Atti del convegno

 

 

"Minori stranieri non accompagnati"

 

 

Torino, 10 marzo 2001

 

 

promosso da:

 

ASGI

Servizio Migranti Caritas

CTP Parini e CTP Modigliani

Rete d’urgenza contro il razzismo

Ires L. Morosini

 

 

con il patrocinio di

 

UNICEF Comitato Italiano

 

Save The Children Italia

 

Regione Piemonte         

 

Provincia di Torino

 

Comune di Torino

 

Università degli Studi di Torino

 

 

 

 


 

Nota: Questi atti rappresentano la trascrizione pressoché letterale, e non rivista dai relatori, degli interventi registrati al convegno. Ci scusiamo per gli errori di trascrizione e/o di interpretazione eventualmente verificatisi.

 

 

 

 

Prima sessione – mattina

 

Moderatore (Davide Petrini)[1]

Buongiorno a tutti, sono Davide Petrini dell’Università di Torino; farò da moderatore di questa prima mezza giornata di lavori. Sarò molto sobrio, nel senso che devo solo presentare i relatori di questo tavolo, per dirvi in che ordine parleranno e anche un pochino di cosa, darvi ragione di alcune assenze, leggervi una lettera del Ministro Livia Turco e poi semplicemente dare la parola ai relatori.

Al tavolo sono presenti Adriana Luciano, che farà la prima relazione di contesto, sulla situazione dei minori in Italia; Angelo Simonazzi, che dirige Save The Children in Italia e che farà la seconda relazione, anch’essa di contesto, sulla situazione internazionale dei minori non accompagnati. E, nell’ordine, quattro interventi che saranno fatti: da Lorenzo Trucco, presidente dell’ASGI; da Salvatore Longo, Capo di Gabinetto della Questura di Torino, che è stato ufficialmente delegato a rappresentare il capo della polizia, il dottor De Gennaro; da Giulia de Marco, presidente, oltre che del Tribunale dei Minori di Torino, anche dell’Associazione Italiana Magistrati per i Minorenni; e da Luigi Gili, avvocato dell’ASGI.

Le assenze, tutte molto tristi, ci mancano molto, sono innanzitutto Paolo Vercellone, per motivi di salute; Angelo Achille, attuale presidente del Comitato per i Minori Stranieri e Isabella Menichini del Ministero degli Affari Esteri, che sono impegnati al di fuori dell’Italia, credo in Albania, per impegni sopraggiunti. Livia Turco, che aveva confermato la sua presenza, ha inviato una lettera che trovate in cartellina e che gli organizzatori mi hanno pregato di leggere. Gli organizzatori segnalano anche l’assenza dei funzionari del Dipartimento degli Affari Sociali che, nonostante molteplici sollecitazioni, non siamo riusciti ad avere a questo tavolo.

Pensiamo di assegnare venti minuti a ciascuno dei relatori e degli interventi, in modo da avere, alla fine della mattinata, ancora mezz’ora/tre quarti d’ora per interventi e domande di carattere generale (o anche mirate a coloro che sono intervenuti) da parte del pubblico.

La parola ad Adriana Luciano dell’Università di Torino.

 

Adriana Luciano[2]

Grazie. Come sanno tutti quelli che mi conoscono, non mi stanco di ripetere che in questa materia io non mi considero affatto una specialista, ma mi sono sempre occupata di disuguaglianza, di lavoro, di immigrazione. Il problema dei minori stranieri, dei minori soli, dei minori separati, dei minori non accompagnati, come alcuni preferiscono chiamarli, è un problema sul quale mi interrogo, ma sul quale sono ben lontana dall’avere delle risposte, anche solo di tipo analitico-descrittivo. La ragione per cui non abbiamo dati è che si tratta di un fenomeno che abbiamo scoperto di recente, anche se è un fenomeno nient'affatto nuovo nelle migrazioni internazionali, ma, indubbiamente, in tutti i processi migratori non è il primo fenomeno che salta all’occhio, che si pone all’attenzione di chi si occupa di immigrazione come studioso o come operatore. A immigrare sono soprattutto donne e uomini adulti. I giovani, bambini e ragazzi, che, come dico, sono sempre stati presenti nei flussi migratori, vengono dopo e sono poco visibili. Noi abbiamo incominciato a vederli quando hanno iniziato a riempire le carceri minorili, oppure agli angoli delle strade con le spugnette e i fazzolettini di carta, ecc. E’ un fenomeno antico: vedo che sono presenti anche persone non più giovanissime, che magari hanno avuto occasione di leggere da piccoli il libro "Cuore". Chi non ricorda il Marco di "Dagli Appennini alle Ande", quel ragazzino che va a Buenos Aires alla ricerca della madre? La cosa interessante, se uno ripensa a quel racconto, è che Marco, che attraversa l’oceano per andare alla ricerca della madre, non incontra sulla strada educatori o poliziotti, qualcuno che lo fermi: la sua presenza è considerata normale. Se mai, tutti quelli che lo incontrano sono colpiti dalla sua storia personale, dal fatto che va a cercare la madre, o dal fatto che è senza risorse in questa impresa, ma nessuno si stupisce che quel ragazzino sia per strada. Noi, invece, ci interroghiamo su questo aspetto, non siamo più abituati a vedere ragazzini per strada, e abbiamo difficoltà ad affrontare questo fenomeno. Io vorrei provare a tematizzare questo fenomeno su due piani: uno è quello normativo; l'altro, che è più sostanziale, è quello delle caratteristiche di questo fenomeno e delle sue coordinate di tipo socio-culturale.

Sul piano normativo, credo che ci troviamo in presenza di una dissonanza cognitiva. Ci troviamo di fronte ad un quadro normativo a livello internazionale, cito la Convenzione di New York, ma la legislazione nazionale e quella internazionale affrontano da molti punti di vista il problema dei minori, rispetto a molti risvolti. Noi abbiamo un quadro normativo in cui il minore (intendendo per esso il ragazzo o la ragazza che non ha raggiunto quella che, dal punto di vista legislativo, viene considerata la maggiore età) ha diritto ad azioni, comportamenti, atteggiamenti, di accoglienza, di rispetto, di aiuto, per la sua condizione di minore.

Se diamo un’occhiata alle linee-guida formulate, nell'ambito del programma europeo, da Save the Children su come deve essere affrontato il problema dei minori soli o dei minori separati presenti sul territorio europeo, troviamo indicata una serie di punti importanti che sono: ogni azione deve essere fatta nel migliore interesse del minore medesimo, non devono essere operate delle discriminazioni, il ragazzo ha diritto alla partecipazione rispetto a tutto ciò che lo riguarda, deve essere rispettata la sua cultura, deve essere rispettata moltissimo la riservatezza di tutte le informazioni che lo riguardano, ci vuole rapidità in tutte le decisioni, quello che si occupa di lui deve essere personale molto specializzato, deve essere garantita assistenza, accoglienza, scuola, relazioni affettive adeguate alla sua età e alla sua condizione di minore.

In questo quadro normativo, anche la nostra legge-quadro sull’immigrazione dice alcune cose precise riguardo i minori, ad esempio che l’espulsione non è eseguibile nei confronti di un minore, e che quindi si tratta semmai di valutare, nel suo interesse, se e dove occorrono le condizioni per un suo rimpatrio, si aggiunge, assistito, cioè accompagnato, nel rispetto di tutte quelle norme. Naturalmente l’istituzione stessa del Comitato Minori Stranieri, di cui si avrà occasione di parlare, segnala la necessità di una condizione particolare, di un trattamento particolare di questo tipo di immigrati minorenni.

Dove sta la dissonanza cognitiva? Nel fatto che tutte le legislazioni recenti, compresa anche la nostra, hanno al centro un problema-chiave, che io, per semplificare, chiamerò il problema della deterrenza.

Il problema che sta al centro di una legislazione, pur avanzata e rispettosa dei diritti umani come la nostra, è quello di fare delle politiche che, tuttavia, non ottengano l’effetto indesiderato di attrarre una quota di immigrati superiore a quella che già spontaneamente si presenta sul nostro territorio. L’idea è, quindi, che si devono fare azioni di contenimento. E’ inevitabile che scaturisca quella che io chiamo una dissonanza cognitiva, perchè ci sono due obiettivi da perseguire, due logiche d’azione che non stanno insieme. Come spesso accade, le dissonanze cognitive si risolvono negando l'uno o l’altro dei due termini. E non c’è dubbio che, nel dibattito e nelle pratiche che si sono realizzate in questi anni nei confronti dei minori, di fatto ha teso a prevalere l'uno o l’altro dei due aspetti: chi ha messo al primo posto il problema dell’interesse del minori, della sua condizione particolare e del suo rispetto, e ha negato in qualche modo il problema del contenimento, e chi, invece, ha messo al primo posto l’altro aspetto e ha pensato di risolvere tutto con un’ipotesi di rimpatrio generalizzato.

Dal punto di vista sostanziale, invece, il punto-chiave intorno a cui tutti ci stiamo interrogando, non solo rispetto ai minori stranieri, o ai minori soli, ma, in generale, rispetto ai giovani e ai minori, è che cosa significhi, oggi, essere minorenni, che cosa oggi significa "minore età". Noi abbiamo costruito tutti i nostri sistemi normativi intorno ad alcuni presupposti, che si sono stabiliti nel tempo, nel riconoscimento, nell’infanzia, di alcune caratteristiche, dal punto di vista biologico, psicologico, sociale e culturale, in base al quale si stabilisce che bambini e adolescenti attraversano una fase della loro vita particolarmente delicata ai fini dello sviluppo della persona e ai fini del raggiungimento dell’età adulta in condizioni di maturità, di serenità, di capacità di vivere come persone adulte. Quindi abbiamo costruito una legislazione che mette al centro il bambino e l’adolescente come persona che si sta costruendo, che sta costruendo la propria personalità e le proprie scelte e che ha bisogno di essere accompagnato, e qui ritroviamo tutti i principi della legislazione. Il problema è che le nostre società, le società occidentali e più industrializzate, ma anche le società che stanno dall’altra parte del Mediterraneo, da cui proviene la maggior parte degli immigrati, sono tutte società in grande transizione, in una fase di grandi cambiamenti economici, sociali e culturali, che hanno, tra i tanti effetti, anche un effetto destabilizzante, che rende cioè problematici tutti gli aspetti normativi che regolano il corso della vita e la definizione dell’età. Vale a dire che stiamo vivendo una grande transizione demografica e quindi abbiamo un allungamento della vita, che comporta anche un allungamento della transizione all’età adulta: in tutti i Paesi occidentali osserviamo che la fase di transizione all’età adulta (cioè quella fase in cui le persone si ritrovano ad un certo punto con una propria casa, una propria famiglia e un proprio lavoro) si sta allungando. D’altra parte, noi ritroviamo anche il fatto che continuano ad esserci (anzi, ci sono addirittura fenomeni nuovi) bambini che affrontano la vita adulta molto presto.

In Italia, solo recentemente ci sono state attenzioni, interessi e ricerche sul lavoro minorile. Le stime sono difficili da fare, oscillano, ma forse abbiamo 200-300 mila bambini al di sotto dei 14 anni che lavorano, e quindi troviamo, da un lato giovani che a ventott'anni sono ancora a casa dei genitori e non si sono presi responsabilità da adulti, e dall’altra bambini che invece lo hanno fatto.

Il problema è che, quando noi ci troviamo di fronte un minore, e questo vale anche per i ragazzi di qui, per i ragazzi delle nostre città e delle nostre periferie, facciamo fatica a capire che cosa c’è dietro questo minore, com’è cresciuto, che tipo di esperienze di socializzazione ha avuto, con la madre, con la nonna, con la baby-sitter, davanti alla televisione o invece in un contesto ricco di esperienze, in che cosa lo possiamo considerare già grande e maturo per fare delle scelte e in che cosa invece non lo è.

In questo venire meno di quadri di riferimento normativi, ciò che ci resta è un quadro di riferimento legislativo che ci dice che fino a diciotto anni sei minore e dopo i diciotto non lo sei più, per cui scattano tutta una serie di regole che pongono le persone che si occupano di questi problemi di fronte a dei riferimenti diversi.

Se poi riproponiamo questo problema rispetto all’immigrazione, il quadro si complica ancora di più, perché tra questi minori noi abbiamo i ragazzini sfuggiti da guerre e da persecuzioni, che vengono dal Kossovo o dal Kurdistan o da altre realtà da cui sono fuggiti, magari da una famiglia distrutta, da una casa che non c’è più; però troviamo anche i ragazzi che sono venuti qui perché lo hanno deciso con la loro famiglia, dove, insieme, si è deciso che era proprio quel ragazzino lì a dover andare, proprio come il Marco di “Dagli Appennini alle Ande”. Ci sono quelli che scappano da casa, quelli che vengono da una vita randagia, che hanno già alle spalle anni di solitudine nelle loro città, nei loro paesi di provenienza.

Noi incominciamo già ad abbozzare questa casistica perché l’esperienza di rapporto con questi ragazzi ci consente di incominciare a ragionare per tipologie, ma riusciamo a cogliere tutti gli elementi soltanto dopo un’interazione più o meno lunga con questi ragazzi. Quando questi ragazzi li incontriamo per strada, all’ufficio stranieri o al centro di accoglienza del tribunale, che storia hanno alle spalle? Spesso sono loro a non dirci delle cose per paura, ma anche se ce le dicono, sono spesso troppo poco per avere un’idea di qual è la loro storia. Allora il problema è che ci mancano degli strumenti conoscitivi per poter capire quali sono le politiche giuste. Allora, chi dice che il miglior interesse del minore è il rimpatrio, che questi ragazzi possono stare bene solo all'interno di una realtà familiare, ha in mente un’idea di famiglia che spesso è un po’ troppo da Mulino Bianco, una realtà familiare che immaginiamo simile alla nostra nella migliore delle ipotesi, se la migliore delle ipotesi è quella che potrebbe essere simbolicamente rappresentata dalla famigliola del Mulino Bianco; però noi poi non sappiamo quanti sono e quali sono i casi in cui questo avviene. Se poi noi andiamo a vedere quello che ci dicono le informazioni che incominciamo a raccogliere, anche attraverso il Servizio Sociale Internazionale che in Albania ha già fatto molti di tentativi di rimpatrio, di nuovo ci rimbalza questa difficoltà, cioè la difficoltà di capire, di sapere quando e come un’operazione di rimpatrio è effettivamente la cosa giusta da fare e quando invece è importante, utile, necessario aiutare questi ragazzi, piccoli per certi versi, grandi, grandissimi per altri, a diventare adulti con un minimo di serenità ed equilibrio.

Io vorrei terminare proponendovi una brevissima tematizzazione di una serie di questioni che, in una giornata come oggi, che è una giornata di studio, di riflessione collettiva, tutte le persone che, a vario titolo e per diversi aspetti, si stanno occupando e si sono occupati di minori, si trovano ad affrontare.

Il primo punto che io direi possiamo forse considerare un punto fermo, e che forse è una piccola certezza, è che qualunque politica si faccia nei confronti dei minori deve essere tempestiva. Se c’è una cosa che sappiamo, e che ancora possiamo dire, è che quella parte della vita, più o meno lunga, dell’ingresso nell'età adulta, è una fase di grandi cambiamenti, in cui ogni giorno è importante, per le scelte che si fanno, e ogni scelta che si fa ne preclude altre per il futuro. La tempestività direi che è l’elemento fondamentale da valorizzare in qualunque politica.

Il secondo punto riguarda quale sia il miglior interesse del minore. Non sempre è la famiglia, perché a volte la famiglia non c’è, a volte la famiglia è quella che ha deciso di mandarlo, perché a volte la famiglia non è facile rimetterla insieme: su questi elementi abbiamo bisogno di riflettere meglio.

Il terzo punto è che cosa significa oggi porre dei limiti rigidi all’idea di minore età. Io, a volte, sorrido e mi preoccupo dell’accanimento con cui si cercano marchingegni, strumenti tecnico–scientifici per capire se il ragazzo ha davvero diciotto anni: ma se ne ha diciassette o diciannove, cambia molto? Non possiamo davvero, oggi, tagliare con l’accetta, attraverso l’anno di nascita, la fase entro cui il minore deve essere protetto da tutti i punti di vista, mentre il giorno dopo diventa un adulto responsabile di sé, che può andare in galera, può essere espulso, ecc. Bisogna ragionare sul fatto che in una società che si destruttura, che si relativizza, in cui la diversità aumenta, forse dobbiamo usare dei criteri diversi, anche dal punto di vista normativo, non possiamo più tagliare con l’accetta il nodo gordiano di chi è minore e di chi non lo è.

Il quarto punto su cui mi piacerebbe che si riflettesse è il problema del lavoro. Effettivamente, il connubio minori-lavoro è un connubio che ci crea dei problemi, delle difficoltà. Quando il lavoro per un minore è una necessità ed è anche un fattore di crescita, e quando invece il lavoro è qualcosa che blocca il suo sviluppo psicologico, culturale e sociale? Anche qui, dobbiamo avere degli strumenti flessibili, certo non una circolare che vieta ai minori di lavorare, perché questo è un modo curioso di interpretare i problemi di questa fase della vita.

Quinto punto, le politiche di integrazione. Quando dei soggetti pubblici decidono di interferire con la vita delle persone, e tutte le volte che noi facciamo politiche sociali interferiamo con la vita delle persone, devono sapere che lo debbono fare con grandissima professionalità, perché altrimenti i guai che si creano sono molto più gravi che non il lasciare le persone alle loro vite, alle loro scelte. E quindi, politiche di integrazione fatte con risorse, con competenze professionali, con strutture e con capacità di valutazione e di verifica, perché altrimenti non sappiamo che cosa facciamo, e gli effetti perversi delle nostre azioni possono avere risultati gravissimi.

Sesto punto, la deterrenza. Chiediamoci, per favore, se davvero ci dobbiamo porre il problema della deterrenza. Se davvero ci dobbiamo preoccupare che, se facciamo delle buone politiche di accoglienza, questo ci farà arrivare tutti i minori del mondo a casa nostra. Io credo che non sia vero, credo che non ci siano i dati empirici che ci confortano su un’ipotesi di questo genere. Io credo che il nostro problema deve essere quello di fare delle buone politiche di accoglienza. Se l’immigrazione dovrà restituirci, un domani, una società civile, è sulle politiche di accoglienza verso i giovani che dobbiamo puntare.

Ultimo punto, le ragazze e la seconda generazione.

Oggi parliamo di minori soli. Il totale dei casi registrati, che come sapete sono dei dati di flusso e non sappiamo neanche più se sono su tutto il territorio nazionale, sono stati 8000 e può darsi che ci siano pure dei doppioni. In Europa pare che siano 100.000. Sono numeri piccoli, ce ne occupiamo, ma dobbiamo sapere che dietro di loro c’è la seconda generazione e anche una presenza invisibile nella prima e nella seconda generazione, che sono le ragazze. Le ragazze non si vedono mai, perché le ragazze non pongono problemi di ordine pubblico. Possono essere sfruttate in casa, possono essere obbligate a prostituirsi, possono crescere bene come avviene nella maggior parte dei casi, possono avere gravi difficoltà ma lo sappiamo poco, lo sappiamo male e spesso lo sappiamo tardi; mi piacerebbe che ci fosse un’attenzione particolare anche per loro. Grazie.

 

Moderatore (Davide Petrini)

Grazie. Credo che questo motivo di dissonanza cognitiva tra rispetto dei diritti e deterrenza possa costituire il criterio di fondo con il quale confrontarsi anche nelle relazioni. Mi permetto di dare anche due indicazioni a chi verrà dopo. Purtroppo, l’assenza di Angelo Achille e di Paolo Vercellone[3] ci impedisce di avere un intervento specifico del Comitato. Nella cartellina, trovate le linee-guida che il Comitato ha predisposto nell’ultima riunione del 15 gennaio 2001: inevitabilmente, dobbiamo darle per conosciute e dobbiamo in qualche misura invitare coloro che interverranno, se hanno delle cose in specifico da dire, di dirlo, perché non avremo un intervento specifico.

Seconda indicazione da dare, è quella di tenere conto anche delle ricadute che tutte le politiche, soprattutto quelle legate all'aspetto della deterrenza, hanno rispetto ai minori stranieri che commettono dei reati. Capite quanto la prevalenza di questo tipo di politiche finisca con il vanificare gli altri interventi per i minori che commettono reati.

La parola ad Angelo Simonazzi, direttore di Save the Children Italia.

 

Angelo Simonazzi

Grazie per l’invito a parlare in questa conferenza. Mi hanno chiesto di abbozzare il quadro dei minori separati o minori non accompagnati, come li chiamiamo qui in Italia, a livello europeo. Parlerò soprattutto dell’esperienza di Save the Children, un movimento internazionale a favore dei diritti del bambino, nato nel lontano 1919 e già da un anno presente in Italia.

Save the Children comprende almeno 30 associazioni nazionali che lavorano in più di 120 Paesi del mondo e quindi ha un’esperienza abbastanza approfondita per quello che riguarda i minori e, ultimamente, anche per quello che riguarda i minori separati. Dal 1997 esiste un programma, iniziato con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, sul problema dei minori separati in Europa, di cui parlerà oggi pomeriggio un mio collega della Save the Children danese, Sergio Kristensen.

