(2/5/2001)

 

PROPOSTE PER UN PROGRAMMA DI LEGISLATURA

SU IMMIGRAZIONE E ASILO

 

 

I. Immigrazione

 

Ingressi per lavoro

 

Perche’ il flusso migratorio non sia costretto a intraprendere vie illegali e’ indispensabile che siano creati canali di accesso effettivamente percorribili da quanti aspirino a fare ingresso in Italia. A questo scopo e’ necessario che la periodica determinazione delle quote massime ammesse nel nostro Paese non sia ispirata a criteri eccessivamente restrittivi, ma tenga conto della consistente domanda di manodopera avanzata dalle imprese e dalle famiglie italiane. E’ pero’ anche necessario che i meccanismi di ingresso previsti dalla legge non si traducano, all’atto pratico, in un ostacolo insormontabile per migranti e datori di lavoro.

 

Nella valutazione dei meriti o dei limiti presentati da questi meccanismi, occorre distinguere almeno tra due componenti principali dei flussi di immigrazione per lavoro: quella costituita da manodopera qualificata e quella, non meno importante, rappresentata da lavoratori a bassa qualificazione. Per la prima componente, le norme relative alla “chiamata nominativa” da parte di un datore di lavoro del lavoratore ancora residente all’estero possono risultare adeguate. Le chiamate infatti possono essere fondate sull’esame – anche a distanza – del curriculum lavorativo o di studio del lavoratore e non necessitano di un incontro diretto tra le parti. La legge poi prevede che possano essere istituite, nell’ambito di accordi bilaterali, liste di lavoratori che aspirino a migrare in Italia, con l’indicazione di qualifiche e mansioni degli iscritti, alle quali i datori di lavoro privi di conoscenze dirette possano attingere per le chiamate nominative. L’approntamento e l’utilizzazione di tali liste e’ senz’altro da sostenere, ma nulla impedisce che analoghe liste possano essere approntate su libera iniziativa - ad esempio – di associazioni imprenditoriali o agenzie. Sarebbe quindi da incoraggiare la realizzazione di corsi di formazione lavorativa nei paesi di emigrazione che si concludano con la definizione di una lista specializzata da proporre agli imprenditori italiani operanti in settori non gia’ saturati dall’offerta di lavoro italiana.

 

L’incontro diretto (sul posto) tra domanda e offerta di lavoro rappresenta invece il requisito fondamentale per la costituzione di un rapporto di lavoro caratterizzato da bassi livelli di qualificazione. Tale incontro risulta gravemente ostacolato da quanto previsto per la chiamata nominativa (dovendo questa riferirsi a un lavoratore ancora residente all’estero), ma e’ reso possibile, in linea teorica, dalle disposizioni relative all’ingresso per inserimento nel mercato del lavoro. Questa forma di ingresso permette di cercare sul posto un’opportunita’ di lavoro, ed e’ consentita, entro i limiti della quota appositamente definita dal decreto di programmazione dei flussi, per coloro che siano coperti dalla garanzia prestata da uno “sponsor”. Tuttavia, dovendo riguardare, anche in questo caso, stranieri ancora residenti all’estero, l’ingresso “sponsorizzato” risulta precluso per tutti quegli aspiranti immigrati che non abbiano gia’ rilevanti legami con potenziali sponsor in Italia.

 

Positivamente, la legge prevede che, qualora le richieste di prestazione di garanzia non coprano, entro un termine prefissato, la quota massima stabilita dal decreto, possano fare ingresso in Italia stranieri capaci di “auto-sponsorizzarsi”, nell’ordine corrispondente alla anzianita’ di iscrizione in liste di prenotazione tenute nelle ambasciate e nei consolati italiani.

 

La possibilita’ di un ingresso auto-garantito risolverebbe il problema di quanti non abbiano gia’ stabilito legami con soggetti (datori di lavoro o sponsor) residenti in Italia. A tutt’oggi, pero’, le nostre rappresentanze diplomatiche non hanno provveduto all’istituzione delle liste. In mancanza di opportunita’ di ingresso legale, a chi aspiri a migrare in Italia per lavoro non resta che fare ingresso per altri motivi (turismo, per esempio) o in condizioni illegali e cercare sul posto un soggetto disposto ad avviare la procedura di chiamata nominativa o di prestazione di garanzia. A valle di un temporaneo rimpatrio (problematico, se il soggiorno in Italia e’ stato irregolare), lo straniero rientrera’ in Italia dopo essersi munito di regolare visto di ingresso.

