INTERVENTO DI HEVI DILARA A NOME DEL PKK (PARTITO DEI LAVORATORI DEL KURDISTAN)

Roma, 8 novembre 2001

 

Io sono una "terrorista". Il Dipartimento di Stato ha inserito nella lista dei "nemici dell'umanità" il partito a nome del quale vi parlo, il PKK, che rappresenta la speranza e l'umanità di un intero popolo.

Questo mio intervento sarebbe un reato negli Stati Uniti, ma anche in Gran Bretagna o in Germania, dove per aver parlato come me sono stati arrestati nell'ultimo anno settantuno miei compagni. Il governo del paese in cui sono nata, la Turchia, in nome della guerra comune ha inviato ai governi europei una lista nera di 147 "terroristi". Non so se c'era anche il mio nome.

Tre giorni fa a Colonia un dirigente del PKK incluso in quella lista è stato arrestato. L'accusa è "aver accreditato un'immagine pacifica del PKK". Cioè: essersi battuto per la strategia di pace e convivenza annunciata tre anni fa dal più illustre fra i rifugiati politici in Italia, fra le vittime del terrorismo internazionale in Kenya e fra i condannati a morte in Turchia: il nostro presidente Abdullah Ocalan.

E' strano il rovesciamento dei concetti, specie in tempo di guerra. I militari italiani combatteranno in Afghanistan fianco a fianco con quelle squadre speciali il cui nome suona sinistro in Turchia: "Ozel Tim". Sono coloro che sette anni fa torturarono in una cella me e mio padre, uno davanti all'altra. Sono coloro che una settimana fa hanno ucciso sulla porta di casa Burhan Kocar, dirigente del partito Hadep, e tre giorni fa hanno sparato sui corpi di detenuti già morenti per fame a Istanbul. Sono il simbolo del terrorismo di Stato che da quindici anni insanguina il mio paradiso, il Kurdistan.

Il paradosso continua. Davanti a sé i militari turchi e italiani avranno milizie islamiste simili a quelle che in Turchia negli anni '90, armate dal governo come squadre della morte con il nome di Hizbullah, hanno massacrato migliaia di intellettuali e militanti politici e sindacali.

Io sono qui per denunciare, a nome di un popolo negato, l'uso strumentale che si fa del termine "terrorismo" per continuare a negarlo. Sono qui per denunciare il terrore di Stato che sospinge nelle metropoli turche milioni di profughi e li affida, per raggiungere l'Europa, alla stessa mafia di Stato che commercia l'eroina e le armi convenzionali e nucleari. Sono qui per riaffermare che questo terrore non si sconfigge con le bombe, ma con il dialogo e la democrazia che noi rivendichiamo da troppi anni.

Neppure oggi, mentre nella mia terra permangono leggi d'emergenza e cinquemila militari turchi tornano a invadere il Kurdistan irakeno,  abbiamo chiesto a nessuna alleanza internazionale di bombardare Ankara o Istanbul. Le bombe alimentano rabbia, paura e guerra. La giustizia non scende dai cieli né con le bombe né con gli aerei-bomba: può solo salire dalla terra, dal grido delle vittime.

I nostri esuli hanno aperto negli ultimi mesi tutte le manifestazioni per la pace e i diritti dei popoli, da Genova a Napoli, da Perugia a Roma. Senza alcuna contraddizione, hanno anche manifestato in Campidoglio in solidarietà con il popolo americano all'indomani dell'attentato di New York. Anche sabato prossimo saremo in piazza con voi.

Noi siamo gli indios d'Europa, come gli zapatisti sono i kurdi d'America. Ma abbiamo in più la sventura di essere vicini all'epicentro del potere e delle tensioni mondiali, il Medio oriente. Se la guerra si estenderà, i kurdi ne saranno ancora fra le prime vittime, come già nel '91 con la guerra del Golfo.

Noi lottiamo per esistere in pace e dignità. La nostra Intifada si chiama Serhildan, ed ha lo stesso significato della parola palestinese: camminare a testa alta. Lottiamo contro una globalizzazione che nega i kurdi, i palestinesi, gli indios, che nega interi continenti, ma anche bisogni e soggetti qui in occidente.

Lottiamo per esistere liberi e uguali, non per schiacciare altri popoli. Abbiamo ricostruito sulle macerie identità e istituzioni nazionali, ma non siamo nazionalisti. Sappiamo che la libertà è indivisibile, che nessuno è libero se accanto a lui un altro essere umano è oppresso.

Per questo abbiamo proposto una soluzione democratica e federativa per la Turchia e per tutto il Medio oriente. Come voi, vogliamo globalizzare i diritti e le libertà.

Lo dicevamo già a Firenze: noi non chiediamo la vostra solidarietà, ma vi proponiamo un'alleanza. Noi rappresentiamo un grande e antico popolo. Voi siete una minoranza, in quella minoranza del pianeta che è il Nord del mondo. Il vostro progetto non può camminare senza le gambe della maggioranza oppressa. Ma la nostra proposta di pace e dignità solo a voi, in questa parte del mondo, può guardare con speranza e con fiducia.