Atti del convegno
"Minori stranieri non
accompagnati"
Torino, 10 marzo 2001
promosso da:
ASGI
Servizio Migranti Caritas
CTP Parini e CTP Modigliani
Rete d’urgenza contro il razzismo
Ires L. Morosini
UNICEF Comitato Italiano
Save The
Children Italia
Regione
Piemonte
Provincia
di Torino
Comune di
Torino
Università degli Studi di Torino
Moderatore (Davide Petrini)[1]
Buongiorno a tutti, sono Davide Petrini
dell’Università di Torino; farò da moderatore di questa
prima mezza giornata di lavori. Sarò molto sobrio, nel senso che devo
solo presentare i relatori di questo tavolo, per dirvi in che ordine parleranno
e anche un pochino di cosa, darvi ragione di alcune assenze, leggervi una
lettera del Ministro Livia Turco e poi semplicemente dare la parola ai
relatori.
Al tavolo sono presenti Adriana Luciano, che
farà la prima relazione di contesto, sulla situazione dei minori in
Italia; Angelo Simonazzi, che dirige Save The Children in Italia e che
farà la seconda relazione, anch’essa di contesto, sulla situazione
internazionale dei minori non accompagnati. E, nell’ordine, quattro
interventi che saranno fatti: da Lorenzo Trucco, presidente dell’ASGI; da
Salvatore Longo, Capo di Gabinetto della Questura di Torino, che è stato
ufficialmente delegato a rappresentare il capo della polizia, il dottor De
Gennaro; da Giulia de Marco, presidente, oltre che del Tribunale dei Minori di
Torino, anche dell’Associazione Italiana Magistrati per i Minorenni; e da
Luigi Gili, avvocato dell’ASGI.
Le assenze, tutte molto tristi, ci mancano
molto, sono innanzitutto Paolo Vercellone, per motivi di salute; Angelo
Achille, attuale presidente del Comitato per i Minori Stranieri e Isabella
Menichini del Ministero degli Affari Esteri, che
sono impegnati al di fuori dell’Italia, credo in Albania, per impegni
sopraggiunti. Livia Turco, che aveva confermato la sua presenza, ha inviato una
lettera che trovate in cartellina e che gli organizzatori mi hanno pregato di
leggere. Gli organizzatori segnalano anche l’assenza dei funzionari del
Dipartimento degli Affari Sociali che, nonostante molteplici sollecitazioni,
non siamo riusciti ad avere a questo tavolo.
Pensiamo di assegnare venti minuti a ciascuno
dei relatori e degli interventi, in modo da avere, alla fine della mattinata,
ancora mezz’ora/tre quarti d’ora per interventi e domande di
carattere generale (o anche mirate a coloro che sono intervenuti) da parte del
pubblico.
La parola ad Adriana Luciano
dell’Università di Torino.
Adriana Luciano[2]
Grazie. Come sanno tutti quelli che mi
conoscono, non mi stanco di ripetere che in questa materia io non mi considero
affatto una specialista, ma mi sono sempre occupata di disuguaglianza, di
lavoro, di immigrazione. Il problema dei minori stranieri, dei minori soli, dei
minori separati, dei minori non accompagnati, come alcuni preferiscono
chiamarli, è un problema sul quale mi interrogo, ma sul quale sono ben
lontana dall’avere delle risposte, anche solo di tipo
analitico-descrittivo. La ragione per cui non abbiamo dati è che si
tratta di un fenomeno che abbiamo scoperto di recente, anche se è un
fenomeno nient'affatto nuovo nelle migrazioni internazionali, ma, indubbiamente,
in tutti i processi migratori non è il primo fenomeno che salta
all’occhio, che si pone all’attenzione di chi si occupa di
immigrazione come studioso o come operatore. A immigrare sono soprattutto donne
e uomini adulti. I giovani, bambini e ragazzi, che, come dico, sono sempre
stati presenti nei flussi migratori, vengono dopo e sono poco visibili. Noi
abbiamo incominciato a vederli quando hanno iniziato a riempire le carceri
minorili, oppure agli angoli delle strade con le spugnette e i fazzolettini di
carta, ecc. E’ un fenomeno antico: vedo che sono presenti anche persone
non più giovanissime, che magari hanno avuto occasione di leggere da
piccoli il libro "Cuore". Chi non ricorda il Marco di "Dagli
Appennini alle Ande", quel ragazzino che va a Buenos Aires alla ricerca
della madre? La cosa interessante, se uno ripensa a quel racconto, è che
Marco, che attraversa l’oceano per andare alla ricerca della madre, non
incontra sulla strada educatori o poliziotti, qualcuno che lo fermi: la sua
presenza è considerata normale. Se mai, tutti quelli che lo incontrano
sono colpiti dalla sua storia personale, dal fatto che va a cercare la madre, o
dal fatto che è senza risorse in questa impresa, ma nessuno si stupisce
che quel ragazzino sia per strada. Noi, invece, ci interroghiamo su questo
aspetto, non siamo più abituati a vedere ragazzini per strada, e abbiamo
difficoltà ad affrontare questo fenomeno. Io vorrei provare a
tematizzare questo fenomeno su due piani: uno è quello normativo;
l'altro, che è più sostanziale, è quello delle
caratteristiche di questo fenomeno e delle sue coordinate di tipo
socio-culturale.
Sul piano normativo, credo che ci troviamo in
presenza di una dissonanza cognitiva. Ci troviamo di fronte ad un quadro
normativo a livello internazionale, cito la Convenzione di New York, ma la
legislazione nazionale e quella internazionale affrontano da molti punti di
vista il problema dei minori, rispetto a molti risvolti. Noi abbiamo un quadro
normativo in cui il minore (intendendo per esso il ragazzo o la ragazza che non
ha raggiunto quella che, dal punto di vista legislativo, viene considerata la
maggiore età) ha diritto ad azioni, comportamenti, atteggiamenti, di
accoglienza, di rispetto, di aiuto, per la sua condizione di minore.
Se diamo un’occhiata alle linee-guida formulate,
nell'ambito del programma europeo, da Save the Children su come deve essere
affrontato il problema dei minori soli o dei minori separati presenti sul
territorio europeo, troviamo indicata una serie di punti importanti che sono:
ogni azione deve essere fatta nel migliore interesse del minore medesimo, non
devono essere operate delle discriminazioni, il ragazzo ha diritto alla
partecipazione rispetto a tutto ciò che lo riguarda, deve essere
rispettata la sua cultura, deve essere rispettata moltissimo la riservatezza di
tutte le informazioni che lo riguardano, ci vuole rapidità in tutte le
decisioni, quello che si occupa di lui deve essere personale molto
specializzato, deve essere garantita assistenza, accoglienza, scuola, relazioni
affettive adeguate alla sua età e alla sua condizione di minore.
In questo quadro normativo, anche la nostra
legge-quadro sull’immigrazione dice alcune cose precise riguardo i
minori, ad esempio che l’espulsione non è eseguibile nei confronti
di un minore, e che quindi si tratta semmai di valutare, nel suo interesse, se
e dove occorrono le condizioni per un suo rimpatrio, si aggiunge, assistito,
cioè accompagnato, nel rispetto di tutte quelle norme. Naturalmente
l’istituzione stessa del Comitato Minori Stranieri, di cui si avrà
occasione di parlare, segnala la necessità di una condizione
particolare, di un trattamento particolare di questo tipo di immigrati
minorenni.
Dove sta la dissonanza cognitiva? Nel fatto
che tutte le legislazioni recenti, compresa anche la nostra, hanno al centro un
problema-chiave, che io, per semplificare, chiamerò il problema della
deterrenza.
Il problema che sta al centro di una
legislazione, pur avanzata e rispettosa dei diritti umani come la nostra,
è quello di fare delle politiche che, tuttavia, non ottengano
l’effetto indesiderato di attrarre una quota di immigrati superiore a
quella che già spontaneamente si presenta sul nostro territorio.
L’idea è, quindi, che si devono fare azioni di contenimento.
E’ inevitabile che scaturisca quella che io chiamo una dissonanza
cognitiva, perchè ci sono due obiettivi da perseguire, due logiche
d’azione che non stanno insieme. Come spesso accade, le dissonanze
cognitive si risolvono negando l'uno o l’altro dei due termini. E non c’è
dubbio che, nel dibattito e nelle pratiche che si sono realizzate in questi
anni nei confronti dei minori, di fatto ha teso a prevalere l'uno o
l’altro dei due aspetti: chi ha messo al primo posto il problema
dell’interesse del minori, della sua condizione particolare e del suo rispetto,
e ha negato in qualche modo il problema del contenimento, e chi, invece, ha
messo al primo posto l’altro aspetto e ha pensato di risolvere tutto con
un’ipotesi di rimpatrio generalizzato.
Dal punto di vista sostanziale, invece, il
punto-chiave intorno a cui tutti ci stiamo interrogando, non solo rispetto ai
minori stranieri, o ai minori soli, ma, in generale, rispetto ai giovani e ai
minori, è che cosa significhi, oggi, essere minorenni, che cosa oggi
significa "minore età". Noi abbiamo costruito tutti i nostri
sistemi normativi intorno ad alcuni presupposti, che si sono stabiliti nel
tempo, nel riconoscimento, nell’infanzia, di alcune caratteristiche, dal
punto di vista biologico, psicologico, sociale e culturale, in base al quale si
stabilisce che bambini e adolescenti attraversano una fase della loro vita
particolarmente delicata ai fini dello sviluppo della persona e ai fini del
raggiungimento dell’età adulta in condizioni di maturità,
di serenità, di capacità di vivere come persone adulte. Quindi
abbiamo costruito una legislazione che mette al centro il bambino e
l’adolescente come persona che si sta costruendo, che sta costruendo la
propria personalità e le proprie scelte e che ha bisogno di essere
accompagnato, e qui ritroviamo tutti i principi della legislazione. Il problema
è che le nostre società, le società occidentali e
più industrializzate, ma anche le società che stanno
dall’altra parte del Mediterraneo, da cui proviene la maggior parte degli
immigrati, sono tutte società in grande transizione, in una fase di
grandi cambiamenti economici, sociali e culturali, che hanno, tra i tanti
effetti, anche un effetto destabilizzante, che rende cioè problematici
tutti gli aspetti normativi che regolano il corso della vita e la definizione
dell’età. Vale a dire che stiamo vivendo una grande transizione
demografica e quindi abbiamo un allungamento della vita, che comporta anche un
allungamento della transizione all’età adulta: in tutti i Paesi
occidentali osserviamo che la fase di transizione all’età adulta
(cioè quella fase in cui le persone si ritrovano ad un certo punto con
una propria casa, una propria famiglia e un proprio lavoro) si sta allungando.
D’altra parte, noi ritroviamo anche il fatto che continuano ad esserci
(anzi, ci sono addirittura fenomeni nuovi) bambini che affrontano la vita
adulta molto presto.
In Italia, solo recentemente ci sono state
attenzioni, interessi e ricerche sul lavoro minorile. Le stime sono difficili
da fare, oscillano, ma forse abbiamo 200-300 mila bambini al di sotto dei 14
anni che lavorano, e quindi troviamo, da un lato giovani che a ventott'anni
sono ancora a casa dei genitori e non si sono presi responsabilità da
adulti, e dall’altra bambini che invece lo hanno fatto.
Il problema è che, quando noi ci
troviamo di fronte un minore, e questo vale anche per i ragazzi di qui, per i
ragazzi delle nostre città e delle nostre periferie, facciamo fatica a
capire che cosa c’è dietro questo minore, com’è
cresciuto, che tipo di esperienze di socializzazione ha avuto, con la madre,
con la nonna, con la baby-sitter, davanti alla televisione o invece in un
contesto ricco di esperienze, in che cosa lo possiamo considerare già
grande e maturo per fare delle scelte e in che cosa invece non lo è.
In questo venire meno di quadri di riferimento
normativi, ciò che ci resta è un quadro di riferimento
legislativo che ci dice che fino a diciotto anni sei minore e dopo i diciotto
non lo sei più, per cui scattano tutta una serie di regole che pongono
le persone che si occupano di questi problemi di fronte a dei riferimenti
diversi.
Se poi riproponiamo questo problema rispetto
all’immigrazione, il quadro si complica ancora di più,
perché tra questi minori noi abbiamo i ragazzini sfuggiti da guerre e da
persecuzioni, che vengono dal Kossovo o dal Kurdistan o da altre realtà
da cui sono fuggiti, magari da una famiglia distrutta, da una casa che non
c’è più; però troviamo anche i ragazzi che sono
venuti qui perché lo hanno deciso con la loro famiglia, dove, insieme,
si è deciso che era proprio quel ragazzino lì a dover andare,
proprio come il Marco di “Dagli Appennini alle Ande”. Ci sono
quelli che scappano da casa, quelli che vengono da una vita randagia, che hanno
già alle spalle anni di solitudine nelle loro città, nei loro
paesi di provenienza.
Noi incominciamo già ad abbozzare
questa casistica perché l’esperienza di rapporto con questi
ragazzi ci consente di incominciare a ragionare per tipologie, ma riusciamo a
cogliere tutti gli elementi soltanto dopo un’interazione più o
meno lunga con questi ragazzi. Quando questi ragazzi li incontriamo per strada,
all’ufficio stranieri o al centro di accoglienza del tribunale, che
storia hanno alle spalle? Spesso sono loro a non dirci delle cose per paura, ma
anche se ce le dicono, sono spesso troppo poco per avere un’idea di qual
è la loro storia. Allora il problema è che ci mancano degli
strumenti conoscitivi per poter capire quali sono le politiche giuste. Allora,
chi dice che il miglior interesse del minore è il rimpatrio, che questi
ragazzi possono stare bene solo all'interno di una realtà familiare, ha
in mente un’idea di famiglia che spesso è un po’ troppo da
Mulino Bianco, una realtà familiare che immaginiamo simile alla nostra
nella migliore delle ipotesi, se la migliore delle ipotesi è quella che
potrebbe essere simbolicamente rappresentata dalla famigliola del Mulino
Bianco; però noi poi non sappiamo quanti sono e quali sono i casi in cui
questo avviene. Se poi noi andiamo a vedere quello che ci dicono le
informazioni che incominciamo a raccogliere, anche attraverso il Servizio
Sociale Internazionale che in Albania ha già fatto molti di tentativi di
rimpatrio, di nuovo ci rimbalza questa difficoltà, cioè la
difficoltà di capire, di sapere quando e come un’operazione di
rimpatrio è effettivamente la cosa giusta da fare e quando invece
è importante, utile, necessario aiutare questi ragazzi, piccoli per
certi versi, grandi, grandissimi per altri, a diventare adulti con un minimo di
serenità ed equilibrio.
Io vorrei terminare proponendovi una
brevissima tematizzazione di una serie di questioni che, in una giornata come
oggi, che è una giornata di studio, di riflessione collettiva, tutte le
persone che, a vario titolo e per diversi aspetti, si stanno occupando e si
sono occupati di minori, si trovano ad affrontare.
Il primo punto che io direi possiamo forse
considerare un punto fermo, e che forse è una piccola certezza, è
che qualunque politica si faccia nei confronti dei minori deve essere
tempestiva. Se c’è una cosa che sappiamo, e che ancora possiamo
dire, è che quella parte della vita, più o meno lunga,
dell’ingresso nell'età adulta, è una fase di grandi
cambiamenti, in cui ogni giorno è importante, per le scelte che si
fanno, e ogni scelta che si fa ne preclude altre per il futuro. La
tempestività direi che è l’elemento fondamentale da
valorizzare in qualunque politica.
Il secondo punto riguarda quale sia il miglior
interesse del minore. Non sempre è la famiglia, perché a volte la
famiglia non c’è, a volte la famiglia è quella che ha
deciso di mandarlo, perché a volte la famiglia non è facile
rimetterla insieme: su questi elementi abbiamo bisogno di riflettere meglio.
Il terzo punto è che cosa significa
oggi porre dei limiti rigidi all’idea di minore età. Io, a volte,
sorrido e mi preoccupo dell’accanimento con cui si cercano marchingegni,
strumenti tecnico–scientifici per capire se il ragazzo ha davvero
diciotto anni: ma se ne ha diciassette o diciannove, cambia molto? Non possiamo
davvero, oggi, tagliare con l’accetta, attraverso l’anno di
nascita, la fase entro cui il minore deve essere protetto da tutti i punti di
vista, mentre il giorno dopo diventa un adulto responsabile di sé, che
può andare in galera, può essere espulso, ecc. Bisogna ragionare
sul fatto che in una società che si destruttura, che si relativizza, in
cui la diversità aumenta, forse dobbiamo usare dei criteri diversi,
anche dal punto di vista normativo, non possiamo più tagliare con
l’accetta il nodo gordiano di chi è minore e di chi non lo
è.
Il quarto punto su cui mi piacerebbe che si
riflettesse è il problema del lavoro. Effettivamente, il connubio
minori-lavoro è un connubio che ci crea dei problemi, delle
difficoltà. Quando il lavoro per un minore è una necessità
ed è anche un fattore di crescita, e quando invece il lavoro è
qualcosa che blocca il suo sviluppo psicologico, culturale e sociale? Anche
qui, dobbiamo avere degli strumenti flessibili, certo non una circolare che
vieta ai minori di lavorare, perché questo è un modo curioso di
interpretare i problemi di questa fase della vita.
Quinto punto, le politiche di integrazione.
Quando dei soggetti pubblici decidono di interferire con la vita delle persone,
e tutte le volte che noi facciamo politiche sociali interferiamo con la vita
delle persone, devono sapere che lo debbono fare con grandissima
professionalità, perché altrimenti i guai che si creano sono
molto più gravi che non il lasciare le persone alle loro vite, alle loro
scelte. E quindi, politiche di integrazione fatte con risorse, con competenze
professionali, con strutture e con capacità di valutazione e di
verifica, perché altrimenti non sappiamo che cosa facciamo, e gli
effetti perversi delle nostre azioni possono avere risultati gravissimi.
Sesto punto, la deterrenza. Chiediamoci, per
favore, se davvero ci dobbiamo porre il problema della deterrenza. Se davvero
ci dobbiamo preoccupare che, se facciamo delle buone politiche di accoglienza,
questo ci farà arrivare tutti i minori del mondo a casa nostra. Io credo
che non sia vero, credo che non ci siano i dati empirici che ci confortano su
un’ipotesi di questo genere. Io credo che il nostro problema deve essere
quello di fare delle buone politiche di accoglienza. Se l’immigrazione
dovrà restituirci, un domani, una società civile, è sulle
politiche di accoglienza verso i giovani che dobbiamo puntare.
Ultimo punto, le ragazze e la seconda
generazione.
Oggi parliamo di minori soli. Il totale dei
casi registrati, che come sapete sono dei dati di flusso e non sappiamo neanche
più se sono su tutto il territorio nazionale, sono stati 8000 e
può darsi che ci siano pure dei doppioni. In Europa pare che siano
100.000. Sono numeri piccoli, ce ne occupiamo, ma dobbiamo sapere che dietro di
loro c’è la seconda generazione e anche una presenza invisibile
nella prima e nella seconda generazione, che sono le ragazze. Le ragazze non si
vedono mai, perché le ragazze non pongono problemi di ordine pubblico.
Possono essere sfruttate in casa, possono essere obbligate a prostituirsi,
possono crescere bene come avviene nella maggior parte dei casi, possono avere
gravi difficoltà ma lo sappiamo poco, lo sappiamo male e spesso lo
sappiamo tardi; mi piacerebbe che ci fosse un’attenzione particolare
anche per loro. Grazie.
Moderatore (Davide Petrini)
Grazie. Credo che questo motivo di dissonanza
cognitiva tra rispetto dei diritti e deterrenza possa costituire il criterio di
fondo con il quale confrontarsi anche nelle relazioni. Mi permetto di dare
anche due indicazioni a chi verrà dopo. Purtroppo, l’assenza di
Angelo Achille e di Paolo Vercellone[3]
ci impedisce di avere un intervento specifico del Comitato. Nella cartellina,
trovate le linee-guida che il Comitato ha predisposto nell’ultima
riunione del 15 gennaio 2001: inevitabilmente, dobbiamo darle per conosciute e
dobbiamo in qualche misura invitare coloro che interverranno, se hanno delle
cose in specifico da dire, di dirlo, perché non avremo un intervento
specifico.
Seconda indicazione da dare, è quella
di tenere conto anche delle ricadute che tutte le politiche, soprattutto quelle
legate all'aspetto della deterrenza, hanno rispetto ai minori stranieri che
commettono dei reati. Capite quanto la prevalenza di questo tipo di politiche
finisca con il vanificare gli altri interventi per i minori che commettono
reati.
La parola ad Angelo Simonazzi, direttore di
Save the Children Italia.
Grazie per l’invito a parlare in questa
conferenza. Mi hanno chiesto di abbozzare il quadro dei minori separati o
minori non accompagnati, come li chiamiamo qui in Italia, a livello europeo.
Parlerò soprattutto dell’esperienza di Save the Children, un
movimento internazionale a favore dei diritti del bambino, nato nel lontano
1919 e già da un anno presente in Italia.
Save the Children comprende almeno 30
associazioni nazionali che lavorano in più di 120 Paesi del mondo e
quindi ha un’esperienza abbastanza approfondita per quello che riguarda i
minori e, ultimamente, anche per quello che riguarda i minori separati. Dal
1997 esiste un programma, iniziato con l’Alto Commissariato delle Nazioni
Unite per i Rifugiati, sul problema dei minori separati in Europa, di cui
parlerà oggi pomeriggio un mio collega della Save the Children danese, Sergio Kristensen.
Questo programma è nato
dall’esperienza che abbiamo fatto nei Balcani dove c’era il
problema dei minori separati, dei minori che sono stati inviati in altri Paesi.
Si stimava che più di 10.000 bambini, durante la guerra dei Balcani,
fossero stati separati dalle loro famiglie e fossero arrivati in Paesi
stranieri. Per fortuna, pensiamo che la maggioranza di questi bambini siano
stati riuniti con le loro famiglie, però questo ci ha fatto riflettere
molto. I minori separati (preferisco parlare di separati, perchè precisa
meglio il senso di quello che voglio dire) sono minori che nella maggioranza
dei casi si trovano completamente soli in Paesi stranieri e, quindi, potete
immaginare tutti i problemi psicologici e umani che si trovano ad affrontare.
