PAOLO BONETTI

Ricercatore di diritto costituzionale nella Facoltà di giurisprudenza dell’Università degli studi di Milano Bicocca, docente di istituzioni di diritto pubblico e di diritto regionale.

 

OSSERVAZIONI SULLO SCHEMA DI

DISEGNO DI LEGGE RECANTE MODIFICAZIONE ALLE NORME IN MATERIA DI IMMIGRAZIONE E DI ASILO

Sottoposto alla Conferenza unificata Stato-Regioni-Autonomie locali

 

 

La Conferenza  è chiamata a pronunciare entro 20 giorni un parere sullo schema di disegno di legge in materia di modifica della normativa vigente in materia di immigrazione e asilo.

 

L’intero testo si presta alle più decise e profonde valutazioni negative e dovrebbe essere profondamente ripensato per molti motivi generali e specifici.

 

 

 

ASPETTI GENERALI

 

1) mancanza di copertura finanziaria: Il comma 3 dell’art. 26 ddl afferma l’inesistenza di oneri aggiuntivi dall’entrata in vigore della nuova legge.

    Così però significa che l’intero ddl sarebbe autoapplicativo, mentre è evidente che si creano costi aggiuntivi derivanti dalla necessità di dare immediata esecuzione coattiva ai provvedimenti amministrativi di espulsione (istituire in tutto il territorio nazionale nuovi centri di permanenza temporanea e assistenza e di procedere ad un numero elevatissimo di rimpatri di stranieri espulsi), di  istituire in ogni provincia i nuovi sportelli unici per l’immigrazione presso gli Uffici territoriali del Governo, di prevedere uno scambio telematico di dati tra gli Uffici territoriali del Governo e i centri per l’impiego, di istituire le nuove commissioni territoriali per il riconoscimento dello status di rifugiato e di istituire e gestire appositi centri di accoglienza in cui dovrebbero essere trattenuti i richiedenti asilo durante la procedura accelerata di riconoscimento dello status di rifugiato.

    Occorre rispettare l’obbligo di copertura finanziaria delle leggi prevista dall’art. 81 Cost. anche perché    l’effettiva copertura finanziaria di una legge è invece il metro per misurare l’intento  di raggiungere effettivamente gli intenti perseguiti, senza illudere la pubblica opinione nella facile autoapplicazione delle nuove norme.

 

2) Molte delle norme del ddl  sono sostanzialmente superflue o controproducenti o malformulate o addirittura di dubbia legittimità costituzionale, e soprattutto contrastano o omettono di adeguare l’ordinamento italiano alle complesse e articolate norme comunitarie che sono state recentemente approvate o che sono in corso di approvazione proprio sui medesimi argomenti che sono oggetto del ddl:

a)     ingressi e soggiorni per lavoro subordinato e per lavoro autonomo, cfr. Proposta della commissione europea COM (2001) 386 (01) dell’11 luglio 2001 di direttiva del Consiglio relativa alle condizioni d'ingresso e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi che intendono svolgere attività di lavoro subordinato o autonomo (direttiva alle cui norme la Commissione propone che ogni Paese membro si debba adeguare entro il 1 gennaio 2004).

b)    permessi di soggiorno: proposta della Commissione - COM (2001) 157: Proposta di Regolamento del Consiglio che istituisce un modello uniforme per i permessi di soggiorno rilasciati a cittadini di paesi terzi.

c)     ricongiungimenti familiari, cfr. Proposta della Commissione – COM (2000) 624: proposta  modificata di direttiva del Consiglio relativa al diritto al ricongiungimento familiare (presentata dalla Commissione in applicazione dell'articolo 250, paragrafo 2 del trattato CE), alle cui norme tutti gli Stati membri, una volta definitivamente approvata, dovranno conformarsi entro il 31 dicembre 2002

d)    status degli stranieri titolari di un permesso di lungo periodo: cfr. Proposta della Commissione COM (2001) 127: Proposta di direttiva del Consiglio relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano residenti di lungo periodo (la Commissione propone che ogni Stato membro debba adeguare il proprio ordinamento entro il 31 dicembre 2003).

e)     Sanzioni per i vettori: cfr. le sanzioni attualmente previste nei confronti dei vettori che trasportano stranieri clandestini dalle recenti norme (già in vigore) della Direttiva 2001/51/CE del Consiglio, del 28 giugno 2001, che integra le disposizioni dell'articolo 26 della convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen del 14 giugno 1985, alle quali ogni Stato membro deve comunque adempiere entro l’11 febbraio 2003.

f)      Standard minimo per l’esame delle domande di asilo, Proposta della Commissione – COM (2000) 528: Proposta di direttiva del Consiglio recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato; (la Commissione propone che ogni Stato membro debba adeguarsi a tali norme entro il 31 dicembre 2002)

g)    Misure di accoglienza dei richiedenti asilo: cfr. le norme della Proposta della Commissione – COM (2001) 181: Proposta di direttiva del Consiglio recante norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri; (la Commissione propone che ogni Stato membro debba adeguarsi a tali norme entro il 31 dicembre 2002).

h)     tipologia delle espulsioni: cfr le norme (già in vigore) della Direttiva 2001/40/CE del Consiglio, del 28 maggio 2001, relativa al riconoscimento reciproco delle decisioni di allontanamento dei cittadini di paesi terzi, alla quale ogni Stato membro dell’Unione deve adeguarsi entro il 2 dicembre 2002.

i)      Esodi di massa e sfollati: cfr. le norme (già in vigore) Direttiva 2001/55/CE del Consiglio, del 20 luglio 2001, sulle norme minime per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati e sulla promozione dell'equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono gli sfollati e subiscono le conseguenze dell'accoglienza degli stessi; a tale direttiva ogni Stato membro ha già oggi l’obbligo di adeguarsi entro il 31 dicembre 2002;

    Appare dunque uno spreco di energie e assai inopportuno adottare oggi una normativa che contrasti o non tenga conto delle norme comunitarie in vigore o di imminente adozione, anche perché  entro breve tempo l’Italia sarebbe comunque obbligata a riprendere in mano e rielaborare nuovamente tutta la materia. Occorrerebbe perciò rinviare di qualche mese ad altro ddl ben più articolato ogni modifica legislativa delle materie che siano oggetto di recenti o imminenti norme dell'Unione europea (nuovi ingressi di lavoratori stranieri, ricongiungimento familiare, asilo, status degli stranieri titolari di un soggiorno di lungo periodo). Il mancato rinvio da parte del Governo sarebbe comunque inutile, perché potrebbe comportare un prevedibile blocco o ritardo dell’esame del ddl da parte delle Camere: durante l’esame del Parlamento sarebbe comunque evidente la totale inadeguatezza delle nuove norme alle norme comunitarie – nel frattempo entrate in vigore - e comporterebbe comunque un loro stralcio in vista di un loro completo ripensamento.

    In ogni caso anche se in sede parlamentare non si verificasse né uno stralcio, né una riformulazione del testo, è evidente che una nuova legge che dimentichi di adeguarsi alle norme comunitarie in materia avrebbe una durata di pochi mesi, perché in brevissimo termine Governo e Parlamento dovrebbero  approvare una nuova normativa per adeguare tutta la legislazione all’imponente massa di norme comunitarie alle quali l’Italia ha comunque l’obbligo di adeguarsi in virtù della sua appartenenza all’Unione europea.

 

     Per conseguire effettivamente gli scopi espressamente indicati nel programma di governo proposto agli elettori - e per evitare effetti del tutto controproducenti – occorrerebbe chiedersi se prima di addivenire a modifiche legislative non sia invece più urgente provvedere a cambiamenti nell'azione diplomatica e nell'attuazione delle norme vigenti, utilizzando a tal fine l'amplissima discrezionalità che esse lasciano al Governo in carica. Infatti non occorre alcuna nuova legge, ma è sufficiente applicare quella in vigore per potenziare la dotazione e l’organizzazione delle forze di polizia, per aumentare il numero dei centri di permanenza temporanea e assistenza,  per negoziare nuovi accordi bilaterali di riammissione con altri Paesi, per adottare una programmazione annuale delle quote di ingresso per lavoro improntata a criteri innovativi.

 

 

3) Le competenze regionali e degli enti locali sono misconosciute dal ddl perché:

a)     non è prevista una presenza obbligatoria delle regioni nel neo-istituito Comitato per il coordinamento e il monitoraggio della legge;

b)    non è previsto un parere obbligatorio e vincolante da parte di ogni Regione sulle quote di ingressi per lavoro da destinare al proprio territorio;

c)     nessun sostegno finanziario o amministrativo dello Stato è previsto per l’esercizio delle funzioni di integrazione sociale, accesso all’alloggio e all’istruzione e formazione professionale degli stranieri regolarmente soggiornanti;

d)    nessun sostegno finanziario alle regioni e agli enti locali è previsto per gli speciali centri di accoglienza per richiedenti asilo. 

 

 

4) La restrizione dell’immigrazione regolare è inoltre attuata in forme e modi controproducenti, perché ignora che esiste comunque una notevole pressione migratoria.

Ogni legge che vuole efficacemente regolare l’immigrazione intende non già aumentare l’immigrazione, bensì aumentare l’immigrazione regolare e perciò non può ignorare le caratteristiche oggettive del fenomeno migratorio, perché altrimenti rischia di diventa illusoria: rassicura nel breve periodo, ma nel medio-lungo periodo finisce con l’incrementare l’immigrazione clandestina e il lavoro nero e così contribuisce ad aumentare il senso di insicurezza collettiva.

      Il parere è altresì contrario nel merito della maggioranza delle norme proposte che si rivelano contraddittorie rispetto al fine di prevenire e reprimere l’immigrazione clandestina sotto diversi profili.

