei cittadini italiani,
§
“Che ci diano più
spiegazioni sulle cose invece di darci solo farmaci. Fare visita, non scrivere
solo la ricetta e basta"(Marito, Perù)
§
…"…quando sono
rimasta incinta la prima volta, siccome non sapevo cosa fare, era la prima
volta, certamente devo chiedere informazioni a lui (il medico), in vece lui non
dà le informazioni e subito si arrabbia"(Moglie, Filippine)
§
"Di spiegarci perché
abbiamo preso quella malattia, cosa dobbiamo fare, di cosa abbiamo
bisogno” (Moglie, famiglia del Perù)
§
"Quando comincio a spiegare la
malattia del bambino, lui (il medico) dice "Sì, sì, ho capito",
ti fa una ricetta, non ha guardato il bambino, quale malattia ha il bambino,
allora non lo sai"(Moglie, Costa d'Avorio).
La maggior parte della famiglie straniere non si è mai rivolta ai medici privati perché finora non ne hanno avuto bisogno, ma il 12% si è rivolta per i figli
§
"Siamo andati una volta
dall'oculista (privato) per il bambino, ma prendono tanti
soldi…"(Moglie, Marocco)
§
…"…l'unica volta
è stato il dentista per mio figlio"… (Moglie, Algeria)
§ "Per i miei figli"… Moglie,(Pakistan)
e un 15.3% l'ha fatto quando si è trattato di una cosa urgente
§
"In certe difficoltà che
non possiamo intervenire noi, mal di denti e altri problemi gravi"…
(Marito, Ecuador)
§
"Quando dobbiamo fare qualcosa di
più urgente, lastre, ecc, per non aspettare i tempi lunghi della
mutua…"Moglie, Tunisia).
Quest'ultimo dato è legato alle
difficoltà dovute ai lunghi tempi di attesa per le visite
specialistiche: infatti il 15.4% degli intervistati ha confermato questa
difficoltà, ma nello stesso tempo ha riconosciuto che è un
problema che devono affrontare anche gli italiani
§
"Il problema più grande
è il concetto del tempo da parte dei servizi sanitari, uno va dal medico
perché sta male e non perché lo saprà che si
sentirà male… in questo modo si rischia che un malato per avere
l'appuntamento per la visita muore prima…" (Marito, Cina)
§
"Per esempio, quando andiamo a
fare una visita ci dicono che dobbiamo prendere un appuntamento e gli
appuntamenti sono lunghi e rimanere con la malattia è un
problema"(Marito, Costa
D'Avorio)
§
"Anch'io devo parlare delle
attese, ma non è solo un problema di immigrati…"(Moglie,
Serbia)
§ “…le lunghe attese delle prenotazioni, ma è così anche per gli italiani"… (Moglie Filippine).
A modo di conclusione si
può dire che la maggior parte delle famiglie immigrate intervistate
utilizza il Servizio Sanitario e usufruisce delle prestazione sanitarie al pari
dei cittadini italiani e ciò può essere considerato come un
indice di integrazione nella società di accoglienza. Senza dubbio il
percorso di integrazione delle famiglie immigrate intervistate dipende anche
dalle caratteristiche del campione: si tratta di famiglie con una permanenza
media di 10 anni in Italia, giovani (età media 37 anni), che hanno un
regolare permesso di soggiorno, hanno un'occupazione e una buona situazione
alloggiativa e trovano nel nucleo familiare un adeguato sostegno
psico-affettivo. L'insieme di questi fattori, che vengono definiti di tipo
sociale, ha una grande rilevanza nel determinare le condizioni di vita globali
delle persone immigrate influenzando di conseguenza il loro stato di salute,
per cui si può dire che complessivamente le famiglie immigrate
intervistate stanno portando avanti
con successo il loro progetto migratorio e ciò ha giocato a
favore di una maggiore e più facile integrazione nella società
italiana.
Rispetto all'accesso ai servizi sanitari le maggiori difficoltà incontrate riguardano aspetti burocratici e organizzativi, ma sono difficoltà che toccano anche gli utenti italiani. Una difficoltà invece che riguarda esclusivamente l'utenza immigrata è quella di tipo linguistico che, come abbiamo visto in precedenza, include variabili che hanno a che fare con la sfera culturale e che compaiono in forma più velata. Ciò potrebbe essere dovuto al tempo di permanenza delle famiglie in Italia (l'impatto culturale si va attenuando con il trascorrere del tempo) e anche al fatto che molti servizi stanno adeguando le loro strutture per accogliere meglio questa nuova utenza in modo da eliminare le barriere che possono ostacolare il pieno accesso ai servizi sanitari da parte delle persone immigrate.
G - L’educazione e la scuola
§
Per una
scuola integrata §
Per una
scuola da condividere §
Il
vantaggio del minore straniero §
Difficoltà
di educazione e differenze culturali §
Il futuro |
“Soltanto la famiglia, la più piccola unità sociale, può cambiare e, tuttavia mantenere sufficiente continuità per allevare i figli in modo da non farne ‘degli estranei in terra straniera’, e dar loro radici sufficientemente solide su cui crescere e adattarsi” (Minuchin, 1976).
Dall’insieme delle nuove norme[9] si inquadra un progetto educativo e
culturale che assegna all’educazione il compito di eliminare le barriere
sociali, ribadendo la parificazione dei diritti di tutti i minorenni presenti
sul territorio italiano.
Il traguardo è quello di
puntare soprattutto alla cooperazione e al rispetto reciproco,
nell’accoglienza delle varie esperienze culturali e religiose degli
alunni, con la proposta di un nuovo modello di integrazione
La legge 40 (ora Testo Unico) si inquadra in un
progetto educativo e culturale preesistente che assegna all’educazione il
compito di eliminare le barriere sociali, ribadendo la parificazione dei
diritti di tutti i minorenni presenti sul territorio italiano.
Dal 1985, il traguardo è
stato quello di puntare soprattutto alla cooperazione e al rispetto reciproco,
nell’accoglienza delle varie esperienze culturali e religiose degli
alunni.
Oggi l’ordine di grandezza della presenza dei minorenni stranieri in Italia, è una realtà che conferma il trend immigratorio come un fenomeno familiare, caratterizzato da stabilità, con progetti di sedentarizzazione, dimostrato dal progressivo riequilibrio di presenze maschili e femminili, dal numero crescente di ricongiungimenti familiari e dall’incremento di nascite di bambini di coppie straniere.
In questo contesto la scuola si trova ad essere un attore sociale in prima linea, in quanto già scuola multiculturale con circa 120.000 bambini stranieri nell’anno scolastico 99/00 (dati ISTAT), in cui si ipotizza una crescita progressiva di presenze nel prossimo futuro, destinata quindi a diventarlo sempre più.
La scuola è anche l’ambiente dove i bambini / ragazzi immigrati diventano visibili e dove è possibile valutare direttamente le difficoltà di integrazione che incontrano, e indirettamente quelle delle loro famiglie. Infatti spesso la famiglia immigrata è in condizioni socioeconomiche precarie che possono influenzare l’impatto, la motivazione, l’inserimento del bambino a scuola e il successivo apprendimento.
Inoltre la famiglia ha riferimenti socioeducativi suoi specifici, basati sulla cultura di appartenenza di cui il bambino riflette gli schemi di acculturazione, diventando implicita emanazione di essi, sia se nato in Italia, sia se emigrato con i genitori.
G.1) Per una scuola integrata
I genitori del nostro campione
inseriscono i loro bambini nelle scuole pubbliche italiane, frequentate dal
94,8% dei casi, riconoscendo, nella grande maggioranza, il ruolo
dell’istruzione scolastica come un’ esperienza costruttiva e
vantaggiosa; ma se notiamo dalla tabella (tab.
g.1.1) che, il 18,3% non ha nessun suggerimento da dare,
per migliorare la vita scolastica dei minori, e il 14% non sa quali
suggerimenti dare, vediamo come questi dati avvalorano la distanza che separa i
genitori da una reale partecipazione nella scuola.
Si nota un atteggiamento di
approvazione e di fiduciosa delega verso un sistema considerato positivamente
da molti genitori.
I genitori del nostro campione
inseriscono i loro bambini nelle scuole pubbliche italiane, frequentate dal
94,8% dei casi, riconoscendo, nella grande maggioranza, una esperienza
valorizzativa all’istruzione scolastica; ma se notiamo dalla tabella (tab. g.1.1) che, il
18,3% non ha nessun suggerimento da dare e il 14% non sa quali suggerimenti
dare, vediamo come questi dati avvalorano la distanza che separa i genitori da
una reale partecipazione scolastica.
Si nota un atteggiamento di
approvazione e di fiduciosa delega verso un sistema considerato positivamente
da molti genitori e questo sappiamo che ha un valore diverso tra le culture.
§
“In Italia è più
facile educare i figli, perché c’è un ambiente migliore e
scuole migliori” (Albania)
§
“Esistono differenze qui, qui
educazione più buona, anche rapporto fra genitori e insegnanti è
migliore, anche livello istruzione più alto” (Ecuador)
E’ transculturale quindi
il valore riconosciuto all’istruzione dalle famiglie straniere, che, a costo di grandi sacrifici, mantengono
i figli nel loro percorso scolastico, , certi così di garantirgli un
futuro migliore, come meglio vedremo in seguito.
Le risposte, relative ai
suggerimenti, in percentuale maggiori, si sono avute comunque verso un
incremento dell’area dell’intercultura, della convivenza e
dell’integrazione dei bambini a scuola piuttosto che non recriminazioni
sul sistema scolastico in quanto spazio di apprendimento, dimostrando
così di rappresentare un’area di grande sensibilità per la
maggior parte delle famiglie.
Per tutti l’istruzione
rappresenta un valore riconosciuto, quindi transculturale, e a costo di grandi
sacrifici mantengono i figli nel loro percorso scolastico, fino
all’università in molti casi, certi così di garantirgli un
futuro migliore, come meglio vedremo in seguito; le risposte in percentuale
maggiori si sono avute comunque verso un incremento dell’area
dell’intercultura, della convivenza e dell’integrazione dei bambini
a scuola piuttosto che non recriminazioni sul sistema scolastico in quanto
spazio di apprendimento, dimostrando così di rappresentare un’area
di grande sensibilità per la maggior parte delle famiglie.
§
“nella scuola invece di far
finta che il bambino non è straniero si può dire puoi parlare del
tuo Paese , della tua cultura… è la scuola che deve far vedere che
ci sono tante persone e culture diverse (…) non si deve parlare
dell’Algeria solo perché lui è algerino ma si deve parlare
del giapponese, del cinese”(Algeria)
Emerge come suggerimento che l’interesse da stimolare a scuola, dovrebbe essere focalizzato su tutte le culture, sulla diversità come risorsa e come accrescimento culturale per bambini che si troveranno domani ad essere parte di una società meticcia.
■ Tabella g.1.1 |
|
|
Quali suggerimenti per migliorare la vita scolastica di minori
stranieri |
% |
|
|
maggiore integrazione tra le due culture, ed alla convivenza |
34,7 |
|
nessuno |
18,3 |
|
non lo so |
14,0 |
|
insegnare a scrivere in due lingue, insegnare la lingua madre |
10,7 |
|
insegnare l'inglese |
6,0 |
|
maggiore importanza alla cultura di provenienza |
3,3 |
|
insegnare l'italiano ai genitori, integrare i genitori |
3,0 |
|
altro |
10,0 |
|
Totale |
100 |
§
“Qualche maestra con titoli di
studio di diversi Paesi almeno per stranieri è importante avere altre
culture a scuola. Maestro di colore a scuola almeno il bambino vede che non
c’è nessuna differenza invece tutti bianchi, bianchi, bianchi, per
esempio mio figlio quando torna dall’asilo dice: mamma perché sono
tutti bianchi a scuola anche le maestre? Perché qui è un Paese di
bianchi dico io”(Nigeria)
§
“Forse far capire che ci sono
altri mondi oltre questo, con altri modi di vivere ugualmente importanti”
(Mali)
Dove anche l’evento migratorio in sé va contestualizzato all’interno di un esperienza, di un evento molto significativo per la famiglia che lo vive e per il bambino che lo ‘transita’.
