Ricercatore di diritto costituzionale nella Facoltà di giurisprudenza dell’Università degli studi di Milano Bicocca, docente di istituzioni di diritto pubblico e di diritto regionale.
OSSERVAZIONI SULLO SCHEMA DI
DISEGNO DI LEGGE RECANTE MODIFICAZIONE
ALLE NORME IN MATERIA DI IMMIGRAZIONE E DI ASILO
Sottoposto alla Conferenza
unificata Stato-Regioni-Autonomie locali
La Conferenza è
chiamata a pronunciare entro 20 giorni un parere sullo schema di disegno di
legge in materia di modifica della normativa vigente in materia di immigrazione
e asilo.
L’intero testo si presta alle più decise e profonde
valutazioni negative e dovrebbe essere profondamente ripensato per molti motivi
generali e specifici.
ASPETTI GENERALI
1) mancanza di copertura finanziaria: Il comma 3 dell’art. 26 ddl afferma
l’inesistenza di oneri aggiuntivi dall’entrata in vigore della
nuova legge.
Così però significa che l’intero ddl sarebbe autoapplicativo, mentre è evidente che si creano costi aggiuntivi derivanti dalla necessità di dare immediata esecuzione coattiva ai provvedimenti amministrativi di espulsione (istituire in tutto il territorio nazionale nuovi centri di permanenza temporanea e assistenza e di procedere ad un numero elevatissimo di rimpatri di stranieri espulsi), di istituire in ogni provincia i nuovi sportelli unici per l’immigrazione presso gli Uffici territoriali del Governo, di prevedere uno scambio telematico di dati tra gli Uffici territoriali del Governo e i centri per l’impiego, di istituire le nuove commissioni territoriali per il riconoscimento dello status di rifugiato e di istituire e gestire appositi centri di accoglienza in cui dovrebbero essere trattenuti i richiedenti asilo durante la procedura accelerata di riconoscimento dello status di rifugiato.
Occorre
rispettare l’obbligo di copertura finanziaria delle leggi prevista
dall’art. 81 Cost. anche perché l’effettiva copertura finanziaria di una
legge è invece il metro per misurare l’intento di raggiungere effettivamente gli intenti
perseguiti, senza illudere la pubblica opinione nella facile autoapplicazione
delle nuove norme.
2) Molte delle norme del ddl sono sostanzialmente superflue o
controproducenti o malformulate o addirittura di dubbia legittimità
costituzionale, e soprattutto contrastano o omettono di adeguare
l’ordinamento italiano alle complesse e articolate norme comunitarie che
sono state recentemente approvate o che sono in corso di approvazione proprio
sui medesimi argomenti che sono oggetto del ddl:
a)
ingressi e soggiorni
per lavoro subordinato e per lavoro autonomo, cfr. Proposta della commissione
europea COM (2001) 386 (01) dell’11 luglio 2001 di direttiva del
Consiglio relativa alle condizioni d'ingresso e di soggiorno dei cittadini di
paesi terzi che intendono svolgere attività di lavoro subordinato o
autonomo (direttiva alle cui norme la Commissione propone che ogni Paese membro
si debba adeguare entro il 1 gennaio 2004).
b)
permessi di
soggiorno: proposta della Commissione - COM (2001) 157: Proposta di Regolamento
del Consiglio che istituisce un modello uniforme per i permessi di soggiorno
rilasciati a cittadini di paesi terzi.
c)
ricongiungimenti
familiari, cfr. Proposta della Commissione – COM (2000) 624:
proposta modificata di direttiva
del Consiglio relativa al diritto al ricongiungimento familiare (presentata
dalla Commissione in applicazione dell'articolo 250, paragrafo 2 del trattato
CE), alle cui norme tutti gli Stati membri, una volta definitivamente
approvata, dovranno conformarsi entro il 31 dicembre 2002
d)
status degli
stranieri titolari di un permesso di lungo periodo: cfr. Proposta della
Commissione COM (2001) 127: Proposta di direttiva del Consiglio relativa allo
status dei cittadini di paesi terzi che siano residenti di lungo periodo (la
Commissione propone che ogni Stato membro debba adeguare il proprio ordinamento
entro il 31 dicembre 2003).
e)
Sanzioni per i
vettori: cfr. le sanzioni attualmente previste nei confronti dei vettori che
trasportano stranieri clandestini dalle recenti norme (già in vigore) della
Direttiva 2001/51/CE del Consiglio, del 28 giugno 2001, che integra le
disposizioni dell'articolo 26 della convenzione di applicazione dell'accordo di
Schengen del 14 giugno 1985, alle quali ogni Stato membro deve comunque
adempiere entro l’11 febbraio 2003.
f)
Standard
minimo per l’esame delle domande di asilo, Proposta della Commissione
– COM (2000) 528: Proposta di direttiva del Consiglio recante norme
minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento
e della revoca dello status di rifugiato; (la Commissione propone che ogni
Stato membro debba adeguarsi a tali norme entro il 31 dicembre 2002)
g)
Misure di
accoglienza dei richiedenti asilo: cfr. le norme della Proposta della
Commissione – COM (2001) 181: Proposta di direttiva del Consiglio recante
norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri;
(la Commissione propone che ogni Stato membro debba adeguarsi a tali norme
entro il 31 dicembre 2002).
h)
tipologia delle espulsioni: cfr le norme (già in vigore) della
Direttiva 2001/40/CE del Consiglio, del 28 maggio 2001, relativa al
riconoscimento reciproco delle decisioni di allontanamento dei cittadini di
paesi terzi, alla quale ogni Stato membro dell’Unione deve adeguarsi
entro il 2 dicembre 2002.
i)
Esodi di massa e
sfollati: cfr. le norme (già in vigore) Direttiva 2001/55/CE del
Consiglio, del 20 luglio 2001, sulle norme minime per la concessione della
protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati e sulla
promozione dell'equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono gli
sfollati e subiscono le conseguenze dell'accoglienza degli stessi; a tale
direttiva ogni Stato membro ha già oggi l’obbligo di adeguarsi
entro il 31 dicembre 2002;
Appare dunque uno spreco di energie e assai inopportuno adottare oggi una normativa che contrasti o non tenga conto delle norme comunitarie in vigore o di imminente adozione, anche perché entro breve tempo l’Italia sarebbe comunque obbligata a riprendere in mano e rielaborare nuovamente tutta la materia. Occorrerebbe perciò rinviare di qualche mese ad altro ddl ben più articolato ogni modifica legislativa delle materie che siano oggetto di recenti o imminenti norme dell'Unione europea (nuovi ingressi di lavoratori stranieri, ricongiungimento familiare, asilo, status degli stranieri titolari di un soggiorno di lungo periodo). Il mancato rinvio da parte del Governo sarebbe comunque inutile, perché potrebbe comportare un prevedibile blocco o ritardo dell’esame del ddl da parte delle Camere: durante l’esame del Parlamento sarebbe comunque evidente la totale inadeguatezza delle nuove norme alle norme comunitarie – nel frattempo entrate in vigore - e comporterebbe comunque un loro stralcio in vista di un loro completo ripensamento.
In ogni caso
anche se in sede parlamentare non si verificasse né uno stralcio,
né una riformulazione del testo, è evidente che una nuova legge
che dimentichi di adeguarsi alle norme comunitarie in materia avrebbe una
durata di pochi mesi, perché in brevissimo termine Governo e Parlamento
dovrebbero approvare una nuova
normativa per adeguare tutta la legislazione all’imponente massa di norme
comunitarie alle quali l’Italia ha comunque l’obbligo di adeguarsi
in virtù della sua appartenenza all’Unione europea.
Per
conseguire effettivamente gli scopi espressamente indicati nel programma di
governo proposto agli elettori - e per evitare effetti del tutto
controproducenti – occorrerebbe chiedersi se prima di addivenire a
modifiche legislative non sia invece più urgente provvedere a
cambiamenti nell'azione diplomatica e nell'attuazione delle norme vigenti,
utilizzando a tal fine l'amplissima discrezionalità che esse lasciano al
Governo in carica. Infatti non occorre alcuna nuova legge, ma è
sufficiente applicare quella in vigore per potenziare la dotazione e
l’organizzazione delle forze di polizia, per aumentare il numero dei
centri di permanenza temporanea e assistenza, per negoziare nuovi accordi bilaterali di riammissione con
altri Paesi, per adottare una programmazione annuale delle quote di ingresso
per lavoro improntata a criteri innovativi.