  4.1. Generalizzata esecuzione immediata del provvedimento amministrativo di espulsione. Preoccupa non l’obiettivo di fondo, in sé legittimo, di eliminare l’immigrazione clandestina e di rendere efficaci le espulsioni, ma la scelta dei mezzi che si intendono adottare, in particolare la sommaria procedura che comporta l’accompagnamento immediato alla frontiera per semplice provvedimento amministrativo, senza effettiva possibilità di ricorso. L’accompagnamento immediato alla frontiera – che comporta conseguenze rilevantissime per ogni persona e per la sua famiglia - senza una preventiva pronuncia del giudice sembra inoltre contrastare con l’art. 13 della Costituzione come ha recentemente affermato la Corte costituzionale (cfr. sent. n. 105/2001). Il legittimo interesse dello Stato a tutelare l’integrità del suo territorio può realizzarsi in forme che non compromettano irreparabilmente la libertà personale e il diritto alla difesa dello straniero, prevedendo p. es. un trattenimento provvisorio dell’espellendo nei centri di permanenza in attesa della decisione del giudice, da adottarsi in tempi brevissimi, sull’accompagnamento immediato e sul trattenimento definitivo in attesa del rimpatrio.

  4.2. E’ accentuata la precarietà dello straniero regolarmente soggiornante ed è minata la stabilità del suo soggiorno in modo molto serio. La stessa terminologia ne è un indice significativo, col cambiamento del “permesso di soggiorno” in “contratto di soggiorno”: il contratto vale per due anni non per tre come prevede la proposta normativa europea, lo si può rinnovare per altri due anni e non per quattro come prevede la legge vigente. Inoltre la carta di soggiorno  è rilasciata non più dopo 5 anni ma dopo 6 anni, anche ciò in contrasto con l’orientamento europeo, nel quale, tra l’altro, è prevista per l’immigrato una progressività di diritti che lo porta a un permesso di soggiorno “di lunga durata”. Infine il lavoratore straniero che perda il posto di lavoro, allo scadere del permesso non ha più un anno di tempo, ma soltanto sei mesi per trovarsi un altro lavoro.

  4.3. Si produce una notevole restrizione dei ricongiungimenti familiari. Vengono esclusi dalla possibilità di ricongiungimento i genitori a carico quando vi siano altri figli e i parenti fino al terzo grado a carico inabili al lavoro: una restrizione alla legge in vigore che sarebbe apertamente in contrasto con la direttiva europea in corso di approvazione. Inoltre la precarietà e conseguente temporaneità del lavoro rischia di ridurre fortemente le possibilità di ricongiungimento.

   4.4. Si riducono e si rendono inutilmente difficili le vie legali dell’immigrazione per lavoro: si ritornerebbe ad un sistema basato soltanto sulla preventiva chiamata nominativa del datore di lavoro, così dimenticando che esistono molti tipi di lavori per i quali è essenziale il preventivo incontro “in loco” della domanda e dell’offerta di lavoro. In tal senso l’abrogazione dell’ingresso per inserimento nel mercato del lavoro sarebbe del tutto controproducente di fronte all’elevata richiesta di manodopera presente in molte zone del Paese. Si determina così un irrigidimento della disciplina degli ingressi regolari per lavoro secondo canali e forme che appaiono inutilmente complicate rispetto alle concrete esigenze del mercato del lavoro e che in realtà ritornano al passato ripristinando un sistema analogo a quello che fino al 1998 non ha affatto limitato l'immigrazione, ma al contrario ha determinato un blocco dei nuovi ingressi regolari per lavoro e ha perciò incentivato il ricorso massiccio all'immigrazione clandestina e ha così costretto il legislatore ad intervenire nel 1987, nel 1990, nel 1995 e nel 1998 con provvedimenti di regolarizzazione.

   4.5. Si vanifica sostanzialmente l’accesso al diritto di asilo – uno dei diritti più universalmente tutelati dei migranti: esso è disciplinato in due soli articoli, proprio mentre era già stato approvato dalla Camera nel marzo 2001 un ampio disegno di legge ed è in corso di approvazione in sede comunitaria una triplice direttiva molto dettagliata con decine di articoli. Sulle singole domande di asilo giudicherebbe non più un’unica Commissione centrale, bensì tante Commissioni territoriali, costituite soltanto da funzionari governativi, che con una procedura accelerata e sommaria di pre-esame darebbero una decisione, alla quale, in caso di esito negativo seguirebbe – senza possibilità di un ricorso con effetti sospensivi – l’espulsione, così vanificando l’essenza stessa del diritto d’asilo - che comporta anzitutto la possibilità dell’accesso alla procedura e di un esame da parte di un soggetto imparziale. Inoltre colpisce che in attesa del pre-esame il richiedente asilo sia forzatamente rinchiuso in appositi centri di accoglienza o nei centri di permanenza temporanea, mentre si sopprimerebbe il contributo di prima assistenza. Nessuna nuova misura è invece prevista in favore della condizione degli stranieri che abbiano ottenuto il riconoscimento dello status di  rifugiato.

 

5)  Alla luce delle osservazioni critiche si impone un profondo ripensamento ed è dunque possibile delineare alcuni scenari per il prosieguo dello schema di ddl:

 

a) testo del ddl profondamente ripensato e/o ridotto all'osso, eliminando temi oggetto di direttive comunitarie in vigore o imminenti: in tal caso resterebbero soltanto le modifiche al T.U. immigrazione relative agli artt. 12 (norme penali), 13 (espulsione amministrativa), 14 (esecuzione dell'espulsione), 16 (espulsione come misura alternativa alla detenzione).

 

b) testo del ddl ripensato, eliminando temi che comportano oneri alle finanze : in tal caso dovrebbero essere espunti dal ddl tutte le norme relative all'espulsione, al lavoro, al diritto d'asilo.

 

c) rinvio del ddl a dopo l'approvazione parlamentare della manovra di bilancio 2001 (che avviene entro il 31 dicembre 2001), nella quale dovrebbe essere previsto l'aumento delle risorse da destinare alle misure in materia di immigrazione e asilo

 

d) rinvio un po' più breve, con qualche rimaneggiamento marginale.

 

L’ipotesi migliore è quella indicata al punto a): ridurre il testo del ddl alle sole norme che appaiono essenziali per la repressione dell’immigrazione clandestina, cioè, con riferimento agli articoli del T.U. delle norme sull’immigrazione che si vogliono modificare : artt. 12 (norme penali), 13 (espulsione amministrativa), 14 (esecuzione dell'espulsione), 16 (espulsione come misura alternativa alla detenzione).

 

Tuttavia anche il testo di ciascuna di tali norme del ddl deve essere modificato per risolvere i delicati problemi di carattere giuridico-costituzionale segnalati ad ogni articolo nelle osservazioni allegate.

 

In particolare

-       le norme penali del nuovo art. 12 T.U. devono essere ulteriormente rafforzate ed estese ad altre fattispecie

- la nuova disciplina dell’espulsione amministrativa contenuta nel nuovo testo dell’art. 13 T.U. deve riuscire a contemperare l’esecutorietà dei provvedimenti con l’applicazione delle norme internazionali (che impongono di adottare l’esecuzione differita dell’espulsione non soltanto nei confronti di stranieri che non abbiano rinnovato il loro permesso di soggiorno, ma anche nei confronti degli stranieri a cui sia stato revocato) e con le norme costituzionali che prevedono la riserva di giurisdizione per i provvedimenti limitativi della libertà personale e tutelano il diritto alla difesa: Sarebbe dunque  conforme al sistema costituzionale soltanto  l’accompagnamento alla frontiera dello straniero disposto con provvedimento del giudice: giudice competente per il procedimento penale nell’ambito del quale lo straniero fosse detenuto oppure giudice della convalida del trattenimento. Nel primo caso il giudice sarebbe chiamato a valutare sia la sussistenza di impedimenti processuali all’esecuzione dell’espulsione, sia l’accompagnamento alla frontiera. Nel secondo caso sarebbe legittimo  prevedere un duplice trattenimento: uno provvisorio (48 + 48 ore) disposto dal questore al solo fine di impedire allo straniero di rendersi irreperibile   mentre il questore stesso fa richiesta motivata al giudice di espulsione con accompagnamento alla frontiera, e uno definitivo (30 + 30 giorni) che sarebbe disposto dal giudice entro 48 ore dalla comunicazione dell’avvenuto trattenimento provvisorio, il giudice sarebbe così chiamato a valutare a) la convalida del trattenimento provvisorio; b) la richiesta di espulsione con accompagnamento alla frontiera, c) il trattenimento definitivo.

-       Le osservazioni circa l’art. 13 T.U. impongono di creare un numero cospicuo di centri di permanenza temporanea e assistenza, diffusi in tutte le Regioni non rendere eventuale il trattenimento dell’espellendo, ma anche per evitare che si istituisca – come invece vorrebbe il nuovo testo dell’art. 14 T.U. - la sanzione penale per uno straniero espulso che non abbia lasciato entro 5 giorni il Paese per il solo fatto di non disporre dei mezzi per potersi allontanare dallo Stato a proprie spese, il che provocherebbe l’mmissione di una massa enorme di stranieri nel circuito penitenziario.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ASPETTI SPECIFICI DELL’ARTICOLATO

 

 

ART. 1 (Cooperazione con stati stranieri):

   Norma superflua, mal formulata e inopportuna.

  Il primo comma potrebbe entrare a far parte di norme di leggi finanziarie o tributarie.

Non si capisce il senso di una norma simile in un testo normativo che si occupa di immigrazione e di asilo.

