TRIBUNALE ORDINARIO DI PADOVA
Sezione
Distaccata dì Cittadella
Il Giudice, sciogliendo la riserva assunta, esaminati gli atti del procedimento n 80437/00 R. n.c., preso atto della mancata costituzione della P.A. convenuta e dell'assenza di controdeduzioni, disposta l'integrazione del contraddittorio nei confronti del Ministero dell'Interno in persona del Questore della Provincia di Padova (organo con specifiche competenze in materia di diritto al ricongiungimento), osserva quanto segue. In via preliminare va esaminata una questione non sollevata da alcuna parte ma rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del processo ossia quella della tempestività della opposizione proposta. A tale riguardo si osserva che l'art. 30, ult. cpv., d.lg.vo n. 286/98 non contempla termini di decadenza per la proposizione di domanda contro i provvedimenti dell'autorità amministrativa in materia di diritto all'unità familiare. Né possono essere estesi al presente procedimento le norme in materia di procedimento avanti al giudice amministrativo in quanto non espressamente richiamate e non estendibili analogicamente per un duplice ordine di ragioni. Il primo è costituito dal fatto che il procedimento è sinteticamente disciplinato attraverso il richiamo ai modi di cui agli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile", con esclusione quindi della regolamentazione processuale prevista dalla legge TA.R. sì da dover negare l'applicazione parziale della predetta normativa con riguardo ai soli termini di decadenza dall'azione ovvero dalla L. n. 689/81, artt. 22 e 55., in quanto la materia esula dall'ambito dell'opposizione a ordinanze-ingiunzione ovvero altri provvedimento afflittivi della sfera patrimoniale di un soggetto. Il secondo è rappresentato dal rilievo che il termine perentorio, secondo un principio generale dell'ordinamento espresso dall'art. 152 c.p.c., deve essere espressamente previsto dalla legge e non può essere rimesso all'attività ermeneutica del giudice, il quale è oltretutto vincolato al dettato dell'art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale secondo cui le leggi eccezionali (tali sono le disposizioni che prevedono conseguenze di tipo caducatorio per diritti riconosciuti dall'ordinamento) non possono applicarsi "oltre i casi e i tempi in esse considerati".
Infine
valga sottolineare il fatto che l'art. 30, ult. cpv., d.lg.vo n. 286/98 prevede
la facoltà di ricorso all'a.g.o. avverso una molteplicità di atti
amministrativi (anzi la scelta legislativa è stata proprio quella di non
tipizzarli), non tutti i quali vengono formalmente comunicati ovvero notificati
al legittimato attivo all'azione.
Ad
esempio, nel caso di specie, il diniego di visto ex art. 4, 2° comma, d.lg.vo ult.cit. va comunicato
solamente all'interessato e non deve necessariamente essere portato a
conoscenza secondo forme rituali al coniuge dello stesso, al quale pure spetta
l'azione in concreto esercitata nel presente giudizio: l'interessato di cui
all'art. 29, 8° comma, d.lg.vo n. 286/98, che si deve rivolgere alle
rappresentanze diplomatiche e consolari italiane all'estero per ottenere il
visto di ingresso, non può coincidere con l'interessato di cui all'art.
30, 6° comma, d.lg.vo. ult. Cit. che è il soggetto del risiede
già nel territorio italiano e al quale l'art. 29, l° comma,
riconosce il diritto di ricongiungimento.
Venendo
ad esaminare il ricorso nel merito, questo Tribunale osserva che appare fondata
la doglianza relativa all'eccesso di potere nel provvedimento di diniego del
visto di ingresso al coniuge della opponente da parte del Consolato generale
d'Italia a Casablanca (datato 27.7.2000).
Questo
giudicante osserva che nell'ambito del d.lg.vo 25.7.98 n. 286 l'ingresso nel territorio dello Stato è separatamente
disciplinato per il caso di straniero in possesso di passaporto valido o documento
equipollente (art. 4, titolo Il) e per il caso di ricongiungimento familiare
(art. 29, titolo IV, in materia di diritto all'unità
familiare e tutela dei minori).
