Anticipazioni Dossier Statistico Immigrazione 2001

Roma, Sala Stampa Estera, 2 marzo 2001

 

Relazione di Franco Pittau

Coordinatore del “Dossier Statistico Immigrazione”

 

 

 

            Per presentare, in estrema sintesi, i cambiamenti conosciuti dall’immigrazione in Italia nel corso del 2000, in linea generale si può rispondere che la più recente evoluzione in pratica aiuta a leggere con maggiore chiarezza aspetti del fenomeno che già in parte si conoscevano ma non con la stessa evidenza. Oggi possiamo interpretare con maggiore consapevolezza ciò che è avvenuto nel corso degli anni ’90.

 Scendendo poi nel dettaglio si possono individuare, nel nuovo scenario, quattro punti estremamente significativi:

1.   Una dimensione quantitativa di tutto rispetto nel panorama europeo

2.   L’Italia come laboratorio avanzato di convivenza interculturale: la globalizzazione etnica

3.   Simbiosi tra immigrazione e mondo del lavoro destinata ad aumentare

4.   Modelli territoriali di integrazione: una presenza più diffusa e più stabile ma differenziata

 

 

1. Una dimensione quantitativa di tutto rispetto nel panorama europeo

 

Alla fine di dicembre 2000 sono risultati registrati un milione e 338 mila soggiornanti stranieri: aggiungendo i minori e i permessi ancora in corso di registrazione si arriva a sfiorare se non a superare un milione e 700 mila persone secondo la stima del “Dossier”.

Secondo le registrazioni finora effettuate, l’aumento dei soggiornanti intervenuto nel corso del 2000 è stato di 138.000 unità,  al netto di chi era residente e ha lasciato l’Italia o di chi era venuto per rimanere solo temporaneamente: non bisogna, infatti, dimenticare che l’immigrazione è una realtà che per definizione è caratterizzata dalla mobilità.

Anche basandosi sui dati più consolidati degli immigrati iscritti nell’anagrafe come residenti, l’aumento annuale supera ormai da 5 anni le 100.000 unità l’anno. Secondo una prima stima del “Dossier”, i nuovi arrivi per motivi stabili sono stati nel 2000 circa 135.000 e ad essi si aggiungono i figli di immigrati nati in Italia (circa 30.000).

Sarà prudente attendere dal Centro Elaborazioni Dati del Ministero dell’Interno la verifica dei nuovi dati, anche perché un certo numero di permessi risulta ancora da registrare. Però fin da ora si può dire che l’Italia è un grande paese di immigrazione, il quarto dell’Unione Europea, specialmente in forza dell’accentuato ritmo di aumento, che dal 1991 al 2000 ha consentito un raddoppio. Senza dubbio questa tendenza sarà più vivace nel corso del nuovo secolo, quando inizieranno a farsi sentire in maniera più marcata le conseguenze del nostro calo demografico.

Quanto all’incidenza degli immigrati sulla popolazione residente, l’anno venturo anche l’Italia supererà la soglia del 3% (ora siamo al 2,9%) e tra due anni la presenza effettiva straniera sfiorerà o supererà i due milioni di persone.

E’ tempo, quindi, di prendere atto che siamo diventati una terra di immigrazione stabile e di tirare le conclusioni più coerenti a livello di politiche da condurre. Negli stati più industrializzati, a partire dagli Stati Uniti, il fenomeno dell’immigrazione è strettamente congiunto con quello della globalizzazione e si presenta come un segno di modernità.

Perciò è fuori posto concludere che quello italiano sia un caso anomalo rispetto a quanto avviene nell’Unione Europea. Quanto a numero di immigrati siamo lontani dai 7 milioni e 300 mila della Germania, dai circa 4 milioni della Francia ma non così tanto dalla Gran Bretagna, che ha una popolazione immigrata di 2 milioni  e 207 mila. In questi grandi paesi  l’incidenza sulla popolazione residente è più alta rispetto e anche la media dell’Unione Europea (5%) è di due punti superiore rispetto all’Italia.