Questo programma è nato dall’esperienza che abbiamo fatto nei Balcani dove c’era il problema dei minori separati, dei minori che sono stati inviati in altri Paesi. Si stimava che più di 10.000 bambini, durante la guerra dei Balcani, fossero stati separati dalle loro famiglie e fossero arrivati in Paesi stranieri. Per fortuna, pensiamo che la maggioranza di questi bambini siano stati riuniti con le loro famiglie, però questo ci ha fatto riflettere molto. I minori separati (preferisco parlare di separati, perchè precisa meglio il senso di quello che voglio dire) sono minori che nella maggioranza dei casi si trovano completamente soli in Paesi stranieri e, quindi, potete immaginare tutti i problemi psicologici e umani che si trovano ad affrontare. Non è una situazione nuova, già esisteva prima, però è vero che, ultimamente, questo problema ha preso delle dimensioni piuttosto rilevanti. Come diceva prima la mia collega, è difficile conoscere i dati precisi, è difficile capire questo problema e, se c’è una cosa da fare, è quella di studiare di più, per cercare di capire che cosa succede.

Parlerò soprattutto alla luce di un rapporto che la Save the Children ha pubblicato all’inizio di quest’anno e che è stato pubblicato a Bruxelles soltanto nel mese scorso, il rapporto che ha scritto una mia collega, Wendy Ayotte, sul problema dei minori separati che arrivano in Europa Occidentale. Questa è la prima ricerca (disponibile sul sito internet, ndr) che è stata fatta a livello europeo, ma soltanto dell’Europa Occidentale. Per quanto riguarda l’Europa Orientale, stiamo facendo nei Balcani un’altra ricerca che verrà pubblicata alla fine di quest’anno e ci darà un quadro più completo dell’intera Europa. Per questo motivo parlerò soprattutto della situazione dei Paesi dell’Europa Occidentale e quindi anche dell’Italia.

 

Prima di tutto: che cosa intendiamo con "minori separati"? Sono i minori al di sotto dei diciotto anni (naturalmente, accolgo l’idea che è difficile dare un limite d’età, però la Convenzione Internazionale sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza parla chiaramente di diciotto anni, quindi ci atteniamo a questo, anche se sappiamo che, culturalmente, è un problema abbastanza grande) al di fuori del proprio Paese e separati da tutti e due i genitori o dal loro tutore legale. Alcuni possono essere completamente soli, mentre altri vivono in una famiglia. I minori separati, a volte, richiedono asilo per paura di persecuzioni, o per mancanza di protezione dovuta a violazioni dei diritti umani, o a causa di guerre o conflitti nei loro Paesi di origine. Possono essere vittime di traffico di esseri umani per sfruttamento sessuale o per altri sfruttamenti. Possono anche arrivare in Europa per scappare da condizioni di forte privazione. Questi sono i casi che noi consideriamo come minori separati.

 

Quanti sono? Non abbiamo dati certi, perché anche in Paesi dove c’è una procedura abbastanza chiara del diritto d’asilo, come ad esempio in Francia o in Germania, Paesi importanti per i richiedenti asilo, i dati non si trovano. Partiamo dalle stime dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Sappiamo che più della metà dei rifugiati di tutto il mondo sono al di sotto dei diciotto anni. Nel 1999 la massa dei rifugiati è stata stimata di 21,5 milioni di persone, un po’ di più l’anno scorso. In Europa occidentale sono 2,5 milioni, quindi, anche se è difficile fare una stima, pensiamo che siano più o meno centomila i minori separati che vivono nei Paesi dell’Europa Occidentale, e forse la stessa cifra per l’Europa Orientale. Le uniche statistiche un po’ più attendibili sono quelle che riguardano i minori richiedenti asilo che è una minima parte di tutti i minori separati, pensiamo dal 10 al 20%, a seconda dei Paesi. Le cifre raccolte dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite nel 1999 parlavano di 13.000-15.000 minori non accompagnati richiedenti asilo nei Paesi Europei, però, come dicevo prima, alcuni Paesi grandi non danno dati.

 

Da dove vengono? Vengono soprattutto dall’Africa: Algeria, Angola, Marocco, Burundi, Repubblica Democratica del Congo, Eritrea, Etiopia, Guinea, Uganda, Sierra Leone, Somalia e Sudan. Poi dall’Asia: soprattutto Afghanistan, Cina, Sri-Lanka, Vietnam. In Medio Oriente: Iran, Iraq e Turchia. Chiaramente dall’Europa Orientale e dai Balcani (lo sappiamo bene in Italia): Albania, Romania, Federazione Russa, Paesi della ex-Yugoslavia.

Per quanto riguarda il sesso e l’età di questi minori, i maschi costituiscono la grande maggioranza dei minori separati che arrivano in Europa. Per quale ragione? Generalmente si pensa che, in situazioni di conflitto, i ragazzi possano correre un pericolo maggiore (per esempio, possono essere reclutati nelle forze armate, ecc.), ma non è l'unica ragione. In molte culture si da più valore ai figli maschi, soprattutto ai figli maggiori, e quindi, in situazioni di conflitto o in situazioni gravi, si tende a mandarli fuori. Inoltre, generalmente è considerato meno pericoloso per i figli maschi viaggiare soli, anche questo fa parte di un problema culturale, ma soprattutto penso che le ragazze non rientrano nelle statistiche perché non sono registrate, dato che finiscono spesso nel racket della prostituzione. Le cifre che menziona il Comitato Minori Stranieri, che parla del 70-80% di tutti i minori stranieri, non danno un quadro ben preciso della situazione. L’altra cosa che sappiamo è che di tutti questi minori, la maggioranza ha un’età tra i 16 e i 17 anni, quindi sono vicini ai 18 anni, data fatidica in cui non sono più considerati bambini, però ci sono anche dei casi diversi, ad esempio si parla di casi dai 7 anni in giù.

 

Quali sono le ragioni per cui bambini separati viaggiano, arrivano o transitano per l’Europa?

Lo studio di Save the Children è stato fatto soprattutto su 218 casi ben precisi. La ricerca ha appurato che almeno la metà di tutti i minori separati, erano arrivati da Paesi in cui c’erano guerre o scontri politici abbastanza accentuati. Il 70% di questi bambini aveva subito violenze, alcuni erano stati reclutati come bambini-soldato (le stime sono di più di 300.000 bambini soldato al mondo). Altri avevano sperimentato bombardamenti o attacchi diretti e alcuni avevano anche visto i loro genitori morire assassinati. Molte bambine avevano subito violenze sessuali. In due quinti dei casi invece erano legati a forme dirette e indirette di persecuzione secondo la Convenzione di Ginevra del 1951. Alcuni bambini erano stati perseguitati per le opinioni politiche loro o dei loro genitori. Altri erano stati perseguitati a causa della loro etnia, religione o nazionalità. Un’altra categoria importante: un terzo di tutti i casi ha comportato una separazione perché i genitori erano stati uccisi, imprigionati o addirittura scomparsi o, in alcuni casi, genitori troppo ammalati per potersi occupare dei bambini. Severe privazioni economiche sono state citate in un settimo di tutti i casi, anche se abbiamo l’impressione che sia una ragione molto più forte. Alcuni bambini hanno anche parlato del sentimento di non avere futuro, di non avere opportunità per il lavoro e per l'educazione. Alcuni vivevano in situazioni brutali, in orfanotrofi o sulla strada. Più di un ottavo dei bambini studiati era stato vittima di traffico a scopi di abuso. Sappiamo che il problema del traffico dei bambini sta diventando molto grande qui in Europa e vale la pena studiarlo un po’ di più. Abbiamo incominciato a fare alcune ricerche e so che altre organizzazioni stanno facendo la stessa cosa perché è uno degli eventi che stanno prendendo un’ampiezza preoccupante.

Vorrei parlare soprattutto di ragioni più specifiche. Ad esempio, la povertà. Diventa sempre più evidente che molti minori separati in Europa arrivano da Paesi dove la povertà o le privazioni economiche sono prevalenti. Ad esempio sappiamo che ci sono molti minori separati a Roma. Sappiamo che arrivano da una fascia della Romania vicino alla Moldavia, che è veramente molto povera. Questi bambini arrivano qui perché ci sono dei trafficanti che vanno dai loro genitori a dire che là non c’è futuro per i loro bambini, che loro possono dare questo futuro, che li faranno lavorare in Italia, ecc. Possiamo parlare di frode, perché si fa credere ai genitori che i bambini staranno molto meglio altrove, però chiaramente si usa la povertà come fattore molto importante. Questo, diciamo, è normale in un Paese, in cui la povertà (e quindi il gap tra ricchi e poveri) sta diventando sempre più grande.

Anche la questione dell’educazione è una cosa molto importante. Il diritto all’educazione, non dimentichiamolo, è negato a molti gruppi etnici, come ad esempio i Kurdi in Turchia o i Rom in Romania. Quindi la ragione della mancanza dell’opportunità dell’educazione è molto importante, e lo abbiamo sentito dai bambini che abbiamo intervistato.

Parlavo prima del traffico. Dato che c’è stata una esplosione dell’economia globale c’è stata anche una crescita della malavita organizzata, e, di conseguenza, una crescita del traffico di minori per scopo di sfruttamento. Non so se è vero, ma qualcuno l'altro giorno mi diceva che il traffico di umani sta diventando uno dei traffici più importanti, insieme al traffico della droga e a quello delle armi, e può facilmente anche superarli ad un certo punto sotto il profilo economico. Sappiamo benissimo che se un Kurdo vuole andare in Germania, spende quattro volte di più che per venire in Italia: quindi c’è tutto un traffico, un’economia, dietro questo fenomeno. Non c’è neanche una chiara definizione internazionale del traffico, si dovrebbe fare di più su questo. Ultimamente, le Nazioni Unite hanno proposto questa definizione: il traffico dei minori consiste in tutte quelle attività di reclutamento e trasporto di minori al di là delle frontiere, tramite inganno, coercizione, frode, debiti di schiavitù, con lo scopo di mettere i minori in situazioni di abuso e sfruttamento, come ad esempio prostituzione forzata, pratiche schiavistiche e crudeltà estrema. Gli effetti del traffico sui bambini sono terrificanti e possiamo immaginarlo. Non ci sono state fino ad ora delle ricerche approfondite su questo tema, anche se, come dicevo prima, ci sono degli sforzi in questo settore. Un recente rapporto dell’Organizzazione Mondiale sull’Immigrazione ha stimato tra i 200 e 500 mila le donne e ragazze coinvolte nell’industria sessuale, soprattutto in Austria, Germania, Italia e Paesi Bassi. E’ impossibile stimare con esattezza il numero di bambini che vengono trafficati. Le informazioni vengono spesso da ONG, da associazioni che lavorano alla base in contatto diretto con questi bambini. Il nostro rapporto, il rapporto di Save the Children di cui parlavo prima, parla soprattutto di Paesi in cui il traffico di minori avviene più frequentemente, cioè la Nigeria, la Cina, la Russia e i Paesi dell’Europa Orientale.

Che cosa si sta facendo, per i minori separati, a livello europeo? C’è una diversità enorme, ogni Paese ha una sua legislazione, ci sono pratiche molto diverse. Vanno dalla pura espulsione a delle normative (come quelle italiane), che escludono l’espulsione dei minori, ma allo stesso tempo non li spingono a chiedere asilo. Ricordo ancora una volta che l’Italia è un Paese che non ha una politica di asilo coordinata e adeguata, perché la legge non è passata, in Parlamento non sono riusciti a ratificare una legge che era già stata ratificata dal Senato due anni fa.

La Commissione Europea si sta movendo. C’è il nuovo direttore di Giustizia e Affari Interni, il commissario Vitorino e si stanno attivando per pubblicare alcune direttive comunitarie che noi appoggiamo perché le riteniamo piuttosto importanti. Ci sono già due bozze di direttive, una molto importante sull'accoglienza, per unificare e armonizzare le procedure di accoglienza dei minori separati, e chiaramente non solo dei minori, ma anche degli adulti. Poi c’è un’altra procedura sul diritto d’asilo. Queste direttive stanno seguendo il loro iter burocratico. Noi di Save the Children siamo riusciti, per esempio, a mettere nelle direttive di accoglienza alcune norme, per esempio che i minori non accompagnati dovrebbero avere diritto ad un alloggio immediato, ad un tutore che rispetti i loro diritti, ascolti le loro storie, provvedere alla protezione e a servizi adeguati.

Ricordo anche che c’è, dal punto di vista istituzionale, una Convenzione dell’Aja per la protezione dei minori, che è stata scritta nel 1996, ma sfortunatamente è stata ratificata soltanto da due Paesi, e quindi non è in vigore. Si chiama la Convenzione sulla giurisdizione, legge applicabile, applicazione e cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e misure per la tutela dei minori, che pregherei anche il governo italiano di ratificare (in generale, il governo italiano è abbastanza disponibile a fare queste ratifiche internazionali).

A livello di ONG, di associazioni in generale, c’è questo programma dei minori separati in Europa, questa pubblicazione "Indicazioni per una corretta prassi nei confronti dei minori separati in Europa". Molto è già stato fatto, il problema è che non viene messo in pratica, la prassi non esiste.

Vorrei terminare parlando, ed è una cosa che a Save the Children sta molto a cuore, del ricongiungimento familiare. E' vero che ci sono dei problemi, naturalmente non possiamo avere sempre l’idea della famiglia come il luogo più importante per il bambino o nel migliore interesse del bambino, perché sappiamo chiaramente che, alle volte, sono proprio i genitori che sfruttano i bambini, i loro propri figli, che li mandano all’estero, ecc. Nello stesso tempo, però, nella prassi non esiste qualcuno che faccia un’analisi della situazione nei Paesi di origine e un’inchiesta veloce per capire che cos’è successo a questi bambini. Quindi la posizione di Save the Children è che bisogna riuscire a fare delle inchieste, a mettere in piedi delle procedure perché questi bambini, se tutti gli elementi ci sono, se è nel volere del bambino, se è nel volere della famiglia, vengano ricongiunti alle loro famiglie. Però occorre farlo abbastanza tempestivamente, senza perdere tempo. Noi siamo disponibili a discutere di queste cose, però, per noi, è importante normalizzare la vita dei bambini, metterli in situazioni normali, dove ci siano dei servizi che funzionano e, se possibile, una famiglia che funziona. Grazie.

 

Moderatore (Davide Petrini)

Grazie per questa utilissima relazione, mi permetto di dire grazie anche per tutto quello che Save the Children fa. Credo che sia veramente consolante per chi lavora su questi temi in Italia riuscire ad avere questo tipo di confronto e di aiuto. Credo di poter dire che certamente da una relazione come questa, dal quadro che disegna sulle cause, sui meccanismi, sulle soluzioni, sui bisogni vengano delle indicazioni di grandissima difficoltà, di grandissima precauzione sul problema dei rimpatri. Credo che l’unica cosa che si possa dire è che al di là delle scelte che si possono fare, al di là della prevalenza che si voglia dare all’una o all’altra delle soluzioni, rispetto alle quali poi inevitabilmente anche la politica deve prendersi delle responsabilità, certamente occorre una preparazione enorme. Preparazione che, in questo momento, credo non ci sia. Si era pensato a un intervento del Servizio Sociale Internazionale per poter chiarire anche quest’ultimo punto fondamentale, l’inchiesta veloce. Purtroppo non ce l’abbiamo e quindi è un altro di quegli aspetti che dovremmo provare a recuperare nel pomeriggio negli altri incontri. Grazie ancora davvero.

La parola a Lorenzo Trucco, presidente dell’ASGI (Associazione di per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione, ndr)

 

Lorenzo Trucco

Ringrazio innanzitutto per l’invito, cercherò di dare un contributo suddividendolo con l’avvocato Gili che parlerà oggi pomeriggio, cercando di non ripetere. Ringrazio anche tutti coloro che sono intervenuti, mi sembra che una presenza così numerosa sia significativa.

Cercherò di dare alcune indicazioni di carattere generale, che verranno completate dalle persone che mi seguiranno, in particolare dal collega Gili, anche lui membro dell’ASGI. Mi hanno colpito moltissimo gli interventi che mi hanno preceduto, perché hanno messo in rilievo la ricchezza e la complessità estrema della materia che stiamo trattando, di fronte alle quali le risposte di tipo normativo che abbiamo dato fino ad ora non sono adeguate.

Voi sapete che l’Italia si è dotata di uno strumento normativo molto recente, il Testo Unico 286 del ’98, in cui la parte relativa ai minori ha un ruolo centrale, un ruolo molto importante, per il fatto che, con questa normativa, si sono recepite alcune indicazioni date dalle Convenzioni già citate varie volte, la vecchia Convenzione dell’Aja del 5 ottobre ’61, la Convenzione per i Diritti del fanciullo di New York del 20 novembre dell’89 e la Risoluzione del Consiglio d’Europa del 26 giugno del 1997. Dov'è la centralità, nel nostro ordinamento? E' innanzitutto nel fatto che le norme che riguardano i minori si trovano nel titolo quarto, che, non a caso, a differenza di altri titoli della legge, comincia esplicitamente con il termine giuridico "diritto": "diritto all’unità familiare e tutela dei minori". Sostanzialmente, le norme che riguardano la posizione del minore sono collegate a questo titolo, e sono in particolare negli articoli 30, 31 e 32 (tra l’altro l’articolo 31, come ulteriore disposizione, parla esplicitamente di "disposizioni a favore dei minori").

Ma queste disposizioni sono, a mio avviso, basate su un elemento centrale, che è essenziale per capire lo scopo e la ratio della norma: cioè il principio di inespellibilità del minore. Questo principio, che voi trovate all’articolo 19, sostanzialmente deriva dal fatto che, con l’introduzione del Testo Unico, si era valutata la necessità di stabilire alcune categorie protette di persone, persone cioè che fossero particolarmente tutelate; appunto all’articolo 19, primo comma, si dice “non è consentita l’espulsione, salvo nei casi previsti dall'articolo 13, comma 1, nei confronti degli stranieri minori di anni diciotto, salvo il diritto a seguire il genitore o l’affidatario espulsi”. Quindi viene stabilito un principio generale molto forte, perché viene stabilito il principio di inespellibilità con la sola eccezione dell’espulsione che viene comminata quando ricorrono problemi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, quindi un’ipotesi assolutamente residuale. Tra l’altro, collegata con questa affermazione di principio, c’è l’altra affermazione che qualora comunque possa essere emesso questo provvedimento di espulsione, in ogni caso (articolo 31, quarto comma) il provvedimento è adottato su richiesta del Questore e viene emanato dal Tribunale per Minorenni. Quindi ci sono alcune affermazioni di principio molto forti che, devo dire, avevano fatto ritenere a tutti gli operatori che si sono sempre battuti per la tutela dei diritti degli stranieri, e dei minori in particolare, che si potesse entrare in una nuova fase, che venisse cioè data una normativa stabile. Da questo punto di vista, Torino era stata veramente all’avanguardia perché aveva organizzato anche una serie di incontri con la Questura e con le varie autorità per cercare di risolvere questo problema. Problema che si è andato poi evolvendo e complicando, secondo quelli che sono i cambiamenti sociali, giustamente posti in rilievo da Adriana Luciano. Questo è il dato centrale su cui si può, e si deve, esaminare tutta la normativa sui minori. Purtroppo, quello che si sta verificando, forse a causa della complessità di tutto il fenomeno, è una serie di erosioni di questo principio-base.

Erosioni, perché? Intanto perchè nel Testo Unico non si dice (si fa riferimento al regolamento successivo, ma non si dice) che cosa succede delle persone che sono inespellibili. Bisognerà attendere il Regolamento di attuazione, articolo 28, comma 1, che parla, nello specifico, di permesso per minore età (non voglio addentrarmi, perché sarà compito di chi mi seguirà, nella complessa applicazione di questi principi alla  realtà). Perché questo avviene? Perché le norme contenute nel Testo Unico negli articoli che vi ho ricordato, laddove si parla (articolo 31) di disposizioni a favore del minori, riguardano una serie di posizioni, che sostanzialmente comprendono persone che sono già regolari sul territorio dello Stato, o di minori collegati a persone che sono regolari sul territorio dello Stato. Quindi c’è una mancanza di coordinamento rispetto a quel principio generale di base che dicevo, e rispetto alla normativa specifica emanata dal regolamento, che parla di permesso per minore età ma non specifica esattamente la tipologia di questo permesso. Il tutto complicato da un’ulteriore dizione dell’articolo 32 del Testo Unico, che è un’affermazione di carattere generale e che riguarda il passaggio delicatissimo dalla minore alla maggiore età, e quindi che cosa succede, al di là di questo ipotetico muro formale che viene posto, alle persone che hanno iniziato un percorso. Ripeto, non mi addentrerò in tutta la variegata possibilità di posizioni che riguardano i minori sottoposti a tutela, sottoposti ad affidamento, a coloro che possono anche essere considerati in una situazione di affidamento di fatto. Quello che è importante rilevare, a mio avviso, da un punto di vista generale, è che l’articolo 32 dice che al compimento della maggiore età, allo straniero a cui sono state applicate una serie di disposizioni, che sono quelle degli articoli precedenti, può essere rilasciato un permesso di soggiorno per motivi di studio, di lavoro subordinato o autonomo, quindi, sostanzialmente, gli viene data la possibilità di continuare il percorso. Sicuramente ci sono delle difficoltà di interpretazione, che saranno poi esaminate successivamente.

Quello che veramente ha determinato lo sconcerto in tutti gli operatori è che ahimè, come purtroppo succede nell’ordinamento italiano, a fronte di alcuni principi base, di una situazione indubbiamente complessa, arriva una circolare che, come si sa, finisce col valere più della Costituzione, perché questa circolare dà delle linee nettissime. Questa circolare del novembre 2000 pone dei principi assolutamente rigidi perciò, sostanzialmente, al permesso per minore età, che viene comunque collegato soltanto ad alcune categorie di minori, non viene assolutamente ricollegata la possibilità di lavoro e viene assolutamente esclusa una sua possibilità di conversione nel permesso previsto nell’articolo 32, cui avevo fatto riferimento prima, permesso che dovrebbe essere la cerniera e la possibilità di proseguire il percorso iniziato.