Non è una situazione nuova, già esisteva prima, però
è vero che, ultimamente, questo problema ha preso delle dimensioni piuttosto
rilevanti. Come diceva prima la mia collega, è difficile conoscere i
dati precisi, è difficile capire questo problema e, se c’è
una cosa da fare, è quella di studiare di più, per cercare di
capire che cosa succede.
Parlerò soprattutto alla luce di un rapporto
che la Save the Children ha pubblicato all’inizio di quest’anno e
che è stato pubblicato a Bruxelles soltanto nel mese scorso, il rapporto
che ha scritto una mia collega, Wendy Ayotte,
sul problema dei minori separati che arrivano in Europa Occidentale. Questa
è la prima ricerca (disponibile sul sito internet, ndr) che è stata fatta a livello europeo,
ma soltanto dell’Europa Occidentale. Per quanto riguarda l’Europa
Orientale, stiamo facendo nei Balcani un’altra ricerca che verrà
pubblicata alla fine di quest’anno e ci darà un quadro più
completo dell’intera Europa. Per questo motivo parlerò soprattutto
della situazione dei Paesi dell’Europa Occidentale e quindi anche
dell’Italia.
Prima di tutto: che cosa intendiamo con "minori separati"? Sono i minori al di sotto dei diciotto anni (naturalmente, accolgo l’idea che è difficile dare un limite d’età, però la Convenzione Internazionale sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza parla chiaramente di diciotto anni, quindi ci atteniamo a questo, anche se sappiamo che, culturalmente, è un problema abbastanza grande) al di fuori del proprio Paese e separati da tutti e due i genitori o dal loro tutore legale. Alcuni possono essere completamente soli, mentre altri vivono in una famiglia. I minori separati, a volte, richiedono asilo per paura di persecuzioni, o per mancanza di protezione dovuta a violazioni dei diritti umani, o a causa di guerre o conflitti nei loro Paesi di origine. Possono essere vittime di traffico di esseri umani per sfruttamento sessuale o per altri sfruttamenti. Possono anche arrivare in Europa per scappare da condizioni di forte privazione. Questi sono i casi che noi consideriamo come minori separati.
Quanti sono? Non abbiamo dati certi,
perché anche in Paesi dove c’è una procedura abbastanza
chiara del diritto d’asilo, come ad esempio in Francia o in Germania,
Paesi importanti per i richiedenti asilo, i dati non si trovano. Partiamo dalle
stime dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati.
Sappiamo che più della metà dei rifugiati di tutto il mondo sono
al di sotto dei diciotto anni. Nel 1999 la massa dei rifugiati è stata
stimata di 21,5 milioni di persone, un po’ di più l’anno
scorso. In Europa occidentale sono 2,5 milioni, quindi, anche se è
difficile fare una stima, pensiamo che siano più o meno centomila i
minori separati che vivono nei Paesi dell’Europa Occidentale, e forse la
stessa cifra per l’Europa Orientale. Le uniche statistiche un po’
più attendibili sono quelle che riguardano i minori richiedenti asilo
che è una minima parte di tutti i minori separati, pensiamo dal 10 al
20%, a seconda dei Paesi. Le cifre raccolte dall’Alto Commissariato delle
Nazioni Unite nel 1999 parlavano di 13.000-15.000 minori non accompagnati
richiedenti asilo nei Paesi Europei, però, come dicevo prima, alcuni
Paesi grandi non danno dati.
Da dove vengono? Vengono soprattutto
dall’Africa: Algeria, Angola, Marocco, Burundi, Repubblica Democratica
del Congo, Eritrea, Etiopia, Guinea, Uganda, Sierra Leone, Somalia e Sudan. Poi
dall’Asia: soprattutto Afghanistan, Cina, Sri-Lanka, Vietnam. In Medio
Oriente: Iran, Iraq e Turchia. Chiaramente dall’Europa Orientale e dai
Balcani (lo sappiamo bene in Italia): Albania, Romania, Federazione Russa,
Paesi della ex-Yugoslavia.
Per quanto riguarda il sesso e
l’età di questi minori, i maschi costituiscono la grande
maggioranza dei minori separati che arrivano in Europa. Per quale ragione?
Generalmente si pensa che, in situazioni di conflitto, i ragazzi possano
correre un pericolo maggiore (per esempio, possono essere reclutati nelle forze
armate, ecc.), ma non è l'unica ragione. In molte culture si da
più valore ai figli maschi, soprattutto ai figli maggiori, e quindi, in
situazioni di conflitto o in situazioni gravi, si tende a mandarli fuori.
Inoltre, generalmente è considerato meno pericoloso per i figli maschi
viaggiare soli, anche questo fa parte di un problema culturale, ma soprattutto
penso che le ragazze non rientrano nelle statistiche perché non sono
registrate, dato che finiscono spesso nel racket della prostituzione. Le cifre
che menziona il Comitato Minori Stranieri, che parla del 70-80% di tutti i
minori stranieri, non danno un quadro ben preciso della situazione.
L’altra cosa che sappiamo è che di tutti questi minori, la maggioranza
ha un’età tra i 16 e i 17 anni, quindi sono vicini ai 18 anni,
data fatidica in cui non sono più considerati bambini, però ci
sono anche dei casi diversi, ad esempio si parla di casi dai 7 anni in
giù.
Quali sono le ragioni per cui bambini
separati viaggiano, arrivano o transitano per l’Europa?
Lo studio di Save the Children è stato
fatto soprattutto su 218 casi ben precisi. La ricerca ha appurato che almeno la
metà di tutti i minori separati, erano arrivati da Paesi in cui
c’erano guerre o scontri politici abbastanza accentuati. Il 70% di questi
bambini aveva subito violenze, alcuni erano stati reclutati come
bambini-soldato (le stime sono di più di 300.000 bambini soldato al
mondo). Altri avevano sperimentato bombardamenti o attacchi diretti e alcuni
avevano anche visto i loro genitori morire assassinati. Molte bambine avevano
subito violenze sessuali. In due quinti dei casi invece erano legati a forme
dirette e indirette di persecuzione secondo la Convenzione di Ginevra del 1951.
Alcuni bambini erano stati perseguitati per le opinioni politiche loro o dei
loro genitori. Altri erano stati perseguitati a causa della loro etnia,
religione o nazionalità. Un’altra categoria importante: un terzo
di tutti i casi ha comportato una separazione perché i genitori erano
stati uccisi, imprigionati o addirittura scomparsi o, in alcuni casi, genitori
troppo ammalati per potersi occupare dei bambini. Severe privazioni economiche
sono state citate in un settimo di tutti i casi, anche se abbiamo
l’impressione che sia una ragione molto più forte. Alcuni bambini
hanno anche parlato del sentimento di non avere futuro, di non avere
opportunità per il lavoro e per l'educazione. Alcuni vivevano in
situazioni brutali, in orfanotrofi o sulla strada. Più di un ottavo dei
bambini studiati era stato vittima di traffico a scopi di abuso. Sappiamo che
il problema del traffico dei bambini sta diventando molto grande qui in Europa
e vale la pena studiarlo un po’ di più. Abbiamo incominciato a
fare alcune ricerche e so che altre organizzazioni stanno facendo la stessa
cosa perché è uno degli eventi che stanno prendendo
un’ampiezza preoccupante.
Vorrei parlare soprattutto di ragioni
più specifiche. Ad esempio, la povertà. Diventa sempre più
evidente che molti minori separati in Europa arrivano da Paesi dove la
povertà o le privazioni economiche sono prevalenti. Ad esempio sappiamo
che ci sono molti minori separati a Roma. Sappiamo che arrivano da una fascia
della Romania vicino alla Moldavia, che è veramente molto povera. Questi
bambini arrivano qui perché ci sono dei trafficanti che vanno dai loro
genitori a dire che là non c’è futuro per i loro bambini,
che loro possono dare questo futuro, che li faranno lavorare in Italia, ecc.
Possiamo parlare di frode, perché si fa credere ai genitori che i
bambini staranno molto meglio altrove, però chiaramente si usa la
povertà come fattore molto importante. Questo, diciamo, è normale
in un Paese, in cui la povertà (e quindi il gap tra ricchi e poveri) sta
diventando sempre più grande.
Anche la questione dell’educazione
è una cosa molto importante. Il diritto all’educazione, non
dimentichiamolo, è negato a molti gruppi etnici, come ad esempio i Kurdi
in Turchia o i Rom in Romania. Quindi la ragione della mancanza
dell’opportunità dell’educazione è molto importante,
e lo abbiamo sentito dai bambini che abbiamo intervistato.
Parlavo prima del traffico. Dato che
c’è stata una esplosione dell’economia globale
c’è stata anche una crescita della malavita organizzata, e, di
conseguenza, una crescita del traffico di minori per scopo di sfruttamento. Non
so se è vero, ma qualcuno l'altro giorno mi diceva che il traffico di
umani sta diventando uno dei traffici più importanti, insieme al
traffico della droga e a quello delle armi, e può facilmente anche
superarli ad un certo punto sotto il profilo economico. Sappiamo benissimo che
se un Kurdo vuole andare in Germania, spende quattro volte di più che
per venire in Italia: quindi c’è tutto un traffico,
un’economia, dietro questo fenomeno. Non c’è neanche una
chiara definizione internazionale del traffico, si dovrebbe fare di più
su questo. Ultimamente, le Nazioni Unite hanno proposto questa definizione: il
traffico dei minori consiste in tutte quelle attività di reclutamento e
trasporto di minori al di là delle frontiere, tramite inganno,
coercizione, frode, debiti di schiavitù, con lo scopo di mettere i
minori in situazioni di abuso e sfruttamento, come ad esempio prostituzione
forzata, pratiche schiavistiche e crudeltà estrema. Gli effetti del
traffico sui bambini sono terrificanti e possiamo immaginarlo. Non ci sono
state fino ad ora delle ricerche approfondite su questo tema, anche se, come
dicevo prima, ci sono degli sforzi in questo settore. Un recente rapporto
dell’Organizzazione Mondiale sull’Immigrazione ha stimato tra i 200
e 500 mila le donne e ragazze coinvolte nell’industria sessuale,
soprattutto in Austria, Germania, Italia e Paesi Bassi. E’ impossibile
stimare con esattezza il numero di bambini che vengono trafficati. Le
informazioni vengono spesso da ONG, da associazioni che lavorano alla base in
contatto diretto con questi bambini. Il nostro rapporto, il rapporto di Save
the Children di cui parlavo prima, parla soprattutto di Paesi in cui il
traffico di minori avviene più frequentemente, cioè la Nigeria,
la Cina, la Russia e i Paesi dell’Europa Orientale.
Che cosa si sta facendo, per i minori
separati, a livello europeo? C’è una diversità enorme, ogni
Paese ha una sua legislazione, ci sono pratiche molto diverse. Vanno dalla pura
espulsione a delle normative (come quelle italiane), che escludono
l’espulsione dei minori, ma allo stesso tempo non li spingono a chiedere
asilo. Ricordo ancora una volta che l’Italia è un Paese che non ha
una politica di asilo coordinata e adeguata, perché la legge non
è passata, in Parlamento non sono riusciti a ratificare una legge che
era già stata ratificata dal Senato due anni fa.
La Commissione Europea si sta movendo.
C’è il nuovo direttore di Giustizia e Affari Interni, il
commissario Vitorino e si stanno attivando per pubblicare alcune direttive
comunitarie che noi appoggiamo perché le riteniamo piuttosto importanti.
Ci sono già due bozze di direttive, una molto importante
sull'accoglienza, per unificare e armonizzare le procedure di accoglienza dei
minori separati, e chiaramente non solo dei minori, ma anche degli adulti. Poi
c’è un’altra procedura sul diritto d’asilo. Queste
direttive stanno seguendo il loro iter burocratico. Noi di Save the Children
siamo riusciti, per esempio, a mettere nelle direttive di accoglienza alcune
norme, per esempio che i minori non accompagnati dovrebbero avere diritto ad un
alloggio immediato, ad un tutore che rispetti i loro diritti, ascolti le loro
storie, provvedere alla protezione e a servizi adeguati.
Ricordo anche che c’è, dal punto
di vista istituzionale, una Convenzione dell’Aja per la protezione dei
minori, che è stata scritta nel 1996, ma sfortunatamente è stata
ratificata soltanto da due Paesi, e quindi non è in vigore. Si chiama la
Convenzione sulla giurisdizione, legge applicabile, applicazione e cooperazione
in materia di responsabilità genitoriale e misure per la tutela dei
minori, che pregherei anche il governo italiano di ratificare (in generale, il
governo italiano è abbastanza disponibile a fare queste ratifiche
internazionali).
A livello di ONG, di associazioni in generale,
c’è questo programma dei minori separati in Europa, questa
pubblicazione "Indicazioni per una corretta prassi nei confronti dei
minori separati in Europa". Molto è già stato fatto, il
problema è che non viene messo in pratica, la prassi non esiste.
Vorrei terminare parlando, ed è una
cosa che a Save the Children sta molto a cuore, del ricongiungimento familiare.
E' vero che ci sono dei problemi, naturalmente non possiamo avere sempre
l’idea della famiglia come il luogo più importante per il bambino
o nel migliore interesse del bambino, perché sappiamo chiaramente che,
alle volte, sono proprio i genitori che sfruttano i bambini, i loro propri
figli, che li mandano all’estero, ecc. Nello stesso tempo, però,
nella prassi non esiste qualcuno che faccia un’analisi della situazione
nei Paesi di origine e un’inchiesta veloce per capire che
cos’è successo a questi bambini. Quindi la posizione di Save the
Children è che bisogna riuscire a fare delle inchieste, a mettere in
piedi delle procedure perché questi bambini, se tutti gli elementi ci
sono, se è nel volere del bambino, se è nel volere della
famiglia, vengano ricongiunti alle loro famiglie. Però occorre farlo
abbastanza tempestivamente, senza perdere tempo. Noi siamo disponibili a
discutere di queste cose, però, per noi, è importante
normalizzare la vita dei bambini, metterli in situazioni normali, dove ci siano
dei servizi che funzionano e, se possibile, una famiglia che funziona. Grazie.
Grazie per questa utilissima relazione, mi
permetto di dire grazie anche per tutto quello che Save the Children fa. Credo
che sia veramente consolante per chi lavora su questi temi in Italia riuscire
ad avere questo tipo di confronto e di aiuto. Credo di poter dire che
certamente da una relazione come questa, dal quadro che disegna sulle cause,
sui meccanismi, sulle soluzioni, sui bisogni vengano delle indicazioni di
grandissima difficoltà, di grandissima precauzione sul problema dei
rimpatri. Credo che l’unica cosa che si possa dire è che al di
là delle scelte che si possono fare, al di là della prevalenza
che si voglia dare all’una o all’altra delle soluzioni, rispetto
alle quali poi inevitabilmente anche la politica deve prendersi delle
responsabilità, certamente occorre una preparazione enorme. Preparazione
che, in questo momento, credo non ci sia. Si era pensato a un intervento del
Servizio Sociale Internazionale per poter chiarire anche quest’ultimo
punto fondamentale, l’inchiesta veloce. Purtroppo non ce l’abbiamo
e quindi è un altro di quegli aspetti che dovremmo provare a recuperare
nel pomeriggio negli altri incontri. Grazie ancora davvero.
La parola a Lorenzo Trucco, presidente
dell’ASGI (Associazione di per gli Studi Giuridici
sull’Immigrazione, ndr)
Ringrazio innanzitutto per l’invito,
cercherò di dare un contributo suddividendolo con l’avvocato Gili
che parlerà oggi pomeriggio, cercando di non ripetere. Ringrazio anche
tutti coloro che sono intervenuti, mi sembra che una presenza così numerosa
sia significativa.
Cercherò di dare alcune indicazioni di
carattere generale, che verranno completate dalle persone che mi seguiranno, in
particolare dal collega Gili, anche lui membro dell’ASGI. Mi hanno
colpito moltissimo gli interventi che mi hanno preceduto, perché hanno
messo in rilievo la ricchezza e la complessità estrema della materia che
stiamo trattando, di fronte alle quali le risposte di tipo normativo che
abbiamo dato fino ad ora non sono adeguate.
Voi sapete che l’Italia si è
dotata di uno strumento normativo molto recente, il Testo Unico 286 del
’98, in cui la parte relativa ai minori ha un ruolo centrale, un ruolo
molto importante, per il fatto che, con questa normativa, si sono recepite
alcune indicazioni date dalle Convenzioni già citate varie volte, la
vecchia Convenzione dell’Aja del 5 ottobre ’61, la Convenzione per
i Diritti del fanciullo di New York del 20 novembre dell’89 e la
Risoluzione del Consiglio d’Europa del 26 giugno del 1997. Dov'è
la centralità, nel nostro ordinamento? E' innanzitutto nel fatto che le
norme che riguardano i minori si trovano nel titolo quarto, che, non a caso, a
differenza di altri titoli della legge, comincia esplicitamente con il termine
giuridico "diritto": "diritto all’unità familiare e
tutela dei minori". Sostanzialmente, le norme che riguardano la posizione
del minore sono collegate a questo titolo, e sono in particolare negli articoli
30, 31 e 32 (tra l’altro l’articolo 31, come ulteriore
disposizione, parla esplicitamente di "disposizioni a favore dei
minori").
Ma queste disposizioni sono, a mio avviso,
basate su un elemento centrale, che è essenziale per capire lo scopo e
la ratio della norma: cioè il principio di inespellibilità del
minore. Questo principio, che voi trovate all’articolo 19, sostanzialmente
deriva dal fatto che, con l’introduzione del Testo Unico, si era valutata
la necessità di stabilire alcune categorie protette di persone, persone
cioè che fossero particolarmente tutelate; appunto all’articolo
19, primo comma, si dice “non è consentita l’espulsione,
salvo nei casi previsti dall'articolo 13, comma 1, nei confronti degli
stranieri minori di anni diciotto, salvo il diritto a seguire il genitore o
l’affidatario espulsi”. Quindi viene stabilito un principio generale
molto forte, perché viene stabilito il principio di
inespellibilità con la sola eccezione dell’espulsione che viene
comminata quando ricorrono problemi di ordine pubblico o di sicurezza dello
Stato, quindi un’ipotesi assolutamente residuale. Tra l’altro,
collegata con questa affermazione di principio, c’è l’altra
affermazione che qualora comunque possa essere emesso questo provvedimento di
espulsione, in ogni caso (articolo 31, quarto comma) il provvedimento è
adottato su richiesta del Questore e viene emanato dal Tribunale per Minorenni.
Quindi ci sono alcune affermazioni di principio molto forti che, devo dire,
avevano fatto ritenere a tutti gli operatori che si sono sempre battuti per la
tutela dei diritti degli stranieri, e dei minori in particolare, che si potesse
entrare in una nuova fase, che venisse cioè data una normativa stabile.
Da questo punto di vista, Torino era stata veramente all’avanguardia
perché aveva organizzato anche una serie di incontri con la Questura e
con le varie autorità per cercare di risolvere questo problema. Problema
che si è andato poi evolvendo e complicando, secondo quelli che sono i
cambiamenti sociali, giustamente posti in rilievo da Adriana Luciano. Questo
è il dato centrale su cui si può, e si deve, esaminare tutta la
normativa sui minori. Purtroppo, quello che si sta verificando, forse a causa
della complessità di tutto il fenomeno, è una serie di erosioni
di questo principio-base.
Erosioni, perché? Intanto perchè
nel Testo Unico non si dice (si fa riferimento al regolamento successivo, ma
non si dice) che cosa succede delle persone che sono inespellibili.
Bisognerà attendere il Regolamento di attuazione, articolo 28, comma 1,
che parla, nello specifico, di permesso per minore età (non voglio
addentrarmi, perché sarà compito di chi mi seguirà, nella
complessa applicazione di questi principi alla realtà). Perché questo avviene? Perché
le norme contenute nel Testo Unico negli articoli che vi ho ricordato, laddove
si parla (articolo 31) di disposizioni a favore del minori, riguardano una serie
di posizioni, che sostanzialmente comprendono persone che sono già
regolari sul territorio dello Stato, o di minori collegati a persone che sono
regolari sul territorio dello Stato. Quindi c’è una mancanza di
coordinamento rispetto a quel principio generale di base che dicevo, e rispetto
alla normativa specifica emanata dal regolamento, che parla di permesso per
minore età ma non specifica esattamente la tipologia di questo permesso.
Il tutto complicato da un’ulteriore dizione dell’articolo 32 del
Testo Unico, che è un’affermazione di carattere generale e che
riguarda il passaggio delicatissimo dalla minore alla maggiore età, e
quindi che cosa succede, al di là di questo ipotetico muro formale che
viene posto, alle persone che hanno iniziato un percorso. Ripeto, non mi
addentrerò in tutta la variegata possibilità di posizioni che
riguardano i minori sottoposti a tutela, sottoposti ad affidamento, a coloro
che possono anche essere considerati in una situazione di affidamento di fatto.
Quello che è importante rilevare, a mio avviso, da un punto di vista
generale, è che l’articolo 32 dice che al compimento della
maggiore età, allo straniero a cui sono state applicate una serie di
disposizioni, che sono quelle degli articoli precedenti, può essere
rilasciato un permesso di soggiorno per motivi di studio, di lavoro subordinato
o autonomo, quindi, sostanzialmente, gli viene data la possibilità di
continuare il percorso. Sicuramente ci sono delle difficoltà di
interpretazione, che saranno poi esaminate successivamente.
Quello che veramente ha determinato lo
sconcerto in tutti gli operatori è che ahimè, come purtroppo
succede nell’ordinamento italiano, a fronte di alcuni principi base, di
una situazione indubbiamente complessa, arriva una circolare che, come si sa,
finisce col valere più della Costituzione, perché questa
circolare dà delle linee nettissime. Questa circolare del novembre 2000
pone dei principi assolutamente rigidi perciò, sostanzialmente, al
permesso per minore età, che viene comunque collegato soltanto ad alcune
categorie di minori, non viene assolutamente ricollegata la possibilità
di lavoro e viene assolutamente esclusa una sua possibilità di
conversione nel permesso previsto nell’articolo 32, cui avevo fatto
riferimento prima, permesso che dovrebbe essere la cerniera e la
possibilità di proseguire il percorso iniziato.
