Comunità di Sant’Egidio

 

Promemoria su rinnovo dei permessi di soggiorno, lavoro autonomo e completamento dei procedimenti di regolarizzazione

 

L’obiettivo di mantenere la stabilità della permanenza legale

Il rinnovo dei permessi di soggiorno scaduti di recente o in scadenza nei prossimi mesi pone,  in una dimensione sinora mai emersa, una questione centrale per qualsiasi politica dell’immigrazione che intenda coniugare riconoscimento dei diritti degli immigrati e rispetto delle regole del paese di inserimento: si tratta in particolare di prendere attentamente in considerazione e valutare tempestivamente le conseguenze che potrebbero scaturire dall’affermarsi di una prassi applicativa che subordina il rinnovo del permesso di soggiorno alla attualità della condizione di lavoratore occupato.

Va detto subito che una prassi del genere, oltre ad essere contrastante con la  volontà del legislatore, è potenzialmente idonea a costringere in una nuova condizione di irregolarità un numero considerevole di immigrati che sono regolarmente presenti nel paese, esprimono il desiderio di integrarsi, rispettano le regole della convivenza civile; si tratta di migliaia di persone che si stanno misurando faticosamente con quelle incertezze e difficoltà che costituiscono non da oggi caratteristiche strutturali del mercato del lavoro, nel tentativo di emergere da forme di occupazione marginale o semplicemente da attività discontinue nel tempo.

La questione è opportunamente segnalata anche di recente nella bozza del documento programmatico approvata dal Consiglio dei Ministri il 15.12 2000, in via di definitiva approvazione, laddove tra gli obiettivi riguardanti l’integrazione viene indicato anche il “Mantenere la stabilità della permanenza legale, evitando automatismi nell’applicazione della legge che possano produrre ricadute nell’illegalità e l’adozione di misure dirette a realizzare una maggiore semplificazione amministrativa delle procedure”.  

 

            Le dimensioni quantitative del problema

            Quanti sono gli immigrati che rischiano di ricadere, o per la prima volta cadere, nell’irregolarità ?

Essenzialmente la questione riguarda tutti gli stranieri regolari il cui permesso di soggiorno è stato rilasciato con la motivazione “iscrizione liste di collocamento”.

Secondo i dati forniti dal Ministero dell’Interno al 31 dicembre 1999 risultava che questo permesso era stato rilasciato a circa 80.000 stranieri; alla stessa data il Ministero del Lavoro fornisce invece la cifra di 204.573 cittadini extracomunitari iscritti al collocamento.

E’ possibile che questa divergenza e la più alta stima elaborata dal Ministero del Lavoro derivi dalle diverse fonti informative utilizzate (le motivazioni indicate nei permessi rilasciati dalle questure per il Ministero dell’Interno piuttosto che il numero di immigrati iscritti al collocamento utilizzato dal Ministero del Lavoro); in particolare va notato che la stima di quest’ultimo potrebbe risultare accresciuta dal fatto che possono restare iscritti al collocamento anche i lavoratori part-time quando siano impegnati per meno di 20 ore settimanali oppure quelli impiegati in agricoltura se non hanno raggiunto il numero minimo di giornate lavorative annuali.

Allo stesso modo va considerato che un numero significativo di immigrati vengono impiegati, per esempio nel lavoro di assistenza e di cura alla persona, con rapporti di collaborazione coordinata e continuativa che non escludono la permanenza dell’iscrizione al collocamento.

Inoltre tutto il lavoro degli immigrati è connotato da una forte mobilità territoriale, spesso anche a distanza di anni dal momento iniziale di ingresso nel paese si continua a lavorare in luoghi e regioni diverse per periodi successivi nell’arco annuale, non solo da parte di quanti sono impiegati in attività lavorative stagionali.

In altri termini per tutte le ragioni sin qui richiamate va considerato che non tutti gli immigrati iscritti al collocamento sono completamente e continuativamente disoccupati nell’arco dell’anno, mentre certamente esistono una serie di situazioni di “compresenza” dell’iscrizione e di lavori regolari, seppure non a tempo pieno o discontinui nell’arco annuale.