 

Per rendere possibile l’incontro diretto tra lavoratori e datori di lavoro, ed evitare allo stesso tempo queste forme di aggiramento della normativa (o, nella migliore delle ipotesi – ingresso per turismo -, questo dannoso spreco di risorse), e’ opportuna l’adozione delle due misure seguenti.

 

1) Dare effettivita’ alle disposizioni sull’ingresso auto-garantito, con l’istituzione di una lista centralizzata presso uno dei ministeri competenti (es.: Ministero del lavoro), cui gli stranieri possano accedere anche per posta o per via telematica.

 

2) Consentire, ai titolari di permesso di soggiorno di breve durata (es.: per motivi di turismo, visita, cura, affari, etc.)

 

a) lo svolgimento di attivita’ occasionali di lavoro autonomo (anche in forma di prestazioni lavorative saltuarie);

 

b) il rinnovo del permesso per un ulteriore breve periodo quando lo straniero sia in grado di dimostrare il possesso di mezzi di sostentamento non inferiori all’importo dell’assegno sociale per il periodo di soggiorno, la disponibilita’ di alloggio e la titolarita’ di un’assicurazione sanitaria;

 

c) la conversione del permesso in un permesso di soggiorno per lavoro autonomo o subordinato o per inserimento nel mercato del lavoro, quando risultino soddisfatti i requisiti sostanziali per il rilascio di un tale permesso (effettivo svolgimento di attivita’ autonoma, certificata opportunita' di lavoro subordinato o prestazione di garanzia, e rispetto del limite stabilito dal decreto di programmazione dei flussi).

 

In tal modo, il percorso di ricerca di un’opportunita’ di lavoro stabile in Italia o di una sponsorizzazione, oggi sostanzialmente costretto a restare nascosto nell’illegalita’, potrebbe avvenire alla luce del sole e in condizioni pienamente legali. E’ evidente come l’adozione della prima di queste misure (istituzione delle liste) potrebbe considerarsi superflua se venissero adottate le seconde (sull’utilizzazione e la convertibilita’ del permesso di breve durata). Affinche’ queste ultime non finiscano per favorire prolungamenti illegali del soggiorno o produrre un aggravio di spesa associato al rimpatrio di soggetti per i quali il rinnovo o la conversione del permesso non siano possibili, il rilascio di un permesso di soggiorno di breve durata con facolta’ di accesso ad attivita’ lavorativa e di successiva stabilizzazione potrebbe essere condizionato al rilevamento di impronte digitali del titolare e al deposito del biglietto di viaggio per l’eventuale rimpatrio. Non si tratterebbe di una forma di discriminazione, ma, piuttosto, della stipula di un patto di lealta’ tra il lavoratore straniero e lo Stato. Sottrarsi al rilevamento delle impronte sarebbe sempre possibile per lo straniero entrato per breve soggiorno, avendo come solo effetto la preclusione del percorso di prolungamento e stabilizzazione del soggiorno descritto.

 

 

Lavoro autonomo

 

Un problema specifico cui vanno incontro coloro che aspirino a entrare in Italia per svolgere attivita’ non occasionale di lavoro autonomo e’ rappresentato dal requisito di disponibilita’ di un reddito non inferiore al livello al di sotto del quale e’ prevista l’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria (oggi, circa sedici milioni annui). Questa previsione intende comprensibilmente evitare che siano alimentate attivita’ imprenditoriali prive di rilevanza economica e tali da tradursi in un aggravio per il sistema di sicurezza sociale. Tuttavia, se si tiene conto del fatto che le prestazioni di servizi occasionali si configurano proprio come attivita’ di lavoro autonomo, piuttosto che subordinato, e che e’ estremamente improbabile che, almeno nella fase di avvio, tali attivita’ possano dar luogo a redditi significativamente piu’ alti, si vede come un’interpretazione restrittiva della disposizione in oggetto rischi di precludere l’ingresso e il soggiorno di lavoratori che potrebbero trovare un’utile collocazione nel mercato italiano. E’ opportuno allora che si limiti all’importo annuo dell’assegno sociale l’ammontare del reddito richiesto per il rilascio e il rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro autonomo (o per la conversione di altro permesso in un permesso per lavoro autonomo), e che, corrispondentemente, si rivedano le disposizioni con cui si determina il reddito presuntivo dei lavoratori autonomi che svolgono le attivita’ in questione.