Questo è tanto più sconcertante
se noi guardiamo i princìpi-guida (perché credo che, nelle
difficoltà di interpretazione, si debba fare riferimento a quelli) che
ci sono anche in altri punti del Testo Unico, e che sono princìpi-guida
di eccezionalità, tanto è vero che, nell’articolo 31, comma
terzo, si prevede la possibilità per il Tribunale dei Minori, per gravi
motivi connessi con lo sviluppo psicofisico, e tenendo conto
dell’età e delle condizioni di salute del minore che si trova sul
territorio italiano, di autorizzare l’ingresso e la permanenza del
familiare anche in condizioni di irregolarità. Quindi è
un’ulteriore affermazione che si pone come principio forte e di
eccezionalità, principio che sta venendo applicato da vari Tribunali dei
Minori sparsi sul territorio italiano, con interpretazioni che oscillano a
seconda dell'approccio che i giudici hanno su questo tipo di problematica,
però, in realtà, vista la dizione estremamente lata della norma "condizioni che riguardano
il benessere psicofisico", ha dato luogo a una serie di applicazioni.
Un altro principio forte di eccezionalità si trova nell’articolo 18 del Testo Unico, che riguarda il permesso per protezione sociale per le persone che intendono sottrarsi ai condizionamenti, allo sfruttamento, quel fenomeno gravissimo di cui ci ha parlato l’amico di Save the Children. Anche questo è un principio assolutamente eccezionale e unico, perché si dice che questo permesso può essere concesso “all’atto delle dimissioni dall’Istituto di pena allo straniero che ha terminato l’espiazione della pena detentiva inflitta per reati commessi durante la minore età e ha dato prova concreta di partecipazione ad un programma di assistenza e di integrazione sociale". Quindi è anche qui una norma di cerniera, che consente quel superamento del muro che esiste attualmente rispetto alle persone adulte che hanno commesso dei reati, ma che hanno iniziato un percorso, in certi casi eccezionale, per ritornare sulla strada del recupero, e che però non possono regolarizzarsi. A quanto mi risulta, questa norma non è stata ancora applicata nei confronti del minore, è una norma che esula dal discorso normale, tradizionale dell’articolo 18, per sottrarsi ai condizionamenti della tratta e dell’organizzazione. Riguarda proprio lo sviluppo del minore e il percorso che ha tenuto, la prova concreta di partecipazione ad un programma di assistenza e di integrazione sociale. Questi sono i princìpi generali, e per questo parlavo di sconcerto nei confronti di quella circolare, sconcerto che mi pare di cogliere anche nella lettera che ha mandato il Ministro Turco, nella quale si dice che la situazione dovrebbe essere superata.
A fronte di questa situazione globale si pone
il problema, altrettanto grave, relativo ai compiti che sono stati dati al
Comitato per i minori stranieri. Nella formulazione iniziale del Testo Unico,
questo Comitato venne istituito con una funzione di controllo e di vigilanza su
tutte le tematiche attinenti ai minori. Ma, con l’introduzione del
decreto dell’aprile 1999, vengono inserite due nuove affermazioni che
sono molto importanti: da un lato, la categoria dei minori stranieri non
accompagnati, categoria che non era prevista prima (teniamo presente il concetto
di inespellibilità), e dall’altro, l’attribuzione di una
competenza specifica al Comitato per i minori stranieri, che è la
competenza di provvedere al rimpatrio. Con il decreto del dicembre 1999
è stato poi emanato il Regolamento concernente i compiti del Comitato.
In questo Regolamento si dà la dizione generale di quello che si intende
con minore straniero non accompagnato, e cioè il minorenne privo di
cittadinanza italiana (o di altri Stati dell’Unione Europea) che, non
avendo presentato domanda di asilo, si trova, per qualsiasi causa, sul
territorio dello Stato, privo di assistenza e rappresentanza dei genitori o di
altri adulti per lui legalmente responsabili, in base alle leggi attualmente
vigenti nell’ordinamento italiano. Sono stati subito avanzati dei dubbi
di costituzionalità a queste funzioni del Comitato, perché sono
delle funzioni che, rispetto al concetto di rimpatrio assistito, non erano
state previste nella norma di base, e difatti non ne abbiamo trovato traccia;
inoltre c'è il problema legato al fatto che si tratta di un organismo
amministrativo.
Il rimpatrio assistito avviene in un modo che
lascia veramente sconcertati, prima di tutto perché non vengono
specificate esattamente le modalità del rimpatrio. Inoltre, non è
prevista alcuna forma di reale partecipazione del minore a questo intervento, a
questa azione del Comitato, perché è prevista solo la
necessità che il minore sia "sentito", il termine che viene
usato è questo. Quindi non c’è una previsione di
contraddittorio, non c’è la possibilità di costituirsi
nella propria parte processuale, con un difensore, per contestare le
informazioni che vengono acquisite.
Inoltre il Comitato per i minori stranieri
è un organismo a livello centrale, che ha quindi una funzione
assolutamente centralizzata, e per di più esclude, a mio avviso, e ad
avviso di altri ben più autorevoli di me, tutta una serie di competenze
del Tribunale per i minorenni; infatti il Tribunale dei Minorenni è
chiamato in causa solamente quando è sussistente un provvedimento giurisdizionale
coinvolgente il minore: in questo caso, il Comitato deve chiedere al Tribunale
il nulla osta, che però non può essere negato se non sussistono
"inderogabili esigenze processuali". Queste "inderogabili
esigenze processuali", essendo i provvedimenti esistenti i più
vari, anche di tipo assolutamente civilistico, mi sembra siano un elemento
privo di reale consistenza.
Per di più, la verifica della
sussistenza in patria delle condizioni che possano veramente determinare un
rimpatrio assistito sono anche qui molto vaghe, la legge parla di una ricerca
dei familiari o comunque della possibilità di riaffidare (si usa il
termine riaffidare come se ci fosse stato un precedente affidamento) il minore
alle autorità politiche e diplomatiche del Paese
in cui si trova. Quindi, si tratta di un
procedimento che non ha nessuna possibilità di controllo, che non ha
nessuna garanzia interna, non ha nessuna presenza di difensori o di altre forme
di partecipazione che possano controllare questo iter.
Ho visto, per la prima volta, queste
linee-guida che sono state date dal Comitato per i minori stranieri. La persona
che le ha scritte, il professore Vercellone, da questo punto di vista è
una garanzia, ma mi pare che non possa andare al di là di alcune informazioni
molto generiche, proprio perché la norma è totalmente mancante.
Infatti si fa riferimento all’articolo 3 della Convenzione di New York,
in cui si dice che, in tutte le decisioni relative ai fanciulli, la
considerazione preminente deve essere l'interesse del fanciullo; inoltre si
dice che la valutazione dell’interesse del minore non può essere
fatta in modo preventivo e generale, che è uno dei rischi che si possono
correre; che il rimpatrio non deve essere in nessun caso automatico; inoltre dispone
anche l’audizione del minore, ma non c'è alcuna possibilità
di controllo su questo percorso giurisdizionale e sull' attività del
Comitato stesso, e quindi anche le possibilità di impugnazione, che a
mio avviso possono essere solo tramite il TAR.
Da tutto questo nasce il timore che,
nonostante si dica che l’espulsione non c’è più, in
realtà il rimpatrio assistito possa servire per cercare di equilibrare i
flussi, e quindi non è più nell’interesse del minore, ma
è un problema generale di controllo del fenomeno dell’immigrazione,
in cui il principio generale dell’interesse del fanciullo viene ad essere
scavalcato, generando quel concetto di dissonanza cognitiva che è stato
così ben espresso da Adriana Luciano.
Grazie.
Grazie a Lorenzo Trucco per aver dato
quest’idea che ad una straordinaria complessità dal punto di vista
fattuale corrisponde una straordinaria complessità, e anche
difficoltà, di arrivare a soluzioni chiare, anche sotto il profilo
interpretativo, dal punto di vista normativo. Credo che anche qui sia molto
importante il riferimento ai principi forti di eccezionalità, che sono
davvero tanti nella Legge anche se poi, probabilmente, non trovano la
possibilità di essere concretamente attuati.
Abbiamo una straordinaria ricchezza di
presenze, perché sono presenti avvocati, magistrati e un esponente,
Salvatore Longo, delegato ufficiale del capo della polizia, che possono
certamente darci un quadro completo. Passo la parola a Salvatore Longo.
Porto innanzitutto il saluto del capo della
Polizia e del Prefetto Pansa.
Il problema del minore non accompagnato, e
soprattutto della conversione del permesso di soggiorno al compimento del
diciottesimo anno di età, è un problema che abbiamo ben presente,
che abbiamo fatto presente al Dipartimento, soprattutto su sollecitazione di
tutti coloro che si occupano della materia. Il fatto di seguire un minore, di
fargli fare un determinato percorso e poi di non dargli la possibilità,
al compimento del diciottesimo anno, di un permesso di soggiorno che gli
permetta di lavorare è un problema che è sicuramente presente.
Per questo motivo, il Servizio Immigrazione ha cercato, nell'ambito della
propria competenza, di dare risposte diverse da quelle che erano state
inizialmente fornite, ma sempre nel rispetto della norma. Una norma la cui
ratio prevede per i minori il ricongiungimento con i propri familiari o il
riaffidamento alle autorità responsabili del Paese di origine e, quindi,
non sembra offrire degli spunti interpretativi che consentano di ipotizzare una
conversione in permesso di soggiorno per motivi di lavoro o comunque per una
ulteriore permanenza in Italia. Praticamente, che cosa succede?
Al compimento del diciottesimo anno
d’età, nei confronti del minore si decide se dare un permesso di
soggiorno che consenta un’ulteriore permanenza oppure no. Su quale base
viene data questa valutazione?
Sul fatto che il minore sia in possesso, in quel momento, del permesso di
soggiorno per ricongiungimento familiare oppure per minore età. In
quest’ultimo caso il permesso di soggiorno non viene convertito.
Ricordiamoci, però, che il permesso di soggiorno che è stato dato
in questo caso specifico a suo tempo, ha come fine quello di tutelare il minore
fino a quando è minore. Il permesso di soggiorno di tipo diverso
è quello che effettivamente è previsto dall’articolo 31 del
Testo Unico, che è possibile riconvertire in permesso di soggiorno di
lunga durata. Quali sono le tipologie che ci troviamo ad affrontare?
Innanzitutto abbiamo il minore con un genitore
regolarmente soggiornante. In questo caso il minore, previa esibizione del
documento di riconoscimento, del certificato di nascita, di tutta la
documentazione proveniente dal Paese di origine, ottiene il permesso di
soggiorno autonomo per motivi familiari, salvo poi l’iscrizione, se
infraquattordicenne, nel permesso di soggiorno del genitore. In questo caso al
compimento del diciottesimo anno d'età abbiamo la conversione del
permesso di soggiorno in tipologie diverse.
Minore affidato con provvedimento del Tribunale
per i minorenni. In questo caso il minore ottiene un permesso di soggiorno per
affidamento o, se infraquattordicenne, viene iscritto sul permesso di soggiorno
dell’affidatario, se questo è un cittadino straniero. Tale
autorizzazione è anch’essa convertibile al compimento del
diciottesimo anno d'età in permesso di soggiorno per lavoro subordinato,
autonomo e tutte le altre tipologie.
Minore con parente entro il quarto grado.
Questo è il caso in cui si creano maggiori problemi. In questo caso il
minore ottiene un permesso di soggiorno per minore età ai sensi
dell’articolo 28 del regolamento. Questa ipotesi non rientra nella
previsione dell’articolo 31 del Testo Unico. Infatti, il Tribunale dei
Minorenni di Torino non ritiene che esistano i presupposti per un normale
affidamento, bensì ritiene che si tratti di un affidamento di genitori a
parenti entro il quarto grado, ai sensi della Legge 184 dell’83, che non
necessita alcuna segnalazione all’autorità giudiziaria. Quindi in
questi casi diamo un permesso di soggiorno per minore età.
L’altra ipotesi in cui si dà un
permesso di soggiorno per minore età, sempre volendo schematizzare,
è il caso in cui il minore è destinatario di un provvedimento di
tutela da parte dell’autorità giudiziaria civile. Ed ancora, nel
caso in cui il minore è provvisoriamente affidato alla pubblica
assistenza, in attesa della nomina del tutore. Anche in questi casi viene dato
un permesso di soggiorno per minore età.
Infine, al raggiungimento del diciottesimo
anno d'età naturalmente emergono queste differenze. Chi ha ottenuto un
permesso di soggiorno per minore età sostanzialmente viene espulso.
Anzi, non viene espulso: non ottiene il permesso di soggiorno. Sono due cose
diverse e non è da poco la differenza, perché, se venisse
espulso, vi sarebbe tra l’altro l’impossibilità di rientrare
in Italia per almeno 5 anni. Se invece, al rifiuto del permesso di soggiorno,
rientra nel Paese di origine potrà usufruire delle quote messe a
disposizione dei Paesi extracomunitari per lavoro subordinato.
D’altra parte, mi sembra che la ratio
della legge, al di là degli schematismi che ho proposto, sia quella di
tutelare innanzitutto il ricongiungimento familiare e di tutelare il minore fin
quando è minore. Una ulteriore apertura a 360° di questo fenomeno,
con una concessione a tappeto del permesso di soggiorno, potrebbe costituire un
aggiramento della normativa sull’immigrazione clandestina. Perché
noi vediamo, e sono dati del Comitato per i minori, che coloro che entrano in
Italia e usufruiscono del permesso per minore età, sono in una fascia di
età immediatamente precedente al compimento del diciottesimo anno,
cioè sono quasi tutti nella fascia 16-18 anni.
Concludo con una piccola annotazione per
l’avvocato Trucco: Lei parlava delle eccezionalità del Testo Unico
e mi sembrava che volesse fare rientrare tra le eccezionalità anche la
possibilità, per il minore titolare del permesso di soggiorno per minore
età, di avere la conversione del permesso di soggiorno. Però mi
sembra che le eccezionalità presenti nel Testo Unico siano di tipo
diverso e soprattutto siano tutte quante previste, esplicitamente indicate. Il
permesso di soggiorno consente il lavoro a chi esce da una situazione di
tratta, l’articolo 18 è esplicitamente previsto. Già il
fatto che, a seguito del permesso di soggiorno per motivi familiari, al
compimento del diciottesimo anno d'età si può dare il permesso di
soggiorno per tipologie diverse, quindi una permanenza ulteriore in Italia,
come si può notare dalla dizione
letterale, non è proprio automatico. La stessa Legge dice
"può essere". Chiaramente, capisco che è un potere
discrezionale vincolato, però, sicuramente, in quel caso la Pubblica
Amministrazione fa una valutazione anche per una ulteriore permanenza. Grazie.
Ringraziamo Salvatore Longo.
Saluto l’assessore Eleonora Artesio che
è venuta ad ascoltarci e ribadisco, come ho detto prima, l’invito,
se volesse intervenire saremo in qualsiasi momento a disposizione. Darei la
parola a Giulia De Marco, presidente dell’Associazione Italiana
Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia.
Parlerò come Presidente del Tribunale
per i Minorenni e non come Presidente dell’Associazione, perché
l’incarico è annuale e il mio incarico è scaduto a novembre
del 2000: lo sono stata quindi nel 2000 ma non lo sono più oggi.
Una premessa. Non sono affatto d’accordo
sul fatto che la legge 40/98 non sia buona, non sono affatto d’accordo
sul fatto che non tuteli i minorenni. Cercherò di farmi capire.
Vorrei soprattutto ricordarvi cosa c’era
prima della legge 40/98, perché dobbiamo vedere storicamente,
cronologicamente i passi che un Paese come l’Italia, che si è
trovata di fronte al fenomeno dell’immigrazione tutto in un colpo, ha
fatto e in quanto tempo li ha fatti. Se continuiamo a piangerci sempre addosso
e ad attaccare sempre le leggi che abbiamo, non andiamo avanti. Attacchiamo i
governanti senza proporre delle soluzioni che si possono proporre trovando le
argomentazioni nella Legge. Vi ricordate che cosa c’era prima della legge
40/98? Sfido qualcuno di voi a dirmelo. Non c’era una Legge che si
occupasse dei minorenni stranieri, salvo una legge che prevedeva che a 16 anni
il minorenne clandestino poteva essere espulso. Queste erano le norme prima
della legge 40/98.
A Torino c’era l’Intesa. Ma era
Torino, ed era l’Intesa nata da un accordo venuto fuori dalle spinte
delle associazioni, dalla disponibilità del comune di Torino e anche
queste cose ricordiamocele. Il volontariato, la Questura, il dottor Longo e
prima di lui il dottor Baglivo, la Procura, il Tribunale per i Minorenni, il Giudice
Tutelare Daniela Giannone. Ci siamo messi intorno ad un tavolo, anzi io allora
non c’ero e non voglio darmi dei meriti che non ho, c’erano il
dottor Bouchard e Palmisano, si sono messi intorno ad un tavolo e hanno detto:
questi ragazzi che sono invisibili per il legislatore in realtà ci sono,
li incontriamo tutti i giorni, vogliamo vedere che cosa possiamo fare? E sulla
base delle norme che avevamo, del Codice Civile, della Convenzione Internazionale
di New York, di una sensibilità notevole di tutte le Istituzioni e di
tutte le rappresentanze istituzionali torinesi, si è fatta la prima
Intesa. Nell’82 il Comune di Torino ha creato l’Ufficio Stranieri e
Nomadi, che molte grandi città non hanno ancora, e nel '92 è
stato creato l’Ufficio Minori Stranieri. Si è deciso, per rendere
visibili questi bambini e permettere che venissero aiutati, di consentire che i
Servizi Sociali potessero aiutarli nel rispetto della Convenzione Internazionale
di New York, che il Tribunale dei Minorenni, su iniziativa della Procura della
Repubblica, avrebbe disposto l’intervento del Servizio Sociale a favore
del minorenne. E quando si trattava di quattordicenni e quindicenni si è
detto: inseriamo nel provvedimento che il Servizio Sociale predisponga anche un
progetto di professionalizzazione e di attività lavorativa. Siamo andati
avanti per anni in questo modo. Il numero dei minori cresceva, la cultura verso
il minore straniero aumentava, ed è sorto, grazie alla disponibilità
di Daniela Giannone, il progetto delle tutele e, più tardi, il progetto
delle tutele civili. Non sono vent’anni fa, sono cose di quattro o cinque
anni fa. Daniela Giannone ha aperto centinaia e centinaia di tutele civili e il
Tribunale per i Minorenni ha fatto centinaia e centinaia di provvedimenti
applicando le leggi che avevamo e le intese. Il fenomeno di Torino,
l’esperienza di Torino ha incominciato ad andare avanti nelle altre
città, prima siamo stati copiati dalle varie istituzioni e poi è
arrivata la legge 40/98. A questo punto abbiamo detto: l’Intesa non ci
serve più perché abbiamo la legge e la legge è più
forte dell’Intesa.
E la legge che cosa prevede? Che
il minore straniero, regolare o irregolare, è un soggetto di diritti.
Quindi siamo passati dall’invisibilità all’affermazione (che
deriva dalle affermazioni contenute nella Convenzione Internazionale di New
York) che il minore è soggetto di diritti, ma è minore, e proprio
perché minore gode di determinati diritti ma ha anche dei doveri, che devono
essere garantiti, come nella legge italiana, nella Costituzione italiana,
questi doveri devono essere garantiti dall’autorità, se questo
dovere, diciamo così, non lo rispetta volontariamente, e cioè il
dovere di vivere con la propria famiglia fino ai diciotto anni. E’ questa
la ratio della legge, ma che che è anche nel programma Save the
Children. Ed è anche nella norma, il 25/bis, a tutela delle giovani
prostitute. Tanto è che è previsto che il Giudice debba subito
prendere contatti con l’autorità del Paese straniero.
Perché è giusto, come principio, che il minorenne viva nella
propria famiglia. Non c’è un rimpatrio generalizzato,
professoressa Luciano. Non c’è in Italia, non c’è
nelle linee guida del Comitato per i Minori Stranieri, non è applicato.
L’unico rimpatrio generalizzato, lo dico pubblicamente, l’ho
già detto altre volte e l’ho anche scritto alle autorità,
è stato quello dei 22 minori albanesi che sono arrivati in una notte,
hanno occupato Collegno e sono stati rimpatriati nel giro di 48 ore. Quello
è l’unico rimpatrio generalizzato. Altrimenti i rimpatri vengono
fatti caso per caso, studiando tutte le varie situazioni. E se non arrivano le
informazioni dal Servizio Sociale Internazionale non viene rimpatriato nessuno.
Non mi risulta che il Comitato per i Minori rimpatrii. Ma non rimpatriano
neanche i giudici minorili. Questo spettro del rimpatrio generalizzato non
esiste e va eliminato anche dalla mente dei ragazzini, perché altrimenti
sorgono equivoci e non mi piace che sorgano equivoci come interprete di una
legge, perché sarei in prima persona chiamata a rispondere di una
cattiva interpretazione di una legge.
Allora, che cosa riconosce questa
legge? Il diritto alla salute, e non più come si faceva prima facendo
passare per interventi d’urgenza quelli che interventi d’urgenza
non erano. Oggi è garantito il diritto alla salute.
Il diritto all’istruzione
obbligatoria, che diventerà fino a 16 anni come per i nostri figli.
Il diritto a soggiornare in Italia
con il permesso di soggiorno per minore età.
Poi, come ho detto prima, siccome
c’è il riconoscimento del minorenne come soggetto di diritti, io
posso applicare anche la Convenzione Internazionale di New York e quindi il
diritto a condizioni di vita sufficiente, articolo 27 della Convenzione.
Che cosa fa un giudice quando si trova di fronte ad un minore straniero non accompagnato o separato? Distingue, come ha detto giustamente il dottor Longo, tra minorenne con famiglia allargata o minorenne assolutamente solo. Tra i minori assolutamente soli distingue ancora tra la minorenne prostituta (finora non abbiamo il minorenne, ma forse l’avremo) e il minorenne con problemi a carattere penale.