3) Le competenze
regionali e degli enti locali sono misconosciute dal ddl perché:
a) non è prevista una presenza
obbligatoria delle regioni nel neo-istituito Comitato per il coordinamento e il
monitoraggio della legge;
b) non è previsto un parere obbligatorio e
vincolante da parte di ogni Regione sulle quote di ingressi per lavoro da
destinare al proprio territorio;
c) nessun sostegno finanziario o amministrativo
dello Stato è previsto per l’esercizio delle funzioni di
integrazione sociale, accesso all’alloggio e all’istruzione e
formazione professionale degli stranieri regolarmente soggiornanti;
d) nessun sostegno finanziario alle regioni e
agli enti locali è previsto per gli speciali centri di accoglienza per
richiedenti asilo.
4) La restrizione dell’immigrazione regolare è inoltre attuata in forme e modi controproducenti, perché ignora che esiste comunque una notevole pressione migratoria.
Ogni legge che vuole efficacemente regolare l’immigrazione intende non già aumentare l’immigrazione, bensì aumentare l’immigrazione regolare e perciò non può ignorare le caratteristiche oggettive del fenomeno migratorio, perché altrimenti rischia di diventa illusoria: rassicura nel breve periodo, ma nel medio-lungo periodo finisce con l’incrementare l’immigrazione clandestina e il lavoro nero e così contribuisce ad aumentare il senso di insicurezza collettiva.
Il parere è altresì contrario nel merito della
maggioranza delle norme proposte che si rivelano contraddittorie rispetto al
fine di prevenire e reprimere l’immigrazione clandestina sotto
diversi profili.
4.1. Generalizzata esecuzione immediata del
provvedimento amministrativo di espulsione. Preoccupa non l’obiettivo
di fondo, in sé legittimo, di eliminare l’immigrazione clandestina
e di rendere efficaci le espulsioni, ma la scelta dei mezzi che si intendono
adottare, in particolare la sommaria procedura che comporta
l’accompagnamento immediato alla frontiera per semplice provvedimento
amministrativo, senza effettiva possibilità di ricorso.
L’accompagnamento immediato alla frontiera – che comporta
conseguenze rilevantissime per ogni persona e per la sua famiglia - senza una
preventiva pronuncia del giudice sembra inoltre contrastare con l’art. 13
della Costituzione come ha recentemente affermato la Corte costituzionale (cfr.
sent. n. 105/2001). Il legittimo interesse dello Stato a tutelare
l’integrità del suo territorio può realizzarsi in forme che
non compromettano irreparabilmente la libertà personale e il diritto
alla difesa dello straniero, prevedendo p. es. un trattenimento provvisorio
dell’espellendo nei centri di permanenza in attesa della decisione del
giudice, da adottarsi in tempi brevissimi, sull’accompagnamento immediato
e sul trattenimento definitivo in attesa del rimpatrio.
4.2. E’
accentuata la precarietà dello straniero regolarmente soggiornante ed
è minata la stabilità del suo soggiorno in modo molto serio.
La stessa terminologia ne è un indice significativo, col cambiamento del
“permesso di soggiorno” in “contratto di soggiorno”: il
contratto vale per due anni non per tre come prevede la proposta normativa
europea, lo si può rinnovare per altri due anni e non per quattro come
prevede la legge vigente. Inoltre la carta di soggiorno è rilasciata non più dopo
5 anni ma dopo 6 anni, anche ciò in contrasto con l’orientamento
europeo, nel quale, tra l’altro, è prevista per l’immigrato
una progressività di diritti che lo porta a un permesso di soggiorno
“di lunga durata”. Infine il lavoratore straniero che perda il
posto di lavoro, allo scadere del permesso non ha più un anno di tempo,
ma soltanto sei mesi per trovarsi un altro lavoro.
4.3. Si produce una
notevole restrizione dei ricongiungimenti familiari. Vengono esclusi dalla
possibilità di ricongiungimento i genitori a carico quando vi siano
altri figli e i parenti fino al terzo grado a carico inabili al lavoro: una
restrizione alla legge in vigore che sarebbe apertamente in contrasto con la
direttiva europea in corso di approvazione. Inoltre la precarietà e
conseguente temporaneità del lavoro rischia di ridurre fortemente le
possibilità di ricongiungimento.
4.4. Si riducono
e si rendono inutilmente difficili le vie legali dell’immigrazione per
lavoro: si ritornerebbe ad un sistema basato soltanto sulla preventiva
chiamata nominativa del datore di lavoro, così dimenticando che esistono
molti tipi di lavori per i quali è essenziale il preventivo incontro
“in loco” della domanda e dell’offerta di lavoro. In tal
senso l’abrogazione dell’ingresso per inserimento nel mercato del
lavoro sarebbe del tutto controproducente di fronte all’elevata richiesta
di manodopera presente in molte zone del Paese. Si determina così un
irrigidimento della disciplina degli ingressi regolari per lavoro secondo
canali e forme che appaiono inutilmente complicate rispetto alle concrete
esigenze del mercato del lavoro e che in realtà ritornano al passato
ripristinando un sistema analogo a quello che fino al 1998 non ha affatto
limitato l'immigrazione, ma al contrario ha determinato un blocco dei nuovi
ingressi regolari per lavoro e ha perciò incentivato il ricorso
massiccio all'immigrazione clandestina e ha così costretto il
legislatore ad intervenire nel 1987, nel 1990, nel 1995 e nel 1998 con provvedimenti
di regolarizzazione.
4.5. Si vanifica
sostanzialmente l’accesso al diritto di asilo – uno dei diritti
più universalmente tutelati dei migranti: esso è disciplinato in
due soli articoli, proprio mentre era già stato approvato dalla Camera
nel marzo 2001 un ampio disegno di legge ed è in corso di approvazione
in sede comunitaria una triplice direttiva molto dettagliata con decine di
articoli. Sulle singole domande di asilo giudicherebbe non più
un’unica Commissione centrale, bensì tante Commissioni territoriali,
costituite soltanto da funzionari governativi, che con una procedura accelerata
e sommaria di pre-esame darebbero una decisione, alla quale, in caso di esito
negativo seguirebbe – senza possibilità di un ricorso con effetti
sospensivi – l’espulsione, così vanificando l’essenza
stessa del diritto d’asilo - che comporta anzitutto la possibilità
dell’accesso alla procedura e di un esame da parte di un soggetto
imparziale. Inoltre colpisce che in attesa del pre-esame il richiedente asilo
sia forzatamente rinchiuso in appositi centri di accoglienza o nei centri di
permanenza temporanea, mentre si sopprimerebbe il contributo di prima
assistenza. Nessuna nuova misura è invece prevista in favore della
condizione degli stranieri che abbiano ottenuto il riconoscimento dello status
di rifugiato.
5) Alla luce delle osservazioni critiche
si impone un profondo ripensamento ed è dunque possibile delineare alcuni
scenari per il prosieguo dello schema di ddl:
a) testo del ddl profondamente ripensato e/o ridotto
all'osso, eliminando temi oggetto di direttive comunitarie in vigore o
imminenti: in tal caso resterebbero soltanto le modifiche al T.U. immigrazione
relative agli artt. 12 (norme penali), 13 (espulsione amministrativa), 14
(esecuzione dell'espulsione), 16 (espulsione come misura alternativa alla
detenzione).
b) testo del ddl ripensato, eliminando temi che
comportano oneri alle finanze : in tal caso dovrebbero essere espunti dal ddl
tutte le norme relative all'espulsione, al lavoro, al diritto d'asilo.
c) rinvio del ddl a dopo l'approvazione parlamentare
della manovra di bilancio 2001 (che avviene entro il 31 dicembre 2001), nella
quale dovrebbe essere previsto l'aumento delle risorse da destinare alle misure
in materia di immigrazione e asilo
d) rinvio un po' più breve, con qualche
rimaneggiamento marginale.
L’ipotesi migliore è quella indicata al punto a):
ridurre il testo del ddl alle sole norme che appaiono essenziali per la
repressione dell’immigrazione clandestina, cioè, con riferimento
agli articoli del T.U. delle norme sull’immigrazione che si vogliono
modificare : artt. 12 (norme penali), 13 (espulsione
amministrativa), 14 (esecuzione dell'espulsione), 16 (espulsione come misura
alternativa alla detenzione).