Questo è tanto più sconcertante se noi guardiamo i princìpi-guida (perché credo che, nelle difficoltà di interpretazione, si debba fare riferimento a quelli) che ci sono anche in altri punti del Testo Unico, e che sono princìpi-guida di eccezionalità, tanto è vero che, nell’articolo 31, comma terzo, si prevede la possibilità per il Tribunale dei Minori, per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico, e tenendo conto dell’età e delle condizioni di salute del minore che si trova sul territorio italiano, di autorizzare l’ingresso e la permanenza del familiare anche in condizioni di irregolarità. Quindi è un’ulteriore affermazione che si pone come principio forte e di eccezionalità, principio che sta venendo applicato da vari Tribunali dei Minori sparsi sul territorio italiano, con interpretazioni che oscillano a seconda dell'approccio che i giudici hanno su questo tipo di problematica, però, in realtà, vista la dizione estremamente lata della norma "condizioni che riguardano il benessere psicofisico", ha dato luogo a una serie di applicazioni.

Un altro principio forte di eccezionalità si trova nell’articolo 18 del Testo Unico, che riguarda il permesso per protezione sociale per le persone che intendono sottrarsi ai condizionamenti, allo sfruttamento, quel fenomeno gravissimo di cui ci ha parlato l’amico di Save the Children. Anche questo è un principio assolutamente eccezionale e unico, perché si dice che questo permesso può essere concesso “all’atto delle dimissioni dall’Istituto di pena allo straniero che ha terminato l’espiazione della pena detentiva inflitta per reati commessi durante la minore età e ha dato prova concreta di partecipazione ad un programma di assistenza e di integrazione sociale". Quindi è anche qui una norma di cerniera, che consente quel superamento del muro che esiste attualmente rispetto alle persone adulte che hanno commesso dei reati, ma che hanno iniziato un percorso, in certi casi eccezionale, per ritornare sulla strada del recupero, e che però non possono regolarizzarsi. A quanto mi risulta, questa norma non è stata ancora applicata nei confronti del minore, è una norma che esula dal discorso normale, tradizionale dell’articolo 18, per sottrarsi ai condizionamenti della tratta e dell’organizzazione. Riguarda proprio lo sviluppo del minore e il percorso che ha tenuto, la prova concreta di partecipazione ad un programma di assistenza e di integrazione sociale. Questi sono i princìpi generali, e per questo parlavo di sconcerto nei confronti di quella circolare, sconcerto che mi pare di cogliere anche nella lettera che ha mandato il Ministro Turco, nella quale si dice che la situazione dovrebbe essere superata.

A fronte di questa situazione globale si pone il problema, altrettanto grave, relativo ai compiti che sono stati dati al Comitato per i minori stranieri. Nella formulazione iniziale del Testo Unico, questo Comitato venne istituito con una funzione di controllo e di vigilanza su tutte le tematiche attinenti ai minori. Ma, con l’introduzione del decreto dell’aprile 1999, vengono inserite due nuove affermazioni che sono molto importanti: da un lato, la categoria dei minori stranieri non accompagnati, categoria che non era prevista prima (teniamo presente il concetto di inespellibilità), e dall’altro, l’attribuzione di una competenza specifica al Comitato per i minori stranieri, che è la competenza di provvedere al rimpatrio. Con il decreto del dicembre 1999 è stato poi emanato il Regolamento concernente i compiti del Comitato. In questo Regolamento si dà la dizione generale di quello che si intende con minore straniero non accompagnato, e cioè il minorenne privo di cittadinanza italiana (o di altri Stati dell’Unione Europea) che, non avendo presentato domanda di asilo, si trova, per qualsiasi causa, sul territorio dello Stato, privo di assistenza e rappresentanza dei genitori o di altri adulti per lui legalmente responsabili, in base alle leggi attualmente vigenti nell’ordinamento italiano. Sono stati subito avanzati dei dubbi di costituzionalità a queste funzioni del Comitato, perché sono delle funzioni che, rispetto al concetto di rimpatrio assistito, non erano state previste nella norma di base, e difatti non ne abbiamo trovato traccia; inoltre c'è il problema legato al fatto che si tratta di un organismo amministrativo.

Il rimpatrio assistito avviene in un modo che lascia veramente sconcertati, prima di tutto perché non vengono specificate esattamente le modalità del rimpatrio. Inoltre, non è prevista alcuna forma di reale partecipazione del minore a questo intervento, a questa azione del Comitato, perché è prevista solo la necessità che il minore sia "sentito", il termine che viene usato è questo. Quindi non c’è una previsione di contraddittorio, non c’è la possibilità di costituirsi nella propria parte processuale, con un difensore, per contestare le informazioni che vengono acquisite.

Inoltre il Comitato per i minori stranieri è un organismo a livello centrale, che ha quindi una funzione assolutamente centralizzata, e per di più esclude, a mio avviso, e ad avviso di altri ben più autorevoli di me, tutta una serie di competenze del Tribunale per i minorenni; infatti il Tribunale dei Minorenni è chiamato in causa solamente quando è sussistente un provvedimento giurisdizionale coinvolgente il minore: in questo caso, il Comitato deve chiedere al Tribunale il nulla osta, che però non può essere negato se non sussistono "inderogabili esigenze processuali". Queste "inderogabili esigenze processuali", essendo i provvedimenti esistenti i più vari, anche di tipo assolutamente civilistico, mi sembra siano un elemento privo di reale consistenza.

Per di più, la verifica della sussistenza in patria delle condizioni che possano veramente determinare un rimpatrio assistito sono anche qui molto vaghe, la legge parla di una ricerca dei familiari o comunque della possibilità di riaffidare (si usa il termine riaffidare come se ci fosse stato un precedente affidamento) il minore alle autorità politiche e diplomatiche del Paese in cui si trova. Quindi, si tratta di un procedimento che non ha nessuna possibilità di controllo, che non ha nessuna garanzia interna, non ha nessuna presenza di difensori o di altre forme di partecipazione che possano controllare questo iter.

Ho visto, per la prima volta, queste linee-guida che sono state date dal Comitato per i minori stranieri. La persona che le ha scritte, il professore Vercellone, da questo punto di vista è una garanzia, ma mi pare che non possa andare al di là di alcune informazioni molto generiche, proprio perché la norma è totalmente mancante. Infatti si fa riferimento all’articolo 3 della Convenzione di New York, in cui si dice che, in tutte le decisioni relative ai fanciulli, la considerazione preminente deve essere l'interesse del fanciullo; inoltre si dice che la valutazione dell’interesse del minore non può essere fatta in modo preventivo e generale, che è uno dei rischi che si possono correre; che il rimpatrio non deve essere in nessun caso automatico; inoltre dispone anche l’audizione del minore, ma non c'è alcuna possibilità di controllo su questo percorso giurisdizionale e sull' attività del Comitato stesso, e quindi anche le possibilità di impugnazione, che a mio avviso possono essere solo tramite il TAR.

Da tutto questo nasce il timore che, nonostante si dica che l’espulsione non c’è più, in realtà il rimpatrio assistito possa servire per cercare di equilibrare i flussi, e quindi non è più nell’interesse del minore, ma è un problema generale di controllo del fenomeno dell’immigrazione, in cui il principio generale dell’interesse del fanciullo viene ad essere scavalcato, generando quel concetto di dissonanza cognitiva che è stato così ben espresso da Adriana Luciano.

Grazie.

 

Moderatore (Davide Petrini)

Grazie a Lorenzo Trucco per aver dato quest’idea che ad una straordinaria complessità dal punto di vista fattuale corrisponde una straordinaria complessità, e anche difficoltà, di arrivare a soluzioni chiare, anche sotto il profilo interpretativo, dal punto di vista normativo. Credo che anche qui sia molto importante il riferimento ai principi forti di eccezionalità, che sono davvero tanti nella Legge anche se poi, probabilmente, non trovano la possibilità di essere concretamente attuati.

Abbiamo una straordinaria ricchezza di presenze, perché sono presenti avvocati, magistrati e un esponente, Salvatore Longo, delegato ufficiale del capo della polizia, che possono certamente darci un quadro completo. Passo la parola a Salvatore Longo.

 

Salvatore Longo[4]

Porto innanzitutto il saluto del capo della Polizia e del Prefetto Pansa.

Il problema del minore non accompagnato, e soprattutto della conversione del permesso di soggiorno al compimento del diciottesimo anno di età, è un problema che abbiamo ben presente, che abbiamo fatto presente al Dipartimento, soprattutto su sollecitazione di tutti coloro che si occupano della materia. Il fatto di seguire un minore, di fargli fare un determinato percorso e poi di non dargli la possibilità, al compimento del diciottesimo anno, di un permesso di soggiorno che gli permetta di lavorare è un problema che è sicuramente presente. Per questo motivo, il Servizio Immigrazione ha cercato, nell'ambito della propria competenza, di dare risposte diverse da quelle che erano state inizialmente fornite, ma sempre nel rispetto della norma. Una norma la cui ratio prevede per i minori il ricongiungimento con i propri familiari o il riaffidamento alle autorità responsabili del Paese di origine e, quindi, non sembra offrire degli spunti interpretativi che consentano di ipotizzare una conversione in permesso di soggiorno per motivi di lavoro o comunque per una ulteriore permanenza in Italia. Praticamente, che cosa succede?

Al compimento del diciottesimo anno d’età, nei confronti del minore si decide se dare un permesso di soggiorno che consenta un’ulteriore permanenza oppure no. Su quale base viene data questa valutazione?
Sul fatto che il minore sia in possesso, in quel momento, del permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare oppure per minore età. In quest’ultimo caso il permesso di soggiorno non viene convertito. Ricordiamoci, però, che il permesso di soggiorno che è stato dato in questo caso specifico a suo tempo, ha come fine quello di tutelare il minore fino a quando è minore. Il permesso di soggiorno di tipo diverso è quello che effettivamente è previsto dall’articolo 31 del Testo Unico, che è possibile riconvertire in permesso di soggiorno di lunga durata. Quali sono le tipologie che ci troviamo ad affrontare?

Innanzitutto abbiamo il minore con un genitore regolarmente soggiornante. In questo caso il minore, previa esibizione del documento di riconoscimento, del certificato di nascita, di tutta la documentazione proveniente dal Paese di origine, ottiene il permesso di soggiorno autonomo per motivi familiari, salvo poi l’iscrizione, se infraquattordicenne, nel permesso di soggiorno del genitore. In questo caso al compimento del diciottesimo anno d'età abbiamo la conversione del permesso di soggiorno in tipologie diverse.

Minore affidato con provvedimento del Tribunale per i minorenni. In questo caso il minore ottiene un permesso di soggiorno per affidamento o, se infraquattordicenne, viene iscritto sul permesso di soggiorno dell’affidatario, se questo è un cittadino straniero. Tale autorizzazione è anch’essa convertibile al compimento del diciottesimo anno d'età in permesso di soggiorno per lavoro subordinato, autonomo e tutte le altre tipologie.

Minore con parente entro il quarto grado. Questo è il caso in cui si creano maggiori problemi. In questo caso il minore ottiene un permesso di soggiorno per minore età ai sensi dell’articolo 28 del regolamento. Questa ipotesi non rientra nella previsione dell’articolo 31 del Testo Unico. Infatti, il Tribunale dei Minorenni di Torino non ritiene che esistano i presupposti per un normale affidamento, bensì ritiene che si tratti di un affidamento di genitori a parenti entro il quarto grado, ai sensi della Legge 184 dell’83, che non necessita alcuna segnalazione all’autorità giudiziaria. Quindi in questi casi diamo un permesso di soggiorno per minore età.

L’altra ipotesi in cui si dà un permesso di soggiorno per minore età, sempre volendo schematizzare, è il caso in cui il minore è destinatario di un provvedimento di tutela da parte dell’autorità giudiziaria civile. Ed ancora, nel caso in cui il minore è provvisoriamente affidato alla pubblica assistenza, in attesa della nomina del tutore. Anche in questi casi viene dato un permesso di soggiorno per minore età.

Infine, al raggiungimento del diciottesimo anno d'età naturalmente emergono queste differenze. Chi ha ottenuto un permesso di soggiorno per minore età sostanzialmente viene espulso. Anzi, non viene espulso: non ottiene il permesso di soggiorno. Sono due cose diverse e non è da poco la differenza, perché, se venisse espulso, vi sarebbe tra l’altro l’impossibilità di rientrare in Italia per almeno 5 anni. Se invece, al rifiuto del permesso di soggiorno, rientra nel Paese di origine potrà usufruire delle quote messe a disposizione dei Paesi extracomunitari per lavoro subordinato.

D’altra parte, mi sembra che la ratio della legge, al di là degli schematismi che ho proposto, sia quella di tutelare innanzitutto il ricongiungimento familiare e di tutelare il minore fin quando è minore. Una ulteriore apertura a 360° di questo fenomeno, con una concessione a tappeto del permesso di soggiorno, potrebbe costituire un aggiramento della normativa sull’immigrazione clandestina. Perché noi vediamo, e sono dati del Comitato per i minori, che coloro che entrano in Italia e usufruiscono del permesso per minore età, sono in una fascia di età immediatamente precedente al compimento del diciottesimo anno, cioè sono quasi tutti nella fascia 16-18 anni.

Concludo con una piccola annotazione per l’avvocato Trucco: Lei parlava delle eccezionalità del Testo Unico e mi sembrava che volesse fare rientrare tra le eccezionalità anche la possibilità, per il minore titolare del permesso di soggiorno per minore età, di avere la conversione del permesso di soggiorno. Però mi sembra che le eccezionalità presenti nel Testo Unico siano di tipo diverso e soprattutto siano tutte quante previste, esplicitamente indicate. Il permesso di soggiorno consente il lavoro a chi esce da una situazione di tratta, l’articolo 18 è esplicitamente previsto. Già il fatto che, a seguito del permesso di soggiorno per motivi familiari, al compimento del diciottesimo anno d'età si può dare il permesso di soggiorno per tipologie diverse, quindi una permanenza ulteriore in Italia, come si può notare dalla dizione letterale, non è proprio automatico. La stessa Legge dice "può essere". Chiaramente, capisco che è un potere discrezionale vincolato, però, sicuramente, in quel caso la Pubblica Amministrazione fa una valutazione anche per una ulteriore permanenza. Grazie.

 

Moderatore (Davide Petrini)

Ringraziamo Salvatore Longo.

Saluto l’assessore Eleonora Artesio che è venuta ad ascoltarci e ribadisco, come ho detto prima, l’invito, se volesse intervenire saremo in qualsiasi momento a disposizione. Darei la parola a Giulia De Marco, presidente dell’Associazione Italiana Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia.

 

Giulia De Marco

Parlerò come Presidente del Tribunale per i Minorenni e non come Presidente dell’Associazione, perché l’incarico è annuale e il mio incarico è scaduto a novembre del 2000: lo sono stata quindi nel 2000 ma non lo sono più oggi.

Una premessa. Non sono affatto d’accordo sul fatto che la legge 40/98 non sia buona, non sono affatto d’accordo sul fatto che non tuteli i minorenni. Cercherò di farmi capire.

Vorrei soprattutto ricordarvi cosa c’era prima della legge 40/98, perché dobbiamo vedere storicamente, cronologicamente i passi che un Paese come l’Italia, che si è trovata di fronte al fenomeno dell’immigrazione tutto in un colpo, ha fatto e in quanto tempo li ha fatti. Se continuiamo a piangerci sempre addosso e ad attaccare sempre le leggi che abbiamo, non andiamo avanti. Attacchiamo i governanti senza proporre delle soluzioni che si possono proporre trovando le argomentazioni nella Legge. Vi ricordate che cosa c’era prima della legge 40/98? Sfido qualcuno di voi a dirmelo. Non c’era una Legge che si occupasse dei minorenni stranieri, salvo una legge che prevedeva che a 16 anni il minorenne clandestino poteva essere espulso. Queste erano le norme prima della legge 40/98.

A Torino c’era l’Intesa. Ma era Torino, ed era l’Intesa nata da un accordo venuto fuori dalle spinte delle associazioni, dalla disponibilità del comune di Torino e anche queste cose ricordiamocele. Il volontariato, la Questura, il dottor Longo e prima di lui il dottor Baglivo, la Procura, il Tribunale per i Minorenni, il Giudice Tutelare Daniela Giannone. Ci siamo messi intorno ad un tavolo, anzi io allora non c’ero e non voglio darmi dei meriti che non ho, c’erano il dottor Bouchard e Palmisano, si sono messi intorno ad un tavolo e hanno detto: questi ragazzi che sono invisibili per il legislatore in realtà ci sono, li incontriamo tutti i giorni, vogliamo vedere che cosa possiamo fare? E sulla base delle norme che avevamo, del Codice Civile, della Convenzione Internazionale di New York, di una sensibilità notevole di tutte le Istituzioni e di tutte le rappresentanze istituzionali torinesi, si è fatta la prima Intesa. Nell’82 il Comune di Torino ha creato l’Ufficio Stranieri e Nomadi, che molte grandi città non hanno ancora, e nel '92 è stato creato l’Ufficio Minori Stranieri. Si è deciso, per rendere visibili questi bambini e permettere che venissero aiutati, di consentire che i Servizi Sociali potessero aiutarli nel rispetto della Convenzione Internazionale di New York, che il Tribunale dei Minorenni, su iniziativa della Procura della Repubblica, avrebbe disposto l’intervento del Servizio Sociale a favore del minorenne. E quando si trattava di quattordicenni e quindicenni si è detto: inseriamo nel provvedimento che il Servizio Sociale predisponga anche un progetto di professionalizzazione e di attività lavorativa. Siamo andati avanti per anni in questo modo. Il numero dei minori cresceva, la cultura verso il minore straniero aumentava, ed è sorto, grazie alla disponibilità di Daniela Giannone, il progetto delle tutele e, più tardi, il progetto delle tutele civili. Non sono vent’anni fa, sono cose di quattro o cinque anni fa. Daniela Giannone ha aperto centinaia e centinaia di tutele civili e il Tribunale per i Minorenni ha fatto centinaia e centinaia di provvedimenti applicando le leggi che avevamo e le intese. Il fenomeno di Torino, l’esperienza di Torino ha incominciato ad andare avanti nelle altre città, prima siamo stati copiati dalle varie istituzioni e poi è arrivata la legge 40/98. A questo punto abbiamo detto: l’Intesa non ci serve più perché abbiamo la legge e la legge è più forte dell’Intesa.

E la legge che cosa prevede? Che il minore straniero, regolare o irregolare, è un soggetto di diritti. Quindi siamo passati dall’invisibilità all’affermazione (che deriva dalle affermazioni contenute nella Convenzione Internazionale di New York) che il minore è soggetto di diritti, ma è minore, e proprio perché minore gode di determinati diritti ma ha anche dei doveri, che devono essere garantiti, come nella legge italiana, nella Costituzione italiana, questi doveri devono essere garantiti dall’autorità, se questo dovere, diciamo così, non lo rispetta volontariamente, e cioè il dovere di vivere con la propria famiglia fino ai diciotto anni. E’ questa la ratio della legge, ma che che è anche nel programma Save the Children. Ed è anche nella norma, il 25/bis, a tutela delle giovani prostitute. Tanto è che è previsto che il Giudice debba subito prendere contatti con l’autorità del Paese straniero. Perché è giusto, come principio, che il minorenne viva nella propria famiglia. Non c’è un rimpatrio generalizzato, professoressa Luciano. Non c’è in Italia, non c’è nelle linee guida del Comitato per i Minori Stranieri, non è applicato. L’unico rimpatrio generalizzato, lo dico pubblicamente, l’ho già detto altre volte e l’ho anche scritto alle autorità, è stato quello dei 22 minori albanesi che sono arrivati in una notte, hanno occupato Collegno e sono stati rimpatriati nel giro di 48 ore. Quello è l’unico rimpatrio generalizzato. Altrimenti i rimpatri vengono fatti caso per caso, studiando tutte le varie situazioni. E se non arrivano le informazioni dal Servizio Sociale Internazionale non viene rimpatriato nessuno. Non mi risulta che il Comitato per i Minori rimpatrii. Ma non rimpatriano neanche i giudici minorili. Questo spettro del rimpatrio generalizzato non esiste e va eliminato anche dalla mente dei ragazzini, perché altrimenti sorgono equivoci e non mi piace che sorgano equivoci come interprete di una legge, perché sarei in prima persona chiamata a rispondere di una cattiva interpretazione di una legge.

Allora, che cosa riconosce questa legge? Il diritto alla salute, e non più come si faceva prima facendo passare per interventi d’urgenza quelli che interventi d’urgenza non erano. Oggi è garantito il diritto alla salute.

Il diritto all’istruzione obbligatoria, che diventerà fino a 16 anni come per i nostri figli.

Il diritto a soggiornare in Italia con il permesso di soggiorno per minore età.

Poi, come ho detto prima, siccome c’è il riconoscimento del minorenne come soggetto di diritti, io posso applicare anche la Convenzione Internazionale di New York e quindi il diritto a condizioni di vita sufficiente, articolo 27 della Convenzione.

Che cosa fa un giudice quando si trova di fronte ad un minore straniero non accompagnato o separato? Distingue, come ha detto giustamente il dottor Longo, tra minorenne con famiglia allargata o minorenne assolutamente solo. Tra i minori assolutamente soli distingue ancora tra la minorenne prostituta (finora non abbiamo il minorenne, ma forse l’avremo) e il minorenne con problemi a carattere penale.

 

Primo caso: minore con famiglia allargata.