Primo caso: minore con famiglia
allargata.
E’ solo, non accompagnato o
separato, perché la nostra legge non riconosce una rappresentanza legale
automatica a persone diverse dai genitori, ma di fatto non è solo. Che
cosa fa il giudice minorile con l’aiuto dei Servizi Sociali? Accerta con
chi vive, accerta come vive, accerta come è trattato da queste persone e
accerta se le persone con cui vive e che lo ospitano hanno un lavoro e una
casa. Quindi, se sono in grado di educarlo, di istruirlo e mantenerlo
così come la legge obbliga a fare i genitori. Poi decidiamo, nel
rispetto della Legge 184/83. Se il bambino vive con parenti entro il quarto
grado, non c’è bisogno di fare un affidamento formale. Ricordo
benissimo le polemiche su questo fatto, ma io vi dico che non posso aggirare
una legge per violarne un’altra. E perché ve lo dico? Perché
io posso disporre un affidamento familiare con un provvedimento del giudice
quando limito la potestà dei genitori, perché i genitori tengono
condotte pregiudizievoli al minore: allora deve esserci una situazione di
pregiudizio per il minore, non perché muoiono di fame lì. La
condotta pregiudizievole non è legata a una situazione di
povertà, è legata a maltrattamenti, ad abusi, a carenze. Io di
quella famiglia non so nulla, so solo che loro si sono recati davanti ad un
notaio ed hanno dichiarato che volevano che il loro ragazzino vivesse con il
fratello, con la sorella, con il cugino, con la zia, parenti entro il quarto
grado. Per la legge italiana è legittimo esercizio della potestà
genitoriale far vivere il proprio figlio con i parenti entro il quarto grado.
Quindi il giudice si accerta che viva bene, si accerta che abbiano le
condizioni per mantenerlo e poi dice che non può fare un provvedimento
limitativo della potestà dei genitori, perché non ricorrono i
presupposti di legge.
Secondo caso: minore
assolutamente solo.
Il fatto di non avere nessuno
è di per sé una situazione di pregiudizio. Chi vive da solo ed
è minorenne è in una situazione oggettiva di pregiudizio. E
quindi noi interveniamo subito. Interveniamo facendo un provvedimento in cui lo
collochiamo in una comunità e, se non è prossimo al compimento
del diciottesimo anno d'età, lo segnaliamo al Giudice Tutelare
perché gli nomini un tutore. Perché a quel punto, se il bambino
ha 9, 10, 11, 12, 15 anni ha senso che abbia un tutore, ma non a 17 anni e un
giorno, per cui il giudice tutelare non fa neanche in tempo a capire. Ma anche
per un’altra ragione. In base alla legge 184, i poteri tutori nei
confronti di un minore collocato in comunità spettano per legge al
responsabile della comunità. Quindi nel momento stesso in cui
l’assistente sociale lo porta in una comunità, lui ha un tutore,
ha qualcuno che esercita i poteri di tutore. Sono i responsabili della
comunità, finché non intervenga un’altra disposizione del
Giudice Tutelare, che non è sempre necessaria se il bambino è
collocato in comunità.
Ben vengano, come raccomanda Save
the Children, le famiglie affidatarie per questi bambini. C’è una
raccomandazione che, al di sotto dei 15-16 anni, dovrebbero vivere in famiglia.
L’opinione pubblica, il volontariato, la città, sensibilizzino le
famiglie straniere a prendersi i bambini in affidamento, sensibilizzino le
famiglie italiane a prendersi i bambini in affidamento familiare. Ma non
è compito del Tribunale per i Minorenni. Abbiamo ritenuto in buona fede
che l’affidamento a parenti o che l’apertura di una tutela portasse
determinate conseguenze. Abbiamo sbagliato e la prima colpa forse
l’abbiamo noi giudici, che abbiamo letto affrettatamente queste norme, ma
ne parlerò subito dopo.
Terzo caso: minorenne
prostituta.
La minorenne prostituta gode nel
nostro ordinamento di una tutela sia come minorenne sia come prostituta, o
ex-prostituta. Con l’articolo 25/bis del Testo Unico è previsto che debba essere assistita,
che occorra darle immediatamente un collocamento in comunità.
Quarto caso: i minorenni condannati.
Vi sono due sottocategorie.
1) I condannati che vengono recuperati
attraverso un progetto (la messa alla prova, l’aiuto del servizio
sociale, l’affidamento in prova al servizio sociale, una misura
alternativa alla detenzione) hanno diritto ad una proroga del permesso di
soggiorno dopo il diciottesimo anno di età.
2) I condannati senza documenti: qui
c’è il nulla, ci sono gli alias, alias, alias che variano da nato
nell'84, nato nell'82, nato nell'86, ed in mezzo c’è un accertamento
radiografico che attribuisce un’età. Li si considera sempre
minorenni, anche quando si hanno molti dubbi. Il gap è di 15 mesi e
prevale la presunzione che possa essere minorenne, ma un limite dobbiamo
metterlo.
Non ci sono soltanto le leggi
sull’immigrazione, ci sono anche le leggi civili che attribuiscono
determinati diritti al diciottenne. Vorrei vedere se un ragazzo che ha superato
i diciotto anni dovesse subire la valutazione: "tu non mi sembri
sufficientemente maturo per andare a votare o prenderti la patente" ecc.
Non possiamo fare una legge per lo straniero, dove la maggiore età
è attribuibile (e da chi?) e per tutti gli altri la maggiore età
scatta a 18 anni. Alla nostra onnipotenza dobbiamo porre dei limiti.
Se sono senza documenti, ci preoccupiamo (il
carcere, i servizi sociali ministeriali, il comune di Torino, l’assessore
Artesio, l’assessore Cotto[5],
veramente tutti) d’aiutarli, uno ad uno, non pensando ad un programma
generalizzato, ma uno ad uno.
Vengono incontrati nel C.P.A. (Centro di Prima
Accoglienza, ndr), durante
la detenzione; si propone loro un programma, si propone un progetto, certo il
GIP ci potrebbe sempre dire "I vostri progetti non sono sufficientemente
adatti alle caratteristiche di personalità dei minorenni
stranieri", non abbiamo ancora questa raffinatezza. Stiamo lavorando anche
per questo.
Se non si recupera e si arriva ai 18 anni, non
sarà certamente il Tribunale dei minorenni a chiedere al signor Longo o
chi che sia di espellere il minore. Sarà lui stesso che si farà
espellere perché, non avendo recuperato praticamente nulla, farà
qualche reato da maggiorenne ed è lì, da quel momento, che
scatterà l’espulsione.
C’è il problema di che cosa
succede quando scattano questi famosi 18 anni. I minori che vivono in famiglia
con un affidamento di fatto non possono essere espulsi. I conviventi che vivono
con stranieri irregolari non possono essere espulsi. Se il minore straniero
vive in una situazione conosciuta dal Tribunale per i minorenni, conosciuta da
tutti, quindi nella legalità anche se non di giurisdizionalità ,
non può essere espulso. Il minore che vive con parente entro il 4°
grado non può essere espulso. La prostituta minorenne non può
essere espulsa. Valutiamo che cosa ne facciamo di questi minorenni che
diventano maggiorenni. Li abbiamo tutelati e coccolati, come direbbe la
dottoressa Calcagno[6],
per ripetere il suo gergo e ricordarla oggi che non c’è, li
abbiamo coccolati fino al diciottesimo anno di età. E’ vero,
perché le Convenzioni impongono di tutelarli. Dopo no. Non è
previsto nient’altro. Lo avete ritenuto ingiusto. Lo abbiamo ritenuto
ingiusto anche noi. Abbiamo segnalato la cosa al Ministro della Giustizia. Ma
se per caso questa battaglia non fosse vittoriosa, perchè bisogna tenere
conto che ci sono masse di adulti che spingono per essere ricompresi nei
flussi, se quindi il governo decidesse che il permesso di minore età non
è convertibile in un permesso di soggiorno, noi dovremmo aiutare questi
ragazzi a comprenderlo, ad accettarlo e a far loro capire che comunque la loro
esperienza è un’esperienza arricchente. Non ho paura che voi la
pensiate diversamente, perché neanche ai nostri figli dopo il
diciottesimo anno di età viene garantito qualcosa. Anche i nostri figli
spesso non trovano lavoro in Italia. Ma il problema è che nel frattempo
il legislatore alcune leggi particolari ed alcune situazioni di
eccezionalità, le ha potute prevedere, perché erano minorenni. E
allora, prepariamoli in funzione di un possibile ritorno nel loro paese. Diamo
loro una preparazione che possano spendere nel loro paese. Prepariamo un
rimpatrio assistito che sia funzionale ad un benessere del loro Paese. Quei
Paesi hanno il diritto di crescere, a disporre di professionalità. Io
non la vedo così tragica, se siamo corretti con i ragazzi e diciamo loro
quello a cui hanno diritto e quello a cui non hanno diritto allo stato della
legislazione attuale. Magari dotandoli di un piccolo peculio. Preparando questo
rientro. Preparandoli come adulti, non consentendo loro di ritornare nella
clandestinità.
Ultima cosa. Una replica all’avvocato Trucco. Sono entrati clandestinamente: per il clandestino maggiorenne straniero chi dispone l’espulsione? L’organo amministrativo, la Questura. Per rimpatrio assistito si intende "l'insieme delle misure adottate allo scopo di garantire al minore interessato l’assistenza necessaria fino al ricongiungimento con i propri familiari o al riaffidamento alle autorità responsabili del proprio paese d’origine". Questa è la definizione di rimpatrio assistito. Ed allora ecco che l’organo governativo fa il rimpatrio assistito. Sempre singolarmente, caso per caso, valutando le situazioni.
E’ logico che si possa prorogare oltre il diciottesimo anno di età, l’affidamento disposto ai sensi dell’art. 2 e dell’art. 4, perché c’è pregiudizio, c’è una famiglia che ha avuto la potestà limitata perché teneva comportamenti pregiudizievoli e quindi è logico che non si possa fare un rimpatrio assistito in quel caso. C’è una ratio nella legge. Soprattutto, credo di poter dire, che anche se non consente ai minorenni diventati maggiorenni di rimanere in Italia, è una legge valida, cerchiamo di tenerla il più possibile.
Moderatore (Davide Petrini)
Oggi pomeriggio ci sarà una tavola rotonda
nella quale i relatori della mattinata avranno modo di recriminare senza
bisogno di interpellanze varie, anch’io sono un giurista ed avrei molte
cose da dire sugli interventi precedenti, tanto più che non ci
sarò oggi pomeriggio. Dobbiamo, però, cercare di rispettare un
po’ i tempi, devo dire che le relazioni sono state tutte molto puntuali,
precise e chiare. Certo che ci possono fare più o meno piacere, uno
preferirebbe che le cose che non gli piacciono fossero dette male ed in maniera
confusa, e se sono dette in maniera chiara e precisa suscitano ostilità.
Credo che riusciremo a recuperare nell’ultima mezz’ora della
mattinata o nella tavola rotonda la possibilità di interventi ed altre
cose.
Darei subito la parola a Luigi Gili dell’ASGI. Grazie.
Luigi Gili
Mi aggancio a quello che aveva già iniziato a dire Lorenzo Trucco e vi ricordo alcune considerazioni fatte a Torino con avvocati e giuristi, non per ultimo Gianluca Vitale, attorno a questa circolare di novembre. E’ stata l’occasione per ragionare intorno al sistema delle fonti che interessa la condizione dello straniero, ovvero capire fino a che punto la circolare può diventare regola. Questa circolare ci interessa, ed io ne parlerò in particolar modo, nella prospettiva in cui dice che l’affidamento di fatto ed i ragazzi sottoposti a tutela giudiziale sono destinatari del cosiddetto “permesso di minore età”. Inoltre, che questo permesso di minore età non permette l’esercizio dell’attività lavorativa.
Il quadro deve partire dall’art. 10, comma 2,
della Costituzione, dove si afferma che la condizione dello straniero deve
essere conforme alle disposizioni normative, ovvero c’è una
riserva di legge. Poi possiamo discutere se riserva assoluta o relativa,
comunque è la legge a regolare quali sono le condizioni relative allo
straniero.
Poi, se scendiamo, sempre nell’ambito di un
quadro generale, nel corpo del Testo Unico, vediamo che l’art. 2, comma
1, ribadisce che comunque, che sia regolare o irregolare, i diritti
fondamentali dello straniero vengono riconosciuti.
Andiamo ancora più nel particolare, sempre
nell’ambito di un quadro generale di diritti, e vediamo l'art. 28, comma
3, del decreto legislativo che dice "in tutti i procedimenti
amministrativi, giurisdizionali, finalizzati all’attuazione del diritto
dell’unità famigliare, riguardante i minori, deve essere preso in
considerazione con carattere di priorità il superiore interresse del
fanciullo, conformemente a tutte le disposizioni delle Convenzioni sul diritto
del fanciullo ratificate, riconosciute, recepite nell’ordinamento
interno".
Il primo dato che possiamo ricavare in primo luogo
è che la condizione dello straniero è sottoposta espressamente ad
una riserva di legge. Il secondo dato è che la condizione del minore
deve essere valutata, sul piano dei valori, come la condizione principale da
tutelare.
A fronte di questi valori, vediamo ora cosa afferma in materia di permesso per minore età. Sul permesso per minore età dice poco il nostro sistema. C’è l’art. 19, comma 2, lettera a, del Testo Unico, che proprio nell’ambito delle categorie degli inespellibili, dice per l’appunto che i ragazzi sotto i 18 anni non possono essere espulsi. Dopodiché, andiamo a vedere il regolamento di attuazione, all'art. 28, comma 1, che dice soltanto che deve essere rilasciato un permesso per età. Non dice né quali siano le condizioni in forza delle quali deve essere rilasciato il permesso, né le peculiarità del procedimento, nel senso che il rilascio del permesso di soggiorno è provvedimento amministrativo.
L’amministrazione, quando opera, deve seguire
certe regole. Dal testo normativo, quindi dalla fonte principale, che è
il Testo Unico (che nasce dalla legge 40), e dal regolamento di attuazione non
abbiamo nessuna indicazione. Ciò che si può dedurre è che
sicuramente non c’è una tipizzazione del procedimento di rilascio
del permesso di soggiorno per minore età. A questo punto ci dobbiamo
chiedere cos'è una circolare amministrativa. Prendete qualsiasi manuale
di diritto costituzionale o di diritto pubblico, non troverete mai le circolari
tra le fonti del diritto. Le circolari servono ad interpretare il diritto, ma
non fanno la regola, non fanno la norma.
Una circolare può stabilire le condizioni per
rilasciare un permesso per minore età? E’ qui il nodo di tutta la
questione.
La risposta in termini giuridici: una circolare non
può stabilire le condizioni di rilascio di un permesso per minore
età se non ha il conforto di una legge. Ed il conforto di una legge non
c’è.
Tra l'altro qui non è solo un discorso specifico sulla 286/98 e sul regolamento di attuazione, ma è un discorso un pochino più ampio cioè il rispetto della legalità. La pubblica amministrazione non può fare il privato, fare contratti: deve rispettare, deve dare esecuzione alla legge ed è la legge che deve stabilire i provvedimenti amministrativi. Se non è stabilito dalla legge, la pubblica amministrazione non ha il potere di creare un nuovo procedimento amministrativo o, se volete, stabilire le condizioni per l’adozione del provvedimento.
Non rimane che dare una cosìddetta
“interpretazione costituzionalmente orientata” degli articoli 30 e
31 del Testo Unico, come già ribadito dalla Cassazione nella sentenza
che vi segnalo, molti la conoscono, la n° 3674 del ’99 e Consiglio di
Stato sezione 4°, n° 870 del ’99, che ovviamente non è in
termini, ma si poneva un problema di interpretare una norma e c’erano
più possibilità interpretative.
Quando ci sono più possibilità interpretative cosa si fa? Si va sempre davanti alla Corte Costituzionale ad attendere che ci venga detto se è legittima o meno? La Corte Costituzionale non ha sempre voglia di fare delle sentenze abrogative ed allora dice: "dai un’interpretazione costituzionalmente orientata, ed il valore di riferimento (questo lo dice la Cassazione ed il Consiglio di Stato) devono essere i valori solidaristici contenuti nel decreto legislativo 286 e che si riallacciano direttamente all’art. 2 della Costituzione".
Riassumendo questa prima parte: se non
c’è il conforto di una previsione di legge, se c’è un
dubbio interpretativo, la circolare non può diventare essa stessa
regola, perché si interpreta se c’è qualcosa da
interpretare, ma se si deve mettere qualcosa di nuovo probabilmente non si
interpreta. Nel dubbio bisogna dare un’interpretazione costituzionalmente
orientata. Una interpretazione costituzionalmente orientata ci dice che nell’ambito
dell’art. 30 e 31 del Testo Unico probabilmente dovremmo ritenere
inclusi, per lo meno, i ragazzi che sono stati sottoposti a tutela giudiziaria
e che, in quanto tali, dovrebbero avere il diritto d’ottenere il permesso
per motivi familiari.
Vi sono, a parere nostro, altri due argomenti a favore del diritto del minore, in particolar modo sottoposto a tutela giudiziale, di continuare il percorso formativo e lavorativo iniziato a seguito del provvedimento del giudice tutelare.
Il primo argomento interessa i rapporti tra la
pubblica amministrazione, rappresentata dall’ufficio periferico della
Questura, ed il giudice tutelare. Io sicuramente non sono un esperto, ma il
giudice tutelare, molto probabilmente, in questa sede esercita un’attività
con contenzioso di volontaria giurisdizione, ovvero un’attività
che in altre occasioni verrebbe attribuita alla pubblica amministrazione, ma
c’è una tale delicatezza delle decisioni prese, degli interessi
coinvolti, che vengono attribuite queste competenze ad un organo giudiziario.
Vi rendete conto che si possono effettivamente creare delle situazioni di contrasto, di contraddizione del sistema, perché se voi andate a prendere l’art. 371 del Codice Civile, vi dice che "il giudice tutelare, su proposta del tutore, delibera: 1. sul luogo del minorenne dove deve essere elevato e sul suo cambiamento agli studi e sul suo esercizio di un’arte, mestiere o professione, sentito lo stesso minore se ha compiuto anni 10". Fino a che punto possiamo ritenere che questa norma dia un potere forte, o comunque abbia tutta la forza di legge, a fronte di un provvedimento amministrativo che rilascia un permesso per minore età che, per diritto vivente, non permette, a fronte di una circolare, di lavorare? Nel senso che c’è un progetto del giudice tutelare che nel percorso formativo prevede una formazione lavorativa.
La seconda questione che abbiamo rilevato è
invece su un discorso più di certezza del diritto, nel senso che questi
ragazzi hanno fatto una sorta di patto per cui si sono ripromessi di seguire un
progetto con una certa prospettiva. Allora, siccome si parla di diritti
acquisiti, spesso bisognerebbe vedere se l’affidamento rientra in una
situazione giuridica soggettiva da tutelare, per lo meno, per le posizioni
pregresse proprio perché, ripeto, parliamo di persone e quindi è
giusto ragionare con quei principi che riconosciamo agli stessi cittadini
italiani.
Grazie.
Moderatore (Davide Petrini)
Grazie a Luigi Gili, che tra l’altro ha avuto il
merito di sollevare un ulteriore problema della circolare, che non è
soltanto quello della inconvertibilità in permesso per questioni di
lavoro, ma anche della possibilità di poter lavorare, seguire corsi di
formazione professionale. Questo è uno degli incisi contenuti nella
circolare, estremamente importante, che acquista grandissima importanza anche
in relazione alla convertibilità o meno, però è uno degli
aspetti sui quali ancora questa mattina non si era parlato.
Abbiamo 20-25 minuti di tempo per interventi da parte
del pubblico, interventi o domande alle quali, a meno che non siano rapide
anche le risposte, potremmo pensare di dare risposta nel pomeriggio, visto che
la tavola rotonda riavrà tutti i partecipanti di questa mattina.
Dal pubblico
Sono Riccardo Rosso. In una scuola media mi occupo di
tutoraggio e di inserimento di minori stranieri. C’è un problema,
io vedo gli aspetti molto pratici e vorrei chiedere come risolvere tali
questioni. C’è una procedura che prevede la prospettiva di un
progetto per l’inserimento nel mondo del lavoro. La maggior parte dei
minori stranieri che sono nella scuola media è costituita da minori che
lavoravano già in modo illegale o da chi ha un ideale immediato e tende
a ritardare, a patto che la cosa si realizzi. Ho qualche scrupolo a presentare la
situazione legislativa come si presenta ora, anche perché mi pare che si
dica che il minore in qualche modo rientrerà
nell’illegalità, e nel caso debba rientrare nel suo paese, sono
passati magari dieci anni durante i quali è stato educato a parlare
nella nostra lingua, ad agire, ad acquisire delle conoscenze esclusivamente
legate alla realtà italiana, ed allora è stato tutelato il suo
rientro come soggetto attivo nella sua società? Quali rapporti reali si
tengono con il paese di origine? Non finiamo con il creare un’ulteriore
forma di emarginazione?
Ultimo punto: i rapporti con le famiglie. Io non so
quanto sia stato fatto. Nei pochi casi di rimpatrio a cui ho assistito, la
famiglia pensava che il proprio figlio dovesse andare a lavorare, portare i
soldi e non accettava di buon grado il suo rientro. Voglio dire che il lavoro
da fare è molto complesso, attraverso strutture che uno Stato straniero
spesso non ha, e quindi questo è il quadro dei problemi che mi ritrovo a
dover affrontare quotidianamente.
Moderatore (Davide Petrini)
Grazie.