 

 

Ricongiungimento familiare

 

Il principale ostacolo al ricongiungimento familiare e’ rappresentato oggi dalla disposizione in base alla quale il richiedente deve dimostrare di disporre di un alloggio che soddisfi i requisiti previsti dalle leggi regionali per l’edilizia popolare. Tali requisiti sono, nei fatti, troppo stringenti, tanto da risultare non soddisfatti dalle abitazioni di cui dispongono moltissime famiglie italiane. La disposizione deve essere quindi corretta, tenendo conto del prevalente diritto al ristabilimento dell’unita’ familiare.

 

 

Rilascio e rinnovo dei permessi di soggiorno

 

La legge prevede che il rilascio e il rinnovo del permesso di soggiorno debba essere concesso o negato entro venti giorni dalla presentazione della domanda. Nei fatti, tale limite risulta raramente rispettato dalla pubblica amministrazione. Ne consegue un grave danno per lo straniero richiedente, che non puo’ godere, nelle more del rilascio o del rinnovo, dei diritti associati al possesso del permesso. Tale danno puo’ essere eliminato stabilendo che la ricevuta della richiesta di rilascio o rinnovo del permesso e’ utilizzabile a tutti gli effetti (in particolare per il reingresso in Italia in esenzione da visto) come permesso di soggiorno, fino alla decisione dell’amministrazione sulla richiesta.

 

In ottemperanza al dettato della Convenzione OIL n. 143 del 24 giugno 1975, ratificata con legge 10 aprile 1981, n. 158, e’ previsto che il lavoratore subordinato che sia licenziato o che si dimetta non perda, per cio’ stesso, il diritto a soggiornare in Italia, ma abbia a disposizione almeno un ulteriore anno di iscrizione nelle liste di collocamento che gli consenta di trovare una nuova occupazione e di ottenere, conseguentemente, il rinnovo del permesso di soggiorno. La legge tuttavia non specifica se di questo beneficio debba godere anche il lavoratore che veda concludersi alla scadenza naturale un rapporto di lavoro a tempo determinato, ne’ se il beneficio possa essere applicato piu’ volte (alla conclusione di successivi rapporti di lavoro) per lo stesso lavoratore. E’ necessario che entrambe le possibilita’ siano previste esplicitamente. In mancanza di una esplicita previsione, infatti, nel primo caso risulterebbe preclusa ogni possibilita’ di prolungamento del soggiorno per i lavoratori che abbiano ottenuto, secondo quanto previsto dalla legge, un permesso di soggiorno della durata del rapporto di lavoro a tempo determinato; nel secondo caso, la preclusione scatterebbe alla conclusione del secondo rapporto di lavoro.

 

La legge stabilisce che, prima di opporre un diniego alla richiesta di rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno, l’Amministrazione debba valutare se siano soddisfatti i requisiti per il rilascio di un permesso ad altro titolo o se siano intervenuti nuovi elementi meritevoli di considerazione ai fini del rilascio o del rinnovo richiesti. E’ opportuno completare queste disposizioni stabilendo che

 

a)     requisiti sufficienti per la conversione in permesso per lavoro subordinato o per inserimento nel mercato del lavoro sono, rispettivamente, un’opportunita’ di assunzione da parte di un datore di lavoro o di prestazione di garanzia da parte di uno sponsor che rientrino nelle quote fissate dal decreto di programmazione dei flussi;

b)     tra i “nuovi elementi” da considerare prima di negare un permesso di soggiorno e’ da considerare l’esistenza di una frazione non utilizzata delle quote fissate dal decreto di programmazione dei flussi.

 

 

Studenti

 

La legge prevede che lo studente, in presenza di una documentata opportunita’ di lavoro subordinato, o quando sia in possesso dei requisiti per lo svolgimento di attivita’ non occasionali di lavoro autonomo, possa convertire il permesso di soggiorno per studio in un permesso per lavoro (subordinato o autonomo), a condizione che la sua richiesta rientri nelle quote fissate dal decreto di programmazione dei flussi. Non esistono, tuttavia, disposizioni atte a stabilire un criterio di precedenza delle richieste di conversione del permesso (per altro, scarsamente numerose) rispetto a quelle relative a nuovi ingressi di lavoratori dall’estero. Non potendosi rinnovare il permesso per motivi di studio una volta conseguito il titolo, ovvero oltre il terzo anno fuori corso, lo studente rischia di non poter usufruire della conversione del permesso e della conseguente stabilizzazione del soggiorno in Italia. E’ opportuno che le richieste di conversione di permessi di soggiorno per studio in permessi per lavoro siano esaminate anche in soprannumero rispetto alle quote fissate per gli ingressi dal decreto di programmazione dei flussi.