Ovviamente la divergenza tra immigrati iscritti al collocamento come disoccupati e dimensioni effettive della disoccupazione è accresciuta dall’area del lavoro irregolare, come del resto intuitivo se solo si considera l’impiego diffuso di manodopera immigrata in alcuni settori economici, edilizia ed agricoltura in primo luogo, da sempre interessati da forme di occupazione precaria ed irregolare e di conseguenza connotati da livelli significativi di evasione fiscale e contributiva.

Di questo fenomeno gli immigrati sono, vale la pena ricordarlo, le prime vittime, costretti a forma di occupazione precaria che li priva delle tutele previdenziali ed assicurative essenziali e purtroppo li espone, come i dati più recenti e le cronache quotidiane evidenziano, anche ad infortuni sul lavoro gravi e frequenti.

Anche considerando che non tutti gli immigrati iscritti al collocamento possono considerarsi effettivamente disoccupati e che quindi la cifra di oltre 200.000 sia sovrastimata rispetto ai disoccupati effettivi, comunque il numero di quanti si presentano privi di occupazione al momento del rinnovo del permesso di soggiorno è certamente significativo e probabilmente non inferiore alle 150.000 unità.

Si tratta di immigrati che sono ormai regolarmente presenti nel paese dal almeno 4 o 5 anni.

Soprattutto va sottolineato che la questione diviene particolarmente urgente se si considera che sono da poco scaduti o andranno in scadenza nei prossimi mesi un numero significativo di permessi di soggiorno rinnovati una prima volta solo per un anno a chi a quel momento risultava disoccupato.

In altri termini se è vero che attualmente il problema riguarda almeno 150.000 immigrati, è anche vero che in assenza di risposte tempestive ed adeguate questo numero nei prossimi mesi è destinato rapidamente a crescere.

 

Una prima risposta al problema : attuare il rinnovo dei permessi in  conformità ai principi ed alle disposizioni contenute nella nuova normativa

Con l’approvazione del D. Lgs. n.286 / 1998 il legislatore si è dimostrato avvertito della complessità del problema ed ha predisposto strumenti di integrazione ed insieme di verifica della permanenza dei requisiti di legge duttili ed appropriati alle peculiari condizioni di vita degli immigrati, soprattutto nelle fasi di primo inserimento.

Il rinnovo del permesso di soggiorno è disciplinato dalle disposizioni contenute agli artt.5 comma 4^ e 5^ e 22 comma 9^ del D. Lgs. n.286 / 1998 e  dall’art. 13 del DPR. n.394 / 1999.

Dalle norme richiamate emerge un sistema regolato da due principi tra loro coordinati :

- per ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno è necessario dimostrare di essere in possesso dei requisiti già richiesti al momento del primo rilascio (l’art.5 comma 4^ citato); vale a dire, così come indicato all’art.4, del passaporto, del visto di ingresso ove richiesto, dei mezzi di sussistenza in proporzione della durata del permesso e nella misura indicata nella direttiva ministeriale;

- l’autorità competente può legittimamente rifiutare il rinnovo quando accerti la carenza di uno di questi requisiti, con esplicita esclusione però tra questi della condizione attuale di lavoratore occupato (in tal senso l’art. 5 comma 5^ nella parte in cui si riferisce all’art. 22 comma 9^) .

Questa esclusione è stabilita inequivocabilmente dal riferimento contenuto nell’art.5 comma 5^ a quest’ultima disposizione secondo la quale “La perdita del posto di lavoro non costituisce motivo per privare il lavoratore extracomunitario ed i suoi familiari legalmente residenti del permesso di soggiorno”.

Dal richiamo a queste disposizioni emerge chiaramente che il legislatore ha pienamente avvertito il rischio che la perdita del lavoro potesse comportare per l’immigrato la caduta o ricaduta nell’irregolarità e ha impedito con le norme richiamate un’eventualità del genere nell’unico modo possibile: escludendo inequivocabilmente che possa essere legittimamente rifiutato il rinnovo del permesso di soggiorno a motivo dello stato di disoccupazione.

