Cari amici,
dovrebbe essere imminente (e mi giungono segnali in tal senso) la definizione, da parte della Commissione europea, della proposta di direttiva sui criteri di ammissione per gli immigrati in Europa. Ho cercato piu’ volte di sottolineare come si tratti dell’appuntamento principale del processo di armonizzazione europea delle politiche di immigrazione e di asilo, e di quello piu’ rischioso. I motivi sono almeno tre:
a)
i
paesi dell’Unione europea tendono a proteggere, almeno a livello di
dichiarazioni ufficiali, una buona tradizione in materia di asilo, e sullo
specifico argomento e’ in atto da anni, da parte delle istituzioni
internazionali (l’ACNUR, in primo luogo) e delle ONG, una efficace azione
di pressione sui governi e sulle istituzioni europee;
b)
la
cultura relativa all’immigrazione e’ incommensurabilmente
piu’ povera: caratterizzata, sia a livello istituzionale sia a livello
della lobby di ONG (dominata dalle componenti dell’Europa
centro-settentrionale), da uno slogan privo di sostanza (“lotta contro
l’immigrazione clandestina, integrazione per l’immigrazione
legale”), che nulla dice sulla questione principale (come rendere
percorribili canali legali di immigrazione);
c)
una
direttiva sui criteri di ammissione per l’immigrazione in Europa vincolerebbe
la normativa a livello nazionale e, se impostata secondo linee restrittive o
non realistiche, ucciderebbe sul nascere quel minimo di sperimentazione che si
e’ costruito in Italia in questi anni (l’ingresso per
sponsorizzazione, la possibilita’ di conversione dei permessi di breve
durata in permessi per lavoro autonomo); a maggior ragione, ucciderebbe, prima
della nascita, quelle forme di ingresso previste dalla legge italiana e non
ancora attuate (ingresso per ricerca di lavoro auto-sponsorizzata, ex art. 23,
co.4), come pure quelle che meriterebbero di essere introdotte nella normativa
(si pensi alla conversione del permesso di soggiorno di breve durata in
permesso per lavoro subordinato).
Non so se i contenuti della proposta di direttiva siano
gia’ noti, ne’ se stia gia’ circolando un documento
preparatorio a riguardo. Chiunque sia in possesso di informazioni in materia
e’ scongiurato di metterle in circolazione (a meno che non sia per lui un
punto d’orgoglio il fare da tappo a qualunque tentativo di partecipazione
democratica ai processi decisionali nell’Unione europea).
In mancanza di informazioni, adotto un atteggiamento
sanamente pessimista, e ripropongo alla vostra attenzione le considerazioni che
svolgevo, in un messaggio di tre anni fa, riguardo alla “Proposta
relativa ad una convenzione sui criteri di ammissione”, avanzata nel
‘97 (durante la presidenza austriaca dell’Unione, se ricordo bene).
I contenuti di quella proposta erano ispirati ad una visione molto meno intelligente
di quella che ha caratterizzato finora le proposte di Vitorino e del suo staff
(inclusa la recente Comunicazione sulle politiche di immigrazione); ma non
posso escludere che siano ancora guardati con favore, per la mancanza di
cultura che lamentavo sopra, in ambito europeo.
La lettura di queste mie vecchie note (che raccomando
ai soli, tra voi, dotati di intelligenza) potrebbe contribuire a farvi
avvertire l’urgenza di un lavoro di pressione per il quale non siamo
minimamente attrezzati.
Mi appello a quanti abbiano rapporti, formali o
informali, con le istituzioni europee perche’ si possa stabilire un
collegamento idoneo a far pervenire il punto di vista delle ONG italiane (e,
credo, di diversi organismi istituzionali attivi in Italia – penso ad
ACNUR e OIM) a coloro che sono chiamati a definire la proposta di direttiva.
Una parte non trascurabile di tale punto di vista (quella relativa alla
necessita’ di favorire forme di ingresso del migrante orientate alla
ricerca di occupazione sul posto) e’ contenuta nel documento che allego
in coda al messaggio, inviato un paio di mesi fa dal Gruppo di Riflessione
dell’Area Religiosa al Commissario Vitorino.