La
distinzione si fonda e si giustifica sulla diversità di posizioni
giuridiche soggettive prese in esame dal testo unico
concernente la disciplina dell'immigrazione: nel primo
caso lo straniero gode di un mero interesse legittimo all'ingresso nello Stato
(l'art. 16 della Costituzione riserva il "diritto" di uscire e
rientrare nel territorio della Repubblica al cittadino) mentre nel secondo caso
l'ordinamento giuridico italiano sancisce un vero e proprio diritto alla unità familiare, anche per lo straniero
regolarmente soggiornante in Italia, diritto che trova il suo riflesso costituzionale
nell'art. 29, laddove la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come
società naturale fondata sul matrimonio.
A questa distinzione sostanziale di posizioni giuridiche tutelate consegue una distinzione anche procedimentale (e di competenze) in ordine all'ingresso nel territorio dello Stato. Nel caso disciplinato dall'art. 4 del d.lg.vo n. 286/98 lo straniero che intende entrare nel territorio italiano deve richiedere alle rappresentanze diplomatiche o consolari italiane - nello stato di origine o di stabile residenza - il visto di ingresso (che può essere negato con provvedimento scritto e motivato, impugnabile come atto della pubblica amministrazione): in tali casi la legge prevede che la rappresentanza italiana all'estero verifichi: a) il rispetto delle quote massime di stranieri ammessi, b) la mancata violazione di accordi internazionali, c) lo scopo e le condizioni del soggiorno, d) la disponibilità di mezzi di sussistenza, e) la mancata costituzione di minaccia per l'ordine pubblico ovvero la sicurezza dello Stato.
Nel
caso disciplinato dall'art. 29 del t.u. sull'immigrazione è lo straniero
regolarmente soggiornante in Italia che chiede il ricongiungimento familiare
per il coniuge ovvero altro parente, rivolgendosi alla Questura del luogo di
dimora del richiedente ed indicando, unitamente alla prospettazione della
ragione del ricongiungimento quale scopo dell'ingresso dello straniero al
momento all'estero, a) la disponibilità di alloggio e b) il reddito
annuo sufficiente derivante da fonti lecite.
Il
7° comma del citato art. 29 prevede che il Questore, "verificata
l'esistenza dei requisiti di cui al presente articolo, emette il provvedimento
richiesto, ovvero un provvedimento di diniego del nulla osta"; il comma
seguente aggiunge che "trascorsi novanta giorni dalla richiesta del nulla
osta, l'interessato può ottenere il visto di ingresso direttamente dalle
rappresentanze diplomatiche e consolari italiane, dietro esibizione della copia
degli atti contrassegnata dalla questura, da cui risulti la data di
presentazione della domanda e della relativa documentazione".
Mentre
è chiaro che al Questore è demandata la verifica della esistenza
in capo al richiedente dei requisiti di cui all'art. 29, la norma non specifica
quale sia l'area di accertamento ulteriore riservata alla rappresentanza
diplomatica o consolare italiana all'estero.
La
questione interpretativa conseguente alla cennata omessa previsione (cui si
aggiunge il mancato richiamo ad alcuna delle condizioni elencate nel precedente
art. 4) viene ad essere superata con l'emanazione del d.p.r. 31.8.99 n. 394 (Regolamento
recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la
disciplina della immigrazione e norme sulla condizione dello straniero a norma dell'art. 1, comma 6, del
decreto legislativo 25.798 n. 286).
L'art.
I, 6° comma, testé citato
prevede che il regolamento di attuazione del testo
unico
sull'immigrazione sia emanato ai sensi dell'art. 17, comma 1, della legge 23
agosto 1988 n. 400 ossia per l'attuazione
e l'integrazione delle leggi e dei decreti legislativi recanti norme di
principio, (lettera b) dell'art. 17).
Tale
richiamo espresso al potere attuativo/integrativo della fonte secondaria
regolamentare conferisce a quest'ultima la forza di supplire alla disciplina
normativa primaria nella parte in cui la stessa sia carente ossia, nel caso di
specie, di disporre in ordine alla sfera residua di indagine e accertamento in
capo alla rappresentanza italiana all'estero.