§
“Che spieghino di più
agli altri bambini il motivo dell’immigrazione” (Polonia)
§
“Allora i genitori devono
cercare di non dimostrare che siamo stranieri, che siamo emigrati, che abbiamo
difficoltà. I bambini devono essere inseriti nella società
italiana e devono avere un comportamento normale come gli altri
bambini”(Etiopia)
Un efficace politica d’intervento, volta alla
piena integrazione del minore, deve quindi tener conto anche di situazioni
assai differenziate tra loro perché molto diversi sono anche i bisogni
espressi dai genitori, per storia personale, Paese d’emigrazione,
progetto migratorio, tipologia familiare, presenza di una rete di connazionali
in Italia, presenza di legami affettivi con il Paese di origine ecc.
Tra i nostri intervistati quasi nessuno dichiara difficoltà di inserimento scolastico(tab. g.1.2) per i propri figli nel 80% dei casi, mentre quando ci sono, sono soprattutto le barriere relative alla lingua, che non permettono ai ragazzi di inserirsi senza ostacoli nell’ambiente classe (15,9%), mentre solo il 3,6% fa notare problemi più di ordine relazionale, di convivenza tra culture.
§
“Un po’ di inserimento,
perché i bambini immigrati soffrono di più per la lingua e quindi
hanno bisogno che le maestre li seguano di più con un po’ di
pazienza…però qua se segui va bene, se no non importa a
nessuno”(Albania)
■ Tabella g.1.2 |
|
||
Ci sono state difficoltà di inserimento
scolastico per i figli legate alla differente nazionalità |
% |
||
|
No |
79,9 |
|
|
Si,
per la lingua |
15,9 |
|
|
Si |
3,6 |
|
|
altro |
0,6 |
|
|
Totale |
100 |
|
§
“All’inizio ci sono stati
dei rifiuti per quanto riguarda l’inserimento , perché non sapeva
la lingua”(Uruguay)
§
“Inizialmente la prendevano in
giro, le facevano dispetti, era andata in esaurimento, piangeva, ora ha
imparato a reagire e si è inserita bene”(Marocco)
Sono i bambini che arrivano in Italia già
socializzati nel paese di origine ad avere i problemi maggiori, ad essere
più a rischio, il quale è ben sintetizzato in questa intervista.
Sono i bambini che arrivano già in Italia
socializzati nel paese di origine ad avere i problemi maggiori, ad essere
più a rischio, il quale è ben sintetizzato in questa intervista.
§
“… sono passati più
di 2 anni per far capire alla maestra il bambino (..) .. il bambino è
molto timido e poi vedeva che non lo capivano, aveva paura ad esprimersi ,
perché se sbagliava cominciavano a ridere gli amici… le maestre
allora hanno detto alla Direttrice che questo bambino non è normale,
è handicappato ed io questo l’ho scoperto molto tardi… il
bambino non voleva più andare a scuola… ma come fa un bambino ad
esprimersi se gli altri gli ridono addosso.. allora pensate di entrare nel suo
mondo e se non avete un mediatore , una persona che gli sta vicino che lo aiuta
ad integrare, chiamate una persona che sa la lingua…”(Albania)
In effetti la probabilità è
l’altoNel
nostro paese si registra un alto numero di abbandoni scolastici che si
registra nel nostro paese, po, poiché il sistema scolastico
è un contenitore affidabile che può anche diventare critico per i
minori stranieri se non sostenuti nel loro percorso da figure competenti in
‘interculturalismo attivo’. Il rischio è infatti è l’interruzione della
scuolal’abbandono della scuola, anche se nel nostro campione l’interruzione
scolastica (7%) è motivata piuttosto dalle esigenze economiche (6%) dei genitori (di tutti
gli orientali il 23,1% dichiara che almeno uno dei loro figli lavora orientali).
§
“I primi due figlioli hanno interrotto la scuola
perché devono aiutarci a lavorare”( Cina)
§
“Ha interrotto gli studi per
aiutarci sul lavoro; la mia figlia unica ci aiuta nella confezione, sia per i
contatti esterni che per le lavorazioni interne”(padre, Cina)
La lingua quindi è una barriera iniziale del
percorso scolastico che non motiva, nel nostro campione, interruzioni
scolastiche; l’agenzia scuola risulta evidentemente impegnata nel creare
competenza nella lingua ufficiale comune: strumento indispensabile per
garantire la possibilità di una piena partecipazione alla vita sociale.
Questo impegno avviene in maniera congiunta con i genitori.
Nonostante gli ostacoli, infatti, osserviamo come
le famiglie straniere si dimostrano competenti nello stimolare il
coinvolgimento e l’istruzione dei figli, non senza grandi sforzi e
sacrifici, spesso con sofferenza.
Nonostante gli ostacoli, allora, osserviamo come le
famiglie straniere si dimostrano competenti nello stimolare il coinvolgimento e
l’istruzione dei figli, non senza grandi sforzi e sacrifici, spesso con
sofferenza.
§
“I genitori non possono aiutare
i figli a inserirsi nella società italiana, non sono capaci a insegnare
la cultura e l’educazione italiana perché sono estranei loro
stessi”(Filippine)
Il genitore immigrato è impegnato in
un difficile processo di inserimento che lo vede ‘in bilico’ tra il
suo paese e il paese di accoglienza, tra la famiglia di origine e la famiglia
nucleare, tra le lingue e le culture, teso però a lasciare vivo e ha
trasmettere quello che a lui è stato trasmesso; perciò risulta
assente, anche se non del tutto, all’interno dei momenti scolastici, che
comunque reputa importanti, perché è il ‘il tempo’
quello che manca, quello che andrebbe sottratto al lavoro, per un maggiore
coinvolgimento nel processo di educazione dei figli all’interno della
scuola.
§
“… se un giorno un
genitore vuole parlare per un problema con gli insegnanti deve aspettare per
forza il giorno di ricevimento ed è strano, non esiste nelle scuole una
struttura a cui rivolgersi quando senti che tuo figlio ha delle
difficoltà, devi aspettare i ricevimenti e se non puoi andare
perché lavori significa per loro che non ti interessa tuo figlio!”(Iran)
§ “Ai ricevimenti, quando si deve andar ‘per forza’, non manchiamo mai”(Colombia)
■ Tabella g.1.3 |
|||
A quali momenti della vita scolastica partecipa |
% |
||
|
riunioni con
insegnanti |
37,1 |
|
|
Tutti: riunioni con
genitori, con insegnanti, feste, ecc. |
36,5 |
|
|
a nessuno |
14,4 |
|
|
le feste dei bambini |
11,4 |
|
|
altro |
0,7 |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Totale |
100 |
|
La delega al sistema scuola sembra quindi una necessità che se a volte appare priva di approfondimento critico, causa invece sofferenza quando i genitori si trovano nell’impossibilità di partecipare in modo pieno al processo di apprendimento dei figli, come avrebbero fatto nel loro paese di origine.
§
“Ai compiti io non partecipo per
scelta, perché hanno un modo di imparare diverso da quello che era una
volta. Non puoi nemmeno dare una mano a tuo figlio in matematica perché
devono pensare così e non così. Contano in maniera diversa da
noi, così per scelta non gli diamo una mano perché non vorremmo
che si mischia tutto nella testa. Non possiamo imporre il nostro modo di
pensare, di contare, di leggere, hanno il loro modo” (Algeria)
Se quindi il nucleo familiare permette la ricostruzione di modalità di vita propri della cultura di origine ed una più agevole salvaguardia della propria identità, per i membri più piccoli di esso, inseriti in un sistema scolastico diverso culturalmente, può significare un distanziamento affettivo dalle proprie origini, dalla propria famiglia. Il bambino è tra due sentimenti di non appartenenza, tra la cultura dei pari italiani e quella della famiglia, e in questo, la donna emigrata riveste un ruolo chiave nel ricreare un ambiente favorevole alla transizione; se da una parte con i suoi atteggiamenti può rappresentare nella scelta migratoria il punto di non ritorno di una solitudine familiare (nella direzione di una totale chiusura in sé della famiglia), dall’altra può diventare il ponte incoraggiando e autorizzando i figli alla nuova realtà, alla sua lingua, ai valori e comportamenti.
§
Padre: “Sì è un
problema proprio di accettazione delle sue origini. Forse quando cresce
capirà che è importante anche la nostra cultura per la sua
crescita.
§
Madre: “Forse col più
piccolo, non accetta di avere dei genitori della Tunisia. Non vuole sentire
questo. Lui vede la gente di là come antichi non li sente vicini alla
sua mentalità. Lui è italiano. Vorremmo che imparasse come gli
altri la nostra lingua, ma lui non vuole proprio, forse è presto.(Tunisia)
G.2) Per una scuola da condividere
Notiamo che i momenti della vita scolastica rendono poco inserite in modo attivo le figure genitoriali, e solo i momenti ‘necessari’ li vedono più presenti (tab.g.1.3). I rapporti con gli insegnanti sono dichiarati ‘buoni’ per il 65,8% e ‘normali’ per il 22,5% (il ’quasi’ nullo è prevalentemente della comunità cinese). In generale quindi è positiva la relazione, basata sulla fiducia quella che si instaura con la figura dell’insegnante, a parte alcuni episodi segnalati come quello di una madre serba.
§
“..sono andata pure a verificare
e ho visto un suo professore che neanche mi ha dato il tempo di spiegare,
cioè proprio così…magari ascoltare di più
perché già loro si sentono…anzi persino una maestra, una
professoressa mi ha detto che essendo lui immigrato, straniero non dovrebbe
reagire così…perché? Dico, che ha fatto mio
figlio”(Albania)
■ Tabella g.2.1 |
|
||
Tipo di rapporto con gli insegnanti |
% |
||
|
Buono |
65,8 |
|
|
Normale |
22,5 |
|
|
Quasi nullo |
11,4 |
|
|
altro |
0,3 |
|
|
Totale |
100 |
|
Le insegnanti, in quanto figure istituzionali, sono chiamate a mediare con le famiglie straniere, nel rapporto tra i genitori, sia all’interno del gruppo classe, a cui spesso i genitori fanno riferimento per denunciare episodi di razzismo.
§
“Ma quello grande mi dice che i
compagni lo chiamano invece che col nome: “nero”, ma mi ha detto
anche che si trova bene con le maestre”(Nigeria)
§
“Bisogna dare loro più
attenzione, perché uno straniero, diciamo un bambino, che entra in una
scuola di italiani qualche volta si sente in disagio perché
trova…mio figlio ha avuto tante esperienze in cui si sente trattato in un
altro modo, non li trattano tutti uguale. L’altra volta ha litigato con
un professore che gli ha detto: “Ma che non conosci l’italiano? Ma
come non capisce, lui è nato qui, cresciuto qui, parla bene
l’italiano e li guardava in modo diverso dagli altri, non perché
non parla bene, ma perché non sembra italiano”(Giordania)
§ “Se picchiano mio figlio, io non vado mai a scuola per dire così…ma se mio figlio picchia una persona subito è una cosa che dovunque passo, mio figlio oggi ha picchiato questo, non è buono…sono bambini come tutti gli altri…”(Senegal)
Inoltre agli insegnanti è anche richiesta maggiore attenzione verso le problematiche, quali la difficoltà con la lingua e più comprensione e pazienza verso i minori immigrati.
■ Tabella g.2.2 |
||
Che rapporto ha con i genitori dei compagni di scuola dei suoi figli |
% |
|
|
Buono |
45,1 |
|
Normale |
25,0 |
|
Nessun rapporto-non li conosco |
29,3 |
|
Altro |
0,6 |
Totale |
100 |
I rapporti con gli altri genitori scendono qualitativamente rispetto a quelli con gli insegnanti, e aumenta la percentuale di quelli che asseriscono di non avere nessun rapporto, di non conoscerli neanche (29,3%). Sempre l’assenza del tempo, necessario alla vita di relazione pregiudica gli incontri con gli altri genitori, ma le famiglie immigrate giudicano piuttosto ostile il comportamento dei genitori italiani nei loro confronti:
§ LUI: “Nessuno, anche per noi è una formalità il saluto”
§ LEI: “ Sì perché a me sembra che a loro non interessa conoscermi, io non ho tempo, buon giorno e via” (Serbia)
§
“Con una gran parte sono buoni
poi ci sono alcuni che ci guardano storti”(Marocco)
§
“Con alcuni buoni, si parla, con
altri no. Forse non gli piace parlare con noi. Io parlerò con chi mi
parla”(Sri Lanka)
Se l’incontro avviene è però stimolante per una buona convivenza.