 

 

Minori non accompagnati

 

La normativa vigente prevede che al minore non accompagnato per il quale debba essere assunta una decisione in merito al suo eventuale rimpatrio sia rilasciato un permesso di soggiorno “per minore eta’”. Si e’ stabilito, con circolare del Ministero dell’interno, di non consentire lo svolgimento di attivita’ lavorativa al titolare, ne’ la conversione del permesso, al compimento della maggiore eta’, in un permesso per lavoro o per studio.

 

E’ necessario, in primo luogo, che sia usata la massima cautela riguardo al rimpatrio del minore, facendo prevalere, nel rispetto della Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176, l’interesse del minore su qualunque altra esigenza. Nella valutazione di tale interesse deve essere tenuta nella opportuna considerazione la volonta’ del minore e della sua famiglia.

 

La procedura con cui si decide riguardo al rimpatrio deve svolgersi, poi, in tempi rapidi, per evitare che il minore resti per un lungo periodo in una condizione di incertezza riguardo al proprio futuro immediato.

 

Infine, coerentemente con la disposizione che parifica ai figli, ai fini del ricongiungimento familiare, i minori sottoposti a tutela e alle disposizioni che escludono la necessita’ di un affidamento formale per un minore accolto da un parente entro il quarto grado, e’ opportuno che, anche nei casi in cui il minore sia sottoposto a tutela o affidato, di fatto, a parenti entro il quarto grado, questi riceva un permesso di soggiorno per motivi familiari, anche allo scopo di evitare la proliferazione di permessi a titolo diverso, con conseguente disparita’ di trattamento. In ogni caso, laddove non si proceda all’effettivo rimpatrio del minore entro tre mesi, quale che sia il titolo del permesso assegnatogli, il minore deve essere completamente equiparato al coetaneo titolare di un permesso per motivi familiari o per affidamento. Deve quindi avere la possibilita’ di accedere ad attivita’ lavorativa e di formazione e di convertire il permesso di soggiorno, al compimento della maggiore eta’, in un permesso per lavoro, per inserimento nel mercato del lavoro o per studio.

 

 

Espulsione

 

Un efficace contrasto delle forme di criminalita’ che si alimentano con lo sfruttamento della condizione spesso precaria degli immigrati e’ reso problematico dalla mimetizzazione che tali forme possono trovare in un contesto di diffusa illegalita’ rispetto alle condizioni di soggiorno, del tutto priva, per il resto, di rilevanza criminale. La stessa opinione pubblica, estremamente sensibile al problema della sicurezza delle citta’, finisce per avvertire come minaccioso il bacino di presenze irregolari, non per le attivita’ effettivamente svolte dagli immigrati clandestini (che’ per la maggior parte si tratta di innocue attivita’ lavorative), ma per la confusione dell’intero bacino con quella minoranza effettivamente dedita ad attivita’ malavitose.

 

In generale, tuttavia, e’ impensabile che si crei un’opportuna e netta separazione tra l’immigrato clandestino impegnato a trovare inserimento lecito nella societa’ e quello dedito ad attivita’ criminali, se il primo e’ spinto in una condizione di irreversibile nascondimento dal rischio di incorrere in sanzioni, quali l’espulsione obbligatoria in caso di ingresso o soggiorno illegale e il connesso divieto di reingresso in Italia (e nell’intera Area Schengen) per cinque anni, che vanificherebbero completamente il suo progetto migratorio.

 

E’ opportuno che sia data maggior flessibilita’ alle norme di carattere repressivo, con una graduazione delle sanzioni che consenta di diversificare l’intervento a misura dell’entita’ della violazione di legge che si vuol perseguire. Cosi’, ferme restando le disposizioni previste per sanzionare i casi di concreta pericolosita’ sociale, e’ opportuno che, in assenza di tale pericolosita’, l’Autorita’ possa valutare, in relazione ad ogni specifico caso,

 

a) se esistano ragioni per il rilascio di un permesso di soggiorno (per ragioni umanitarie ovvero per il possesso “di fatto” dei requisiti sostanziali di inserimento sociale);

 

b) se il rimpatrio possa avvenire su base volontaria, entro un termine prefissato, senza che si adottino divieti di reingresso;

 

c) se si debba effettivamente procedere all’espulsione.

 

Nel primo caso, dovrebbero essere considerate con particolare attenzione le condizioni di inserimento lavorativo o familiare dello straniero, come pure le eventuali opportunita’ di assunzione da parte di un datore di lavoro o di prestazione di garanzia da parte di uno sponsor.

