“I MINORI STRANIERI NON ACCOMPAGNATI”

 

SCHEDE SUGLI ASPETTI GIURIDICI

 

a cura di Elena Rozzi

 

 

 

 

 

INDICE

 

Introduzione                                                                          p. 1

1. La definizione di minore straniero non accompagnato      p. 2

2. La segnalazione del minore straniero non accompagnato  p. 3

3. Le indagini nel paese d’origine e il rimpatrio assistito      p. 4

4. L’affidamento e la tutela                                                   p. 8

5. Il permesso di soggiorno                                                   p. 15

6. Il diritto alla salute e all’istruzione                                    p. 28

7. L’espulsione e il respingimento                                        p. 30

8. Il Comitato per i minori stranieri                                      p. 31

Fonti normative                                                                     p. 32

 


INTRODUZIONE

 

Queste schede hanno l’obiettivo di fornire alcuni riferimenti giuridici fondamentali sul tema dei minori stranieri non accompagnati.

 

Vengono analizzate e sintetizzate le diverse disposizioni aventi rilevanza in materia di minori stranieri non accompagnati, disposizioni che si trovano disperse in una serie di Convenzioni, leggi, decreti, regolamenti, circolari.

La normativa di riferimento appartiene in parte alla normativa riguardante i minori (come la Convenzione di  New York sui diritti del fanciullo del 1989, il Codice Civile, la legge 184/83 sull’affidamento e l’adozione), in parte alla normativa sull’immigrazione (come il Testo Unico sull’immigrazione 286/98 e il relativo regolamento di attuazione D.P.R. 394/99), in parte riguarda specificamente i minori non accompagnati (come il regolamento del Comitato per i minori stranieri D.P.C.M. 535/99).

L’elenco delle fonti normative analizzate si trova al fondo delle schede[1].

 

 

L’analisi di tali disposizioni è condotta per temi: dalla definizione di “minore straniero non accompagnato” agli obblighi di segnalazione, dalla questione del rimpatrio ai provvedimenti di affidamento e tutela, dal permesso di soggiorno al diritto alla salute e all’istruzione ecc.

 

Alcuni aspetti (come ad esempio le norme riguardanti il permesso di soggiorno) sono trattati in modo molto analitico, al fine di consentire a chi legge di trovare risposta per ogni specifica situazione che si dovesse presentare.

 

Oltre alla sintesi delle diverse disposizioni, vi sono poi alcuni approfondimenti su alcune questioni particolarmente complesse e problematiche (come i criteri di scelta tra accoglienza e rimpatrio, il permesso di soggiorno per minore età o lo status dei minori affidati di fatto a parenti entro il quarto grado): in questi approfondimenti vengono analizzate le lacune e le contraddizioni presenti nella normativa e vengono argomentate alcune tesi in proposito, naturalmente sempre dal punto di vista strettamente giuridico.

 

 

La fattispecie cui si fa riferimento è quella del minore straniero non accompagnato dai genitori o da altri esercenti la potestà genitoriale ed irregolarmente presente sul territorio italiano, non richiedente asilo o protezione umanitaria, ed emigrato con il sostanziale consenso dei genitori o comunque senza essere stato sottratto contro la loro volontà.

Nella definizione di “minori non accompagnati” abbiamo compreso tutti i minori non accompagnati dai genitori (o altri esercenti la potestà genitoriale), e quindi anche quelli accompagnati da parenti entro il quarto grado.

Sono state escluse, invece, le disposizioni che riguardavano specificatamente a) i minori richiedenti asilo o protezione umanitaria (per i quali sono previste specifiche garanzie); b) la sottrazione internazionale di minori; c) l’ingresso regolare di minori nell’ambito di programmi solidaristici di accoglienza temporanea; d) l’adozione; e) le o i minorenni vittime della tratta.

 

 

 


1) LA DEFINIZIONE DI MINORE STRANIERO NON ACCOMPAGNATO

 

In base al regolamento del Comitato per i minori stranieri (D.P.C.M. 535/99) è definito “minore straniero non accompagnato presente nel territorio dello Stato” il minore non avente cittadinanza italiana o di altri Stati dell'Unione europea che, non avendo presentato domanda di asilo, si trova in Italia privo di assistenza e rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per lui legalmente responsabili in base alle leggi vigenti nell'ordinamento italiano.

 

Oltre ai minori completamente soli, dunque, rientrano in tale definizione anche i minori affidati di fatto ad adulti (compresi parenti entro il quarto grado) che non ne siano tutori o affidatari in base a un provvedimento formale, in quanto questi minori sono comunque privi di rappresentanza legale in base alla legge italiana.