§
“Un ciao, ci si vede, anche se
non con tutti, alcuni ci invitano a casa al compleanno dei loro figli e anche
noi la stessa cosa, con questa gente qui ci si riesce a parlare”(Etiopia)
§
“Bene, prima no per il lavoro,
ma dalla gita ci siamo avvicinate di più, ci siamo unite, andiamo alle
feste, ci prendiamo un caffè, è bello conoscere altra
gente” (Filippine)
Inoltre l’isolamento della famiglia
immigrata le rende più difficoltoso difficile il gestire i ritmi della vita sociale
e per questo denuncia fortemente l’assenza di una rete di sostegno, la
mancanza di una famiglia, di una figura che aiuti l’entourage nel
frenetico vivere quotidiano e riproduca, magari quello che è stato per
loro in passato, e questo, per i loro bambini:
§
“..per il bambino.. per gli
affetti dovrebbe avere i nonni vicini come tutti gli altri, le coccole dei
nonni sono un’altra cosa, perché noi siamo bloccati per certe cose
con certe difficoltà e dobbiamo andare avanti nella nostra vita e lui ha
bisogno di noi per raccontare le favole per coccolare di più per essere
insieme per andare al parco, io quando avevo mia nonna vicina ..”( Iran)
L’assetto è quello di una famiglia spezzata che deve adoperarsi energicamente per ricreare un contenitore affettivo per i propri figli, per ricreare spazi svuotati dalla lontananza dalla famiglia di origine, da riferimenti sicuri.
§
“sarebbe bello anche per i
nostri figli che ogni tanto dicono: perché non vengono i nonni a
prenderci a scuola come gli altri compagni di scuola?” (Filippine)
§
“cambierebbero molto i rapporti
con me e con i nipoti .. loro sentono questa mancanza quando i nonni dei
compagni vanno a prenderli a scuola o raccontano di vacanze con i nonni i miei
figli chiedono: ma noi abbiamo i nostri nonni? Dove sono? Sentono questa
mancanza…mancando questa figura manca qualcosa” (Filippine)
Anche la religione ha un alto valore simbolico nel fornire regole e pratiche, rassicurazione emotiva, quando sono specialmente assenti altre figure di riferimento.
■ Tabella g.2.3 |
|
|
Nella scuola
dei suoi figli si rispettano le festività/solennità religiose
non cattoliche |
% |
|
|
Si |
48,1 |
|
No |
51,9 |
Totale |
100 |
All’interno della scuola italiana si evidenzia un momento di transizione in cui alcune scuole hanno già intrapreso una ‘politica’ favorente la convivenza multiculturale e quindi il rispetto di altre religioni; anche i genitori del nostro campione rispondono in questo senso dividendosi nel rispondere ‘sì o no’ sul rispetto delle festività quasi nella stessa percentuale (i sì risultano leggermente superiori al nord). Quindi in questo momento di passaggio è importante chiedersi quali siano le richieste dei genitori rispetto alla loro religione, perché tutte sono portatrici di valori diversi anche rispetto al processo di integrazione
§
“La scuola non ha conoscenze in
proposito, ma i nostri figli preferiscono studiare la religione cattolica,
insieme agli altri bambini. Io anche preferisco che si integrino così,
imparando le usanze del posto” (Albania)
§
“Ci hanno chiesto se per noi era
un problema che la bambina impara la religione cattolica, la suora lo sa che
siamo buddisti, ma per noi no problema altre religioni”(Sri Lanka)
Questi genitori sembrano condividere le istanze di una cultura senza confini.
G.3) Il vantaggio del minore straniero
A questa domanda c’è sembrato che pochi genitori hanno saputo
mettersi in gioco e questo sottolinea la differenza tra chi è convinto
che l’appartenenza a due culture, tra loro in ibridazione, sia più
arricchente di quanto non sia il riferimento ad un solo mondo culturale.
Ad una domanda così provocatoria
c’è sembrato che pochi genitori hanno saputo mettersi in gioco e
questo sottolinea la differenza tra chi è convinto che
l’appartenenza a due culture, tra loro in ibridazione, sia più
arricchente di quanto non sia il riferimento ad un solo mondo culturale.
■ Tabella g.3.1 |
||
Quali sono i
vantaggi nella vita scolastica dei suoi figli di venire da un altro paese |
% |
|
|
Parlare due
lingue-avere due culture |
51,2 |
|
non lo so |
26,8 |
|
nessuno |
22,0 |
Totale |
100 |
Quelli che hanno saputo ‘mettersi in gioco’ hanno detto:
§
“Sarà senz’altro
più flessibile nelle relazioni con gli altri stranieri” (Zaire)
§
“Per i più grandi
è l’opportunità di essere bilingui, di vedere sin da
piccoli paesi così diversi che stimola, secondo me, la curiosità
ad apprendere. Per il piccolo ora non si sa”(Camerun)
§ “Ha due culture da cui prendere la parte più buona” (Albania)
Se il vantaggio è la possibilità per il bambino di stare tra due ‘mondi’, esso diventa anche lo svantaggio quando il suo essere ‘segmento’ che unisce la famiglia all’esterno, lo rende ‘mezzo’ per i genitori di traduzione dell’italiano, che lui acquisisce sin dall’inizio (se nato in Italia) come se fosse la sua lingua.
§
La storia dell’Italia, la
geografia, quel posto qua, quello là, io proprio... e anche qualche volta la grammatica
cioè l’italiano proprio che loro mi correggono tante volte quando
parlo, e specialmente a lui, allora abbiamo pure…mentre assisto loro che
fanno i compiti ho modo pure di imparare”(Filippine)
■ Tabella g.3.2 |
|
||
Cosa le hanno
fatto conoscere i suoi figli dell'Italia |
% |
||
|
La lingua
italiana, mi fa da "traduttore"- imparo da loro... |
64,8 |
|
|
Niente |
20,3 |
|
|
Non lo so |
6,9 |
|
|
Grazie a loro sono
più in contatto con persone italiane. |
3,8 |
|
|
altro |
4,1 |
|
Totale |
100 |
||
Ma se la famiglia nucleare è senza legami all’esterno, lo spazio al suo interno può amplificarsi di relazioni meno strutturate e modificare i suoi ruoli, con più alti livelli di sovrapposizione: è questo il caso del bambino che impara prima la lingua italiana e i genitori apprendono con lui parole nuove, investendolo così di un ulteriore richiesta, mai esplicitata, di renderli partecipi alla nuova esperienza di inculturazione.
Quindi sono i figli che conducono i genitori a conoscere meglio l’Italia, e non solo attraverso il miglior dominio della lingua, ma attraverso tutte le acquisizioni scolastiche e relazionali che il bambino immigrato riporta in casa, generando a volte contraddizioni e sofferenza.
Come notiamo dalla tabella (tab. g.3.2) ben il 64,8% degli intervistati risponde che il figlio è spesso l’effettivo intermediario tra la famiglia e la cultura italiana, anche se ‘altro’ filtra attraverso il comportamento, le abitudini, i gesti e le richieste, come ci dice una madre filippina.
§
“La mentalità, il
carattere italiani, perché lui vive in un altro ambiente, diverso da
quello dove siamo cresciuti noi. A volte si arrabbia, poi però, subito
si riprende, invece noi siamo più permalosi, perché anche non
possiamo ragionare con i nostri genitori”(Filippine)
Figli quindi potenzialmente bilingue e
biculturali, che diventano gli intermediari per i loro genitori, ma anche
bambini ‘tra’ riferimenti culturali diversi, ‘tra’
l’appartenere alla famiglia, luogo primario di acculturazione e
trasmissione di valori anche affettivi e ‘tra’ l’inserirsi in
un ambiente dove avviene la socializzazione tra pari quindi secondario luogo di
socializzazione.
Apprendere da un bambino di 6-7 anni può essere un’esperienza positiva per un genitore ed anche un modo indiretto e sottile per integrarsi maggiormente in Italia, ma al contempo può essere l’inizio di una sbilanciamento dei rapporti gerarchici ed educatici tra le generazione dei grandi e quella dei bambini e può essere la preparazione di quelle fratture intergenerazionali che potranno emergere con veemenza quando i figli diventano adolescenti.
G.4) Difficoltà di educazione e differenze culturali
La scelta di
analizzare insieme queste due domande è stata dettata da un stretta
relazione che emergeva nell’analisi dei dati: le differenze culturali che
i genitori stranieri osservano rispetto al proprio paese di origine, sono poi
anche gli atteggiamenti che i figli riportano in casa, creando così
vissuti di perdita e frattura dei legami con la cultura d’origine dei
genitori, e senso di inadeguatezza nel gestire l’educazione del figlio. I
figli da parte loro sono divisi tra diverse istanze (scuola e coetanei e
famiglia) e una scelta definitiva è per loro indice di un grave
conflitto di lealtà.
Tra le culture del nostro campione osserviamo che ci sono delle divergenze nel giudicare ‘le differenze’ di educazione: sono sostanzialmente nessuna per il 29% delle famiglie dell’Europa dell’Est e il 20,4% per i Paesi centro e sud americani, mentre gli orientali e quelli dell’Africa subsahariana e centrale osservano in maggioranza che ‘è tutto diverso’, solo le popolazioni del Nord Africa colgono nella religione l’unica differenza nel sistema educativo.
■ Tabella g.4.1 |
|||||||
Differenze
di educazione dei figli nelle due culture secondo la zona geografica di
provenienza |
|||||||
|
|
centro e sud america |
oriente |
nord africa |
medio oriente |
africa subsahariana e centrale |
europa dell'est |
|
sostanzialmente
nessuna |
20,4 |
18,3 |
10,8 |
9,7 |
11,8 |
29,0 |
|
è tutto
diverso |
0 |
40,7 |
0 |
3,7 |
44,4 |
11,1 |
|
qui l'educazione
è più aperta, meno rispettosa dei genitori |
6,7 |
27,4 |
17,7 |
4,3 |
25,0 |
18,9 |
|
qui c'è un
insegnamento avanzato |
66,7 |
0 |
0 |
0 |
20,0 |
13,3 |
|
ci sono differenze
solo di tipo religioso |
0 |
0 |
60 |
0 |
20 |
20 |
|
altro |
0 |
10,5 |
21,1 |
0 |
15,8 |
52,6 |
Totale |
12,2 |
22,9 |
14,9 |
5,2 |
22,0 |
22,9 |
Anche le differenze di educazione che i genitori riscontrano, ci narrano di come le famiglie possono adottare vari stili nella gestione dell’educazione dei figli, che attraversano la fase dell’inserimento e della socializzazione in una cultura a volte molto distante dal loro modello.
§ “Diciamo che al mio paese quando bambino fa qualcosa che non deve fare, puoi picchiare, qui i bambini non si toccano, non si menano, quando il bambino cresce con quella maniera un giorno potrà anche picchiare la mamma!…I bambini che sono a scuola hanno diritto di chiamare la Polizia quando la mamma o il papà l’ha picchiato, ma al nostro paese no” (Nigeria)
■ Tabella g.4.2 |
||
Differenze di
educazione dei figli nelle due culture |
% |
|
|
sostanzialmente
nessuna |
50,0 |
|
è tutto
diverso |
28,4 |
|
qui l'educazione
è più aperta-meno rispettosa dei genitori |
8,2 |
|
qui c'è un
insegnamento avanzato |
5,8 |
|
ci sono differenze
solo di tipo religioso |
4,6 |
|
altro |
3,0 |
Totale |
100 |
La trasmissione di valori è un complesso sistema intergenerazionale di regolazione di appartenenze sociali ed affettive all’interno del sistema familiare ed è rimesso in discussione, con l’emigrazione, tra la prima e la seconda generazione
§ “In Europa mia figlia cresce e forse quando avrà 18 anni, io quanto ho rispettato mamma e papà forse lei non rispetta. Non lo so. Il peso dei genitori sta nel legame che ci danno con le tradizioni, attaccato così…” (Sry Lanka)
Inoltre tale modello può risultare idealizzato e stereotipato, oppure superato nel loro paese di origine, può impedirne l’ulteriore sviluppo culturale, può essere il caso di chi afferma ‘è tutto diverso’(28,4%), ma poi non trova le parole per spiegare in cosa consista la diversità.