Tuttavia anche il testo di ciascuna di tali norme del ddl deve essere modificato per risolvere i delicati problemi di carattere giuridico-costituzionale segnalati ad ogni articolo nelle osservazioni allegate.
In particolare
-
le norme penali
del nuovo art. 12 T.U. devono essere ulteriormente rafforzate ed estese ad
altre fattispecie
-
Le osservazioni
circa l’art. 13 T.U. impongono di creare un numero cospicuo di centri di
permanenza temporanea e assistenza, diffusi in tutte le Regioni non rendere
eventuale il trattenimento dell’espellendo, ma anche per evitare che si
istituisca – come invece vorrebbe il nuovo testo dell’art. 14 T.U.
- la sanzione penale per uno straniero espulso che non abbia lasciato entro 5
giorni il Paese per il solo fatto di non disporre dei mezzi per potersi
allontanare dallo Stato a proprie spese, il che provocherebbe l’mmissione
di una massa enorme di stranieri nel circuito penitenziario.
ASPETTI SPECIFICI DELL’ARTICOLATO
ART. 1 (Cooperazione con stati stranieri):
Norma superflua,
mal formulata e inopportuna.
Il primo comma potrebbe entrare a far
parte di norme di leggi finanziarie o tributarie.
Non si capisce il
senso di una norma simile in un testo normativo che si occupa di immigrazione e
di asilo.
Se davvero si volessero
incentivare le azioni di prevenzione delle cause che inducono
all’emigrazione per motivi di lavoro, allora occorrerebbe prevedere
espressamente che si deve trattare di elargizioni in favore di iniziative condotte da enti aventi sede in
Italia ed effettuate nei Paesi di maggiore emigrazione verso l’Italia e finalizzate alla prevenzione delle
cause che inducono all’emigrazione verso l’Italia o ad un positivo
reinserimento in patria degli stranieri emigrati in Italia, secondo criteri che
dovrebbero essere definiti
periodicamente nel medesimo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri
che individua gli enti.
Il
secondo comma è del tutto superfluo perché le misure che prevede
possono essere già oggi adottate dal Ministero degli affari esteri in
base alle leggi vigenti in materia di cooperazione allo sviluppo. Del resto un
incentivo alla collaborazione è già espressamente previsto dalle
vigenti norme del T.U. sull’immigrazione (cfr. artt. 2, 3, 19). Insistere
su una forma di sanzione e non di incentivo (come le quote preferenziali o la
cessione di apparecchiature per il controllo) finirebbe col penalizzare proprio
quei Paesi di maggiore emigrazione e impedirebbe all’Italia di adottare
politiche graduali: una forma di sanzione potrebbe invece consistere nella
revoca dei benefici previsti dalla vigente legislazione sull’immigrazione
(p. es. riduzione o eliminazione delle quote preferenziali di ingresso per i
cittadini di quei Paesi).
ART. 2 (Comitato per il coordinamento ed il monitoraggio).
Norma superflua,
mal formulata e di dubbia legittimità costituzionale.
Un comitato
interministeriale per il coordinamento ed il monitoraggio può essere
istituito in qualsiasi momento senza che vi sia bisogno di modifiche
legislative, ma con proprio decreto dal Presidente del Consiglio dei ministri
in base alla legge n. 400/1988, così come è avvenuto nella
precedente legislatura.
La mera istituzione
per legge di un simile organismo non può certo incrementarne
l’efficacia operativa.
Inoltre essa va in
direzione opposta rispetto alla legislazione recente che mira a ridurre al
minimo i comitati interministeriali.
E’ altresì evidente che la norma sempre invece mirare a dare una priorità al Ministero dell’Interno nel coordinamento dell’indirizzo amministrativo degli altri ministeri, ma così facendo si viola l’art. 95 Cost. che conferisce tale attribuzione al solo Presidente del Consiglio dei Ministri.
In tal senso accresce la
confusione di ruoli, invece di semplificarla e di renderla conforme
all’art. 95 Cost. che prevede una riserva di legge, la norma che
attribuisce non alla legge, ma ad un regolamento governativo proposto dal
Presidente del Consiglio dei Ministri l’individuazione delle
modalità di coordinamento delle attività del gruppo tecnico con
le strutture della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Un simile gruppo
tecnico ben potrebbe collegarsi ad un apposito Dipartimento per
l’immigrazione da istituirsi come “struttura di missione”
presso la Presidenza del consiglio dei Ministri ai sensi dell’art. 7,
comma 3 D. Lgs. 30 luglio 1999, n. 303.
In ogni caso un coordinamento e un monitoraggio dell’applicazione della normativa sull’immigrazione appare lacunoso senza la presenza di rappresentanti delle Regioni che hanno potestà legislativa e amministrativa in materia e perciò il gruppo tecnico o il Dipartimento dovrebbero comunque mantenere un collegamento organico con la Conferenza Stato-Regioni.
ART. 3 (politiche migratorie)
Norma opportuna, ma in parte ambigua.
Da un lato si prevede
espressamente un termine per la determinazione delle quote di ingresso in
Italia per lavoro; per evitare inutili slittamenti dovuti ad altre fasi della
procedura (Parere parlamentare, emanazione definitiva, registrazione della
Corte dei conti) sarebbe però opportuno precisare che il termine del 31
dicembre si riferisce alla pubblicazione del D.P.C.M. di determinazione.
Dall’altro
lato si prevede opportunamente il coinvolgimento obbligatorio della Conferenza
Stato – Regioni, ma non si prevede un termine per l’espressione del
parere, né la possibilità per ogni regione di esprimere il
proprio dissenso e/o una esplicita proposta alternativa a quella prospettata
dal Governo.
Né si
prevede per il Presidente del Consiglio dei Ministri un termine analogo per
l’emanazione del proprio decreto in caso di emanazione di una nuova
determinazione delle quote.
Quest’ultima norma appare comunque ambigua e di dubbia
legittimità costituzionale perché impedisce alle Camere e alla
Conferenza Stato - Regioni di
esprimere un proprio parere anche sulla scelta del Governo di non adottare una
nuova determinazione delle quote di ingressi per lavoro e così di fatto
consente al Governo con una scelta totalmente discrezionale di far perdere di
efficacia le norme legislative in vigore in materia di ingressi per lavoro e
ciò contrasta con la riserva di legge in materia di condizione giuridica
dello straniero prevista dall’art. 10, comma 2 Cost.
ART. 4 (permesso di soggiorno)
Il primo comma appare formulato in modo
incomprensibile.
Il secondo comma è superfluo
perché già oggi la norma del comma 3 dell’art. 5 prevede
che la parificazione della durata del permesso di soggiorno a quella prevista
nel visto di ingresso si applica nei casi in cui il T.U. non preveda termini
diversi e tali termini diversi sono previsti proprio in materia di permessi per
motivi di lavoro.
L’abrogazione prevista dal comma
3 appare in realtà fittizia, perché i successivi commi introdotti
dal ddl ripristinano la medesima durata dei permessi di soggiorno che è
prevista nella norma che si vuole abrogare.
La norma del comma
3-ter appare in parte opportuna allorchè semplifica la vita del
lavoratore stagionale e dell’amministrazione e prevede un permesso di
soggiorno pluriennale per lavoro stagionale.
Del tutto ambiguo e
di dubbia legittimità costituzionale è invece il riferimento alla
revoca immediata del permesso in caso di abuso: la mancata previsione di
criteri per individuare tale abuso dà all’amministrazione una
discrezionalità illimitata e così viola la riserva di legge in
materia di condizione giuridica dello straniero prevista dall’art. 10,
comma 2 Cost.
Anche la
norma del nuovo comma 3 – quater appare contraddittoria perché
prevede come durata del permesso di soggiorno per lavoro autonomo la medesima
durata biennale che è la medesima oggi prevista nella lettera d) che il
comma 3 del ddl vuole abrogare.