E’ solo, non accompagnato o separato, perché la nostra legge non riconosce una rappresentanza legale automatica a persone diverse dai genitori, ma di fatto non è solo. Che cosa fa il giudice minorile con l’aiuto dei Servizi Sociali? Accerta con chi vive, accerta come vive, accerta come è trattato da queste persone e accerta se le persone con cui vive e che lo ospitano hanno un lavoro e una casa. Quindi, se sono in grado di educarlo, di istruirlo e mantenerlo così come la legge obbliga a fare i genitori. Poi decidiamo, nel rispetto della Legge 184/83. Se il bambino vive con parenti entro il quarto grado, non c’è bisogno di fare un affidamento formale. Ricordo benissimo le polemiche su questo fatto, ma io vi dico che non posso aggirare una legge per violarne un’altra. E perché ve lo dico? Perché io posso disporre un affidamento familiare con un provvedimento del giudice quando limito la potestà dei genitori, perché i genitori tengono condotte pregiudizievoli al minore: allora deve esserci una situazione di pregiudizio per il minore, non perché muoiono di fame lì. La condotta pregiudizievole non è legata a una situazione di povertà, è legata a maltrattamenti, ad abusi, a carenze. Io di quella famiglia non so nulla, so solo che loro si sono recati davanti ad un notaio ed hanno dichiarato che volevano che il loro ragazzino vivesse con il fratello, con la sorella, con il cugino, con la zia, parenti entro il quarto grado. Per la legge italiana è legittimo esercizio della potestà genitoriale far vivere il proprio figlio con i parenti entro il quarto grado. Quindi il giudice si accerta che viva bene, si accerta che abbiano le condizioni per mantenerlo e poi dice che non può fare un provvedimento limitativo della potestà dei genitori, perché non ricorrono i presupposti di legge.

 

Secondo caso: minore assolutamente solo.

Il fatto di non avere nessuno è di per sé una situazione di pregiudizio. Chi vive da solo ed è minorenne è in una situazione oggettiva di pregiudizio. E quindi noi interveniamo subito. Interveniamo facendo un provvedimento in cui lo collochiamo in una comunità e, se non è prossimo al compimento del diciottesimo anno d'età, lo segnaliamo al Giudice Tutelare perché gli nomini un tutore. Perché a quel punto, se il bambino ha 9, 10, 11, 12, 15 anni ha senso che abbia un tutore, ma non a 17 anni e un giorno, per cui il giudice tutelare non fa neanche in tempo a capire. Ma anche per un’altra ragione. In base alla legge 184, i poteri tutori nei confronti di un minore collocato in comunità spettano per legge al responsabile della comunità. Quindi nel momento stesso in cui l’assistente sociale lo porta in una comunità, lui ha un tutore, ha qualcuno che esercita i poteri di tutore. Sono i responsabili della comunità, finché non intervenga un’altra disposizione del Giudice Tutelare, che non è sempre necessaria se il bambino è collocato in comunità.

Ben vengano, come raccomanda Save the Children, le famiglie affidatarie per questi bambini. C’è una raccomandazione che, al di sotto dei 15-16 anni, dovrebbero vivere in famiglia. L’opinione pubblica, il volontariato, la città, sensibilizzino le famiglie straniere a prendersi i bambini in affidamento, sensibilizzino le famiglie italiane a prendersi i bambini in affidamento familiare. Ma non è compito del Tribunale per i Minorenni. Abbiamo ritenuto in buona fede che l’affidamento a parenti o che l’apertura di una tutela portasse determinate conseguenze. Abbiamo sbagliato e la prima colpa forse l’abbiamo noi giudici, che abbiamo letto affrettatamente queste norme, ma ne parlerò subito dopo.

 

Terzo caso: minorenne prostituta.

La minorenne prostituta gode nel nostro ordinamento di una tutela sia come minorenne sia come prostituta, o ex-prostituta. Con l’articolo 25/bis del Testo Unico è previsto che debba essere assistita, che occorra darle immediatamente un collocamento in comunità.

 

Quarto caso: i minorenni condannati.

Vi sono due sottocategorie.

1) I condannati che vengono recuperati attraverso un progetto (la messa alla prova, l’aiuto del servizio sociale, l’affidamento in prova al servizio sociale, una misura alternativa alla detenzione) hanno diritto ad una proroga del permesso di soggiorno dopo il diciottesimo anno di età.

2) I condannati senza documenti: qui c’è il nulla, ci sono gli alias, alias, alias che variano da nato nell'84, nato nell'82, nato nell'86, ed in mezzo c’è un accertamento radiografico che attribuisce un’età. Li si considera sempre minorenni, anche quando si hanno molti dubbi. Il gap è di 15 mesi e prevale la presunzione che possa essere minorenne, ma un limite dobbiamo metterlo.

Non ci sono soltanto le leggi sull’immigrazione, ci sono anche le leggi civili che attribuiscono determinati diritti al diciottenne. Vorrei vedere se un ragazzo che ha superato i diciotto anni dovesse subire la valutazione: "tu non mi sembri sufficientemente maturo per andare a votare o prenderti la patente" ecc. Non possiamo fare una legge per lo straniero, dove la maggiore età è attribuibile (e da chi?) e per tutti gli altri la maggiore età scatta a 18 anni. Alla nostra onnipotenza dobbiamo porre dei limiti.

Se sono senza documenti, ci preoccupiamo (il carcere, i servizi sociali ministeriali, il comune di Torino, l’assessore Artesio, l’assessore Cotto[5], veramente tutti) d’aiutarli, uno ad uno, non pensando ad un programma generalizzato, ma uno ad uno.

Vengono incontrati nel C.P.A. (Centro di Prima Accoglienza, ndr), durante la detenzione; si propone loro un programma, si propone un progetto, certo il GIP ci potrebbe sempre dire "I vostri progetti non sono sufficientemente adatti alle caratteristiche di personalità dei minorenni stranieri", non abbiamo ancora questa raffinatezza. Stiamo lavorando anche per questo.

Se non si recupera e si arriva ai 18 anni, non sarà certamente il Tribunale dei minorenni a chiedere al signor Longo o chi che sia di espellere il minore. Sarà lui stesso che si farà espellere perché, non avendo recuperato praticamente nulla, farà qualche reato da maggiorenne ed è lì, da quel momento, che scatterà l’espulsione.

 

C’è il problema di che cosa succede quando scattano questi famosi 18 anni. I minori che vivono in famiglia con un affidamento di fatto non possono essere espulsi. I conviventi che vivono con stranieri irregolari non possono essere espulsi. Se il minore straniero vive in una situazione conosciuta dal Tribunale per i minorenni, conosciuta da tutti, quindi nella legalità anche se non di giurisdizionalità , non può essere espulso. Il minore che vive con parente entro il 4° grado non può essere espulso. La prostituta minorenne non può essere espulsa. Valutiamo che cosa ne facciamo di questi minorenni che diventano maggiorenni. Li abbiamo tutelati e coccolati, come direbbe la dottoressa Calcagno[6], per ripetere il suo gergo e ricordarla oggi che non c’è, li abbiamo coccolati fino al diciottesimo anno di età. E’ vero, perché le Convenzioni impongono di tutelarli. Dopo no. Non è previsto nient’altro. Lo avete ritenuto ingiusto. Lo abbiamo ritenuto ingiusto anche noi. Abbiamo segnalato la cosa al Ministro della Giustizia. Ma se per caso questa battaglia non fosse vittoriosa, perchè bisogna tenere conto che ci sono masse di adulti che spingono per essere ricompresi nei flussi, se quindi il governo decidesse che il permesso di minore età non è convertibile in un permesso di soggiorno, noi dovremmo aiutare questi ragazzi a comprenderlo, ad accettarlo e a far loro capire che comunque la loro esperienza è un’esperienza arricchente. Non ho paura che voi la pensiate diversamente, perché neanche ai nostri figli dopo il diciottesimo anno di età viene garantito qualcosa. Anche i nostri figli spesso non trovano lavoro in Italia. Ma il problema è che nel frattempo il legislatore alcune leggi particolari ed alcune situazioni di eccezionalità, le ha potute prevedere, perché erano minorenni. E allora, prepariamoli in funzione di un possibile ritorno nel loro paese. Diamo loro una preparazione che possano spendere nel loro paese. Prepariamo un rimpatrio assistito che sia funzionale ad un benessere del loro Paese. Quei Paesi hanno il diritto di crescere, a disporre di professionalità. Io non la vedo così tragica, se siamo corretti con i ragazzi e diciamo loro quello a cui hanno diritto e quello a cui non hanno diritto allo stato della legislazione attuale. Magari dotandoli di un piccolo peculio. Preparando questo rientro. Preparandoli come adulti, non consentendo loro di ritornare nella clandestinità.

Ultima cosa. Una replica all’avvocato Trucco. Sono entrati clandestinamente: per il clandestino maggiorenne straniero chi dispone l’espulsione? L’organo amministrativo, la Questura. Per rimpatrio assistito si intende "l'insieme delle misure adottate allo scopo di garantire al minore interessato l’assistenza necessaria fino al ricongiungimento con i propri familiari o al riaffidamento alle autorità responsabili del proprio paese d’origine". Questa è la definizione di rimpatrio assistito. Ed allora ecco che l’organo governativo fa il rimpatrio assistito. Sempre singolarmente, caso per caso, valutando le situazioni.

E’ logico che si possa prorogare oltre il diciottesimo anno di età, l’affidamento disposto ai sensi dell’art. 2 e dell’art. 4, perché c’è pregiudizio, c’è una famiglia che ha avuto la potestà limitata perché teneva comportamenti pregiudizievoli e quindi è logico che non si possa fare un rimpatrio assistito in quel caso. C’è una ratio nella legge. Soprattutto, credo di poter dire, che anche se non consente ai minorenni diventati maggiorenni di rimanere in Italia, è una legge valida, cerchiamo di tenerla il più possibile.

 

Moderatore (Davide Petrini)

Oggi pomeriggio ci sarà una tavola rotonda nella quale i relatori della mattinata avranno modo di recriminare senza bisogno di interpellanze varie, anch’io sono un giurista ed avrei molte cose da dire sugli interventi precedenti, tanto più che non ci sarò oggi pomeriggio. Dobbiamo, però, cercare di rispettare un po’ i tempi, devo dire che le relazioni sono state tutte molto puntuali, precise e chiare. Certo che ci possono fare più o meno piacere, uno preferirebbe che le cose che non gli piacciono fossero dette male ed in maniera confusa, e se sono dette in maniera chiara e precisa suscitano ostilità. Credo che riusciremo a recuperare nell’ultima mezz’ora della mattinata o nella tavola rotonda la possibilità di interventi ed altre cose.

Darei subito la parola a Luigi Gili dell’ASGI. Grazie.

 

Luigi Gili

Mi aggancio a quello che aveva già iniziato a dire Lorenzo Trucco e vi ricordo alcune considerazioni fatte a Torino con avvocati e giuristi, non per ultimo Gianluca Vitale, attorno a questa circolare di novembre. E’ stata l’occasione per ragionare intorno al sistema delle fonti che interessa la condizione dello straniero, ovvero capire fino a che punto la circolare può diventare regola. Questa circolare ci interessa, ed io ne parlerò in particolar modo, nella prospettiva in cui dice che l’affidamento di fatto ed i ragazzi sottoposti a tutela giudiziale sono destinatari del cosiddetto “permesso di minore età”. Inoltre, che questo permesso di minore età non permette l’esercizio dell’attività lavorativa.

Il quadro deve partire dall’art. 10, comma 2, della Costituzione, dove si afferma che la condizione dello straniero deve essere conforme alle disposizioni normative, ovvero c’è una riserva di legge. Poi possiamo discutere se riserva assoluta o relativa, comunque è la legge a regolare quali sono le condizioni relative allo straniero.

Poi, se scendiamo, sempre nell’ambito di un quadro generale, nel corpo del Testo Unico, vediamo che l’art. 2, comma 1, ribadisce che comunque, che sia regolare o irregolare, i diritti fondamentali dello straniero vengono riconosciuti.

Andiamo ancora più nel particolare, sempre nell’ambito di un quadro generale di diritti, e vediamo l'art. 28, comma 3, del decreto legislativo che dice "in tutti i procedimenti amministrativi, giurisdizionali, finalizzati all’attuazione del diritto dell’unità famigliare, riguardante i minori, deve essere preso in considerazione con carattere di priorità il superiore interresse del fanciullo, conformemente a tutte le disposizioni delle Convenzioni sul diritto del fanciullo ratificate, riconosciute, recepite nell’ordinamento interno".

Il primo dato che possiamo ricavare in primo luogo è che la condizione dello straniero è sottoposta espressamente ad una riserva di legge. Il secondo dato è che la condizione del minore deve essere valutata, sul piano dei valori, come la condizione principale da tutelare.

A fronte di questi valori, vediamo ora cosa afferma in materia di permesso per minore età. Sul permesso per minore età dice poco il nostro sistema. C’è l’art. 19, comma 2, lettera a, del Testo Unico, che proprio nell’ambito delle categorie degli inespellibili, dice per l’appunto che i ragazzi sotto i 18 anni non possono essere espulsi. Dopodiché, andiamo a vedere il regolamento di attuazione, all'art. 28, comma 1, che dice soltanto che deve essere rilasciato un permesso per età. Non dice né quali siano le condizioni in forza delle quali deve essere rilasciato il permesso, né le peculiarità del procedimento, nel senso che il rilascio del permesso di soggiorno è provvedimento amministrativo.

L’amministrazione, quando opera, deve seguire certe regole. Dal testo normativo, quindi dalla fonte principale, che è il Testo Unico (che nasce dalla legge 40), e dal regolamento di attuazione non abbiamo nessuna indicazione. Ciò che si può dedurre è che sicuramente non c’è una tipizzazione del procedimento di rilascio del permesso di soggiorno per minore età. A questo punto ci dobbiamo chiedere cos'è una circolare amministrativa. Prendete qualsiasi manuale di diritto costituzionale o di diritto pubblico, non troverete mai le circolari tra le fonti del diritto. Le circolari servono ad interpretare il diritto, ma non fanno la regola, non fanno la norma.

Una circolare può stabilire le condizioni per rilasciare un permesso per minore età? E’ qui il nodo di tutta la questione.

La risposta in termini giuridici: una circolare non può stabilire le condizioni di rilascio di un permesso per minore età se non ha il conforto di una legge. Ed il conforto di una legge non c’è.

Tra l'altro qui non è solo un discorso specifico sulla 286/98 e sul regolamento di attuazione, ma è un discorso un pochino più ampio cioè il rispetto della legalità. La pubblica amministrazione non può fare il privato, fare contratti: deve rispettare, deve dare esecuzione alla legge ed è la legge che deve stabilire i provvedimenti amministrativi. Se non è stabilito dalla legge, la pubblica amministrazione non ha il potere di creare un nuovo procedimento amministrativo o, se volete, stabilire le condizioni per l’adozione del provvedimento.

Non rimane che dare una cosìddetta “interpretazione costituzionalmente orientata” degli articoli 30 e 31 del Testo Unico, come già ribadito dalla Cassazione nella sentenza che vi segnalo, molti la conoscono, la n° 3674 del ’99 e Consiglio di Stato sezione 4°, n° 870 del ’99, che ovviamente non è in termini, ma si poneva un problema di interpretare una norma e c’erano più possibilità interpretative.

Quando ci sono più possibilità interpretative cosa si fa? Si va sempre davanti alla Corte Costituzionale ad attendere che ci venga detto se è legittima o meno? La Corte Costituzionale non ha sempre voglia di fare delle sentenze abrogative ed allora dice: "dai un’interpretazione costituzionalmente orientata, ed il valore di riferimento (questo lo dice la Cassazione ed il Consiglio di Stato) devono essere i valori solidaristici contenuti nel decreto legislativo 286 e che si riallacciano direttamente all’art. 2 della Costituzione".

Riassumendo questa prima parte: se non c’è il conforto di una previsione di legge, se c’è un dubbio interpretativo, la circolare non può diventare essa stessa regola, perché si interpreta se c’è qualcosa da interpretare, ma se si deve mettere qualcosa di nuovo probabilmente non si interpreta. Nel dubbio bisogna dare un’interpretazione costituzionalmente orientata. Una interpretazione costituzionalmente orientata ci dice che nell’ambito dell’art. 30 e 31 del Testo Unico probabilmente dovremmo ritenere inclusi, per lo meno, i ragazzi che sono stati sottoposti a tutela giudiziaria e che, in quanto tali, dovrebbero avere il diritto d’ottenere il permesso per motivi familiari.

Vi sono, a parere nostro, altri due argomenti a favore del diritto del minore, in particolar modo sottoposto a tutela giudiziale, di continuare il percorso formativo e lavorativo iniziato a seguito del provvedimento del giudice tutelare.

Il primo argomento interessa i rapporti tra la pubblica amministrazione, rappresentata dall’ufficio periferico della Questura, ed il giudice tutelare. Io sicuramente non sono un esperto, ma il giudice tutelare, molto probabilmente, in questa sede esercita un’attività con contenzioso di volontaria giurisdizione, ovvero un’attività che in altre occasioni verrebbe attribuita alla pubblica amministrazione, ma c’è una tale delicatezza delle decisioni prese, degli interessi coinvolti, che vengono attribuite queste competenze ad un organo giudiziario.

Vi rendete conto che si possono effettivamente creare delle situazioni di contrasto, di contraddizione del sistema, perché se voi andate a prendere l’art. 371 del Codice Civile, vi dice che "il giudice tutelare, su proposta del tutore, delibera: 1. sul luogo del minorenne dove deve essere elevato e sul suo cambiamento agli studi e sul suo esercizio di un’arte, mestiere o professione, sentito lo stesso minore se ha compiuto anni 10". Fino a che punto possiamo ritenere che questa norma dia un potere forte, o comunque abbia tutta la forza di legge, a fronte di un provvedimento amministrativo che rilascia un permesso per minore età che, per diritto vivente, non permette, a fronte di una circolare, di lavorare? Nel senso che c’è un progetto del giudice tutelare che nel percorso formativo prevede una formazione lavorativa.

La seconda questione che abbiamo rilevato è invece su un discorso più di certezza del diritto, nel senso che questi ragazzi hanno fatto una sorta di patto per cui si sono ripromessi di seguire un progetto con una certa prospettiva. Allora, siccome si parla di diritti acquisiti, spesso bisognerebbe vedere se l’affidamento rientra in una situazione giuridica soggettiva da tutelare, per lo meno, per le posizioni pregresse proprio perché, ripeto, parliamo di persone e quindi è giusto ragionare con quei principi che riconosciamo agli stessi cittadini italiani.

Grazie.

 

Moderatore (Davide Petrini)

Grazie a Luigi Gili, che tra l’altro ha avuto il merito di sollevare un ulteriore problema della circolare, che non è soltanto quello della inconvertibilità in permesso per questioni di lavoro, ma anche della possibilità di poter lavorare, seguire corsi di formazione professionale. Questo è uno degli incisi contenuti nella circolare, estremamente importante, che acquista grandissima importanza anche in relazione alla convertibilità o meno, però è uno degli aspetti sui quali ancora questa mattina non si era parlato.

Abbiamo 20-25 minuti di tempo per interventi da parte del pubblico, interventi o domande alle quali, a meno che non siano rapide anche le risposte, potremmo pensare di dare risposta nel pomeriggio, visto che la tavola rotonda riavrà tutti i partecipanti di questa mattina.

 

Dal pubblico

Sono Riccardo Rosso. In una scuola media mi occupo di tutoraggio e di inserimento di minori stranieri. C’è un problema, io vedo gli aspetti molto pratici e vorrei chiedere come risolvere tali questioni. C’è una procedura che prevede la prospettiva di un progetto per l’inserimento nel mondo del lavoro. La maggior parte dei minori stranieri che sono nella scuola media è costituita da minori che lavoravano già in modo illegale o da chi ha un ideale immediato e tende a ritardare, a patto che la cosa si realizzi. Ho qualche scrupolo a presentare la situazione legislativa come si presenta ora, anche perché mi pare che si dica che il minore in qualche modo rientrerà nell’illegalità, e nel caso debba rientrare nel suo paese, sono passati magari dieci anni durante i quali è stato educato a parlare nella nostra lingua, ad agire, ad acquisire delle conoscenze esclusivamente legate alla realtà italiana, ed allora è stato tutelato il suo rientro come soggetto attivo nella sua società? Quali rapporti reali si tengono con il paese di origine? Non finiamo con il creare un’ulteriore forma di emarginazione?

Ultimo punto: i rapporti con le famiglie. Io non so quanto sia stato fatto. Nei pochi casi di rimpatrio a cui ho assistito, la famiglia pensava che il proprio figlio dovesse andare a lavorare, portare i soldi e non accettava di buon grado il suo rientro. Voglio dire che il lavoro da fare è molto complesso, attraverso strutture che uno Stato straniero spesso non ha, e quindi questo è il quadro dei problemi che mi ritrovo a dover affrontare quotidianamente.

 

Moderatore (Davide Petrini)

Grazie.