§
“…se potessi vorrei
educare miei figli nel nostro Paese.. lì c’è un altro modo
non lo so spiegare.. non è come nel nostro Paese che un genitore lo
educa a casa in un modo e anche a scuola lo educano così e lui cresce
uguale, qua no , si adatta troppo ai ragazzi italiani… lui ha la ragazza
italiana e vuole uscire e noi non possiamo dire no .. perché se tutti i
ragazzi italiani possono uscire non vogliamo che si senta
diverso”(Filippine)
Quello che principalmente manca ai genitori stranieri è il sostegno della famiglia allargata, un senso di solitudine nell’affrontare un compito importante quale quello dell’educazione, ma anche il poter fare riferimento a figure educative con cui si possa condividere un modello formativo.
§
“Tante, ad esempio da noi tante
figure partecipano all’educazione dei bambini” ( Mali)
“Qua i maestri non hanno diritto sui bambini
che stanno in aula con loro, quindi qua i bambini hanno più
autorità, cosa che non esiste nel mio paese. C’è più
rispetto da parte dei bambini nei confronti di chi è più grande
invece i bambini qui, delle volte decidono quello che devono fare i genitori,
decidono cosa devono mangiare, decidono i vestiti che devono mettere, decidono
tutto!” (Algeria)
Valori fondati sulla solidarietà diventano assenti quando si entra in un mondo estraneo, perché più difficili da ricostruire, ma anche perché vissuti in uno spazio e in un tempo meno caotico e disaggregato.
§
“ per me noi siamo stati educati
all’amicizia ad aiutarci uno con l’altro qua a me sembra che ognuno
vive per se stesso, che la gente è sola alla fine di tutto” (Algeria)
§
“Da noi i bimbi salutano
chiunque incontrano, è un obbligo, invece qua no, non saluta nessuno,
l’
ho portata anche da uno psichiatra per questo”(Ghana)
Quest’ultima intervista in particolare è stata fatta ad una coppia del Ghana, la cui madre si lamentava del comportamento della figlia che non salutava mai nessuno; vediamo come la distanza tra due sistemi di riferimento culturali sia poi rischiosa, se non condivisa, nel rapporto madre/figlia, e di come sia difficile accettare che un figlio sia in parte diverso da come i genitori se lo erano rappresentato, più distante dalle origini di quanto lo avrebbero pensato e voluto.
■ Tabella g.4.3 |
||
Difficoltà
incontrate nell'educazione dei figli legate al vivere in un paese straniero |
% |
|
|
Nessuna |
68,2 |
|
Si, imitano i
bambini italiani, meno rispetto per i genitori |
19,7 |
|
Si, legate alla
lingua |
12,1 |
Totale |
100 |
La maggior parte dei genitori dichiara di non incontrare nessuna difficoltà, ma osserviamo che l’età media dei figli è molto bassa e che molti genitori anticipano le difficoltà future probabilmente in virtù degli scambi con altri stranieri della loro comunità, o dall’osservazione attenta dei comportamenti degli italiani.
§ “Magari più avanti, magari più avanti mi chiede di uscire, a me non piace perché noi un’altra cultura, io ho vissuto in un'altra cultura dove la ragazza non la fanno uscire sempre, la verità una volta ogni tanto. Meno libero. …quando avrà 14 anni sicuramente chiederà di uscire, io la lascia perché non voglio che si sente male…diversa, non voglio tenere dentro casa, se no poi lei odia noi, si sente diversa” (madre, Sry Lanka)
Un concetto ponte che si insinua tra le ‘differenze’ e le ‘difficoltà’ di educare i figli in un contesto diverso è quello di “rispetto”, un concetto che spiega la frattura affettiva e di legame culturale che sta alla base dei rapporti tra le generazioni.
§ “C’è una grande differenza per il rispetto, poi gli italiani, come vediamo, parlano in altro modo, non come da noi, che c’è più rispetto quando si parla con i genitori, invece qui, come hanno cresciuto i bambini, si può parlare come si vuole, qualche volta ha pure la voce più alta dei genitori. Qui è tutta un'altra cosa, se io potessi vorrei educare mio figlio nel nostro paese”(Costa Avorio)
§
“Io penso che la differenza sta
nel fatto che noi comandiamo i nostri figli, non il contrario”(madre,
Filippine)
§
“Qua i maestri non hanno diritto
sui bambini che stanno in aula con loro, quindi qua i bambini hanno più
autorità, cosa che non esiste nel mio paese. C’è più
rispetto da parte dei bambini nei confronti di chi è più grande
invece i bambini qui, delle volte decidono quello che devono fare i genitori,
decidono cosa devono mangiare, decidono i vestiti che devono mettere, decidono
tutto!” (Marocco)
Genitori educati al rispetto per i propri genitori sentono un forte limite nel riprodurre ciò che è stato loro insegnato e trasmesso; ciò che sembrava loro naturale, le regole delle relazioni che li hanno cresciuti, non hanno più forza, perdono di senso quando i figli apprendono per imitazione gli atteggiamenti dei bambini italiani, “più liberi” e li riportano in casa
§
“Sì perché i figli
qua sono molto coccolati e viziati, non danno rispetto ai genitori e agli
insegnanti per questa cosa, al nostro paese non esiste, le maestre i genitori
devono essere rispettati”(Albania)
Anche in questo caso la valorizzazione della doppia cultura del bambino può esistere se i genitori sostengono senza contrasti o negazioni le richieste del bambino, se riescono a mediare tra i significati individuali, familiari sociali, come forse dimostrano questi genitori:
§
“Noi vorremmo educarli, anche se
non del tutto, ma con qualcosa come siamo stati educati noi; anche alcune cose
occidentali possono essere prese, ci sono anche, come da noi, cose buone e cose
cattive, come per es. il viziare i bambini, se si inizia, poi, non si fermano
più, si pensa di essere un buon padre invece…è meglio
essere fermi all’inizio e cercare di dialogare” ( Etiopia)
§
“Delle volte mi rimprovera, ma
poi penso che ha ragione, perché noi non siamo cresciuti così. Io
allora cerco di parlare con lui e di capire perché ha fatto
quello”(madre, Mauritius)
§
“Da noi da piccoli non possiamo
esprimere le cose che vogliamo, invece qui io cerco di farlo parlare di
più, di esprimere di più, certo è importante sempre il rispetto,
perché noi siamo cresciuti che non possiamo ragionare con i
genitori” “(Filippine)
G.5) Il futuro
Tutti i genitori stranieri hanno risposto in modo specifico e determinato alla domanda: “Che futuro desiderate per i vostri figli?”, con una risposta all’unisono, che produceva un sorriso e segnava la fine dell’intervista, tutte le coppie si sono trovate concordi nel volere per i loro figli un futuro diverso dal loro:
§
“Prima
devono studiare a più non posso, non vogliamo che vivano quello che
abbiamo vissuto noi” (Polonia)
§
“Scuola al massimo livello, noi
lavoriamo per dargli questo”(Sri Lanka)
§
“Stiamo lavorando ogni giorno
per creare a nostra figlia un avvenire più buono perché non
vogliamo che la vita che facciamo noi la fa anche lei, io penso che dobbiamo
seguirla tanto ora che ha iniziato la scuola…”(Albania)
§
“Futuro brillante. Futuro con
una educazione buona come abbiamo avuto noi, ma con un lavoro
migliore”(Filippine)
§
“Migliore, ma sulla loro terra
che è la nostra”(Mali)
I genitori richiedono ai figli che riescano a soddisfarli sul piano della riuscita sociale ed economica, e soprattutto che possano fare giustizia del loro ‘dover essere’ immigrati, nei lavori poco retribuiti e pericolosi, nel dormire per strada, nel varcare una frontiera, affrontare ingiustizie e razzismi.
§ “Un futuro meglio di quello nostro, io non sono potuta andare all’università, mi piacerebbe che mio figlio diventasse medico se vuole”.(Filippine)
§
“Noi desideriamo che siano
educati bene e che riescano ad integrarsi facilmente qui in Italia”
(Camerun)
§
Che finiscano la scuola, poi trovare
un buon lavoro per poi integrare nella vita italiana, istruire i figli per
inserirsi dentro questa società”(Perù)
§
“Ogni genitore sogna il meglio,
che studino, che non abbiano le difficoltà come le nostre. Diventare
dottore, così aiuta ed è quello che voglio io, ed il sogno mio lo
deve, e quello è un mio desiderio che avevo da piccolo”(Kosovo)
§
“Per i miei figli, io credo che
loro possono essere inseriti bene in questo paesi. Sposano e…stanno qua
con calma e lavorano bene per aiutare per contribuire alla nuova
patria…come persone in Italia…Io credo che loro hanno
opportunità, vantaggio, a lavorare anche in Europa…adesso che
è un grande paese...loro possono vivere in queste parti molto bene, senza
problemi ( Ghana)
E’ importante notare che la stragrande maggioranza proietta il futuro dei figli nella società italiana o europea, pochi fanno riferimento ad un ritorno con loro, ma vengono lasciati liberi di scegliere; quindi se molti genitori si vedono tornare in patria, dopo anni, o alla fine della vita lavorativa, portano a termine idealmente un progetto di insediamento definitivo per i figli.
E come la maggior parte di loro era portatrice di un mandato familiare, così anche i loro figli, stavolta però, sufficientemente integrati nel paese di accoglienza.
§
“Decideranno loro stessi, ormai
sono italiani”(Senegal)
H - Considerazioni conclusive
In
particolare è la donna che
rende più visibili i bisogni della famiglia immigrata e che diventa
l’interlocutore principale degli operatori dei servizi, basti pensare ai
rapporti con la scuola e le strutture sanitarie, è lei quindi che va sostenuta concretamente e
favorita nelle sue funzioni
all’interno della famiglia.
Una famiglia che
si pone come un’agenzia di intermediazione per i suoi membri interni o
per gli altri del proprio paese di residenza, si costituisce come reticolo
formale ed informale di supporto basato su un forte sentimento di coesione
familiare. Entrambi i coniugi si sacrificano per la famiglia in modo assai concreto:
attraverso le rimesse familiari a casa, vera forma di lealtà nei
confronti di un mandato familiare che
modula l’intero processo migratorio e, con l’arrivo e la
crescita dei figli, lavorando prevalentemente per il benessere di questi
ultimi.
Scopriamo quindi una famiglia che emigra e che si
trova divisa tra gli affetti del passato e quelli del presente, davanti ad una
doppia richiesta di sacrifici: da parte della famiglia di origine e di quella
di nuova formazione .
Quindi relativa
'soddisfazione', che rileviamo attraverso questa ricerca, rispetto al contesto
di vita italiano, nasce da un appagamento del bisogno affettivo che porta gli
immigrati di prima generazione a espletare le rimesse per la famiglia rimasta
in patria, e, nello stesso tempo, a migliorare le condizioni di vita dei loro
figli.
Il bilancio del loro dare
è pesantissimo, divisi 'tra' le generazioni considerano il loro
benessere in equilibrio tra la dimensione del 'dare' e del 'ricevere' sia in
modo concreto che affettivo.
In definitiva danno luogo ad
una famiglia che si appaga di uno standard di vita che, potrebbe essere appena
sufficiente per una famiglia medio-bassa italiana, ma che nel lungo periodo si
dimostra vincente nel creare le basi per l'insediamento futuro dei figli.
Siamo di fronte a delle
famiglie dove i valori tradizionali e religiosi sono ancora il bene primario,
compreso il rispetto e la cura degli anziani, vera cartina di tornasole per
verificare il passaggio da una cultura
preindustriale a una, come
l’Italia attuale, a forte propensione produttiva, dove l’anziano
diventa progressivamente un peso da gestire e perde il suo valore di depositario della cultura e delle
tradizioni familiari. “L’anziano da noi è un saggio, qui
è solo un anziano”: questa espressione racchiude in sé la forte
base etica e solidaristica che di fatto coinvolge non solo il nucleo familiare
in senso stretto, ma anche la parentela allargata e di frequente i vicini di
casa. Non di rado l’orgoglio con cui si parla delle proprie radici e dei
valori lasciati dietro le spalle, ma fortemente idealizzati, tende a compensare
il sentimento di non appartenenza e quindi di vuoto nei confronti di un mondo,
quello italiano, sentito come non proprio e non infrequentemente ostile nei
confronti di quei valori così fortemente sentiti. Di fatto quanto
più lungo è il periodo di permanenza in Italia, tanto maggiore
è il sentimento di essere oggetto di atteggiamenti intolleranti e
discriminatori da parte della comunità italiana, e qui non parliamo di
clandestini, ma di cittadini in regola con il permesso di soggiorno , che sono
produttivi e residenti in Italia con le proprie famiglie da un periodo medio di
7-10 anni.
