XVI Convegno Nazionale di Economia del Lavoro

Firenze, 4-5 ottobre 2001

I lavoratori extracomunitari a Treviso e Vicenza: problemi di misurazione e prime evidenze empiricheà

Bragato S., Occari F., Valentini M.

 

(Versione non definitiva)

 

1.         Introduzione

A fronte di una costante crescita degli immigrati, in particolare di lavoratori extracomunitari presenti nel mercato del lavoro locale, si registra la debolezza delle fonti statistiche esistenti nel misurare la loro consistenza.

 

A partire da questo assunto, le analisi contenute in questo lavoro cercano innanzitutto di mettere in evidenza i problemi di interpretazione statistica che presentano le due fonti principalmente utilizzate per la misurazione dell’occupazione extracomunitaria, quella del Ministero dell’Interno che contabilizza lo stock dei permessi di soggiorno e la fonte Inps per quanto riguarda i lavoratori dipendenti iscritti all’Inps.

 

Quest’ultima fonte sembra presentare (Strozza e Conti, 1999) alcune discrepanze tra archivi diversi riferiti allo stesso aggregato: lavoratori dipendenti dell’industria e dei servizi soggetti a contributo Inps. Infatti, pare che il computo dei lavoratori extracomunitari cambi a seconda dell’archivio considerato in quanto diversi sono i criteri - interni agli archivi - che individuano i lavoratori. I due archivi che contengono informazioni sui lavoratori dipendenti dell’industria e dei servizi sono quello contributivo (archivio in cui vengono registrati i contributi versati dalle aziende per ogni lavoratore assunto), dove essendo spesso incompleto il campo relativo alla cittadinanza l’individuazione della componente extracomunitaria viene effettuata dagli studiosi ricorrendo all’informazione sul Paese di nascita, e quello dei lavoratori extracomunitari per i quali risultano effettuati i versamenti al Fondo di rimpatrio (archivio dello 0,5%).

Sulle discrepanze numeriche dei due archivi possono influire componenti spurie (ad esempio, cittadini italiani nati in Paesi non comunitari riportati nell’archivio contributivo) introdotte nel computo dei lavoratori considerando il Paese di nascita, o omessi versamenti a favore del Fondo di rimpatrio (archivio dello 0,5%).

In questo contributo si confrontano gli archivi per le province di Treviso e Vicenza.

 

Al fine di compiere il confronto, si è proceduto alla unione di più archivi di fonte Inps (archivio dello 0,5%, archivio contributivo, archivio anagrafico dei lavoratori e archivio aziendale). Ciò ha permesso di disporre di un nuova banca dati che consentirà di studiare le caratteristiche delle imprese che assumono lavoratori extracomunitari.

 

I dati utilizzati sono riferiti alle due province venete (Treviso e Vicenza) e gli anni considerati variano a seconda della disponibilità dei dati. In particolare, per un confronto tra le due fonti Ministero dell’Interno e Inps (in questo caso dati aggregati forniti dallo stesso Istituto) il periodo è 1998-2000, per lo studio derivante dall’unione degli archivi Inps l’arco temporale è 1991-1997, anche se la comparazione tra archivio dello 0,5% e quello contributivo è svolta tra il 1994-1997.

Di seguito vengono riportati i primi risultati del lavoro.

2.         I lavoratori extracomunitari: i problemi nell’uso delle fonti[1]

Prima di introdurre i problemi sull’utilizzo delle fonti, è necessario precisare che nel nostro Paese sono considerati stranieri i cittadini con cittadinanza diversa da quella italiana indipendentemente dal Paese di nascita. Ciò dipende dalla legge italiana sulla cittadinanza che da un lato considera italiani i figli di italiani indipendentemente dal luogo di nascita e dall’altro definisce straniero chi è nato e vive in Italia ma non ha la cittadinanza italiana. Questa può essere acquisita solo attraverso 1) il matrimonio con italiani, 2) la nascita se uno dei genitori è italiano, 3) il beneficio di legge quando richiesto da figli di stranieri nati in Italia e qui residenti fino al 18° anno di età, 4) la naturalizzazione ordinaria che può essere concessa dopo un periodo (10 anni per i cittadini extracomunitari) di residenza in Italia[2].

 

In Italia la quantificazione dello stock di lavoratori non comunitari presenti nel mercato del lavoro avviene principalmente attraverso il ricorso a due fonti amministrative: il Ministero dell’Interno (stock di permessi di soggiorno) e l’Inps (stock dei lavoratori contribuenti).

Nessuna delle due fonti fornisce dati di facile lettura per l’identificazione degli stock di lavoratori extracomunitari.

Va detto innanzitutto che le due fonti misurano due entità molto diverse, la prima quantifica gli stock delle persone straniere (comunitarie e non) presenti sul territorio con permesso di soggiorno valido[3] (non scaduto) ad una certa data; la seconda i lavoratori per i quali vi sono, o vi sono stati, versamenti contributivi. In questo paragrafo si cercherà di mettere in luce i pregi e i difetti delle due fonti.

 

I permessi di soggiorno possono essere distinti in base al motivo per cui sono stati rilasciati. In particolare, i motivi più ricorrenti sono:

·      lavoro subordinato (stagionale e non;)

·      lavoro autonomo;

·      ricerca di lavoro (iscrizione nelle liste di collocamento);

·      inserimento nel mercato del lavoro (sponsor);

·      lavoro straordinario (motivi umanitari con possibilità di lavoro);

·      famiglia (ricongiungimento familiare);

·      religione;

·      residenza elettiva;

·      studio;

·      turismo;

·      asilo politico;

·      richiesta di asilo.

 

Il permesso di soggiorno va chiesto alla questura, competente per territorio, dall’interessato entro 8 giorni dalla data di ingresso in Italia. La durata del permesso varia a seconda del motivo della richiesta e, ad esclusione degli ingressi per turismo, il permesso può essere rinnovato. Per una corretta lettura dei dati a livello territoriale è opportuno ricordare che la provincia in cui ha sede la questura di rilascio del permesso non è sempre quella in cui il soggetto poi risiederà[4].