    Se davvero si volessero incentivare le azioni di prevenzione delle cause che inducono all’emigrazione per motivi di lavoro, allora occorrerebbe prevedere espressamente che si deve trattare di elargizioni in favore di iniziative   condotte da enti aventi sede in Italia ed effettuate nei Paesi di maggiore emigrazione verso l’Italia e  finalizzate alla prevenzione delle cause che inducono all’emigrazione verso l’Italia o ad un positivo reinserimento in patria degli stranieri emigrati in Italia, secondo criteri che dovrebbero essere  definiti periodicamente nel medesimo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri che individua gli enti.

     Il secondo comma è del tutto superfluo perché le misure che prevede possono essere già oggi adottate dal Ministero degli affari esteri in base alle leggi vigenti in materia di cooperazione allo sviluppo. Del resto un incentivo alla collaborazione è già espressamente previsto dalle vigenti norme del T.U. sull’immigrazione (cfr. artt. 2, 3, 19). Insistere su una forma di sanzione e non di incentivo (come le quote preferenziali o la cessione di apparecchiature per il controllo) finirebbe col penalizzare proprio quei Paesi di maggiore emigrazione e impedirebbe all’Italia di adottare politiche graduali: una forma di sanzione potrebbe invece consistere nella revoca dei benefici previsti dalla vigente legislazione sull’immigrazione (p. es. riduzione o eliminazione delle quote preferenziali di ingresso per i cittadini di quei Paesi).

    Appare comunque significativo che l’unica norma del ddl che sembra voler produrre effetti benefici nei confronti degli stranieri sia priva di copertura finanziaria.

 

 

ART. 2 (Comitato per il coordinamento ed il monitoraggio).

   Norma superflua, mal formulata e di dubbia legittimità costituzionale.

  Un comitato interministeriale per il coordinamento ed il monitoraggio può essere istituito in qualsiasi momento senza che vi sia bisogno di modifiche legislative, ma con proprio decreto dal Presidente del Consiglio dei ministri in base alla legge n. 400/1988, così come è avvenuto nella precedente legislatura.

   La mera istituzione per legge di un simile organismo non può certo incrementarne l’efficacia operativa.

   Inoltre essa va in direzione opposta rispetto alla legislazione recente che mira a ridurre al minimo i comitati interministeriali.

   E’ altresì evidente che la norma sempre invece mirare a dare una priorità al Ministero dell’Interno nel coordinamento dell’indirizzo amministrativo degli altri ministeri, ma così facendo si viola l’art. 95 Cost. che conferisce tale attribuzione al solo Presidente del Consiglio dei Ministri.

  In tal senso accresce la confusione di ruoli, invece di semplificarla e di renderla conforme all’art. 95 Cost. che prevede una riserva di legge, la norma che attribuisce non alla legge, ma ad un regolamento governativo proposto dal Presidente del Consiglio dei Ministri l’individuazione delle modalità di coordinamento delle attività del gruppo tecnico con le strutture della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Un simile gruppo tecnico ben potrebbe collegarsi ad un apposito Dipartimento per l’immigrazione da istituirsi come “struttura di missione” presso la Presidenza del consiglio dei Ministri ai sensi dell’art. 7, comma 3 D. Lgs. 30 luglio 1999, n. 303.

   In ogni caso un coordinamento e un monitoraggio dell’applicazione della normativa sull’immigrazione appare lacunoso senza la presenza di rappresentanti delle Regioni che hanno potestà legislativa e amministrativa in materia e perciò il gruppo tecnico o il Dipartimento dovrebbero comunque mantenere un collegamento organico con la Conferenza Stato-Regioni.

 

 

ART. 3 (politiche migratorie)

  Norma opportuna, ma in parte ambigua.

  Da un lato si prevede espressamente un termine per la determinazione delle quote di ingresso in Italia per lavoro; per evitare inutili slittamenti dovuti ad altre fasi della procedura (Parere parlamentare, emanazione definitiva, registrazione della Corte dei conti) sarebbe però opportuno precisare che il termine del 31 dicembre si riferisce alla pubblicazione del D.P.C.M. di determinazione.

   Dall’altro lato si prevede opportunamente il coinvolgimento obbligatorio della Conferenza Stato – Regioni, ma non si prevede un termine per l’espressione del parere, né la possibilità per ogni regione di esprimere il proprio dissenso e/o una esplicita proposta alternativa a quella prospettata dal Governo. 

    Né si prevede per il Presidente del Consiglio dei Ministri un termine analogo per l’emanazione del proprio decreto in caso di emanazione di una nuova determinazione delle quote.

    Quest’ultima norma appare comunque ambigua e di dubbia legittimità costituzionale perché impedisce alle Camere e alla Conferenza Stato - Regioni  di esprimere un proprio parere anche sulla scelta del Governo di non adottare una nuova determinazione delle quote di ingressi per lavoro e così di fatto consente al Governo con una scelta totalmente discrezionale di far perdere di efficacia le norme legislative in vigore in materia di ingressi per lavoro e ciò contrasta con la riserva di legge in materia di condizione giuridica dello straniero prevista dall’art. 10, comma 2 Cost.

 

 

ART. 4 (permesso di soggiorno)

  Norma in parte mal formulata o superflua o addirittura dannosa e in parte opportuna

  Il primo comma appare formulato in modo incomprensibile.

  Il secondo comma è superfluo perché già oggi la norma del comma 3 dell’art. 5 prevede che la parificazione della durata del permesso di soggiorno a quella prevista nel visto di ingresso si applica nei casi in cui il T.U. non preveda termini diversi e tali termini diversi sono previsti proprio in materia di permessi per motivi di lavoro.

  L’abrogazione prevista dal comma 3 appare in realtà fittizia, perché i successivi commi introdotti dal ddl ripristinano la medesima durata dei permessi di soggiorno che è prevista nella norma che si vuole abrogare.

   Il ddl riproduce in realtà  norme già in vigore.

  In primo luogo la firma di un contratto di soggiorno per lavoro prima del rilascio del permesso di soggiorno prevista dal comma 3-bis  è istituto sostanzialmente analogo alla firma del contratto di lavoro subordinato prima dell'ingresso per lavoro che è già attualmente prevista dall'art. 22, comma 8 T.U.

   In secondo luogo la durata dei permessi di soggiorno per lavoro prevista nel nuovo comma 3-bis è la stessa già oggi prevista dall'art. 5, comma 3, lett. b) e d) T.U., lettere che la norma del comma 1 vuole abrogare.

   La norma del comma 3-ter appare in parte opportuna allorchè semplifica la vita del lavoratore stagionale e dell’amministrazione e prevede un permesso di soggiorno pluriennale per lavoro stagionale.

   Del tutto ambiguo e di dubbia legittimità costituzionale è invece il riferimento alla revoca immediata del permesso in caso di abuso: la mancata previsione di criteri per individuare tale abuso dà all’amministrazione una discrezionalità illimitata e così viola la riserva di legge in materia di condizione giuridica dello straniero prevista dall’art. 10, comma 2 Cost.

    Anche la norma del nuovo comma 3 – quater appare contraddittoria perché prevede come durata del permesso di soggiorno per lavoro autonomo la medesima durata biennale che è la medesima oggi prevista nella lettera d) che il comma 3 del ddl vuole abrogare.

    La norma del nuovo comma 3-quinquies appare opportuna perchè completa la raccolta dei dati da parte dell’anagrafe informatizzata dei lavoratori extracomunitari inserendovi anche i dati di tutti coloro che prima o poi potrebbero comunque iscriversi nelle liste di collocamento e svolgere così un lavoro subordinato, cioè di tutti i tipi di visti per lavoro subordinato, stagionale e autonomo e per ricongiungimento familiare. Tuttavia per rendere davvero completa tale raccolta analoga comunicazione dovrebbe essere obbligatoria in caso di rilascio a stranieri che si trovano  regolarmente in Italia di titoli di soggiorno che consentono legalmente l’accesso al lavoro e cioè  la carta di soggiorno, il permesso di soggiorno per motivi familiari e il permesso di soggiorno per motivi di asilo.

   La  norma del nuovo comma 3-sexies prevede la medesima durata massima di 2 anni  per i permessi di soggiorno per ricongiungimento familiare, cioè proprio la medesima durata che è oggi prevista dalla lettera d) che il comma 3 del ddl vuole invece abrogare.

    Il nuovo comma 5 dell’art. 5 T.U. irrigidisce in modo inutilmente vessatorio i termini e le modalità per il rinnovo del permesso di soggiorno: anticipare da 30 a 60 e 90 giorni i termini rispettivamente previsti per la richiesta del rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato a tempo determinato e a tempo indeterminato contribuisce a ridurre ulteriormente il tempo a disposizione del lavoratore straniero per trovarsi un nuovo posto di lavoro in caso di perdita dello stesso.

   Inutilmente confuso e vessatorio è il conferimento del potere di rinnovare il permesso di soggiorno non più al Questore della provincia in cui lo straniero si trova (dimora), ma al Questore della Provincia in cui risiede: poiché non esiste l’obbligo per gli stranieri di iscrizione anagrafica e comunque l’adempimento è assai gravoso dovendosi dimostrare la dimora abituale o, in base all’art. 6 T.U., la dimora per almeno 3 mesi in un centro di accoglienza, di fatto si impedisce agli stranieri non iscritti anagraficamente di rinnovare il proprio permesso di soggiorno o si impone agli iscritti che da poco abbiano trasferito la propria dimora o abbiano fatto domanda di trasferimento di residenza, di presentarsi alla Questura del luogo  nel quale ormai non hanno più alcun legame.

   Infine la durata del permesso di soggiorno rinnovato è ridotta a metà rispetto alla durata doppia rispetto a quella del permesso inizialmente rilasciato e ciò rafforza la precarietà della condizione degli stranieri regolarmente soggiornanti.