 

Nel secondo caso, il rilevamento delle impronte digitali metterebbe lo Stato al riparo dal rischio di un mancato rispetto, da parte dello straniero, dei termini fissati per il rimpatrio.

 

In tutti i casi di adozione del provvedimento di espulsione, salvi quelli in cui vi sia un concreto e grave pericolo per la sicurezza dello Stato o per l’ordine pubblico, e’ necessario poi che sia garantita la possibilita’ di un effettivo controllo giurisdizionale prima che lo straniero sia stato allontanato dal territorio dello Stato.

 

E’ necessario poi che si provveda automaticamente, alla scadenza del divieto di reingresso per uno straniero espulso, alla cancellazione della corrispondente segnalazione al Sistema Informativo Schengen.

 

Infine e’ opportuno che sia data dignita’ di legge alle norme contenute nella Direttiva del Ministro dell’interno con cui si definisce la “Carta dei diritti e dei doveri per il trattenimento della persona ospitata nei centri di permanenza temporanea”, in particolare, con riferimento al diritto di

 

a)  effettuare colloqui con organismi di tutela prima che la convalida dei provvedimenti di trattenimento e di allontanamento abbia avuto luogo,

 

b)  avvalersi dell’assistenza di un difensore di fiducia e accedere al gratuito patrocinio,

 

c)  recuperare effetti personali e risparmi,

 

d)  avvertire del trattenimento familiari e conoscenti,

 

e)  preservare l’unita’ familiare,

 

f)   ricevere visite.

 

 

Protezione sociale

 

Devono essere opportunamente differenziate le misure di protezione sociale per chi si sottragga al condizionamento di organizzazioni criminali. Nei casi di grave pericolo o di collaborazione effettiva con la giustizia la misura deve avere carattere premiale: non ci si puo’ limitare al rilascio di un permesso di soggiorno di breve durata, rinnovabile e prorogabile con estrema difficolta’; si deve piuttosto favorire un pieno inserimento sociale dell’interessato e l’eventuale ricongiungimento facilitato, laddove vi sia rischio in patria per l’incolumita’ dei familiari.

 

Quando manchino questi presupposti, e la misura sia mirata a favorire un mero – ancorche’ positivo – allontanamento del beneficiario da percorsi connotati negativamente, e’ opportuno che lo strumento non si trasformi in un meccanismo di aggiramento delle norme sui flussi, e che quindi il permesso rilasciato resti finalizzato a un successivo rimpatrio assistito.

 

In entrambi i casi, l'elemento piu’ rilevante alla base della adozione della misura deve restare la necessita’, per lo straniero, di sottrarsi a un condizionamento certamente dannoso. Non puo’ quindi essere considerata conditio sine qua non l’esistenza di un progetto di protezione attuato da uno dei soggetti iscritti nell’apposito albo presso la Presidenza del Consiglio dei ministri. Il permesso deve cioe’ essere rilasciato anche quando tale progetto non sia localmente disponibile.

 

Nell’ambito della lotta contro la tratta di esseri umani, poi, tenuto conto della difficolta’ di dimostrare, in sede giudiziaria, crimini quali il favoreggiamento dell’ingresso illegale finalizzato allo sfruttamento della prostituzione o, addirittura, la riduzione in schiavitu’, e’ opportuno che si introduca una specifica aggravante per il reato di favoreggiamento, a fini di lucro, della permanenza illegale in relazione al caso di straniero destinato alla prostituzione o allo sfruttamento di essa. Per lo stesso reato dovrebbe anche essere previsto l’arresto facoltativo in flagranza.

 

 

Regolarizzazione

 

Il processo di regolarizzazione avviato con il D.P.C.M. del 16 ottobre 1998 non risulta ancora completato, essendo sospesa la posizione di circa trentamila richiedenti. In mancanza di qualunque aspetto di pericolosita’ sociale degli stranieri interessati (si sarebbe altrimenti da molto tempo provveduto al loro allontanamento dall’Italia), risulta del tutto innaturale il mancato rilascio di un permesso di soggiorno. La presenza ufficiale di stranieri formalmente autorizzati a permanere nel territorio dello Stato, ma privi di documenti che consentano loro di fruire di un pacchetto di diritti basilari e’ del tutto inaccettabile. Anche quando non si riesca a dare soluzione certa alla questione se tali persone soddisfino i requisiti fissati a suo tempo per la regolarizzazione, occorre che si proceda, coerentemente con quanto disposto dalla legge, al rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari o per gli altri motivi per i quali siano soddisfatti i requisiti.