La norma del nuovo comma
3-quinquies appare opportuna perchè completa la raccolta dei dati da
parte dell’anagrafe informatizzata dei lavoratori extracomunitari
inserendovi anche i dati di tutti coloro che prima o poi potrebbero comunque
iscriversi nelle liste di collocamento e svolgere così un lavoro
subordinato, cioè di tutti i tipi di visti per lavoro subordinato,
stagionale e autonomo e per ricongiungimento familiare. Tuttavia per rendere
davvero completa tale raccolta analoga comunicazione dovrebbe essere
obbligatoria in caso di rilascio a stranieri che si trovano regolarmente in Italia di titoli di
soggiorno che consentono legalmente l’accesso al lavoro e
cioè la carta di soggiorno,
il permesso di soggiorno per motivi familiari e il permesso di soggiorno per
motivi di asilo.
La norma del nuovo comma 3-sexies prevede la medesima durata
massima di 2 anni per i permessi
di soggiorno per ricongiungimento familiare, cioè proprio la medesima
durata che è oggi prevista dalla lettera d) che il comma 3 del ddl vuole
invece abrogare.
Inutilmente confuso e vessatorio
è il conferimento del potere di rinnovare il permesso di soggiorno non
più al Questore della provincia in cui lo straniero si trova (dimora),
ma al Questore della Provincia in cui risiede: poiché non esiste
l’obbligo per gli stranieri di iscrizione anagrafica e comunque
l’adempimento è assai gravoso dovendosi dimostrare la dimora
abituale o, in base all’art. 6 T.U., la dimora per almeno 3 mesi in un
centro di accoglienza, di fatto si impedisce agli stranieri non iscritti
anagraficamente di rinnovare il proprio permesso di soggiorno o si impone agli
iscritti che da poco abbiano trasferito la propria dimora o abbiano fatto
domanda di trasferimento di residenza, di presentarsi alla Questura del
luogo nel quale ormai non hanno
più alcun legame.
Infine la durata del permesso di
soggiorno rinnovato è ridotta a metà rispetto alla durata doppia
rispetto a quella del permesso inizialmente rilasciato e ciò rafforza la
precarietà della condizione degli stranieri regolarmente soggiornanti.
La nuova norma penale del comma 8-bis colma una lacuna nel sistema
sanzionatorio e perciò appare opportuna, ma per ragioni sistematiche
dovrebbe essere collocata nell’art. 12 T.U. che già contiene molte
altre norme penali dirette a contrastare ogni tipo di agevolazione
dell’immigrazione illegale.
ART. 5 (Contratto di soggiorno per lavoro subordinato)
Infatti già oggi il datore
di lavoro che intenda ottenere l’autorizzazione al lavoro per
l’assunzione dall’estero di un lavoratore extracomunitario deve
esibire alla direzione provinciale del lavoro (inglobata oggi nel medesimo
ufficio territoriale del governo presso il quale sarebbe oggi opportunamente
istituito uno sportello unico per l’immigrazione) un contratto di lavoro
subordinato formato dal lavoratore prima dell'ingresso (cfr. art. 22, comma 8
T.U.) e idonea documentazione indicante le modalità della sistemazione
alloggiativa per il lavoratore straniero (cfr. art. 22, comma 2 T.U.).
La nuova norma
intende però vincolare il datore di lavoro a fornire anche i mezzi per
il rientro in patria del lavoratore. Tale obbligo - che nella prassi italiana
fu in vigore fino al 1986 - costituisce per il datore di lavoro (si pensi ai
casi del datore di lavoro domestico o dell’imprenditore individuale o
dell’artigiano) un onere eccessivo e inutile e ciò irrigidisce il
mercato del lavoro e finisce con l'incentivare il ricorso al lavoro illegale di
stranieri che già si trovino clandestinamente in Italia.
In ogni caso l’impegno al pagamento da parte del datore di lavoro
delle spese di rientro in patria del lavoratore nel Paese di provenienza appare
sostanzialmente malformulato o comunque irragionevole sia per gli ingressi di
lavoratori da assumere a tempo indeterminato o determinato, i quali hanno
comunque il diritto di cercarsi un nuovo posto di lavoro in caso di perdita del
posto di lavoro precedente, sia per gli ingressi per lavoro stagionale, nei
quali l’impegno dovrebbe essere sostenuto pro-quota da ciascuno dei
datori di lavoro.
ART. 6 (facoltà inerenti il soggiorno)
Norma inutilmente
vessatoria.
Appare
eccessivamente oneroso e del tutto irragionevole che il datore di lavoro sia
obbligato ad impegnarsi a fornire una sistemazione alloggiativa e i mezzi per
il rientro in patria anche nel caso di straniero che già si trovi
regolarmente in Italia per motivi di studio, il che comunque presuppone per
legge che lo studente disponga di mezzi finanziari e di un alloggio.
Si scoraggia
così l’ingresso nel mercato del lavoro regolare dello studente che
abbia magari terminato i suoi studi in Italia e così si incentiva ancora
una volta il ricorso al lavoro illegale.
ART. 7 (sanzioni per l’inosservanza degli obblighi di
comunicazione dell’ospitante e del datore di lavoro)
In
particolare per le comunicazioni dei datori di lavoro si tratta di un'inutile
duplicazione di adempimenti (in base alle norme generali vigenti già
ogni datore di lavoro deve fare entro 5 giorni dall’assunzione la
denuncia della stipulazione del contratto di lavoro ai servizi per
l’impiego) che invece potrebbero essere sostituiti da comunicazioni tra i
servizi per l’impiego e le Questure, che comporta un irrigidimento che
contrasta con la ripetuta esigenza di flessibilità del mercato del
lavoro.
ART. 8 (Carta di soggiorno)
Inoltre la norma potrebbe rivelarsi del tutto inutile perché tra poco tutta la disciplina della carta di soggiorno dovrebbe essere rivista dal legislatore al fine di adeguarla alle complesse norme della recente proposta di direttiva della Commissione europea sui soggiorni di lunga durata, il cui presupposto di durata massima prevista è proprio 5 anni. Cfr. Proposta della Commissione COM (2001) 127: Proposta di direttiva del Consiglio relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano residenti di lungo periodo (la Commissione propone che ogni Stato membro debba adeguare il proprio ordinamento entro il 31 dicembre 2003).
Infine la norma del ddl appare in controtendenza con le recenti leggi di altri Paesi europei che prevedono il periodo di 6 anni come presupposto non già per il rilascio di un titolo di soggiorno di lunga durata, bensì per la concessione della cittadinanza.
Da
ultimo non si comprende per quale motivo il compito di provvedere al rilascio
della carta di soggiorno, che è titolo di soggiorno di lungo periodo,
non possa essere utilmente conferito al neo-istituito Sportello unico per
l’immigrazione presso gli uffici territoriali del Governo, seguendo
modalità di scambio di informazione con la Questura analoghe a quelle
previste dallo stesso ddl per i nulla-osta per i ricongiungimenti familiari.
ART. 9 (Coordinamento dei controlli di frontiera)
Norma in
parte superflua e di dubbia legittimità costituzionale.
L’adozione di misure di coordinamento è facoltà che già oggi può essere realizzata: in base al vigente comma 3 dell’art. 11 T.U. le direttive per il coordinamento dei controlli di frontiera devono essere adottate dal Ministro dell’Interno, il quale – prima di adottarle - di per sé può sempre avvalersi del Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica, senza che occorra alcuna nuova norma legislativa.
Opportuna
è invece la previsione di un compito di promuovere misure di
coordinamento tra le autorità italiane competenti in materia di
controlli sull’immigrazione e le competenti autorità europee.
Tuttavia è di dubbia legittimità costituzionale che tale compito
debba essere affidato al ministro dell’Interno e non al Presidente del
Consiglio dei Ministri al quale soltanto spetta in base all’art. 95 Cost.
il compito di promuovere e coordinare l’attività dei ministri.
ART. 10 (Disposizioni contro le immigrazioni clandestine)
Le nuove disposizioni penali e
processuali contro le immigrazioni clandestine appaiono comunque opportune,
anche se sono spesso malformulate e presentano gravi lacune .
Opportuna è la previsione del
reato di favoreggiamento dell'ingresso a fine di transito verso altri Stati
così ponendo fine alla controversa interpretazione riduttiva data dalla
giurisprudenza della fattispecie già oggi prevista dall'art. 12 T.U.
Tuttavia la norma appare di dubbia efficacia perché punisce il
favoreggiamento dell’ingresso illegale in altri Stati soltanto di
stranieri che si trovavano illegalmente in Italia e non già di qualunque
straniero.