    Il nuovo testo del comma 8 dell’art. 5 T.U. di per sé non necessariamente avrebbe richiesto una modifica di norme legislative, anche perché il Ministero dell’Interno non ha provveduto ad attuare l’Azione comune già citata dalla legge. Peraltro una simile modifica legislativa può apparire comunque inopportuna in considerazione della recente proposta della Commissione - COM (2001) 157: Proposta di Regolamento del Consiglio che istituisce un modello uniforme per i permessi di soggiorno rilasciati a cittadini di paesi terzi.

    La nuova norma penale del comma 8-bis colma una lacuna nel sistema sanzionatorio e perciò appare opportuna, ma per ragioni sistematiche dovrebbe essere collocata nell’art. 12 T.U. che già contiene molte altre norme penali dirette a contrastare ogni tipo di agevolazione dell’immigrazione illegale.

 

 

ART. 5 (Contratto di soggiorno per lavoro subordinato)

  Norma superflua e controproducente

  L’istituzione di un "contratto di soggiorno" appare misura di scarsa concretezza ed efficacia sotto diversi profili.

   Occorre anzitutto ricordare che l’istituto in realtà riproduce in parte due norme già oggi vigenti e che lo stesso ddl riproduce nel nuovo testo dell’art. 22, comma 2 lett. b) e c).

   Infatti già oggi il datore di lavoro che intenda ottenere l’autorizzazione al lavoro per l’assunzione dall’estero di un lavoratore extracomunitario deve esibire alla direzione provinciale del lavoro (inglobata oggi nel medesimo ufficio territoriale del governo presso il quale sarebbe oggi opportunamente istituito uno sportello unico per l’immigrazione) un contratto di lavoro subordinato formato dal lavoratore prima dell'ingresso (cfr. art. 22, comma 8 T.U.) e idonea documentazione indicante le modalità della sistemazione alloggiativa per il lavoratore straniero (cfr. art. 22, comma 2 T.U.).

     La nuova norma intende però vincolare il datore di lavoro a fornire anche i mezzi per il rientro in patria del lavoratore. Tale obbligo - che nella prassi italiana fu in vigore fino al 1986 - costituisce per il datore di lavoro (si pensi ai casi del datore di lavoro domestico o dell’imprenditore individuale o dell’artigiano) un onere eccessivo e inutile e ciò irrigidisce il mercato del lavoro e finisce con l'incentivare il ricorso al lavoro illegale di stranieri che già si trovino clandestinamente in Italia.

    In ogni caso l’impegno al pagamento da parte del datore di lavoro delle spese di rientro in patria del lavoratore nel Paese di provenienza appare sostanzialmente malformulato o comunque irragionevole sia per gli ingressi di lavoratori da assumere a tempo indeterminato o determinato, i quali hanno comunque il diritto di cercarsi un nuovo posto di lavoro in caso di perdita del posto di lavoro precedente, sia per gli ingressi per lavoro stagionale, nei quali l’impegno dovrebbe essere sostenuto pro-quota da ciascuno dei datori di lavoro.

 

 

ART. 6 (facoltà inerenti il soggiorno)

   Norma inutilmente vessatoria.

   Appare eccessivamente oneroso e del tutto irragionevole che il datore di lavoro sia obbligato ad impegnarsi a fornire una sistemazione alloggiativa e i mezzi per il rientro in patria anche nel caso di straniero che già si trovi regolarmente in Italia per motivi di studio, il che comunque presuppone per legge che lo studente disponga di mezzi finanziari e di un alloggio.

   Si scoraggia così l’ingresso nel mercato del lavoro regolare dello studente che abbia magari terminato i suoi studi in Italia e così si incentiva ancora una volta il ricorso al lavoro illegale.

 

 

ART. 7 (sanzioni per l’inosservanza degli obblighi di comunicazione dell’ospitante e del datore di lavoro)

    Norma inutilmente vessatoria.

    Essa ripristina la sanzione pecuniaria (come già prevedeva l’abrogato art. 147 del  T.U. Leggi di P.S.) nel caso di mancata segnalazione dell'ospitante e del datore di lavoro.

    In particolare per le comunicazioni dei datori di lavoro si tratta di un'inutile duplicazione di adempimenti (in base alle norme generali vigenti già ogni datore di lavoro deve fare entro 5 giorni dall’assunzione la denuncia della stipulazione del contratto di lavoro ai servizi per l’impiego) che invece potrebbero essere sostituiti da comunicazioni tra i servizi per l’impiego e le Questure, che comporta un irrigidimento che contrasta con la ripetuta esigenza di flessibilità del mercato del lavoro.

 

 

 

 

ART. 8 (Carta di soggiorno)

    Norma del tutto inutile, dannosa e immotivata.

   L'elevamento da 5 a 6 anni della durata del soggiorno regolare quale presupposto richiesto per il rilascio della carta di soggiorno  contrasta con gli scopi di integrazione sociale degli stranieri regolarmente soggiornanti e dunque appare un irrigidimento inutile, anche perché lo stesso art. 9 T.u. prevede che non è sufficiente il soggiorno ininterrotto per ottenere il rilascio della carta, ma  che lo straniero deve avere altri requisiti (reddito, alloggio, parentela ecc.). Perciò appare un presupposto indimostrato l’affermazione contenuta nella relazione illustrativa al ddl secondo la quale “appare questo un periodo di tempo più congruo per poter giudicare il complessivo inserimento dello straniero”.

    Inoltre la norma potrebbe rivelarsi del tutto inutile perché tra poco tutta la disciplina della carta di soggiorno dovrebbe essere rivista dal legislatore al fine di adeguarla alle complesse norme della recente proposta di direttiva della Commissione europea sui soggiorni di lunga durata, il cui presupposto di durata massima prevista è proprio 5 anni. Cfr. Proposta della Commissione COM (2001) 127: Proposta di direttiva del Consiglio relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano residenti di lungo periodo (la Commissione propone che ogni Stato membro debba adeguare il proprio ordinamento entro il 31 dicembre 2003).

    Infine la norma del ddl appare in controtendenza con le recenti leggi di altri Paesi europei che prevedono il periodo di 6 anni come presupposto non già per il rilascio di un titolo di soggiorno di lunga durata, bensì per la concessione della cittadinanza.

     Da ultimo non si comprende per quale motivo il compito di provvedere al rilascio della carta di soggiorno, che è titolo di soggiorno di lungo periodo, non possa essere utilmente conferito al neo-istituito Sportello unico per l’immigrazione presso gli uffici territoriali del Governo, seguendo modalità di scambio di informazione con la Questura analoghe a quelle previste dallo stesso ddl per i nulla-osta per i ricongiungimenti familiari.

 

 

 

ART. 9 (Coordinamento dei controlli di frontiera)

    Norma in parte superflua e di dubbia legittimità costituzionale.

   L’adozione di misure di coordinamento è  facoltà che già oggi può essere realizzata: in base al vigente comma 3 dell’art. 11 T.U.  le direttive per il coordinamento dei controlli di frontiera devono essere adottate dal Ministro dell’Interno, il quale – prima di adottarle - di per sé può sempre avvalersi del Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica, senza che occorra alcuna nuova norma legislativa.

    Opportuna è invece la previsione di un compito di promuovere misure di coordinamento tra le autorità italiane competenti in materia di controlli sull’immigrazione e le competenti autorità europee. Tuttavia è di dubbia legittimità costituzionale che tale compito debba essere affidato al ministro dell’Interno e non al Presidente del Consiglio dei Ministri al quale soltanto spetta in base all’art. 95 Cost. il compito di promuovere e coordinare l’attività dei ministri.

 

 

 

ART. 10 (Disposizioni contro le immigrazioni clandestine)

   Le nuove disposizioni penali e processuali contro le immigrazioni clandestine appaiono comunque opportune, anche se sono spesso malformulate e presentano gravi lacune .

  Opportuna è la previsione del reato di favoreggiamento dell'ingresso a fine di transito verso altri Stati così ponendo fine alla controversa interpretazione riduttiva data dalla giurisprudenza della fattispecie già oggi prevista dall'art. 12 T.U. Tuttavia la norma appare di dubbia efficacia perché punisce il favoreggiamento dell’ingresso illegale in altri Stati soltanto di stranieri che si trovavano illegalmente in Italia e non già di qualunque straniero.

   Opportuna è la trasformazione da circostanza aggravante a  autonome figure di reato dei delitti oggi previsti dall’art. 12, comma 3 T.U. Tuttavia la norma appare malformulata perché nella norma oggi vigente l’utilizzo di mezzi di trasporto internazionale o di documenti contraffatti costituisce un’autonoma figura, sicchè se non si aggiungesse prima della parola “utilizzando” la parola “ovvero” si punirebbe in modo più lieve di oggi il favoreggiamento dell’ingresso a fine di lucro o in concorso con due o più persone che avvenga senza utilizzare mezzi di trasporto di linea o documenti contraffatti. 

  Opportuna, ma assai malformulata e lacunosa è la trasformazione da circostanza aggravante a  autonome figure di reato dei delitti più gravi oggi previsti e puniti dall’art. 12, comma 3 T.U, ultima parte. Assai gravi appaiono però le lacune.

   In primo luogo stupisce che si sopprima la norma vigente che punisce nel modo più duro il favoreggiamento dell’ingresso illegale di minori da impiegare in attività illecite per favorirne lo sfruttamento. Si tratterebbe di ipotesi che sarebbero punite alla stregua di un semplice favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

   In secondo luogo per un ulteriore rafforzamento della lotta allo sfruttamento dell’immigrazione clandestina occorre introdurre altre misure:

       1)  l’estensione della fattispecie del comma 3-bis al favoreggiamento del soggiorno illegale di prostitute e minori (spesso è difficile riuscire a provare che colui che sfrutta il soggiorno illegale dello straniero clandestino – prostituta, minore o criminale -  sia anche la medesima persona che ne ha favorito l’ingresso illegale) e al favoreggiamento dell’ingresso o del soggiorno illegale di stranieri destinati a commettere uno dei gravi delitti menzionati nell’art. 407, comma 2 lett. a) cod. proc. pen. (delitti contro la personalità dello Stato o traffico internazionale di armi o di stupefacenti, commercio di schiavi, prostituzione minorile, omicidi, atti di contrabbando ecc.) o di veicoli rubati;

       2)  L’introduzione nel codice penale di una circostanza aggravante comune destinata a colpire specificamente i delitti compiuti in Italia ai danni di o ad opera di straniero che era presente illegalmente sul territorio nazionale.