 

 

Cittadinanza

 

La legge sulla cittadinanza appare assolutamente inadeguata a tener conto delle novita’ introdotte, nella societa’ italiana, dal fenomeno migratorio. In particolare, e’ del tutto anacronistica l’assenza di qualunque forma di jus soli, come pure la previsione di un periodo di residenza legale di dieci anni quale condizione necessaria per la naturalizzazione dello straniero.

 

Occorre riformare la normativa, stabilendo, ad esempio,

 

a)     che sia cittadino per nascita chi nasce in Italia da genitore straniero regolarmente soggiornante da almeno cinque anni;

b)    che il minore nato in Italia acquisti la cittadinanza al momento del suo inserimento scolastico nella scuola dell’obbligo;

c)     che possa essere concessa la cittadinanza allo straniero legalmente residente in Italia da almeno cinque anni (anziche’ da dieci).

 

 

II. Asilo

 

Attuazione del dettato costituzionale

 

L’articolo 10 della Costituzione italiana garantisce il diritto d’asilo, secondo le condizioni stabilite dalla Legge, allo straniero al quale sia impedito, nel proprio paese, l’effettivo esercizio delle liberta’ garantite dalla Costituzione stessa. La normativa in vigore (articolo 1 della legge 39/1990) si limita a disciplinare, molto sommariamente, il riconoscimento dello status di rifugiato secondo la Convenzione di Ginevra del 1951. La giurisprudenza ha riconosciuto come il novero dei beneficiari del diritto d’asilo garantito dallo Costituzione sia piu’ ampio di quello di coloro che rientrano nella definizione di rifugiato data dalla Convenzione. Ha riconosciuto, altresi’, come la norma costituzionale non necessiti, per la sua applicazione, di una legge attuativa, e come il riconoscimento del diritto d’asilo costituzionale sia di competenza del giudice ordinario. E’ necessario, tuttavia, il varo di una legge che, ferme restando queste distinzioni, aggiorni le procedure per il riconoscimento dello status di rifugiato (ex-Convenzione), stabilisca quelle per il riconoscimento del diritto costituzionale e definisca, nel modo piu’ uniforme possibile, il contenuto concreto del diritto d’asilo.

 

Mentre per la procedura di riconoscimento dello status di rifugiato e’ opportuno che si tenga in considerazione il processo di progressiva armonizzazione, in ambito europeo, avviato con l’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, il riconoscimento del diritto d’asilo costituzionale (per i casi che esulino dalle previsioni della Convenzione), di competenza del giudice ordinario, non necessita della definizione accurata di una specifica procedura. E’ necessario pero’ che si stabilisca esplicitamente, estendendo il principio di non refoulement garantito dalla Convenzione di Ginevra, che lo straniero che abbia presentato richiesta di riconoscimento del diritto d’asilo al giudice non possa essere allontanato dal territorio dello Stato senza il preventivo nulla-osta del giudice stesso. E’ opportuno poi che a tale straniero siano applicate le misure di assistenza previste per il richiedente asilo ex-Convenzione e che, ove gli sia riconosciuto il diritto d’asilo costituzionale, goda degli stessi diritti del rifugiato (con l’eccezione del diritto di ottenere lo specifico documento di viaggio previsto dalla Convenzione di Ginevra).

 

 

Commissione per il riconoscimento dello status di rifugiato

 

E’ necessario che la Commissione per il riconoscimento dello status di rifugiato sia costituita da personale qualificato ed operi in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione. I membri della Commissione devono essere collocati fuori ruolo per il periodo di durata della carica e non devono poter accedere, per lo stesso periodo, a cariche elettive.

 

La Commissione deve essere strutturata in modo da rispondere efficacemente e rapidamente alla domanda di protezione avanzata dai profughi che giungano in Italia. A questo scopo puo’ essere prevista la creazione di una diramazione periferica della struttura o la dislocazione occasionale, in caso di afflussi rilevanti e concentrati, di una sua sezione centrale. In ogni caso, deve essere garantita la qualita’ della formazione e dell’aggiornamento dei membri, come pure la partecipazione, con compiti consultivi, alle sedute della Commissione e delle sue sezioni (o diramazioni periferiche) di un rappresentante dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati.

 

 

Pre-esame delle domande

 

Il primo elemento da assicurare e’, ovviamente, la concreta possibilita’, per lo straniero, di accedere alla procedura di esame della domanda, di essere pienamente informato riguardo allo svolgimento della procedura stessa e di fruire di supporto legale e, ove necessario, dell’assistenza di un interprete.