 

Il fatto che le statistiche rese note sui permessi di soggiorno siano riferite ai permessi validi ad una data, in genere la fine dell’anno solare, non consente di quantificare i flussi di ingresso verificatisi nell’anno. Questo è particolarmente rilevante nella misurazione dei lavoratori stranieri in quanto dai dati di stock del ministero di fatto vengono esclusi i lavoratori entrati in Italia nel corso dell’anno con un permesso che al 31 dicembre ha concluso il periodo di validità. E’ il caso per esempio dei lavoratori stagionali le cui durate del permesso vanno da un minimo di 20 giorni ad un massimo di 9 mesi.

Inoltre, va detto che la differenza tra stock riferiti a due anni successivi non dà come esito il flusso di arrivo netto tra i due anni e questo non solo per le ragioni legate alla durata inferiore all’anno dei permessi, ma anche perché le date di ingresso (riportate nel documento) possono differire da quelle del rilascio. Ciò accade soprattutto per i permessi rilasciati a seguito delle sanatorie. Infatti, questi ultimi vengono rilasciati sulla base di documenti comprovanti la data di ingresso in Italia che in genere è diversa da quella in cui viene effettivamente concesso il permesso. Si pensi che all’inizio del 2001 non si era ancora conclusa la sanatoria riferita al 1998, cosicché i flussi di ingresso per il 1998 sono di fatto conteggiati negli stock riferiti ad anni successivi.

In conclusione, la fonte ministeriale non ci fornisce informazioni sui flussi di entrata e di uscita dei lavoratori e, come vedremo, non consente nemmeno una quantificazione attendibile degli stock di occupati alla fine dell’anno.

 

Infatti, non esiste corrispondenza tra motivo del permesso e condizione professionale del possessore del documento.

Le tipologie di permesso con accesso al lavoro non sono solo quelle che richiamano già nella denominazione il “lavoro” (lavoro subordinato, lavoro autonomo, ricerca di lavoro, inserimento nel mercato del lavoro, lavoro straordinario), ma anche altre. Questo rende incerto il calcolo della forza lavoro straniera a partire dai dati sui permessi di soggiorno.

Possono lavorare a pieno titolo i possessori di un permesso per “Famiglia”. Ugualmente chi ha un permesso per “Studio” può svolgere attività lavorativa autonoma o subordinata. In quest’ultimo caso non può superare le 20 ore settimanali e deve avere un’autorizzazione da parte della scuola. Anche gli stranieri con permesso per “Asilo” possono lavorare.

 

Non è detto, inoltre, che il gruppo delle tipologie dei permessi riguardanti il “lavoro” consenta al suo interno di distinguere nettamente tra lavoratori dipendenti, autonomi e iscritti alle liste di collocamento. Il lavoratore dipendente rimasto senza lavoro e con un permesso ancora valido, si può iscrivere alle liste di collocamento con lo stesso permesso. Pertanto, se si tiene conto del motivo del permesso egli verrà contato come lavoratore dipendente, mentre non lo è più. Solo alla scadenza del permesso se il soggetto non avrà ancora trovato lavoro, potrà ottenere un rinnovo (per “Ricerca di lavoro”) con durata annuale. Se nel corso dell’anno il titolare di permesso per “Ricerca di lavoro” trova occupazione non è detto si proceda tempestivamente, prima dello scadere del precedente permesso, alla conversione per motivo di lavoro. Va sottolineato, infine, che il permesso per lavoro autonomo dà diritto all’esercizio di lavoro subordinato e viceversa, senza bisogno di alcuna conversione del permesso nel nuovo motivo.

 

In pratica, dai dati ministeriali possiamo avere una misura approssimativa dello stock della forza lavoro straniera presente nel mercato del lavoro, ma nessuna quantificazione attendibile sullo stock di occupati.

 

Informazioni sui lavoratori extracomunitari in regola per rapporto di lavoro (oltrechè per permesso di soggiorno) si possono trarre dalla fonte Inps. I dati sui lavoratori non italiani che si possono trarre dagli archivi Inps riguardano:

·      i dipendenti dell’industria e dei servizi;

·      gli agricoli;

·      i domestici;

·      gli autonomi (artigiani e commercianti).

I dati sui lavoratori dipendenti dell’industria e dei servizi possono essere ricavati da due differenti archivi, quello contributivo che riguarda tutti i lavoratori (italiani e non), e quello contenente i soli lavoratori extracomunitari per i quali fino al 1999[5] veniva versato lo 0,5% della retribuzione lorda a favore del Fondo di rimpatrio.

 

Il primo archivio consente di separare i lavoratori in base ai Paesi di nascita essendo assai spesso incompleta, o poco attendibile, l’informazione relativa alla cittadinanza. Questo fa sì che l’enucleazione dei lavoratori extracomunitari, definiti tali in base alla cittadinanza, possa risultare incerta visto che si corre il rischio, ad esempio, di considerare extracomunitario chi in realtà è un cittadino italiano nato in un Paese non appartenente alla Unione Europea[6].

Il secondo archivio è costituito dai lavoratori extracomunitari (non distinti per nazionalità) che risultano dipendenti in base alle trattenute mensili dello 0,5% sulla retribuzione lorda.

 

Un recente lavoro (Strozza e Conti, 1999) ha messo in evidenza la presenza di discrepanze notevoli tra le numerosità dei lavoratori dipendenti extracomunitari risultanti dai due diversi archivi. Ad esempio nel 1993, per l’Italia, la differenza tra il numero dei lavoratori presenti nell’archivio contributivo - estratti da Venturini e Villosio (1998) escludendo i nati in Paesi dell’Unione Europea e quelli nei Paesi “a sviluppo avanzato”[7] - e quello dei lavoratori extracomunitari inclusi nell’archivio 0,5% era di circa 122 mila unità (210 mila lavoratori dal contributivo contro gli 88 mila dell’archivio 0,5%). Una differenza che risulta ancora più marcata se si pensa che dall’archivio contributivo sono stati per l’appunto esclusi alcuni Paesi non comunitari e che la legge istitutiva del Fondo di rimpatrio (legge 943 del 1986) prevede esplicitamente la non applicazione delle norme in essa contenute solo verso i Paesi dell’Unione Europea. Vi è da aggiungere però che la legge non si applica ai cittadini di Paesi extracomunitari per i quali sono previsti accordi specifici. Può essere verosimile ipotizzare che la stesura di questi accordi abbia riguardato alcuni dei Paesi cosiddetti a “sviluppo avanzato”.