 

Dal pubblico

Mi chiamo Iotti, e rispetto a quella circolare, il problema è questo: noi abbiamo una convivenza residenziale con quindici minori stranieri di varie nazionalità. Ogni intervento avviene a seguito del giudice tutelare che, pressato dal Tribunale dei minorenni, nomina l'assessore, o il Comune, pubblico tutore dei ragazzi. I ragazzi vengono avviati al lavoro e quindi c'è un duplice campo: quello del ragazzo che va verso le imprese e viene pagato come apprendista, e quello delle imprese che cercano di istruirlo come lavoratore; se al compimento del diciottesimo anno di età, questo ragazzo, che si è fatto 7-8-9-10 mesi di apprendistato, non può continuare, non solo riceve un danno lui, perché non vuole rientrare nel suo paese e vuole continuare a lavorare, ma è un danno anche per le imprese che lo hanno accettato e lo hanno assunto, che hanno speso tempo e denaro ad istruirlo in una professione. Secondo me la circolare consuma una violenza terribile nei riguardi dei ragazzi e delle imprese che si sono impegnate ad istruirli. Io speravo che il giudice mi dicesse qualcosa di più riguardo alla circolare. Noi abbiamo chiesto il parere a professori universitari e ci hanno detto che la circolare fa acqua da tutte le parti.

 

Moderatore (Davide Petrini)

Grazie.

 

Dal pubblico

Vengo da Reggio Emilia. Mi chiedevo: mentre la ragazzina prostituta non viene rimandata a casa per tutela, invece il ragazzino, che è stato agganciato in strada proponendogli attività lavorative per cambiare la sua professione, che ha iniziato a lavorare e a diciotto anni gli viene detto "quando è finita torni a casa", penso che facilmente smetterà di lavorare e ricomincerà a spacciare. Questo è ciò che viene proposto da questa circolare.

 

Moderatore (Davide Petrini)

Grazie.

 

Dal pubblico

Porto i saluti del corpo volontari in Albania. E’ difficilissimo risolvere il problema dell’immigrazione con le leggi, e c’è ancora molto da fare contro le attuazioni che vengono dopo le leggi. Tante volte sono fatte cose che non vanno.Vengono minorenni che, appena compiuti i 18 anni, restano in attesa del foglio di via per lasciare l’Italia. Parlo nella posizione del cittadino italiano, ma vedo le cose come straniero perché sono straniero. Questi ragazzi a 18 anni non tornano più in Albania, restano clandestini in lavoro nero, non controllati, senza pagare tasse e possono andare verso la malavita. Un altro problema è quello dei ragazzi che, appena compiuti i 18 anni,  tornano in Albania, ma se le famiglie non li accolgono, non sanno dove andare e finiscono per rientrare clandestinamente. Questa è una realtà da risolvere. Ci sono casi e casi di ragazzi che sono andati in Questura con un contratto di lavoro di un imprenditore, e gli è stato detto che dovevano lasciare l’Italia.

 

Moderatore (Davide Petrini)

Grazie.

 

Dal pubblico

Sono Stefano Ghiotto della Solidarietà 6, una cooperativa che si occupa di minorenni; diamo alloggio a ragazze straniere con l’art.18, ex prostitute che sono arrivate in Italia nei modi in cui sappiamo, con gommoni ed altro, violentate, vendute, picchiate. Sono arrivate in Italia, hanno lavorato sulla strada, sono state sfruttate, hanno deciso di denunciare questa gente, di liberarsi, partecipando a processi e azioni varie. In alcuni casi hanno già finito il loro percorso in comunità, stanno per compiere 18 anni o li hanno compiuti. Hanno un lavoro, possibilmente hanno anche una casa, ma non hanno i documenti, e con questa circolare ed il trend di questi tempi non hanno un futuro. Nel migliore dei casi andranno a fare le prostitute, perché in casa comunque non sarebbero più accettate e nel peggiore dei casi finirebbero morte da qualche parte, perché il racket le recupererebbe molto velocemente. Io mi chiedo che possibilità hanno queste ragazze per riabilitarsi. Non possiamo dir loro "avete fatto una bella esperienza, avete frequentato una scuola, avete imparato un mestiere e adesso potete tornare in Bulgaria, in Romania, in Albania, dove volete, e condurre una vita da favola".

 

Moderatore (Davide Petrini)

Grazie.

 

Dal pubblico

Sono Luigi Mandarini, dell'Associazione Progetto Accoglienza di Borgo S. Lorenzo, in provincia di Firenze. Io non ho certezze di interpretazione, tanto meno giuridica, perché non sono qualificato. So che ci confrontiamo quotidianamente con persone, in questo caso minori, che attendono da noi delle risposte. In questo momento ci ritroviamo a gestire minori che possono solo vegetare fino a 18 anni. Secondo me, è una considerazione, più che una domanda, manca in questo convegno, come purtroppo a tanti convegni sull’immigrazione, l’interlocutore politico, e non parlo del ministro Turco che ha mandato un messaggio al quale credo fermamente, ma parlo dell’interlocutore politico del Ministero degli Interni. Queste sono circolari dettate da altre logiche, non sono dettate nemmeno da interpretazioni dei principi fondanti della legge 40, che riconosco generalmente come una buona legge. Queste circolari sono dettate da un modo di ragionare appiattito sulla sicurezza, sulla logica della deterrenza, sono dettate dalla rincorsa al voto, perché siamo vicini alle elezioni politiche.

Il ministro degli Interni si reca velocemente a Pistoia perché è stato picchiato in una Questura, così sono le testimonianze, il figlio del sottosegretario, portato in Questura dalle volanti con altri 4 ragazzi, di cui 3 albanesi, il primo identificato è un albanese che era il proprietario della macchina. Questo è venuto fuori per questo motivo e basta. Ora lasciamo perdere il caso limite, sul quale il ministro ha fatto bene ad intervenire, ma dovrebbe intervenire su tanti altri casi. Però, l’elasticità nell’interpretazione delle direttive e delle circolari è enorme, si passa da un estremo all’altro. Le circolari vanno e vengono. Un’ultima direttiva del prefetto Pansa, con lettera scritta anche al rappresentante dell’ICS e del CIR, diceva che, per quanto riguardava i documenti sugli atti di matrimonio e di nascita dei profughi del Kossovo, potevano essere richiesti dalle Questure direttamente all’ambasciata, alle rappresentanze diplomatiche di Serbia e Macedonia. Ciò è stato smentito dopo un mese dallo stesso Prefetto, che ha fatto marcia indietro, perché ci sono direttive diverse, perché sono valutazioni politiche. Io credo che manchi in questo momento la volontà politica di risolvere il problema. Questo è il nodo della situazione ed il punto sul quale dobbiamo darci da fare e rivendicare i diritti, se necessario ricorrendo a strumenti giuridici, ma anche ricorrendo a ragionamenti fondati sulla riflessione e non sulla paura e sui sondaggi.

 

Moderatore (Davide Petrini)

Vorrei precisare che noi abbiamo invitato il Ministro degli Interni, il Ministro degli Esteri, il Ministro degli Affari Sociali. L’unica presenza a questo tavolo è quella del Dottor Longo che ha una delega da parte della polizia. Il ministro è, comunque, l’unico interlocutore che abbiamo avuto. Forse non è il momento propizio, sotto vari profili, per avere delle forti ed autorevoli presenze istituzionali e politiche, quanto meno sotto il profilo tecnico.

 

Dal pubblico

Sono di Venezia, ho una domanda molto semplice sugli affidamenti a parenti: gli affidamenti a parenti entro il 4° grado, secondo la legge 184, sono concordati con i servizi sociali; una volta concordati, sono efficaci. Infatti nel mio Comune vengono formalizzati con atto firmato dal Dirigente. Non capisco perché questa cosa non possa essere riconosciuta come affidamento dalla Questura con permesso di soggiorno per affidamento, ma venga esclusa. E’ legge, la 184!

 

Moderatore (Davide Petrini)

Io non conosco la prassi del Tribunale per i minorenni di Venezia, ma il Tribunale di Torino, per la ragione che diceva prima la dottoressa De Marco, non ritiene di poter fare un affidamento ai sensi della legge, perché manca il presupposto fondamentale, che è il pregiudizio per il minore del comportamento dei genitori. Può darsi che ci siano in altri Tribunali prassi diverse.

 

Elena Rozzi

Sono affidamenti consensuali, non giudiziali.

 

Moderatore (Davide Petrini)

Il problema è che l’affidamento consensuale non rientra nei presupposti per concedere la conversione il permesso di soggiorno, raggiunto il diciottesimo anno di età.

 

Dal pubblico

Forse non avete capito la domanda. L’affidamento consensuale è un affidamento. Perché il permesso di soggiorno non viene emesso per affidamento consensuale, con referente il parente e i servizi sociali comunali che hanno predisposto questo affidamento? Non è minore età, è diverso, non è minore solo. E’ una domanda per la Questura. Non è un affidamento a livello giudiziale. E’ affidamento consensuale: viene disposto dai servizi sociali con il consenso dei genitori, e con il consenso delle persone che se ne vogliono prendere carico. Nel caso sia affidamento consensuale fuori del 4° grado, viene ratificato dal giudice tutelare, nel caso non sia fuori del 4° grado viene solo disposto in collaborazione con i servizi, dall’Ente locale. Perché questa cosa non viene riconosciuta dalla Questura? Dovrebbe essere cambiato il permesso di soggiorno in permesso di soggiorno per motivi di affidamento, e quindi almeno per questa fetta di minori questo problema non esisterebbe.

 

Moderatore (Davide Petrini)

Se i parenti sono regolari, credo non ci sia alcun problema.

 

Giulia De Marco

Le legge fa riferimento agli affidamenti ex art. 2 e ex art. 4. Il presupposto dell’affidamento è l’ambiente famigliare temporaneamente inidoneo: questo è il presupposto, anche di un affidamento consensuale. Se il giudice, e anche forse a Questura quando è chiamata a valutare le situazioni che rientrano nell’art. 2 o nell’art. 4, deve valutare questo, non può che richiamarsi ai parametri giurisprudenziali su cosa si intende per ambiente temporaneamente inidoneo. Diventerà ancora più difficile fare gli affidamenti con la prossima legge 184, la legge di modifica, perché è previsto che da un lato parta l’affidamento e dall’altro parta il sostegno alla famiglia d’origine, al padre ed alla madre, che in questo caso non c’è. Certo, io non posso prendere un pezzo di una norma di qua ed un pezzo della norma di là, metterlo insieme, per violare una legge o per forzare una legge. Ma io faccio il giudice, non posso farlo perché non vi piacerebbe che io lo facessi anche per altre situazioni.

 

Moderatore (Davide Petrini)

Ultima richiesta di intervento di Elena Rozzi.

 

Elena Rozzi:

Vorrei fare una domanda su questa questione degli affidamenti.

Prima di tutto, rispetto agli affidamenti giudiziali, ci sono Tribunali per i minorenni che effettivamente in altri parti d’Italia fanno gli affidamenti giudiziali a parenti entro il 4° grado: quindi, forse è una questione su cui è possibile discutere.

Rispetto invece alla questione degli affidamenti consensuali a parenti entro il 4° grado, io vorrei capire sia dalla Dott.ssa De Marco sia dalla Dott.ssa Giannone (Giudice Tutelare ndr) se ritenete che possano essere fatti o no, se ritenete che si possano fare affidamenti consensuali con questi atti notarili legalizzati nelle ambasciate, in cui il genitore dichiara di voler affidare il proprio figlio al fratello, al cugino ecc. e sulla base di questo consenso, rilasciato in ambasciata, disporre l’affidamento consensuale, disposto appunto dai servizi sociali e reso esecutivo dal Giudice Tutelare.

 

Giulia De Marco

Io rispondo per la mia parte, poi la Dott.ssa Giannone risponderà per la sua. C’è la possibilità di riconoscere efficacia in Italia a questo tipo di provvedimenti soltanto se proviene dall’autorità giudiziaria dell’altro Stato: non dal notaio. Io vado dal notaio e gli chiedo di prendere atto di una mia volontà, ma il giudice dell’altro Stato mi può garantire che in quello Stato sussistono le condizioni per l’affidamento a parenti, ed io come giudice, in base alle norme di diritto internazionale privato, ne ordino la trascrizione, ma non come fatto privato.

 

Elena Rozzi

Ma lei sta parlando degli atti di consenso che sarebbero equiparati agli atti di consenso che i genitori italiani fanno presso i servizi sociali italiani.

 

Giulia De Marco

I genitori stranieri lo fanno presso i notai stranieri.

 

Elena Rozzi

Lo so, però voglio dire, come i genitori italiani rilasciano il proprio consenso per l’affidamento consensuale presso i servizi sociali, così i genitori stranieri potrebbero rilasciarlo presso le rappresentanze diplomatiche italiane...

 

Giulia De Marco

A Torino no, non è previsto l’affidamento nell’ambito del quarto grado. Ma comunque l’affidamento consensuale è di competenza del Giudice Tutelare.

 

Daniela Giannone

Innanzi tutto l’affidamento consensuale, quello a parenti a Torino non viene formalizzato perché per il consensuale si parla di parenti oltre il 4° grado, quindi questo è il primo chiarimento da fare. Se qualche volta è stato fatto è per motivi assolutamente economici, perché con l’affidamento consensuale scatta un onere amministrativo. Quindi io, per tutte le situazioni di affidamento a parenti con il consenso da parte dei genitori, non sto aprendo la tutela, proprio perché applico estensivamente questo criterio del Tribunale per i minorenni per cui non c’è motivo di intervenire sulla potestà, perché io aprendo una tutela farei decadere il genitore anche se all’estero. Sull’efficacia del consenso è chiaro: deve essere di un’autorità giudiziaria, nostra omologa, non un atto notarile.

Devo dire che sto un po’ a quelle che sono le segnalazioni della Questura per cui loro mi dicono che agli atti vi è della documentazione idonea per cui i genitori hanno rilasciato il consenso e siccome non intendo intervenire, non sono andata oltre nel valutare la validità o meno del consenso.

Per rispondere all’assistente sociale di Venezia: o il Giudice Tutelare che rende esecutivo un affidamento consensuale in quel caso, o il Tribunale per i minori che formalizza un affidamento in situazioni che non sono ad esempio parenti entro il 4° grado, fa a mio avviso una forzatura, cioè predispone uno strumento giuridico in un senso o in un altro. Questo è il nostro problema.

Sulle tutele, anticipo quello che diremo oggi pomeriggio, io non modificherò la mia posizione in termini di apertura e di criteri per l’apertura, ma ritengo che verrà meno l’interesse ad applicare questo strumento un po’ avvallando la sensazione che ha avuto un certo rilievo in un periodo in cui era lo strumento per... Però la situazione, ovviamente, non si modifica, come tanti altri punti che non so se anticipare ora.

 

Moderatore (Davide Petrini)

No, direi di no. Dovremmo concludere.

 

 


Seconda sessione - pomeriggio

 

Moderatore (Adriana Luciano)

Chiederei a tutti di prendere posto. Nell’attesa che si possano ricominciare effettivamente i lavori, intanto vi do qualche informazione. Anche questo pomeriggio c'è qualche defezione dovuta ad impegni imprevisti ed improrogabili. Non ci sarà Melanie Taubert, del Servizio Sociale Internazionale. Purtroppo non ci sarà neanche il Console del Marocco, ma è stata nominata vice-console sul campo Sued Benkhdim, che non parlerà però a nome del Console, ma ci dirà la sua opinione e soprattutto ci darà delle informazioni interessanti perché lavora in contatto con il Consolato.

Come avete visto dal programma, questo pomeriggio sarà prevalentemente dedicato ai problemi dell’accoglienza, e quindi ci lasciamo alle spalle gli interventi della mattina che, a me pare, ci hanno offerto un quadro molto dettagliato, analitico e preciso della situazione. Credo, non so se il pubblico condivide, che ci abbiano lasciato più interrogativi che risposte, perché le risposte, diciamo, sul filo dell’attuale situazione normativa e legislativa, sono delle risposte che qualche problema lo creano, rispetto alla possibilità di proseguire gli interventi di accoglienza di cui sentiremo.

Ancora due osservazioni.

La prima, e mi dispiace che la dottoressa Giulia De Marco non sia qui, ma forse è un utile chiarimento per tutti: quando parla un giurista e quando parla uno scienziato sociale, inevitabilmente, e correttamente, i punti di vista sono molto diversi. Il giurista, giustamente, fa le leggi, le interpreta e le applica, ma spetta poi agli scienziati sociali riflettere, cercare di capire che rapporto esiste tra sistemi normativi e processi sociali. Non vi è dubbio che ci sono momenti della storia in cui i processi sociali e sistemi normativi sono coerenti: questo, naturalmente, è molto più facile realizzarlo in società semplici. Quando ci troviamo in fasi di grande cambiamento sociale e quando le società diventano più complesse è inevitabile che si producano degli scarti tra sistemi normativi e processi sociali. Il mio intervento ha il modesto obiettivo di provare a formulare alcuni problemi che riguardano proprio gli scarti tra sistemi normativi e processi. Credo che questi scarti esistano, ne abbiamo tutti consapevolezza, credo che le risposte siano difficilissime e credo, però, che tutti quanti siamo impegnati a darle e non a schierarci da una parte o dall’altra, o a tutela della legge o a tutela dei soggetti più deboli, che ci sembrano talvolta non così ben rappresentati dal sistema normativo.

Aggiungo anche che è un vero peccato che il dibattito pubblico ed il clima politico incandescente tendano a schematizzare le posizioni, ad estremizzarle, quando invece siamo tutti consapevoli che su queste questioni ci vuole molta pazienza, molta attenzione, molta analisi.

Ultima cosa che vorrei dire, rispetto alle risposte che stamattina sono state date, e che sono molto chiare e precise, rispetto a quella che è la normativa esistente, abbiamo tutti la consapevolezza che appunto si aprano dei problemi. Si diceva stamattina che l’Intesa torinese su tutta la questione delle tutele civili è stata un’Intesa locale in un vuoto legislativo. Resta il fatto che adesso che il vuoto legislativo è stato riempito i problemi non ci sembrano affatto risolti e credo che di questo parleranno le persone che sono a questo tavolo.

 La parola a Laura Marzin, responsabile dell’Ufficio minori extracomunitari del Comune di Torino, che indubbiamente vive tutti i giorni la difficoltà di un quadro normativo chiaro ma difficile.

 

Laura Marzin[7]

Questa mattina Adriana Luciano ha usato il concetto della dissonanza cognitiva; credo che io e le persone che lavorano con me siamo la personificazione di questo concetto.

Stiamo vivendo un periodo di grande tensione perché abbiamo chiaro in mente che noi siamo un ufficio di amministrazione, dobbiamo e vogliamo osservare le leggi, ma nel frattempo abbiamo quotidianamente di fronte dei ragazzi, decine di individui, decine di persone che meritano tutta la nostra attenzione, che si fidano di noi, con i quali abbiamo fatto un patto; mi riferisco in particolare ai ragazzi che sono arrivati all’Ufficio prima dell’entrata in vigore della circolare. Io confermo qui pubblicamente l’adesione del mio ufficio all’appello fatto, perché non ritengo assolutamente possibile che si vanifichi il lavoro svolto in questi anni dall’amministrazione pubblica, perché su questo l’amministrazione pubblica ha speso soldi, risorse umane ed anche, ovviamente, volontari. Quindi, rinnovo questo appello e devo dire che la questura di Torino su questo è stata collaborativa. I ragazzi che hanno iniziato il percorso, le cui tutele all’ente o civili sono state deferite prima dell’entrata in vigore della circolare, quelli che, ovviamente, hanno dei requisiti (perché nessuno qui vuole affermare “teniamoceli tutti, diamo il permesso a tutti”), quelli meritevoli, che hanno osservato il patto, che sono stati alle regole, non è possibile rimandarli a casa.

Quando parliamo del minore straniero, dobbiamo sempre distinguere tra il minore straniero che è presente qui con la sua famiglia, o almeno una parte della sua famiglia, ed il minore non accompagnato. E' stato già ricordato questa mattina che, da sempre, l’amministrazione comunale ha cercato di intervenire su questo problema. E’ stata accettata questa causa nel 1992, che è la data dell’istituzione dell’Ufficio, ma chi mi siede accanto sa che questi interventi sono stati fatti anche prima, in quella data sono stati istituzionalizzati. Su questo l’amministrazione comunale ha sempre, come dire, messo in atto degli interventi a protezione della tutela dei minori, indipendentemente dalla loro condizione giuridica. Tuttavia dal ’92, che è la data ufficiale che fa da riferimento, ad oggi la situazione è profondamente cambiata, sia in termini di qualità del fenomeno sia soprattutto in termini di leggi.

Ora mi collego ad una osservazione di Adriana Luciano, rispetto al fatto che parliamo sempre di minori non accompagnati pensando a maschi, ma ci sono anche molte ragazze, molte delle quali ovviamente entrano in contatto con il servizio, con le comunità, con la scuola, con il mondo del lavoro, perché vengono dalla tratta della prostituzione. Nel corso del 2000 noi abbiamo conosciuto e presentato 494 nuovi casi, oltre a seguire ovviamente i casi precedenti. Di questi 494 casi, 339 sono maschi, 55 femmine, quindi le femmine incidono per il 14% come presenza di presa a carico. Sono ragazze che vengono dalla tratta della prostituzione, oppure ragazze che si rivolgono all’ufficio per richiedere eventualmente l’interruzione di gravidanza. Molte volte, fatto l'intervento spariscono nel nulla e non riusciamo più a rintracciarle per nessun motivo. Sulle ragazze della tratta della prostituzione non mi dilungo, però, credetemi, ho fatto in questa città, non solo nel Comune di Torino ma anche con il volontariato, un grande lavoro, che devo dire ha dato anche delle buone risposte, perché nel 99% dei casi i percorsi vanno a buon fine. Le ragazze si affrancano da questa situazione, vengono accompagnate nell’inserimento sociale: per loro quello rimane un brutto, terribile momento che noi aiutiamo a superare, anche con il supporto psicologico, ma fortunatamente hanno la forza di guardare avanti.