 

E’ possibile, per evitare che la presentazione di una domanda d’asilo costituisca un meccanismo di aggiramento delle norme sull’immigrazione, definire una procedura di pre-esame della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato. Tale pre-esame, effettuato da un delegato qualificato della Commissione, deve essere orientato all’individuazione delle domande inammissibili ovvero manifestamente infondate.

 

In accordo con le definizioni adottate nella recente “Proposta di direttiva sugli standard minimi delle procedure per il riconoscimento e la revoca dello status di rifugiato” (presentata dalla Commissione europea), una domanda sara’ considerata inammissibile se il richiedente proviene da un paese che gli garantisce protezione dal rischio di persecuzione, o che e’ disposto a riammetterlo sul proprio territorio e ad esaminare la richiesta di protezione in condizioni di sicurezza. La domanda sara’ invece considerata manifestamente infondata se le ragioni addotte a sostegno della richiesta non hanno alcuna correlazione con quelle alla base del diritto d’asilo; se una richiesta d’asilo da parte dello stesso straniero e’ stata gia’ respinta e nessun fatto nuovo viene presentato a sostegno della nuova richiesta; se la richiesta e’ avanzata, senza validi motivi, successivamente alla convalida da parte del magistrato di un provvedimento di espulsione o alla scadenza dei termini per la presentazione del ricorso avverso lo stesso provvedimento; se l’identita’ del richiedente risulta fraudolentemente contraffatta.

 

Qualora una domanda sia considerata inammissibile, il richiedente puo’ essere inviato nel paese disposto ad accordargli protezione ovvero a esaminare la sua richiesta di protezione. Deve essere in ogni caso garantito il rispetto del principio di non refoulement, anche rispetto alla possibilita’ di esito negativo dell’esame, nel paese di invio, della richiesta di protezione. Nei casi in cui non si possa procedere all’invio nel paese terzo entro un tempo brevissimo (es.: dieci giorni), il richiedente dovra’ essere ammesso provvisoriamente nel territorio dello Stato per un tempo predeterminato. Trascorso tale tempo senza che sia stato possibile l’invio del richiedente nel paese terzo in condizioni di sicurezza, lo Stato italiano dovra’ esaminare la sua richiesta di asilo.

 

Quando la domanda sia considerata manifestamente infondata, il richiedente deve avere la possibilita’ di far riesaminare la decisione dal giudice ordinario prima che si proceda al suo eventuale allontanamento dal territorio dello Stato. Si puo’ dar luogo, in questi casi, al trattenimento del richiedente fino a decisione del giudice (prevedendo, corrispondentemente, un tempo definito per l’assunzione di tale decisione).

 

Possono essere stabilite per legge eccezioni all’effetto sospensivo del ricorso sul provvedimento di allontanamento. In questo caso, pero’, in accordo con i contenuti della citata “Proposta di direttiva” della Commissione europea, il richiedente deve avere la possibilita’ di chiedere il differimento dell’allontanamento fino alla decisione del giudice. L’adozione, anche in questi casi di eccezione, di un provvedimento di trattenimento, con conseguente convalida da parte del giudice, consente di individuare proprio nel giudice della convalida l’autorita’ preposta alla decisione sulla richiesta di differimento presentata dallo straniero.

 

Resta impregiudicata, per lo straniero, la possibilita’ di presentare richiesta di riconoscimento del diritto d’asilo costituzionale. L’allontanamento dello straniero dal territorio dello Stato deve, in questo caso, come gia’ detto, essere condizionato al consenso del giudice.

 

Resta altresi’ impregiudicata la possibilita’, per lo straniero la cui domanda sia stata considerata inammissibile o manifestamente infondata, di accedere alle misure di protezione complementare previste in caso di impossibilita’ temporanea di allontanamento (vedi sotto).

 

 

Assistenza del richiedente asilo e accesso al lavoro

 

Uno dei problemi principali derivati, in questi anni, dal mancato aggiornamento di una normativa, in materia di asilo, non piu’ adeguata agli odierni fenomeni di migrazione forzata, e’ costituito dalle limitatissime misure di assistenza previste per i richiedenti asilo. Il contributo di cui puo’ fruire oggi il richiedente asilo e’ infatti assai limitato, sia quanto a importo giornaliero (34000 lire), sia quanto a durata dell’erogazione (quarantacinque giorni). Non e’ prevista, inoltre, dalla normativa vigente, la possibilita’, per il richiedente, di svolgere attivita’ lavorativa o di studio.