Opportuna è la
trasformazione da circostanza aggravante a autonome figure di reato dei delitti oggi previsti
dall’art. 12, comma 3 T.U. Tuttavia la norma appare malformulata
perché nella norma oggi vigente l’utilizzo di mezzi di trasporto
internazionale o di documenti contraffatti costituisce un’autonoma
figura, sicchè se non si aggiungesse prima della parola “utilizzando”
la parola “ovvero” si punirebbe in modo più lieve di oggi il
favoreggiamento dell’ingresso a fine di lucro o in concorso con due o
più persone che avvenga senza utilizzare mezzi di trasporto di linea o
documenti contraffatti.
Opportuna, ma assai malformulata e
lacunosa è la trasformazione da circostanza aggravante a autonome figure di reato dei delitti
più gravi oggi previsti e puniti dall’art. 12, comma 3 T.U, ultima
parte. Assai gravi appaiono però le lacune.
In primo luogo stupisce che si
sopprima la norma vigente che punisce nel modo più duro il
favoreggiamento dell’ingresso illegale di minori da impiegare in
attività illecite per favorirne lo sfruttamento. Si tratterebbe di
ipotesi che sarebbero punite alla stregua di un semplice favoreggiamento
dell’immigrazione clandestina.
In secondo luogo per un ulteriore
rafforzamento della lotta allo sfruttamento dell’immigrazione clandestina
occorre introdurre altre misure:
1) l’estensione della
fattispecie del comma 3-bis al favoreggiamento del soggiorno illegale di
prostitute e minori (spesso è difficile riuscire a provare che colui che
sfrutta il soggiorno illegale dello straniero clandestino – prostituta,
minore o criminale - sia anche la
medesima persona che ne ha favorito l’ingresso illegale) e al favoreggiamento
dell’ingresso o del soggiorno illegale di stranieri destinati a
commettere uno dei gravi delitti menzionati nell’art. 407, comma 2 lett.
a) cod. proc. pen. (delitti contro la personalità dello Stato o traffico
internazionale di armi o di stupefacenti, commercio di schiavi, prostituzione
minorile, omicidi, atti di contrabbando ecc.) o di veicoli rubati;
2) L’introduzione nel
codice penale di una circostanza aggravante comune destinata a colpire
specificamente i delitti compiuti in Italia ai danni di o ad opera di straniero
che era presente illegalmente sul territorio nazionale.
Inoltre stupisce che nessuna norma del ddl colga l’occasione per provvedere ad adeguare le sanzioni attualmente previste nei confronti dei vettori che trasportano stranieri clandestini alle recenti norme della Direttiva 2001/51/CE del Consiglio, del 28 giugno 2001, che integra le disposizioni dell'articolo 26 della convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen del 14 giugno 1985, alle quali ogni Stato membro deve comunque adempiere entro l’11 febbraio 2003.
Opportune sono
tutte le altre norme sul fermo e sull’ispezione di natanti e aereomobili
sui quali si sospetta il trasporto illegale di stranieri.
ART. 11 (espulsione amministrativa)
Dal punto di vista pratico
l’esecutorietà di quasi tutti i tipi di provvedimento
amministrativo di espulsione prevista dai nuovi commi 4 e 5 comporta
l’obbligo di provvedere all’accompagnamento alla frontiera di quasi
tutti gli espulsi. Poiché però è notorio che
l’esistenza di diverse difficoltà pratiche impediscono spesso
l’immediato rimpatrio è evidente che l’esecutorietà
dei provvedimenti amministrativi di espulsione prevista dal ddl appare fittizia
perché esso non prevede alcuno stanziamento finanziario supplementare per
provvedere immediatamente ad un ingente aumento del numero di centri di
permanenza temporanea e assistenza nei quali si dovrebbero trattenere gli
espellendi in attesa della rimozione degli impedimenti al rimpatrio. Anzi le
stesse nuove norme introdotte nell’art. 13 e soprattutto nell’art.
14 rendono manifesto che il trattenimento dell’espellendo non è
affatto obbligatorio, ma resta facoltativo allorchè manchi un centro di
permanenza. Ciò però significa che in mancanza
dell’istituzione di numerosi nuovi centri di permanenza il ddl non
configura affatto un sistema di effettivo accompagnamento immediato alla
frontiera per quasi tutti gli espulsi perché lo straniero espellendo in
attesa del nulla-osta dell’autorità giudiziaria resta sottoposto
ad un'illimitata discrezionalità dell’autorità di pubblica
sicurezza che può disporne il trattenimento quando, come e se vuole e
significa altresì che l’innovazione si sostanzia soprattutto in
una eliminazione del tempo di 15 giorni entro i quali lo straniero oggi
può impugnare il decreto di espulsione di fronte al giudice e ottenerne
l’annullamento.
Dal punto di vista
costituzionale molte norme si prestano alle più gravi critiche.
In terzo luogo
è comunque chiaro che in generale il diritto alla difesa dello straniero
espulso è privato di ogni effettività qualora il ricorso possa
essere presentato soltanto dopo che il provvedimento sia già stato
eseguito. In particolare appare del tutto liberticida la norma che prevede un
termine per il ricorso di 60 gg. che decorre dalla data del provvedimento di
espulsione e non dalla data della comunicazione dello stesso allo straniero.
Infine la nuova disciplina
dell’espulsione amministrativa appare comunque carente dal punto di vista
comunitario, perché omette di dare attuazione alla recente Direttiva
2001/40/CE del Consiglio, del 28 maggio 2001, relativa al riconoscimento reciproco
delle decisioni di allontanamento dei cittadini di paesi terzi, alla quale ogni
Stato membro dell’Unione deve adeguarsi entro il 2 dicembre 2002.
Da ultimo appare assai
opinabile la norma del nuovo comma 8 che da un lato aumenta da 5 a 10 anni il
periodo di divieto di rientro e dall’altro sposta però dal giudice
all’autorità amministrativa che dispone il provvedimento di
espulsione la facoltà di disporre un eventuale riduzione del periodo di
divieto di rientro: la norma si presta alle più diverse interpretazioni
e conferisce una quasi illimitata discrezionalità amministrativa, per
evitare le quali meglio sarebbe stato mantenere la vigente norma che prevede un
generale periodo di divieto di rientro (la cui durata ben potrebbe essere
differenziata a seconda del tipo di espulsione), riducibile soltanto dal
giudice e soltanto su richiesta dell’interessato.
ART. 12 (Esecuzione dell'espulsione)
Pertanto appaiono inutilmente
vessatorie le norme dei commi 5-ter, 5-quater e 5-quinquies: si vuole
incarcerare e punire penalmente lo straniero che resta illegalmente sul
territorio dello Stato “senza giustificato motivo”. Infatti
poiché le stesse nuove norme prevedono il caso dell’espulsione
eseguita con la mera intimazione a lasciare il territorio nazionale entro 5
giorni quando non è stato possibile trattenere lo straniero in un centro
di permanenza è evidente che si finirebbe per arrestare e trasferire nel
circuito penitenziario stranieri espulsi che privi di alcun altro mezzo
finanziario non hanno lasciato il territorio dello Stato per il solo motivo che
lo Stato stesso non ha provveduto a dotarsi di un numero adeguato di centri di
permanenza per dare effettività all’espulsione. Le conseguenze
devastanti di un’immissione di stranieri nel circuito penitenziario già
sovraffollato sono evidenti e non è affatto chiaro che tutto ciò
si traduca in un aumento dell’effettività dei provvedimenti di
espulsione.
ART. 13 (Espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla
detenzione)
Norma opportuna, ma malformulata.
La nuova norma riproduce
il medesimo testo dei due commi dell’art. 16 T.U. oggi vigente e ne
aggiungono altri che introducono, a fianco della espulsione dello straniero
clandestino che debba essere condannato per reati lievi, una vera e propria
espulsione come misura alternativa alla detenzione, disposta dal magistrato di
sorveglianza da disporsi nei confronti dello straniero che debba scontare una pena detentiva
anche residua di non più di due anni.
Una simile nuova misura appare in sé opportuna qualora si ritenga preminente rispetto all’interesse alla pretesa punitiva dello Stato l’interesse allo sfoltimento dell’affollamento di stranieri irregolari nell’ambito del sistema penitenziario ed è comunque circondata da un minimo di garanzie giurisdizionali e di difesa.