La differenza tra l’archivio contributivo e quello dello 0,5% potrebbe, in parte, essere attribuita ai lavoratori italiani nati nei Paesi non esclusi, come in particolare quelli dell’America latina. Infatti, dai risultati di un successivo lavoro di Venturini e Villosio (2000), nel quale dal computo dei lavoratori extracomunitari non sono stati considerati anche i nati in Argentina, Brasile e Venezuela, si rileva una riduzione del gap tra i due archivi, ma di appena 23 mila unità per il 1993. Anche negli anni successivi (1995 e 1996) la differenza resta alta pari all’incirca a 100-120 mila unità.

Questi esiti farebbero propendere per l’ipotesi che esista una quota consistente di trattenute dello 0,5% non effettuate. Ciò potrebbe dipendere non tanto da evasioni contributive, vista l’esigua percentuale della trattenuta e considerato il fatto che è a carico del lavoratore, quanto da problemi legati alla non conoscenza da parte dei datori di lavoro (o dei loro consulenti del lavoro) e dei lavoratori stessi dell’esistenza del Fondo di rimpatrio. In aggiunta vi è da rilevare che non è infrequente, come ci è stato detto da alcuni testimoni interpellati, il caso di software per la compilazione delle paghe dei dipendenti che non consentono la registrazione della trattenuta.

 

Più facile sembra, invece, negli archivi Inps l’identificazione dei lavoratori domestici, agricoli e autonomi extracomunitari in quanto risulterebbe più affidabile l’informazione sulla cittadinanza contenuta negli archivi.[8]

 

Dopo aver presentato le caratteristiche principali delle due fonti (Ministero dell’Interno e Inps) ci pare opportuno, prima di sviluppare la parte centrale di questo lavoro che riguarda gli esiti degli incroci degli archivi Inps e le caratteristiche delle imprese che assumono lavoratori extracomunitari, dare un’idea della complessità del problema di misurazione dei lavoratori occupati confrontando i dati delle due fonti.

La tabella 1 riporta gli stock dei permessi, concessi a cittadini extracomunitari, validi al 31 dicembre di ogni anno ripartiti in base al motivo di rilascio. La tabella 2 invece contiene il numero dei lavoratori extracomunitari che risultano inseriti negli archivi dell’Inps. Sono dati aggregati che lo stesso Istituto fornisce estraendoli - con criteri diversi - dai propri archivi. Infatti, mentre per i lavoratori dipendenti dell’industria e dei servizi i dati sono disponibili per ogni mese dell’anno e derivano dall’archivio dello 0,5%, per gli altri (agricoli, domestici, autonomi) il conteggio avviene in base all’esistenza di almeno un versamento contributivo effettuato nell’anno. Ciò complica la comparazione tra le due fonti.

 

Come abbiamo detto sopra, il motivo del permesso non consente di discriminare tra le diverse condizioni professionali: un soggetto classificato “alla ricerca di lavoro” può in realtà lavorare (vale anche viceversa); un lavoratore dipendente può essere titolare di permesso per “lavoro autonomo” (e viceversa); il familiare ricongiunto può svolgere attività lavorativa senza mutare il motivo del permesso. Ne consegue che dai permessi di soggiorno non riusciamo a distinguere i lavoratori occupati e tanto meno a quali categorie (domestici, autonomi, etc.) essi appartengono.

Nonostante questi problemi della fonte ministeriale è, comunque, interessante mettere in rilievo le discrepanze tra le due fonti.

In particolare, si osserva che in entrambe le province ai dati del Ministero (permessi per lavoro) corrisponde una quantità significativamente inferiore di lavoratori risultanti dagli archivi Inps e tale differenza sembra piuttosto evidente nella provincia di Treviso soprattutto con riguardo al confronto tra permessi per lavoro subordinato e dipendenti Inps.

Oltre a ciò, tenendo conto che gli autonomi - dai dati aggregati Inps - sono coloro che hanno almeno un contributo nell’anno, la notevole differenza nelle due province con i permessi per lavoro autonomo (definiti ricordiamo come quelli validi al 31.12 dell’anno) lascia alquanto perplessi: travaso verso il lavoro dipendente (comunque non risultante dai dati) o nuovi iscritti al collocamento? Mancanza dei versamenti contributivi o problemi delle fonti?

 

Il fatto che i lavoratori dipendenti dell’industria e dei servizi (che rappresentano la maggioranza dei contribuenti) siano estratti dagli archivi dello 0,5%, può comportare distorsioni dovute, come abbiamo sopra richiamato, alla mancanza delle trattenute a favore del Fondo di rimpatrio. Infatti, gli esiti di un’analisi comparata, svolto dallo stesso Inps, tra archivi (e quindi non dati aggregati) del Ministero e dell’Inps mostrano una minore discrepanza tra le due fonti pur rimanendo una sensibile differenza nella provincia di Treviso.

L’unione tra gli archivi del Ministero e quelli dell’Inps è stata condotta a seguito della costituzione presso lo stesso Inps dell’Archivio anagrafico dei lavoratori extracomunitari (legge 40/98 e dpr 394/99). L’operazione di unione portata avanti tra numerose difficoltà[9] non ha consentito di incrociare tutti i soggetti presenti negli archivi. Per di più, i permessi di soggiorno considerati per il collegamento degli archivi sono solo quelli “per lavoro” (subordinato, straordinario, autonomo, ricerca di lavoro) e non gli altri che danno comunque accesso al lavoro (famiglia, ad esempio). Ciò ha influito sulla mancanza di incrocio di alcuni lavoratori che compaiono negli archivi dell’Inps.

 

Gli esiti dell’unione degli archivi per le province di Treviso e Vicenza sono riportati nel prospetto seguente.

