ARCIDIOCESI DI MILANO

 

SERVIZIO PER LA PASTORALE DEI MIGRANTI

 

 

 

PASTORALE DEI MIGRANTI E LEGISLAZIONE CIVILE SULL’IMMIGRAZIONE

 

 

 

                                                                                                                                                           (a cura di P. Bonetti)

 

 

 

   Il Servizio per la pastorale dei migranti cura l’informazione e la sensibilizzazione per tutte quelle tematiche che sono legate all’intercultura e all’integrazione. Si mira dunque a far comprendere alla società civile e alle istituzioni civili che l’immigrazione è, e resterà, un fenomeno di lunga durata, che deve essere regolato in modo ordinario, pacifico ed ordinato in tutti i suoi aspetti, anche per aiutare a costruire cittadinanza per gli stranieri.

 

     Costruire cittadinanza per gli stranieri significa  non tanto aiutare, ma piuttosto mettersi a fianco, alla pari degli stranieri, conoscerli e farsi conoscere, considerarli come persone normali da trattare almeno tendenzialmente con i medesimi diritti e doveri di ogni altra persona, coinvolgerli nelle azioni sociali che li riguardano, fornir loro elementi per essere protagonisti senza strumentalizzarli, occasioni per esprimersi e formarsi, cogliendo la loro presenza come l’occasione provvidenziale per migliorare la nostra società e i nostri rapporti interpersonali. Ma costruire cittadinanza è anzitutto occuparsi sempre più degli italiani, dei loro atteggiamenti e delle loro scelte in materia di immigrazione.

 

      Dunque occuparsi di immigrazione è sempre più occuparsi di creare nuovi rapporti tra italiani e stranieri, un nuovo modo di convivere, del quale fa parte anche la disciplina giuridica della condizione dello straniero.

 

 

 

     I. La Chiesa, "esperta in umanità" (PP, 13), trova un motivo in più per essere solidale con i migranti nel fatto che essi, "con la loro varietà di lingue, razze, culture e costumi le ricordano la sua condizione di popolo pellegrinante da ogni parte della terra verso la Patria definitiva" (Giovanni Paolo II, 2.2.1999). Dalla mobilità dei popoli deriva una nuova e più vasta spinta all'unificazione di tutte le genti. Nell'antica Babele la superbia ha frantumato l'unità della famiglia umana, ma lo Spirito della Pentecoste è all'opera per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi (Gv 11,52). "I cieli nuovi e la terra nuova" (Ap 21,1) sono, prima di tutto, il cuore degli uomini riuniti nel nome del Padre che è nei cieli.

 

    Nel Messaggio per la Giornata delle Migrazioni 2001 Giovanni Paolo II ricorda che “la conoscenza dell'uomo, che la Chiesa ha acquisito nel Cristo, la spinge ad annunziare i diritti umani fondamentali ed a fare sentire la sua voce […]. Essa perciò non si stanca di affermare e difendere la dignità della persona, ponendo in luce i diritti irrinunciabili che da essa scaturiscono. Essi sono, in particolare, il diritto ad avere una propria patria, a dimorare liberamente nel proprio Paese, a convivere con la propria famiglia, a disporre dei beni necessari per una vita dignitosa, a conservare e sviluppare il proprio patrimonio etnico, culturale, linguistico, a professare pubblicamente la propria religione, ad essere riconosciuto e trattato in ogni circostanza in conformità alla propria dignità di essere umano. Questi diritti trovano concreta applicazione nel concetto di bene comune universale. Esso abbraccia l'intera famiglia dei popoli, al di sopra di ogni egoismo nazionalista. E' in questo contesto che va considerato il diritto ad emigrare. La Chiesa lo riconosce ad ogni uomo, nel duplice prospettiva di possibilità di uscire dal proprio Paese e possibilità di entrare in un altro alla ricerca di migliori condizioni di vita. Certo, l'esercizio di tale diritto va regolamentato, perché una sua applicazione indiscriminata arrecherebbe danno e pregiudizio al bene comune delle comunità che accolgono il migrante. Di fronte all'intrecciarsi di molti interessi accanto alle leggi dei singoli Paesi, occorrono norme internazionali capaci di regolare i diritti di ciascuno, sì da impedire decisioni unilaterali a danno dei più deboli”.

 

    Al riguardo, nel Messaggio della Giornata del Migrante del 1993 lo stesso Giovanni Paolo II aveva ricordato che “se è pur vero che i Paesi altamente sviluppati non sempre sono in grado di assorbire tutti coloro che emigrano, va tuttavia riconosciuto che il criterio per determinare la soglia della sopportabilità non può essere la semplice difesa del proprio benessere, tralasciando i bisogni reali di chi è drammaticamente costretto a chiedere ospitalità”.