Opportunamente la norma precisa gli effetti
processuali di un eventuale rientro in Italia dello straniero espulso.
In ogni caso per dare
effettività ai diritti fondamentali di cui comunque è titolare
anche lo straniero detenuto e che potrebbero essere messi in concreto pericolo
da un eventuale rimpatrio in un Paese che non li rispetti occorrerebbe
prevedere espressamente che le ipotesi previste dal nuovo articolo non sono
applicabili agli stranieri che si trovino nelle condizioni per le quali l’art.
19 T.U. prevede un divieto di espulsione.
ART. 14 (Determinazione dei flussi di ingresso)
Norme in parte opportune e in parte
malformulate o di difficile applicabilità.
L’introduzione di quote riservate di ingressi per lavoro a
stranieri oriundi italiani appare senz’altro opportuna perché da
un lato coglie un’esigenza di rientro sempre più diffusa tra
alcune collettività italiane all’estero e dall’altro lato
consente l’ingresso di persone la cui ascendenza italiana fa presumere un
grado maggiore di conoscenza della lingua italiana e dunque una maggiore
probabilità di inserimento nel mondo del lavoro italiano.
Tuttavia la norma
appare malformulata perché non applica una terminologia analoga a quella
prevista dalle norme vigenti in materia di cittadinanza italiana. Perciò
invece di “lavoratori di origine italiana per parte di almeno uno dei
genitori fino al terzo grado in linea retta di ascendenza, residenti in Paesi
non comunitari” occorreva riferirsi a stranieri residenti in Paesi non
appartenenti all’Unione europea, i cui ascendenti in linea retta fino al
terzo grado sono stati cittadini italiani”.
Resta
peraltro l’interrogativo di quale possa essere
l’applicabilità concreta di una simile norma poiché si
stima che oggi nel mondo vivano circa 60 milioni di persone oriunde italiane.
La
suddivisione per regioni, province e comuni della determinazione dei flussi di
ingresso appare irrealizzabile sotto diversi profili.
In primo
luogo è noto che nel vigente ordinamento i fabbisogni lavorativi sono
rilevati a livello provinciale. La rilevazione su base provinciale corrisponde
alle caratteristiche oggettive del mercato del lavoro che soprattutto nelle
aree produttive più dinamiche o nelle zone metropolitane ha una forte
mobilità nel tempo e nello spazio.
In secondo luogo non si comprende quale sia l'efficacia di tale suddivisione territoriale, se cioè finisca per limitare in modo incostituzionale la libertà di circolazione e soggiorno nelle diverse zone del territorio italiano degli stranieri regolarmente soggiornante o la loro possibilità di instaurare rapporti di lavoro.
ART. 15 (Lavoro subordinato a tempo determinato e indeterminato e
lavoro autonomo)
Anzitutto la norma
appare del tutto inopportuna e intempestiva perché interviene su una
disciplina che però dovrà comunque essere profondamente
modificata di nuovo fra qualche mese per adeguarla alle norme della direttiva
comunitaria in materia - cfr. Proposta della commissione europea COM (2001) 386
(01) dell’11 luglio 2001 di direttiva del Consiglio relativa alle
condizioni d'ingresso e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi che intendono
svolgere attività di lavoro subordinato o autonomo – direttiva
delle cui complesse e assai articolate norme (alle quali la Commissione propone
che ogni Paese membro si debba adeguare entro il 1 gennaio 2004) il ddl non
tiene in alcun conto. Anzi il ddl contrasta in diversi punti con le progettate
norme comunitarie.
Il comma 4 ripristina anche la
verifica preventiva dell’indisponibilità di altri lavoratori
già iscritti nelle liste di collocamento a ricoprire il posto di lavoro
richiesto. Si tratta di un meccanismo che fino al 1998 era stata la vera causa
del blocco di nuovi ingressi regolari per lavoro e il vero incentivo
all’ingresso illegale. E’ vero che la nuova norma richiederebbe il
decorso di un termine di 20 giorni ed un meccanismo di silenzio-assenso, ma
è anche vero che da un lato non si prevede alcun limite territoriale per
la ricerca di altri lavoratori disponibili, e dall’altro si escludono i
lavoratori extracomunitari già iscritti in Italia nelle liste di
collocamento dalla possibilità di accedere al nuovo posto di lavoro.
Inoltre il comma 11 conferma che
in caso di perdita del posto di lavoro lo straniero non è costretto a
lasciare il territorio nazionale, ma ha diritto di restarvi per trovare un
altro posto di lavoro. Tuttavia il
periodo è inopinatamente ridotto a soli 6 mesi, così dimenticando
così i casi dei corsi di riqualificazione professionale ecc., e legando
eccessivamente il destino dello straniero regolarmente soggiornante alle
mutevoli variazioni dell'andamento del mercato del lavoro.
La norma penale del
nuovo comma 12 prevede un opportuno inasprimento della pena pecuniaria del
datore di lavoro illegale, ma incorre nel medesimo errore del legislatore del
1998, perché estende la sanzione penale a tutti i casi di lavoratori
stranieri privi di permesso di soggiorno per lavoro in corso di
validità. Da un lato si dimentica che la legge consente comunque
l’accesso al lavoro a stranieri in possesso di altri titoli di soggiorno (carta di soggiorno, permesso di
soggiorno per motivi familiari, per studio, per asilo ecc.) e dall’altro
pone in capo al datore di lavoro l’onere – spesso materialmente
difficile da eseguire - di verificare costantemente se il titolo di soggiorno del
suo lavoratore non sia scaduto, revocato o annullato.
Assai controproducente appare la soppressione nel comma 13 di quella norma (già oggi vigente e che è prevista anche dalla proposta di direttiva comunitaria) che prevede la facoltà per il lavoratore straniero che rientra in patria di avere indietro i contributi previdenziali versati in suo favore maggiorati del 5% annuo. Quella facoltà è invece importantissima per disincentivare concretamente il lavoratore straniero dall’accettare il lavoro nero e per consentire a chi lo desidera un effettivo e dignitoso reinserimento in patria.
ART. 16 (prestazione di garanzia per
l’accesso al lavoro)
Norma del tutto inopportuna e controproducente.
La norma in
realtà sopprime la prestazione di garanzia per inserimento nel mercato
del lavoro e la sostituisce con una futura e incerta (perché rinviata a
norme regolamentari) programmi di corsi di formazione professionale
all’estero , la cui frequenza comporterebbe un titolo di prelazione per i
nuovi ingressi per lavoro subordinato o autonomo.
La soppressione
della prestazione di garanzia
è del tutto inopportuna e controproducente.
In particolare
l'abrogazione degli ingressi per inserimento nel mercato del lavoro dimentica
che dal punto di vista antropologico tutte le migrazioni per lavoro (inclusa
quella italiana) sono avvenute non tanto attraverso le vie ufficiali,
bensì attraverso la cosiddetta "catena migratoria" dei
connazionali che aiutano i nuovi ingressi di amici e parenti e ne orientano
l'inserimento sociale e lavorativo.
In tal senso il fatto
che nel 2000 e nel 2001 la maggioranza dei garanti (sponsors) sia stata
straniera non è affatto una circostanza da guardare con sospetto (al
contrario qualche sospetto di elusione potrebbe far sorgere il garante
italiano...), bensì è la conferma che l'inserimento nel mercato
del lavoro incanala, controlla e fa venire alla luce il naturale movimento
migratorio che altrimenti si affiderebbe a canali criminali e clandestini. A
ciò si aggiunga che tale canale è indispensabile per quei tipi di
lavori di fiducia che esigono un incontro diretto sul territorio tra datore di
lavoro e lavoratore (p. es. lavoro domestico, assistenza alle persone ecc.).
La
soppressione di tale nuova via appare dunque del tutto controproducente per chi
voglia davvero prevenire efficacemente l'immigrazione clandestina.
