Benché oggi l’immigrazione
sia spesso oggetto di dibattito acceso, vi è un diffuso consenso, nella
società come nelle istituzioni, sull’idea che il lavoratore
immigrato titolare di un regolare permesso di soggiorno sia da considerare
portatore di un beneficio netto per la società di accoglienza. Le
valutazioni divergono invece facilmente in relazione alla figura
dell’immigrato clandestino, ferma restando, pero’, la generale
percezione della clandestinità come di una forma di cattivo
funzionamento della politica migratoria. E’ opportuno allora, in una fase
in cui si pensa di riformare la normativa sull’immigrazione, esaminare i
percorsi che conducono alla titolarità di un permesso di soggiorno per
lavoro e valutare se sia necessario ampliarli o modificarli in modo che non
finiscano per condurre inopinatamente a condizioni di clandestinità.
Nell'analisi dei meriti e dei limiti
presentati dai diversi meccanismi di accesso al lavoro (e al relativo permesso
di soggiorno) previsti dal quadro normativo sull’immigrazione, occorre
distinguere tra i flussi associati alla migrazione di manodopera qualificata e
quelli, non meno importanti (e quantitativamente molto più cospicui),
relativi a lavoratori a bassa qualificazione. Per la prima componente, le
disposizioni relative alla “chiamata nominativa” da parte di un
datore di lavoro del lavoratore ancora residente all’estero possono
risultare adeguate, potendo fondarsi le chiamate sull’esame – anche
a distanza – del curriculum lavorativo o di studio del lavoratore. La
costituzione di un rapporto di lavoro caratterizzato da bassi livelli di
qualificazione necessita invece di un incontro diretto (sul territorio italiano)
tra domanda e offerta di lavoro. Tale incontro risulta gravemente ostacolato da
disposizioni (come quelle sulla chiamata nominativa – appunto) che
condizionino l’ingresso legale del lavoratore ad una preventiva
assunzione da parte di un datore di lavoro.
La normativa può definire varie
possibilità di incontro diretto capaci di tradursi in un accesso
pienamente legale ad una posizione lavorativa e al relativo permesso. Ciascuna
può presentare – come è ovvio – vantaggi e svantaggi.
Un’assenza generale, pero, di esse o l’interposizione di ostacoli
talmente alti da renderle impraticabili fa sì che al lavoratore migrante
non resti che tentare la via dell’ingresso illegale: dopotutto, a
dispetto dei costi e del rischio di sanzioni, una migrazione clandestina potrebbe
comunque consentire di pervenire un inserimento remunerativo – sebbene
irregolare - nel mercato del lavoro italiano o, nell’ipotesi più
ottimistica, di trovare un datore di lavoro disposto ad avviare la procedura
dell’assunzione “preventiva”; a valle di un temporaneo rimpatrio,
il lavoratore potrebbe rientrare in Italia legalmente, chiamato da quel datore
di lavoro.
L’immigrazione illegale finisce cosi
per essere incentivata. Per di più, fenomeni che di per se non
rappresenterebbero alcun pericolo per la società - la migrazione per
lavoro – vengono accostati ad altri – gli ingressi di criminali e
lo sfruttamento dei traffici clandestini – carichi di conseguenze in
relazione all’ordine pubblico e alla sicurezza dei cittadini. In queste
condizioni, facilmente, la politica dell’immigrazione scivola nel dilemma
tra l’adozione di misure repressive (in ogni senso costose) e quella di
provvedimenti di sanatoria (potenzialmente equivalenti ad ulteriori
incentivazioni dell’immigrazione illegale).La definizione e
l’applicazione di disposizioni che, al contrario, rendano possibile un
incontro legale tra domanda e offerta di lavoro è da considerare quindi
l’elemento fondamentale di una politica che non voglia banalmente fuggire
di fronte alla complessità del problema.
Alcune di queste disposizioni sono
già contenute nelle leggi vigenti; altre sono state oggetto di esame da
parte del Parlamento in questi anni. Con riferimento alle definizioni adottate
in queste disposizioni, possiamo classificare i meccanismi di incontro diretto
tra domanda e offerta di lavoro in due principali categorie:
a)
l’ingresso
per inserimento nel mercato del lavoro;
b)
l’ingresso
per motivi diversi dal lavoro, con possibilità di conversione del
permesso di soggiorno.
L’ingresso per inserimento nel
mercato del lavoro è consentito, entro i limiti della quota
appositamente definita dal decreto di programmazione dei flussi,
dall’articolo 23, comma 1, del Testo Unico sull’immigrazione e
permette al lavoratore straniero che sia coperto dalla garanzia prestata da un
cittadino italiano o straniero (lo sponsor) di cercare in Italia, per un anno,
un'opportunità di lavoro. Ha il pregio, soprattutto quando la
prestazione di garanzia sia effettuata da cittadini stranieri stabilmente
soggiornanti in Italia, di permettere la realizzazione di equilibrate catene
migratorie, pienamente legali e capaci di ridurre le difficoltà di
inserimento sociale del nuovo immigrato. Ha il difetto, per contro, di non
consentire l’ingresso a chi non abbia già legami in Italia; in
mancanza di alternative, il lavoratore straniero tenterà di venire
comunque in Italia (anche illegalmente) - per conquistare una sponsorizzazione,
anziché una chiamata nominativa, ma con le stesse conseguenze negative.