Secondo alcuni, tuttavia, i minori accolti da parenti entro il quarto grado (fratelli, zii, cugini) non sono da considerarsi “minori non accompagnati” in quanto essi sarebbero legittimamente affidati dai genitori nell’ambito del gruppo parentale[2].

 

La nozione di minore straniero non accompagnato non coincide con quella di minore in stato di abbandono: un minore non accompagnato dai genitori può non essere in stato di abbandono quando ad es. è accolto da parenti moralmente e materialmente idonei a provvedervi, che però non ne hanno la rappresentanza legale; così come un minore pur convivente con i genitori può trovarsi in stato di abbandono quando questi non si curano di lui e lo maltrattano.

 


2) LA SEGNALAZIONE DEL MINORE STRANIERO NON ACCOMPAGNATO

 

Chiunque venga a conoscenza della presenza di un minore straniero non accompagnato deve segnalarlo al Comitato per i minori stranieri[3], per il tramite della Prefettura competente per territorio o dell'Ente locale, che provvederà all’invio al Comitato per i minori stranieri. La segnalazione deve contenere tutte le informazioni disponibili, e in particolare le generalità, la nazionalità, le condizioni fisiche, i mezzi di sostentamento e il luogo di provvisoria dimora del minore, le misure eventualmente adottate per far fronte alle sue esigenze, informazioni circa i familiari del minore, le condizioni di vita, gli studi, e le attività di formazione svolte, le intenzioni per il futuro sia del minore che dei suoi genitori, anche riguardo al rimpatrio.

L'identità del minore è accertata dalle autorità di pubblica sicurezza, ove necessario attraverso la collaborazione delle rappresentanze diplomatico-consolari del Paese di origine del minore. 

(regolamento del Comitato per i minori stranieri, art. 5; Linee Guida del Comitato per i minori stranieri dell’11.1.2001; circolare del Ministero dell’Interno del 24.4.2000)[4]

 

In base alla legge 184/83[5], art.9 e al regolamento di attuazione del T.U. 286/98[6], art. 28, inoltre, se il minore è in stato di abbandono deve essere segnalato alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni.

 

Infine, in modo assai poco chiaro, la legge 184/83 (come modificata dalle legge 476/98) stabilisce che, se il minore straniero non è accompagnato da parente entro il quarto grado, deve essere segnalato al Tribunale per i minorenni che, ove ne sussistano i presupposti interviene disponendo provvedimenti necessari in caso di urgenza, l’affidamento, o l’adozione (ai sensi dell’art. 37-bis della legge 184/83); ovvero segnala il minore alla Commissione per le adozioni internazionali (legge 184/83, art. 33), che a sua volta comunicherà il nominativo al Comitato per i minori stranieri (in base al regolamento di attuazione della legge 476/98, D.P.R. 492/99, art. 18).

 

Non è chiaro se i minori accolti da parenti entro il quarto grado debbano essere segnalati al Comitato per i minori stranieri: se tali minori sono da considerarsi come “minori stranieri non accompagnati” – come sembra discendere dalla definizione contenuta nel regolamento del Comitato per i minori stranieri – andranno senz’altro segnalati; in caso contrario, invece, non dovranno essere segnalati, con la conseguenza che nessuna istituzione svolgerà alcun controllo su tali situazioni[7].

 


3) LE INDAGINI NEL PAESE D’ORIGINE E IL RIMPATRIO ASSISTITO

 

3.1) L’istituto del rimpatrio

Il “rimpatrio assistito” è definito dal regolamento del Comitato per i minori stranieri (D.P.C.M. 535/99) come l’insieme di misure adottate allo scopo di garantire al minore l’assistenza necessaria fino al ricongiungimento coi propri familiari o al riaffidamento alle autorità responsabili del Paese d’origine.

 

Il provvedimento di rimpatrio è basato su presupposti completamente diversi rispetto all’espulsione adottabile nei confronti di maggiorenni[8]. L’espulsione è infatti un provvedimento di ordine pubblico, che si configura per lo più come un atto dovuto che il Prefetto deve adottare, nei casi previsti dalla legge, senza margini di discrezionalità; il rimpatrio è invece un provvedimento che il Comitato per i minori stranieri adotta, a seguito di una valutazione specifica del caso in esame, qualora ne ravvisi l’opportunità e la necessità, nell’interesse del minore. Inoltre, l’esecuzione di un provvedimento di rimpatrio presuppone una preventiva indagine circa la situazione cui il minore andrà incontro quando verrà ricondotto nel suo paese di origine. In altre parole, mentre l’adulto espulso viene semplicemente rinviato nel suo paese di origine, senza curarsi di quale situazione incontrerà in quel paese (salvo il caso di rischio di persecuzioni), il minore può essere rimpatriato soltanto quando il Comitato per i minori stranieri accerti che, tenuto conto sia della sua condizione in Italia sia di quella che troverà in caso di rientro nel suo Paese, tale misura è opportuna e necessaria nel suo interesse.