La città su questo sta facendo un grande lavoro, all’interno di un progetto che è finanziato dal Dipartimento delle Pari Opportunità, all’interno della legge 40, non solo riferito alle minorenni ma anche alle maggiorenni. Vorrei precisare inoltre, perché non è secondario, che secondo il nostro punto di vista sono ancora troppo poche le ragazze che ci arrivano, o dalle forze dell’ordine, o segnalate dal volontariato, o accompagnate dai clienti, se minorenni. Secondo il nostro parere, anche per la percezione che abbiamo girando per la città come privati cittadini, rientrando tardi alla sera dal cinema o dalla discoteca, tante di queste ragazze secondo noi sono minorenni. Quindi resta ancora tanto lavoro da fare, di informazione, di prevenzione e di controllo del territorio con la polizia; però, davvero, chiederei una maggiore attenzione per cercare di identificare le minorenni, perché spesso sono quelle che hanno più paura. Hanno più paura delle maggiorenni, perché hanno meno capacità, sono più fragili e, comunque, vengono generalmente minacciate anche in aspetti della loro vita affettiva che una donna adulta, in genere, è capace di elaborare meglio. Le ragazze che noi stiamo seguendo in casi di questo genere oggi sono circa 28; nel corso degli ultimi anni ne abbiamo seguite un centinaio.

Dai numeri dati questa mattina della nostra realtà che cosa abbiamo dedotto? Il cambiamento del fenomeno. La presenza di bambini e ragazzi stranieri costretti ad attività di accantonamento. La presenza di nuclei familiari, irregolari, molto problematici, con minori figli di madri irregolari che generalmente vengono dalla prostituzione. Queste situazioni ci sono, nelle nostre città. Sono situazioni terribili, spesso molto compromesse e gravi e comunque coinvolgono dei minorenni.

Per cercare di raggiungere degli obiettivi, noi abbiamo sempre cercato di fare un lavoro interistituzionale, cioè in stretta collaborazione con le altre istituzioni, come la questura, il giudice tutelare, le scuole, ma soprattutto coinvolgendo il volontariato. Probabilmente, per chi vive a Torino queste sono cose conosciute, ma ho il piacere di rilevare che vi sono persone di altre città, che spesso ci interpellano telefonicamente, quindi elencherò anche quali sono i progetti. Grazie a questo lavoro con il volontariato riusciamo comunque sempre a dare delle risposte.

Io, però, oggi vorrei parlare anche dei ragazzi. A questo tavolo si è parlato tanto di leggi, circolari, norme, procedure, però poco dei ragazzi. I ragazzi che vengono al nostro ufficio sono prevalentemente adolescenti, o preadolescenti, albanesi, marocchini e rumeni. Hanno un’età che varia dai 14 ai 17 anni. I ragazzi albanesi provengono prevalentemente dalla zona di Scutari e Valona, hanno un livello di scolarizzazione basso, molti vengono dalle zone rurali, dove hanno fatto lavori agricoli e poi si sono trasferiti in Grecia, per la raccolta della frutta, e spesso anche nelle zone del nostro Mezzogiorno, dove hanno fatto le stesse attività. Alcuni vengono a Torino da queste zone, altri arrivano direttamente. Perché? Che cosa li spinge? Se non centriamo la nostra attenzione su questo punto, credo che non usciremo dalla diatriba "rimpatrio sì, rimpatrio no". Che cosa facciamo? Io spero che si esca da questa sala con qualche cosa di propositivo. Come diceva giustamente la dottoressa De Marco "basta piangerci addosso". Dobbiamo andare avanti, fare delle proposte. Però dobbiamo anche conoscere.

La situazione politica, sociale, economica dell'Albania da diversi anni la conoscete tutti, ci è stata descritta da tutti i ragazzi e non solo da loro, ci è stata descritta anche dai nostri collaboratori che ovviamente tornano dal loro Paese e ci raccontano come lo trovano sempre più disastrato. Ce la raccontano anche i volontari, che l'estate scorsa hanno visitato le famiglie dei ragazzi che hanno deciso di agire, ed hanno visto con i loro occhi quello che c’era lì. La scuola ed il sistema formativo non esistono o sono completamente inadeguati. La formazione professionale non esiste. Esistono alcuni corsi, finanziati dai progetti di cooperazione, ma da quanto mi risulta e da quanto ho potuto verificare non hanno nessuna consistenza. E' la possibilità di lavorare che li spinge a venire qua. Vengono per lavorare. Là non hanno nessun tipo di possibilità. L’economia ormai si basa sul piccolo commercio, sull’agricoltura oppure sui grandi traffici internazionali. A Tirana stanno nascendo edifici, alberghi enormi che sono fatti con i soldi della tratta delle donne, con il traffico delle armi e della droga. Questo è quello che hanno i ragazzi a disposizione. Hanno dei chioschi, dove si ritrovano e dove possono facilmente venire agganciati dai criminali della malavita. Spesso preferiscono saltare sul gommone.

Che cosa offre loro la nostra terra? Lavoro no, scuola no: divertimento. A Tirana credo che ci siano l’unico cinema, le uniche discoteche; l’unica fonte di divertimento diffusa è la televisione, che trasmette i nostri programmi che naturalmente li affascinano. Qui, tutto appare come la famiglia del Mulino Bianco e quindi, voglio dire, quale ragazzo non aspirerebbe a venire qua? L’Italia, insieme alla Grecia, è il punto dove loro vanno, fanno il loro viaggio esattamente come lo fanno gli adulti, contattano lo scafista, pagano una cifra, (mi dicono due milioni o due milioni e mezzo), arrivano a Torino. Arrivano all’Ufficio minori stranieri.

Vorrei parlare anche dei ragazzi marocchini, però mi viene detto che ho solo più cinque minuti, per cui non mi addentro. Comunque è un altro aspetto della situazione. Alcuni ragazzi marocchini sono soli, però la maggioranza ha dei riferimenti parentali qui in Italia. Devo dire che i più non vengono volontariamente nell’ufficio, non chiedono accoglienza. Arrivano sempre per altre vie: o attraverso le forze dell’ordine, o vengono letteralmente scaricati dai loro parenti che non se ne vogliono più occupare. Qualcuno invece viene volontariamente. Devo dire che sono più piccoli i ragazzi marocchini, di cui noi ci occupiamo e che mettiamo in comunità. Sono, di solito, quattordicenni e, spesso, denunciano una situazione di sfruttamento.

Cosa abbiamo dovuto fare di fronte a dei numeri che, credetemi, stanno diventando altissimi? Torino ha segnalato 230 minori stranieri non accompagnati, ma so che le segnalazioni al Comitato sono molto più alte, intorno ai 9300. Secondo il Dipartimento Affari Sociali pare che arriveranno, nel corso del 2001-2002, circa 10000 minori stranieri non accompagnati. Entro il 2005, questo mi è stato riferito dal dottor Achille (Presidente del Comitato per i Minori stranieri, ndr) ed io lo porto come testimonianza, si ritiene (secondo le indagini, le proiezioni fatte da esperti) che l'ingresso di minorenni sarà la causa maggiore di clandestinità. Questa è la cosa che giustamente preoccupa chi deve avere una visione globale del problema. Infatti anche noi possiamo testimoniare che questi ragazzi sono in aumento, ma non è che vengano solo a Torino perché c’è l’Ufficio Minori e le tutele civili a bassa soglia. Un collega di una piccola città come Trento, che non si può paragonare certo a Torino, mi ha detto che loro hanno in media 50-60 ragazzi. Trieste credo sia sui 300. E’ importante perché i numeri hanno il loro significato.

Abbiamo dovuto, nel corso di questi anni, aggiustare un po’ il tiro, cercare di offrire delle opportunità un po’ a tutti, quindi la scelta della politica di accoglienza è stata quella di dare risposte a tutti, magari meno tutelanti, alternando la comunità, dove è possibile perché ovviamente viene fatta una valutazione caso per caso, non vengono fatte delle valutazioni generali. Il ragazzo viene ascoltato individualmente; di ogni ragazzo si ascoltano i bisogni, le necessità; tutto questo viene fatto da personale qualificato, competente. Chi fa questo lavoro usa professionalità e passione. Ogni ragazzo viene, come dire, ascoltato nelle sue necessità, nei suoi bisogni e poi possiamo mettere a disposizione i nostri servizi a bassa soglia.

Oggi disponiamo di 11 centri di accoglienza, per un totale di 91 posti. Distribuiamo buoni pasto, buoni doccia, con la possibilità di fare il cambio della biancheria. Fino all’anno scorso i ragazzi passavano nella bassa soglia, poi passavano nel progetto tutele civili oppure, per altri casi, la tutela veniva deferita al Comune (potrete trovare materiali nell’Osservatorio della Prefettura di Torino del prossimo aprile, lo stiamo preparando). Con l’entrata in vigore della circolare, non si è più parlato delle tutele civili. Ai ragazzi, che sono arrivati dopo la circolare, noi abbiamo detto "le regole del gioco sono cambiate, oggi è così". I ragazzi vengono accolti nel centro di accoglienza. Viene presentata, presso la questura di Torino, un’istanza di permesso di soggiorno per minore età, perché questo dice la legge, per i ragazzi che hanno il passaporto o lo hanno già ritirato. Da novembre ad oggi ne abbiamo chiesti 77, solo 16 lo hanno già ritirato. Se non c’è passaporto ovviamente la questura ci notifica l’incompetenza perché manca il documento ufficiale. Però i passaporti stanno arrivando. Il discrimine lo abbiamo fatto da quando è entrata in vigore la circolare, applichiamo esattamente quelle che sono le regole, e quello che più è importante, lo abbiamo detto ai ragazzi, perché la cosa fondamentale è dire la verità ai ragazzi, dire “finché volete, finchè avete bisogno noi, noi ci siamo”. Loro sono in grado di autodeterminarsi..

Alcuni rientri ed alcune risposte possono incentivare nuovi arrivi, però l’esperienza di questi anni ci ha insegnato che è sicuramente più vincente accoglierli, oltre che un nostro dovere costituzionale. I servizi, la scuola, il volontariato devono continuare ed essere un punto di riferimento e mettere fra i loro desideri di benessere quella risposta che altrimenti i ragazzi potrebbero trovare nell’illegalità. Dobbiamo continuare a renderli possibili, aiutarli nei percorsi di cittadinanza, per non vanificare i loro sforzi, il nostro lavoro e le risorse impegnate dalle istituzioni. Quindi, almeno per quelli vecchi, diamo la possibilità di rinnovare questi percorsi; per gli altri, e qui arrivo al punto, l'unica soluzione, ma anche quello che la normativa oggi ci impone, pare essere di garantire loro accoglienza, garantire loro tutela, fino al ricongiungimento con la famiglia d’origine, o meglio fino a quando la decisione del Comitato ci impone.

Sul rimpatrio vorrei dire alcune cose. Parlo come persona che vive quotidianamente insieme ad operatori, i quali molto più di me stanno con i ragazzi, perché loro li hanno davanti, vanno nei centri. Quello che sto per dire è il frutto dell’esperienza di un lavoro quotidiano sul campo. Il rimpatrio ha alcuni nodi che ne determinano oggi l’impraticabilità. Il tempo, variabile fondamentale, è già stato citato prima. Oggi ci vogliono sei mesi almeno perché il Servizio Sociale Internazionale dia delle risposte: questo vale solo per l’Albania, non esiste nessun altro tipo di possibilità d’avere informazioni attendibili da altri paesi. Non esistono. Non che il Servizio Sociale Internazionale non lavori. Però, quando noi mandiamo richieste di indagini sociali, i loro assistenti in Albania hanno oggettive difficoltà, perché spesso non riescono neanche a raggiungere i villaggi dove abitano questi ragazzi, per rintracciare le famiglie. Ci vogliono sei mesi quando noi indichiamo precisamente nome, cognome, dove si trovano, dove abitano: altrimenti ci vuole un anno, un anno e mezzo. Quindi i ragazzi collaborano, e non è una cosa da poco. Bisogna accertare l’inadeguatezza della famiglia. Noi ci fidiamo di quello che ci viene detto, potremmo fotocopiare queste relazioni, cambiare i nomi, il numero delle pecore, il numero delle mucche, il numero degli ettari, però più o meno la situazione è uguale per tutti. Quando abbiamo questi riscontri emerge una situazione di povertà materiale, quasi mai un’inadeguatezza genitoriale, comunque i familiari esprimono sempre un parere contrario al rimpatrio del ragazzo, perché proprio loro hanno incoraggiato il progetto migratorio, hanno contribuito economicamente al suo viaggio. Nel frattempo i mesi passano, i ragazzi si radicano sul territorio, vanno a scuola, iniziamo il loro collocamento, incontrano l’ASAI (Associazione Salesiana di Animazione Interculturale, ndr), vanno ai corsi di formazione professionale. I mesi passano, i ragazzi si radicano e sentono di dovere restituire alla loro famiglia i soldi che ha impegnato per mandarli qua ed anche, per così dire, di ricambiare la fiducia, e quindi tutti i ragazzi esprimono verbalmente, o per iscritto, il rifiuto a tornare in Albania o in Marocco.

Per quanto riguarda gli altri Paesi, abbiamo delle grandi difficoltà. Noi abbiamo, come Comune di Torino, la possibilità di usare i mediatori culturali, che devo dire ci aiutano tantissimo. Non so a quanto ammontino le bollette che il Comune di Torino paga per le telefonate internazionali, per rintracciare le famiglie. Noi facciamo il possibile, però poi ci dobbiamo fidare di quello che sentiamo al telefono. Nessuno mette per iscritto che la situazione è quella, quindi sta tutto alle amministrazioni. Cerchiamo d’avere delle prove, ma non sempre è possibile averle. Ripeto, pensavo alle indagini sociali che si fanno in Marocco: anche qui noi non possiamo usare i nostri strumenti di lavoro, le assistenti sociali. La cultura marocchina non sa nemmeno cosa siano le assistenti sociali. Io non so che lavoro può fare un’assistente sociale, so che chi è stato recentemente a casa ha magari incontrato queste persone, avranno studiato in Francia, in Europa, ma non so che tipo di valutazione tecnico-professionale possano fare. Le persone che cosa diranno a queste assistenti sociali? Chi lo sa? Potranno rilevare quello che vedono, non so, tutta la casa, queste cose, ma tutto il sommerso molto difficilmente. Adesso dobbiamo superare queste cose.

Non parliamo della collaborazione dei consolati: mi dispiace molto che il console marocchino non sia presente, perché anche su questo avrei tante cose da dire. Nessuno Stato, posso dire qui pubblicamente, ha mai collaborato per rimpatriare un ragazzo. Dirò di più: è difficile rimpatriarli, ma è ancora più difficile mandare a casa chi vuole tornare. Questo è l’effetto devastante della nostra legge.

Io, qualche giorno fa, ho mandato in Albania un ragazzo pagandogli il biglietto e dandogli cinquantamila lire perché, se aspettavo tutta la procedura, dal momento che aveva quasi 18 anni, sarebbe diventato un clandestino. Mi aveva chiesto di tornare a casa ma aveva perso il suo certificato di nascita per salvare un bambino piccolo nel gommone, e quindi aveva perso la sua roba (non vi sto raccontando un storia, questa è realtà). Gli abbiamo detto quale era la situazione, lui ha preferito tornare in Albania, anche perché adesso il debito viene pagato solo quando il ragazzo è arrivato finalmente a destinazione, perciò aveva fretta di tornare così la madre non avrebbe dovuto ripagare. Ho fatto tutto questo in una settimana, assumendomi la responsabilità e pagando qualcuno che lo proteggesse, perchè senza documento rischiava di rimanere in Italia. Questo per dire come lavoriamo.

Cosa possiamo fare per superare questa situazione?

Dobbiamo sicuramente ridurre i tempi d’indagine, sviluppando questi servizi sociali internazionali anche in altri paesi. Dobbiamo fare questi accordi bilaterali, definendo, non solo a parole, con procedure, con competenze le risorse che dobbiamo attivare noi e loro, ma soprattutto coinvolgendo le famiglie, aiutandole anche economicamente. Solo così i ragazzi torneranno, perché solo se saranno le loro famiglie a dire “va bene tornate, qui forse c’è una possibilità, perché qualcuno ci aiuta”, forse avremo una possibilità di mandarli a casa.

Dobbiamo fare campagne di informazione o sensibilizzazione per scoraggiare, disincentivare, spiegare com’è la legge qua, far capire che non ci sono possibilità, che se i ragazzi poi rimangono qui, da maggiorenni potranno essere espulsi. Bisogna che sia data un’informazione chiara, perchè non si incoraggino i fratelli, i cugini dei ragazzi che sono qua a venire anche loro, anche se so che è una prassi comune. Non è credibile formare questi ragazzi qui, prepararli al lavoro sapendo poi che torneranno al loro Paese, dove il lavoro non c’è, dove non ci sono gli utensili che hanno imparato ad usare qui, perché non ci sono né fabbriche né officine. Questa è veramente la cosa che fa più ridere, non è una cosa credibile, non sta in piedi da nessuna parte. Se facciamo questi discorsi ai ragazzi, se là non possiamo offrire davvero delle reali opportunità, ci prendiamo solo in giro, vuol dire che nascondiamo la testa sotto la sabbia.

Tutti dobbiamo impegnarci per risolvere questo problema, che è complesso, tutti dobbiamo fare in modo che questa legge sull’immigrazione sia applicata. E' una legge innovativa, che avrà sicuramente dei dubbi, ma comunque è una buona legge. Nessuno vuole raggirare la legge, meno ancora le istituzioni, di questo ho la certezza. L’ente locale per primo è chiamato in causa in questo lavoro, perché è inutile che stiamo qui a menar il can per l’aia, le risorse sono sempre più limitate. Giustamente, gli amministratori hanno il dovere di garantire i servizi essenziali a tutti i cittadini, italiani e stranieri, ma soprattutto a quelli che hanno bisogno di essere aiutati. Però io credo che dovremmo provare a fare lo sforzo, per esempio, di decentrare: questo non è possibile perché il Dipartimento Affari Sociali non ha delle sedi periferiche. Non so, non inventiamoci delle cose nuove. Ci sono i Consigli Territoriali per l’Immigrazione presso la Prefettura, potrebbe essere quello il luogo adeguato per decentrare questo tipo di lavoro. Se non ci bastano le linee guida del Comitato per i Minori Stranieri, ci vogliono delle prassi: chi fa e che cosa? Quando arriva il foglio, il nulla osta del Comitato allegato, che cosa succede da quel momento in poi? Chi fa? e che cosa? chi paga il viaggio? chi porta il ragazzo? chi prepara tutto quello che deve essere preparato? Chi lavora nei servizi sente d’avere bisogno di risposte in questo senso, visto che i ragazzi vengono accolti.

Dal momento in cui i ragazzi sono accolti bisogna che tutti, dico tutti, affermino la stessa cosa, quasi contemporaneamente: "Fin che state qua vi aiutiamo". Non dobbiamo avere delle contraddizioni. Se le regole sono queste, tutti le dobbiamo rispettare.

Credo che se verranno attuate solo politiche restrittive, attuati solo rimpatri deterrenti agli arrivi, non andremo molto lontani, perché i ragazzi o non arriveranno più o si nasconderanno, faranno lavoro in nero e finiranno male. Grazie.

 

Moderatrice (Adriana Luciano)

Grazie a Laura Marzin per questo intervento appassionato. Ahimè, i problemi che lei pone sono urgenti, hanno bisogno di soluzioni ma purtroppo non riusciamo ora a risolverli. Credo però che le cose che lei ha detto debbano farci riflettere sulla possibilità di ricostituire delle intese, istituire iter istituzionali a livello locale, altrimenti questo problema, di fatto apparentemente risolto da normative più chiare, rimarrà, nella pratica, largamente irrisolto.

Un piccolo accenno ad una cosa che Laura Marzin ha detto, riferendo di un discorso del presidente del Comitato dei Minori, che nel 2005 ci saranno chissà quanti minori. Io faccio di mestiere la scienziata sociale e mi piacerebbe molto essere in grado di prevedere i flussi migratori, in particolare così, suddivisi per classi di età e per provenienza. Non è vero, non è possibile, nessuno può dire quanti saranno nel 2005, e certamente, insisto, non dipenderà dalle nostre politiche, perché le ragioni che spingono le persone a muoversi sono per l’1% che cosa si aspettano di trovare all’arrivo, ma per tutto il resto, sono dinamiche che non governiamo. Non governiamo, soprattutto se non ci sono intese fra Paesi, se non facciamo politiche di cooperazione, come mi pare non si stiano facendo.

La parola a Fredo Olivero.

 

Fredo Olivero[8]

Presento l’Ufficio Migranti, si chiamava così fino a poco tempo fa, ora si chiama Servizio Migranti. E’ il servizio che la Chiesa di Torino ha messo su e che si occupa di tutta la normativa migratoria, ed in particolare per ciò che riguarda oggi i minori soli, tutto il progetto tutele civili, formazione, accoglienza. Siamo dentro il comitato della Rete d’urgenza e fra i promotori.

Anch’io voglio essere molto franco, anche se penso che il discorso che dobbiamo fare noi è quello che fa la legge, siccome mi sembra che la legge, le esperienze da cui è nata questa ultima legge siano un po’ diverse da quelle di questa ultima circolare. Vorrei anche tirare qualche conclusione, invitando anche questo gruppo, questo seminario, che è attorno al tema dei minori, adolescenti irregolari ed al loro futuro, a prendere posizione nel momento opportuno, nelle elezioni. Ognuno fa delle scelte nella vita ed anche noi.

Lavoro in questo settore da quando è nato il servizio, ho lavorato dall’82 nell’Ufficio Stranieri e poi quando è nato l’Ufficio Minori, poi sono passato a lavorare in Caritas, per la Chiesa.