Un’alternativa, legale, utile per
chi non abbia legami in Italia e’ rappresentata dall’ammissione di
contingenti di lavoratori iscritti in liste di prenotazione. L’articolo
23, comma 2, del Testo Unico (congiuntamente con le relative disposizioni regolamentari)
offre lo strumento perché tale ammissione possa avvenire a seguito della
prestazione di garanzia da parte di un ente (Regioni ed enti locali, per
esempio) o di un’associazione professionale, sindacale o di volontariato.
Si attinge da liste di prenotazione da istituirsi presso le rappresentanze
diplomatiche o consolari italiane, con graduatoria fondata
sull'anzianità di iscrizione. Il legame con un soggetto già
presente in Italia cessa, in tal modo, di essere un requisito indispensabile
per l’ingresso. Inoltre, Regioni, enti locali e imprenditori vengono
messi in condizione di esercitare un ruolo protagonistico nella determinazione
concreta della politica migratoria.
Un limite insito nelle disposizioni
dell’articolo 23 fin qui considerate e’ che, per favorire un adeguato
funzionamento del mercato del lavoro, e’ richiesto l’intervento di
un terzo (lo sponsor, privato o pubblico), non direttamente interessato alla
costituzione del rapporto di lavoro. Il superamento di questo limite può
essere consentito da quanto previsto dal comma 4 dell’articolo 23:
qualora il numero di sponsorizzazioni private o pubbliche non esaurisca la
quota massima fissata dal decreto di programmazione dei flussi, possono fare
ingresso in Italia, nell’ordine definito dalla lista di prenotazione, quei
lavoratori che abbiano mezzi sufficienti per provvedere al proprio
sostentamento. Oltre ad ampliare le chances di ingresso legale per i lavoratori privi di
riferimenti consolidati in Italia, questa norma consente, in linea di
principio, il riconoscimento della capacità di iniziativa del lavoratore
– attore, nel mercato del lavoro, non meno importante del datore di
lavoro.
I primi anni di applicazione della legge
hanno messo in luce due punti deboli di questa che potrebbe, altrimenti,
rivelarsi una soluzione perfettamente adeguata del problema dell’accesso
al mercato del lavoro della manodopera immigrata a bassa qualificazione. Il
primo dei punti deboli e’ rappresentato dalla dipendenza del successo di
questo meccanismo dalla definizione di quote – per la sponsorizzazione
– sufficientemente alte. L’imposizione di tetti assai bassi
(quindicimila ingressi) sia per il 2000, sia per il 2001, ha fatto si’
che le prestazioni di garanzia presentate da privati risultassero largamente
sufficienti a sfondarli in pochissimi giorni (l’anno scorso) o pochissime
ore (quest’anno). La mancanza di una quota residua, non coperta da
sponsorizzazioni private, ha impedito che si desse luogo all’ammissione
di lavoratori “auto-sponsorizzati”.
Il secondo punto debole sarebbe emerso
palesemente se quei tetti non fossero stati raggiunti cosi’ facilmente.
Ci si sarebbe accorti, infatti, che le liste di prenotazione nelle
rappresentanze diplomatiche non sono state istituite (fa eccezione il caso di
alcuni paesi di emigrazione - l’Albania, per esempio - per i quali sono
state predisposte liste; ma si tratta delle liste previste, con altra
finalità – selezione di personale qualificato -,
dall’articolo 21, comma 5, del Testo Unico).
Le considerazioni fin qui svolte inducono
a concludere che l’istituto dell’ingresso per inserimento nel
mercato del lavoro meriti di essere mantenuto nella normativa, ma abbia bisogno – soprattutto in
sede di applicazione – di essere rafforzato mediante i tre interventi
seguenti:
- la definizione, in sede di programmazione
dei flussi, di quote apposite significativamente più ampie;
- l’incentivazione della prestazione
di garanzia da parte di regioni, enti locali, associazioni imprenditoriali;
- l’effettiva istituzione delle liste
di prenotazione nelle
rappresentanze italiane o, in alternativa, di una lista centralizzata presso
uno dei ministeri competenti, cui gli stranieri possano accedere anche per
posta o per via telematica.
Una netta semplificazione del quadro degli
interventi da effettuare può essere ottenuta dando, nell’ambito di
una riforma della normativa, un maggior rilievo alla seconda delle categorie
sopra individuate per l’accesso al mercato del lavoro: l’ingresso
per motivi diversi dal lavoro, seguito da conversione del permesso di
soggiorno.