    Inoltre stupisce che nessuna norma del ddl colga l’occasione per provvedere ad adeguare le sanzioni attualmente previste nei confronti dei vettori che trasportano stranieri clandestini alle recenti norme della Direttiva 2001/51/CE del Consiglio, del 28 giugno 2001, che integra le disposizioni dell'articolo 26 della convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen del 14 giugno 1985, alle quali ogni Stato membro deve comunque adempiere entro l’11 febbraio 2003.

   Opportune sono tutte le altre norme sul fermo e sull’ispezione di natanti e aereomobili sui quali si sospetta il trasporto illegale di stranieri.

 

 

ART. 11 (espulsione amministrativa)

   Norma in parte opportuna, ma formulata in un testo di dubbia legittimità costituzionale e privo di copertura finanziaria.

   La nuova disciplina dell'espulsione amministrativa rende ordinario il regime dell'esecutorità dell'espulsione amministrativa stessa, salvo che nei casi di straniero a cui il permesso sia scaduto da più di 60 giorni e non ne sia stato richiesto il rinnovo, rende più certi i tempi e i criteri per il rilascio o per il rifiuto da parte dell'A.G. del nulla osta all’espulsione dello straniero sottoposto a procedimento penale, raddoppia da 5 a 10 anni il periodo di divieto di rientro (senza distinguere i diversi tipi di motivo di espulsione), trasforma il rientro illegale dell'espulso in delitto (con pene più che raddoppiate e processo per direttissima) e rende più precisi gli effetti penali e processuali di un eventuale rientro illegale dello straniero espulso.

   Di dubbia legittimità costituzionale è anzitutto il combinato disposto del nuovo comma 3  e del nuovo comma 3 sexies allorchè si prevede che il diniego di nulla-osta all’espulsione dello straniero debba essere negato dall’autorità giudiziaria soltanto per reati gravissimi o per esigenze processuali che comportino l’accertamento di responsabilità di persone concorrenti nel reato o imputate in procedimenti connessi o se sussiste un qualche interesse della persona offesa: così si finisce per rinunciare alla pretesa punitiva dello Stato nei confronti di stranieri clandestini che siano imputati di reati di media gravità (furti ecc.) e paradossalmente così si crea una disparità di trattamento con i cittadini italiani o gli stranieri titolari di carta di soggiorno che abbiano commesso tali reati: mentre costoro dovrebbero scontare comunque in Italia una pena detentiva, allo straniero clandestino si consente di sottrarvisi. Così invece di prevenire e reprimere i reati che riguardano beni costituzionalmente rilevanti si finisce per privilegiare ad ogni costo lo sfoltimento penitenziario e la prevenzione e repressione dell’immigrazione clandestina.

    L’esecutorietà immediata dell'espulsione amministrativa è misura che di per sè può essere legittimamente scelta dallo Stato, anche se la forma prescelta dal ddl presenta notevoli problemi di attuazione pratica e profili di incostituzionalità.

    Dal punto di vista pratico l’esecutorietà di quasi tutti i tipi di provvedimento amministrativo di espulsione prevista dai nuovi commi 4 e 5 comporta l’obbligo di provvedere all’accompagnamento alla frontiera di quasi tutti gli espulsi. Poiché però è notorio che l’esistenza di diverse difficoltà pratiche impediscono spesso l’immediato rimpatrio è evidente che l’esecutorietà dei provvedimenti amministrativi di espulsione prevista dal ddl appare fittizia perché esso non prevede alcuno stanziamento finanziario supplementare per provvedere immediatamente ad un ingente aumento del numero di centri di permanenza temporanea e assistenza nei quali si dovrebbero trattenere gli espellendi in attesa della rimozione degli impedimenti al rimpatrio. Anzi le stesse nuove norme introdotte nell’art. 13 e soprattutto nell’art. 14 rendono manifesto che il trattenimento dell’espellendo non è affatto obbligatorio, ma resta facoltativo allorchè manchi un centro di permanenza. Ciò però significa che in mancanza dell’istituzione di numerosi nuovi centri di permanenza il ddl non configura affatto un sistema di effettivo accompagnamento immediato alla frontiera per quasi tutti gli espulsi perché lo straniero espellendo in attesa del nulla-osta dell’autorità giudiziaria resta sottoposto ad un'illimitata discrezionalità dell’autorità di pubblica sicurezza che può disporne il trattenimento quando, come e se vuole e significa altresì che l’innovazione si sostanzia soprattutto in una eliminazione del tempo di 15 giorni entro i quali lo straniero oggi può impugnare il decreto di espulsione di fronte al giudice e ottenerne l’annullamento.

     Dal punto di vista costituzionale molte norme si prestano alle più gravi critiche.

    In primo luogo le modificazioni introdotte dal ddl violano la riserva di giurisdizione prevista dall'art. 13 Cost.: come ha confermato la sent. n. 105/2001 della Corte costituzionale l'accompagnamento immediato alla frontiera è una misura limitativa della libertà personale che deve essere sempre disposta con provvedimento motivato dell'autorità giudiziaria e/o da questa  convalidata entro 48 ore.

     Sarebbe dunque  conforme al sistema costituzionale soltanto la previsione di un accompagnamento alla frontiera dello straniero disposto con provvedimento del giudice: giudice competente per il procedimento penale nell’ambito del quale lo straniero fosse detenuto oppure giudice della convalida del trattenimento. Nel primo caso il giudice sarebbe chiamato a valutare sia la sussistenza di impedimenti processuali all’esecuzione dell’espulsione, sia l’accompagnamento alla frontiera. Nel secondo caso sarebbe legittimo  prevedere un duplice trattenimento: uno provvisorio (48 + 48 ore) disposto dal questore al solo fine di impedire allo straniero di rendersi irreperibile   mentre il questore stesso fa richiesta motivata al giudice di espulsione con accompagnamento alla frontiera, e uno definitivo (30 + 30 giorni) che sarebbe disposto dal giudice entro 48 ore dalla comunicazione dell’avvenuto trattenimento provvisorio, il giudice sarebbe così chiamato a valutare a) la convalida del trattenimento provvisorio; b) la richiesta di espulsione con accompagnamento alla frontiera, c) il trattenimento definitivo.

   In secondo luogo il ddl viola la riserva rinforzata di legge prevista dall'art. 10, comma 2 Cost., nella parte in cui si viola l'art. 1 del Prot. n. 7 Conv. eur. dir. uomo del 22 novembre 1984, ratificato e reso esecutivo con legge 9 aprile 1990 n. 98, che impone di lasciare agli stranieri già regolarmente soggiornanti un termine per potersi di difendere contro l'espulsione prima che questa sia eseguita, salvo che l’espulsione sia disposta per gravi motivi di ordine pubblico.

    E’ evidente infatti che devono ritenersi regolarmente soggiornanti tutti gli stranieri espulsi ai sensi dell’art. 13, comma 2 T.U., lett. b) e c) che erano in possesso di un permesso di soggiorno prima della sua revoca o del suo annullamento  o comunque dell’espulsione sono da ritenersi  regolarmente soggiornanti e non soltanto coloro il cui permesso di soggiorno sia scaduto senza che ne sia stato chiesto il rinnovo entro 60 gg.

   In terzo luogo è comunque chiaro che in generale il diritto alla difesa dello straniero espulso è privato di ogni effettività qualora il ricorso possa essere presentato soltanto dopo che il provvedimento sia già stato eseguito. In particolare appare del tutto liberticida la norma che prevede un termine per il ricorso di 60 gg. che decorre dalla data del provvedimento di espulsione e non dalla data della comunicazione dello stesso allo straniero.

    Infine la nuova disciplina dell’espulsione amministrativa appare comunque carente dal punto di vista comunitario, perché omette di dare attuazione alla recente Direttiva 2001/40/CE del Consiglio, del 28 maggio 2001, relativa al riconoscimento reciproco delle decisioni di allontanamento dei cittadini di paesi terzi, alla quale ogni Stato membro dell’Unione deve adeguarsi entro il 2 dicembre 2002.

    Da ultimo appare assai opinabile la norma del nuovo comma 8 che da un lato aumenta da 5 a 10 anni il periodo di divieto di rientro e dall’altro sposta però dal giudice all’autorità amministrativa che dispone il provvedimento di espulsione la facoltà di disporre un eventuale riduzione del periodo di divieto di rientro: la norma si presta alle più diverse interpretazioni e conferisce una quasi illimitata discrezionalità amministrativa, per evitare le quali meglio sarebbe stato mantenere la vigente norma che prevede un generale periodo di divieto di rientro (la cui durata ben potrebbe essere differenziata a seconda del tipo di espulsione), riducibile soltanto dal giudice e soltanto su richiesta dell’interessato.

 

 

 

 

ART. 12 (Esecuzione dell'espulsione)

  Norme in parte opportune, ma formulate in un testo di dubbia legittimità costituzionale, di scarsa efficacia, contenenti inutili vessazioni  e prive di copertura finanziaria.

   Il raddoppio a 60 giorni del termine massimo del trattenimento nei centri di permanenza dello straniero espulso o respinto e la previsione di una sanzione penale per lo straniero uscito dal centro alla scadenza che non lasci il territorio nazionale, con ulteriore espulsione coattiva, sono misure che da sole sono di assai dubbia efficacia.