Pur nella difficoltà di comparare dati nazionali, acquisiti attraverso diversi sistemi di rilevazione, quanto ai nuovi ingressi sembra che l’Italia abbia superato la Francia e non è così lontana dalla Gran Bretagna (più di 200.000 nuovi ingressi l’anno), mentre resta distanziata dalla Germania (più di 600.000 l’anno, in buona misura anche per lavoro temporaneo).

 

2.   L’Italia come laboratorio avanzato di convivenza interculturale: la globalizzazione etnica

 

L’Italia, crocevia tra Europa, Asia e Africa e legata da forti rapporti con il continente americano, accoglie una presenza straniera molto diversificata quanto a provenienze nazionali.

Da vari anni la composizione continentale rimane caratterizzata allo stesso modo:   40% europei, 30%  africani, 20% asiatici e 10% americani.

All’interno di ciascun continente, però, sono in atto delle modifiche quanto ai paesi di provenienza:

-     i comunitari scendono al 10,8% sul totale delle presenze, la percentuale più bassa in tutti gli Stati membri, e i nordamericani al 3,6%;

-     tra gli europei dell’Est è crescente il peso degli immigrati balcanici

-     l’Africa del Nord mantiene un ragguardevole 18,5% e l’Estremo Oriente il 10,3%, livello peraltro già raggiunto nel 1990;

-     aumentano  la loro incidenza l’Europa dell’Est (27,4%) e il Subcontinente Indiano (7,5%).

Se ci riferiamo all’aumento intervenuto negli ultimi anni, le percentuali più rilevanti spettano al Subcontinente Indiano, all’Europa dell’Est e all’Estremo Oriente. Rispetto all’aumento dell’ultimo anno del 10,9%, paesi come  Cina , India e Bangladesh per l’Asia, e come Albania, Macedonia e Romania nell’Est per l’Europa hanno conosciuto aumenti eccezionali che vanno oltre il 20%.

Marocco, Albania, Romania, Filippine e Cina sono i primi cinque paesi, che tra l’altro   rafforzano la loro quota sul totale delle presenze (37,1% rispetto al 32,6% del 1998): tra di essi non vi sono più gli Stati Uniti, la Romania scalando cinque posizioni è passata al terzo posto e come quinta si è inserita la Cina, precedendo Usa e Tunisia. Il Marocco sfiora i 160.000 soggiornanti registrati (ma è di 194.000 la stima dell’effettiva presenza) e l’Albania supera i 142.000 (stima effettiva:  173.000), mentre Romania, Filippine e Cina stanno a quota 68.000/60.000 (stima effettiva 83.000/73.000).

Continua ad essere vero l’assunto che l’Italia è un crogiolo di nazionalità, così come avviene negli Stati Uniti, mentre in altri paese il grosso delle presenze è costituito da poche nazionalità..

Sulla base delle previsioni dei demografi, possiamo mettere in conto un ulteriore cambiamento di questo panorama perché la quota di pertinenza dei paesi dell'Africa Subsahariana (attualmente il 10%) è destinata ad aumentare a seguito del forte aumento demografico dell’area.

Quando di parla delle prospettive della società interculturale è a queste differenti provenienze che bisogna pensare come base per le politiche da condurre, politiche che, se ben finalizzate, consentono di fare dell’Italia un laboratorio avanzato di convivenza, caratterizzata com’è da un grado così accentuato di “globalizzazione etnica”.

 

1.   Simbiosi tra immigrazione e mondo del lavoro: un milione di lavoratori immigrati

 

Quasi 3 su 10 soggiornanti hanno il permesso di soggiorno per motivi familiari e altri 6 per motivi di lavoro: in altre parole si tratta di una immigrazione fortemente stabile. Le donne (il 46% del totale) sono maggiormente rappresentante tra i 355.00 soggiornanti per motivi familiari (8 su 10), gli uomini tra gli 851.000 soggiornanti per motivi di lavoro (7 su 10). Rispetto allo scorso anno si riscontrano 47.000 persone in più per motivi familiari (ma sarebbero di più tenendo conto dei minori non registrati a titolo personale) e di 94.000 unità in più per motivi di lavoro.