Le interviste alle famiglie
straniere, spesso condotte a casa o all’interno delle comunità
straniere ci hanno permesso di raccogliere la voce di tanti stranieri, ma anche
di cogliere con gli occhi le immagini, gli oggetti, le foto più
significative che rappresentano il famigliare di chi ha affrontato un salto molto difficile, sradicandosi
dai suoi luoghi d’origine e riempiendo la propria vita attuale e
relazionale di ricordi, suggestioni e nostalgie della propria casa, di genitori
e parenti lontani con cui si hanno frequenti contatti telefonici e epistolari
per mitigare tagli emotivi e distanze affettive assai dolorose.
In particolare, e i dati della
ricerca ce lo confermano, ci è stato assai utile riferirci al concetto
della diade dominante, come descritto dalla Falicov (1997) all’interno
dell’organizzazione della famiglia. Mentre nei Paesi a forte sviluppo
industriale la diade marito-moglie è il nucleo fondamentale su cui si
articolano le relazioni familiari e la famiglia nucleare è
l’immagine più pregnante di forma di famiglia e l’individualismo
il modello di relazione prevalente, nelle culture più tradizionali o a
forte impronta religiosa, così come negli strati più poveri delle
società sviluppate, la diade dominante è quella genitore/figlio
all’interno
di una visione di famiglia estesa su più piani generazionali, in cui la
dimensione coniugale è sotto molti aspetti sovrapponibile o al servizio
di quella di coppia genitoriale. Questo tipo di organizzazione affettiva spiega perché più della metà dei nostri
intervistati sentono che l’esperienza della migrazione ha influenzato
positivamente la vita di coppia, con un aumento della coesione coniugale.
Pertanto perché avvenga
una reale integrazione è necessario conoscere e rispettare il codice
organizzativo delle culture piuttosto che imporre quello della cultura del
paese di accoglienza, perché considerato più avanzato. Allo
stesso tempo è necessario apprezzare quei mutamenti che derivano
dall’impatto con un mondo totalmente diverso, quel “muoversi da
una sedia all’altra” della famiglia immigrata ; è
cioè necessario cogliere i conflitti di lealtà e la confusione
che spesso deriva dal contrasto o dal passaggio da una diade dominante
all’altra, il che pone in luce la diversità, a volte dolorosa, tra
valori e comportamenti discordanti a livello di una generazione (la prima ad
arrivare) e quella successiva (quella della transizione).
E’ nel rapporto tra le generazioni, dunque,
che si deve guardare per comprendere l’intero assetto culturale della
famiglia; se la prima generazione di immigrati è impegnata da un lato a
mediare l’impatto con l’esterno ( cultura e Istituzioni Italiane),
dall’altro ad allevare e socializzare i propri figli in un mondo diverso
da quello originario, mentre la seconda, quella dei figli, orienta l’intero processo di integrazione
della famiglia nel contesto italiano. Come abbiamo visto dai risultati della
nostra ricerca, sono i figli che conducono i genitori a conoscere meglio
l’Italia, e non solo attraverso il miglior dominio della lingua, ma
attraverso tutte le acquisizioni scolastiche e relazionali che il bambino
immigrato riporta in casa, generando curiosità e nuove conoscenze, ma
insieme molte contraddizioni e sofferenza.
In questo senso la scuola con i
suoi attuali 140.000 alunni stranieri (con aumenti percentuali sempre
più significativi di anno in anno) rappresenta un veicolo interculturale
significativo che può facilitare un interscambio tra comunità
italiana e straniere, può
diventare una vera e
propria agenzia di integrazione transculturale, se saprà cogliere e
utilizzare l’immenso patrimonio culturale che filtra al suo interno,
senza amplificare i contrasti e attingendo alle inesauribili risorse insite nel
far conoscere e apprezzare le diversità culturali. Sono ancora i figli
che stabilizzano la generazione degli adulti (il sistema dei doveri si sposta
progressivamente dalle rimesse a casa ai bisogni di crescita e di mantenimento
dei figli) e che permettono di guardare al futuro, piuttosto che fantasticare
l’eterno ritorno indietro …come se il tempo si fosse fermato con la
loro partenza da casa.
In sintesi studiare a fondo e
specificare meglio il tessuto affettivo e sociale della famiglia immigrata,
può aiutare ad orientare in modo mirato le politiche sociali a sostegno
della famiglia dei “nuovi cittadini”.
Collocare il soggetto famiglia
nei processi di integrazione sociale e culturale, significa riservare maggiore
attenzione al nucleo familiare nel suo insieme e superare lo stereotipo
dell’immigrato come soggetto senza vincoli familiari che gestisce in modo
indipendente il suo processo migratorio.
Questo sarà possibile
nella misura in cui verrà favorita a livello di mass-media, delle
istituzioni e dei luoghi di ritrovo una maggiore conoscenza e curiosità
nei confronti delle componenti familiari e dello straniero portando così
a un rispetto e ad un’empatia maggiore nei loro confronti. Si
favorirà così anche il superamento del pregiudizio e delle forme
di discriminazione sociale nei confronti degli stranieri ancora abbondantemente
diffusi nella comunità italiana e nelle strutture istituzionali. Ciò richiede una maggiore sensibilizzazione
degli operatori sociali e la formazione e l’utilizzo dei mediatori
culturali.
Considerare quindi la famiglia
immigrata come risorsa, in grado di favorire processi positivi di integrazione,
nella consapevolezza che nella famiglia coesiste sia il ruolo di trasmissione
della tradizione sia quello dell’innovazione culturale che accompagna i
percorsi di integrazione dei singoli individui.Attraverso questa ricerca si
è profilato un panorama delle famiglie immigrate molto diversificato che
corrisponde alla presenza di culture assai diverse tra loro sul territorio
italiano, ma allo stesso tempo sono emersi alcuni elementi in comune che
corrispondono, in senso assai generale, a un forte sentimento di coesione
familiare, dove entrambi i coniugi
si sacrificano per la
famiglia in modo assai concreto: attraverso le rimesse familiari a casa, vera
forma di lealtà nei confronti di un mandato familiare che ha modulato
l’intero processo migratorio e, con l’arrivo e la crescita dei
figli, lavorando prevalentemente per il benessere di questi ultimi. La
qualità della vita è decisamente migliore per la stragrande
maggioranza degli intervistati, ma prevalentemente sul piano della sicurezza
economica e della crescita dei figli; molto meno sul piano degli affetti,
perché lontani (quelli della propria famiglia) e dell'integrazione nel
contesto italiano.
Scopriamo quindi una famiglia
che emigra e che si trova divisa tra gli affetti del passato e quelli del presente,
davanti ad una doppia richiesta di sacrifici: da parte della famiglia di
origine e di quella di nuova formazione .
La vita è improntata a un forte senso del dovere, che
porta a dare comunque e sempre tanto spazio al lavoro, con ancora maggior sforzo
in quanto spesso sottopagato o comunque inadeguato rispetto alle proprie
competenze. Il tempo libero è prevalentemente trascorso in casa con la
famiglia o con saltuarie attività esterne, insieme ad amici e
connazionali … perché poi sostanzialmente di tempo libero ce ne
è pochissimo.
Quindi la loro 'soddisfazione',
rispetto al contesto di vita italiano, nasce da un appagamento del bisogno
affettivo che porta gli immigrati di prima generazione a espletare le rimesse
per la famiglia rimasta in patria, e, nello stesso tempo, a migliorare le
condizioni di vita dei loro figli.
Il bilancio del loro dare
è pesantissimo, divisi 'tra' le generazioni considerano il loro
benessere un equilibrio tra la dimensione del 'dare' e del 'ricevere' sia in
modo concreto che affettivo.
In definitiva danno luogo ad
una famiglia che si appaga di uno standard di vita che potrebbe essere appena
sufficiente per una famiglia media italiana, ma che nel lungo periodo si
dimostra vincente nel creare le basi per l'insediamento futuro dei figli.
Siamo di fronte a delle
famiglie dove i valori tradizionali e religiosi sono ancora il bene primario,
compreso il rispetto e la cura degli anziani, vera cartina di tornasole per
verificare il passaggio da una cultura
preindustriale a una, come
l’Italia attuale, a forte propensione produttiva, dove l’anziano
diventa progressivamente un peso da gestire e perde il suo valore di depositario della cultura e delle
tradizioni familiari. “ L’anziano da noi
è un saggio, qui è solo un anziano”: questa
espressione racchiude in sé la forte base etica e solidaristica che di
fatto coinvolge non solo il nucleo familiare in senso stretto, ma anche la
parentela allargata e di frequente i vicini di casa. Non di rado
l’orgoglio con cui si parla delle proprie radici e dei valori lasciati
dietro le spalle, ma fortemente idealizzati, tende a compensare il sentimento
di non appartenenza e quindi di vuoto nei confronti di un mondo, quello
italiano, sentito come non proprio e non infrequentemente ostile nei confronti
di quei valori così fortemente sentiti. Di fatto quanto più lungo
è il periodo di permanenza in Italia, tanto maggiore è il
sentimento di essere oggetto di atteggiamenti intolleranti e discriminatori da
parte della comunità italiana, e qui non parliamo di clandestini, ma di
cittadini in regola con il permesso di soggiorno , che sono produttivi e
residenti in Italia con le proprie famiglie da un periodo medio di 7-10 anni.
Le interviste alle famiglie
straniere, spesso condotte a casa o all’interno delle comunità
straniere ci hanno permesso di raccogliere la voce di tanti stranieri, ma anche
di cogliere con gli occhi le immagini, gli oggetti, le foto più
significative che rappresentano il famigliare di chi ha affrontato un salto molto difficile, sradicandosi
dai suoi luoghi d’origine e riempiendo la propria vita attuale e
relazionale di ricordi, suggestioni e nostalgie della propria casa, di genitori
e parenti lontani con cui si hanno frequenti contatti telefonici e epistolari
per mitigare tagli emotivi e distanze affettive assai dolorose.
Abbiamo cercato di utilizzare
in questa ricerca un approccio multidimensionale prendendo in considerazione quella serie di visioni
condivise del mondo, di significati e comportamenti adattativi, derivanti dalla
diversità nelle forme preferite di organizzazione culturale della
famiglia e del sistema di valori che la sottendono.
In particolare, e i dati della
ricerca ce lo confermano, ci è stato assai utile riferirci al concetto
della diade dominante,
come descritto dalla Falicov (1997) all’interno dell’organizzazione
della famiglia. Mentre nei Paesi a forte sviluppo industriale la diade marito-moglie
è il nucleo fondamentale
su cui si articolano le relazioni familiari e la famiglia nucleare è
l’immagine più pregnante di forma di famiglia e
l’individualismo il modello di relazione prevalente, nelle culture
più tradizionali o a forte impronta religiosa, così come negli
strati più poveri delle società sviluppate, la diade dominante
è quella genitore/figlio all’interno
di una visione di famiglia estesa su più piani generazionali, in cui la
dimensione coniugale è sotto molti aspetti sovrapponibile o al servizio
di quella di coppia genitoriale. Questo tipo di organizzazione affettiva spiega perché più della metà dei nostri intervistati
sentono che l’esperienza della migrazione ha influenzato positivamente la
vita di coppia, con un aumento della coesione coniugale.
Pertanto perché avvenga
una reale integrazione è necessario conoscere e rispettare il codice
organizzativo delle culture piuttosto che imporre quello della cultura del
paese di accoglienza, perché considerato più avanzato. Allo
stesso tempo è necessario apprezzare quei mutamenti che derivano
dall’impatto con un mondo totalmente diverso, quel “muoversi da
una sedia all’altra” della
famiglia immigrata ; è cioè necessario cogliere i conflitti di
lealtà e la confusione che spesso deriva dal contrasto o dal passaggio
da una diade dominante all’altra, il che pone in luce la
diversità, a volte dolorosa, tra valori e comportamenti discordanti a
livello di una generazione (la prima ad arrivare) e quella successiva (quella
della transizione).