   Se infatti il problema è la difficoltà di identificazione della persona da allontanare allora tale problema resterà anche dopo che lo straniero sia dimesso dal centro e dunque nessun rimedio all'ineffettività dell’esecuzione dei provvedimenti di allontanamento dal territorio dello Stato è efficace se non è accompagnato dall'effettiva stipulazione ed entrata in vigore di precisi accordi di riammissione con i Paesi di origine. Con i Paesi con cui simili accordi sono in vigore appare più che sufficiente l'attuale termine massimo di trattenimento di 30 giorni.

   Tuttavia per stipulare tali accordi non occorre alcuna modifica legislativa, bensì una forte azione diplomatica del Governo nei confronti dei Governi di quei Paesi.

   In tal senso la norma si rivela inutilmente costosa, sia sotto il profilo della restrizione della libertà personale, sia sotto il profilo degli aggiuntivi oneri finanziari da sostenere per l'estensione del numero dei centri di permanenza, che invece l’art. 26 ddl finge non esistano.

   Il nuovo comma 5-bis inoltre rende evidente che è del tutto illusoria l’esecutività dei provvedimenti amministrativi di espulsione che l’art. 11 ddl prevede di generalizzare, perché in realtà i provvedimenti potranno comunque restare ad esecuzione differita qualora non sia stato possibile trattenere lo straniero in un centro di permanenza temporanea  (prevedibilmente per mancanza di spazi e/o di centri). Manca infatti la copertura finanziaria per costruire nuovi centri.

   Pertanto appaiono inutilmente vessatorie le norme dei commi 5-ter, 5-quater e 5-quinquies: si vuole incarcerare e punire penalmente lo straniero che resta illegalmente sul territorio dello Stato “senza giustificato motivo”. Infatti poiché le stesse nuove norme prevedono il caso dell’espulsione eseguita con la mera intimazione a lasciare il territorio nazionale entro 5 giorni quando non è stato possibile trattenere lo straniero in un centro di permanenza è evidente che si finirebbe per arrestare e trasferire nel circuito penitenziario stranieri espulsi che privi di alcun altro mezzo finanziario non hanno lasciato il territorio dello Stato per il solo motivo che lo Stato stesso non ha provveduto a dotarsi di un numero adeguato di centri di permanenza per dare effettività all’espulsione. Le conseguenze devastanti di un’immissione di stranieri nel circuito penitenziario già sovraffollato sono evidenti e non è affatto chiaro che tutto ciò si traduca in un aumento dell’effettività dei provvedimenti di espulsione.

 

 

ART. 13 (Espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione)

   Norma opportuna, ma malformulata.

   La nuova norma riproduce il medesimo testo dei due commi dell’art. 16 T.U. oggi vigente e ne aggiungono altri che introducono, a fianco della espulsione dello straniero clandestino che debba essere condannato per reati lievi, una vera e propria espulsione come misura alternativa alla detenzione, disposta dal magistrato di sorveglianza da disporsi nei confronti dello straniero  che debba scontare una pena detentiva anche residua di non più di due anni.

   Una simile nuova misura appare in sé opportuna qualora si ritenga preminente rispetto all’interesse alla pretesa punitiva dello Stato  l’interesse allo sfoltimento dell’affollamento di stranieri irregolari nell’ambito del sistema penitenziario ed è comunque circondata da un minimo di garanzie giurisdizionali e di difesa.

    Opportunamente la norma precisa gli effetti processuali di un eventuale rientro in Italia dello straniero espulso.

     In ogni caso per dare effettività ai diritti fondamentali di cui comunque è titolare anche lo straniero detenuto e che potrebbero essere messi in concreto pericolo da un eventuale rimpatrio in un Paese che non li rispetti occorrerebbe prevedere espressamente che le ipotesi previste dal nuovo articolo non sono applicabili agli stranieri che si trovino nelle condizioni per le quali l’art. 19 T.U. prevede un divieto di espulsione.

 

 

ART. 14 (Determinazione dei flussi di ingresso)

    Norme in parte opportune e in parte malformulate o di difficile applicabilità.

    L’introduzione di quote riservate di ingressi per lavoro a stranieri oriundi italiani appare senz’altro opportuna perché da un lato coglie un’esigenza di rientro sempre più diffusa tra alcune collettività italiane all’estero e dall’altro lato consente l’ingresso di persone la cui ascendenza italiana fa presumere un grado maggiore di conoscenza della lingua italiana e dunque una maggiore probabilità di inserimento nel mondo del lavoro italiano.

   Tuttavia la norma appare malformulata perché non applica una terminologia analoga a quella prevista dalle norme vigenti in materia di cittadinanza italiana. Perciò invece di “lavoratori di origine italiana per parte di almeno uno dei genitori fino al terzo grado in linea retta di ascendenza, residenti in Paesi non comunitari” occorreva riferirsi a stranieri residenti in Paesi non appartenenti all’Unione europea, i cui ascendenti in linea retta fino al terzo grado sono stati cittadini italiani”.

    Resta peraltro l’interrogativo di quale possa essere l’applicabilità concreta di una simile norma poiché si stima che oggi nel mondo vivano circa 60 milioni di persone oriunde italiane.

    La suddivisione per regioni, province e comuni della determinazione dei flussi di ingresso appare irrealizzabile sotto diversi profili.

    In primo luogo è noto che nel vigente ordinamento i fabbisogni lavorativi sono rilevati a livello provinciale. La rilevazione su base provinciale corrisponde alle caratteristiche oggettive del mercato del lavoro che soprattutto nelle aree produttive più dinamiche o nelle zone metropolitane ha una forte mobilità nel tempo e nello spazio.

   In secondo luogo non si comprende quale sia l'efficacia di tale suddivisione territoriale, se cioè finisca per limitare in modo incostituzionale la libertà di circolazione e soggiorno nelle diverse zone del territorio italiano degli stranieri regolarmente soggiornante o la loro possibilità di instaurare rapporti di lavoro.

 

 

ART. 15 (Lavoro subordinato a tempo determinato e indeterminato e lavoro autonomo)

   Norma inopportuna e controproducente.

   Anzitutto la norma appare del tutto inopportuna e intempestiva perché interviene su una disciplina che però dovrà comunque essere profondamente modificata di nuovo fra qualche mese per adeguarla alle norme della direttiva comunitaria in materia - cfr. Proposta della commissione europea COM (2001) 386 (01) dell’11 luglio 2001 di direttiva del Consiglio relativa alle condizioni d'ingresso e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi che intendono svolgere attività di lavoro subordinato o autonomo – direttiva delle cui complesse e assai articolate norme (alle quali la Commissione propone che ogni Paese membro si debba adeguare entro il 1 gennaio 2004) il ddl non tiene in alcun conto. Anzi il ddl contrasta in diversi punti con le progettate norme comunitarie.

   Il ddl prevede come unica modalità di ingresso per lavoro subordinato quella assai simile a quella tramite l'autorizzazione al lavoro su richiesta di un datore di lavoro italiano che già oggi all’art. 22, comma 8 T.U. impone la stipula di un contratto di lavoro tra datore di lavoro e lavoratore.

   La procedura in realtà riproduce – con qualche altro ritocco – il testo di quella già oggi prevista l'art. 22 T.U. (aggiornandola alla recente istituzione degli uffici territoriali del Governo che hanno inglobato anche le Direzioni provinciali del lavoro), ma aggiunge agli obblighi del datore di lavoro quelli di garantire le spese del rientro in patria dello straniero. Tale obbligo - che nella prassi italiana fu in vigore fino al 1986 - costituisce un onere eccessivo e inutile per il datore di lavoro e ciò irrigidisce il mercato del lavoro e finisce con l'incentivare il ricorso all'immigrazione clandestina.

   Il comma 4 ripristina anche la verifica preventiva dell’indisponibilità di altri lavoratori già iscritti nelle liste di collocamento a ricoprire il posto di lavoro richiesto. Si tratta di un meccanismo che fino al 1998 era stata la vera causa del blocco di nuovi ingressi regolari per lavoro e il vero incentivo all’ingresso illegale. E’ vero che la nuova norma richiederebbe il decorso di un termine di 20 giorni ed un meccanismo di silenzio-assenso, ma è anche vero che da un lato non si prevede alcun limite territoriale per la ricerca di altri lavoratori disponibili, e dall’altro si escludono i lavoratori extracomunitari già iscritti in Italia nelle liste di collocamento dalla possibilità di accedere al nuovo posto di lavoro.

   Inoltre il comma 11 conferma che in caso di perdita del posto di lavoro lo straniero non è costretto a lasciare il territorio nazionale, ma ha diritto di restarvi per trovare un altro posto di lavoro. Tuttavia  il periodo è inopinatamente ridotto a soli 6 mesi, così dimenticando così i casi dei corsi di riqualificazione professionale ecc., e legando eccessivamente il destino dello straniero regolarmente soggiornante alle mutevoli variazioni dell'andamento del mercato del lavoro.

   La norma penale del nuovo comma 12 prevede un opportuno inasprimento della pena pecuniaria del datore di lavoro illegale, ma incorre nel medesimo errore del legislatore del 1998, perché estende la sanzione penale a tutti i casi di lavoratori stranieri privi di permesso di soggiorno per lavoro in corso di validità. Da un lato si dimentica che la legge consente comunque l’accesso al lavoro a stranieri in possesso di altri titoli di soggiorno  (carta di soggiorno, permesso di soggiorno per motivi familiari, per studio, per asilo ecc.) e dall’altro pone in capo al datore di lavoro l’onere – spesso materialmente difficile da eseguire - di verificare costantemente se il titolo di soggiorno del suo lavoratore non sia scaduto, revocato o annullato.