Ulteriore differenza tra il rimpatrio e l’espulsione è che quest’ultima comporta il divieto di rientro nel territorio italiano per 5 anni, mentre il rimpatrio non prevede alcun divieto di rientro.

 

Le principali disposizioni in materia di rimpatrio assistito sono state introdotte dal Dlgs. 113/99 (che modifica il T.U. 286/98) e dal D.P.C.M. 535/99 (regolamento del Comitato per i minori stranieri), che tra l’altro fa riferimento anche alla Risoluzione del Consiglio dell’Unione Europea del 26 giugno 1997 sui minori non accompagnati, cittadini di Paesi terzi (atto europeo che, però, non ha valore vincolante per lo Stato italiano). Importanti indicazioni, infine, sono contenute nelle Linee Guida deliberate dal Comitato per i minori stranieri l'11.1.2001 e nella circolare del Ministero dell'Interno del 9.4.2001.

 

 

 

3.2) Le procedure per la scelta tra accoglienza e rimpatrio e le indagini nel paese d’origine

La competenza a disporre il rimpatrio assistito è del Comitato per i minori stranieri; se vi sono procedimenti giurisdizionali in corso nei confronti del minore che deve essere rimpatriato, l’Autorità Giudiziaria rilascia il nulla-osta, salvo che sussistano inderogabili esigenze processuali (T.U. 286/98, art. 33, come modificato dal Dlgs. 113/99, art. 5).

 

Ricevuta la segnalazione circa la presenza di un minore non accompagnato, il Comitato per i minori stranieri dispone entro sessanta giorni le indagini per individuare i familiari del minore, nel paese di origine o in paesi terzi, ovvero per verificare la disponibilità delle autorità del paese d’origine ad assumere l’affidamento del minore a seguito del rimpatrio.

A tal fine, il Comitato si avvale di organismi nazionali o internazionali con i quali il Dipartimento per gli Affari Sociali può stipulare convenzioni, delle amministrazioni pubbliche, e delle rappresentanze diplomatico-consolari. Attualmente il Dipartimento Affari Sociali ha stipulato convenzioni per le indagini familiari con due ONG: dal 1997 è attiva una convenzione di questo genere con il Servizio Sociale Internazionale, per quanto riguarda i minori provenienti dall’Albania, recentemente estesa anche a Marocco, Moldavia e Romania; dal 2001 un’analoga convenzione è stata firmata con l’ICS-Consorzio Italiano di Solidarietà, per quanto riguarda le indagini in Albania, Romania, Moldavia, Macedonia, Bosnia, Serbia, Kossovo.

 

Contestualmente, il Comitato per i minori stranieri richiede al Giudice Tutelare competente la nomina di un tutore provvisorio, e si informa presso il Tribunale per i Minorenni se vi siano provvedimenti giurisdizionali a carico del minore tali da impedirne il rimpatrio.

 

Ove sia accertata l’esistenza di familiari o di autorità del paese d’origine disposte ad assumere l’affidamento del minore a seguito del rimpatrio, e sia verificato che il rimpatrio non comporta rischi per il minore, il rimpatrio potrà essere disposto ed eseguito.

In caso contrario, il rimpatrio non potrà essere disposto, e il Comitato per i minori stranieri informerà l’Autorità Giudiziaria competente per la valutazione dell’eventuale stato di abbandono e per i conseguenti provvedimenti, nonché i servizi sociali del Comune ove il minore dimora per l’eventuale affidamento.

(regolamento del Comitato, art. 2 e art. 4; Linee Guida del Comitato per i minori stranieri dell’11.1.2001; circolare del Ministero dell’Interno del 9.4.2001).

 

Nel corso del procedimento, il minore deve essere sentito dall’autorità locale (presumibilmente i servizi sociali del Comune in cui il minore dimora), per accertarne l’opinione in merito all’eventuale rimpatrio e le motivazioni di tale opinione (regolamento del Comitato, art. 7; Linee Guida del Comitato per i minori stranieri dell’11.1.2001).