Noi abbiamo fatto, il 18 ottobre ’92, la prima Intesa su questo tema. Abbiamo fatto una campagna che si chiamava “Colorati ma invisibili”, che è già stata ricordata ma ci aiuta, secondo me, a capire un messaggio di fondo: al centro del nostro interesse erano questi minori.

Nel ’94 abbiamo fatto la seconda Intesa, poi nel ’96, a fine anno, si fece il primo progetto delle tutele civili. Quale era il sogno? Siccome erano minori, esisteva la Convenzione di New York, che l’Italia ha firmato, anche se si dimentica spesso di averla fatta diventare legge di Stato con la 176 del’91. Bisognava applicare le leggi dello Stato italiano, compresa quella Convenzione, in assenza di una legge quadro, di un Testo Unico. Questo ha portato a un appello del ’99 e a vari seminari di approfondimento, in assenza della legge quadro.

Oggi che abbiamo una legge quadro, un regolamento, un decreto che istituisce il Comitato, un decreto che decide cosa deve fare il Comitato e tutta una serie di norme internazionali (la risoluzione dell’Unione Europea, la Convenzione dell’Aja del ’61, il regolamento applicativo del Testo Unico), in questo quadro, è possibile che si debba andare indietro? Questa è la mia domanda.

Dalla fine del ’98 ad oggi il nostro cammino ha avuto momenti e risultati positivi, ma anche nodi irrisolti.

I risultati positivi sono stati la possibilità di un soggiorno per giustizia o per famiglia con possibilità di lavoro per chi era in tutela o viveva con genitori regolari, l'inserimento in un progetto con un futuro in Italia per decine di minori soli con ottimi risultati. Posso dirvi che nessuno dei minori presi in tutela, a quanto ci risulta (sono centinaia), è finito in carcere. Questo è un primo grande risultato che ci dovrebbe far pensare. Era una proposta seria, un patto con i ragazzi, un patto con la società civile. Si è monitorato il territorio, si è fatta una rete con qualche difficoltà, ogni tanto abbiamo avuto dei contrasti, ma mi pare ci siamo molto rispettati, anche se ci sono stati dei momenti di forte tensione.

Oggi i nodi sono due: il permesso per minore età, previsto dal regolamento, con possibilità di essere modificato per motivi di famiglia e poi fermato a 18 anni con questa circolare, ed i minori stranieri irregolari che continuano a vivere tra accoglienza e rimpatrio. Erano questi i nodi che abbiamo affrontato lo scorso anno, il 4 luglio; ho visto che all’ingresso ci sono gli Atti del seminario a cui aveva partecipato Vercellone[9], il quale ci ha dato tutta una serie di orientamenti, quelli che trovate nelle indicazioni del Comitato a firma sua. Credo che sia l’ultimo atto che abbia firmato.

Oggi ci troviamo però in una situazione che speravamo superata: i minori con soggiorno per minore età che vengono invitati ad andarsene con il compimento del diciottesimo anno di età e poi, se non se ne vanno, passati i 15 giorni sono espellibili. I minori con permesso di soggiorno impossibilitati a lavorare ed avere un futuro in Italia. Associazioni con tutele che non intendono solo fare i parcheggiatori a tempo fino al diciottesimo anno. I ragazzi che vedono la via legale difficile e se ne vanno dal territorio, questo è molto diffuso e comincia ad esserlo negli ultimi tempi. Ragazzi entrati ed usciti dal carcere. Minorenni o maggiorenni che invece hanno avviato una micro organizzazione criminale rimangono tranquilli sul nostro territorio, come prova che si può vivere diversamente e sono un forte richiamo. Parlo di ragazzi albanesi a Mirafiori ed in altre zone. Famiglie ricongiunte illegalmente con figli che vedono fallito il diritto a vivere in famiglia perché oggi c’è la possibilità non solo di mandare a casa il ragazzino ma anche la famiglia che lo ha fatto venire illegalmente e viene fatto.

Il nostro paese ha fatto un Testo Unico e poi un Regolamento dove è previsto, senza distinzioni, il permesso di soggiorno per minore età nell’interesse del minore. Ma siccome, è già stato detto, e non lo ripeto, che questi minori hanno un progetto di lavoro in Italia, e anche la loro famiglia ha questo progetto, credo che il risultato sia che stiano tra noi, se accettano il programma.

La nostra valutazione è: nella quasi totalità dei casi, tolti i rapimenti di ragazzine, partono come adulti. Io quando avevo 12 anni lavoravo, a 14 avevo i libretti, e anche i ragazzi di questi Paesi, che vengono da noi dal Marocco, dall'Albania, dalla Romania, sono adulti per un lavoro e per un futuro qui. O si è in grado di contrastare il fenomeno creando garanzie alternative nel Paese di origine, oppure i costi, questo mi sembra un nodo importante, sono ben inferiori se fatti in un cammino di inserimento e di integrazione con soggiorno, con la possibilità di restare legalmente. Parlo anche a nome di altre associazioni della Chiesa di Torino: siamo disposti a continuare nella legalità, nella chiarezza, nella certezza del diritto. Non siamo più disposti a fare i parcheggiatori a tempo, se non per il bene dei minori che ci chiedono eventualmente di rientrare. Nessuno vieta, tranne l’ultima circolare del signor Pansa, di trasformare quel soggiorno per minore età, nello spirito del regolamento che dice che un soggiorno (è anche il parere del giudice tutelare) deve dare la possibilità di lavoro, deve essere per lavoro e per formazione.

Se ricacciamo in strada i minori, tra pochi anni avremo bisogno di un secondo carcere minorile, ed i progetti alternativi salteranno. Ci vogliono percorsi pregnanti, applicazione delle repressioni per chi rifiuta i progetti di inserimento ed organizza la criminalità tra di noi. Deve finire l’impunibilità dei minori che hanno scelto il crimine, minori che poi diventano pane per gli adulti. Il lavoro coordinato in rete tra pubblico e privato sociale. Lo Stato, l’unico che non ha fatto finora il suo lavoro, deve farlo sia in Italia che nei Paesi con cui ha fatto gli accordi: Romania, Albania, Marocco. Ci sono accordi scritti. Tutte le scelte che dobbiamo fare, per quel che ci riguarda sono nell’interesse del minore, che sono anche nell’interesse della nostra società.

Ci sono due categorie di minori di cui si parla molto poco, non sono soli ma a forte rischio, sono i così detti “seduti su due sedie”. Prima, la seconda generazione appena ricongiunta con genitori regolari e con la casa; non è così scontato l’inserimento di un adolescente strappato dalla sua terra, dalla sua vita, dai suoi sentimenti, senza proposte di sostegno. Non si va lontano. Seconda, gli adolescenti ricongiunti irregolarmente con genitori con lavoro ma irregolari, o anche regolari e con un progetto di vita qui, che con la legge attuale non hanno un futuro. Queste due categorie sono molto numerose, a rischio, dimenticate da tutti. Il loro numero è superiore, molto superiore, ai minori soli ed in molti casi i rischi sono simili. Hanno bisogno di socializzare. Proviamo a muoverci in tempo, tutti insieme, sulla linea della prevenzione.

Grazie.

 

Moderatrice (Adriana Luciano)

Grazie a Fredo Olivero che come sempre è chiaro e conciso. Mi pare che i messaggi che ci ha mandato sono molto importanti e chiedono delle risposte. Dobbiamo davvero seriamente riflettere come dare queste risposte.

Vorrei solo ricordare ai presenti che hanno nella cartellina un breve questionario da compilare. L’organizzazione chiede vivamente che siate così gentili e pazienti da compilarlo. E’ un modo per mettere insieme delle informazioni e quindi di continuare questo lavoro di analisi che faticosamente stiamo cercando di fare intorno a queste problematiche.

Come vi ho già detto non ci sarà l’intervento del Servizio Sociale Internazionale, però trovate in cartellina un testo importante perché conferma, dal punto di vista del Servizio Sociale, le difficoltà di realizzare rimpatri dove c’è stato un impegno significativo del nostro governo o dove ci sono accordi internazionali. La situazione è meno chiara rispetto alla relazione con il Marocco: ci sono stati contatti, ci sono stati mezzi accordi, ma le cose non hanno preso, almeno fino ad ora, la forma di ciò che sulla carta hanno preso in Albania.

Sued Benkhdim ci dirà qualche cosa su questo argomento.

 

Sued Benkhdim

Buona sera a tutti. Oggi sono qui in veste di rappresentante del Console del Marocco. Mi dispiace fare questo ruolo, perché io, che sono stata con amici del volontariato maghrebino fino a 2 anni fa, sono molto critica nei confronti del nostro governo. Però le cose stanno cambiando, per fortuna, altrimenti non parlerei mai a nome del governo marocchino.

Purtroppo il Console non è potuto venire per il fatto che è stato invitato questa mattina all’ambasciata marocchina perché devono fare gli ultimi documenti per aprire il consolato la prima settimana del mese di aprile, e quindi manca per una cosa utile per il Piemonte, la Valle d’Aosta e la Liguria.

Noi abbiamo cercato alcuni mezzi, non solo per colpire l'opinione pubblica, ma anche per avere una presenza concreta da parte del governo marocchino, per dialogare direttamente, perchè prima venivano interpellate le associazioni, ma non potevano dare delle risposte concrete alle istituzioni italiane. Quindi, abbiamo colpito l'opinione pubblica con i mezzi di comunicazione e la televisione, la quale per sei mesi è andata in Marocco per portare le immagini della realtà dei minori soli in Italia. La cosa importante è stata riportare le testimonianze dei ragazzini che sono venuti con un grande sogno e si sono invece trovati in posti dai quali non si riesce a tornare indietro e nemmeno riescono a stare in Italia tranquillamente. Io penso che i minori in stato di abbandono siano la categoria più vulnerabile e quindi, se non hanno mai avuto a che fare con i servizi sociali marocchini, non possono credere nei servizi sociali italiani. Gli sfuttatori sono molto più bravi di qualunque struttura sociale o scientifica in quanto questi trafficanti hanno i loro rappresentanti, i loro manager, i loro sociologi che studiano i punti deboli di questi ragazzi. Quindi se il ragazzo viene da una realtà di estrema povertà basterà regalargli dei vestiti di marca, il mangiare e un luogo dove dormire, anche se malsano. Il ragazzino, per il rispetto della sua cultura, non tradirà mai “il patto di sale”, per cui dovrà sempre ascoltare chi gli ha dato la prima ospitalità. Ci troviamo in difficoltà a lavorare con questi ragazzi, così anche noi abbiamo fatto un patto con il sostegno del volontariato. Però, mi pare che gli sfruttatori abbiano vinto perchè dicono ai ragazzi che il "patto di sale" è diventato un "patto di sabbia".

Spero vivamente che si possa tornare alla serenità precedente alla circolare, in modo che si possa dire delle cose sicure ai ragazzi e agire in massima collaborazione con il volontariato contro lo sfruttamento minorile marocchino. Io ho lavorato per molto tempo, all'inizio della mia presenza a Torino come donna immigrata, con Adriana Luciano: mi piace molto perchè lei richiede, per il suo lavoro, la collaborazione di professionisti con strumenti adeguati.  

Io credo sia stato fatto un errore, perchè in Italia non c'è mai stato qualcuno che coordinasse questi sforzi, per evitare, già anni fa, di lasciare spazio agli sfruttatori e alle persone che vengono con l'idea di spacciare per ottenere in fretta facili guadagni. E' mancato questo coordinamento, non dico a livello legislativo, ma sociale, di tutti quelli che lavorano con i minori. Io sento che manca un anello importante, cioè un unico intervento per le varie categorie di minori che ci sono.

Parliamo del rimpatrio: nel passato doveva essere preparato. Io ho verificato queste cose in Marocco, ho visto personalmente i rimpatri. Andavo all'ufficio del Ministero degli Esteri e trovavo una relazione fatta dal Servizio Sociale Internazionale dove c'era scritto che bisognava contattare la famiglia, ma quasi sempre il cognome fornito dal ragazzo era falso, una volta è capitato che avesse dato il nome di un giocatore di calcio famoso in Marocco. Così abbiamo iniziato ad andare a verificare i posti e i luoghi da dove provengono questi minori, cioè i quartieri popolari di Casablanca. La cosa che mi ha colpito è che i primi rimpatri di minori che avevano compiuto reati erano stati decisi dal giudice dopo aver dato al ragazzo l'opportunità di rimediare, ma non si era giunti a nessun rimedio. Noi abbiamo chiesto a un avvocato, a un assistente sociale marocchino e alla famiglia di aspettare il ragazzo all'aeroporto ma la famiglia difficilmente si presenta, perchè c'è una legge che punisce i genitori di questi ragazzi. Se il ragazzo aveva frequentato dei corsi professionali, erano inseriti in attività artigianali seguiti da maestri. In un anno abbiamo inserito sette ragazzi tra cui due provenienti da Torino.

Siccome abbiamo notato il grande desiderio di guadagnare soldi, al loro rientro in patria abbiamo contattato degli artigiani che lavorano con il gesso o fanno i mosaici, due attività fatte da ricchi e quindi ben retribuite, così alcuni sono stati inseriti in queste attività. Con questi ragazzi ci siamo posti alcuni obiettivi ben precisi. Ora lavorano in Arabia Saudita e quando finiranno andranno in Egitto.  

E' difficile far partecipe la famiglia di ragazzi senza documenti. Abbiamo dei contatti con i presidenti delle circoscrizioni di quartiere, i sindaci di villaggi, così la famiglia non si deve preoccupare dei documenti, ma se ne occupano direttamente questi interlocutori.

Per quanto riguarda la categoria degli orfani, è impossibile avere l'atto di nascita se non c'è un avvocato in Marocco che vada a fare delle ricerche negli atti del tribunale. Abbiamo contattato quattro magistrati che lavorano solo con i minori, sono venuti qui e abbiamo cercato di sensibilizzarli. Per anni ho stancato il Tribunale per i minorenni, così ora appena sentono nominare la dottoressa Di Marco e la dottoressa Calcagno collaborano immediatamente.

Problema grandissimo, come hanno già detto Adriana Luciano e Fredo Olivero, sono i minori della seconda generazione. Quando si parla di seconda generazione, non sono solo genitori che hanno fatto il ricongiungimento familiare, noi abbiamo anche mamme sole che hanno fatto il ricongiungimento di figli, che erano stati lasciati ai nonni. Sono ragazzi molto fragili che vivono il sentimento verso la mamma come odio-amore, che si chiedono come mai la mamma li ha lasciati così piccoli. La mamma considera il ragazzo, anche se ora ha 15-16 anni, ancora un bambino così com'era quando ha lasciato il Marocco. Manca la figura del padre come capo famiglia.

I minori sono venuti a fare i piccoli, quando passano al giro dello spaccio si trovano troppo soli e tagliati fuori perché tutti i minori che spacciano sono arrivati da soli in modo clandestino. Hanno sofferto molto, perché il viaggio è in nave e quando arrivano in Italia, soprattutto a Genova, arrivano sfiniti, alcuni con gravi problemi psicologici.

I minori consumatori di droga per noi sono un grosso problema perché sono ragazzi difficili da recuperare, in questi casi sono state interpellate le famiglie per poter dar loro un ritorno dignitoso. 

A Torino c'è il fenomeno di minori della seconda generazione che scappano dalla famiglia e trovano accoglienza presso ragazzi che spacciano, questo capita perchè vogliono scappare da schemi rigidi e la libertà, per loro, è quella dei ragazzi senza genitori che possono stare fuori anche la notte.

Minori già rimpatriati due o tre volte: sono minori che hanno fatto percorsi positivi in comunità, sono veri piccoli barboni che dormono all'aperto, vivono vendendo ogni tanto hashish, perchè non la ritengono una sostanza forte, pesante. La cosa bella di questi ragazzi è che se si offre loro un progetto, ci credono e accettano il reinserimento in comunità. 

Seconda immigrazione: sono minori che arrivano a Torino dopo aver soggiornato in Spagna per due o tre anni, alcuni sono con la famiglia, altri no. Ora sono collocati in comunità. Sono tutti ragazzi provenienti dal nord del Marocco, che la Spagna ha accolto in uno stato disastroso. Sono ragazzi che fanno uso di droghe non pesanti. In Italia cercano qualcosa di più, ma trovano il giro dello spaccio. Noi cerchiamo di collocarli in spazi dove non avvengano contatti con il mondo dello spaccio.

Nella seconda generazione sono inseriti anche i minori figli di coppie miste. Tutti e due i genitori sono stranieri, ma provengono da paesi diversi. Sono ragazzi con problemi, anche se non tutti. Quando una mamma marocchina è sposata con un papà egiziano, i bambini nati qui sono italiani, marocchini o egiziani? Una bambina di quattro anni racconta le favole in italiano, quando parla lo fa in marocchino e quando si arrabbia lo fa in tunisino.

 

Moderatrice (Adriana Luciano)

Sued e Laura, in maniera complementare, ci hanno permesso di capire un po’ meglio di che cosa ci stiamo occupando e credo che ognuno di noi, credo anche il dottor Longo, faccia fatica a pensare alla circolare del Ministero e poi ragionare su questi ragazzi.

Per chi non è di Torino: quando Sued dice "noi abbiamo fatto", forse pensa che dietro Sued ci sia un'organizzazione, ma non è vero. Sued è aiutata da poche persone, da poche famiglie marocchine che lavorano con lei, ha un buon rapporto con i servizi sociali. Vi assicuro che le risorse con le quali loro lavorano sono davvero inadeguate.

La parola a Sergio Kristensen, di "Save the Children".

 

Sergio Kristensen[10]

Parlerò del programma “Minori separati in Europa”, del quale ha già parlato Angelo Simonazzi, ma io darò più dettagli. 

Il programma “Minori separati in Europa” è un programma di ricerca e analisi di politiche, per poter poi influenzare il livello europeo internazionale. Per fare delle pressioni abbiamo bisogno di dati forti e chiari, per poterci confrontare con chi prende decisioni, quindi le istituzioni politiche. 

Il programma è iniziato 3 anni e mezzo fa a seguito del grande flusso di bambini separati che arrivava dalla ex-Yugoslavia e dai Paesi della Federazione Russa. La prima cosa che il programma ha fatto è stata le "Indicazioni per una corretta prassi per i minori separati in Europa", che avete nella vostra cartella ed è stato tradotto in tutte le lingue in cui il programma funziona.

Il programma è presente in 28 paesi europei più la Turchia, che ha lo statuto di osservatore, e la Russia, che ha fatto domanda di entrare in questa rete. L'importante è sapere che questo programma dei minori separati è implementato e attuato da Save the Children insieme all'ACNUR, l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Dato che l'ACNUR ha delle implicazioni politiche, essendo un'organizzazione dell'ONU, e dato che ha il mandato di protezione per i rifugiati, Save the Children non lavora insieme all'ACNUR per paesi come la Turchia e la Russia, ma, come Save the Children, in questi paesi noi ci siamo. Siamo presenti in questi 28 paesi, più Turchia e Russia, con una serie di ONG e organizzazioni locali. La messa a punto di questa rete di ONG e organizzazioni locali è una cosa importantissima, fondamentale per l'attuazione del programma. Ci sono delle reti di ONG in tutti questi paesi. Alcuni problemi ci sono in Polonia, dove ci saranno delle altre organizzazioni che si aggiungeranno a questo programma. Il problema, in Polonia, è che all'inizio il contatto era fatto con l'Università di Varsavia: noi, però, preferiamo lavorare con delle ONG e delle associazioni che abbiano esperienza sul terreno. 

Generalmente, a livello nazionale lavoriamo con le organizzazioni Save the Children nazionali, come per esempio in Francia. La Save the Children nazionale francese non era molto interessata, perchè vedeva questo programma solo per i minori richiedenti asilo: questo è un problema, ma è solo una piccola parte e anche qui in Italia altre Ong si sono aggiunte a noi. 

C'è una divisione abbastanza netta fra nord e sud Europa. Il nord è più interessato a lavorare con i richiedenti asilo, perchè i numeri sono più alti e la prassi e la procedura sono ben oliate; mentre nei paesi del sud Europa (Portogallo, Francia, Italia e Grecia) le associazioni sono più interessate a lavorare con i minori non richiedenti asilo, perchè sono la maggioranza.

Quali sono i requisiti per far parte di questa rete di ONG nel programma?

Ci vogliono quattro requisiti:

1° - impegno per promuovere e implementare queste “Indicazioni per una corretta prassi per una corretta prassi per i minori separati in Europa”;

2° - impegno a implementare questa prassi nel proprio Paese;

3° - impegno per un progresso a livello europeo, per condividere informazioni e mettersi d'accordo su azioni parallele, perché questa prassi sia incrementata;

4° - impegno a lavorare con altre organizzazioni nel proprio paese che supportino queste prassi.

C'è sempre un'analisi nazionale fatta dalle reti nazionali seguendo criteri ben definiti, perchè vogliamo dei criteri uguali per tutti, per confrontarci con le istituzioni. Con queste ricostruzioni nazionali possiamo mettere tutti assieme i quindici Paesi dell'Unione Europea, anche la Norvegia, e con questa ci siamo confrontati. 

Ci sono cinque aree di interesse su cui stiamo lavorando con l'Unione Europea, soprattutto con la Commissione Europea.

La prima è cercare di influenzare la direttiva sull'accoglienza e quindi mettere il problema dei minori separati su questa direttiva dell'accoglienza; la seconda riguarda gli standard minimi per le procedure di richiesta d'asilo; la terza concerne il ricongiungimento familiare; la quarta è la revisione delle Convenzione di Dublino, finalizzata al ricongiungimento familiare e, infine, la quinta è la protezione umanitaria sussidiaria.