 Anzi il legislatore ha espresso questa intenzione con riferimento a due possibili minacce alla stabilità della regolarizzazione, escludendo che la sopravvenuta condizione di disoccupato possa legittimamente motivare sia la revoca del permesso di soggiorno in vigenza dello stesso (art.22 comma 9^), sia il rifiuto al rinnovo tempestivamente e ritualmente richiesto alla scadenza (art. 5 comma 5^).

Per queste ragioni qualsiasi prassi che invece subordini il rinnovo all’attualità della condizione di occupato si pone in contrasto evidente con la nuova normativa introdotta dal D.Lgs. n. 286 / 1998.

            Su un piano affatto diverso si pone invece l’onere dello straniero, al momento del rinnovo, di fornire “informazioni ed atti comprovanti la disponibilità di un reddito da lavoro o da altra fonte legittima, sufficiente al sostentamento proprio e dei familiari conviventi nel territorio dello stato” (art. 6 comma 5 D.Lgs. n.286/1998).

La ragioni della diversità è duplice: prima di tutto si tratta di un onere eventuale, che sorge solo a seguito di richiesta motivata dell’autorità di pubblica sicurezza formulata in presenza di fondate ragioni; con questo appare evidente l’intenzione del legislatore di escludere che questo onere si trasformi in una prassi generalizzata, sulla base di una sorta di equazione secondo la quale alla condizione di disoccupato corrisponderebbe un sospetto di illiceità delle fonti di sostentamento.

In secondo luogo l’onere è assolto validamente non necessariamente fornendo la prova dell’occupazione attuale, perché con questa interpretazione si finisce per reintrodurre surrettiziamente ciò che il legislatore ha esplicitamente escluso con le disposizioni di cui all’art. 5 comma 5 e 22 comma 9, ma indicando invece una fonte di sostentamento comunque lecita.

 Questa è sussistente anche se il richiedente il rinnovo è disoccupato, ma ad esempio ha in passato svolto attività lavorativa che gli ha ragionevolmente consentito forme di risparmio, oppure svolge attività saltuaria o precaria ma che comunque è da considerarsi lecita per chi effettua la prestazione lavorativa, oppure ancora può avvalersi di forme di aiuto e sostegno gratuito provenienti dal gruppo familiare, amicale, da associazioni di volontariato o comunque dal contesto in cui è inserito.

In tutti questi casi non c’è motivo per ritenere che l’onere richiesto non sia stato validamente assolto.

Per altro, proprio in considerazione della difficoltà a comprovare tempestivamente la disponibilità di reddito da lavoro o da altre fonti lecite, l’art.13 comma secondo del DPR.31.8.1999 n.394, ha anche previsto che il rinnovo del permesso di soggiorno sia rilasciato sulla base della documentazione attestante la disponibilità di un reddito da lavoro o da altra fonte lecita e che l’attestazione del possesso dei requisiti possa essere accertata d’ufficio anche con una dichiarazione temporaneamente sostitutiva resa dal diretto interessato.

            Nonostante sia questo il disposto normativo, nell’esame delle richieste di rinnovo sta prevalendo in molte questure una prassi che risulta in contrasto insanabile con i principi richiamati : in assenza di occupazione documentata al momento del rinnovo, il permesso di soggiorno viene rinnovato solo per un anno e non più di una volta.

Poiché in molti casi il primo rinnovo è già stato effettuato e sta andando in scadenza il periodo annuale conseguente, se questa prassi dovesse permanere e si ritenesse che un secondo rinnovo non è possibile in assenza di occupazione, la stima di 150.000 nuovi irregolari nell’arco del prossimo anno risulterebbe purtroppo realistica.

A Roma ad esempio per rinnovare il permesso di soggiorno in assenza di occupazione attuale viene richiesta la disponibilità di un datore di lavoro ad assumere il cittadino straniero, la dichiarazione deve essere fatta negli uffici dell’INPS, viene concesso un permesso di soggiorno di tre mesi per verificare successivamente l’effettivo pagamento dei contributi.