Diffido, infine, Dino (Frisullo, per i piu’
giovani) dal considerare questa una “battaglia di retroguardia”
(lui si esprimerebbe con altra scelta di termini), dal momento che, se dovesse
passare una “Proposta di direttiva” non molto diversa dalla
“Proposta di convenzione” tutti i casi di cui con generosita’
indiscutibile si occupa da anni afferirebbero, senza speranza di redenzione
alcuna per gli interessati, al solo capitolo “lotta contro
l’immigrazione clandestina”.
Cordiali saluti
sergio briguglio
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Dal messaggio del luglio ’98:
...
1) Asilo
...
2) Immigrazione.
Fino ad oggi, la soft-law europea ha riguardato principalmente
il problema del controllo delle frontiere (a mo' di difesa dall'immigrazione
illegale) e quello delle espulsioni. Un'enfasi particolare e' data anche, a
livello di dichiarazione di intenti, alla necessita' di favorire i processi di
integrazione degli immigrati legalmente residenti. In mancanza della
definizione dei criteri di ammissione degli immigrati, si tratta quindi di una
politica attenta agli immigrati (participio passato) piuttosto che ai migranti
(participio presente): una politica che compie sforzi immani per separare il
grano degli immigrati legali dalla zizzania degli immigrati illegali, e che,
completata la pulizia, classifica automaticamente come zizzania ogni migrante
che diventi immigrato, rendendo necessaria una nuova bonifica. Senza fine.
Per dire la verita', una buona dose di attenzione e'
stata prestata, di recente, al problema dei criteri di ammissione. La Proposta
relativa a una convenzione sulle norme di ammissione, presentata al Consiglio
dalla Commissione il 30/7/97, presenta infatti un quadro dettagliato di tali
norme. Si tratta pero' di un'attenzione capace di far rimpiangere il primiero
disinteresse. Vediamo perche', passandone in rassegna gli elementi piu'
censurabili.
a) L'ingresso per lavoro subordinato e' consentito solo
allo straniero chiamato da un datore di lavoro, con un contratto di durata non
inferiore a un anno, per una posizione lavorativa per la quale sia stata
accertata l'indisponibilita', nel territorio dello Stato membro, di lavoratori
comunitari o stranieri regolarmente soggiornanti per lavoro, nonche' quella,
nel territorio dell'Unione europea, di stranieri soggiornanti a titolo
duraturo. Anche il rinnovo del permesso e' condizionato all'esistenza di un
contratto di lavoro e all'accertamento di indisponibilita'.
E' evidente che chi ha scritto questa proposta e' un
cultore delle sanatorie. Queste disposizioni infatti costituiscono un
distillato della bestiale applicazione che e' stata data, dal 1987 a oggi, alla
legislazione italiana in materia e che, ostacolando oltre misura l'incontro
diretto tra domanda e offerta di lavoro, ha reso indispensabili, per l'appunto,
tre imponenti sanatorie.
b) E' consentito l'ingresso per lavoro stagionale, a
condizioni analoghe - durata del contratto a parte - a quelle appena riportate,
ma senza alcuna possibilita' di stabilizzare la condizione di soggiorno in
presenza di una opportunita' di lavoro con contratto a lungo termine.
c) L'ingresso per lavoro autonomo e' consentito allo
straniero che abbia mezzi sufficienti per intraprendere l'attivita' prescelta
(e fin qui niente di male), ma solo a condizione che tale attivita' possa avere
- badate bene - effetti positivi sull'occupazione. Il rinnovo del permesso e'
condizionato all'effettiva occorrenza di tali effetti. L'attivita' presa in
considerazione e' quindi solo quella imprenditoriale di livello medio alto.