C'è anche tutta l'area di protezione temporanea, ma è un'area abbastanza grande: la teniamo d'occhio, ma non è per noi prioritaria, in questo momento.

Tutto questo è basato sulle "Indicazioni per una corretta prassi per i minori separati in Europa" e anche su un altro documento, che riassume la situazione nei quindici Paesi dell’Unione più la Norvegia.

Nei prossimi tre mesi faremo un'altra analisi sui paesi dell'Est e sui Balcani, perchè c'è un problema crescente dei minori separati in questi Paesi, soprattutto in Cecoslovacchia, Russia, ecc. Questi Paesi erano di transito, ma sempre più i minori vi si fermano.

So che in Italia siete molto interessati ai minori separati non richiedenti asilo, perchè sono la maggioranza. Quindi il programma scriverà un documento simile a questo per una corretta prassi per i minori separati non richiedenti asilo.

Il secondo passo è quello di fare un'analisi nazionale in tutti i Paesi che ancora non l'hanno. 

E' importante focalizzare l'attenzione sui bambini separati non richiedenti asilo, perchè sono i più vulnerabili. E' importante coordinare tutti gli sforzi a livello nazionale ed europeo, vedo che ci sono molte organizzazioni che stanno lavorando su questo problema.

Abbiamo menzionato oggi varie volte il problema dei dati, di quanti sono i minori, da dove vengono: a seconda di quelli che hanno parlato, questi dati cambiano molto. Questo non è solamente un problema italiano: anche in Danimarca, dove lavoro, si parla di 250/300 minori separati all'anno, però, quando poi si guardano le statistiche ufficiali, si va da 100 a 300.

Una delle cose più importanti è arrivare a una conoscenza di dati certi sui minori separati che arrivano o transitano in Europa.     

 

Salvatore Longo

La circolare non ha detto nulla in più se non interpretando in tal senso quello che, secondo noi, dice il regolamento. Secondo me, ma è un'opinione mia, è che non sia molto sbagliata questa interpretazione anche perchè ad un certo punto l'articolo 30 o 31 (se non ricordo male) dice "quel permesso di soggiorno dato per famiglia, ricongiungimento familiare, o per affidamento ai sensi della legge 184/83, può essere convertito alla maggiore età e comunque dà diritto al lavoro autonomo, al lavoro subordinato, eccetera". Questo ci fa ritenere che le stesse facoltà non siano legate al permesso di soggiorno per minore età. Alla luce anche di che cosa? Della ratio della legge, che è quella di tutelare il minore in attesa di una valutazione più precisa della sua posizione di soggiorno in Italia e di eventuale rimpatrio. Nel momento in cui questa valutazione sarà più favorevole, nel senso che la permanenza in Italia potrà essere più completa, è chiaro che a quel punto si dovrà necessariamente far luogo ad un permesso di soggiorno. Io sto dicendo che nel momento che il minore non è nell'ambito della propria famiglia, non è affidato, se non viene rimpatriato, questa situazione bisognerà ad un certo punto valutarla: questa valutazione potrebbe dare luogo ad un permesso. E’ un problema da verificare.

Sul problema della circolare che ha innescato questo meccanismo, io mi permetto di dire che non è proprio così, perché la circolare è del 13 novembre: io fino alla fine di ottobre ho diretto l'ufficio (Ufficio stranieri della questura di Torino, ndr) e già da tempo io applicavo la norma così come dice la circolare, perché la attuavo in base ad una interpretazione del regolamento del Testo Unico. Io non ho mai preso in esame quella circolare, perché già non dirigevo nemmeno l'ufficio a quell'epoca. Resta invece il problema di vedere quali sono le possibilità di non andare a far perdere tutte quelle possibilità che i minori hanno avuto a seguito di permessi di soggiorno che dal punto di vista formale erano indicati come permessi di soggiorno per minore età, dati prima dell'entrata in vigore del Testo Unico o del Regolamento (perché è poi il regolamento che ha fatto vedere le cose in maniera diversa) ecco quindi io credo che dal punto di vista tecnico si potrebbe, non credo che ci siano degli ostacoli insormontabili da quel punto di vista. Certo è che da quel momento, non c'è dubbio, non è un problema di circolare, è l'applicazione del Testo Unico che ci porta a questo tipo di interpretazione.

 

Moderatrice (Adriana Luciano)

Grazie al dottor Longo. Però vorrei una risposta, forse con più precisione, rispetto anche a quello che diceva prima la dottoressa Giannone: è chiaro e certo che, per quei ragazzi che avevano avviato il percorso prima della circolare e che sono arrivati in scadenza, si mantiene il progetto così come era stato avviato? Questa è una storia in cui sembrano essere state date certezze prima e poi ritrattate...

 

Salvatore Longo

Io non credo, la dottoressa Giannone già parlava di intese, di accordi che aveva preso con l'ufficio, che io credo che da un punto di vista tecnico non è difficile andare a trovare.

 

Moderatrice (Adriana Luciano)

Siccome questa cosa non è stata del tutto chiarita e non ci sono certezze a questo momento, ci piacerebbe che almeno su questo punto ci fosse maggiore chiarezza: permesso di soggiorno per minore età che non vale per il lavoro. Questo è un chiarimento importante, perché è proprio su questo che sono nate molte incertezze.

 

Salvatore Longo

E' un discorso chiarissimo, non possiamo stravolgere l'impianto normativo. Quello che mi sento di dire è che si può vedere le situazioni nate come permessi per motivi familiari, prima dell'entrata in vigore, ma io parlerei del regolamento proprio, si possono vedere uno per uno, perché chiaramente ogni caso ha la sua particolarità.

 

Moderatrice (Adriana Luciano)

Io credo che i termini della questione siano ormai molto chiari a tutti e credo che oggi ci siano stati elementi di ulteriore chiarimento e che le coordinate del problema siano chiare; mi pare assolutamente evidente che è necessario trovare dei momenti di incontro tecnico, anche su questo problema di capire dove e come si possono adottare certe soluzioni e dove no, e questo deve essere assolutamente chiaro a tutti gli operatori. Vi chiedo per esempio che all'interno di un accordo a livello locale ci sia un impegno da parte della Questura a dare informazioni molto precise e molto chiare a tutti gli operatori, che indubbiamente questo andirivieni dagli uffici, questa defatigante messa insieme dei documenti, queste perdite di tempo infinite, sono una cosa che va contro la logica stessa dei principi generali di cui abbiamo oggi discusso, sulla necessità di dare assistenza ai minori, di darla tempestivamente, di dare certezza, di dare trasparenza. Io credo che su questa strada molto si possa fare sul piano amministrativo, pur rimanendo il quadro di riferimento normativo della circolare. Se poi il quadro di riferimento cambierà, e certo non dipende da noi a livello locale, allora potremo fare certi passi; ma io credo che questo impegno ve lo possiamo chiedere, credo che già in passato la Questura di Torino abbia mostrato intelligenza, comprensione e sensibilità e quindi forse questo è il momento di prendersi un impegno di questo genere; sugli altri elementi vedremo in seguito.

 

Maria Pia Brunato[11]:

Buona sera a tutti. E' stata fatta la richiesta di creare una sede istituzionale per trattare questi argomenti: io credo che la possibilità ci sia e sia il momento. Perché il momento? Non voglio farne un argomento politico: la Regione Piemonte si è appropriata dell'argomento immigrazione solo in termini di flussi: non ha mai parlato di politica di immigrazione; rientra nella sua politica e va bene così. Il legislatore ha creato con la legge 40 il Consiglio Territoriale per l’Immigrazione: io ne faccio parte e più volte ci è stato detto che nelle intenzioni dei legislatori, il Consiglio Territoriale per l'Immigrazione dovrebbe essere la sede territoriale che si occupa delle politiche di immigrazione; allora ci è stato dato questo strumento. Devo dire che in Provincia di Torino, grazie al presidente del Consiglio e al Prefetto, il Comitato si è riunito, ha deciso di formare dei gruppi, e credo che quella sia la vera sede istituzionale attraverso la quale questi argomenti devono passare. Perché c'è il Prefetto, ci sono le istituzioni, ci sono le associazioni di volontariato e i rappresentanti degli immigrati e quindi è una sede istituzionale forte. E ce n'è particolarmente bisogno in questo momento, perché con l'istituzione del Fondo Nazionale Sociale, alle Regioni non vengono più attribuiti i finanziamenti per le politiche sociali sulle singole leggi, ma viene attribuito un fondo indistinto. Allora, o c'è un momento istituzionale forte di interlocuzione rispetto alla Regione, oppure certe politiche rischiano di essere politiche di serie B; e come assessore provinciale, consentitemi anche di dire che le politiche sull'immigrazione rispetto alla città di Torino, forte e importante com'è, e il resto del territorio provinciale sono sicuramente state in questi anni politiche di serie B: perché sono state affidate non alla bontà, perché non è il termine giusto, ma alle possibilità che i servizi sociali dei singoli comuni o comuni associati potevano avere, e vi assicuro che fuori dalla città di Torino, le risorse per queste politiche sono poche.

Io credo che si debba insistere perché quella del Consiglio Territoriale diventi la sede istituzionale, quindi più forte di tanti altri tavoli. Da parte delle Provincia c'è la disponibilità, non solo per passione, ma anche per ruolo istituzionale a collaborare fortemente rispetto a questo tavolo, e credo, e spero, che questo appello venga accolto.

 

Dal pubblico

Buona sera a tutti, io mi chiamo Giuseppe Spedicato, faccio parte di un'organizzazione ONG che si chiama CTM, che gestisce un centro di accoglienza per minori stranieri non accompagnati. In questi due anni e mezzo ne abbiamo accolti circa 500. Vorrei che si facesse una maggior attenzione a questo fenomeno, perché a mio avviso è un fenomeno che per molti anni è stato completamente trascurato e adesso ci troviamo in una situazione pesante, tanto che, probabilmente, abbiamo in molte città i bambini per strada come in Sudamerica.

Quando un giovane viene a contatto con un Servizio Sociale, una struttura di accoglienza come la nostra, bisogna stabilire entro pochissimo tempo da questo contatto se il minore deve rimanere sul terreno nazionale oppure deve essere rimpatriato. I servizi sociali vengono sì e no una volta ogni tre mesi e non ci danno indicazioni, manca una prassi, manca una cultura, se c'è un problema non si sa a chi chiedere e quindi viene lasciato praticamente tutto a ciò che noi riusciamo a fare: senza nessun mezzo, e quindi il 90% dei minori che noi abbiamo sono completamente a nostro carico. Ora lo Stato deve fare in modo che questi minori, ad un mese dall'arrivo, contattino il Servizio Sociale; si deve avere il coraggio, se devono essere rimpatriati, di rimpatriarli immediatamente, non di tenerli in una situazione di clandestinità, e nel momento in cui si decide di inserirli bisogna anche avere le risorse per farlo. Ora, in Italia non si fa né una cosa né l'altra, cioè se non fosse per la generosità popolare, una parte dei minori che abbiamo sarebbe già morta di fame. Questa è la situazione. Altra cosa da fare: occorre che a livello nazionale si formi anche una rete in modo da scambiarsi l'esperienza e fare in modo che si consolidino delle prassi, che ci sia una vera cultura dell'accoglienza e evitare che una questura si orienti in un modo e un'altra in un'altra: il fenomeno è talmente complesso che un singolo poliziotto può interpretarlo in un modo e un altro in un altro, e non si può dare la colpa al poliziotto.

L'altra cosa che si dovrebbe fare è che si creino dei punti di riferimento nei Paesi di provenienza di questi ragazzi: non si può lavorare senza sapere effettivamente come si chiama il ragazzo e chi è. Quando il minore arriva da noi, sappiamo quello che ci dice lui, punto e basta, molto spesso non ha alcun tipo di documento, e prima di avere dei dati reali, delle informazioni reali, ammesso che riusciamo ad averle, passano mesi, perché bisogna conquistarsi la fiducia del ragazzo, e intanto sta due, tre mesi, quattro mesi nel centro senza avere la possibilità di fare un vero programma. Questo è veramente assurdo.

 

Moderatrice (Adriana Luciano)

Non siamo in grado di coordinare le questure, però, sicuramente, a partire da questo incontro forse saremo un po' più in grado di coordinare, di mantenere i contatti tra le varie associazioni, organizzazioni: anche questa offerta di stabilire dei contatti, di allargare la rete mi sembra uno strumento importante. Sulle Questure ci auguriamo che arrivino dal Ministero degli Interni lumi più precisi, o meglio, non più precisi, ma più coerenti con quella che riteniamo essere una buona politica di accoglienza per i minori.

 

Dal pubblico

Sono Moricucci dell'AIBI (Associazione Amici dei Bambini), siamo una ONG che si occupa prevalentemente di adozioni internazionali, di sviluppo e di cooperazione.

Attualmente stiamo lavorando ad un progetto di rimpatrio - ricongiungimento familiare insieme ai centri di accoglienza del territorio lombardo. E' un progetto che noi abbiamo definito di “rientro protetto, sostenuto, e dignitoso, di minori stranieri non accompagnati”. Questo perché pensiamo che l'attuazione di un rimpatrio debba avvenire con queste condizioni, ovvero un rimpatrio protetto, che garantisca l'integrità fisica e psicologica dei minori non accompagnati; che si debba fornire anche un sostegno al reinserimento in famiglia e nel contesto socio - territoriale, permettendo la strutturazione di condizioni che permettano al minore nel paese di origine di avere una vita dignitosa. Noi stiamo in questo senso lavorando per cercare di mettere in rete un lavoro che formi l'operato sia di operatori che lavorano sul fronte italiano, ma anche di operatori che lavorano nel paese di origine dei minori stranieri.

A questo proposito viene la domanda: secondo voi, quando e a quali condizioni, un rimpatrio assistito e un ricongiungimento familiare, possono avvenire nel rispetto dei diritti supremi del minore straniero non accompagnato?

 

Moderatrice (Adriana Luciano)

E' una domanda molto difficile. Credo che su questo il Comitato dia alcune indicazioni molto generali, le linee guida. Sappiamo bene che poi al di sotto di questo ci sono tutte le pratiche concrete che devono essere fatte per arrivare a quel risultato: è anche vero, diceva questa mattina la dottoressa De Marco che, stante le condizioni richieste dalla legge, le condizioni internazionali per i rimpatri, non si può immaginare che la strada del rimpatrio sia una strada così facilmente generalizzabile. Anche oggi sono state dette molte cose, che ci inducono a ritenere che questa strada del rimpatrio va praticata indubbiamente (sono anche le cose che ci diceva Sued) quando ne ricorrono le condizioni e queste condizioni, lo abbiamo visto, lo sappiamo, sta scritto, sono condizioni severe: perché queste condizioni siano rispettate, iniziative come le vostre sono indubbiamente pregevoli; soltanto con una rete di rapporti, di rapporti tra ONG, di rapporti tra paesi, soltanto attraverso una conoscenza molto spicciola dei territori, delle situazioni, delle realtà, si possono fare queste cose. Speriamo nei prossimi anni di poterle realizzare. Grazie.

 

Dal pubblico

Vorrei chiedere se nella ratio della legge è possibile il fatto di concedere il permesso di soggiorno fino al diciottesimo anno, come possa essere inteso che al diciottesimo anno non debba venire convertito in un permesso di soggiorno..

 

Moderatrice (Adriana Luciano)

La domanda è chiara: il dottor Longo pensa di avere già dato una risposta, ma io chiedo o alla dottoressa Giannone o all'avvocato Trucco di darci la loro ulteriore risposta.

 

Daniela Giannone

Penso che la ratio che sottenda la scelta della minore età sia proprio quella di garantire a tutti i minori sul territorio nazionale una situazione di regolarità. Questa d'altro canto era stata una richiesta che proveniva da tutte le parti, perché pensavamo che fosse la soluzione per evitare anche discriminazioni, il permesso per minore età doveva essere il permesso che garantiva a tutti i minori la tutela dei loro diritti in virtù della permanenza sul territorio nazionale: ecco, questo è l'aggancio, ed è di lì che probabilmente è partita la non conversione ai diciotto anni. Il problema è secondo me di riuscire a discriminare con il raggiungimento della maggiore età, una situazione da un'altra. Allora a tutti i minori, questa è una opinione personale, garantiamo la regolarità fino ai diciotto anni: bisognerebbe distinguere ai diciotto anni in base a un resoconto, verifica, del progetto personale, di vita, eccetera, se il progetto abbia avuto un eco, quindi non con un automatismo, come forse è avvenuto per un periodo abbastanza lungo; forse noi non siamo riusciti con le tutele a garantire alla Questura che in realtà i minori in tutela avessero tutti un certo percorso. D'altro canto tutela non vuol dire solo i buoni, tutela vuol dire il legale rappresentante, ci sono i buoni e ci sono quelli che si allontanano dal progetto. Allora ci vorrebbe la possibilità di potersi esprimere alla fine del progetto e poter dire: "Questo ragazzo ha finito il percorso, si è inserito dal punto di vista lavorativo, ci sono gli estremi perché prosegua in questo modo". Oppure: “Non lo ha seguito: un'ora dopo i diciotto anni diventa espellibile da adulto”. E' questo un po' il meccanismo che è saltato con quell'indicazione così netta. Allora il discorso, il motivo di essere, non tanto della tutela, perché io la tutela la dovrò aprire, qualunque sia il minore, tutele che mi vengono dal penale, ovviamente io dovrò vedere alla fine quale valutazione, secondo il progetto, secondo se l'aggancio sia avvenuto oppure no; però per tutte le altre situazioni io non ho capito e forse ne sa di più la signora Marzin, è chiaro che ci sono i ragazzi che sono partiti allettati da soluzioni più remunerative, però diciamo che un ottanta per cento, mi sbilancio così, di soluzioni favorevoli ci sono state.

 

Salvatore Longo

Quell'ostacolo non è messo dalla circolare, è messo dalla legge, non è un problema amministrativo, è un ostacolo messo dalla legge: nel momento in cui la legge dice che al compimento del diciottesimo anno di età il permesso di soggiorno per motivi di famiglia può essere convertito in un altro permesso (può), per l'altro non dice assolutamente nulla.

 

Moderatrice (Adriana Luciano)

Mi pare che stiamo girando in tondo perché questi argomenti li abbiamo già visti e pare non ci sia accordo su questo.

Scusate, se questa fosse una sede in cui possiamo dirimere la questione, trovare la soluzione, allora io starei qui a dire andiamo avanti fino a mezzanotte: credo che continueremo a ripetere questi argomenti, credo che tutti quanti abbiamo chiaro quali sono le posizioni e ognuno sparerà le sue cartucce sui tavoli su cui potrà operare, per vedere se qualche cosa si ottiene.

Ancora due parole a Sued.

 

Sued Benkhdim

Ha ragione la volontaria della Lombardia perché non abbiamo parlato in termini ben precisi rispetto al rimpatrio. Io mi chiedo solo questo: faccio parte di una fondazione della comunità marocchina a Rabat e abbiamo saputo che sono stati presentati 23 progetti solo in Nord Italia, progetti di rimpatrio di minori. Mi ha molto spaventato, perché io mi occupo di minori, che tutti stiano lavorando per rimpatriare tutti. Allora io vi dico un'e-mail in cui potete visitare tutti i progetti presentati dalle associazioni di volontariato italiane: Errore. Il segnalibro non è definito.. Questo è un problema grossissimo, coloro che stanno lavorando su questi progetti sono dei grandi professionisti, ma ci sono anche quelli che per la prima volta hanno sentito un progetto del genere e vogliono lavorare su questo. Mi dispiace perché il rimpatrio non è uno scherzo: un progetto è veramente il destino di un minore quindi dobbiamo essere consapevoli di questo. Io vi chiedo anche (conosco alcuni volontari qua presenti di massima serietà) prima di andare a chiedere agli uffici in Marocco quello che bisogna fare è meglio visitare il centro per il reinserimento di minori a Tangeri, che si chiama “Casa Mia”, un centro che è nato l'anno scorso, con il finanziamento del Fondo Sociale Europeo, tramite la Spagna. E quindi lì vedete veramente tutti i minori rimpatriati, perché bisogna prendere in considerazione che noi stiamo lavorando sul reinserimento di minori che non sono mai stati inseriti né nella nostra società né nella società italiana. Grazie.

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Docente di Diritto Penale del lavoro presso l’Università degli Studi di Torino e membro della Commissione congiunta istituita dal Ministero della Giustizia e dal Comune di Torino sul tema “Le risposte al reato minorile con particolare attenzione alla condizione dei minori stranieri”.

[2] Docente di Sociologia del lavoro presso l’Università degli Studi di Torino e membro della Commissione congiunta istituita dal Ministero della Giustizia e dal Comune di Torino sul tema “Le risposte al reato minorile con particolare attenzione alla condizione dei minori stranieri”.

[3] Paolo Vercellone è stato il primo presidente del Comitato per i Minori Stranieri, ora presieduto da Angelo Achille.

[4] Questura di Torino.

[5] Eleonora Artesio, assessore al decentramento della città di Torino nell’ultima giunta Castellani, e Mariangela Cotto, attuale assessore alle politiche sociali della Regione Piemonte.

[6] Graziana Calcagno è stata sino al giugno 2001 Procuratore Generale della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Torino.

[7] Ufficio minori extracomunitari del Comune di Torino.

[8] Responsabile Ufficio Migranti – Arcidiocesi di Torino.

[9] Paolo Vercellone, primo presidente del Comitato per i Minori Stranieri.

[10] Save The Children Damiarca. Separated Children in Europe Programme.

[11] Assessore alle Politiche Sociali della Provincia di Torino