La possibilità’ di accesso ad
un permesso di soggiorno per lavoro per il titolare di un permesso di soggiorno
ad altro titolo e’ contemplata dalla proposta di “Direttiva del
Consiglio europeo relativa alle condizioni d'ingresso
e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi ai fini dello svolgimento di
un’occupazione retribuita e di attività di lavoro autonomo”,
avanzata di recente dalla Commissione europea. La stessa
possibilità è già prevista, in diversi casi, dalla
normativa vigente in Italia (ad esempio: conversione del permesso di soggiorno
per motivi di studio in permesso per lavoro).Si
tratterebbe di estenderla stabilendo che il titolare di un permesso di
soggiorno di breve durata (turismo, affari, visita, ecc.) possa convertirlo in
un permesso per lavoro in presenza di una certificata opportunità di
occupazione. Oggi, invece, uno straniero legalmente soggiornante per
turismo per il quale si presenti una simile opportunità è tenuto
a rientrare in patria, senza utilità per alcuno, in attesa che il datore
di lavoro completi le procedure previste per la chiamata nominativa. Il
consentire la conversione del permesso risponderebbe all’esigenza di
incontro diretto tra lavoratore e datore di lavoro in un ambito di piena
legalità (con il controllo quindi da parte dello Stato), senza
richiedere adempimenti particolari da parte delle amministrazioni dello Stato
(quali l’istituzione delle liste di prenotazione nelle rappresentanze
diplomatiche o il censimento della domanda di lavoro non saturata
dall’offerta presente in Italia) né l’esistenza di legami
tra il lavoratore straniero e soggetti disposti a chiamarlo dall’Italia.
Può essere, cioè, una soluzione in grado di rispondere alle
esigenze di lavoratori e datori di lavoro con il minimo intervento dello Stato.
Più in generale, potrebbe essere
accettato il principio secondo il quale, a condizione che perduri la
capacità di auto-mantenimento richiesta allo straniero per ogni
soggiorno di breve durata, è possibile prolungare un soggiorno di breve
durata. In tal modo, la ricerca di un'occupazione sufficientemente stabile
potrebbe essere effettuata in un arco di tempo più esteso. Dovrebbe, in
questo superamento di una rigida separazione tra soggiorni di breve e di lunga
durata, essere consentito, al titolare di un permesso di breve durata, lo
svolgimento di attività economiche lecite mirate al proprio
sostentamento.
Si dovrebbe, più in dettaglio,
consentire ai titolari di permesso di soggiorno di breve durata (es.: per motivi di turismo, visita,
affari, ecc.)
- lo svolgimento di attività
occasionali di lavoro autonomo (ad esempio, le prestazioni saltuarie di servizi);
- il rinnovo del permesso per un ulteriore breve periodo quando lo
straniero sia in grado di dimostrare il possesso di mezzi di sostentamento non inferiori all’importo
dell’assegno sociale per il periodo di soggiorno, la disponibilità
di alloggio e la titolarità di un’assicurazione sanitaria;
- la conversione del permesso in un
permesso di soggiorno per lavoro autonomo o subordinato o per inserimento nel mercato del lavoro, quando
risultino soddisfatti i requisiti sostanziali per il rilascio di un tale
permesso (effettivo svolgimento di attività autonoma, certificata
opportunità di lavoro subordinato o prestazione di garanzia).
Affinché disposizioni del genere
non finiscano per favorire prolungamenti illegali del soggiorno o per produrre
un aggravio di spesa associato al rimpatrio di soggetti per i quali il rinnovo
o la conversione del permesso non siano possibili, il rilascio di un permesso
di soggiorno di breve durata con facoltà di accesso ad attività
lavorativa e di successiva stabilizzazione potrebbe essere condizionato al
deposito, da parte del titolare, di elementi identificativi certi e del
biglietto di viaggio per
l’eventuale rimpatrio. Non si tratterebbe di una forma di
discriminazione, ma, piuttosto, della stipula di un patto di lealtà tra
il lavoratore straniero e lo Stato. Sottrarsi a tale richiesta sarebbe sempre
possibile per lo straniero entrato per breve soggiorno, avendo come solo
effetto la preclusione del percorso di prolungamento e stabilizzazione del
soggiorno descritto.
Conviene ricordare come, nella recente
Comunicazione della Commissione europea al Consiglio e al Parlamento europeo su
un metodo aperto per il coordinamento delle politiche comunitarie in materia di
immigrazione, la Commissione sottolinei il fatto che l’individuazione
delle “migliori prassi” può avvenire solo attraverso la
sperimentazione di criteri e meccanismi diversi. Questo della
possibilità di ingresso per ricerca di lavoro (tramite sponsorizzazione,
auto-sponsorizzazione o conversione dei permessi di soggiorno di breve durata
in permessi per lavoro) potrebbe essere il contributo specifico
dell’Italia al processo di selezione delle migliori soluzioni.
Roma,
8 ottobre 2001