Dal pubblico
Mi chiamo Iotti, e rispetto a quella circolare, il problema è
questo: noi abbiamo una convivenza residenziale con quindici minori stranieri
di varie nazionalità. Ogni intervento avviene a seguito del giudice
tutelare che, pressato dal Tribunale dei minorenni, nomina l'assessore, o il
Comune, pubblico tutore dei ragazzi. I ragazzi vengono avviati al lavoro e
quindi c'è un duplice campo: quello del ragazzo che va verso le imprese
e viene pagato come apprendista, e quello delle imprese che cercano di
istruirlo come lavoratore; se al compimento del diciottesimo anno di
età, questo ragazzo, che si è fatto 7-8-9-10 mesi di
apprendistato, non può continuare, non solo riceve un danno lui,
perché non vuole rientrare nel suo paese e vuole continuare a lavorare,
ma è un danno anche per le imprese che lo hanno accettato e lo hanno
assunto, che hanno speso tempo e denaro ad istruirlo in una professione.
Secondo me la circolare consuma una violenza terribile nei riguardi dei ragazzi
e delle imprese che si sono impegnate ad istruirli. Io speravo che il giudice
mi dicesse qualcosa di più riguardo alla circolare. Noi abbiamo chiesto
il parere a professori universitari e ci hanno detto che la circolare fa acqua
da tutte le parti.
Moderatore (Davide Petrini)
Grazie.
Dal pubblico
Vengo da Reggio Emilia. Mi chiedevo: mentre la
ragazzina prostituta non viene rimandata a casa per tutela, invece il
ragazzino, che è stato agganciato in strada proponendogli
attività lavorative per cambiare la sua professione, che ha iniziato a
lavorare e a diciotto anni gli viene detto "quando è finita torni a
casa", penso che facilmente smetterà di lavorare e
ricomincerà a spacciare. Questo è ciò che viene proposto
da questa circolare.
Moderatore (Davide Petrini)
Grazie.
Dal pubblico
Porto i saluti del corpo volontari in Albania. E’ difficilissimo risolvere il problema dell’immigrazione con le leggi, e c’è ancora molto da fare contro le attuazioni che vengono dopo le leggi. Tante volte sono fatte cose che non vanno.Vengono minorenni che, appena compiuti i 18 anni, restano in attesa del foglio di via per lasciare l’Italia. Parlo nella posizione del cittadino italiano, ma vedo le cose come straniero perché sono straniero. Questi ragazzi a 18 anni non tornano più in Albania, restano clandestini in lavoro nero, non controllati, senza pagare tasse e possono andare verso la malavita. Un altro problema è quello dei ragazzi che, appena compiuti i 18 anni, tornano in Albania, ma se le famiglie non li accolgono, non sanno dove andare e finiscono per rientrare clandestinamente. Questa è una realtà da risolvere. Ci sono casi e casi di ragazzi che sono andati in Questura con un contratto di lavoro di un imprenditore, e gli è stato detto che dovevano lasciare l’Italia.
Moderatore (Davide Petrini)
Grazie.
Dal pubblico
Sono Stefano Ghiotto della Solidarietà 6, una cooperativa che si
occupa di minorenni; diamo alloggio a ragazze straniere con l’art.18, ex
prostitute che sono arrivate in Italia nei modi in cui sappiamo, con gommoni ed
altro, violentate, vendute, picchiate. Sono arrivate in Italia, hanno lavorato
sulla strada, sono state sfruttate, hanno deciso di denunciare questa gente, di
liberarsi, partecipando a processi e azioni varie. In alcuni casi hanno
già finito il loro percorso in comunità, stanno per compiere 18
anni o li hanno compiuti. Hanno un lavoro, possibilmente hanno anche una casa,
ma non hanno i documenti, e con questa circolare ed il trend di questi tempi
non hanno un futuro. Nel migliore dei casi andranno a fare le prostitute,
perché in casa comunque non sarebbero più accettate e nel
peggiore dei casi finirebbero morte da qualche parte, perché il racket
le recupererebbe molto velocemente. Io mi chiedo che possibilità hanno
queste ragazze per riabilitarsi. Non possiamo dir loro "avete fatto una
bella esperienza, avete frequentato una scuola, avete imparato un mestiere e
adesso potete tornare in Bulgaria, in Romania, in Albania, dove volete, e
condurre una vita da favola".
Moderatore (Davide Petrini)
Grazie.
Dal pubblico
Sono Luigi Mandarini, dell'Associazione Progetto
Accoglienza di Borgo S. Lorenzo, in provincia di Firenze. Io non ho certezze di
interpretazione, tanto meno giuridica, perché non sono qualificato. So
che ci confrontiamo quotidianamente con persone, in questo caso minori, che
attendono da noi delle risposte. In questo momento ci ritroviamo a gestire
minori che possono solo vegetare fino a 18 anni. Secondo me, è una
considerazione, più che una domanda, manca in questo convegno, come
purtroppo a tanti convegni sull’immigrazione, l’interlocutore
politico, e non parlo del ministro Turco che ha mandato un messaggio al quale
credo fermamente, ma parlo dell’interlocutore politico del Ministero
degli Interni. Queste sono circolari dettate da altre logiche, non sono dettate
nemmeno da interpretazioni dei principi fondanti della legge 40, che riconosco
generalmente come una buona legge. Queste circolari sono dettate da un modo di
ragionare appiattito sulla sicurezza, sulla logica della deterrenza, sono
dettate dalla rincorsa al voto, perché siamo vicini alle elezioni
politiche.
Il ministro degli Interni si reca velocemente a
Pistoia perché è stato picchiato in una Questura, così
sono le testimonianze, il figlio del sottosegretario, portato in Questura dalle
volanti con altri 4 ragazzi, di cui 3 albanesi, il primo identificato è
un albanese che era il proprietario della macchina. Questo è venuto
fuori per questo motivo e basta. Ora lasciamo perdere il caso limite, sul quale
il ministro ha fatto bene ad intervenire, ma dovrebbe intervenire su tanti
altri casi. Però, l’elasticità nell’interpretazione
delle direttive e delle circolari è enorme, si passa da un estremo
all’altro. Le circolari vanno e vengono. Un’ultima direttiva del
prefetto Pansa, con lettera scritta anche al rappresentante dell’ICS e
del CIR, diceva che, per quanto riguardava i documenti sugli atti di matrimonio
e di nascita dei profughi del Kossovo, potevano essere richiesti dalle Questure
direttamente all’ambasciata, alle rappresentanze diplomatiche di Serbia e
Macedonia. Ciò è stato smentito dopo un mese dallo stesso
Prefetto, che ha fatto marcia indietro, perché ci sono direttive
diverse, perché sono valutazioni politiche. Io credo che manchi in
questo momento la volontà politica di risolvere il problema. Questo
è il nodo della situazione ed il punto sul quale dobbiamo darci da fare
e rivendicare i diritti, se necessario ricorrendo a strumenti giuridici, ma
anche ricorrendo a ragionamenti fondati sulla riflessione e non sulla paura e
sui sondaggi.
Moderatore (Davide Petrini)
Vorrei precisare che noi abbiamo invitato il Ministro
degli Interni, il Ministro degli Esteri, il Ministro degli Affari Sociali.
L’unica presenza a questo tavolo è quella del Dottor Longo che ha
una delega da parte della polizia. Il ministro è, comunque,
l’unico interlocutore che abbiamo avuto. Forse non è il momento
propizio, sotto vari profili, per avere delle forti ed autorevoli presenze
istituzionali e politiche, quanto meno sotto il profilo tecnico.
Dal pubblico
Sono di Venezia, ho una domanda molto semplice sugli affidamenti a parenti: gli affidamenti a parenti entro il 4° grado, secondo la legge 184, sono concordati con i servizi sociali; una volta concordati, sono efficaci. Infatti nel mio Comune vengono formalizzati con atto firmato dal Dirigente. Non capisco perché questa cosa non possa essere riconosciuta come affidamento dalla Questura con permesso di soggiorno per affidamento, ma venga esclusa. E’ legge, la 184!
Moderatore (Davide Petrini)
Io non conosco la prassi del Tribunale per i minorenni
di Venezia, ma il Tribunale di Torino, per la ragione che diceva prima la
dottoressa De Marco, non ritiene di poter fare un affidamento ai sensi della
legge, perché manca il presupposto fondamentale, che è il pregiudizio
per il minore del comportamento dei genitori. Può darsi che ci siano in
altri Tribunali prassi diverse.
Elena Rozzi
Sono affidamenti consensuali, non giudiziali.
Moderatore (Davide Petrini)
Il problema è che l’affidamento consensuale non rientra nei presupposti per concedere la conversione il permesso di soggiorno, raggiunto il diciottesimo anno di età.
Dal pubblico
Forse non avete capito la domanda. L’affidamento
consensuale è un affidamento. Perché il permesso di soggiorno non
viene emesso per affidamento consensuale, con referente il parente e i servizi
sociali comunali che hanno predisposto questo affidamento? Non è minore
età, è diverso, non è minore solo. E’ una domanda
per la Questura. Non è un affidamento a livello giudiziale. E’
affidamento consensuale: viene disposto dai servizi sociali con il consenso dei
genitori, e con il consenso delle persone che se ne vogliono prendere carico.
Nel caso sia affidamento consensuale fuori del 4° grado, viene ratificato
dal giudice tutelare, nel caso non sia fuori del 4° grado viene solo
disposto in collaborazione con i servizi, dall’Ente locale. Perché
questa cosa non viene riconosciuta dalla Questura? Dovrebbe essere cambiato il
permesso di soggiorno in permesso di soggiorno per motivi di affidamento, e quindi
almeno per questa fetta di minori questo problema non esisterebbe.
Moderatore (Davide Petrini)
Se i parenti sono regolari, credo non ci sia alcun
problema.
Giulia De Marco
Le legge fa riferimento agli affidamenti ex art. 2 e
ex art. 4. Il presupposto dell’affidamento è l’ambiente
famigliare temporaneamente inidoneo: questo è il presupposto, anche di
un affidamento consensuale. Se il giudice, e anche forse a Questura quando
è chiamata a valutare le situazioni che rientrano nell’art. 2 o
nell’art. 4, deve valutare questo, non può che richiamarsi ai
parametri giurisprudenziali su cosa si intende per ambiente temporaneamente
inidoneo. Diventerà ancora più difficile fare gli affidamenti con
la prossima legge 184, la legge di modifica, perché è previsto
che da un lato parta l’affidamento e dall’altro parta il sostegno
alla famiglia d’origine, al padre ed alla madre, che in questo caso non
c’è. Certo, io non posso prendere un pezzo di una norma di qua ed
un pezzo della norma di là, metterlo insieme, per violare una legge o
per forzare una legge. Ma io faccio il giudice, non posso farlo perché
non vi piacerebbe che io lo facessi anche per altre situazioni.
Moderatore (Davide Petrini)
Ultima richiesta di intervento di Elena Rozzi.
Elena Rozzi:
Vorrei fare una domanda su questa questione degli
affidamenti.
Prima di tutto, rispetto agli affidamenti giudiziali,
ci sono Tribunali per i minorenni che effettivamente in altri parti
d’Italia fanno gli affidamenti giudiziali a parenti entro il 4°
grado: quindi, forse è una questione su cui è possibile
discutere.
Rispetto invece alla questione degli affidamenti
consensuali a parenti entro il 4° grado, io vorrei capire sia dalla
Dott.ssa De Marco sia dalla Dott.ssa Giannone (Giudice Tutelare ndr) se ritenete che possano essere fatti o no,
se ritenete che si possano fare affidamenti consensuali con questi atti
notarili legalizzati nelle ambasciate, in cui il genitore dichiara di voler
affidare il proprio figlio al fratello, al cugino ecc. e sulla base di questo
consenso, rilasciato in ambasciata, disporre l’affidamento consensuale,
disposto appunto dai servizi sociali e reso esecutivo dal Giudice Tutelare.
Giulia De Marco
Io rispondo per la mia parte, poi la Dott.ssa Giannone
risponderà per la sua. C’è la possibilità di
riconoscere efficacia in Italia a questo tipo di provvedimenti soltanto se
proviene dall’autorità giudiziaria dell’altro Stato: non dal
notaio. Io vado dal notaio e gli chiedo di prendere atto di una mia
volontà, ma il giudice dell’altro Stato mi può garantire
che in quello Stato sussistono le condizioni per l’affidamento a parenti,
ed io come giudice, in base alle norme di diritto internazionale privato, ne
ordino la trascrizione, ma non come fatto privato.
Elena Rozzi
Ma lei sta parlando degli atti di consenso che sarebbero
equiparati agli atti di consenso che i genitori italiani fanno presso i servizi
sociali italiani.
Giulia De Marco
I genitori stranieri lo fanno presso i notai
stranieri.
Elena Rozzi
Lo so, però voglio dire, come i genitori italiani rilasciano il proprio consenso per l’affidamento consensuale presso i servizi sociali, così i genitori stranieri potrebbero rilasciarlo presso le rappresentanze diplomatiche italiane...
Giulia De Marco
A Torino no, non è previsto l’affidamento
nell’ambito del quarto grado. Ma comunque l’affidamento consensuale
è di competenza del Giudice Tutelare.
Daniela Giannone
Innanzi tutto l’affidamento consensuale, quello
a parenti a Torino non viene formalizzato perché per il consensuale si
parla di parenti oltre il 4° grado, quindi questo è il primo
chiarimento da fare. Se qualche volta è stato fatto è per motivi
assolutamente economici, perché con l’affidamento consensuale
scatta un onere amministrativo. Quindi io, per tutte le situazioni di
affidamento a parenti con il consenso da parte dei genitori, non sto aprendo la
tutela, proprio perché applico estensivamente questo criterio del
Tribunale per i minorenni per cui non c’è motivo di intervenire
sulla potestà, perché io aprendo una tutela farei decadere il
genitore anche se all’estero. Sull’efficacia del consenso è
chiaro: deve essere di un’autorità giudiziaria, nostra omologa,
non un atto notarile.
Devo dire che sto un po’ a quelle che sono le
segnalazioni della Questura per cui loro mi dicono che agli atti vi è
della documentazione idonea per cui i genitori hanno rilasciato il consenso e
siccome non intendo intervenire, non sono andata oltre nel valutare la
validità o meno del consenso.
Per rispondere all’assistente sociale di
Venezia: o il Giudice Tutelare che rende esecutivo un affidamento consensuale
in quel caso, o il Tribunale per i minori che formalizza un affidamento in
situazioni che non sono ad esempio parenti entro il 4° grado, fa a mio
avviso una forzatura, cioè predispone uno strumento giuridico in un
senso o in un altro. Questo è il nostro problema.
Sulle tutele, anticipo quello che diremo oggi pomeriggio, io non modificherò la mia posizione in termini di apertura e di criteri per l’apertura, ma ritengo che verrà meno l’interesse ad applicare questo strumento un po’ avvallando la sensazione che ha avuto un certo rilievo in un periodo in cui era lo strumento per... Però la situazione, ovviamente, non si modifica, come tanti altri punti che non so se anticipare ora.
Moderatore (Davide Petrini)
No, direi di no. Dovremmo concludere.
Seconda
sessione - pomeriggio
Moderatore (Adriana Luciano)
Chiederei a tutti di prendere posto. Nell’attesa
che si possano ricominciare effettivamente i lavori, intanto vi do qualche
informazione. Anche questo pomeriggio c'è qualche defezione dovuta ad
impegni imprevisti ed improrogabili. Non ci sarà Melanie Taubert, del
Servizio Sociale Internazionale. Purtroppo non ci sarà neanche il
Console del Marocco, ma è stata nominata vice-console sul campo Sued
Benkhdim, che non parlerà però a nome del Console, ma ci
dirà la sua opinione e soprattutto ci darà delle informazioni
interessanti perché lavora in contatto con il Consolato.
Come avete visto dal programma, questo pomeriggio sarà prevalentemente dedicato ai problemi dell’accoglienza, e quindi ci lasciamo alle spalle gli interventi della mattina che, a me pare, ci hanno offerto un quadro molto dettagliato, analitico e preciso della situazione. Credo, non so se il pubblico condivide, che ci abbiano lasciato più interrogativi che risposte, perché le risposte, diciamo, sul filo dell’attuale situazione normativa e legislativa, sono delle risposte che qualche problema lo creano, rispetto alla possibilità di proseguire gli interventi di accoglienza di cui sentiremo.
Ancora due osservazioni.
La prima, e mi dispiace che la dottoressa Giulia De
Marco non sia qui, ma forse è un utile chiarimento per tutti: quando
parla un giurista e quando parla uno scienziato sociale, inevitabilmente, e
correttamente, i punti di vista sono molto diversi. Il giurista, giustamente,
fa le leggi, le interpreta e le applica, ma spetta poi agli scienziati sociali
riflettere, cercare di capire che rapporto esiste tra sistemi normativi e
processi sociali. Non vi è dubbio che ci sono momenti della storia in
cui i processi sociali e sistemi normativi sono coerenti: questo, naturalmente,
è molto più facile realizzarlo in società semplici. Quando
ci troviamo in fasi di grande cambiamento sociale e quando le società
diventano più complesse è inevitabile che si producano degli scarti
tra sistemi normativi e processi sociali. Il mio intervento ha il modesto
obiettivo di provare a formulare alcuni problemi che riguardano proprio gli
scarti tra sistemi normativi e processi. Credo che questi scarti esistano, ne
abbiamo tutti consapevolezza, credo che le risposte siano difficilissime e
credo, però, che tutti quanti siamo impegnati a darle e non a schierarci
da una parte o dall’altra, o a tutela della legge o a tutela dei soggetti
più deboli, che ci sembrano talvolta non così ben rappresentati
dal sistema normativo.
Aggiungo anche che è un vero peccato che il
dibattito pubblico ed il clima politico incandescente tendano a schematizzare
le posizioni, ad estremizzarle, quando invece siamo tutti consapevoli che su
queste questioni ci vuole molta pazienza, molta attenzione, molta analisi.
Ultima cosa che vorrei dire, rispetto alle risposte
che stamattina sono state date, e che sono molto chiare e precise, rispetto a
quella che è la normativa esistente, abbiamo tutti la consapevolezza che
appunto si aprano dei problemi. Si diceva stamattina che l’Intesa
torinese su tutta la questione delle tutele civili è stata
un’Intesa locale in un vuoto legislativo. Resta il fatto che adesso che
il vuoto legislativo è stato riempito i problemi non ci sembrano affatto
risolti e credo che di questo parleranno le persone che sono a questo tavolo.
La parola
a Laura Marzin, responsabile dell’Ufficio minori extracomunitari del
Comune di Torino, che indubbiamente vive tutti i giorni la difficoltà di
un quadro normativo chiaro ma difficile.
Laura Marzin[7]
Questa mattina Adriana Luciano ha usato il concetto
della dissonanza cognitiva; credo che io e le persone che lavorano con me siamo
la personificazione di questo concetto.
Stiamo vivendo un periodo di grande tensione
perché abbiamo chiaro in mente che noi siamo un ufficio di
amministrazione, dobbiamo e vogliamo osservare le leggi, ma nel frattempo
abbiamo quotidianamente di fronte dei ragazzi, decine di individui, decine di
persone che meritano tutta la nostra attenzione, che si fidano di noi, con i
quali abbiamo fatto un patto; mi riferisco in particolare ai ragazzi che sono
arrivati all’Ufficio prima dell’entrata in vigore della circolare.
Io confermo qui pubblicamente l’adesione del mio ufficio all’appello
fatto, perché non ritengo assolutamente possibile che si vanifichi il
lavoro svolto in questi anni dall’amministrazione pubblica, perché
su questo l’amministrazione pubblica ha speso soldi, risorse umane ed
anche, ovviamente, volontari. Quindi, rinnovo questo appello e devo dire che la
questura di Torino su questo è stata collaborativa. I ragazzi che hanno
iniziato il percorso, le cui tutele all’ente o civili sono state deferite
prima dell’entrata in vigore della circolare, quelli che, ovviamente,
hanno dei requisiti (perché nessuno qui vuole affermare
“teniamoceli tutti, diamo il permesso a tutti”), quelli meritevoli,
che hanno osservato il patto, che sono stati alle regole, non è
possibile rimandarli a casa.
Quando parliamo del minore straniero, dobbiamo sempre
distinguere tra il minore straniero che è presente qui con la sua
famiglia, o almeno una parte della sua famiglia, ed il minore non accompagnato.
E' stato già ricordato questa mattina che, da sempre,
l’amministrazione comunale ha cercato di intervenire su questo problema.
E’ stata accettata questa causa nel 1992, che è la data
dell’istituzione dell’Ufficio, ma chi mi siede accanto sa che
questi interventi sono stati fatti anche prima, in quella data sono stati
istituzionalizzati. Su questo l’amministrazione comunale ha sempre, come
dire, messo in atto degli interventi a protezione della tutela dei minori,
indipendentemente dalla loro condizione giuridica. Tuttavia dal ’92, che
è la data ufficiale che fa da riferimento, ad oggi la situazione è
profondamente cambiata, sia in termini di qualità del fenomeno sia
soprattutto in termini di leggi.
Ora mi collego ad una osservazione di Adriana Luciano,
rispetto al fatto che parliamo sempre di minori non accompagnati pensando a
maschi, ma ci sono anche molte ragazze, molte delle quali ovviamente entrano in
contatto con il servizio, con le comunità, con la scuola, con il mondo
del lavoro, perché vengono dalla tratta della prostituzione. Nel corso
del 2000 noi abbiamo conosciuto e presentato 494 nuovi casi, oltre a seguire
ovviamente i casi precedenti. Di questi 494 casi, 339 sono maschi, 55 femmine,
quindi le femmine incidono per il 14% come presenza di presa a carico. Sono
ragazze che vengono dalla tratta della prostituzione, oppure ragazze che si
rivolgono all’ufficio per richiedere eventualmente l’interruzione
di gravidanza. Molte volte, fatto l'intervento spariscono nel nulla e non
riusciamo più a rintracciarle per nessun motivo. Sulle ragazze della
tratta della prostituzione non mi dilungo, però, credetemi, ho fatto in
questa città, non solo nel Comune di Torino ma anche con il
volontariato, un grande lavoro, che devo dire ha dato anche delle buone
risposte, perché nel 99% dei casi i percorsi vanno a buon fine. Le
ragazze si affrancano da questa situazione, vengono accompagnate
nell’inserimento sociale: per loro quello rimane un brutto, terribile
momento che noi aiutiamo a superare, anche con il supporto psicologico, ma
fortunatamente hanno la forza di guardare avanti.