 

 

Ministero

 Inps

Incrocio

Treviso

18.136

15.780

10.532

Vicenza

20.080

20.049

14.565

Fonte: Inps, novembre 2000

 

Come si osserva, la differenza tra la numerosità dei permessi di soggiorno per lavoro e la presenza dei lavoratori negli archivi Inps è pressoché nulla per Vicenza, ma consistente per Treviso come avevamo già evidenziato dal confronto delle tabelle 1 e 2. Inoltre, su 100 extracomunitari con permesso per lavoro nella provincia di Treviso solo 58 compaiono anche negli archivi Inps, mentre nella provincia di Vicenza l’esito dell’incrocio fornisce un valore più alto e pari a 73 lavoratori.

 

In conclusione, considerare i lavoratori extracomunitari dipendenti in base alle trattenute dello 0,5% sulla retribuzione lorda può portare ad una sottostima dell’universo dei dipendenti complessivi. Nella provincia di Treviso le discrepanze tra archivi del ministero e archivi Inps risultano più marcate anche nel caso di incrocio tra gli archivi. Pur tuttavia ciò non porta ad alcuna conclusione viste le difficoltà di interpretazione delle due fonti e i problemi incontrati nell’unione tra archivi, piuttosto i risultati illustrati meriterebbero un approfondimento mirato a conoscere le cause delle differenze. Ai problemi legati alla qualità dei dati delle due fonti e alle difficoltà del loro incrocio, potrebbero sommarsi fattori attinenti al funzionamento del mercato del lavoro locale e, in particolare, alla presenza di lavoro sommerso tra i lavoratori in regola con il permesso di soggiorno[10].

 3.        Alcuni aspetti metodologici sull’unione degli archivi

Le analisi contenute in questo lavoro riguardano principalmente tre aspetti. Il primo è relativo alla verifica delle discrepanze tra gli archivi 0,5% e contributivo Inps riferiti entrambi a lavoratori dipendenti dell’industria e dei servizi. Il secondo verte sull’evoluzione della presenza dei dipendenti extracomunitari nelle due province in esame e il terzo guarda alle caratteristiche delle imprese che li assumono.

Per raggiungere questi obiettivi di studio si è dovuto procedere al collegamento di più archivi Inps. Gli archivi utilizzati sono:

·      archivio aziendale che riporta le informazioni sulle imprese (settore, tipo di impresa- artigiane e non -, sede dell’impresa, etc.);

·      archivio anagrafico dei lavoratori contenente le informazioni anagrafiche generali (sesso, età, Paese/comune di nascita, etc.);

·      archivio contributivo dal quale si conosce la posizione contributiva mensile del lavoratore;

·      archivio dello 0,5% che contiene il numero dei lavoratori extracomunitari per ogni mese e azienda. 

Dopo aver effettuato le necessarie operazioni di pulizia degli archivi, si sono collegati gli archivi utilizzando la matricola aziendale e il codice progressivo lavoratore. In particolare, a partire dalla matricola delle imprese dell’archivio aziendale si è agganciato l’archivio dello 0,5% a quello contributivo dal quale risulta (per ogni matricola aziendale) il codice identificativo dei lavoratori che hanno lavorato presso l’azienda. Attraverso il codice del lavoratore si è fatto il collegamento con l’archivio anagrafico dei lavoratori per conoscere i loro Paesi di provenienza.

Questa complessa operazione di collegamento tra archivi, ha permesso di costruire un nuovo archivio in cui, per ogni impresa, sono riportate le principali informazioni: provenienza dei lavoratori, totale dei dipendenti distinti per qualifica e numerosità dei lavoratori inclusi nell’archivio dello 0,5%.

Il collegamento tra gli archivi è stato fatto per ogni anno dal 1991 al 1997. Con l’archivio 0,5% solo tra il 1994 e il 1997 visto che non era disponibile per gli anni precedenti. Tutte le elaborazioni sugli stock dei lavoratori sono riferite al mese di ottobre di ogni anno.

4.         I primi esiti degli incroci

L’obiettivo che ci eravamo posti come prioritario era verificare, relativamente ai dipendenti extracomunitari dell’industria e dei servizi, le discrepanze tra archivio contributivo e quello dello 0,5%.

Il confronto non è facile, definire i lavoratori in base ai Paesi di nascita necessariamente porta a commettere alcuni errori dovuti in particolare, come si è già sottolineato, al considerare i figli (nati all’estero) degli emigrati italiani come cittadini stranieri. Per limitare il più possibile tali errori abbiamo assunto una definizione operativa dell’aggregato cittadini extracomunitari, utile poi per il confronto con l’archivio dello 0,5%. In base alla definizione adottata, sono cittadini extracomunitari coloro che sono nati in Paesi appartenenti alle aree da cui proviene la maggioranza dei flussi immigratori (Europa orientale, Asia, e Africa). Sono in effetti le zone per le quali si registrano incrementi consistenti della presenza nell’archivio contributivo (Tab. 3), e che si contrappongono alle altre (resto dell’Europa, Americhe, Oceania) per le quali si osserva, invece, una presenza costante o decrescente dei lavoratori tra i vari anni.

Va precisato che il non aver incluso nella definizione operativa queste aree può condurre all’errore di escludere cittadini extracomunitari provenienti da singoli Paesi. E’ il caso ad esempio della Colombia e della Repubblica Dominicana per le quali sia i dati sui permessi di soggiorno che l’andamento delle presenze nell’archivio contributivo testimonierebbero trattarsi di Paesi di provenienza dei flussi immigratori (Tab. 4). Però la loro presenza nell’archivio contributivo non è rilevante (per il 1997 a Treviso 138, a Vicenza 99).

Più incerto è il caso degli statunitensi presenti all’incirca con 150 unità nell’archivio contributivo della provincia di Vicenza (nello stesso anno, 1997, a Treviso 59) e per i quali si registra un numero elevato di permessi di soggiorno (534 nel 1998) a testimoniare che potrebbe trattarsi più di cittadini statunitensi che di italiani rientrati. Ma non disponendo al momento di informazioni soddisfacenti sulla inclusione degli Stati Uniti nella lista dei Paesi per i quali esistono accordi internazionali che limiterebbero l’applicazione della legge 943/86, si è preferito escluderli dalla definizione operativa.