   Assai controproducente appare la  soppressione nel comma 13 di quella norma (già oggi vigente e che è prevista anche dalla proposta di direttiva comunitaria) che prevede la facoltà per il lavoratore straniero che rientra in patria di avere indietro i contributi previdenziali versati in suo favore maggiorati del 5% annuo. Quella facoltà è invece importantissima per disincentivare concretamente il lavoratore straniero dall’accettare il lavoro nero e per consentire a chi lo desidera un effettivo e dignitoso reinserimento in patria.

 

 

ART. 16 (prestazione di garanzia per l’accesso al lavoro)

   Norma del tutto inopportuna e controproducente.

   La norma in realtà sopprime la prestazione di garanzia per inserimento nel mercato del lavoro e la sostituisce con una futura e incerta (perché rinviata a norme regolamentari) programmi di corsi di formazione professionale all’estero , la cui frequenza comporterebbe un titolo di prelazione per i nuovi ingressi per lavoro subordinato o autonomo.

   La soppressione della prestazione di garanzia  è del tutto inopportuna e controproducente.

   In generale la nuova disciplina del lavoro subordinato prevista dagli artt. 13 e 14 ddl in realtà ritorna al passato ripristinando un sistema che fino al 1998 non ha affatto limitato l'immigrazione, ma al contrario ha determinato un blocco dei nuovi ingressi regolari per lavoro e ha perciò incentivato il ricorso massiccio all'immigrazione clandestina e ha così costretto il legislatore ad intervenire nel 1987, nel 1990, nel 1995 e nel 1998 con provvedimenti di regolarizzazione.

   In particolare l'abrogazione degli ingressi per inserimento nel mercato del lavoro dimentica che dal punto di vista antropologico tutte le migrazioni per lavoro (inclusa quella italiana) sono avvenute non tanto attraverso le vie ufficiali, bensì attraverso la cosiddetta "catena migratoria" dei connazionali che aiutano i nuovi ingressi di amici e parenti e ne orientano l'inserimento sociale e lavorativo.

   In tal senso il fatto che nel 2000 e nel 2001 la maggioranza dei garanti (sponsors) sia stata straniera non è affatto una circostanza da guardare con sospetto (al contrario qualche sospetto di elusione potrebbe far sorgere il garante italiano...), bensì è la conferma che l'inserimento nel mercato del lavoro incanala, controlla e fa venire alla luce il naturale movimento migratorio che altrimenti si affiderebbe a canali criminali e clandestini. A ciò si aggiunga che tale canale è indispensabile per quei tipi di lavori di fiducia che esigono un incontro diretto sul territorio tra datore di lavoro e lavoratore (p. es. lavoro domestico, assistenza alle persone ecc.).

    La soppressione di tale nuova via appare dunque del tutto controproducente per chi voglia davvero prevenire efficacemente l'immigrazione clandestina.

    Neppure può essere considerata elemento che induca a ritenere inutile  l’ingresso per inserimento nel mercato del lavoro la circostanza – più volte ricordata dal Ministero del Lavoro – che al 31 dicembre 1999 erano iscritti nelle liste di collocamento oltre 200.000 extracomunitari, dei quali circa 110.000 non avevano mai lavorato. E’ infatti evidente che non si può fondare una così rilevante modifica legislativa su dati così non aggiornati e non disaggregati. Lo stesso Ministro del Lavoro e delle politiche sociali Maroni ha ordinato un'indagine supplementare su tali disoccupati e si riserva di presentarne gli esiti e di trarne le conseguenze durante l'esame parlamentare del ddl. In ogni caso l'esistenza di quest'ultima massa di persone non può costituire la prova dell'inutilità e dannosità di ingressi per inserimento nel mercato del lavoro, per diversi motivi:

1)    i visti di ingresso per inserimento nel mercato del lavoro sono stati effettivamente rilasciati soltanto nel 2000 e nel 2001 e non sono più di 30.000;

2) gli stranieri in cerca di prima occupazione possono essere: a) minori che abbiano compiuto 14 anni o ex-minori di età; b) persone ricongiuntesi al familiare; c) persone che hanno regolarizzato la propria posizione nel 1998/99, ma non in tempo per poter continuare la propria attività lavorativa iniziata illegalmente; d) rifugiati

3) nessun ragionamento può fondarsi una massa indistinta di disoccupati, bensì su disoccupati suddivisi per settori, qualifiche, mansioni, zone di iscrizione ecc.;

4) è noto che per legge tutti i servizi per l'impiego sono stati trasferiti dallo Stato alle Province e sono in corso di riorganizzazione e in questi mesi del 2001 stanno procedendo ad una puntuale e radicale revisione e ripulitura delle liste di collocamento da chi non è effettivamente disponibile ad assumere immediatamente un posto di lavoro e dunque le cifre sugli iscritti al collocamento del 1999 sono ampiamente sopravvalutate.

    Alla luce di quanto sopra ricordato appare un presupposto del tutto indimostrato e indimostrabile l’affermazione contenuta nella relazione illustrativa del ddl secondo la quale la soppressione dell'istituto dello sponsor sarebbe collegata al fatto che esso “nella sua attuazione non ha raggiunto  l’ obiettivo di favorire l’ingresso nella realtà lavorativa dei lavoratori stranieri”.

    L’abrogazione dell’ingresso per inserimento nel mercato del lavoro è inutile anche perché la vigente disciplina legislativa già oggi consente al Governo la massima discrezionalità nella determinazione delle quote e dunque gli consente di adottare ogni forma di cautela contro possibili abusi. Pertanto già oggi senza dover modificare la legge il D.P.C.M. di determinazione annuale delle quote ben potrebbe di volta in volta prevedere anche limiti qualitativi, cioè p. es. limitare tali tipi di ingressi a rapporti di lavoro relativi a ben determinati settori, qualifiche e mansioni o a determinate zone del Paese in cui il tasso di disoccupazione sia inferiore alla media nazionale e/o richiedere che la garanzia sia  supportata dall’esistenza di una comprovata disponibilità a farsi carico dell’inserimento lavorativo da parte di società private di collocamento legalmente autorizzate o di associazioni o enti iscritti nel registro nazionale degli enti che operano in favore degli stranieri.

 

 

ART. 17 (Lavoro stagionale)

  La norma riproduce il medesimo testo del vigente art. 24 T.U. adeguandolo ai medesimi criteri  previsti per gli ingressi per lavoro subordinato a tempo determinato o indeterminato (inclusa la criticata verifica preventiva dell’indisponibilità di altri italiani o comunitari iscritti nelle liste di collocamento).

 

 

ART. 18 (Ingresso e soggiorno per lavoro autonomo)

    La previsione dell'espulsione immediata per lo straniero che commercia, produce o distribuisce prodotti falsi e contraffatti di per sé non suscita particolari problemi, ma la norma prevista dal ddl si espone a numerose critiche.

   In primo luogo occorre precisare se l’espulsione sia da intendersi quale misura di sicurezza o pena accessoria alla condanna definitiva oppure se debba essere disposta con provvedimento amministrativo, nel qual caso essa violerebbe la riserva di giurisdizione prevista dall'art. 13 Cost.

   In secondo luogo sorgono spontanei alcuni dubbi circa la ragionevolezza e l’equità della norma sotto due profili.

   Da un lato una simile sanzione inserita in un articolo dedicato al lavoro autonomo sembra riferirsi ai soli stranieri titolari di un permesso di soggiorno per lavoro autonomo e non già ad ogni straniero titolare di qualsiasi tipo di permesso di soggiorno.

   Dall’altro lato una simile sanzione potrebbe essere efficace e ragionevole se almeno si accompagnasse ad una specifica aggravante da prevedersi nei confronti di chiunque ceda a qualsiasi titolo merce contraffatta a stranieri.

 

 

ART.19 (attività sportive)

 Norma in parte superflua e in parte costituzionalmente illegittima.

 Circa gli ingressi dall’estero di sportivi stranieri la norma appare sostanzialmente superflua: essa apparentemente  affida al Ministro per i beni e le attività culturali il compito di determinare il limite massimo annuale di ingresso degli sportivi stranieri che svolgono attività sportiva  a titolo professionistico, ma in realtà lascia la proposta all’autonoma iniziativa del CONI, cioè allo stesso organismo che oggi in base all’art. 40, comma 14 del regolamento di attuazione del T.U. è competente a  esprimere il proprio assenso all’assunzione dall’esetero di sportivi stranieri.

Qualora la previsione di limiti numerici agli sportivi extracomunitari si ritenesse applicabile anche agli stranieri che siano già regolarmente soggiornanti in Italia con un titolo di soggiorno che di per sé consente loro l’accesso al mercato del lavoro, la norma sarebbe costituzionalmente illegittima per violazione della riserva di legge rinforzata in materia di condizione giuridica degli stranieri prevista dall’art. 10, comma 2 Cost., poiché viola la parità di trattamento tra lavoratori italiani ed extracomunitari regolarmente soggiornanti prevista dalla Conv. O.I.L. n. 143 del 24 giugno 1975, ratificata e resa esecutiva con legge 10 aprile 1981, n. 158, principio ribadito dall’art. 2, comma 3 T.U. e dalla sentenza n. 454/1998 della Corte costituzionale.

 

 

ART. 20 (Ricongiungimento familiare)

   Norma in parte inopportuna.

   Il primo comma  esclude dal ricongiungimento familiare i genitori che non siano a totale carico del figlio che si trova in Italia: la norma si adegua alla direttiva comunitaria di prossima adozione, ma non precisa come sia possibile dimostrare l’inesistenza di altri figlio attualmente incapaci di provvedere al sostentamento in patria. 