E’ nel rapporto tra le generazioni, dunque,
che si deve guardare per comprendere l’intero assetto culturale della
famiglia; se la prima generazione di immigrati è impegnata da un lato a
mediare l’impatto con l’esterno ( cultura e Istituzioni Italiane),
dall’altro ad allevare e socializzare i propri figli in un mondo diverso
da quello originario, mentre la seconda, quella dei figli, orienta l’intero processo di integrazione
della famiglia nel contesto italiano. Come abbiamo visto dai risultati della
nostra ricerca, sono i figli che conducono i genitori a conoscere meglio
l’Italia, e non solo attraverso il miglior dominio della lingua, ma attraverso
tutte le acquisizioni scolastiche e relazionali che il bambino immigrato
riporta in casa, generando curiosità e nuove conoscenze, ma insieme
molte contraddizioni e sofferenza.
In questo senso la scuola con i
suoi attuali 140.000 alunni stranieri (con aumenti percentuali sempre
più significativi di anno in anno) può diventare una
vera e propria agenzia di integrazione transculturale, se saprà
cogliere e utilizzare l’immenso patrimonio culturale che filtra al suo
interno, senza amplificare i contrasti e attingendo alle inesauribili risorse
insite nel far conoscere e apprezzare le diversità culturali. Sono
ancora i figli che stabilizzano la generazione degli adulti (il sistema dei
doveri si sposta progressivamente dalle rimesse a casa ai bisogni di crescita e
di mantenimento dei figli) e che permettono di guardare al futuro, piuttosto
che fantasticare l’eterno ritorno indietro …come se il tempo si
fosse fermato con la loro partenza da casa.
§“Al
contrario, penso di vivere stabilmente qui per il futuro di mia figlia, non
posso farle cambiare paese quando mi pare, lei è italiana al 100% anche
se io sono di nazionalità algerina loro si considerano italiani”
Avete qualcosa da aggiungere che
possa farci capire meglio la realtà delle famiglie immigrate?
Nel tirare le conclusioni tornano in mente le frasi, le idee, gli stimoli che sono venuti fuori da questa ricerca e la paura che non abbiano trovato tutte sufficiente spazio. La qualità della vita è stata inquadrata nei segmenti di un quotidiano che vede gli stranieri migranti muoversi nel ‘nostro’ contesto, ma per questa volta siamo entrati noi nel ‘loro’.
Raggiungerli è stata un impresa, un viaggio, disponibili solo ‘fuori orario’, scettici e scontrosi al telefono, interminabile fiume in piena nel raccontare la loro storia familiare, i ‘loro’ problemi, i loro progetti.
E’ per questo che abbiamo riservato questa sezione alle loro voci di cui però, ci dispiace, non potrete apprezzare l’accento: napoletano, modenese, milanese, palermitano...
(le leggi)
§“Allora l’emigrazione è una
realtà non trascurabile. Spesso capitano emigrati con un regolare lavoro
e con il permesso di soggiorno ma trovano difficoltà nel
ricongiungimento familiare. Si sposano e devono aspettare 3 anni per
avere...Questo è un fatto che bisogna rivedere” (Zaire)
§
“Credo che per quanto riguarda l’accoglienza
delle famiglie immigrate, in Italia manchi un agenzia che dica agli immigrati
che arrivano cosa devono fare, dove devono rivolgersi, io mi rendo conto; anche
se io sono venuto 23 anni fa, ma gli stessi problemi che ebbi io agli inizi ce
li hanno quelli che vengono adesso e diciamo riescono a risolverli in maniera
similare a come li abbiamo risolti noi, nel senso le indicazioni, gli uffici da
incontrare, a me li davano chi mi aveva preceduto, non c’è un
agenzia, un ufficio preposto che dica a lei è così, in base a
questa legge vada qua, si iscriva qui, faccia questo, addirittura per
prepararsi i documenti necessari…niente bisogna incontrare qualcuno che
è venuto qualche anno prima e che ti dica Ah si vai
là…manca l’organizzazione”(Senegal)
§
“Sì, il rinnovo del
permesso di soggiorno mi sembra una cosa assurda quelle file, quella
brutalità inutile, a cui si potrebbe mettere rimedio eliminando la
burocrazia che non si trova in altri paesi europei” (Iran)
§
“Vorrei aggiungere che oggi
stesso sono andato all’ufficio di collocamento per far registrare uno che
è straniero con diploma di scuola superiore e mi hanno detto che non
possono scrivere il lavoro che lui sa fare perché la legge non lo
permette. Allora se è così io non so come facciamo ad integrarci
in Italia e a far si che l’economia cresce.. “(Albania)
[10]
§
”.. noi ormai siamo in Italia e
non sappiamo quando torneremo e se dobbiamo morire qua vogliamo avere la
possibilità come gli italiani , inserire, fare tutto come gli italiani
perché stiamo vivendo qua .. lavorando come un italiano fai tutto come
un italiano paghi i contributi uguale e tu non puoi avere le possibilità
che vuoi. (…) un immigrato che vive in Italia .. dopo 10 anni deve essere
inserito, deve avere tutti i diritti come gli italiani .. per esempio io ho la
macchina, volevo fare la rottamazione , ma non posso farla perché non
sono italiano, io da 11 anni sto lavorando, pagando tutto e facendo tutto e ci
sono tante cose che non possiamo… perché?”(Marocco)
[11]
(per noi)
§
“Non fare l’assistenza in
termini di aiuto perché questo non va bene, perché crea
l’azione negativa degli italiani. Bisogna invece dare le buone condizioni
che permettano un immigrato di
farsi una situazione decente però che se la faccia lui.., non dando
aiuti perché si viene a creare un’ingiustizia che non verrà
mai dall’italiano e qui viene fuori tutta la rabbia. (..) oltre la
manodopera l’immigrato può portare di qua qualcosa di più
che non sia solo questo. L’Italia non lo permette, ti blocca con la sua
troppa burocrazia.”(Etiopia)
§
“C’è bisogno di
avere un rapporto buono con gli italiani specialmente quando arriviamo qui in
Italia, non abbiamo i genitori i fratelli, le sorelle, abbiamo bisogno di avere
un comportamento buono dalla cittadinanza italiana, avere un posto dove dormire
per quelli che sono appena arrivati in Italia”(Albania)
§
“Le persone che vengono qua dai
vari paesi andrebbero responsabilizzate sui rischi che vengono a correre qui in
Italia, non c’è nessuna prospettiva; si viene e non si può
avere la carta di soggiorno, l’Italia non dà asilo politico,
quindi se vuoi venire come clandestino è un rischio perché se non
hai un lavoro, ti manca la casa, ti manca la salute, ci sono tanti problemi che
non me la sentirei di consigliare ai miei paesani ‘ok, tentate di
entrare”(Macedonia)
§
“Servirebbero dei mediatori
all’interno dei consultori, che spieghino com’è la vita
matrimoniale, perché tanti filippini si separano, oppure sono
impreparati sugli aspetti ginecologici della gravidanza, hanno delle credenze
antiche, e non hanno fiducia nell’assistenza medica italiana. Un altro
problema è quello dei filippini che fanno i figli e poi li mandano
giù a crescere, diventano viziati o drogati molti, altri non riconoscono
i genitori e questo provoca sofferenza, ma continuano a farlo in
molti”(Filippine)
§
“Sì, bisogna fare una
differenza tra chi viene qui per lavorare e poi vuole tornare e chi invece
viene qui per inserirsi, perché questo ha importanza sia nell’accoglienza
tra la gente, che nelle discriminazioni sul posto di lavoro, o nel cercare le
case. Oppure tra chi emigra individualmente e chi emigra con la famiglia, che
non può tornare a trovare la famiglia al paese ogni anno per evidenti motivi
di ferie o di denaro”(Serbia)
§
“La famiglia immigrata ha tanti
problemi. Ci vuole una sensibilizzazione degli italiani per far capire che
l’immigrazione è una realtà e che non si può
cacciare tutti da un giorno all’altro come c’è un cambiamento
politico. Capire che dobbiamo convivere, come da noi, ci sono anche italiani da
noi, americani, tutti, ognuno cerca di fare il suo lavoro e di stare bene dove
sta, dunque deve cambiare un po’ la mentalità e non pensare sempre
disoccupazione e malattie, anzi portiamo ricchezza, senza immigrati non so che
fine faranno gli italiani, tutte queste fabbriche che stanno per chiudere!
Quindi secondo me questa intervista è molto interessante, sperando che
un giorno servirà a realizzare qualcosa e non che finisca nell’immondizia!”(Mauritius)
§
“l’immigrato deve sentirsi
una persona…”(Mali)
(per loro)
§
“A me ha fatto piacere
perché lo so che qualcun altro leggerà questa intervista, la
nostra esperienza. Volevo anche dire agli altri immigrati; dipende anche da noi
stessi come possiamo vivere meglio, non dipende solo dagli italiani, sì,
c’è l’influenza politica, c’è anche il problema
di come incontrarsi con i datori di lavoro se non ti mettono in regola,
però tutto viene col tempo, tutto viene, c’è solo bisogno
di pazienza, come l’abbiamo avuta noi, che prima non avevamo niente,
neanche il permesso di soggiorno, l’aiuto sociale, niente; ma noi ce
l’abbiamo fatta con la pazienza e con lo stare insieme, essendo uniti
come famiglia, avendo un valore ognuno per la famiglia, bé ci siamo
riusciti, non è tanto, ma diciamo abbastanza bene.”(Albania)
§
“Speriamo che serva a qualcosa,
non per noi ma per chi entra”(Albania)
§
“Come emigrante posso dire che
il modo di vivere di un emigrante lo può sapere solo chi è
emigrante"(Rwanda)
§
“Sì questa intervista potrebbe
servire per quelli che stanno peggio di noi, perché noi adesso stiamo
bene”(Filippine)
(ascoltiamoli)
§
Sì, veramente è la prima
volta in 10 anni che sono in Italia che qualcuno mi chiede come mi
trovo!”(Uruguay)
§
“E’ stata una sorpresa
questa intervista. Io penso che non tutti gli italiani ci vogliono e figurati
per ascoltare nostra esperienza”(Filippine)
(per tutti)
§
“Mi ha fatto piacere farla,
tutta la famiglia è contenta, vogliamo ringraziare e speriamo che ci
porti fortuna”(Sri lanka)
Nota bibliografica
La nota bibliografica seguente comprende testi che nel corso della stesura del report sono stati direttamente citati, ma anche altri che, indirettamente, hanno rappresentato un valido contributo alla ricerca.
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Contenuti e
metodologia
§
Obiettivi §
Lo strumento §
I soggetti della ricerca |
Obiettivi
Obiettivo di questa ricerca è stato quello
di indagare le modalità in cui gli immigrati vivono la propria
dimensione familiare e come la adattano e la integrano con quella italiana in un contesto assai diverso da quello
in cui sono cresciuti, che non conosce o riconosce i valori culturali,
religiosi e familiari loro propri. Abbiamo scelto di intervistare coppie di
stranieri che abbiano almeno un figlio in età scolare considerando il
limite di età quello dell’accesso alla scuola materna (almeno 3
anni), in quanto ci interessa comprendere
come avviene e se avviene il processo di progressiva integrazione dei
figli, nati in Italia o comunque presenti come alunni nel sistema scolastico
italiano; come pure ci siamo riproposti di capire l’eventuale emergenza
di conflitti tra famiglia e scuola o
all’interno della famiglia stessa di fronte ad un eventuale scontro
‘culturale intrafamiliare’ tra le due generazioni.
In
sostanza si sono volute verificare quali condizioni influenzano la
qualità della vita della famiglia immigrata in Italia, prendendo in
considerazione gli aspetti strutturali, economici, abitativi e soprattutto
relazionali; l’interesse di ricerca è stato quello di indagare se
la famiglia immigrata trova in Italia la possibilità di uno standard di
vita adeguato e soddisfacente.
Si
è cercato anche di far emergere le difficoltà incontrate e le
eventuali aree sentite come maggiormente carenti per una qualità di vita
che possa essere considerata soddisfacente.
A tal
fine sono stati presi in considerazioni aspetti della vita di relazione
all’interno delle famiglie immigrate e di relazione nel contesto sociale.