In base ai dati sui permessi di soggiorno sono, invece, più certe le esclusioni delle aree quali l’Oceania e gli Altri Paesi Europei[11].

Infine, vi è da dire che non tutti i Paesi inclusi nelle aree geografiche della definizione operativa sono estranei a fenomeni di immigrazione di italiani di seconda, terza generazione. Infatti, Paesi come l’Etiopia, la Libia sono Nazioni dalle quali si registrano, o si sono registrate, le immigrazioni di ritorno. La prova di ciò è data dai numeri assai ridotti (poche decine di unità) che ogni anno si registrano nella quantità (stock al 31.12)[12] di permessi rilasciati a cittadini provenienti da questi Paesi.

 

La tabella 3 riporta i dipendenti estratti dall’archivio contributivo suddivisi per area geografica di nascita e i dati relativi all’archivio dello 0,5%. Riferendo il commento alla sola componente di dipendenti extracomunitari nati nelle aree appartenenti alla definizione operativa, i risultati emersi possono essere così riassunti:

1.             i lavoratori dipendenti extracomunitari dell’industria e dei servizi nelle due province sono più che raddoppiati tra il 1991 e il 1997, da circa 11 mila a 23 mila. L’aumento è stato più consistente nella provincia di Treviso (130%, contro il 100% di Vicenza) dove però l’incidenza della componente extracomunitaria sul totale dei dipendenti è, al 1997, inferiore a quella di Vicenza (5%) e pari a circa il 4%;

2.             in entrambe le province la crescita più consistente si osserva a seguito del periodo di regolarizzazioni (ex decreto Dini) tra il 1995 e i 1996;

3.             per quanto riguarda il confronto tra l’archivio contributivo e quello dello 0,5% non si osservano apprezzabili differenze tra le due province, ciò che invece risalta è la riduzione della sottostima dei lavoratori conteggiati sulla base dell’archivio dello 0,5%. In media nelle due province il fattore moltiplicativo da applicare ai dati dello 0,5% era nel 1994 di 1/0.695, nel 1997 è 1/0.831, ciò indicherebbe che a parità di assunti in regola è stata maggiormente praticata la trattenuta dello 0,5%.

 

Da queste prime analisi possiamo concludere che, a differenza di quanto ci aspettavamo, le differenze tra contributivo e archivio dello 0,5% non sono negli ultimi anni così rilevanti, anzi la discrepanza si è andata riducendo in modo accelerato. Pertanto, il numero dei dipendenti extracomunitari che l’Inps facilmente fornisce, in base all’archivio dello 0,5%, è sì sottostimato ma non così tanto, almeno per le due province, come eravamo portati a pensare guardando ad altri studi sul tema.  

Più complicato sarà disporre di dati sullo stock dei lavoratori dipendenti dal 2000, anno dal quale non sono più disponibili gli archivi dello 0,5%.

Per quantificare i lavoratori dipendenti, anche l’Inps dovrà ricorrere all’informazione sul Paese di nascita con tutti i problemi che abbiamo sopra evidenziato. E, forse, non sarà molto d’aiuto l’utilizzo dell’informazione sulla cittadinanza perché spesso mancante o inattendibile. Se infatti avessimo usato il dato sulla cittadinanza, riportato sull’archivio contributivo, avremmo ottenuto come risultato uno stock di dipendenti extracomunitari (definizione operativa) nelle due province di appena 12.682 unità (al 1997) contro i ben 18.979 conteggiati dall’archivio 0,5% e i 22.840 risultanti dal contributivo in base al Paese di nascita.

5.         Una valutazione sugli errori

Attraverso l’unione, tramite matricola aziendale, dell’archivio 0,5% con quello contributivo è stato possibile individuare tre gruppi distinti di imprese (Tab. 5):

1.     quelle che hanno un numero di dipendenti nati nei Paesi inclusi nella definizione operativa (d’ora in poi lavoratori definizione operativa) maggiore di quelli risultanti dall’archivio 0,5% (differenze negative);

2.     quelle che hanno un numero di lavoratori definizione operativa uguale a quello indicato nell’archivio dello 0,5% (differenze nulle);

3.     quelle che hanno un numero di lavoratori definizione operativa inferiore a quelli presenti nell’archivio 0,5% (differenze positive).

Si ricorda che il confronto tra gli stock è sempre riferito al mese di ottobre dei diversi anni ed è stato svolto per il periodo 1994-1997.

L’obiettivo dell’analisi è cercare di capire in quali tipi di errori si incorre nell’aver adottato la definizione operativa per effettuare il confronto tra i due archivi Inps. In questa fase dello studio si intende fare un primo passo verso una individuazione attendibile della componente dei cittadini extracomunitari tra i dipendenti nati in Paesi non appartenenti all’Unione Europea.

 

La quota delle imprese (Tab. 5) per le quali risulta lo stesso numero di dipendenti tra i due archivi (ricordiamo che nel contributivo usiamo la definizione operativa) è andato crescendo in entrambe le province. Questo risultato è in linea con l’aumento del rapporto tra dipendenti dell’archivio contributivo e quelli dello 0,5% visto nella tabella 3.

 

Sulle imprese che registrano differenze di numerosità tra i due archivi sono state calcolate le discrepanze in termini di dipendenti. Abbiamo, analogamente a quanto osservato per le imprese, due casi:

caso A:            dipendenti dello 0,5% > dipendenti del contributivo (differenze positive)

caso B:            dipendenti dello 0,5% < dipendenti del contributivo (differenze negative)

 

Le spiegazioni nel caso A possono essere:

1.             la definizione operativa fornisce una sottostima dei dipendenti extracomunitari perché sono stati esclusi Paesi da cui provengono tali lavoratori;

2.             nell’archivio 0,5% ci sono errori dovuti a più posizioni per uno stesso lavoratore (ricordiamo che l’archivio 0,5% riporta solo il numero di extracomunitari per azienda).