Il
d.p.r. n. 394/99, al capo II, disciplina separatamente il rilascio di visti di
ingresso in generale (art. 5) e il rilascio di visti per ricongiungimento
familiare (an. 6).
L'art.
6 prevede che il richiedente (ossia lo straniero regolarmente soggiornante in
Italia) debba "munirsi preventivamente del nulla osta della Questura"
indicando le generalità del ricongiungente, la propria carta di
soggiorno, la documentazione attestante la disponibilità di reddito e di
alloggio.
Il
primo comma dell'art. 6 del d.p.r. menzionato riproduce sostanzialmente quanto
disposto dall'art. 29 del t.u. Il secondo comma, invece, prevede che la
Questura, oltre a rilasciare ricevuta
della domanda di ricongiungimento e
della documentazione presentata, "verificata la sussistenza degli
altri requisiti e condizioni" rilasci "entro 90 giorni dalla
ricezione, il nulla osta condizionato alla effettiva acquisizione,
da parte dell'autorità consolare italiana, della
documentazione comprovante i presupposti di parentela, coniugio, minore
età o inabilità al lavoro e di convivenza".
La portata della norma è oltremodo significativa: da un lato sancisce chiaramente che l'autorità consolare italiana deve verificare un unico ordine di condizioni (cui è subordinata l'efficacia del nulla osta) ossia quella del presupposto della parentela (del coniugio, ecc.) e della convivenza, dall'altro espressamente prevede che spetti alla Questura la verifica della "sussistenza degli altri requisiti e condizioni
In
verità l'art. 29 del t.u
non contempla ulteriori condizioni rispetto a quelle richiamate dal
1° comma dell'art. 6 del d.p.r. n. 394/99 si che una tale previsione (non
esplicitamente contra legem ma
certamente Ultra legem) potrebbe porre un problema di conflitto tra norma
secondaria e norma primaria da risolversi con un giudizio di prevalenza della
seconda. Questo giudice, peraltro, ritiene che il precetto vada interpretato
attribuendo allo stesso l'unico significato teleologicamente possibile e
costituzionalmente conforme ossia il seguente.
Non
vi è chi non veda come in materia di ricongiungimento familiare
l'ordinamento paia non considerare tre condizioni la cui esistenza deve essere,
invece, accertata nel caso di ingresso di straniero in Italia "non
ricongiungente": 1) rispetto delle quote massime di stranieri ammessi
(art. 3, 4° comma t.u.), 2) rispetto di specifici accordi internazionali,
3) insussistenza di pericolo per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato.
Nel
caso di ricongiungimento, il primo requisito non deve essere esaminato
poiché lo stesso art. 3, 4° comma del t.u. prevede solo che nello stabilire le
quote massime di stranieri da immettere nel territorio dello Stato si tenga
conto dei ricongiungimenti familiari che evidentemente non possono essere
paralizzati sulla motivazione del raggiungimento della quota. Gli altri due
presupposti succitati, invece, non sono affatto menzionati
dall'art. 29 del t.u. e non sono esplicitamente menzionati dall'art. 6 del d.p.r. n. 394/99.
Tuttavia, ritenendo di dover
aderire alle indicazioni di quella giurisprudenza costituzionale secondo cui la
sicurezza dello Stato e l'ordine pubblico rientrano pure fra i beni proLetti
dalla nostra carta costituzionale (artt 1, 2 3, 52 Cost.) e osservando, ulteriormente, che l'art. 10 della
Costituzione impone che lo Stato italiano rispetti gli accordi internazionalmente
assunti, si deve concludere che anche nel caso di ricongiungimento farniliare
lo Stato si riservi le verifiche preventive di sicurezza e di adesione a patti
internazionali: sotto questo profilo assume significativa portata precettiva l'inciso
del comma 2C dell'art. 6 del d.p.r. n. 394/99 il quale però pone a
carico della Questura (e non della rappresentanza consolare all'estero)
l'obbligo di procedere all'accertamento della "sussistenza degli altri
requisiti e condizioni" rispetto a quelli relativi a disponibilità
di reddito e alloggio.