Al fine di
raggiungere gli obiettivi della ricerca è stato scelto come strumento
una intervista semi-strutturata costruita ad hoc. La costruzione di questo
strumento è avvenuta per fasi.
Una
prima stesura dell’intervista è avvenuta in base alla letteratura
e ai più recenti contributi di ricerca sul tema. Una volta definita una
sua prima versione, si è proceduto all’addestramento degli
intervistatori per metà stranieri e per metà italiani. Questo è
consistito in una familiarizzazione in gruppo delle domande
dell’intervista e del senso di ogni singolo item. Inoltre si è
favorito negli intervistatori un apprendimento delle modalità di porre
le domande dell’intervista.
A questa fase di
addestramento è seguita la somministrazione da parte degli
intervistatori della prima versione dello strumento. Le interviste sono state
effettuate face to face, audioregistrate e integralmente trascritte.
Queste interviste di prova hanno consentito di
individuare eventuali domande superflue, poco chiare, inesatte o mancanti. Ha
inoltre permesso agli intervistatori di provare “sul campo” la
somministrazione dello strumento.
Infatti,
il momento successivo si è caratterizzato nei termini di un altro
incontro tra tutti gli intervistatori e lo staff di ricerca che ha avuto due
obiettivi principali: il primo è stato quello di dare ad ogni
intervistatore un feedback individuale sulle loro modalità di
somministrazione dello strumento (avendo il gruppo di ricerca precedentemente
ascoltato e letto le trascrizioni delle interviste di prova) al fine di
migliorare le loro competenze; il secondo è stato quello di ricevere
dagli intervistatori indicazioni per migliorare ulteriormente lo strumento.
Così definita
l’intervista nella sua versione finale, è stata somministrata alle
famiglie immigrate. A questo proposito va detto che la somministrazione delle
interviste è avvenuta alla presenza di entrambi i coniugi e sottoponendo
ogni item dell’intervista ad entrambi. Le interviste sono state
somministrate per lo più nelle case delle famiglie intervistate che
hanno accolto gli intervistatori spesso in ore serali o durante i fine
settimana per difficoltà legate alla mancanza di tempo libero dal lavoro
e dalla difficoltà ad incontrare entrambi i coniugi nello stesso momento.
In alternativa le famiglie hanno dato la disponibilità a recarsi presso
Centri, Associazioni e sedi Anolf presenti sul territorio , oppure presso le
sedi delle loro comunità di appartenenza.
La tecnica di
ricerca usata è stata l’analisi del contenuto, applicata al testo
delle interviste audioregistrate nella somministrazione, precedentemente
trascritto in maniera integrale. L’analisi del contenuto, in generale,
consiste nella classificazione in categorie prestabilite degli elementi della
“comunicazione” da analizzare (in questo caso, il testo trascritto
delle interviste); per tanto è stata predisposta una griglia di lettura
del testo.
Si è scelta
come unità di contesto, (intesa come quella parte del testo in
riferimento alla quale é possibile attribuire un significato alle
unità di analisi,) l’intero testo dell’intervista; mentre
come unità d’analisi, (ovvero lo specifico segmento di contenuto
oggetto di analisi,) la frase così come essa compare nel testo della
intervista, prendendola in considerazione in riferimento al significato
prevalente che essa esprime.
Individuate le
singole unità di analisi, si è proceduto alla costruzione delle
categorie di analisi, costruendo così il sistema di codifica.
Una volta approntato
un primo sistema di categorie esso è stato applicato ad un campione di
sentenze con l’obiettivo di
- individuare
eventuali categorie mancanti o superflue
- individuare errori
o inesattezze nella definizione concettuale ed operativa delle categorie
- trarre indicazioni
per l’eventuale estensione o riduzione, aggregazione o disaggregazione
delle categorie.
Così definito
il sistema di codifica, esso è stato applicato al testo delle interviste
e quindi si è proceduto
alla rilevazione dei dati.
I
soggetti della ricerca
I
soggetti della nostra ricerca non sono stati individui singoli, ma famiglie. Va
detto che non è mai stato fatto un censimento in Italia su quante
famiglie sono presenti sul territorio e da quali Paesi sono arrivate. Le
presenze degli stranieri a livello individuale non sono sufficienti ,
poiché la presenza di un numero considerevole di uomini e di donne che
provengono da uno stesso Paese non è indicativo a definirne il progetto
migratorio che può comunque essere individuale e non familiare. Anche il
numero di ricongiungimenti familiari sono insufficienti di per se ad
individuare la presenza familiare se si pensa a quante famiglie giungono
insieme. Inoltre il dato riguardante lo stato civile degli stranieri presenti
in Italia non indica la presenza in Italia del coniuge o la nazionalità
di quest’ultimo. Inoltre le
comunità straniere presenti sul territorio nazionale non è detto
che siano rappresentative delle rispettive culture d’appartenenza. Da
ultimo va considerato che è difficile conoscere il numero degli
stranieri non regolari sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo.
Si
è comunque proceduto a contattare personalmente alcuni membri di diverse etnie attraverso le
comunità presenti sul territorio nazionale presentando gli obiettivi
della ricerca e chiedendo la loro collaborazione nel reperimento delle
famiglie; come pure si sono contattati Servizi pubblici e Associazioni che si
occupano di offrire servizi agli immigrati. Le famiglie da intervistare hanno
risposto ad alcuni criteri: innanzitutto abbiamo scelto coppie coniugate
preferibilmente da almeno tre anni in Italia, o con almeno un coniuge arrivato
nel nostro Paese da almeno tre anni, che avessero almeno un figlio la cui
età minima doveva essere di tre anni (questo limite di età
consente di ipotizzare che si tratta di famiglie i cui figli potrebbero essere
inseriti nel sistema scolastico in quanto i tre anni rappresentano l’età di accesso alla scuola
materna), entrambi i coniugi non dovevano avere nazionalità italiana
(sono state quindi escluse le coppie miste, ovvero con un coniuge di
nazionalità italiana).
Sulla
base di questi criteri sono state contattate le famiglie così come
descritto.
I soggetti che hanno costituito il
campione sono 460 , ovvero 230 mogli e 230 mariti di 230 famiglie immigrate.
Al
momento dell’intervista hanno un’età media di 37.2 anni;
inoltre avevano in media 27.2 anni quando sono emigrati la prima volta dal loro
Paese d’origine e 27.9 quando sono arrivati in Italia per la prima volta
per il passaggio di alcuni di loro in altri Paesi prima di stabilizzarsi in
Italia.
Inoltre
a questo proposito va considerata la differenza tra marito e moglie. Infatti,
al momento dell’intervista i mariti hanno in media 39.2 anni e le moglie
35. Al momento della prima emigrazione i mariti hanno in media 27.9 anni e le
moglie 26.5; al primo arrivo in Italia i mariti hanno in media 28.9 anni e le
mogli 26.9.
Provengono
da paesi orientali (28.7%), da quelli dell’Africa Subsahariana (22.4%),
dall’Europa dell’Est (19.1%), dal Centro e Sud America (13.5%), dal
Nord Africa (12,2%) e dal Medio Oriente (4.1%).
Zona geografica di
provenienza |
% |
|
|
Oriente |
28,7 |
|
Africa
subsahariana e centrale |
22,4 |
|
Europa dell'est |
19,1 |
|
Centro e sud
America |
13,5 |
|
Nord Africa |
12,2 |
|
Medio oriente |
4,1 |
Totale |
100 |
In particolare provengono da 45 paesi diversi, in
prevalenza si tratta di famiglie i cui membri arrivano dalla Cina ( 12,6%)
dall’Albania (10,0%) dalle Filippine (7,4%) dal Marocco (7,2%) e dallo
Sri Lanka (6,5%), poiché tenendo in considerazione le presenze per sesso,
i ricongiungimenti familiari (nonostante i limiti precedentemente descritti),
si possono considerare le aree geografiche dalle quali provengono il maggior
numero di “famiglie immigrate” presenti in Italia,. (Dossier
Caritas 2000)
Paese d'origine |
% |
|
|
Cina |
12,6 |
|
Albania |
10,0 |
|
Filippine |
7,4 |
|
Marocco |
7,2 |
|
Sri Lanka |
6,5 |
|
Perù |
5,7 |
|
Ex-Yugoslavia |
4,3 |
|
Eritrea |
3,3 |
|
Tunisia |
3,0 |
|
Nigeria |
3,0 |
|
Senegal |
2,6 |
|
Mali |
2,4 |
|
Costa d'Avorio |
2,0 |
|
Mauritius |
2,0 |
|
Argentina |
1,7 |
|
Iran |
1,7 |
|
Polonia |
1,7 |
|
Romania |
1,7 |
|
Ghana |
1,7 |
|
S. Domingo |
1,3 |
|
Ecuador |
1,3 |
|
Etiopia |
1,3 |
|
Congo |
1,3 |
|
Camerun |
1,3 |
|
Pakistan |
1,1 |
|
Egitto |
1,1 |
|
Burkina Faso |
0,9 |
|
India |
0,9 |
|
San Salvador |
0,9 |
|
Algeria |
0,9 |
|
Macedonia |
0,9 |
|
Cile |
0,9 |
|
Cuba |
0,9 |
|
Guinea |
0,4 |
|
Guinea Bissau |
0,4 |
|
Uruguay |
0,4 |
|
Rwanda |
0,4 |
|
Colombia |
0,4 |
|
Kurdistan |
0,4 |
|
Bulgaria |
0,4 |
|
Zambia |
0,4 |
|
Turchia |
0,4 |
|
Seychelles |
0,2 |
|
Giordania |
0,2 |
|
Kuwait |
0,2 |
|
Totale |
100 |
Inoltre nella stragrande maggioranza (94.3%) sono
regolari con permesso di soggiorno; in media hanno il permesso di soggiorno da
7.8 anni; e in particolare i mariti in media da 8.5 anni e le mogli da 7 anni.
Possesso del
permesso di soggiorno ripartito per zona geografica di provenienza |
||||
|
|
|
Si |
No |
|
Centro e sud
America |
|
90,3 |
9,7 |
|
Oriente |
|
99,2 |
0,8 |
|
Nord Africa |
|
100,0 |
0 |
|
Medio oriente |
|
100,0 |
0 |
|
Africa subsahar. e
centrale |
|
96,1 |
3,9 |
|
Europa dell'est |
|
83,0 |
17,0 |
Totale |
|
94,3 |
5,7 |
Si
tratta di famiglie straniere che in media sono emigrate la prima volta da 9,3
anni; in particolare i mariti in media sono emigrati la prima volta da 10,8
anni e le mogli invece da 8,6 anni.
Se
analizziamo gli anni di permanenza in Italia rispetto al sesso appare in
maniera evidente che gli uomini, arrivati da 11 a 15 anni fa ed oltre, sono
quasi il doppio delle donne arrivate nello stesso periodo e che queste ultime
aumentano in percentuale negli anni più recenti. Questo ci ricollega ai
ricongiungimenti familiari e ci induce a pensare che le donne arrivano
più tardi, ma in modo regolare attraverso il ricongiungimento familiare,
mentre gli uomini, sebbene arrivino per primi con molta probabilità
hanno vissuto un periodo di irregolarità .
Anni di permanenza
in Italia secondo il sesso |
|||
|
|
Sesso |
|
|
|
Marito |
Moglie |
|
Fino a 3 anni |
47,1 |
52,9 |
|
Da 3 a 5 anni |
38,5 |
61,5 |
|
Da 6 a 10 anni |
48,0 |
52,0 |
|
Da 11 a 15 anni |
62,6 |
37,4 |
|
Oltre 15 anni |
64,0 |
36,0 |
La
maggior parte delle famiglie intervistate è di religione cristiana
cattolica nel 38.5% e musulmana nel 31.9%.