Da quanto ci è dato sapere nell’archivio 0,5% esistono, anche se non quantificabili, posizioni multiple in quanto i nomi degli stranieri (in particolare quelli arabi) non sempre sono riportati in modo corretto (o uguale) dando così origine a più posizioni in capo alla medesima persona. Forse però nel nostro caso, visto che le analisi sono riferite ad un solo mese, tale situazione è più difficile si verifichi. Le differenze positive sono comunque abbastanza modeste.

 

Le spiegazioni nel caso B possono essere:

1.             la definizione operativa include italiani (o altri cittadini dell’Unione Europea) nati nei Paesi considerati;

2.             la differenza è attribuibile alla mancata trattenuta dello 0,5%.

Le piuttosto rilevanti differenze negative non trovano giustificazione nella prima ipotesi visto che si è considerato un aggregato di Paesi i quali (a parte i casi di Etiopia e Libia che comunque hanno un peso modesto) meno probabilmente di altri sono stati interessati da nascite di italiani. Inoltre, ci pare poco verosimile che le discrepanze dipendano da cittadini europei (UE), nati nei Paesi della definizione operativa, e lavoranti alle dipendenze delle nostre aziende. Più plausibile è ipotizzare che tali differenze dipendano da mancate trattenute.

 

In conclusione, l’assumere la definizione operativa per individuare la componente dei dipendenti extracomunitari ci porta a commettere sostanzialmente due tipi di errori:

·      errore di I tipo, esclusione di dipendenti extracomunitari (caso A1);

·      errore di II tipo, inclusione di italiani (al limite di altri cittadini dell’Unione Europea) tra i dipendenti extracomunitari (caso B1).

 

Alcune preliminari analisi sui dipendenti nati in aree non considerate nella definizione operativa, ad esempio i nati nel Centro-Sud America, sono state svolte per valutare il peso dell’errore di I tipo. Si è verificato così che l’allargamento della definizione operativa porta ad aumentare i casi di differenza nulla (tra archivio contributivo e quello dello 0,5%) nelle imprese, indicando in questo modo la strada che dovremo percorrere per rendere ancora più pertinente l’aggregato di Paesi da includere nella determinazione dei lavoratori extracomunitari presenti nell’archivio contributivo.

6.         Il lavoro degli extracomunitari nelle imprese venete

Lo scopo di questo paragrafo è quello di fornire alcune indicazioni in merito al lavoro degli extracomunitari in particolare riguardo ai settori di attività, alle classi dimensionali delle imprese che li assumono e al peso di esse sul totale delle attive con lavoratori alle dipendenze.

 

Nei paragrafi precedenti abbiamo svolto alcune analisi con l’obiettivo di giungere ad una misurazione degli stock dei dipendenti extracomunitari presenti nelle province in esame e abbiamo visto come tale identificazione non sia del tutto univoca. Sulla base delle nostre elaborazioni, la presenza dei dipendenti extracomunitari (definizione operativa) nelle imprese dell’industria e dei servizi - insediate nelle province di Treviso e Vicenza - ammonta a circa 23.000 unità nel 1997. Questo significa che, su un totale di 500.000 lavoratori dipendenti[13], l’incidenza del lavoro extracomunitario è all’incirca del 4,6%.

Apparentemente, un livello modesto, soprattutto in relazione all'attenzione che ultimamente viene rivolta a questo argomento, da parte dei mass media ma anche da parte della comunità della ricerca economica e sociale.

Se però restringiamo l’analisi a particolari comparti di attività, peraltro assai significativi nel contesto dell’area veneta sotto esame, come il manifatturiero oppure ai settori più caratterizzanti che lo compongono[14], la presenza del lavoro extracomunitario diviene di maggiore entità e, in alcuni casi, rappresenta una quota cospicua della manodopera impiegata. Del totale dei 500.000 lavoratori dipendenti delle aree considerate infatti circa 350.000 sono attivi nei settori industriali e, fra questi, il peso degli extracomunitari ha un rilevo notevolmente superiore rispetto al terziario. Articolando ancora l’analisi, per sottosettori, per particolari segmenti dimensionali delle imprese, o per singoli bacini del lavoro ci aspettiamo incidenze ancor più significative.

 

Va precisato che le analisi condotte in questo paragrafo si avvalgono, ai fini del computo degli stock di dipendenti extracomunitari, di tutte le informazioni che avevamo a disposizione. Vale a dire sia delle dichiarazioni, in forma aggregata per ogni impresa, dei versamenti al Fondo di rimpatrio (0,5%), sia del conteggio dei lavoratori nati nei Paesi appartenenti alle aree 3, 4, 5 (definizione operativa) indicate nella tabella 3. In particolare, per gli anni dal 1994  al 1997 per i quali disponevamo dell’archivio dello 0,5%, il conteggio dei dipendenti extracomunitari è avvenuto tramite il confronto – per ogni singola azienda – tra i lavoratori nati nelle aree 3, 4, 5 secondo l’archivio contributivo e quelli risultanti dall’archivio dello 0,5%. In caso di discordanze, ad ogni impresa è stato assegnato come numero di addetti extracomunitari il più grande tra questi due valori. In questo modo si ritiene di avere minimizzato l’errore di sottostima dovuto ai mancati versamenti dello 0,5% senza correre il rischio opposto di considerare come extracomunitari persone che in realtà hanno nazionalità italiana pur essendo nate nei Paesi delle aree incluse nella definizione operativa.

 

Come si può osservare dalla comparazione della tabella 3 con la tabella 10a, le differenze nel periodo 1994-1997 tra il numero dei lavoratori individuati utilizzando la sola definizione operativa (Tab. 3) e quello che emerge dal nuovo criterio di computo (tab. 10a) sono relativamente contenute, dell’ordine di qualche centinaia (da 325 unità nel 1994 a 566 unità nel 1997). In pratica, le differenze, per ogni anno, sono comprese fra il 2,3% ed il 2,5%.

Le tabelle riportano comunque la serie 1991-1997, anche se le analisi sulle dinamiche vengono svolte separatamente per i due sottoperiodi 1991-1993 e 1994-1997.