Niente e' previsto esplicitamente per la prestazione di servizi, essendo
rinviata a un successivo accordo tra le Parti contraenti la disciplina di
questa particolare attivita' (di grande rilievo per i lavoratori stranieri - si
pensi al proverbiale giardiniere che ha spadroneggiato nel dibattito sulla
regolarizzazione in corso).
d) Gli studenti possono si' svolgere modeste attivita'
lavorative che non intralcino il corso di studi, ma non hanno alcuna
possibilita' di convertire, al termine del corso, il permesso di soggiorno in
un permesso per lavoro; ne' ce l'hanno gli stranieri ammessi per svolgere un
tirocinio.
e) Salve limitate eccezioni (da lavoro autonomo a lavoro
subordinato e viceversa, e in caso di scioglimento del vincolo familiare che
aveva motivato il rilascio di un permesso per motivi familiari), non e'
consentita la conversione dei permessi di soggiorno. Il permesso e' poi
revocato in caso di assenza dallo Stato ospitante di durata superiore a un
trimestre per anno, e per pervenire all'equivalente di una carta di soggiorno
(di durata non inferiore a dieci anni) lo straniero deve maturare un periodo di
soggiorno regolare di durata compresa tra i cinque e i nove anni, a seconda del
tipo di permesso posseduto.
Questi elementi risentono di un'impostazione di tipo
protezionistico che puo' essere cosi' schematizzata: il valore primario da
difendere e' la condizione del lavoratore nazionale. Per evitare che questa
possa deteriorarsi si aborrisce la libera concorrenza tra i lavoratori nel
mercato del lavoro e si protegge la quantizzazione tanto del salario quanto
della quantita' di lavoro scambiata - il concetto, cioe', di "posto di
lavoro", con un numero di ore di lavoro e un salario non inferiori a certi
fissati minimi. Questo, se da una parte garantisce il lavoratore (occupato)
nazionale, dall'altra produce bacini di disoccupazione: non tutti coloro che
vorrebbero lavorare possono lavorare. Creato il disoccupato, il sistema, preso
dai rimorsi, ostenta apprensione per la sua situazione; il lavoratore straniero
e' ammesso cosi' solo come supplente del lavoratore nazionale, nei casi -
sporadici - in cui un particolare settore del mercato del lavoro non registri
offerta di lavoro, a dispetto della presenza di lavoratori, occupati o
disoccupati, nazionali.
Al lavoratore straniero e' richiesto, in altri termini,
di dimostrare costantemente di non essere un potenziale concorrente del
disoccupato nazionale. La cosa - recepita perfino dall'iconografia
solidaristica nostrana ("fanno solo i lavori che gli italiani non vogliono
fare") - e' paradossale, dal momento che la vera causa del disagio del
disoccupato nazionale risiede proprio nel fatto che a lui, in primo luogo, e'
impedito di entrare in concorrenza con il lavoratore nazionale occupato.
Notate che se, invece di acquisto e vendita di lavoro,
si trattasse si acquisto e vendita di auto o di materassi a molle, sarebbe
evidente a tutti come l'ostacolare la concorrenza portata dai venditori esterni
al mercato nazionale (l'atteggiamento protezionistico), pur salvaguardando la
condizione dei venditori nazionali, conduca ad uno spreco di risorse per
l'intera societa' tale da rendere indiscutibilmente preferibile un sistema che liberalizzi
invece la concorrenza e compensi, con opportuni sussidi, i venditori nazionali
da questa danneggiati.
Vi e', in questa alternativa tra una politica di chiusura del mercato e una di apertura
temperata da sussidi compensativi, il nodo della questione di come l'Unione
europea si pone non solo di fronte ai lavoratori stranieri, ma anche di fronte
ai giovani (che, se non possono essere espulsi come i primi, possono pero'
essere comunque tenuti ai margini delle attivita' produttive). Si tratta di scegliere
tra la via di uno sviluppo partecipato e quella di una conservazione dello statu
quo (chi c'e'
c'e', chi non c'e' non c'e'). L'Europa sembra voler scegliere questa seconda
via. A me sembra la strada dell'estinzione (se il lavoro a basso costo non va
verso i capitali, i capitali andranno verso il lavoro a basso costo...). In
ogni caso, riguardo all'immigrazione, fa si' che sia data enfasi alla lotta
contro la clandestinita', e che, in mancanza di altre strade, agli stranieri
non resti che appellarsi alla tutela di diritti (l'asilo) che poco hanno a che
fare con la loro situazione effettiva: e' la risposta notarile ad un
atteggiamento notarile. Con le conseguenze descritte al punto 1.