 

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Rispetto alle procedure per la scelta tra rimpatrio e accoglienza del minore in Italia, possiamo rilevare alcuni aspetti problematici. In primo luogo, i tempi. Fino ad oggi, infatti, le indagini per individuare la famiglia nel paese d’origine e la decisione sull’eventuale rimpatrio del minore hanno richiesto tempi lunghissimi, spesso di molti mesi, a causa delle oggettive difficoltà e degli scarsi mezzi a disposizione. Come già accennato, in base alla normativa vigente le indagini devono essere avviate dal Comitato per i minori stranieri entro sessanta giorni, invece che immediatamente dopo la segnalazione; inoltre, non viene stabilito alcun termine per la conclusione del procedimento. E’ molto importante, invece, che la decisione sull’interesse del minore a restare in Italia o al contrario ad essere rimpatriato sia assunta in tempi rapidi. La personalità in formazione, infatti, è molto più fragile di quella dell’adulto: un periodo di forte incertezza sul proprio futuro - anche di pochi mesi - può provocare gravi danni a livello psicologico e può indurre il minore, la cui identità personale e sociale non è ancora solidamente formata, ad abbandonare ogni percorso positivo di integrazione e ad imboccare percorsi di devianza.

 

Un secondo aspetto problematico è connesso alla partecipazione del minore nel procedimento in cui si stabilisce se debba essere rimpatriato o meno. Il diritto alla partecipazione è uno dei diritti fondamentali sanciti dalla Convenzione di New York, che all’art. 12 stabilisce che: “1. Gli Stati Parti garantiscono al fanciullo capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa, le opinioni del fanciullo essendo debitamente prese in considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità. 2. A tal fine, si darà in particolare al fanciullo la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato, in maniera compatibile con le regole di procedura della legislazione nazionale.” Ora, come abbiamo visto, il minore deve essere sentito – in merito alla sua opinione rispetto al rimpatrio – non da un giudice o dal Comitato per i minori stranieri, ma dai servizi sociali del Comune in cui è domiciliato. Il rischio è che i servizi sociali del Comune, dovendo farsi carico (anche finanziariamente) dell’accoglienza dei minori, abbiano la tendenza a ridurre al minimo il numero di minori stranieri non accompagnati accolti sul territorio di loro competenza, e quindi siano propensi ad interpretare la volontà del minore in un senso tendenzialmente favorevole al rimpatrio. Ci sembra che la soluzione che maggiormente garantirebbe il diritto di partecipazione del minore sarebbe che questi fosse invece sentito dall’Autorità Giudiziaria minorile.

Sempre in relazione alla partecipazione del minore, pur essendo previsto che il Giudice Tutelare nomini un tutore per ogni minore straniero non accompagnato segnalato al Comitato per i minori stranieri, non è chiaro se il tutore dovrà rappresentare il minore nel corso del procedimento in cui si decide sul rimpatrio.

 

L’ultimo aspetto problematico che vorremmo sottolineare riguarda il ricorso contro la decisione del Comitato per i minori stranieri in ordine al rimpatrio o alla permanenza del minore in Italia. In primo luogo, perché il minore possa presentare ricorso contro il provvedimento di rimpatrio, è necessario che sia nominato un tutore che lo rappresenti.

In secondo luogo, trattandosi di un provvedimento amministrativo, il ricorso andrà presentato al TAR. La decisione sul ricorso dovrebbe essere assunta in tempo molto rapidi in modo da non lasciare per lungo tempo il minore in una situazione di incertezza che nuocerebbe gravemente al suo sviluppo ed al suo benessere: è evidente che il ricorso al TAR non consente in generale tale rapidità di decisione. Inoltre, poiché il rimpatrio ha effetti molto rilevanti sulla vita del minore e, ove non sia effettivamente rispondente all’interesse del minore, può provocare danni gravi e irreparabili, il ricorso dovrebbe sospendere l’esecuzione del rimpatrio. 

 

 

 

3.3) I criteri per la scelta tra accoglienza e rimpatrio

I criteri con cui il Comitato deve effettuare la scelta tra accoglienza del minore in Italia e rimpatrio non sono del tutto chiari. Il criterio generale su cui deve fondarsi tale scelta è il principio del “superiore interesse del minore” sancito dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 176/91, che stabilisce che "In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l'interesse del fanciullo deve essere una considerazione preminente" (Convenzione di New York, art. 3). Il Comitato, quindi, dovrebbe disporre il rimpatrio o l’accoglienza in Italia in base a ciò che, con una valutazione caso per caso della situazione di ogni minore, ritenga essere maggiormente rispondente all’interesse di quel singolo minore.