In questo modo si è introdotta di fatto una procedura complessa, che relega l’immigrato nella condizione di irregolarità e di continua instabilità e contrasta profondamente con la nuova normativa che ha invece previsto un percorso di inserimento definitivo dopo cinque anni di presenza regolare con la possibilità di ottenere la “carta di soggiorno”.

In particolare questa prassi risulta in contrasto con la nuova normativa per due ragioni:

a)     introduce di fatto il requisito dell’occupazione attuale come condizione del rinnovo;

b)    non consente di provare il possesso di mezzi leciti di sostentamento, almeno in forma provvisoria, nei modi consentiti dall’art.13 comma secondo del DPR. n.394 / 1999.

Le proposte che consentono di superare il problema sin qui richiamato sono così sintetizzabili:

  1. in coerenza con le disposizioni normative richiamate (artt.5 comma 5 e 22 comma 9 del D.Lgs.25 luglio 1998 n.286), tra i requisiti necessari al rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro non deve essere inclusa l’attualità della condizione di occupato;
  2. la disponibilità dei mezzi di sostentamento può risultare comunque comprovata dall’indicazione di una fonte lecita anche diversa dai proventi di lavoro subordinato o autonomo (risparmio, sostegno proveniente da soggetti pubblici o privati, presa in carico del soggetto dal gruppo familiare);
  3. secondo quanto previsto dall’art.13 del DPR. n. 394 / 1999 la documentazione attestante la disponibilità di mezzi idonei al sostentamento proprio e dei familiari può essere validamente sostituita in via provvisoria dalla dichiarazione del richiedente ;
  4. tra i requisiti per i quali è possibile rilasciare dichiarazione sostitutiva risulta ragionevole anche l’inclusione della disponibilità dell’alloggio, viste le difficoltà di frequente incontrate a comprovare l’utilizzo dell’immobile attraverso la stipula di regolare contratto di locazione.

Una seconda risposta al problema : consentire percorsi di inserimento lavorativo verso forme di lavoro autonomo nel settore del commercio e dell’artigianato.

Tra le innovazioni più significative introdotte dal D.Lgs. 25 luglio 1998 n.286 va certamente ricordato anche il ruolo riconosciuto al lavoro autonomo e la maggiore possibilità di accesso all’attività lavorativa esercitata in questa forma.

Tuttavia a distanza ormai di tre anni dall’approvazione della nuova normativa occorre constatare che le potenzialità offerte dalle nuove disposizioni sono state solo in misura ridotta utilizzate, mentre una concomitanza di fattori ne ha di fatto ostacolato una piena esplicazione.

            Le ragioni del parziale utilizzo delle nuove opportunità offerte dalla normativa sono molteplici e riconducibili a soggetti istituzionali diversi; è tuttavia utile anche solo elencarle in questa sede perché una ragione non secondaria dell’attuale difficoltà a mantenere la stabilità della permanenza legale deriva proprio dagli ostacoli incontrati da molti immigrati che già svolgono o sarebbero interessati a svolgere forma di lavoro autonomo ad organizzare tali attività in maniera  regolare.

Un numero significativo di immigrati lavora da tempo nel settore del commercio ambulante, senza che tuttavia questa attività sia, nella maggior parte dei casi, arrivata a trovare forme stabili e durature.

Un primo ostacolo è direttamente derivante dalle scelte degli enti locali, in particolare dalla difficoltà o resistenze di questi ad individuare ed assegnare aree di suolo pubblico che siano di effettivo interesse per lo svolgimento dell’attività lavorativa; se gli immigrati sono relegati in zone di scarso interesse commerciale, per esempio a Roma fuori dai circuiti turistici, è difficile che questa soluzione possa assicurare loro una stabilizzazione effettiva dell’attività lavorativa. 

Comune al settore del commercio ambulante come dell’artigianato è invece la questione dell’incidenza dei contributi previdenziali e fiscali; questi aspetti incidono fortemente nell’impedire la stabilizzazione del lavoro degli immigrati nel settore e l’emersione di forme di lavoro irregolare.