Se si tiene conto che anche le persone presenti per ricongiungimento familiare possono esercitare un’attività lavorativa, la forza di lavoro immigrata supera potenzialmente il milione di unità ( oscillando tra il 3,7 e il 4,3% della forza lavoro totale: 23,3 milioni di unità ). Appare così con evidenza come l’impatto sul mondo del lavoro sia ben più consistente dell’impatto sulla popolazione residente (2,9%) e come la presenza immigrata sia innanzi tutto una questione lavorativa.

Per i comunitari, invece,  non sussiste questa condizione di bisogno , in quanto solo il 45,3% è presente in Italia per motivi di lavoro: in particolare uno su cinque ha fatto dell’Italia il suo paese di residenza elettiva.

            Ogni 10 persone presenti per lavoro subordinato ve ne è una che svolge lavoro autonomo. I lavoratori autonomi sono complessivamente 87.000, pari al 6% dell’intera popolazione straniera. Tra di essi la differenza dei sessi è ancor più accentuata, perché è donna appena una su cinque.

            L’Italia ha bisogno di questi lavoratori oppure vengono lasciati entrare per fare i disoccupati? Le rilevazioni degli uffici di collocamento (più di 200.000 immigrati iscritti a partire dal 19998) sono, come risaputo, scarsamente indicative perché l’iscrizione viene effettuata anche al fine di poter fruire di vantaggi di altro genere. Gli schedari del Ministero dell’Interno registrano solo 79.000 soggiornanti iscritti al collocamento o in attesa di occupazione, di cui il 45% donne). Se l’indice di disoccupazione si dovesse calcolare con riferimento al numero dei soggiornanti per motivi di lavoro, il tasso di disoccupazione medio sarebbe appena del 10% (11,3% per gli uomini e 9,8% per le donne, con una posizione di maggior favore per le immigrate a differenza di quanto avviene per le donne italiane). Queste considerazioni mostrano, comunque, che, in controtendenza con quanto solitamente si pensa, si è in presenza di un maggiore dinamismo occupazionale anche se questo, come avviene anche per gli italiani, trova spesso sbocco nel settore del lavoro nero, come hanno posto in evidenza l’Istat e altre ricerche.

Indubbiamente tale dinamismo potrebbe essere ulteriormente favorito dai collegamenti più efficaci tra i mercati del lavoro locale perché la disponibilità alla mobilità, un bene specifico che l’immigrato porta con se al suo arrivo in Italia, è ovviamente un bene di breve durata e solitamente si perde dopo due/tre anni, quando  molteplici legami possono rendere l’immigrato sedentarizzato.   

Una maggiore flessibilità è indubbiamente favorita anche dalla possibilità di trovare in loco l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, come del resto prevede la legge 40/1998 attraverso la forma di sponsorizzazione e quella, meno praticata, di “autosponsorizzazione” (iscrizione in apposite liste all’estero per la ricerca di un posto di lavoro).

Disponiamo finalmente delle prime statistiche ufficiali su questo nuovo meccanismo di collocamento. Al 31 dicembre 2000 risultano soggiornare per “prestazione di garanzia”, prestata da parte di una persona residente in Italia, circa 12.000 immigrati, di cui il 31%: il numero è inferiore alle 15.000 persone autorizzate perché la loro statisticazione è iniziata con ritardo. La statisticazione è stata quanto mai opportuna perché, a distanza di un anno, quando andranno in scadenza i permessi inizialmente rilasciati, si potrà meglio conoscere l’esito incontrato da questa particolare formula di inserimento nel mercato occupazionale. L’équipe del “Dossier” si propone di condurre un approfondimento dei vari aspetti lavorativi in stretto collegamento e con il sostegno della Direzione generale dell’impiego del Ministero del lavoro.

 

4. Modelli territoriali di integrazione

 

            Anche i nuovi dati confermano la tendenza all’insediamento territoriale, per cui le due aree del Nord svolgono una funzione di calamita per le forti potenzialità occupazionali e arrivare alla quota del 55% della presenza  totale alla fine del 2000.