Tale
ricostruzione non è stata confutata da alcuna della P.A. coinvolte in
giudizio:
il
Ministero degli Esteri non si è costituito e nulla ha quindi eccepito al
riguardo; il Ministero dell'Interno in persona di delegato del Questore, pur
sostenendo che la verifica della Questura si limita alla verifica della c.d.
"inammissibilità Schengen", non ha indicato in base a quale
specifica fonte normativa (e quale ne sia la provenienza) l'autorità di
pubblica sicurezza italiana abbia ritenuto di restringere a tal punto l'ambito
delle proprie indagini preventive di tutela dell'ordine pubblico.
A
quanto consta a questo Tribunale non vi sono norme comunitarie self-executing
ovvero internazionali che impongano nell'ambito dell'ordinamento italiano di
attribuire le verifiche preventive di sicurezza in capo ad un determinato
organo rispetto ad un altro: ora, se è vero da un lato che tali
verifiche costituiscono - di norma e in via generale - potere-dovere primario dell'autorità
diplomatica o consolare all'estero, nell'ambito del procedimento del diritto al
ricongiungimento l'art 6 del d.p.r. n. 394/99 (norma attuativa del t.u. n
286/98, che prevale su eventuali precedenti disposizioni di diverso contenuto)
esse sono demandate espressamente al Questore
Questa interpretazione è ulteriormente confortata dal fatto che l'art. 5 del d.p.r n. 394/99, che disciplina il rilascio dei visti di ingresso in generale, all'ultimo capoverso, richiama espressamente i poteri della rappresentanza consolare fra cui quelli di valutare la ricevibilità della domanda e di esperire gli accertamenti richiesti in relazione al visto richiesto, "ivi comprese le verifiche preventive di sicurezza", mentre tale ultimo potere non è sancito in capo all'autorità consolare nell'ambito del rilascio di visto per ricongiungimento familiare.
Nell'ambito
del procedimento di rilascio del nulla osta per ricongiungimento, quindi, la
Questura non può limitarsi alla verifica della c.d. inammissibilità Schengen"
ma deve formulare una valutazione più penetrante in ordine alla
esistenza di minaccia per la sicurezza e l'ordine pubblico dello Stato
eventualmente attuando una cooperazione nello scambio di informazioni con la
rappresentanza consolare all'estero.
In
questo caso le autorità consolari (comma 20 dell'art. 6) debbono
limitarsi ad acquisire la documentazione comprovante i presupposti di
parentela/coniugio (o minore età/inabilità al lavoro) e
convivenza: esse, ricevuto il nulla osta della Questura ed acquisita a documentazione
comprovante i presupposti di cui al comma 2" (il testo normativo in questo
punto ribadisce che questa è l'unica sfera di indagine riservata alla
rappresentanza italiana all'estero) n7asciano
il visto di ingresso, previa
esibizione del passaporto e della documentazione di viaggio.
Il
rilascio del visto è dunque atto necessario per le autorità
consolari in presenza di:
1)
nulla osta; 2) documentazione comprovante i presupposti di cui al comma 2; 3)
esibizione di passaporto e documentazione di viaggio.
Il
diniego di visto, in questo specifico caso, può essere motivato solo
alla luce della carenza di uno di questi requisiti: ogni altra motivazione non
è legittima in quanto viziata da eccesso di potere poiché
comporta l'esercizio del potere di diniego per finalità diversa da
quella legalmente riservata all'organo emanante.
Tale
vizio inficia il provvedimento di diniego e ne determina l'illegittimità
e ciò ancor prima della fondata osservazione secondo cui la motivazione
è insufficiente laddove fa conseguire alla mera esistenza di precedente
penale un automatico giudizio prognostico di pericolosità sociale, che
appare quindi inammissibilmente presunta e non adeguatamente accertata con
riguardo alla natura del fatto e alla cd. manifestata "capacità a
delinquere" (cfr. i più ampi parametri di cui all'art. 133 c.p.).