 

Il nuovo criterio di computo ha portato ad individuare, per il 1997, un totale di 23.406 dipendenti extracomunitari che lavorano in 7.333 imprese, pari al 15,8% del numero totale di imprese insediate nelle due province. Queste imprese hanno  un'occupazione complessiva di 260.836 dipendenti, corrispondente ad oltre il 50% del totale dipendenti delle due province (Tabb. 6-10, Graff. 1-4) .

All'inizio del periodo osservato, il 1991, il numero di lavoratori extracomunitari è di circa 11.000 unità, e le imprese che ricorrono a questi lavoratori sono quasi 4.000. Nell’intero periodo 1991-1997 si registra quindi un significativo aumento sia del numero di lavoratori extracomunitari presenti, sia del numero delle imprese che fanno ricorso ad essi. Mentre l’incremento è stato pressoché nullo nei primi anni Novanta, fra il 1994 e il 1997 la crescita del numero di lavoratori extracomunitari è stata del 72,4%, ed il numero delle imprese che fanno ricorso ad essi è aumentato del 51,1%.

 

Il processo di diffusione del ricorso alla forza lavoro extracomunitaria caratterizza quasi tutti i settori manifatturieri e le costruzioni, mentre riguarda in maniera più contenuta il terziario come illustra il grafico 1. Complessivamente, le imprese industriali che nel 1997 ricorrono a lavoratori extracomunitari sono quasi il 24,3% del numero totale di imprese del comparto, mentre questa percentuale è solo del 6,4% per quanto riguarda il terziario. Fra i settori industriali nei quali è maggiore la diffusione del ricorso al lavoro degli extracomunitari si segnalano la concia (con il 58,8% di imprese che ricorrono ad extracomunitari), la chimica e gomma (40,6%), le calzature (37,3%), i minerali non metalliferi (32,4%) e il legno (28,1%). Per quanto riguarda l’incidenza della manodopera extracomunitaria sul totale dei dipendenti (Tab. 10b, Graf. 2), va segnalato il settore della concia, con il 24,4% al 1997; per i restanti settori si registrano quote più contenute che vanno da un minimo del 2,5% per il tessile-abbigliamento ad un massimo dell’8,3% per le costruzioni. In quest’ultimo settore è invece più modesto, rispetto agli altri che abbiamo visto, il numero di aziende interessate dal lavoro extracomunitario (poco più del 20% del totale imprese).

 

I lavoratori extracomunitari si concentrano particolarmente nelle imprese di piccola-media dimensione, in particolare quelle comprese fra i 6 ed i 49 addetti che, al 1997, assorbono il 55% dei dipendenti extracomunitari (Tab. 10a). Il peso di questo segmento dimensionale rispetto al totale dei dipendenti invece è solo del 43% (Tab. 7). E’ comunque di un certo rilievo la diffusione del lavoro extracomunitario nelle micro imprese (quelle con meno di 5 dipendenti). Infatti il numero di micro imprese con dipendenti extracomunitari è aumentato del 19% nel periodo 1991-1993 e del 76% nel successivo periodo 1994-1997.

Al crescere della dimensione aziendale diminuisce invece il peso del lavoro extracomunitario sul totale, anche se aumenta il numero delle imprese che vi fanno ricorso. Infatti, la percentuale delle imprese che assumono extracomunitari è di appena il 7% nelle micro-imprese, sale al 75% per le aziende con 100 o più dipendenti e, tra queste ultime, si rileva una percentuale del 96% nella classe dimensionale più alta (oltre 500 dipendenti).

7.         Note conclusive e possibili sviluppi del lavoro

I primi risultati dell’analisi qui avviata ci consentono di affermare che, per quanto attiene ai lavoratori extracomunitari dell’industria e dei servizi alle dipendenze delle imprese trevigiane e vicentine, le discrepanze tra l’archivio contributivo e quello dello 0,5% non sembrano così rilevanti come, invece, ci aspettavamo sulla base di altri lavori sviluppati in Italia.

Non siamo, comunque, in grado di attribuire questa diversità di risultati a metodologie di confronto (tra archivi) differenti o a una maggiore diffusione (rispetto alla media nazionale) tra le imprese venete di praticare la trattenuta dello 0,5%.

La definizione operativa utilizzata per individuare i dipendenti extracomunitari nell’archivio contributivo è soggetta a miglioramenti, ma questi non dovrebbero, per le ragioni esposte nel paragrafo 4, modificare sostanzialmente l’esito del confronto tra gli archivi.

 

L’aver collegato i diversi archivi dell’Inps, compreso quello delle aziende, ci permette l'individuazione puntuale delle imprese nelle quali lavorano gli extracomunitari e ciò può darci la possibilità di sviluppare ulteriori analisi a livello aziendale anche se purtroppo, a causa del ritardo con cui l’Inps fornisce gli archivi, gli studi non potranno restituire immagini aggiornate. Interessante potrebbe essere analizzare le dinamiche all’interno dei processi di creazione di nuovi posti di lavoro. Da un punto di vista aggregato possiamo osservare come il segmento di imprese che ricorre ai lavoratori extracomunitari è anche quello nel quale si registrano performance occupazionali molto positive, mentre le restanti imprese registrano, dinamiche aggregate negative.

Nel grafico 5 vengono riportati questi andamenti: per le imprese che ricorrono ad extracomunitari l'aumento dell'occupazione è di 47.400 unità fra il 1994 ed il 1997, mentre per le altre aziende si ha una variazione negativa di circa 39.000 unità. E’ evidente che l'occupazione extracomunitaria è aumentata laddove è aumentata l'occupazione tout-court. Nelle aziende in crescita, circa il 21% dell’aumento complessivo della manodopera impiegata è attribuibile a quella extracomunitaria (10.000 su 47.400).

 

L’enucleazione quanto più possibile corretta dei dipendenti extracomunitari (minimizzare gli errori di inclusione di ‘falsi’ cittadini extracomunitari e di esclusione di ‘veri’ cittadini extracomunitari) è uno dei possibili obiettivi di sviluppo di questo lavoro. Il fine in questo caso è disporre di una componente di dipendenti extracomunitari, non inficiata da elementi spuri, che possa servire nei confronti con il segmento dei lavoratori dipendenti italiani.