   Il secondo comma esclude dal ricongiungimento familiare i parenti entro il terzo grado, ma si pone in radicale contrasto con la proposta di direttiva sul ricongiungimento familiare in corso di approvazione a livello dell'Unione europea che anche a tali categorie espressamente consente di ricongiungersi: cfr. Proposta della Commissione – COM (2000) 624: proposta  modificata di direttiva del Consiglio relativa al diritto al ricongiungimento familiare (presentata dalla Commissione in applicazione dell'articolo 250, paragrafo 2 del trattato CE).

     In ogni caso il ddl non coglie l’occasione per prevedere alcuna norma che recepisca e adatti l’ordinamento italiano a quella proposta di direttiva, alla quale tutti gli stati membri, una volta definitivamente approvata, dovranno conformarsi entro il 31 dicembre 2002.

    L’ultima parte dell’articolo provvede opportunamente a spostare l’esame delle domande dei nulla-osta al ricongiungimento familiare dalle Questure ai nuovi Sportelli unici per l’immigrazione istituiti presso gli Uffici territoriali del Governo.

 

 

ART. 21 (Centri di accoglienza e accesso all'abitazione)

   Norme controproducenti e superflue.

   Il primo comma abroga la facoltà del sindaco di disporre l’alloggiamento di stranieri non regolarmente soggiornanti che si trovino in situazione di emergenza, che comunque era prevista ferma restando il rispetto delle norme sulla loro espulsione o respingimento. La norma appare del tutto controproducente, perché non spiega come si possa provvedere ad alloggiare costoro anche quando non siano disponibili centri di permanenza temporanea e assistenza o quando si verifichi un ingresso per motivi di calamità naturale o di disastri pubblici. Così la norma finisce per gravare di tali oneri i soli enti del “privato sociale”.

   Il secondo comma è del tutto superfluo perché già oggi gli artt. 40, 41, 42 T.U.. prevedono misure di integrazione sociale soltanto in favore di stranieri regolarmente soggiornanti.

 

 

ART. 22 (aggiornamenti normativi)

  Norma superflua.

   La norma prevede sostituzioni e aggiornamenti che sono già previste da altre norme generali vigenti, quelle sull’istituzione del giudice unico di primo grado (cfr. D. Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51) e sul riordino dell’organizzazione del Governo (cfr. art. 11 D. Lgs. 30 luglio 1999, n. 300).

 

 

ART. 23 (disposizioni di contrasto ai matrimoni simulati)

   Norma malformulata e di difficile applicazione.

   Di per sé appare ragionevole l’esigenza della prevenzione e repressione dell’uso simulato del matrimonio con cittadini italiani o comunitari al solo fine di evitare un provvedimento di espulsione e di ottenere un permesso di soggiorno.

   Tuttavia ogni intervento su tale materia deve essere effettuato con la massima cautela per non incorrere in violazione del diritto di formare una famiglia, garantito a tutti dalla Costituzione e dalle norme internazionali (cfr. art. 12 conv. eur. dir. uomo).

   Perciò non appare adeguato alla delicatezza del bene costituzionalmente tutelato affidarne la gestione all’autorità di pubblica sicurezza invece che agli ufficiali di stato civile e agli uffici del pubblico ministero che in base al codice civile sovraintendono a tutta la materia matrimoniale. Per prevenire la celebrazione in Italia di matrimoni strumentali ben si potrebbe esigere un’indagine preventiva alla celebrazione da parte del pubblico ministero su segnalazione dell’ufficiale di stato civile qualora lo straniero nubendo non sia in grado di esibire un titolo di soggiorno in corso di validità.

   In ogni caso la norma del ddl conferisce un’eccessiva discrezionalità all’autorità di pubblica sicurezza perché non prevede criteri (anche temporali) e modalità precise per l’accertamento dell’effettiva convivenza dopo la celebrazione del matrimonio.

 

 

TITOLO II Disposizioni in materia di asilo

  Tutte le norme del titolo II (artt. 24 e 25) appaiono inopportune, intempestive, di indubbia illegittimità costituzionale e prive di copertura finanziaria.

   In particolare le disposizioni in materia di asilo previste dall’art. 25 ddl appaiono ambigue sotto vari profili.

   In primo luogo è evidente che non si può racchiudere in soli due articoli una disciplina così delicata e complessa su un diritto costituzionalmente garantito e sulla quale sono state recentemente approvate direttive comunitarie

   In secondo luogo è evidente la grave inopportunità di provvedere a disciplinare ancora parzialmente la materia del diritto d’asilo, perché occorre e/o occorrerà comunque adattare tutta la legislazione anche alle ben più complesse ed articolate norme previste dalle direttive comunitarie recentemente  approvate in materia o in corso di approvazione:

1)    Direttiva 2001/55/CE del Consiglio, del 20 luglio 2001, sulle norme minime per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati e sulla promozione dell'equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono gli sfollati e subiscono le conseguenze dell'accoglienza degli stessi; a tale direttiva ogni Stato membro ha già oggi l’obbligo di adeguarsi entro il 31 dicembre 2002;

2)    Proposta della Commissione – COM (2000) 528: Proposta di direttiva del Consiglio recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato; (la Commissione propone che ogni Stato membro debba adeguarsi a tali norme entro il 31 dicembre 2002)

3) Proposta della Commissione – COM (2001) 181: Proposta di direttiva del Consiglio recante norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri; (la Commissione propone che ogni Stato membro debba adeguarsi a tali norme entro il 31 dicembre 2002).

    Non a caso dunque il ddl sul diritto d'asilo che era stato approvato dalla Camera il 7 marzo 2001 conteneva circa 20 articoli. Lo stralcio della disciplina complessiva del diritto d'asilo (la cui titolarità spetta non soltanto ai rifugiati) fa sì che il ddl contenga una disciplina eccessivamente sommaria (e sostanzialmente vessatoria)  dell’accesso ad un diritto soggettivo dello straniero che è il più tutelato sia a livello costituzionale, sia a livello internazionale.

    In terzo luogo è evidente che le nuove norme del ddl introducono soltanto una procedura accelerata e sommaria di pre-esame (non è chiaro come e se la procedura ordinaria potrebbe davero continuare ad essere applicabile) da parte di neo-istituite commissioni territoriali – i cui membri effettivi sarebbero soltanto funzionari governativi – le quali avrebbero il potere di adottare decisioni immediatamente esecutive ed impugnabili dal richiedente asilo con un ricorso privo di automatici effetti sospensivi prima che sia eseguito l’allontanamento coattivo dello straniero. Questi soli elementi sono da soli capaci di privare di ogni effettività il diritto d’asilo che l’articolo 10, comma 3 Cost. prevede come diritto soggettivo perfetto.

   In quarto luogo si prevede un’ulteriore notevole precarizzazione della condizione del richiedente asilo disponendone il trattenimento presso speciali centri di accoglienza o presso  i centri di permanenza temporanea e sopprimendo la possibilità generalizzata di fruire di un contributo di prima assistenza. In ogni caso non esiste alcuna copertura finanziaria a questi indubbi nuovi oneri.

    Nessuna misura è invece prevista in favore dei rifugiati riconosciuti.

  In ogni caso l’effettiva applicazione delle norme introdotte dall’intero titolo II è rinviata dal nuovo art. 1-bis all’entrata in vigore di un apposito regolamento di attuazione da approvarsi entro 6 mesi dall’entrata in vigore della legge.

   Un’intera parte della nuova legislazione è dunque rinviata ad un futuro incerto e ciò non fa che confermare la necessità di uno stralcio della materia e del suo rinvio ad un organico ddl sul diritto d’asilo. Infatti è irragionevole rinviare l’entrata in vigore di una disciplina stralcio del diritto d’asilo ad un momento in cui probabilmente sarà già tempo di rivedere l’intera disciplina per adeguarla alle direttive comunitarie che nel frattempo saranno entrate in vigore.

 

 

ART. 26 (norme finali) (norme finanziarie)

  Norma malformulata, confusa e ambigua.

  Sembrano previsti due tipi di regolamenti che si trovano in posizione contraddittoria l’uno con l’altro.

  Il primo comma prevede un nuovo regolamento di attuazione del T.U. sull’immigrazione da adottarsi entro 6 mesi.

  Il secondo comma prevede un altro tipo di regolamento di “ revisione ed integrazione delle disposizioni regolamentari vigenti sull’immigrazione, sulla condizione dello straniero e sul diritto di asilo”, la cui emanazione dovrebbe avvenire entro 4 mesi e che dunque mal si concilia col regolamento previsto dal primo comma e con il regolamento di attuaizone in materia di diritto d’asilo che in base al nuovo art. 1 bis introdotto dall’art. 25 ddl dovrebbe essere a sua volta emanato entro 6 mesi dall’entrata in vigore della legge.

    Il terzo comma afferma l’inesistenza di oneri aggiuntivi dall’entrata in vigore della nuova legge.

    Se l’affermazione corrispondesse a verità significherebbe che l’intero ddl sarebbe autoapplicativo senza costi aggiuntivi derivanti dalla necessità di istituire in tutto il territorio nazionale nuovi centri di permanenza temporanea e assistenza, di procedere ad un numero elevatissimo di rimpatri di stranieri espulsi, di  istituire in ogni provincia i nuovi sportelli unici per l’immigrazione presso gli Uffici territoriali del Governo, di istituire le nuove commissioni territoriali per il riconoscimento dello status di rifugiato e di istituire appositi centri di accoglienza in cui dovrebbero essere trattenuti i richiedenti asilo durante la procedura accelerata di riconoscimento dello status di rifugiato.

   E’ evidente che si tratta di un presupposto indimostrato che sembra invece celare una finzione necessaria per aggirare l’obbligo di copertura finanziaria delle leggi prevista dall’art. 81 Cost. e per giungere così alla presentazione del ddl.

    L’effettiva copertura finanziaria di una legge è invece il metro per misurare l’intento  di raggiungere effettivamente gli intenti perseguiti, senza illudere la pubblica opinione nella facile autoapplicazione delle nuove norme.