 

E’ necessario che questa lacuna sia colmata, prevedendo una copertura assistenziale, per il richiedente che ne abbia bisogno, per tutta la durata della procedura di esame della domanda (ricorsi inclusi), come pure la possibilita’ di accesso ad attivita’ di lavoro subordinato o autonomo o di studio quando la durata della procedura (ricorsi inclusi) ecceda un limite prefissato.

 

E’ da osservare come la definizione di una procedura di pre-esame dissuada da un ricorso massiccio e abusivo alla presentazione di domande di asilo, e preservi dal rischio che l’accesso del richiedente asilo a forme di assistenza o ad attivita’ lavorativa comporti, nei fatti, un aggiramento delle norme sulla programmazione dei flussi migratori.

 

 

Decisione sulla domanda di asilo

 

Nei casi in cui la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato (o del diritto d’asilo costituzionale) sia respinta, deve essere verificato, prima di procedere all’eventuale allontanamento del richiedente dal territorio dello Stato, che tale allontanamento non ne metta a rischio l’incolumita’ o il godimento dei diritti fondamentali. Laddove un tale rischio sussista, e’ necessario che allo straniero sia accordata una forma di protezione temporanea, complementare a quella prevista in relazione al diritto d’asilo. Tale protezione dovrebbe consistere nella concessione di un permesso di soggiorno per “asilo umanitario” della durata di un anno, rinnovabile finche’ perdura la condizione di impossibilita’ di allontanamento, con facolta’, per il titolare, di svolgere attivita’ di lavoro subordinato o autonomo o di studio. Trascorso il periodo previsto dalla legge (cinque anni), il titolare dovrebbe poter accedere al rilascio di una carta di soggiorno.

 

Il richiedente asilo deve avere inoltre la possibilita’ di impugnare davanti all’autorita’ giudiziaria una decisione sfavorevole sulla domanda da lui presentata. La presentazione di un ricorso sospende l’eventuale provvedimento di allontanamento dal territorio dello Stato e comporta la proroga del permesso di soggiorno per richiesta di asilo.

 

 

Diritti del rifugiato

 

I diritti di cui gode il rifugiato sono regolati dalle disposizioni piu’ favorevoli tra quelle previste dall’ordinamento nazionale per gli stranieri. Il rifugiato dovra’ quindi essere equiparato al titolare di carta di soggiorno per quanto riguarda accesso a lavoro, formazione e studio, e fruizione delle misure di assistenza e previdenza. In considerazione della sua particolare condizione, potra’ poi essere equiparato al cittadino italiano per quanto riguarda l’accesso al pubblico impiego. La legge vigente prevede gia’ che ai fini del ricongiungimento familiare il rifugiato goda di particolari facilitazioni (esonero dalla dimostrazione di requisiti di reddito e alloggio, possibilita’ di coesione familiare sul posto anche per i familiari irregolarmente soggiornanti in Italia). E’ opportuno che per il rifugiato sia allargato il novero dei familiari per i quali e’ possibile chiedere il ricongiungimento (es.: figli maggiorenni, fratelli, etc.). E’ opportuno, infine, prevedere procedure semplificate per il rilascio del visto di ingresso per ricongiungimento familiare, ovvero per visita, ai familiari o, rispettivamente, al convivente more uxorio del rifugiato. Ciascuno di essi potra’ poi accedere, in Italia, alla procedura di riconoscimento dello status di rifugiato sulla base del vincolo stabilito col rifugiato gia’ riconosciuto; l’esame di tali domande potra’ essere condotto con procedura semplificata.

 

 

Cessazione del diritto d’asilo

 

Durante i primi cinque anni dal riconoscimento dello status di rifugiato la Commissione puo’ esaminare se permangano le condizioni che hanno determinato il riconoscimento dello status. Qualora tali condizioni siano venute meno o quando sia verificata una delle clausole di cessazione dello status di rifugiato previste dalla Convenzione di Ginevra, la Commissione dichiara cessato il diritto d’asilo. Lo straniero ha il diritto di impugnare davanti all’autorita’ giudiziaria la decisione di cessazione. La presentazione del ricorso sospende l’eventuale allontanamento dello straniero e comporta il mantenimento dello status fino alla decisione sul risorso stesso. In ogni caso, lo straniero puo’ convertire il permesso di soggiorno per asilo in altro permesso per il quale possegga i requisiti, ovvero, se e’ in possesso di carta di soggiorno, conservarne la titolarita’.

 

Trascorsi cinque anni dal riconoscimento del diritto d’asilo, allo straniero e’ rilasciata una carta di soggiorno; si prescinde dagli usuali requisiti previsti dalla legge.