Neppure
può essere considerata elemento che induca a ritenere inutile l’ingresso per inserimento nel
mercato del lavoro la circostanza – più volte ricordata dal
Ministero del Lavoro – che al 31 dicembre 1999 erano iscritti nelle liste
di collocamento oltre 200.000 extracomunitari, dei quali circa 110.000 non
avevano mai lavorato. E’ infatti evidente che non si può fondare
una così rilevante modifica legislativa su dati così non aggiornati
e non disaggregati. Lo stesso Ministro del Lavoro e delle politiche sociali
Maroni ha ordinato un'indagine supplementare su tali disoccupati e si riserva
di presentarne gli esiti e di trarne le conseguenze durante l'esame
parlamentare del ddl. In ogni caso l'esistenza di quest'ultima massa di persone
non può costituire la prova dell'inutilità e dannosità di
ingressi per inserimento nel mercato del lavoro, per diversi motivi:
1)
i visti di
ingresso per inserimento nel mercato del lavoro sono stati effettivamente
rilasciati soltanto nel 2000 e nel 2001 e non sono più di 30.000;
2) gli stranieri in cerca di prima occupazione possono essere: a)
minori che abbiano compiuto 14 anni o ex-minori di età; b) persone
ricongiuntesi al familiare; c) persone che hanno regolarizzato la propria posizione
nel 1998/99, ma non in tempo per poter continuare la propria attività
lavorativa iniziata illegalmente; d) rifugiati
3) nessun ragionamento può fondarsi una massa indistinta di
disoccupati, bensì su disoccupati suddivisi per settori, qualifiche, mansioni,
zone di iscrizione ecc.;
4) è noto
che per legge tutti i servizi per l'impiego sono stati trasferiti dallo Stato
alle Province e sono in corso di riorganizzazione e in questi mesi del 2001
stanno procedendo ad una puntuale e radicale revisione e ripulitura delle liste
di collocamento da chi non è effettivamente disponibile ad assumere
immediatamente un posto di lavoro e dunque le cifre sugli iscritti al
collocamento del 1999 sono ampiamente sopravvalutate.
Alla luce di quanto sopra
ricordato appare un presupposto del tutto indimostrato e indimostrabile
l’affermazione contenuta nella relazione illustrativa del ddl secondo la
quale la soppressione dell'istituto dello sponsor sarebbe collegata al
fatto che esso “nella sua attuazione non ha raggiunto l’ obiettivo di favorire
l’ingresso nella realtà lavorativa dei lavoratori
stranieri”.
L’abrogazione dell’ingresso per inserimento nel mercato del lavoro è inutile anche perché la vigente disciplina legislativa già oggi consente al Governo la massima discrezionalità nella determinazione delle quote e dunque gli consente di adottare ogni forma di cautela contro possibili abusi. Pertanto già oggi senza dover modificare la legge il D.P.C.M. di determinazione annuale delle quote ben potrebbe di volta in volta prevedere anche limiti qualitativi, cioè p. es. limitare tali tipi di ingressi a rapporti di lavoro relativi a ben determinati settori, qualifiche e mansioni o a determinate zone del Paese in cui il tasso di disoccupazione sia inferiore alla media nazionale e/o richiedere che la garanzia sia supportata dall’esistenza di una comprovata disponibilità a farsi carico dell’inserimento lavorativo da parte di società private di collocamento legalmente autorizzate o di associazioni o enti iscritti nel registro nazionale degli enti che operano in favore degli stranieri.
ART. 17 (Lavoro stagionale)
La norma riproduce il medesimo testo del
vigente art. 24 T.U. adeguandolo ai medesimi criteri previsti per gli ingressi per lavoro subordinato a tempo
determinato o indeterminato (inclusa la criticata verifica preventiva
dell’indisponibilità di altri italiani o comunitari iscritti nelle
liste di collocamento).
ART. 18 (Ingresso e soggiorno per lavoro autonomo)
La previsione
dell'espulsione immediata per lo straniero che commercia, produce o
distribuisce prodotti falsi e contraffatti di per sé non suscita
particolari problemi, ma la norma prevista dal ddl si espone a numerose
critiche.
In primo luogo
occorre precisare se l’espulsione sia da intendersi quale misura di
sicurezza o pena accessoria alla condanna definitiva oppure se debba essere
disposta con provvedimento amministrativo, nel qual caso essa violerebbe la
riserva di giurisdizione prevista dall'art. 13 Cost.
In secondo luogo
sorgono spontanei alcuni dubbi circa la ragionevolezza e l’equità
della norma sotto due profili.
Da un lato una simile sanzione
inserita in un articolo dedicato al lavoro autonomo sembra riferirsi ai soli
stranieri titolari di un permesso di soggiorno per lavoro autonomo e non
già ad ogni straniero titolare di qualsiasi tipo di permesso di
soggiorno.
Dall’altro
lato una simile sanzione potrebbe essere efficace e ragionevole se almeno si
accompagnasse ad una specifica aggravante da prevedersi nei confronti di
chiunque ceda a qualsiasi titolo merce contraffatta a stranieri.
ART.19 (attività sportive)
Norma in parte superflua e in parte costituzionalmente
illegittima.
Circa gli ingressi dall’estero di sportivi stranieri la norma appare sostanzialmente superflua: essa apparentemente affida al Ministro per i beni e le attività culturali il compito di determinare il limite massimo annuale di ingresso degli sportivi stranieri che svolgono attività sportiva a titolo professionistico, ma in realtà lascia la proposta all’autonoma iniziativa del CONI, cioè allo stesso organismo che oggi in base all’art. 40, comma 14 del regolamento di attuazione del T.U. è competente a esprimere il proprio assenso all’assunzione dall’esetero di sportivi stranieri.
Qualora la previsione di limiti
numerici agli sportivi extracomunitari si ritenesse applicabile anche agli
stranieri che siano già regolarmente soggiornanti in Italia con un
titolo di soggiorno che di per sé consente loro l’accesso al
mercato del lavoro, la norma sarebbe costituzionalmente illegittima per
violazione della riserva di legge rinforzata in materia di condizione giuridica
degli stranieri prevista dall’art. 10, comma 2 Cost., poiché viola
la parità di trattamento tra lavoratori italiani ed extracomunitari
regolarmente soggiornanti prevista dalla Conv. O.I.L. n. 143 del 24 giugno
1975, ratificata e resa esecutiva con legge 10 aprile 1981, n. 158, principio
ribadito dall’art. 2, comma 3 T.U. e dalla sentenza n. 454/1998 della
Corte costituzionale.
ART. 20 (Ricongiungimento familiare)
Norma in parte
inopportuna.
Il primo comma esclude dal ricongiungimento familiare
i genitori che non siano a totale carico del figlio che si trova in Italia: la
norma si adegua alla direttiva comunitaria di prossima adozione, ma non precisa
come sia possibile dimostrare l’inesistenza di altri figlio attualmente
incapaci di provvedere al sostentamento in patria.
Il secondo comma
esclude dal ricongiungimento familiare i parenti entro il terzo grado, ma si
pone in radicale contrasto con la proposta di direttiva sul ricongiungimento
familiare in corso di approvazione a livello dell'Unione europea che anche a
tali categorie espressamente consente di ricongiungersi: cfr. Proposta della
Commissione – COM (2000) 624: proposta modificata di direttiva del Consiglio relativa al diritto al
ricongiungimento familiare (presentata dalla Commissione in applicazione
dell'articolo 250, paragrafo 2 del trattato CE).
In ogni
caso il ddl non coglie l’occasione per prevedere alcuna norma che
recepisca e adatti l’ordinamento italiano a quella proposta di direttiva,
alla quale tutti gli stati membri, una volta definitivamente approvata,
dovranno conformarsi entro il 31 dicembre 2002.
L’ultima parte dell’articolo provvede opportunamente a
spostare l’esame delle domande dei nulla-osta al ricongiungimento
familiare dalle Questure ai nuovi Sportelli unici per l’immigrazione
istituiti presso gli Uffici territoriali del Governo.
ART. 21 (Centri di accoglienza e accesso all'abitazione)
Il primo comma
abroga la facoltà del sindaco di disporre l’alloggiamento di
stranieri non regolarmente soggiornanti che si trovino in situazione di
emergenza, che comunque era prevista ferma restando il rispetto delle norme
sulla loro espulsione o respingimento. La norma appare del tutto
controproducente, perché non spiega come si possa provvedere ad
alloggiare costoro anche quando non siano disponibili centri di permanenza
temporanea e assistenza o quando si verifichi un ingresso per motivi di
calamità naturale o di disastri pubblici. Così la norma finisce
per gravare di tali oneri i soli enti del “privato sociale”.
Il secondo comma è del tutto superfluo perché già oggi gli artt. 40, 41, 42 T.U.. prevedono misure di integrazione sociale soltanto in favore di stranieri regolarmente soggiornanti.