3) Conclusioni.
In questi anni, in Italia, e' stato svolto un lavoro di
lobbying discretamente efficace su immigrazione e asilo. Molto dovrebbe essere
ancora fatto per portarne a maturazione i frutti. Ora pero' ci accorgiamo che
stanno smantellando l'impianto di irrigazione generale al quale abbiamo
allacciato quello del nostro terreno. Sull'irrigazione - d'altra parte -,
grazie anche ai tanti errori commessi dalle nostre parti, avremmo la nostra da
dire. Dobbiamo tacere? Direi di no. E allora con chi parlarne? E con quali
soggetti europei collegarci? A queste domande non so rispondere. C'e' qualcuno
che sa rispondere?
...
Il
documento inviato dal Gruppo di Riflessione al Commissario Vitorino:
NOTA
SULLA COMUNICAZIONE AL CONSIGLIO E AL PARLAMENTO EUROPEO SU UNA POLITICA
COMUNITARIA IN
MATERIA
DI IMMIGRAZIONE
La recente Comunicazione al Consiglio e al Parlamento
europeo su una politica comunitaria in materia di immigrazione rappresenta una
tappa di grande rilievo nel percorso di armonizzazione tracciato dal Trattato
di Amsterdam. In particolare, e' da salutare come novita' estremamente positiva
l'impostazione della Comunicazione, laddove si sottolinea come la creazione di
vie di immigrazione legale effettivamente percorribili sia un elemento
fondamentale di una equilibrata politica dell'immigrazione e rappresenti una
conditio sine qua non
per il contrasto delle forme di immigrazione illegale.
In quest'ottica, l'elaborazione di un quadro giuridico
comune per l'ammissione di cittadini di paesi terzi - in particolare di coloro
che chiedono di entrare nel territorio di uno Stato membro dell'Unione per
motivi economici - puo' costituire il fondamento per la creazione di una
siffatta politica.
Con questa nota si intende presentare, alla luce
dell'esperienza italiana, alcuni elementi che possono contribuire ad una
definizione adeguata e lungimirante dei criteri per l'ammissione di migranti
economici.
La normativa sull'immigrazione per lavoro in Italia ha
limitato, per tutti gli anni '90, le possibilita' di ingresso legale al caso
dei lavoratori assunti previamente da un datore di lavoro. Non consentendo, sul
piano formale, un incontro diretto sul territorio italiano tra il datore di
lavoro e il lavoratore che rendesse possibile la naturale costituzione di un
rapporto di lavoro, questa possibilita' di ingresso e' stata assai scarsamente
sfruttata dagli immigrati, a dispetto del fatto che il mercato del lavoro
italiano fosse interessato ad assorbire contingenti significativi di lavoratori
stranieri (nell'ordine delle centomila unita' per anno) e che la legge non
ponesse limiti superiori al numero di ingressi per lavoro.
La maggior parte dei lavoratori immigrati sono cosi'
pervenuti ad una condizione di soggiorno legale beneficiando di provvedimenti
di sanatoria - la regolarizzazione, cioe', di situazioni di soggiorno nate o
prolungatesi in condizioni illegali. Anche coloro che formalmente sono entrati
in Italia in seguito alla previa assunzione da parte di un datore di lavoro
hanno trascorso, nella maggior parte dei casi, un periodo di soggiorno
illegale, reperendo sul posto l'opportunita' di impiego che ha consentito loro
di fare il successivo ingresso legale, a seguito di un rimpatrio di fatto non
ostacolato dalle autorita’.
Una stima della percentuale - sul totale - di immigrati oggi regolarmente
soggiornanti per lavoro che siano transitati attraverso un soggiorno illegale
prima di approdare alla condizione di legalita' indicherebbe un valore non
inferiore all'ottanta per cento.
L'entrata in vigore della nuova legge organica
sull'immigrazione e del suo regolamento di attuazione hanno consentito,
dall'anno scorso, una nuova modalita' di ingresso: l'ingresso "per
inserimento nel mercato del lavoro" di un lavoratore per il quale un
soggetto legalmente operante in Italia (cittadini italiani o stranieri, enti o
associazioni) offra garanzie di mantenimento per un soggiorno di un anno che
consenta la ricerca di occupazione sul posto.