La città su questo sta facendo un grande
lavoro, all’interno di un progetto che è finanziato dal
Dipartimento delle Pari Opportunità, all’interno della legge 40,
non solo riferito alle minorenni ma anche alle maggiorenni. Vorrei precisare
inoltre, perché non è secondario, che secondo il nostro punto di
vista sono ancora troppo poche le ragazze che ci arrivano, o dalle forze
dell’ordine, o segnalate dal volontariato, o accompagnate dai clienti, se
minorenni. Secondo il nostro parere, anche per la percezione che abbiamo
girando per la città come privati cittadini, rientrando tardi alla sera
dal cinema o dalla discoteca, tante di queste ragazze secondo noi sono
minorenni. Quindi resta ancora tanto lavoro da fare, di informazione, di
prevenzione e di controllo del territorio con la polizia; però, davvero,
chiederei una maggiore attenzione per cercare di identificare le minorenni,
perché spesso sono quelle che hanno più paura. Hanno più
paura delle maggiorenni, perché hanno meno capacità, sono
più fragili e, comunque, vengono generalmente minacciate anche in aspetti
della loro vita affettiva che una donna adulta, in genere, è capace di
elaborare meglio. Le ragazze che noi stiamo seguendo in casi di questo genere
oggi sono circa 28; nel corso degli ultimi anni ne abbiamo seguite un
centinaio.
Dai numeri dati questa mattina della nostra
realtà che cosa abbiamo dedotto? Il cambiamento del fenomeno. La
presenza di bambini e ragazzi stranieri costretti ad attività di
accantonamento. La presenza di nuclei familiari, irregolari, molto
problematici, con minori figli di madri irregolari che generalmente vengono
dalla prostituzione. Queste situazioni ci sono, nelle nostre città. Sono
situazioni terribili, spesso molto compromesse e gravi e comunque coinvolgono
dei minorenni.
Per cercare di raggiungere degli obiettivi, noi abbiamo
sempre cercato di fare un lavoro interistituzionale, cioè in stretta
collaborazione con le altre istituzioni, come la questura, il giudice tutelare,
le scuole, ma soprattutto coinvolgendo il volontariato. Probabilmente, per chi
vive a Torino queste sono cose conosciute, ma ho il piacere di rilevare che vi
sono persone di altre città, che spesso ci interpellano telefonicamente,
quindi elencherò anche quali sono i progetti. Grazie a questo lavoro con
il volontariato riusciamo comunque sempre a dare delle risposte.
Io, però, oggi vorrei parlare anche dei
ragazzi. A questo tavolo si è parlato tanto di leggi, circolari, norme,
procedure, però poco dei ragazzi. I ragazzi che vengono al nostro
ufficio sono prevalentemente adolescenti, o preadolescenti, albanesi,
marocchini e rumeni. Hanno un’età che varia dai 14 ai 17 anni. I
ragazzi albanesi provengono prevalentemente dalla zona di Scutari e Valona,
hanno un livello di scolarizzazione basso, molti vengono dalle zone rurali,
dove hanno fatto lavori agricoli e poi si sono trasferiti in Grecia, per la
raccolta della frutta, e spesso anche nelle zone del nostro Mezzogiorno, dove
hanno fatto le stesse attività. Alcuni vengono a Torino da queste zone, altri
arrivano direttamente. Perché? Che cosa li spinge? Se non centriamo la
nostra attenzione su questo punto, credo che non usciremo dalla diatriba
"rimpatrio sì, rimpatrio no". Che cosa facciamo? Io spero che
si esca da questa sala con qualche cosa di propositivo. Come diceva giustamente
la dottoressa De Marco "basta piangerci addosso". Dobbiamo andare
avanti, fare delle proposte. Però dobbiamo anche conoscere.
La situazione politica, sociale, economica
dell'Albania da diversi anni la conoscete tutti, ci è stata descritta da
tutti i ragazzi e non solo da loro, ci è stata descritta anche dai
nostri collaboratori che ovviamente tornano dal loro Paese e ci raccontano come
lo trovano sempre più disastrato. Ce la raccontano anche i volontari,
che l'estate scorsa hanno visitato le famiglie dei ragazzi che hanno deciso di
agire, ed hanno visto con i loro occhi quello che c’era lì. La
scuola ed il sistema formativo non esistono o sono completamente inadeguati. La
formazione professionale non esiste. Esistono alcuni corsi, finanziati dai
progetti di cooperazione, ma da quanto mi risulta e da quanto ho potuto
verificare non hanno nessuna consistenza. E' la possibilità di lavorare
che li spinge a venire qua. Vengono per lavorare. Là non hanno nessun
tipo di possibilità. L’economia ormai si basa sul piccolo
commercio, sull’agricoltura oppure sui grandi traffici internazionali. A
Tirana stanno nascendo edifici, alberghi enormi che sono fatti con i soldi
della tratta delle donne, con il traffico delle armi e della droga. Questo
è quello che hanno i ragazzi a disposizione. Hanno dei chioschi, dove si
ritrovano e dove possono facilmente venire agganciati dai criminali della
malavita. Spesso preferiscono saltare sul gommone.
Che cosa offre loro la nostra terra? Lavoro no, scuola
no: divertimento. A Tirana credo che ci siano l’unico cinema, le uniche
discoteche; l’unica fonte di divertimento diffusa è la
televisione, che trasmette i nostri programmi che naturalmente li affascinano.
Qui, tutto appare come la famiglia del Mulino Bianco e quindi, voglio dire,
quale ragazzo non aspirerebbe a venire qua? L’Italia, insieme alla
Grecia, è il punto dove loro vanno, fanno il loro viaggio esattamente
come lo fanno gli adulti, contattano lo scafista, pagano una cifra, (mi dicono
due milioni o due milioni e mezzo), arrivano a Torino. Arrivano
all’Ufficio minori stranieri.
Vorrei parlare anche dei ragazzi marocchini,
però mi viene detto che ho solo più cinque minuti, per cui non mi
addentro. Comunque è un altro aspetto della situazione. Alcuni ragazzi
marocchini sono soli, però la maggioranza ha dei riferimenti parentali
qui in Italia. Devo dire che i più non vengono volontariamente
nell’ufficio, non chiedono accoglienza. Arrivano sempre per altre vie: o
attraverso le forze dell’ordine, o vengono letteralmente scaricati dai
loro parenti che non se ne vogliono più occupare. Qualcuno invece viene
volontariamente. Devo dire che sono più piccoli i ragazzi marocchini, di
cui noi ci occupiamo e che mettiamo in comunità. Sono, di solito,
quattordicenni e, spesso, denunciano una situazione di sfruttamento.
Cosa abbiamo dovuto fare di fronte a dei numeri che,
credetemi, stanno diventando altissimi? Torino ha segnalato 230 minori
stranieri non accompagnati, ma so che le segnalazioni al Comitato sono molto
più alte, intorno ai 9300. Secondo il Dipartimento Affari Sociali pare
che arriveranno, nel corso del 2001-2002, circa 10000 minori stranieri non
accompagnati. Entro il 2005, questo mi è stato riferito dal dottor
Achille (Presidente del Comitato per i Minori stranieri, ndr) ed io lo porto come testimonianza, si
ritiene (secondo le indagini, le proiezioni fatte da esperti) che l'ingresso di
minorenni sarà la causa maggiore di clandestinità. Questa
è la cosa che giustamente preoccupa chi deve avere una visione globale
del problema. Infatti anche noi possiamo testimoniare che questi ragazzi sono
in aumento, ma non è che vengano solo a Torino perché
c’è l’Ufficio Minori e le tutele civili a bassa soglia. Un
collega di una piccola città come Trento, che non si può
paragonare certo a Torino, mi ha detto che loro hanno in media 50-60 ragazzi.
Trieste credo sia sui 300. E’ importante perché i numeri hanno il
loro significato.
Abbiamo dovuto, nel corso di questi anni, aggiustare
un po’ il tiro, cercare di offrire delle opportunità un po’
a tutti, quindi la scelta della politica di accoglienza è stata quella
di dare risposte a tutti, magari meno tutelanti, alternando la comunità,
dove è possibile perché ovviamente viene fatta una valutazione
caso per caso, non vengono fatte delle valutazioni generali. Il ragazzo viene
ascoltato individualmente; di ogni ragazzo si ascoltano i bisogni, le
necessità; tutto questo viene fatto da personale qualificato,
competente. Chi fa questo lavoro usa professionalità e passione. Ogni
ragazzo viene, come dire, ascoltato nelle sue necessità, nei suoi bisogni
e poi possiamo mettere a disposizione i nostri servizi a bassa soglia.
Oggi disponiamo di 11 centri di accoglienza, per un totale di 91 posti. Distribuiamo buoni pasto, buoni doccia, con la possibilità di fare il cambio della biancheria. Fino all’anno scorso i ragazzi passavano nella bassa soglia, poi passavano nel progetto tutele civili oppure, per altri casi, la tutela veniva deferita al Comune (potrete trovare materiali nell’Osservatorio della Prefettura di Torino del prossimo aprile, lo stiamo preparando). Con l’entrata in vigore della circolare, non si è più parlato delle tutele civili. Ai ragazzi, che sono arrivati dopo la circolare, noi abbiamo detto "le regole del gioco sono cambiate, oggi è così". I ragazzi vengono accolti nel centro di accoglienza. Viene presentata, presso la questura di Torino, un’istanza di permesso di soggiorno per minore età, perché questo dice la legge, per i ragazzi che hanno il passaporto o lo hanno già ritirato. Da novembre ad oggi ne abbiamo chiesti 77, solo 16 lo hanno già ritirato. Se non c’è passaporto ovviamente la questura ci notifica l’incompetenza perché manca il documento ufficiale. Però i passaporti stanno arrivando. Il discrimine lo abbiamo fatto da quando è entrata in vigore la circolare, applichiamo esattamente quelle che sono le regole, e quello che più è importante, lo abbiamo detto ai ragazzi, perché la cosa fondamentale è dire la verità ai ragazzi, dire “finché volete, finchè avete bisogno noi, noi ci siamo”. Loro sono in grado di autodeterminarsi..
Alcuni rientri ed alcune risposte possono incentivare
nuovi arrivi, però l’esperienza di questi anni ci ha insegnato che
è sicuramente più vincente accoglierli, oltre che un nostro
dovere costituzionale. I servizi, la scuola, il volontariato devono continuare ed
essere un punto di riferimento e mettere fra i loro desideri di benessere
quella risposta che altrimenti i ragazzi potrebbero trovare
nell’illegalità. Dobbiamo continuare a renderli possibili,
aiutarli nei percorsi di cittadinanza, per non vanificare i loro sforzi, il
nostro lavoro e le risorse impegnate dalle istituzioni. Quindi, almeno per
quelli vecchi, diamo la possibilità di rinnovare questi percorsi; per
gli altri, e qui arrivo al punto, l'unica soluzione, ma anche quello che la
normativa oggi ci impone, pare essere di garantire loro accoglienza, garantire
loro tutela, fino al ricongiungimento con la famiglia d’origine, o meglio
fino a quando la decisione del Comitato ci impone.
Sul rimpatrio vorrei dire alcune cose. Parlo come
persona che vive quotidianamente insieme ad operatori, i quali molto più
di me stanno con i ragazzi, perché loro li hanno davanti, vanno nei
centri. Quello che sto per dire è il frutto dell’esperienza di un
lavoro quotidiano sul campo. Il rimpatrio ha alcuni nodi che ne determinano
oggi l’impraticabilità. Il tempo, variabile fondamentale, è
già stato citato prima. Oggi ci vogliono sei mesi almeno perché
il Servizio Sociale Internazionale dia delle risposte: questo vale solo per
l’Albania, non esiste nessun altro tipo di possibilità
d’avere informazioni attendibili da altri paesi. Non esistono. Non che il
Servizio Sociale Internazionale non lavori. Però, quando noi mandiamo
richieste di indagini sociali, i loro assistenti in Albania hanno oggettive
difficoltà, perché spesso non riescono neanche a raggiungere i
villaggi dove abitano questi ragazzi, per rintracciare le famiglie. Ci vogliono
sei mesi quando noi indichiamo precisamente nome, cognome, dove si trovano,
dove abitano: altrimenti ci vuole un anno, un anno e mezzo. Quindi i ragazzi
collaborano, e non è una cosa da poco. Bisogna accertare
l’inadeguatezza della famiglia. Noi ci fidiamo di quello che ci viene
detto, potremmo fotocopiare queste relazioni, cambiare i nomi, il numero delle
pecore, il numero delle mucche, il numero degli ettari, però più
o meno la situazione è uguale per tutti. Quando abbiamo questi riscontri
emerge una situazione di povertà materiale, quasi mai
un’inadeguatezza genitoriale, comunque i familiari esprimono sempre un
parere contrario al rimpatrio del ragazzo, perché proprio loro hanno
incoraggiato il progetto migratorio, hanno contribuito economicamente al suo
viaggio. Nel frattempo i mesi passano, i ragazzi si radicano sul territorio,
vanno a scuola, iniziamo il loro collocamento, incontrano l’ASAI (Associazione
Salesiana di Animazione Interculturale, ndr), vanno ai corsi di formazione professionale. I mesi
passano, i ragazzi si radicano e sentono di dovere restituire alla loro
famiglia i soldi che ha impegnato per mandarli qua ed anche, per così
dire, di ricambiare la fiducia, e quindi tutti i ragazzi esprimono verbalmente,
o per iscritto, il rifiuto a tornare in Albania o in Marocco.
Per quanto riguarda gli altri Paesi, abbiamo delle
grandi difficoltà. Noi abbiamo, come Comune di Torino, la possibilità
di usare i mediatori culturali, che devo dire ci aiutano tantissimo. Non so a
quanto ammontino le bollette che il Comune di Torino paga per le telefonate
internazionali, per rintracciare le famiglie. Noi facciamo il possibile,
però poi ci dobbiamo fidare di quello che sentiamo al telefono. Nessuno
mette per iscritto che la situazione è quella, quindi sta tutto alle
amministrazioni. Cerchiamo d’avere delle prove, ma non sempre è
possibile averle. Ripeto, pensavo alle indagini sociali che si fanno in Marocco:
anche qui noi non possiamo usare i nostri strumenti di lavoro, le assistenti
sociali. La cultura marocchina non sa nemmeno cosa siano le assistenti sociali.
Io non so che lavoro può fare un’assistente sociale, so che chi
è stato recentemente a casa ha magari incontrato queste persone, avranno
studiato in Francia, in Europa, ma non so che tipo di valutazione
tecnico-professionale possano fare. Le persone che cosa diranno a queste
assistenti sociali? Chi lo sa? Potranno rilevare quello che vedono, non so,
tutta la casa, queste cose, ma tutto il sommerso molto difficilmente. Adesso
dobbiamo superare queste cose.
Non parliamo della collaborazione dei consolati: mi
dispiace molto che il console marocchino non sia presente, perché anche
su questo avrei tante cose da dire. Nessuno Stato, posso dire qui
pubblicamente, ha mai collaborato per rimpatriare un ragazzo. Dirò di
più: è difficile rimpatriarli, ma è ancora più
difficile mandare a casa chi vuole tornare. Questo è l’effetto
devastante della nostra legge.
Io, qualche giorno fa, ho mandato in Albania un
ragazzo pagandogli il biglietto e dandogli cinquantamila lire perché, se
aspettavo tutta la procedura, dal momento che aveva quasi 18 anni, sarebbe
diventato un clandestino. Mi aveva chiesto di tornare a casa ma aveva perso il
suo certificato di nascita per salvare un bambino piccolo nel gommone, e quindi
aveva perso la sua roba (non vi sto raccontando un storia, questa è
realtà). Gli abbiamo detto quale era la situazione, lui ha preferito
tornare in Albania, anche perché adesso il debito viene pagato solo
quando il ragazzo è arrivato finalmente a destinazione, perciò
aveva fretta di tornare così la madre non avrebbe dovuto ripagare. Ho fatto tutto questo in
una settimana, assumendomi la responsabilità e pagando qualcuno che lo
proteggesse, perchè senza documento rischiava di rimanere in Italia.
Questo per dire come lavoriamo.
Cosa possiamo fare per superare questa situazione?
Dobbiamo sicuramente ridurre i tempi d’indagine,
sviluppando questi servizi sociali internazionali anche in altri paesi.
Dobbiamo fare questi accordi bilaterali, definendo, non solo a parole, con
procedure, con competenze le risorse che dobbiamo attivare noi e loro, ma
soprattutto coinvolgendo le famiglie, aiutandole anche economicamente. Solo
così i ragazzi torneranno, perché solo se saranno le loro
famiglie a dire “va bene tornate, qui forse c’è una
possibilità, perché qualcuno ci aiuta”, forse avremo una
possibilità di mandarli a casa.
Dobbiamo fare campagne di informazione o sensibilizzazione
per scoraggiare, disincentivare, spiegare com’è la legge qua, far
capire che non ci sono possibilità, che se i ragazzi poi rimangono qui,
da maggiorenni potranno essere espulsi. Bisogna che sia data
un’informazione chiara, perchè non si incoraggino i fratelli, i
cugini dei ragazzi che sono qua a venire anche loro, anche se so che è
una prassi comune. Non è credibile formare questi ragazzi qui,
prepararli al lavoro sapendo poi che torneranno al loro Paese, dove il lavoro
non c’è, dove non ci sono gli utensili che hanno imparato ad usare
qui, perché non ci sono né fabbriche né officine. Questa
è veramente la cosa che fa più ridere, non è una cosa
credibile, non sta in piedi da nessuna parte. Se facciamo questi discorsi ai
ragazzi, se là non possiamo offrire davvero delle reali
opportunità, ci prendiamo solo in giro, vuol dire che nascondiamo la
testa sotto la sabbia.
Tutti dobbiamo impegnarci per risolvere questo
problema, che è complesso, tutti dobbiamo fare in modo che questa legge
sull’immigrazione sia applicata. E' una legge innovativa, che avrà
sicuramente dei dubbi, ma comunque è una buona legge. Nessuno vuole
raggirare la legge, meno ancora le istituzioni, di questo ho la certezza.
L’ente locale per primo è chiamato in causa in questo lavoro,
perché è inutile che stiamo qui a menar il can per l’aia,
le risorse sono sempre più limitate. Giustamente, gli amministratori
hanno il dovere di garantire i servizi essenziali a tutti i cittadini, italiani
e stranieri, ma soprattutto a quelli che hanno bisogno di essere aiutati.
Però io credo che dovremmo provare a fare lo sforzo, per esempio, di
decentrare: questo non è possibile perché il Dipartimento Affari
Sociali non ha delle sedi periferiche. Non so, non inventiamoci delle cose nuove.
Ci sono i Consigli Territoriali per l’Immigrazione presso la Prefettura,
potrebbe essere quello il luogo adeguato per decentrare questo tipo di lavoro.
Se non ci bastano le linee guida del Comitato per i Minori Stranieri, ci
vogliono delle prassi: chi fa e che cosa? Quando arriva il foglio, il nulla
osta del Comitato allegato, che cosa succede da quel momento in poi? Chi fa? e
che cosa? chi paga il viaggio? chi porta il ragazzo? chi prepara tutto quello
che deve essere preparato? Chi lavora nei servizi sente d’avere bisogno
di risposte in questo senso, visto che i ragazzi vengono accolti.
Dal momento in cui i ragazzi sono accolti bisogna che
tutti, dico tutti, affermino la stessa cosa, quasi contemporaneamente:
"Fin che state qua vi aiutiamo". Non dobbiamo avere delle contraddizioni.
Se le regole sono queste, tutti le dobbiamo rispettare.
Credo che se verranno attuate solo politiche restrittive, attuati solo rimpatri deterrenti agli arrivi, non andremo molto lontani, perché i ragazzi o non arriveranno più o si nasconderanno, faranno lavoro in nero e finiranno male. Grazie.
Moderatrice (Adriana Luciano)
Grazie a Laura Marzin per questo intervento
appassionato. Ahimè, i problemi che lei pone sono urgenti, hanno bisogno
di soluzioni ma purtroppo non riusciamo ora a risolverli. Credo però che
le cose che lei ha detto debbano farci riflettere sulla possibilità di
ricostituire delle intese, istituire iter istituzionali a livello locale,
altrimenti questo problema, di fatto apparentemente risolto da normative più
chiare, rimarrà, nella pratica, largamente irrisolto.
Un piccolo accenno ad una cosa che Laura Marzin ha
detto, riferendo di un discorso del presidente del Comitato dei Minori, che nel
2005 ci saranno chissà quanti minori. Io faccio di mestiere la
scienziata sociale e mi piacerebbe molto essere in grado di prevedere i flussi
migratori, in particolare così, suddivisi per classi di età e per
provenienza. Non è vero, non è possibile, nessuno può dire
quanti saranno nel 2005, e certamente, insisto, non dipenderà dalle
nostre politiche, perché le ragioni che spingono le persone a muoversi
sono per l’1% che cosa si aspettano di trovare all’arrivo, ma per
tutto il resto, sono dinamiche che non governiamo. Non governiamo, soprattutto
se non ci sono intese fra Paesi, se non facciamo politiche di cooperazione,
come mi pare non si stiano facendo.
La parola a Fredo Olivero.
Fredo Olivero[8]
Presento l’Ufficio Migranti, si chiamava
così fino a poco tempo fa, ora si chiama Servizio Migranti. E’ il
servizio che la Chiesa di Torino ha messo su e che si occupa di tutta la
normativa migratoria, ed in particolare per ciò che riguarda oggi i
minori soli, tutto il progetto tutele civili, formazione, accoglienza. Siamo
dentro il comitato della Rete d’urgenza e fra i promotori.
Anch’io voglio essere molto franco, anche se
penso che il discorso che dobbiamo fare noi è quello che fa la legge,
siccome mi sembra che la legge, le esperienze da cui è nata questa
ultima legge siano un po’ diverse da quelle di questa ultima circolare.
Vorrei anche tirare qualche conclusione, invitando anche questo gruppo, questo
seminario, che è attorno al tema dei minori, adolescenti irregolari ed
al loro futuro, a prendere posizione nel momento opportuno, nelle elezioni.
Ognuno fa delle scelte nella vita ed anche noi.