Il Centro Italia conserva il 30% delle presenze  ed esercita una forte attrazione culturale e di inserimento nei servizi nell’area romano-laziale, mentre la Toscana offre ulteriori spazi di inserimento in vari settori produttivi.

Il Meridione perde, invece, alcuni  punti percentuali, acquisiti in occasione dell’ultima regolarizzazione.

Sono 35 (cinque in più dell’anno scorso) le province italiane con più di 10.000 immigrati adulti. La provincia di Roma resta la capitale dell’immigrazione  (223.000 soggiorni registrati), ma quella di Milano è meno distante (174.000), mentre il Lazio (246.000) viene staccato sempre più dalla Lombardia (308.000).

Sottoponendo a rivalutazione i dati registrati dal Ministero dell’Interno, arriviamo a una presenza di 925.000 immigrati nel Nord, di 513.00 nel Centro e di 248.000 nel Meridione.

Si rinviene una dimensione radicata dell’immigrazione in tutte le aree del paese, seppure con una diversa incidenza sulla popolazione: uno ogni cento abitanti nel Meridione, tre volte di più nel Nord Ovest e quattro volte di più nel Centro e nel Nord Est.

            L’area di più forte attrazione dell’immigrazione si colloca al di sopra di Roma, in direzione  Nord, e coinvolge anche alcune Regioni del Centro. Lo sbocco più intenso si concentra in un quadrilatero, costituito da un certo numero di province del Triveneto, della Lombardia, dell’Emilia Romagna, della Toscana e delle Marche, e cioè da quelle aree nelle quali la realtà produttiva e occupazionale è più forte. Le province che hanno conosciuto un aumento annuale superiore al 15% sono (in ordine di crescita): Firenze, Forlì, Prato, Ancona, Pordenone, Milano, Treviso, Vicenza, Padova, Trento, Udine, Reggio Emilia).

            Siamo in grado di anticipare i primi dati di una ricerca, che l’équipe del “Dossier” sta conducendo con il patrocinio del CNEL, sulla base di una trentina di indicatori statistici, al riguardo dei diversi modelli di insediamento degli immigrati nelle varie  aree geografiche.

            Il Nord-Est è un’area che riesce ad assorbire i regolarizzati e ad aprirsi ai nuovi flussi e rivela altresì una potenzialità omogenea di accoglienza quanto all’insediamento familiare, alla stabilità di residenza e all’inserimento lavorativo, mentre la debole capacità di risparmio sembra indicare gli alti costi di tale insediamento.

            Nel Nord-Ovest, dove l’insediamento migratorio è di più vecchia data, è palese la dimensione familiare e, salvo in Liguria, è soddisfacente anche l’inserimento lavorativo.

            Nel Centro l’insediamento familiare non è così accentuato, così come non lo sono alcuni indici del processo di integrazione (casi di cittadinanza e matrimoni misti) e le possibilità del mercato occupazionale, mentre è più soddisfacente l’invio delle rimesse forse a seguito di una maggiore propensione all’imprenditorialità etnica. L’area romano-laziale è, comunque, ben diversa da quella toscana, perché quest’ultima è più assimilabile al Nord.

Il Meridione funge da polo di attrazione per le regolarizzazioni e per gli sbarchi di emergenza e successivamente da polo di smistamento, sia perché la gente lascia queste regioni dopo aver fatto il proprio progetto migratorio, sia perché è rimpatriata una quota delle persone prima presente per motivi umanitari. Le Isole, rispetto alle altre Regioni del Sud, si trovano meglio caratterizzate quanto a stabilità di residenza e inserimento lavorativo, anche nel lavoro autonomo

Le differenze di area trovano composizione all’interno di una comune tendenza dell’immigrazione a una maggiore stabilità e ciò sottolinea l’urgente necessità di potenziare le politiche di integrazione, così che una situazione di fatto possa diventare formalmente assunta dalla società italiana.