In particolare la contribuzione previdenziale risulta pesantemente incidente per una duplice ragione: non è presente alcun meccanismo di carico contributivo progressivo nel tempo che faciliti i nuovi ingressi nell’attività lavorativa, il criterio del limite minimo di imponibile a fini contributivi  penalizza fortemente i redditi bassi ai quali, almeno nei primi anni, gli immigrati sono costretti.

Per quanto riguarda il primo aspetto, è chiaro che le aliquote fissate per il 2001 al 16,40% per il lavoro artigiano ed al 16,79% per quello nel commercio sono già in sé incidenti in maniera significativa; va anche considerato che molti stranieri non possono usufruire dell’abbattimento del 50% delle aliquote previsto a chi si iscrive alla gestione per la prima volta per il triennio successivo alla data di iscrizione in quanto hanno superato il 32 anno di età.

Se poi si considera che le aliquote indicate sono calcolate sul limite minimo di imponibile (per il 2001 fissato in £.23.243.896), è chiaro che il carico contributivo diventa insostenibile proprio per i soggetti più deboli.

Infatti un immigrato che nei primi anni di attività lavorativa come ambulante o artigiano arrivi ad un reddito annuale tra i 10  e i 15 milioni, si trova di fatto a corrispondere una contribuzione che incide sul reddito complessivo non più nelle percentuali indicate, ma in misura che va dal 25% al 35% .

Un meccanismo del genere rende obiettivamente assai difficoltosa la stabilizzazione degli immigrati in questi settori di lavoro; un ambulante che per il 2001 raggiunga un reddito annuo di 12 milioni dovrebbe versare contributi previdenziali, per £.3.902.650, quasi il 35% del reddito complessivo.

Se a questo si aggiunge il prelievo fiscale dovuto per IRPEF ed IRAP, il carico complessivo arriverebbe ad incidere per oltre il 55% sul reddito.

Se si vuole consentire effettivamente la stabilizzazione degli immigrati in queste attività lavorative occorre valutare contestualmente più proposte:

  1. studiare formule semplificate per i lavoratori stranieri che svolgono questo tipo di lavori autonomi, anche con prestazioni occasionali, per ridurre al minimo i costi conseguenti agli adempimenti ed alla tenuta della contabilità;
  2. introdurre forme di contribuzione previdenziale proporzionate al reddito effettivamente conseguito e comunque graduate in misura più contenuta nei primi anni di svolgimento delle attività lavorative senza l’attuale limite di età richiesto per usufruire delle riduzioni di aliquota.

 

 

 

 

Il completamento dei procedimenti di regolarizzazione

Contestualmente all’emanazione della legge n.40 del 1998 divenuta successivamente testo unico delle disposizioni sull’immigrazione, uscì il provvedimento di regolarizzazione dei cittadini stranieri presenti in Italia al 27.3.19998 con una possibilità di lavoro  subordinato e autonomo.

Sono state presentate all’epoca, circa 240.000 domande di queste una buona percentuale hanno ottenuto risposta positiva con la concessione del permesso di soggiorno.

L’iter di questa regolarizzazione è stato piuttosto complesso e ha richiesto molte certificazioni agli immigrati e nel contempo sono state date molte indicazioni diverse e contrastanti da parte della pubblica amministrazione rispetto ai documenti da fornire.

Attualmente è ancora sospeso un numero rilevante di domande, probabilmente nell’ordine di 30.000, che attendono una risposta da parte del Ministero dell’Interno.

Anche in questo caso, come quello evidenziato in precedenza,  si tratta di immigrati che hanno un lavoro e una casa, già inseriti e presenti In Italia  da almeno 3 anni.

Una proposta che potrebbe portare finalmente a soluzione il problema, anche tenendo comunque conto delle richieste del mercato del lavoro nazionale, è quella di concedere i relativi permessi di soggiorno senza ulteriori verifiche di documenti.

Infatti dato il notevole tempo trascorso risulta a questo punto assai difficile per i richiedenti produrre ulteriori documenti che per ovvie ragioni non hanno e rischiano di procurarsi commettendo reati di falso.