Questa forma di ingresso e' stata considerata con
grande interesse, e il tetto massimo fissato dal Governo (invero piuttosto
basso: quindicimila unita' per l'intero anno 2000) e' stato raggiunto in poche
settimane.
Vi e' da dire che, per l'esistenza di un bacino di
presenze illegali giacente, e per l'esiguita' dei numeri fissati in sede di prima
utilizzazione di questo strumento, e' da ritenersi che gran parte del
contingente sia stato utilizzato da lavoratori stranieri gia' presenti in
Italia, anche in questo caso a seguito di un rimpatrio non intercettato da
controlli. Queste condizioni dovrebbero ripetersi per il 2001, dato che -
stando almeno alla bozza di decreto di programmazione presentato dal Governo al
Parlamento italiano - il tetto non e' stato innalzato e il bacino di presenze
illegali in Italia si e' probabilmente accresciuto negli ultimi dodici mesi (a
dispetto di una significativa intensificazione dei controlli alle frontiere).
Lo strumento della prestazione di garanzia, se non
mortificato dalla definizione di tetti numerici troppo bassi, puo' certamente
dar luogo, per il futuro, a un canale di ingresso percorribile e - quindi - di
rilievo per una discreta percentuale di coloro che aspirano a migrare in Italia
per lavoro. Tuttavia, la necessita' di avere legami con soggetti
("sponsor") gia' presenti in Italia (siano essi cittadini italiani o
associazioni o enti, siano immigrati stranieri gia' stabilizzati) esclude a
priori quanti non possano fruire di tali legami, ovvero li induce a cercare di
crearne attraverso - ancora una volta - un periodo di soggiorno illegale.
E' necessario, quindi, allargare il ventaglio di
strumenti utilizzabili, per evitare che esistano larghe fasce di migranti
"obbligati" a percorrere vie illegali per poter conquistare una
posizione legale.
La normativa italiana offre, in realta', uno strumento
ulteriore, capace di dare risposta a questo problema; e' previsto infatti che,
ove il tetto fissato per gli ingressi protetti da sponsor non sia raggiunto in
un tempo prefissato (due mesi), possano essere autorizzati ingressi di
lavoratori di paesi terzi che siano capaci di garantire da se' il proprio
mantenimento nell'anno di ricerca di lavoro. A questo scopo, la legge prevede
che il lavoratore debba essere iscritto in "liste di prenotazione"
tenute dalle rappresentanze diplomatiche italiane nei paesi di emigrazione, e
debba dimostrare di disporre di un ammontare in denaro di poco superiore a
meta' dell'importo annuale del sussidio sociale (in tutto, circa
duemilacinquecento euro).
La definizione di tetti assai limitati per gli ingressi
protetti da sponsor e, soprattutto, la mancata istituzione delle liste di
prenotazione nelle ambasciate e nei consolati italiani hanno impedito per
l'anno 2000 - e, verosimilmente, impediranno per tutto il 2001 -
l'utilizzazione di questo meccanismo (che indicheremo nel seguito come
"ingresso per ricerca di lavoro autogarantito"). E' auspicabile pero'
che in Italia si arrivi presto, quanto meno, ad una sperimentazione in materia,
e che la stessa strada sia considerata con interesse in ambito europeo. Questa
possibilita' di ingresso corrisponde, infatti, piu' di ogni altra alle
modalita' effettivamente adottate da chi entri e soggiorni illegalmente in
Italia, ma e' priva, rispetto a tale caso, di tutte le caratteristiche negative
(elusione delle norme sull'immigrazione e sul lavoro, ricorso ai trafficanti,
nascondimento forzato ed esposizione al rischio di contaminazione criminale)
che rendono l'immigrazione illegale un problema sociale.