 

     Nel messaggio per la Giornata della Pace 2001, il Papa ha poi rilevato lo stretto legame tra la disciplina legale delle migrazioni ed il dialogo tra le diverse culture affermando che “lo stile e la cultura del dialogo sono particolarmente significativi rispetto alla complessa problematica delle migrazioni, rilevante fenomeno sociale del nostro tempo. L'esodo di grandi masse da una regione all'altra del pianeta, […], ha come conseguenza la mescolanza di tradizioni e di usi differenti, con ripercussioni notevoli nei Paesi di origine ed in quelli di arrivo. L'accoglienza riservata ai migranti da parte dei Paesi che li ricevono e la loro capacità di integrarsi nel nuovo ambiente umano rappresentano altrettanti metri di valutazione della qualità del dialogo tra le differenti culture. In realtà, sul tema dell'integrazione culturale, tanto dibattuto al giorno d'oggi, non è facile individuare assetti e ordinamenti che garantiscano, in modo equilibrato ed equo, i diritti e i doveri tanto di chi accoglie quanto di chi viene accolto. Storicamente, i processi migratori sono avvenuti nei modi più diversi e con esiti disparati. Sono molte le civiltà che si sono sviluppate e arricchite proprio per gli apporti dati dall'immigrazione. In altri casi, le diversità culturali di autoctoni e immigrati non si sono integrate, ma hanno mostrato la capacità di convivere, attraverso una prassi di rispetto reciproco delle persone e di accettazione o tolleranza dei differenti costumi”.

 

 

 

    II. Nella disciplina dell’immigrazione straniera da parte delle leggi civili occorre ricordare che la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo riconosce ad "ogni persona il diritto di lasciare qualsiasi paese, compreso il proprio e di farvi ritorno" (art. 13,2), ma non prevede il diritto di entrare in un altro Paese diverso dal proprio.

 

    La Chiesa difende il diritto dell'uomo ad emigrare, ma non ne incoraggia l'esercizio, consapevole che la migrazione ha un costo molto elevato e che a pagarne il conto sono sempre i migranti, pur riconoscendo che la migrazione costituisce, a volte, il male minore. Si adopera con forza perché la società di arrivo non consideri i migranti mezzi di produzione, ma uomini dotati della dignità di figli di Dio e soggetti di diritti inalienabili.

 

   Se invece si rinnega l'esperienza per la quale la migrazione è un fattore di sviluppo, la valvola di sicurezza che le migrazioni hanno sempre rappresentato per le singole persone e per i popoli, tende a bloccarsi. Così i paesi poveri si vedono chiuso quell'unico canale che permetteva loro di entrare nel circuito di sviluppo dei paesi più sviluppati. La conseguenza più vistosa di tale logica è l'aumento del tasso di immigrazione illegale, che, in quanto non controllata,  rende inquieta la società dei paesi di arrivo, compromette il contesto per l'integrazione e può favorire la politica dell'esclusione degli immigrati.

 

 

   III. Vi è invece un caso in cui l’ingresso e il soggiorno deve essere sempre consentito ed è quello del diritto d’asilo. Infatti sia la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (art. 14), sia la Costituzione italiana (art. 10, comma 3) proteggono il diritto di ogni individuo di cercare e di godere asilo dalle persecuzioni o dall’impossibilità di esercitare le libertà democratiche.

 

    Spesso si confondono i rifugiati con i ‘migranti economici’, che lasciano il loro paese per guadagnare altrove i mezzi di sussistenza. Sebbene la maggior parte di loro provenga da Paesi poveri, i più emigrano volontariamente. Ma tra costoro, quanti "fuggono condizioni economiche che minacciano la loro vita e integrità fisica devono essere trattati diversamente da coloro che emigrano semplicemente per migliorare la loro situazione" (I Rifugiati: una sfida alla solidarietà, 4).

 

     Sono diversi i modi in cui si può diventare un rifugiato. Alcuni fuggono governi repressivi o gruppi ribelli. Altri fuggono guerre e violenze che rendono la vita impossibile nei propri Paesi. Altri ancora vengono coinvolti da una guerra che ha il preciso scopo di produrre rifugiati, i quali diventano così anche pedine della sua strategia. La persecuzione e la violenza non consentono alle loro vittime di ottenere passaporti e visti prima della partenza forzata. Alcuni hanno ben poca scelta oltre a quella di affidarsi ai trafficanti di persone e di arrivare irregolarmente in un paese sicuro. Ciò dovrebbe far evitare l’equiparazione dei migranti e dei rifugiati con i criminali: una illimitata repressione dell'ingresso illegale in un Paese significa la distruzione del già fragile regime internazionale d'asilo e tradisce l'ignoranza dei suoi proponenti.