Ciò potrà consentire di effettuare le analisi di confronto tra le caratteristiche dell’inserimento lavorativo degli italiani e quelle degli extracomunitari.

Dalle prime analisi esplorative effettuate sulle banche dati a nostra disposizione si conferma che gli extracomunitari vengono impiegati in prevalentemente come operai comuni. Alcuni approfondimenti, forse di maggiore interesse, tra le due componenti individuate potranno riguardare la mobilità aziendale, la durata dei rapporti di lavoro e i livelli retributivi.

 

 

 

Riferimenti bibliografici

Anastasia B., Gambuzza M., Rasera M. (2000), Extracomunitari al lavoro in Veneto: lo “status quaestionis”, Ente Veneto lavoro, Collana I tartufi n. 1, Venezia.

 

Bragato S., Anastasia B. (2001), “Il lavoro degli extracomunitari: fonti e problematiche statistiche”, in Ministero del lavoro (a cura di), Rapporto di monitoraggio sulle politiche occupazionali e del lavoro, n. 1, Roma.

 

Costanzo L., Occari F. (1999), "Struttura e dinamiche dell’industria manifatturiera veneta: un’analisi sui dati censuari 1991-1996", Economia e società regionale, n. 4, F. Angeli, Milano.

 

Inps (2000), Migrazioni e previdenza sociale, in Agenzia romana per la preparazione del Giubileo (a cura di), Migrazioni. Scenari per il XXI secolo, Dossier di ricerca, Vol. II, Roma.

 

Reyneri E. (2001), L’integrazione nel mercato del lavoro, in Zincone G. (a cura di). Secondo rapporto sull’integrazione degli immigrati in Italia, il Mulino, Bologna.

 

Strozza S., Conti C. (1999), Caratteristiche dell’inserimento lavorativo degli immigrai nel Lazio durante gli anni Novanta, in Zanfrini L. (a cura di), Immigrati mercati del lavoro e programmazione dei flussi di ingresso, Quaderni I.S.Mu n. 1, Milano

 

Venturini A., Villosio C. (1998), Foreign workers in Italy: are assimilating to Natives? Are they competing against Natives? An Analysis by the SSA dataset, relazione presentata al Convegno su “Flussi migratori: cause ed effetti”, Istituto Universitario Navale, Napoli 20-21 novembre 1998, Napoli.

 

Venturini A., Villosio C. (2000), Disoccupazione dei lavoratori nazionali: l’effetto dell’immigrazione, relazione presentata al XV Convegno Nazionale di Economia e Lavoro, 28-29 settembre, Ancona.

 

 



à  Questo lavoro è stato svolto nell’ambito della ricerca Murst 1999-2001 “Occupazione e disoccupazione in Italia: misura e analisi dei comportamenti”.

[1]  Per un’analisi più ampia sui problemi delle fonti per lo studio della presenza straniera nei mercati del lavoro si rimanda a Bragato S., Anastasia B. (2001). 

[2]  Nel nostro Paese la gran parte delle cittadinanze italiane concesse riguardano i matrimoni misti.

[3]  Precisiamo che i minori con meno di 14 anni generalmente non hanno un permesso individuale essendo inclusi in quello del genitore. La conta dei permessi di soggiorno, pertanto, esclude una buona parte dei minori presenti. Pertanto l’ammontare complessivo dei cittadini stranieri insediati nel territorio viene determinato attraverso stime che integrano i dati sui permessi con quelli delle residenze anagrafiche.

[4]  Seppure la legge preveda ci debba essere coincidenza tra provincia di residenza/dimora e questura di rilascio e, in particolare, che nel caso di modifica della provincia residenza/dimora si debba dare comunicazione alla questura pertinente per provincia di arrivo, è noto che spesso questi obblighi non vengono ottemperati dagli stranieri.

[5]  Dal 1 gennaio del 2000 il versamento per il Fondo di rimpatrio, previsto solo per gli extracomunitari, è stato soppresso: infatti la legge 40/98 ha di fatto chiuso il Fondo, che era comunque poco utilizzato dagli eventuali rimpatriati, devolvendo le risorse al Fondo nazionale per le politiche migratorie.

[6]  Vi è da aggiungere, anche se i casi dovrebbero essere assai limitati vista la piuttosto recente presenza degli immigrati nel mercato del lavoro, che la discriminazione in base al Paese di nascita può farci cadere nell’errore di includere tra gli italiani gli extracomunitari nati in Italia.

[7]  Statunitensi, giapponesi, canadesi, etc..

[8]  Queste informazioni ci giungono dagli stessi operatori dell’Inps.

[9]  Ad esempio: ricostruzione dei codici fiscali dei soggetti inclusi negli archivi del Ministero che non prevedevano la registrazione di tale dato; incrocio tra archivi con date diverse, quelli Inps aggiornati al 1997, quelli del Ministero ad anni successivi.

[10]  Sulla diffusione del fenomeno del lavoro sommerso tra immigrati in regola con il permesso di soggiorno si veda il recente contributo di Reyneri E. (2001).

[11]  Al 31.12.1998 a Vicenza risultavano 13 permessi rilasciati a Svizzeri e 12 ad australiani; a Treviso alla stessa data le numerosità erano rispettivamente 16 e 8.

[12]  Ad esempio al 31.12 1998 risultava nella provincia di Treviso uno stock di permessi ad etiopi di appena 4 unità contro gli 89 lavoratori inseriti nel contributivo ad ottobre 1997, analogamente per la provincia di Vicenza i dati sono rispettivamente 14 contro 162.

[13] Con l’esclusione della Pubblica Amministrazione e del comparto dell’Agricoltura, che sono fuori dal campo di osservazione degli archivi Inps.

[14] Ci riferiamo al comparto metalmeccanico, al legno-mobilio, al tessile etc.. Per un'analisi della struttura produttiva regionale e delle recenti dinamiche (si veda Costanzo e Occari, 2000).