Elementi essenziali per il funzionamento del canale di
ingresso per ricerca di lavoro autogarantito sono dunque
a) l'istituzione di una lista di prenotazione
accessibile (anche per posta o per via telematica, se questo contribuisce ad
evitare forme inutili di burocratizzazione), con graduatoria fondata, piu' che
sul possesso di particolari qualificazioni professionali, sull'anzianita' di
iscrizione (l'obiettivo e' quello di dare chances anche a un'immigrazione a
bassa qualificazione che, altrimenti, sarebbe indotta a percorrere vie
illegali);
b) la definizione di requisiti patrimoniali non
eccessivamente restrittivi e, in ogni caso, tali da rendere l'ingresso legale
piu' vantaggioso, per il migrante, di un ingresso illegale che faccia ricorso
ai servizi dei trafficanti;
c) la definizione di tetti numerici annuali non
inutilmente bassi (chi aspiri a migrare deve veder progredire con ragionevole
rapidita' la propria posizione in graduatoria; un progresso troppo lento, che
faccia presagire un'attesa di molti anni prima che si verifichi la possibilita'
di ingresso legale, induce, ancora una volta, il lavoratore a tentare le vie
illegali);
d) una moderata opera di orientamento del migrante
nella fase precaria di ricerca del lavoro (chi oggi migra illegalmente trova
comunque, con le proprie forze e in tempi rapidi, opportunita' di inserimento;
un sostegno puo' comunque rendere piu' rapido ed efficace tale inserimento).
Nell'ipotesi che non si voglia percorrere, in sede
europea, la via (attualmente in auge in Italia) della definizione di tetti
numerici sugli ingressi, e che si voglia invece lasciare piu' spazio alle
dinamiche di mercato (pur con una adeguata attenzione alle situazioni di
tensione sociale che possono verificarsi), e' possibile pensare ad un
meccanismo lievemente (ma significativamente) modificato di ingresso per
ricerca di lavoro autogarantito.
Il meccanismo in questione potrebbe consistere in un
ingresso per breve soggiorno (ad esempio, per tre mesi), condizionato al
soddisfacimento dei seguenti criteri:
a) disponibilita' di mezzi di sostentamento,
proporzionati all'importo del sussidio sociale e alla durata del soggiorno
(requisito piu' facile da dimostrare, per via della breve durata del soggiorno,
rispetto a quello descritto al paragrafo precedente);
b) deposito, all'atto dell'ingresso, di un titolo di
viaggio per l'eventuale rimpatrio o dell'ammontare in denaro necessario per
acquistarlo;
c) rilevamento delle impronte digitali.
Non sarebbe piu', invece, rilevante il rispetto di un
tetto numerico.
Il cittadino di un paese terzo cosi' ammesso sarebbe
autorizzato a cercare lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro, come pure
a svolgere attivita' occasionali di lavoro autonomo (si tratterebbe, per cosi'
dire, di una forma di "turismo per lavoro").
L'autorizzazione al soggiorno potrebbe, a richiesta,
essere prorogata per un analogo periodo, previa dimostrazione del possesso di
mezzi corrispondenti (segno di un certo inserimento nel tessuto economico).
Potrebbe poi - ed e' il punto piu' rilevante - essere tramutata in una
autorizzazione di lungo periodo (analoga a quella rilasciata a chi faccia oggi
ingresso legale per lavoro subordinato o autonomo) in presenza di una
opportunita' di impiego, ovvero dopo un numero sufficiente di proroghe
dell'autorizzazione originale, che testimoni un inserimento adeguato (sia pure
frutto di attivita' autonome o saltuarie).
Il deposito delle impronte digitali e del titolo di
viaggio consentirebbe l'immediata identificazione e l’eventuale
allontanamento dello straniero che, eluse le disposizioni relative al soggiorno
di breve durata, sia sottoposto a successivi controlli.
Un meccanismo di questo genere, pur non potendosi
considerare una completa liberalizzazione dei movimenti migratori,
corrisponderebbe a un quadro normativo capace di tener conto in modo assai
realistico di quanto oggi succede in fatto di immigrazione - spesso a dispetto
di normative formalmente restrittive. Resterebbe agli Stati la possibilita' di
evitare che si creino tensioni intollerabili associate a forme di inserimento
eccessivamente precario, mentre certamente verrebbe sottratta alle
organizzazioni di trafficanti tutta la porzione di utenza costituita da
migranti desiderosi di inserimento in attivita' economiche lecite.