 

 

 

   IV. Di fronte all’immigrazione straniera la Chiesa si cura sia della persona del migrante, sia della società in cui egli arriva e dunque mira ad un’accoglienza ragionata e lungimirante, nell’ambito di una società armoniosa e dunque non ad un’accoglienza ad ogni costo.

 

     Occorrono infatti norme efficaci perché “non va dimenticata la necessità di regole e di tempi adeguati per l'assimilazione di questa nuova forma di convivenza, perché l'accoglienza senza regole non si trasformi in dolorosi conflitti.  Sia il rifiuto del 'nuovo', come il suo accoglimento non organizzato, sono spesso, alla fine, motivo di ritardi storici" (Commissione Iustitia et Pax, Uomini di culture diverse: dal conflitto alla solidarietà, n. 33).

 

      Occorre comunque che le istituzioni civili si facciano carico delle problematiche dell'immigrazione con lungimiranza, evitando comode deleghe ed improprie supplenze da parte delle strutture ecclesiali di accoglienza e di servizio, che pure hanno accumulato una grande esperienza nel campo.

 

     Infatti il Card. Martini ha ricordato nel suo intervento al convegno "Integrazione e integralismi. La via del dialogo è possibile?" (Cesano Maderno, 19/01/2001) che “la presenza degli stranieri tra noi, pur con tutti i progressi compiuti, non è ancora ben assimilata e nemmeno ben tollerata. Vi sono delle reazioni negative comprensibili, dovute a momenti particolarmente drammatici: per esempio, quando gli stranieri commettono dei reati. In questi casi l'orrore e il rifiuto sono giustificabili, come pure la domanda di legalità e di difesa dell'ordine pubblico è più che legittima. Ma, al di là di tali circostanze, permane nella gente un timore e una diffidenza verso gli stranieri”. E che l’unica scelta accettabile debba essere quella della “integrazione graduale e progressiva, nel rispetto dell'identità e nel quadro della legalità e della cultura del paese ospitante. […] Occorre operare non solo nel quadro del superamento delle paure, non solo nel quadro della legalità, ma con una pedagogia che insista specialmente sui bambini e sui ragazzi, figli degli immigrati. […] Non chiediamo, naturalmente, che rinuncino ai tratti civili e morali che li caratterizzano, purché siano rispettosi della cultura del paese ospitante. Chiediamo dunque, anzi esigiamo il rispetto delle leggi proprie del paese”.

 

     La Chiesa non può esimersi dal rispetto delle leggi civili del Paese in cui vive. Pertanto di fronte allo straniero privo di documenti validi per soggiornare nel Paese tutta la comunità cristiana – singoli e istituzioni - dovrebbe svolgere sempre attività di ascolto, di orientamento e di informazione che eviti di creare inutili e controproducenti illusioni o di ritardare la presa di coscienza della persona circa le effettive possibilità di inserimento nel Paese.

 

      Vi sarà sempre il problema dell'accoglienza degli stranieri clandestini, nei confronti dei quali il comportamento da adottare non può essere uguale in tutte le epoche. La condizione dell'immigrato clandestino è comunque quella di persona destinata a non avere un futuro serio nel nostro Paese, quindi appare atto di ‘carità intelligente’ non darle  illusioni, ma metterla di fronte alla realtà.

 

    Occorre inoltre considerare che di fatto gli effetti, il ‘messaggio’, delle norme sull'immigrazione e della loro effettiva applicazione. Di solito nei Paesi di origine va ben oltre il testo delle disposizioni e della volontà dei legislatori e può innescare un effetto di richiamo e illusorie aspettative, tali da creare un processo di immigrazione disordinata, con ondate distruttive.

 

    Occorre altresì approfondire maggiormente i meccanismi (false informazioni date dagli sfruttatori e dagli immigrati stessi che ritornano in Patria,  ricatti, complicità dei governi locali, rapimenti e sostituzioni di bambini ecc.) che ‘drogano’ i flussi migratori da alcuni Paesi e dei quali gli operatori ecclesiali potrebbero involontariamente l'essere l'ultimo anello della catena, quello che permette ai mercanti di illusioni di continuare a prosperare ingannando altri. In questo modo si rischia di offrire sempre il destro alle critiche degli xenofobi e chi ne soffrirà sarà sempre lo straniero, preda dei mercanti di illusioni o sempre più ghettizzato.

 

 

 

     V. Gli orientamenti generali fin qui illustrati impongono di affermare che – come ha evidenziato anche il Card. Ruini nella sua prolusione al Consiglio permanente della CEI del settembre 2001 – il recentissimo disegno di legge governativo di modifica della normativa vigente in materia di immigrazione ed asilo appare sbilanciato: il suo prevalente obiettivo è il contrasto della clandestinità, mentre si dirada il ‘senso di umanità’ verso gli stranieri in genere. Infatti alcune disposizioni, nel perseguire il pur legittimo obiettivo di reprimere la clandestinità, lo fanno con modalità che urtano fortemente i diritti fondamentali della persona protetti sia dalla Costituzione, sia da numerose convenzioni internazionali (libertà personale, diritto di difesa, diritto d’asilo, diritti familiari e del lavoro), nonché la  Dottrina sociale della Chiesa.