Lavoro in questo settore da quando è nato il
servizio, ho lavorato dall’82 nell’Ufficio Stranieri e poi quando
è nato l’Ufficio Minori, poi sono passato a lavorare in Caritas,
per la Chiesa.
Noi abbiamo fatto, il 18 ottobre ’92, la prima
Intesa su questo tema. Abbiamo fatto una campagna che si chiamava
“Colorati ma invisibili”, che è già stata ricordata
ma ci aiuta, secondo me, a capire un messaggio di fondo: al centro del nostro
interesse erano questi minori.
Nel ’94 abbiamo fatto la seconda Intesa, poi nel
’96, a fine anno, si fece il primo progetto delle tutele civili. Quale
era il sogno? Siccome erano minori, esisteva la Convenzione di New York, che
l’Italia ha firmato, anche se si dimentica spesso di averla fatta
diventare legge di Stato con la 176 del’91. Bisognava applicare le leggi
dello Stato italiano, compresa quella Convenzione, in assenza di una legge
quadro, di un Testo Unico. Questo ha portato a un appello del ’99 e a
vari seminari di approfondimento, in assenza della legge quadro.
Oggi che abbiamo una legge quadro, un regolamento, un
decreto che istituisce il Comitato, un decreto che decide cosa deve fare il
Comitato e tutta una serie di norme internazionali (la risoluzione
dell’Unione Europea, la Convenzione dell’Aja del ’61, il regolamento
applicativo del Testo Unico), in questo quadro, è possibile che si debba
andare indietro? Questa è la mia domanda.
Dalla fine del ’98 ad oggi il nostro cammino ha
avuto momenti e risultati positivi, ma anche nodi irrisolti.
I risultati positivi sono stati la possibilità
di un soggiorno per giustizia o per famiglia con possibilità di lavoro
per chi era in tutela o viveva con genitori regolari, l'inserimento in un
progetto con un futuro in Italia per decine di minori soli con ottimi
risultati. Posso dirvi che nessuno dei minori presi in tutela, a quanto ci
risulta (sono centinaia), è finito in carcere. Questo è un primo
grande risultato che ci dovrebbe far pensare. Era una proposta seria, un patto
con i ragazzi, un patto con la società civile. Si è monitorato il
territorio, si è fatta una rete con qualche difficoltà, ogni
tanto abbiamo avuto dei contrasti, ma mi pare ci siamo molto rispettati, anche
se ci sono stati dei momenti di forte tensione.
Oggi i nodi sono due: il permesso per minore
età, previsto dal regolamento, con possibilità di essere
modificato per motivi di famiglia e poi fermato a 18 anni con questa circolare,
ed i minori stranieri irregolari che continuano a vivere tra accoglienza e
rimpatrio. Erano questi i nodi che abbiamo affrontato lo scorso anno, il 4
luglio; ho visto che all’ingresso ci sono gli Atti del seminario a cui
aveva partecipato Vercellone[9],
il quale ci ha dato tutta una serie di orientamenti, quelli che trovate nelle
indicazioni del Comitato a firma sua. Credo che sia l’ultimo atto che abbia
firmato.
Oggi ci troviamo però in una situazione che
speravamo superata: i minori con soggiorno per minore età che vengono
invitati ad andarsene con il compimento del diciottesimo anno di età e
poi, se non se ne vanno, passati i 15 giorni sono espellibili. I minori con
permesso di soggiorno impossibilitati a lavorare ed avere un futuro in Italia.
Associazioni con tutele che non intendono solo fare i parcheggiatori a tempo
fino al diciottesimo anno. I ragazzi che vedono la via legale difficile e se ne
vanno dal territorio, questo è molto diffuso e comincia ad esserlo negli
ultimi tempi. Ragazzi entrati ed usciti dal carcere. Minorenni o maggiorenni
che invece hanno avviato una micro organizzazione criminale rimangono
tranquilli sul nostro territorio, come prova che si può vivere
diversamente e sono un forte richiamo. Parlo di ragazzi albanesi a Mirafiori ed
in altre zone. Famiglie ricongiunte illegalmente con figli che vedono fallito
il diritto a vivere in famiglia perché oggi c’è la
possibilità non solo di mandare a casa il ragazzino ma anche la famiglia
che lo ha fatto venire illegalmente e viene fatto.
Il nostro paese ha fatto un Testo Unico e poi un Regolamento dove è previsto, senza distinzioni, il permesso di soggiorno per minore età nell’interesse del minore. Ma siccome, è già stato detto, e non lo ripeto, che questi minori hanno un progetto di lavoro in Italia, e anche la loro famiglia ha questo progetto, credo che il risultato sia che stiano tra noi, se accettano il programma.
La nostra valutazione è: nella quasi
totalità dei casi, tolti i rapimenti di ragazzine, partono come adulti.
Io quando avevo 12 anni lavoravo, a 14 avevo i libretti, e anche i ragazzi di
questi Paesi, che vengono da noi dal Marocco, dall'Albania, dalla Romania, sono
adulti per un lavoro e per un futuro qui. O si è in grado di contrastare
il fenomeno creando garanzie alternative nel Paese di origine, oppure i costi,
questo mi sembra un nodo importante, sono ben inferiori se fatti in un cammino
di inserimento e di integrazione con soggiorno, con la possibilità di
restare legalmente. Parlo anche a nome di altre associazioni della Chiesa di
Torino: siamo disposti a continuare nella legalità, nella chiarezza,
nella certezza del diritto. Non siamo più disposti a fare i parcheggiatori
a tempo, se non per il bene dei minori che ci chiedono eventualmente di
rientrare. Nessuno vieta, tranne l’ultima circolare del signor Pansa, di
trasformare quel soggiorno per minore età, nello spirito del regolamento
che dice che un soggiorno (è anche il parere del giudice tutelare) deve
dare la possibilità di lavoro, deve essere per lavoro e per formazione.
Se ricacciamo in strada i minori, tra pochi anni
avremo bisogno di un secondo carcere minorile, ed i progetti alternativi
salteranno. Ci vogliono percorsi pregnanti, applicazione delle repressioni per
chi rifiuta i progetti di inserimento ed organizza la criminalità tra di
noi. Deve finire l’impunibilità dei minori che hanno scelto il
crimine, minori che poi diventano pane per gli adulti. Il lavoro coordinato in
rete tra pubblico e privato sociale. Lo Stato, l’unico che non ha fatto
finora il suo lavoro, deve farlo sia in Italia che nei Paesi con cui ha fatto
gli accordi: Romania, Albania, Marocco. Ci sono accordi scritti. Tutte le
scelte che dobbiamo fare, per quel che ci riguarda sono nell’interesse
del minore, che sono anche nell’interesse della nostra società.
Ci sono due categorie di minori di cui si parla molto
poco, non sono soli ma a forte rischio, sono i così detti “seduti
su due sedie”. Prima, la seconda generazione appena ricongiunta con
genitori regolari e con la casa; non è così scontato
l’inserimento di un adolescente strappato dalla sua terra, dalla sua
vita, dai suoi sentimenti, senza proposte di sostegno. Non si va lontano.
Seconda, gli adolescenti ricongiunti irregolarmente con genitori con lavoro ma
irregolari, o anche regolari e con un progetto di vita qui, che con la legge
attuale non hanno un futuro. Queste due categorie sono molto numerose, a
rischio, dimenticate da tutti. Il loro numero è superiore, molto
superiore, ai minori soli ed in molti casi i rischi sono simili. Hanno bisogno
di socializzare. Proviamo a muoverci in tempo, tutti insieme, sulla linea della
prevenzione.
Grazie.
Moderatrice (Adriana Luciano)
Grazie a Fredo Olivero che come sempre è chiaro
e conciso. Mi pare che i messaggi che ci ha mandato sono molto importanti e
chiedono delle risposte. Dobbiamo davvero seriamente riflettere come dare
queste risposte.
Vorrei solo ricordare ai presenti che hanno nella
cartellina un breve questionario da compilare. L’organizzazione chiede
vivamente che siate così gentili e pazienti da compilarlo. E’ un
modo per mettere insieme delle informazioni e quindi di continuare questo
lavoro di analisi che faticosamente stiamo cercando di fare intorno a queste
problematiche.
Come vi ho già detto non ci sarà
l’intervento del Servizio Sociale Internazionale, però trovate in
cartellina un testo importante perché conferma, dal punto di vista del
Servizio Sociale, le difficoltà di realizzare rimpatri dove
c’è stato un impegno significativo del nostro governo o dove ci
sono accordi internazionali. La situazione è meno chiara rispetto alla
relazione con il Marocco: ci sono stati contatti, ci sono stati mezzi accordi,
ma le cose non hanno preso, almeno fino ad ora, la forma di ciò che
sulla carta hanno preso in Albania.
Sued Benkhdim ci dirà qualche cosa su questo argomento.
Sued Benkhdim
Buona sera a tutti. Oggi sono qui in veste di
rappresentante del Console del Marocco. Mi dispiace fare questo ruolo,
perché io, che sono stata con amici del volontariato maghrebino fino a 2
anni fa, sono molto critica nei confronti del nostro governo. Però le
cose stanno cambiando, per fortuna, altrimenti non parlerei mai a nome del
governo marocchino.
Purtroppo il Console non è potuto venire per il
fatto che è stato invitato questa mattina all’ambasciata
marocchina perché devono fare gli ultimi documenti per aprire il
consolato la prima settimana del mese di aprile, e quindi manca per una cosa
utile per il Piemonte, la Valle d’Aosta e la Liguria.
Noi abbiamo cercato alcuni mezzi, non solo per colpire
l'opinione pubblica, ma anche per avere una presenza concreta da parte del
governo marocchino, per dialogare direttamente, perchè prima venivano
interpellate le associazioni, ma non potevano dare delle risposte concrete alle
istituzioni italiane. Quindi, abbiamo colpito l'opinione pubblica con i mezzi
di comunicazione e la televisione, la quale per sei mesi è andata in
Marocco per portare le immagini della realtà dei minori soli in Italia.
La cosa importante è stata riportare le testimonianze dei ragazzini che
sono venuti con un grande sogno e si sono invece trovati in posti dai quali non
si riesce a tornare indietro e nemmeno riescono a stare in Italia tranquillamente.
Io penso che i minori in stato di abbandono siano la categoria più
vulnerabile e quindi, se non hanno mai avuto a che fare con i servizi sociali
marocchini, non possono credere nei servizi sociali italiani. Gli sfuttatori
sono molto più bravi di qualunque struttura sociale o
scientifica in quanto questi trafficanti hanno i loro rappresentanti,
i loro manager, i loro sociologi che studiano i punti deboli di questi
ragazzi. Quindi se il ragazzo viene da una realtà di estrema povertà
basterà regalargli dei vestiti di marca, il mangiare e un luogo dove
dormire, anche se malsano. Il ragazzino, per il rispetto della sua cultura, non
tradirà mai “il patto di sale”, per cui dovrà sempre
ascoltare chi gli ha dato la prima ospitalità. Ci troviamo in
difficoltà a lavorare con questi ragazzi, così anche noi abbiamo
fatto un patto con il sostegno del volontariato. Però, mi pare che gli
sfruttatori abbiano vinto perchè dicono ai ragazzi che il "patto di
sale" è diventato un "patto di sabbia".
Spero vivamente che si possa tornare alla
serenità precedente alla circolare, in modo che si possa dire delle
cose sicure ai ragazzi e agire in massima collaborazione con il volontariato
contro lo sfruttamento minorile marocchino. Io ho lavorato per molto tempo,
all'inizio della mia presenza a Torino come donna immigrata, con Adriana
Luciano: mi piace molto perchè lei richiede, per il suo lavoro, la
collaborazione di professionisti con strumenti adeguati.
Io credo sia stato fatto un errore, perchè in Italia non c'è mai stato qualcuno che coordinasse questi sforzi, per evitare, già anni fa, di lasciare spazio agli sfruttatori e alle persone che vengono con l'idea di spacciare per ottenere in fretta facili guadagni. E' mancato questo coordinamento, non dico a livello legislativo, ma sociale, di tutti quelli che lavorano con i minori. Io sento che manca un anello importante, cioè un unico intervento per le varie categorie di minori che ci sono.
Parliamo del rimpatrio: nel passato doveva essere preparato. Io ho verificato queste cose in Marocco, ho visto personalmente i rimpatri. Andavo all'ufficio del Ministero degli Esteri e trovavo una relazione fatta dal Servizio Sociale Internazionale dove c'era scritto che bisognava contattare la famiglia, ma quasi sempre il cognome fornito dal ragazzo era falso, una volta è capitato che avesse dato il nome di un giocatore di calcio famoso in Marocco. Così abbiamo iniziato ad andare a verificare i posti e i luoghi da dove provengono questi minori, cioè i quartieri popolari di Casablanca. La cosa che mi ha colpito è che i primi rimpatri di minori che avevano compiuto reati erano stati decisi dal giudice dopo aver dato al ragazzo l'opportunità di rimediare, ma non si era giunti a nessun rimedio. Noi abbiamo chiesto a un avvocato, a un assistente sociale marocchino e alla famiglia di aspettare il ragazzo all'aeroporto ma la famiglia difficilmente si presenta, perchè c'è una legge che punisce i genitori di questi ragazzi. Se il ragazzo aveva frequentato dei corsi professionali, erano inseriti in attività artigianali seguiti da maestri. In un anno abbiamo inserito sette ragazzi tra cui due provenienti da Torino.
Siccome abbiamo notato il grande
desiderio di guadagnare soldi, al loro rientro in patria abbiamo contattato
degli artigiani che lavorano con il gesso o fanno i mosaici, due
attività fatte da ricchi e quindi ben retribuite, così alcuni
sono stati inseriti in queste attività. Con questi ragazzi ci siamo
posti alcuni obiettivi ben precisi. Ora lavorano in Arabia Saudita e quando finiranno
andranno in Egitto.
E' difficile far partecipe la famiglia di
ragazzi senza documenti. Abbiamo dei contatti con i presidenti delle
circoscrizioni di quartiere, i sindaci di villaggi, così la famiglia non
si deve preoccupare dei documenti, ma se ne occupano direttamente questi
interlocutori.
Per quanto riguarda la categoria degli orfani,
è impossibile avere l'atto di nascita se non c'è un avvocato in
Marocco che vada a fare delle ricerche negli atti del tribunale. Abbiamo
contattato quattro magistrati che lavorano solo con i minori, sono venuti qui e
abbiamo cercato di sensibilizzarli. Per anni ho stancato il Tribunale per i
minorenni, così ora appena sentono nominare la dottoressa Di Marco e la
dottoressa Calcagno collaborano immediatamente.
Problema grandissimo, come hanno già detto Adriana Luciano e Fredo Olivero, sono i minori della seconda generazione. Quando si parla di seconda generazione, non sono solo genitori che hanno fatto il ricongiungimento familiare, noi abbiamo anche mamme sole che hanno fatto il ricongiungimento di figli, che erano stati lasciati ai nonni. Sono ragazzi molto fragili che vivono il sentimento verso la mamma come odio-amore, che si chiedono come mai la mamma li ha lasciati così piccoli. La mamma considera il ragazzo, anche se ora ha 15-16 anni, ancora un bambino così com'era quando ha lasciato il Marocco. Manca la figura del padre come capo famiglia.
I minori sono venuti a fare i piccoli, quando
passano al giro dello spaccio si trovano troppo soli e tagliati fuori
perché tutti i minori che spacciano sono arrivati da soli in modo
clandestino. Hanno sofferto molto, perché il viaggio è in nave e
quando arrivano in Italia, soprattutto a Genova, arrivano sfiniti, alcuni con
gravi problemi psicologici.
I minori consumatori di droga per noi
sono un grosso problema perché sono ragazzi difficili da
recuperare, in questi casi sono state interpellate le famiglie per poter dar
loro un ritorno dignitoso.
A Torino c'è il fenomeno di minori della seconda generazione che scappano dalla famiglia e trovano accoglienza presso ragazzi che spacciano, questo capita perchè vogliono scappare da schemi rigidi e la libertà, per loro, è quella dei ragazzi senza genitori che possono stare fuori anche la notte.
Minori già rimpatriati due o tre volte:
sono minori che hanno fatto percorsi positivi in comunità, sono veri
piccoli barboni che dormono all'aperto, vivono vendendo ogni tanto hashish,
perchè non la ritengono una sostanza forte, pesante. La cosa bella di
questi ragazzi è che se si offre loro un progetto, ci credono e accettano
il reinserimento in comunità.
Seconda immigrazione: sono minori che arrivano a
Torino dopo aver soggiornato in Spagna per due o tre anni, alcuni sono con la
famiglia, altri no. Ora sono collocati in comunità. Sono tutti ragazzi
provenienti dal nord del Marocco, che la Spagna ha accolto in uno stato
disastroso. Sono ragazzi che fanno uso di droghe non pesanti. In Italia cercano
qualcosa di più, ma trovano il giro dello spaccio. Noi cerchiamo di
collocarli in spazi dove non avvengano contatti con il mondo dello spaccio.
Nella seconda generazione sono inseriti anche
i minori figli di coppie miste. Tutti e due i genitori sono
stranieri, ma provengono da paesi diversi. Sono ragazzi con problemi,
anche se non tutti. Quando una mamma marocchina è sposata con un
papà egiziano, i bambini nati qui sono italiani, marocchini o
egiziani? Una bambina di quattro anni racconta le favole in italiano,
quando parla lo fa in marocchino e quando si arrabbia lo fa in tunisino.
Moderatrice (Adriana Luciano)
Sued e Laura, in maniera complementare, ci
hanno permesso di capire un po’ meglio di che cosa ci stiamo occupando e
credo che ognuno di noi, credo anche il dottor Longo, faccia fatica a pensare
alla circolare del Ministero e poi ragionare su questi ragazzi.
Per chi non è di Torino: quando Sued
dice "noi abbiamo fatto", forse pensa che dietro Sued ci sia
un'organizzazione, ma non è vero. Sued è aiutata da poche
persone, da poche famiglie marocchine che lavorano con lei, ha un buon rapporto
con i servizi sociali. Vi assicuro che le risorse con le quali loro lavorano
sono davvero inadeguate.
La parola a Sergio Kristensen, di "Save
the Children".
Sergio Kristensen[10]
Parlerò del programma “Minori
separati in Europa”, del quale ha già parlato Angelo Simonazzi, ma
io darò più dettagli.
Il programma “Minori separati in
Europa” è un programma di ricerca e analisi di politiche, per
poter poi influenzare il livello europeo internazionale. Per fare delle
pressioni abbiamo bisogno di dati forti e chiari, per poterci confrontare con
chi prende decisioni, quindi le istituzioni politiche.
Il programma è iniziato 3 anni e mezzo
fa a seguito del grande flusso di bambini separati che arrivava dalla
ex-Yugoslavia e dai Paesi della Federazione Russa. La prima cosa che il
programma ha fatto è stata le "Indicazioni per una corretta prassi
per i minori separati in Europa", che avete nella vostra cartella ed
è stato tradotto in tutte le lingue in cui il programma funziona.
Il programma è presente in 28 paesi
europei più la Turchia, che ha lo statuto di osservatore, e la Russia,
che ha fatto domanda di entrare in questa rete. L'importante è sapere
che questo programma dei minori separati è implementato e attuato da
Save the Children insieme all'ACNUR, l'Alto Commissariato delle Nazioni
Unite per i Rifugiati. Dato che l'ACNUR ha delle implicazioni politiche,
essendo un'organizzazione dell'ONU, e dato che ha il mandato di protezione per
i rifugiati, Save the Children non lavora insieme all'ACNUR per paesi come
la Turchia e la Russia, ma, come Save the Children, in questi paesi noi ci
siamo. Siamo presenti in questi 28 paesi, più Turchia e Russia, con una
serie di ONG e organizzazioni locali. La messa a punto di questa rete di ONG e
organizzazioni locali è una cosa importantissima, fondamentale per l'attuazione
del programma. Ci sono delle reti di ONG in tutti questi paesi. Alcuni problemi
ci sono in Polonia, dove ci saranno delle altre organizzazioni che si
aggiungeranno a questo programma. Il problema, in Polonia, è che
all'inizio il contatto era fatto con l'Università di Varsavia: noi,
però, preferiamo lavorare con delle ONG e delle associazioni che abbiano
esperienza sul terreno.
Generalmente, a livello nazionale lavoriamo
con le organizzazioni Save the Children nazionali, come per esempio in Francia.
La Save the Children nazionale francese non era molto interessata,
perchè vedeva questo programma solo per i minori richiedenti asilo:
questo è un problema, ma è solo una piccola parte e anche qui in
Italia altre Ong si sono aggiunte a noi.
C'è una divisione abbastanza netta fra
nord e sud Europa. Il nord è più interessato a lavorare con i
richiedenti asilo, perchè i numeri sono più alti e la prassi e la
procedura sono ben oliate; mentre nei paesi del sud Europa (Portogallo,
Francia, Italia e Grecia) le associazioni sono più interessate a
lavorare con i minori non richiedenti asilo, perchè sono la maggioranza.
Quali sono i requisiti per far parte di questa
rete di ONG nel programma?
Ci vogliono quattro requisiti:
1° - impegno per promuovere e implementare
queste “Indicazioni per una corretta prassi per una corretta prassi per i
minori separati in Europa”;
2° - impegno a implementare questa prassi
nel proprio Paese;
3° - impegno per un progresso a livello
europeo, per condividere informazioni e mettersi d'accordo su
azioni parallele, perché questa prassi sia incrementata;
4° - impegno a lavorare con altre
organizzazioni nel proprio paese che supportino queste prassi.
C'è sempre un'analisi nazionale fatta
dalle reti nazionali seguendo criteri ben definiti, perchè vogliamo dei
criteri uguali per tutti, per confrontarci con le istituzioni. Con queste
ricostruzioni nazionali possiamo mettere tutti assieme i quindici Paesi
dell'Unione Europea, anche la Norvegia, e con questa ci siamo
confrontati.
Ci sono cinque aree di interesse su cui stiamo
lavorando con l'Unione Europea, soprattutto con la Commissione Europea.