Religione
professata secondo l’area geografica di provenienza |
||||||||
|
|
cristiana cattolica |
musulmana |
buddista |
cristiana
ortodossa |
sick |
cristiana
protestante |
altro |
|
Centro e sud
America |
90,3 |
0 |
0 |
0 |
0 |
0 |
9,7 |
|
Oriente |
40,5 |
1,6 |
25,4 |
0 |
3,2 |
27,8 |
1,6 |
|
Nord Africa |
3,7 |
88,9 |
0 |
3,7 |
0 |
0 |
3,7 |
|
Medio oriente |
0 |
100,0 |
0 |
0 |
0 |
0 |
0 |
|
Africa
subsahariana e centrale |
42,2 |
41,3 |
0 |
9,2 |
0 |
1,8 |
5,5 |
|
Europa dell'est |
23,8 |
36,9 |
0 |
36,9 |
0 |
0 |
2,4 |
Totale |
38,5 |
31,9 |
7,0 |
9,5 |
0,9 |
8,1 |
4,0 |
Si sono intervistate famiglie straniere residenti
in 15 regioni italiane:
Regione di
residenza |
% |
|
|
Lazio |
23,9 |
|
Lombardia |
17,8 |
|
Toscana |
13,5 |
|
Campania |
11,3 |
|
Veneto |
8,3 |
|
Emilia Romagna |
7,0 |
|
Sicilia |
3,5 |
|
Piemonte |
3,0 |
|
Puglia |
3,0 |
|
Sardegna |
2,6 |
|
Friuli |
1,7 |
|
Marche |
1,7 |
|
Abruzzo |
1,3 |
|
Calabria |
0,9 |
|
Umbria |
0,4 |
Totale |
100,0 |
In particolare le famiglie straniere sono state
intervistate in 34 città italiane, secondo la seguente distribuzione:
Attuale
città italiana di residenza |
% |
|||
|
Roma |
19,3 |
||
|
Milano |
11,8 |
||
|
Prato |
11,4 |
||
|
Napoli |
10,1 |
||
|
Lecco |
5,3 |
||
|
Verona |
5,3 |
||
|
Ravenna |
3,5 |
||
|
Latina |
3,5 |
||
|
Torino |
3,1 |
||
|
Venezia |
2,6 |
||
|
Brindisi |
2,2 |
||
|
Sassari |
2,2 |
||
|
Modena |
2,2 |
||
|
Firenze |
1,8 |
||
|
Catania |
1,8 |
||
|
Palermo |
1,8 |
||
|
Trieste |
1,8 |
||
|
Ascoli Piceno |
1,3 |
||
|
L'aquila |
1,3 |
||
|
Caserta |
1,3 |
||
|
Rieti |
0,9 |
||
|
Parma |
0,9 |
||
|
Cosenza |
0,9 |
||
|
Bergamo |
0,4 |
||
|
Cagliari |
0,4 |
||
|
Lecce |
0,4 |
||
|
Massa Carrara |
0,4 |
||
|
Pisa |
0,4 |
||
|
Perugia |
0,4 |
||
|
Reggio Emilia |
0,4 |
||
|
Brescia |
0,4 |
||
|
Padova |
0,4 |
||
|
Totale |
100 |
||
Le
famiglie intervistate sono sostanzialmente venute direttamente in Italia
(80,4%): nella attuale
città di residenza nel 47,3% dei casi e nel 33.1% in una città
italiana diversa da quella attuale, e nel 19.9% dei casi sono emigrate in un
altro Paese prima di venire in Italia.
Emigrato la prima
volta in: |
% |
||
|
Italia, nella
stessa città di attuale residenza |
47,3 |
|
|
Italia, ma in una
città diversa da quella attuale |
33,1 |
|
|
Altro paese |
19,6 |
|
|
Totale |
100 |
|
Le famiglie
intervistate risiedono nelle rispettive città da 7,5 anni; in
particolare i mariti in media da 7,9 anni e le mogli da 7 anni.
Sono
emigrati in Italia da soli (47,8%)
oppure con i familiari (43,0%):
Con chi è
emigrato |
% |
|||
|
Da solo |
47,8 |
||
|
Con familiari |
43,0 |
||
|
Con amici |
8,5 |
||
|
Altro |
0,7 |
||
|
Totale |
100 |
||
Fra
quanti sono emigrati da soli, è rilevante la quota dei mariti (64,1%)
mentre le mogli, fra quelli che hanno dichiarato di essere emigrati con i
familiari, rappresentano il 63,8%. Dal raffronto con i dati riguardanti gli
anni di permanenza in Italia, è possibile affermare che questa
disparità è frutto dei ricongiungimenti familiari.
Con chi è
emigrato secondo il sesso |
||||
|
|
|
Marito |
Moglie |
|
Da solo |
|
64,1 |
35,9 |
|
Con familiari |
|
36,2 |
63,8 |
|
Con amici |
|
59,5 |
40,5 |
|
Altro |
|
33,3 |
66,7 |
Il 52,4% degli intervistati ha la
patente di guida, oltre i tre quarti di questi (77,6%) sono uomini.
Possesso della
patente di guida |
% |
|
|
Si |
52,4 |
|
No |
47,6 |
|
Totale |
100 |
Possesso della
patente di guida secondo il sesso |
|||
|
|
Si |
No |
|
Marito |
77,6 |
22,0 |
|
Moglie |
25,6 |
74,4 |
Possiedono
mezzi di locomozione nel 56.6% dei casi e si tratta soprattutto
dell’automobile o del motorino. In particolare, fra quanti non hanno
mezzi di locomozione le donne rappresentano il 67,2%.
Possiede mezzi di
locomozione |
% |
||
|
No |
43,6 |
|
|
Si, l'automobile |
36,5 |
|
|
Si, la bicicletta |
7,2 |
|
|
Si, il motorino |
6,7 |
|
|
Si, la bicicletta
e l'automobile |
2,2 |
|
|
Si, la macchina e
il motorino |
2,2 |
|
|
Si, il motorino,
l'automobile e la bicicletta |
1,1 |
|
|
Si, il motorino e
la bicicletta |
0,4 |
|
|
Totale |
100 |
|
Possiede mezzi di
locomozione |
sesso |
||
|
marito |
moglie |
|
|
No |
32,8 |
67,2 |
|
Si, la bicicletta |
31,3 |
68,8 |
|
Si, il motorino |
70,0 |
30,0 |
|
Si, l'automobile |
68,7 |
31,3 |
|
Si, la bicicletta
e l'automobile |
70,0 |
30,0 |
|
Si, il motorino,
l'automobile e la bicicletta |
80,0 |
20,0 |
|
Si, la macchina e
il motorino |
80,0 |
20,0 |
|
Si, il motorino e
la bicicletta |
100,0 |
0 |
Le coppie
intervistate si sono sposate nella stragrande maggioranza dei casi (84,0%) nel
proprio Paese d’origine. Solo in un caso hanno fatto il rito civile in
Italia e quello religioso nel Paese d’origine
Dove si è
sposato |
% |
|
|
Nel proprio paese |
84,0 |
|
In Italia |
11,7 |
|
In un altro paese |
3,8 |
|
Doppio matrimonio |
0,5 |
|
Totale |
100 |
Sono sposati in media da 11,7 anni e hanno
celebrato il matrimonio prima di venire in Italia (64,4%). Su
quest’ultimo punto è interessante considerare la differenza tra
moglie e marito. Infatti, sono soprattutto gli uomini (40,6%) a sposarsi dopo
essere venuti in Italia, il che fa pensare che una volta emigrati in Italia
ritornano al loro paese per sposarsi.
Quando si è
sposato |
% |
|
|
Prima di venire in
Italia |
64,4 |
|
Dopo essere venuto
in Italia |
35,6 |
|
Totale |
100 |
Quando si è
sposato secondo il sesso |
|||
|
|
Prima di venire in Italia |
Dopo essere venuto in Italia |
|
Marito |
59,4 |
40,6 |
|
Moglie |
69,3 |
30,7 |
Le famiglie intervistate sono composte in media da
2 figli e questi sono nati prevalentemente in Italia (44,3 %),nel Paese
d’origine (34,3%) , nel 20,7% parte dei figli sono nati nel Paese di
provenienza e parte in Italia. Solo in 8 casi le mogli sono tornate a partorire
nel Paese d’origine dopo essere già immigrate in Italia., si
tratta di 2 famiglie peruviane,2 famiglie marocchine, 1 del Camerun, 1 cinese,
1 kosovara e 1 albanese.
Dove sono nati i
figli |
% |
|
|
In Italia |
44,3 |
|
Nel paese d'origine |
34,3 |
|
In Italia e nel
proprio paese |
20,7 |
|
In un altro paese |
0,7 |
|
Totale |
100,0 |
Al
momento della somministrazione dell’intervista le famiglie immigrate
vivono da sole (72.0%); quando vi sono altre persone conviventi si tratta di
familiari (17,7%).
Altre persone
conviventi |
% |
|
|
No |
72,0 |
|
Si, familiari |
17,7 |
|
Si,
amici/conoscenti |
6,5 |
|
Si, i propri
operai/colleghi di lavoro |
3,7 |
|
Totale |
100 |
Altre persone
conviventi secondo la zona geografica di provenienza |
||||||
|
zona geografica di provenienza |
|||||
|
Centro e sud America |
Oriente |
Nord Africa |
Medio oriente |
Africa subsahar. e centrale |
Europa dell'est |
No |
10,4 |
21,7 |
14,2 |
5,2 |
25,9 |
22,7 |
Si,
amici/conoscenti |
21,4 |
35,7 |
14,3 |
7,1 |
|
21,4 |
Si, familiari |
23,7 |
46,1 |
5,3 |
1,3 |
13,2 |
10,5 |
Si, i propri
operai/colleghi di lavoro |
0 |
100 |
0 |
0 |
0 |
0 |
La presenza di altri conviventi oltre i membri
stessi della famiglia si distribuisce diversamente a seconda anche del paese di
provenienza. Infatti nel caso dell’Oriente le famiglie cinesi sono le
uniche che dichiarano di dividere l’abitazione, che spesso è
rappresentata da capannoni dove lavorano, con operai e colleghi di lavoro.
[1] Tutte le citazioni presenti nel testo sono state riportate integralmente lasciando volutamente l’italiano, non sempre corretto, parlato dagli immigrati .
[2] Bisogna tenere conto di 2 fattori nella
lettura di questo dato: la stima il
rilevamento approssimativao fattao dalle coppie
; la tendenza che potrebbe esserci la tendenza a
dichiarare mq abitativi superiori a quanto realmente corrispondenti
, poiché nella maggioranza dei casi si tratta
di coppie che hanno chiesto il ricongiungimento familiare e per il rinnovo di
quest’ultimo è necessario rispettare dei
parametri rispetto allo spazio abitativo.
[3] I dati del centro studi NOMISMA confermano per il 2000 un aumento degli affitti rispetto al 1999, nella misura tra il 10% e il 20% . Per le fasce deboli della popolazione il problema della casa in Italia è divenuto ancora più drammatico dopo la liberalizzazione degli affitti favorita dalla legge 431/98, i canoni lievitano senza che venga fuori il “sommerso” secondo il SUNIA nel 1999 i contratti registrati sarebbero diminuiti del 5% rispetto all’anno precedente.
[4] Cfr. M. Merelli; M.G.Ruggerini (2000) ; Ares (2000)
[5] Si tratta di 820 strutture di cui 620 ubicate al Nord, che sono in grado di offrire 17.200 posti letto di fronte ad una domanda urgente di almeno 100.000 posti letto. Il Lazio , dove affluiscono annualmente circa 16.000 nuovi immigrati, dispone soltanto di 36 centri, con circa 900 posti letto complessivi. (Ares 2000)
[6] Dato che confermato anche nella ricerca di M. Merelli; M.G.Ruggerini (2000)
[7] Vedi circolare D.G.M. 063 - Ministero dei Trasporti
[8] Ci sembra utile ricordare che il nostro campione è costituito da famiglie con figli e quindi rappresentativo di questo tipo di realtà .
[9] Legge del 6 marzo 1998 n°. 40, il decreto legislativo 25 luglio 1998, n°. 286; il decreto del presidente della Repubblica del 5 agosto 1998; il decreto legislativo 13 aprile 1999, n°.113; il decreto del presidente della Repubblica del 31 agosto 1999, n°. 394.
[10] Il problema dell’equipollenza dei titoli di studio è molto sentito. (vedi Art. 48 del Regolamento d’attuazione Testo Unico L. 286)
[11] Nonostante la legislazione italiana preveda che dopo 10 anni si possa chiedere la cittadinanza (L. n°.91 del 5 febbraio 1992), la scarsa conoscenza delle leggi e i lunghi tempi di attesa rendono molto lento il processo di acquisizione della cittadinanza.