 

    La restrizione dell’immigrazione regolare è inoltre attuata in forme e modi controproducenti, perché ignora che esiste comunque una notevole pressione migratoria. Ogni legge che voglia efficacemente regolare l’immigrazione intende non già aumentare l’immigrazione, bensì aumentare l’immigrazione regolare e perciò non può ignorare le caratteristiche oggettive del fenomeno migratorio, perché altrimenti rischia di diventare illusoria.

 

     I temi che sembrano suscitare maggiore difficoltà sembrano essere i cinque seguenti.

 

     I. Generalizzata esecuzione immediata del provvedimento amministrativo di espulsione senza una preventiva pronuncia del giudice. Preoccupa la scelta dei mezzi che si intendono adottare, in particolare la sommaria procedura che comporta l’accompagnamento immediato alla frontiera per semplice provvedimento amministrativo, senza effettiva possibilità di ricorso. L’accompagnamento immediato alla frontiera – che comporta conseguenze rilevanti per ogni persona e per la sua famiglia – sembra inoltre contrastare con l’art. 13 della Costituzione come ha recentemente affermato la Corte costituzionale (cfr. sent. n. 105/2001). 

 

     2. Viene accentuata la precarietà dell’immigrato regolare e minata la stabilità del suo soggiorno. La stessa terminologia ne è un indice significativo, col cambiamento del ‘permesso di soggiorno’ in ‘contratto di soggiorno’: il contratto vale per due anni (non per tre come prevede la normativa europea), lo si può rinnovare per altri due anni (non per quattro come prevede la legge attuale), la carta di soggiorno  viene concessa non più dopo 5 anni ma dopo 6 anni (in contrasto con l’orientamento europeo, nel quale, tra l’altro, è prevista per l’immigrato una progressività di diritti che lo porta a un permesso di soggiorno ‘di lunga durata’). Lo straniero titolare di un permesso di soggiorno per lavoro subordinato che perde il posto di lavoro, allo scadere del permesso non avrebbe più un anno di tempo, ma soltanto sei mesi per trovarsi un altro lavoro; la prospettiva è che tanti stranieri, che hanno rischiato ogni cosa per realizzare il proprio progetto migratorio, si rifiuteranno di lasciare l’Italia ed entreranno nella clandestinità, con tutti i rischi che questa comporta, compresa l’espulsione. Ulteriore rischio è che entrino le tresche criminali ed offrano al clandestino possibilità di sopravvivere in Italia nel lavoro sommerso o con altri espedienti non legali.

 

     3. Restrizione dei ricongiungimenti familiari. Vengono esclusi dalla possibilità di ricongiungimento i genitori a carico qualora essi abbiano più di un figlio e i parenti fino al terzo grado a carico inabili al lavoro: una restrizione alla legge in vigore che sarebbe apertamente in contrasto con la direttiva europea in corso di approvazione.

 

     4. Riduzione e inutile complicazione delle vie legali dell’immigrazione per lavoro: si ritornerebbe ad un sistema basato soltanto sulla preventiva chiamata nominativa del datore di lavoro, così dimenticando che esistono molti tipi di lavori per i quali è essenziale il preventivo incontro ‘in loco’ della domanda e dell’offerta di lavoro (si pensi al lavoro domestico e di cura alle persone). La proposta di abrogare l’ingresso per inserimento nel mercato del lavoro (la ‘sponsorship’) sarebbe del tutto controproducente di fronte all’elevata richiesta di manodopera presente in molte zone del Paese e alla tipologia delle mansioni richieste. Eliminare l’articolo non significa chiudere l’accesso in Italia per ricerca di lavoro, ma deviarlo dai canali legali verso pericolosi e spesso criminosi canali illegali.

 

     5. L’accesso al diritto di asilo sarebbe sostanzialmente vanificato. Sulle singole domande di asilo giudicherebbe non più un’unica Commissione centrale, bensì tante Commissioni territoriali, costituite soltanto da funzionari governativi, che con una procedura accelerata e sommaria di pre- esame – durante il quale il richiedente asilo sia forzatamente rinchiuso in campi di permanenza temporanea – darebbero una decisione, alla quale, in caso di esito negativo seguirebbe l’espulsione (senza possibilità di un ricorso con effetti sospensivi), il che vanificherebbe l’essenza stessa del diritto d’asilo, che comporta anzitutto la possibilità dell’accesso alla procedura e di un esame da parte di un soggetto imparziale.