ART. 22 (aggiornamenti normativi)
Norma superflua.
La norma prevede
sostituzioni e aggiornamenti che sono già previste da altre norme
generali vigenti, quelle sull’istituzione del giudice unico di primo
grado (cfr. D. Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51) e sul riordino
dell’organizzazione del Governo (cfr. art. 11 D. Lgs. 30 luglio 1999, n.
300).
ART. 23 (disposizioni di contrasto ai matrimoni simulati)
Norma malformulata
e di difficile applicazione.
Di per sé
appare ragionevole l’esigenza della prevenzione e repressione
dell’uso simulato del matrimonio con cittadini italiani o comunitari al
solo fine di evitare un provvedimento di espulsione e di ottenere un permesso
di soggiorno.
Tuttavia ogni intervento su tale materia deve essere
effettuato con la massima cautela per non incorrere in violazione del diritto
di formare una famiglia, garantito a tutti dalla Costituzione e dalle norme internazionali
(cfr. art. 12 conv. eur. dir. uomo).
Perciò non
appare adeguato alla delicatezza del bene costituzionalmente tutelato affidarne
la gestione all’autorità di pubblica sicurezza invece che agli
ufficiali di stato civile e agli uffici del pubblico ministero che in base al
codice civile sovraintendono a tutta la materia matrimoniale. Per prevenire la
celebrazione in Italia di matrimoni strumentali ben si potrebbe esigere
un’indagine preventiva alla celebrazione da parte del pubblico ministero
su segnalazione dell’ufficiale di stato civile qualora lo straniero
nubendo non sia in grado di esibire un titolo di soggiorno in corso di
validità.
In ogni caso la norma del ddl conferisce un’eccessiva discrezionalità all’autorità di pubblica sicurezza perché non prevede criteri (anche temporali) e modalità precise per l’accertamento dell’effettiva convivenza dopo la celebrazione del matrimonio.
Tutte le norme del titolo II (artt. 24 e 25)
appaiono inopportune, intempestive, di indubbia illegittimità costituzionale
e prive di copertura finanziaria.
In particolare le disposizioni in
materia di asilo previste dall’art. 25 ddl appaiono ambigue sotto vari
profili.
In primo luogo
è evidente che non si può racchiudere in soli due articoli una
disciplina così delicata e complessa su un diritto costituzionalmente
garantito e sulla quale sono state recentemente approvate direttive comunitarie
In secondo luogo
è evidente la grave inopportunità di provvedere a disciplinare
ancora parzialmente la materia del diritto d’asilo, perché occorre
e/o occorrerà comunque adattare tutta la legislazione anche alle ben
più complesse ed articolate norme previste dalle direttive comunitarie
recentemente approvate in materia
o in corso di approvazione:
1) Direttiva 2001/55/CE del Consiglio, del 20
luglio 2001, sulle norme minime per la concessione della protezione temporanea
in caso di afflusso massiccio di sfollati e sulla promozione dell'equilibrio
degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono gli sfollati e subiscono le conseguenze
dell'accoglienza degli stessi; a tale direttiva ogni Stato membro ha già
oggi l’obbligo di adeguarsi entro il 31 dicembre 2002;
2) Proposta della Commissione – COM (2000) 528: Proposta di direttiva del Consiglio recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato; (la Commissione propone che ogni Stato membro debba adeguarsi a tali norme entro il 31 dicembre 2002)
3) Proposta della Commissione – COM (2001) 181: Proposta di direttiva del Consiglio recante norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri; (la Commissione propone che ogni Stato membro debba adeguarsi a tali norme entro il 31 dicembre 2002).
Non a caso
dunque il ddl sul diritto d'asilo che era stato approvato dalla Camera il 7
marzo 2001 conteneva circa 20 articoli. Lo stralcio della disciplina
complessiva del diritto d'asilo (la cui titolarità spetta non soltanto
ai rifugiati) fa sì che il ddl contenga una disciplina eccessivamente
sommaria (e sostanzialmente vessatoria)
dell’accesso ad un diritto soggettivo dello straniero che è
il più tutelato sia a livello costituzionale, sia a livello
internazionale.
In terzo
luogo è evidente che le nuove norme del ddl introducono soltanto una
procedura accelerata e sommaria di pre-esame (non è chiaro come e se la
procedura ordinaria potrebbe davero continuare ad essere applicabile) da parte
di neo-istituite commissioni territoriali – i cui membri effettivi
sarebbero soltanto funzionari governativi – le quali avrebbero il potere
di adottare decisioni immediatamente esecutive ed impugnabili dal richiedente
asilo con un ricorso privo di automatici effetti sospensivi prima che sia
eseguito l’allontanamento coattivo dello straniero. Questi soli elementi
sono da soli capaci di privare di ogni effettività il diritto
d’asilo che l’articolo 10, comma 3 Cost. prevede come diritto
soggettivo perfetto.
In quarto luogo si
prevede un’ulteriore notevole precarizzazione della condizione del richiedente
asilo disponendone il trattenimento presso speciali centri di accoglienza o
presso i centri di permanenza
temporanea e sopprimendo la possibilità generalizzata di fruire di un
contributo di prima assistenza. In ogni caso non esiste alcuna copertura finanziaria
a questi indubbi nuovi oneri.
Nessuna
misura è invece prevista in favore dei rifugiati riconosciuti.
In ogni caso
l’effettiva applicazione delle norme introdotte dall’intero titolo
II è rinviata dal nuovo art. 1-bis all’entrata in vigore di un
apposito regolamento di attuazione da approvarsi entro 6 mesi
dall’entrata in vigore della legge.
Un’intera
parte della nuova legislazione è dunque rinviata ad un futuro incerto e
ciò non fa che confermare la necessità di uno stralcio della
materia e del suo rinvio ad un organico ddl sul diritto d’asilo. Infatti
è irragionevole rinviare l’entrata in vigore di una disciplina
stralcio del diritto d’asilo ad un momento in cui probabilmente
sarà già tempo di rivedere l’intera disciplina per
adeguarla alle direttive comunitarie che nel frattempo saranno entrate in
vigore.
ART. 26 (norme finali) (norme finanziarie)
Norma malformulata,
confusa e ambigua.
Sembrano previsti due
tipi di regolamenti che si trovano in posizione contraddittoria l’uno con
l’altro.
Il primo comma prevede un
nuovo regolamento di attuazione del T.U. sull’immigrazione da adottarsi
entro 6 mesi.
Il secondo comma prevede
un altro tipo di regolamento di “ revisione ed integrazione delle
disposizioni regolamentari vigenti sull’immigrazione, sulla condizione
dello straniero e sul diritto di asilo”, la cui emanazione dovrebbe
avvenire entro 4 mesi e che dunque mal si concilia col regolamento previsto dal
primo comma e con il regolamento di attuaizone in materia di diritto d’asilo
che in base al nuovo art. 1 bis introdotto dall’art. 25 ddl dovrebbe
essere a sua volta emanato entro 6 mesi dall’entrata in vigore della
legge.
Il terzo
comma afferma l’inesistenza di oneri aggiuntivi dall’entrata in
vigore della nuova legge.
Se l’affermazione
corrispondesse a verità significherebbe che l’intero ddl sarebbe
autoapplicativo senza costi aggiuntivi derivanti dalla necessità di
istituire in tutto il territorio nazionale nuovi centri di permanenza
temporanea e assistenza, di procedere ad un numero elevatissimo di rimpatri di
stranieri espulsi, di istituire in
ogni provincia i nuovi sportelli unici per l’immigrazione presso gli
Uffici territoriali del Governo, di istituire le nuove commissioni territoriali
per il riconoscimento dello status di rifugiato e di istituire appositi centri
di accoglienza in cui dovrebbero essere trattenuti i richiedenti asilo durante
la procedura accelerata di riconoscimento dello status di rifugiato.
E’ evidente
che si tratta di un presupposto indimostrato che sembra invece celare una
finzione necessaria per aggirare l’obbligo di copertura finanziaria delle
leggi prevista dall’art. 81 Cost. e per giungere così alla
presentazione del ddl.
L’effettiva copertura finanziaria di una legge è invece il metro per misurare l’intento di raggiungere effettivamente gli intenti perseguiti, senza illudere la pubblica opinione nella facile autoapplicazione delle nuove norme.