La prima è cercare di influenzare la direttiva sull'accoglienza e quindi mettere il problema dei minori separati su questa direttiva dell'accoglienza; la seconda riguarda gli standard minimi per le procedure di richiesta d'asilo; la terza concerne il ricongiungimento familiare; la quarta è la revisione delle Convenzione di Dublino, finalizzata al ricongiungimento familiare e, infine, la quinta è la protezione umanitaria sussidiaria.
C'è anche tutta l'area di protezione
temporanea, ma è un'area abbastanza grande: la teniamo d'occhio, ma
non è per noi prioritaria, in questo momento.
Tutto questo è basato sulle
"Indicazioni per una corretta prassi per i minori separati in Europa"
e anche su un altro documento, che riassume la situazione nei quindici Paesi
dell’Unione più la Norvegia.
Nei prossimi tre mesi faremo un'altra analisi
sui paesi dell'Est e sui Balcani, perchè c'è un problema
crescente dei minori separati in questi Paesi, soprattutto in Cecoslovacchia,
Russia, ecc. Questi Paesi erano di transito, ma sempre più i minori vi
si fermano.
So che in Italia siete molto interessati ai
minori separati non richiedenti asilo, perchè sono la maggioranza.
Quindi il programma scriverà un documento simile a questo per una
corretta prassi per i minori separati non richiedenti asilo.
Il secondo passo è quello di fare un'analisi
nazionale in tutti i Paesi che ancora non l'hanno.
E' importante focalizzare l'attenzione sui
bambini separati non richiedenti asilo, perchè sono i più
vulnerabili. E' importante coordinare tutti gli sforzi a livello nazionale
ed europeo, vedo che ci sono molte organizzazioni che stanno lavorando su
questo problema.
Abbiamo menzionato oggi varie volte il
problema dei dati, di quanti sono i minori, da dove vengono: a seconda di
quelli che hanno parlato, questi dati cambiano molto. Questo non è
solamente un problema italiano: anche in Danimarca, dove lavoro, si parla di
250/300 minori separati all'anno, però, quando poi si guardano le
statistiche ufficiali, si va da 100 a 300.
Una delle cose più importanti è
arrivare a una conoscenza di dati certi sui minori separati che arrivano o
transitano in Europa.
Salvatore Longo
La circolare non ha detto nulla in più se non
interpretando in tal senso quello che, secondo noi, dice il regolamento.
Secondo me, ma è un'opinione mia, è che non sia molto sbagliata
questa interpretazione anche perchè ad un certo punto l'articolo 30 o 31
(se non ricordo male) dice "quel permesso di soggiorno dato per famiglia,
ricongiungimento familiare, o per affidamento ai sensi della legge 184/83,
può essere convertito alla maggiore età e comunque dà
diritto al lavoro autonomo, al lavoro subordinato, eccetera". Questo ci fa
ritenere che le stesse facoltà non siano legate al permesso di soggiorno
per minore età. Alla luce anche di che cosa? Della ratio della legge,
che è quella di tutelare il minore in attesa di una valutazione
più precisa della sua posizione di soggiorno in Italia e di eventuale
rimpatrio. Nel momento in cui questa valutazione sarà più
favorevole, nel senso che la permanenza in Italia potrà essere
più completa, è chiaro che a quel punto si dovrà
necessariamente far luogo ad un permesso di soggiorno. Io sto dicendo che nel
momento che il minore non è nell'ambito della propria famiglia, non
è affidato, se non viene rimpatriato, questa situazione bisognerà
ad un certo punto valutarla: questa valutazione potrebbe dare luogo ad un
permesso. E’ un problema da verificare.
Sul problema della circolare che ha innescato
questo meccanismo, io mi permetto di dire che non è proprio così,
perché la circolare è del 13 novembre: io fino alla fine di
ottobre ho diretto l'ufficio (Ufficio stranieri della questura di Torino, ndr) e già da tempo io applicavo la norma
così come dice la circolare, perché la attuavo in base ad una
interpretazione del regolamento del Testo Unico. Io non ho mai preso in esame
quella circolare, perché già non dirigevo nemmeno l'ufficio a
quell'epoca. Resta invece il problema di vedere quali sono le
possibilità di non andare a far perdere tutte quelle possibilità
che i minori hanno avuto a seguito di permessi di soggiorno che dal punto di
vista formale erano indicati come permessi di soggiorno per minore età,
dati prima dell'entrata in vigore del Testo Unico o del Regolamento
(perché è poi il regolamento che ha fatto vedere le cose in
maniera diversa) ecco quindi io credo che dal punto di vista tecnico si
potrebbe, non credo che ci siano degli ostacoli insormontabili da quel punto di
vista. Certo è che da quel momento, non c'è dubbio, non è
un problema di circolare, è l'applicazione del Testo Unico che ci porta
a questo tipo di interpretazione.
Moderatrice (Adriana Luciano)
Grazie al dottor Longo. Però vorrei una risposta, forse con più precisione, rispetto anche a quello che diceva prima la dottoressa Giannone: è chiaro e certo che, per quei ragazzi che avevano avviato il percorso prima della circolare e che sono arrivati in scadenza, si mantiene il progetto così come era stato avviato? Questa è una storia in cui sembrano essere state date certezze prima e poi ritrattate...
Io non credo, la dottoressa Giannone
già parlava di intese, di accordi che aveva preso con l'ufficio, che io
credo che da un punto di vista tecnico non è difficile andare a trovare.
Moderatrice (Adriana Luciano)
Siccome questa cosa non è stata del tutto chiarita e non ci sono certezze a questo momento, ci piacerebbe che almeno su questo punto ci fosse maggiore chiarezza: permesso di soggiorno per minore età che non vale per il lavoro. Questo è un chiarimento importante, perché è proprio su questo che sono nate molte incertezze.
E' un discorso chiarissimo, non possiamo
stravolgere l'impianto normativo. Quello che mi sento di dire è che si
può vedere le situazioni nate come permessi per motivi familiari, prima
dell'entrata in vigore, ma io parlerei del regolamento proprio, si possono
vedere uno per uno, perché chiaramente ogni caso ha la sua
particolarità.
Moderatrice (Adriana Luciano)
Io credo che i termini della questione siano
ormai molto chiari a tutti e credo che oggi ci siano stati elementi di
ulteriore chiarimento e che le coordinate del problema siano chiare; mi pare
assolutamente evidente che è necessario trovare dei momenti di incontro
tecnico, anche su questo problema di capire dove e come si possono adottare
certe soluzioni e dove no, e questo deve essere assolutamente chiaro a tutti
gli operatori. Vi chiedo per esempio che all'interno di un accordo a livello
locale ci sia un impegno da parte della Questura a dare informazioni molto
precise e molto chiare a tutti gli operatori, che indubbiamente questo
andirivieni dagli uffici, questa defatigante messa insieme dei documenti,
queste perdite di tempo infinite, sono una cosa che va contro la logica stessa
dei principi generali di cui abbiamo oggi discusso, sulla necessità di
dare assistenza ai minori, di darla tempestivamente, di dare certezza, di dare
trasparenza. Io credo che su questa strada molto si possa fare sul piano
amministrativo, pur rimanendo il quadro di riferimento normativo della
circolare. Se poi il quadro di riferimento cambierà, e certo non dipende
da noi a livello locale, allora potremo fare certi passi; ma io credo che
questo impegno ve lo possiamo chiedere, credo che già in passato la
Questura di Torino abbia mostrato intelligenza, comprensione e
sensibilità e quindi forse questo è il momento di prendersi un
impegno di questo genere; sugli altri elementi vedremo in seguito.
Maria Pia Brunato[11]:
Buona sera a tutti. E' stata fatta la richiesta di creare una sede istituzionale per trattare questi argomenti: io credo che la possibilità ci sia e sia il momento. Perché il momento? Non voglio farne un argomento politico: la Regione Piemonte si è appropriata dell'argomento immigrazione solo in termini di flussi: non ha mai parlato di politica di immigrazione; rientra nella sua politica e va bene così. Il legislatore ha creato con la legge 40 il Consiglio Territoriale per l’Immigrazione: io ne faccio parte e più volte ci è stato detto che nelle intenzioni dei legislatori, il Consiglio Territoriale per l'Immigrazione dovrebbe essere la sede territoriale che si occupa delle politiche di immigrazione; allora ci è stato dato questo strumento. Devo dire che in Provincia di Torino, grazie al presidente del Consiglio e al Prefetto, il Comitato si è riunito, ha deciso di formare dei gruppi, e credo che quella sia la vera sede istituzionale attraverso la quale questi argomenti devono passare. Perché c'è il Prefetto, ci sono le istituzioni, ci sono le associazioni di volontariato e i rappresentanti degli immigrati e quindi è una sede istituzionale forte. E ce n'è particolarmente bisogno in questo momento, perché con l'istituzione del Fondo Nazionale Sociale, alle Regioni non vengono più attribuiti i finanziamenti per le politiche sociali sulle singole leggi, ma viene attribuito un fondo indistinto. Allora, o c'è un momento istituzionale forte di interlocuzione rispetto alla Regione, oppure certe politiche rischiano di essere politiche di serie B; e come assessore provinciale, consentitemi anche di dire che le politiche sull'immigrazione rispetto alla città di Torino, forte e importante com'è, e il resto del territorio provinciale sono sicuramente state in questi anni politiche di serie B: perché sono state affidate non alla bontà, perché non è il termine giusto, ma alle possibilità che i servizi sociali dei singoli comuni o comuni associati potevano avere, e vi assicuro che fuori dalla città di Torino, le risorse per queste politiche sono poche.
Io credo che si debba insistere perché quella del Consiglio Territoriale diventi la sede istituzionale, quindi più forte di tanti altri tavoli. Da parte delle Provincia c'è la disponibilità, non solo per passione, ma anche per ruolo istituzionale a collaborare fortemente rispetto a questo tavolo, e credo, e spero, che questo appello venga accolto.
Buona sera a tutti, io mi chiamo Giuseppe
Spedicato, faccio parte di un'organizzazione ONG che si chiama CTM, che
gestisce un centro di accoglienza per minori stranieri non accompagnati. In
questi due anni e mezzo ne abbiamo accolti circa 500. Vorrei che si facesse una
maggior attenzione a questo fenomeno, perché a mio avviso è un
fenomeno che per molti anni è stato completamente trascurato e adesso ci
troviamo in una situazione pesante, tanto che, probabilmente, abbiamo in molte
città i bambini per strada come in Sudamerica.
Quando un giovane viene a contatto con un
Servizio Sociale, una struttura di accoglienza come la nostra, bisogna
stabilire entro pochissimo tempo da questo contatto se il minore deve rimanere
sul terreno nazionale oppure deve essere rimpatriato. I servizi sociali vengono
sì e no una volta ogni tre mesi e non ci danno indicazioni, manca una
prassi, manca una cultura, se c'è un problema non si sa a chi chiedere e
quindi viene lasciato praticamente tutto a ciò che noi riusciamo a fare:
senza nessun mezzo, e quindi il 90% dei minori che noi abbiamo sono
completamente a nostro carico. Ora lo Stato deve fare in modo che questi
minori, ad un mese dall'arrivo, contattino il Servizio Sociale; si deve avere
il coraggio, se devono essere rimpatriati, di rimpatriarli immediatamente, non
di tenerli in una situazione di clandestinità, e nel momento in cui si
decide di inserirli bisogna anche avere le risorse per farlo. Ora, in Italia
non si fa né una cosa né l'altra, cioè se non fosse per la
generosità popolare, una parte dei minori che abbiamo sarebbe già
morta di fame. Questa è la situazione. Altra cosa da fare: occorre che a
livello nazionale si formi anche una rete in modo da scambiarsi l'esperienza e
fare in modo che si consolidino delle prassi, che ci sia una vera cultura
dell'accoglienza e evitare che una questura si orienti in un modo e un'altra in
un'altra: il fenomeno è talmente complesso che un singolo poliziotto
può interpretarlo in un modo e un altro in un altro, e non si può
dare la colpa al poliziotto.
L'altra cosa che si dovrebbe fare è che
si creino dei punti di riferimento nei Paesi di provenienza di questi ragazzi:
non si può lavorare senza sapere effettivamente come si chiama il
ragazzo e chi è. Quando il minore arriva da noi, sappiamo quello che ci
dice lui, punto e basta, molto spesso non ha alcun tipo di documento, e prima
di avere dei dati reali, delle informazioni reali, ammesso che riusciamo ad
averle, passano mesi, perché bisogna conquistarsi la fiducia del
ragazzo, e intanto sta due, tre mesi, quattro mesi nel centro senza avere la
possibilità di fare un vero programma. Questo è veramente
assurdo.
Moderatrice (Adriana Luciano)
Non siamo in grado di coordinare le questure,
però, sicuramente, a partire da questo incontro forse saremo un po'
più in grado di coordinare, di mantenere i contatti tra le varie
associazioni, organizzazioni: anche questa offerta di stabilire dei contatti,
di allargare la rete mi sembra uno strumento importante. Sulle Questure ci
auguriamo che arrivino dal Ministero degli Interni lumi più precisi, o
meglio, non più precisi, ma più coerenti con quella che riteniamo
essere una buona politica di accoglienza per i minori.
Sono Moricucci dell'AIBI (Associazione Amici dei Bambini),
siamo una ONG che si occupa prevalentemente di adozioni internazionali, di
sviluppo e di cooperazione.
Attualmente stiamo lavorando ad un progetto di
rimpatrio - ricongiungimento familiare insieme ai centri di accoglienza del
territorio lombardo. E' un progetto che noi abbiamo definito di “rientro
protetto, sostenuto, e dignitoso, di minori stranieri non accompagnati”.
Questo perché pensiamo che l'attuazione di un rimpatrio debba avvenire
con queste condizioni, ovvero un rimpatrio protetto, che garantisca
l'integrità fisica e psicologica dei minori non accompagnati; che si
debba fornire anche un sostegno al reinserimento in famiglia e nel contesto
socio - territoriale, permettendo la strutturazione di condizioni che
permettano al minore nel paese di origine di avere una vita dignitosa. Noi
stiamo in questo senso lavorando per cercare di mettere in rete un lavoro che
formi l'operato sia di operatori che lavorano sul fronte italiano, ma anche di
operatori che lavorano nel paese di origine dei minori stranieri.
A questo proposito viene la domanda: secondo voi, quando e a quali condizioni, un rimpatrio assistito e un ricongiungimento familiare, possono avvenire nel rispetto dei diritti supremi del minore straniero non accompagnato?
Moderatrice (Adriana Luciano)
E' una domanda molto difficile. Credo che su questo il Comitato dia alcune indicazioni molto generali, le linee guida. Sappiamo bene che poi al di sotto di questo ci sono tutte le pratiche concrete che devono essere fatte per arrivare a quel risultato: è anche vero, diceva questa mattina la dottoressa De Marco che, stante le condizioni richieste dalla legge, le condizioni internazionali per i rimpatri, non si può immaginare che la strada del rimpatrio sia una strada così facilmente generalizzabile. Anche oggi sono state dette molte cose, che ci inducono a ritenere che questa strada del rimpatrio va praticata indubbiamente (sono anche le cose che ci diceva Sued) quando ne ricorrono le condizioni e queste condizioni, lo abbiamo visto, lo sappiamo, sta scritto, sono condizioni severe: perché queste condizioni siano rispettate, iniziative come le vostre sono indubbiamente pregevoli; soltanto con una rete di rapporti, di rapporti tra ONG, di rapporti tra paesi, soltanto attraverso una conoscenza molto spicciola dei territori, delle situazioni, delle realtà, si possono fare queste cose. Speriamo nei prossimi anni di poterle realizzare. Grazie.
Vorrei chiedere se nella ratio della legge
è possibile il fatto di concedere il permesso di soggiorno fino al
diciottesimo anno, come possa essere inteso che al diciottesimo anno non debba
venire convertito in un permesso di soggiorno..
Moderatrice (Adriana Luciano)
La domanda è chiara: il dottor Longo
pensa di avere già dato una risposta, ma io chiedo o alla dottoressa
Giannone o all'avvocato Trucco di darci la loro ulteriore risposta.
Penso che la ratio che sottenda la scelta
della minore età sia proprio quella di garantire a tutti i minori sul
territorio nazionale una situazione di regolarità. Questa d'altro canto
era stata una richiesta che proveniva da tutte le parti, perché
pensavamo che fosse la soluzione per evitare anche discriminazioni, il permesso
per minore età doveva essere il permesso che garantiva a tutti i minori
la tutela dei loro diritti in virtù della permanenza sul territorio
nazionale: ecco, questo è l'aggancio, ed è di lì che
probabilmente è partita la non conversione ai diciotto anni. Il problema
è secondo me di riuscire a discriminare con il raggiungimento della
maggiore età, una situazione da un'altra. Allora a tutti i minori,
questa è una opinione personale, garantiamo la regolarità fino ai
diciotto anni: bisognerebbe distinguere ai diciotto anni in base a un
resoconto, verifica, del progetto personale, di vita, eccetera, se il progetto
abbia avuto un eco, quindi non con un automatismo, come forse è avvenuto
per un periodo abbastanza lungo; forse noi non siamo riusciti con le tutele a
garantire alla Questura che in realtà i minori in tutela avessero tutti
un certo percorso. D'altro canto tutela non vuol dire solo i buoni, tutela vuol
dire il legale rappresentante, ci sono i buoni e ci sono quelli che si
allontanano dal progetto. Allora ci vorrebbe la possibilità di potersi
esprimere alla fine del progetto e poter dire: "Questo ragazzo ha finito
il percorso, si è inserito dal punto di vista lavorativo, ci sono gli
estremi perché prosegua in questo modo". Oppure: “Non lo ha
seguito: un'ora dopo i diciotto anni diventa espellibile da adulto”. E'
questo un po' il meccanismo che è saltato con quell'indicazione
così netta. Allora il discorso, il motivo di essere, non tanto della tutela,
perché io la tutela la dovrò aprire, qualunque sia il minore,
tutele che mi vengono dal penale, ovviamente io dovrò vedere alla fine
quale valutazione, secondo il progetto, secondo se l'aggancio sia avvenuto
oppure no; però per tutte le altre situazioni io non ho capito e forse
ne sa di più la signora Marzin, è chiaro che ci sono i ragazzi
che sono partiti allettati da soluzioni più remunerative, però
diciamo che un ottanta per cento, mi sbilancio così, di soluzioni
favorevoli ci sono state.
Quell'ostacolo non è messo dalla circolare, è messo dalla legge, non è un problema amministrativo, è un ostacolo messo dalla legge: nel momento in cui la legge dice che al compimento del diciottesimo anno di età il permesso di soggiorno per motivi di famiglia può essere convertito in un altro permesso (può), per l'altro non dice assolutamente nulla.
Moderatrice (Adriana Luciano)
Mi pare che stiamo girando in tondo perché questi argomenti li abbiamo già visti e pare non ci sia accordo su questo.
Scusate, se questa fosse una sede in cui
possiamo dirimere la questione, trovare la soluzione, allora io starei qui a
dire andiamo avanti fino a mezzanotte: credo che continueremo a ripetere questi
argomenti, credo che tutti quanti abbiamo chiaro quali sono le posizioni e
ognuno sparerà le sue cartucce sui tavoli su cui potrà operare,
per vedere se qualche cosa si ottiene.
Ancora due parole a Sued.
Ha ragione la volontaria della Lombardia
perché non abbiamo parlato in termini ben precisi rispetto al rimpatrio.
Io mi chiedo solo questo: faccio parte di una fondazione della comunità
marocchina a Rabat e abbiamo saputo che sono stati presentati 23 progetti solo
in Nord Italia, progetti di rimpatrio di minori. Mi ha molto spaventato,
perché io mi occupo di minori, che tutti stiano lavorando per
rimpatriare tutti. Allora io vi dico un'e-mail in cui potete visitare tutti i
progetti presentati dalle associazioni di volontariato italiane: Errore. Il
segnalibro non è definito.. Questo è un problema grossissimo, coloro che stanno lavorando
su questi progetti sono dei grandi professionisti, ma ci sono anche quelli che
per la prima volta hanno sentito un progetto del genere e vogliono lavorare su
questo. Mi dispiace perché il rimpatrio non è uno scherzo: un
progetto è veramente il destino di un minore quindi dobbiamo essere
consapevoli di questo. Io vi chiedo anche (conosco alcuni volontari qua
presenti di massima serietà) prima di andare a chiedere agli uffici in
Marocco quello che bisogna fare è meglio visitare il centro per il reinserimento
di minori a Tangeri, che si chiama “Casa Mia”, un centro che
è nato l'anno scorso, con il finanziamento del Fondo Sociale Europeo,
tramite la Spagna. E quindi lì vedete veramente tutti i minori
rimpatriati, perché bisogna prendere in considerazione che noi stiamo
lavorando sul reinserimento di minori che non sono mai stati inseriti né
nella nostra società né nella società italiana. Grazie.
[1] Docente di Diritto Penale del lavoro presso l’Università degli Studi di Torino e membro della Commissione congiunta istituita dal Ministero della Giustizia e dal Comune di Torino sul tema “Le risposte al reato minorile con particolare attenzione alla condizione dei minori stranieri”.
[2] Docente di Sociologia del lavoro presso l’Università degli Studi di Torino e membro della Commissione congiunta istituita dal Ministero della Giustizia e dal Comune di Torino sul tema “Le risposte al reato minorile con particolare attenzione alla condizione dei minori stranieri”.
[3] Paolo Vercellone è stato il primo presidente del Comitato per i Minori Stranieri, ora presieduto da Angelo Achille.
[4] Questura di Torino.
[5] Eleonora Artesio, assessore al decentramento della città di Torino nell’ultima giunta Castellani, e Mariangela Cotto, attuale assessore alle politiche sociali della Regione Piemonte.
[6] Graziana Calcagno è stata sino al giugno 2001 Procuratore Generale della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Torino.
[7] Ufficio minori extracomunitari del Comune di Torino.
[8] Responsabile Ufficio Migranti – Arcidiocesi di Torino.
[9] Paolo Vercellone, primo presidente del Comitato per i Minori Stranieri.
[10] Save The Children Damiarca. Separated Children in Europe Programme.
[11] Assessore alle Politiche Sociali della Provincia di Torino