Il vizio di eccesso di potere, dunque, prima ancora del difetto di motivazione
costituisce motivo assorbente che impone l'accoglimento del ricorso.
Si
aggiunge ulteriormente che con decreto del Ministero degli Affari Esteri 12
luglio 2000 (pubblicato in G.U. s.g. n. 178) l'ordinamento italiano ha definito
le tipologie di visti d'ingresso, fra cui quello per ricongiungimento familiare
nonché i requisiti per il loro ottenimento, dando così ulteriore
attuazione al d.lg.vo n. 286/98 nonché agli obblighi internazionalmente
assunti.
L'art.
2 del d.m. cennato fa salvi i controlli di sicurezza richiesti in ambito
Schengen (incontestatamente spettanti alla Questura) nonché quanto
previsto dall'art. 5 del d.p.r. n. 394/99 (in materia di visti di ingresso
diversi da quelli per ricongiungimenti familiare) e prevede ulteriormente
(allegato A, n. 15 del citato d.m.) che il visto e (e non può) rilasciato allo straniero che intenda ricongiungersi
con un familiare cittadino di Paesi diversi da quelli indicati nel punto a),
regolarmente soggiornante in Italia, titolare di carta o permesso di soggiorno
di durata non inferiore ad un anno, rilasciato per lavoro subordinato, per
lavoro autonomo, per asilo, per studio o per motivi religiosi
L’art. 15 sancisce che
i requisiti e le condizioni per
l’ottenimento del visto sono previsti dall’art. 29, commi 3, 6, 7,
8, 9 del tu n. 286/1998 e dell'art. 6 de1 D P R n. 394/1999 e che la
rappresentanza diplomatico-consolare competente per il rilascio del visto deve
anche idoneamente documentare la condizione di familiare a carico nei casi di
cui alle lettere c e d del 1° comma dell’art. 29. Conclusivamente si
deve ritenere che neanche il d.m. 12.7.2000 (nei limiti della propria forza
innovativa dell'ordinamento vigente) abbia modificato la ripartizione di
attribuzioni supra illustrata: in caso di
visti per il ricongiungimento familiare l'ordinamento non consente margini di discrezionalità in capo
alle autorità consolari all'estero in ordine a ragioni di sicurezza e
concentra tutte le competenze sulla valutazione dei presupporti sia sullo scopo
e le condizioni del soggiorno, sia sulla disponibilità di mezzi di
sussistenza sia relativamente alla minaccia per l'ordine pubblico o la sicurezza
dello Stato o di uno dei Paesi con i quali l'Italia abbia sottoscritto accorsi
per la soppressione dei controlli alle frontiere interne, in capo alla Questura,
con esclusione di qualsivoglia
ulteriore potere
autoritativo/ablativo in capo all'autorità consolare.
Sia
l'interpretazione lessicale che quella sistematica impongono, ad avviso di
questo Tribunale, di ritenere che
il rilascio del visto per ricongiungimento da parte del Consolato - una volta
ottenuto il nulla-osta della Questura-fosse atto dovuto tanto più che il
nulla osta (rilasciato l'8 aprile 2000) è stato utilizzato ai fini del
rilascio del visto entro i sei mesi (cfr. ult. cpv. art. 15 d.m. 12.7.2000).
Risultando omessa in motivazione ogni altra ragione di
diniego,
non essendo contestato il rapporto di coniugio fra ricorrente e El Khaouli Abdcrrahim e visto l’atto di matrimonio prodotto in copia con traduzione asseverata,
visto l’art 30, 6° comma, del d.lg.vo n. 286/98,
p.q.m.
disattesa ogni altra istanza,
annulla il provvedimento di diniego del visto
richiesto da Abderrahim EI Khaouli del responsabile dell'Ufficio Visti del
Consolato Generale d'Italia di Casablanca datato 27.7.2000 e dispone il
rilascio del visto in favore del richiedente.
Si comunichi.
Cittadella, 9 febbraio 2001
Il giudice
Dott. Margherita Brunello