Altro criterio certo è quello in base a cui, come abbiamo visto, in assenza di familiari o di autorità del paese d’origine disposte ad assumere l’affidamento del minore a seguito del rimpatrio, ovvero nei casi in cui comporterebbe un rischio per il minore (ad es. i casi di minori albanesi a rischio di vendetta), il rimpatrio non può essere disposto.

Verrà sicuramente disposto il rimpatrio, invece, nei casi in cui sia richiesto dal genitore o dal tutore, ovvero se si accerta che i motivi dell’immigrazione del minore non sono condivisi dai parenti. (Linee Guida del Comitato dell’11.1.2001)

 

Ciò detto, tuttavia, restano ampi margini di incertezza: in particolare non è chiaro se, nei casi in cui vi siano familiari o autorità disponibili ad assumere l’affidamento del minore, ma i familiari siano favorevoli alla permanenza del minore in Italia, la scelta del rimpatrio sarà tendenzialmente scontata (le Linee Guida del Comitato per i minori stranieri, riprendendo il "Piano nazionale di azioni e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva 2000-2001", stabiliscono che, nella scelta tra i provvedimenti da adottare, la priorità sarà data innanzitutto al rimpatrio); ovvero se in questi casi si procederà ad una valutazione delle condizioni economiche della famiglia, delle opportunità di studio, formazione, lavoro e assistenza nel paese d’origine, dei percorsi di inserimento svolti dal minore in Italia ecc. Né è chiaro quanto si terrà in conto l’opinione del minore e dei suoi familiari in merito al rimpatrio.

 

L’attuale orientamento del Comitato per i minori stranieri è di considerare in generale come maggiormente rispondente al superiore interesse del minore la soluzione del rimpatrio - senza tenere in conto sostanzialmente l’opinione del minore e della famiglia, e senza considerare le condizioni economico-sociali nel paese d’origine - al fine di garantire il diritto del minore di vivere con la sua famiglia o comunque nel suo paese. Dunque, in tutti i casi in cui vengano individuati familiari o autorità del paese d’origine disponibili ad assumere l’affidamento del minore, il Comitato dispone il rimpatrio, ad eccezione dei casi in cui questo metta a rischio il minore.

 

 

 

3.4) L’esecuzione del rimpatrio

Il rimpatrio deve svolgersi in condizioni tali da assicurare il rispetto dei diritti garantiti al minore dalle convenzioni internazionali, dalla legge e dai provvedimenti dell'autorità giudiziaria, e tali da assicurare il rispetto e l'integrità delle condizioni psicologiche del minore, fino al riaffidamento alla famiglia o alle autorità responsabili (regolamento del Comitato per i minori stranieri, art. 7).

 

Non è chiaro, tuttavia, chi debba eseguire il rimpatrio. Il regolamento del Comitato per i minori stranieri, art. 7 fa riferimento alle “amministrazioni statali cui è affidato il rimpatrio assistito”, senza specificare ulteriormente. Andrà dunque chiarito se il rimpatrio debba essere eseguito dalla Questura, o dai servizi sociali locali, o dagli organismi nazionali e internazionali con cui il Dipartimento per gli Affari Sociali abbia stipulato convenzioni (come il Servizio Sociale Internazionale e l’ICS).

 

Nel 1998 - prima che la competenza a disporre il rimpatrio fosse attribuita al Comitato per i minori stranieri - sono stati eseguiti una serie di rimpatri coatti, ad opera della Polizia, che sono stati assai simili a delle vere e proprie espulsioni: i minori sono stati prelevati all'alba dai Poliziotti, accompagnati all'aeroporto e rimandati nel paese d'origine.

Benché attualmente il Comitato per i minori stranieri dichiari di non voler far eseguire rimpatri coatti ad opera della Polizia, tranne casi eccezionali, non vi è alcuna disposizione di legge che stabilisca chiaramente in quali casi e con quali modalità possa essere eseguito un rimpatrio coatto. Di conseguenza, questi aspetti fondamentali sono lasciati alle decisioni del Comitato per i minori stranieri.

Inoltre, benché l’esecuzione coatta del rimpatrio comporti necessariamente una privazione della libertà personale, non è previsto alcun controllo giurisdizionale su tale provvedimento limitativo della libertà personale del minore, in contrasto con l’art. 13 della Costituzione italiana.

Altra questione da chiarire in relazione ai rimpatri coatti è se nel periodo intercorrente tra l’adozione del provvedimento di rimpatrio e la sua esecuzione, la decisione sarà comunicata al minore e/o al tutore e quale sia la responsabilità del tutore o degli adulti presso i quali il minore soggiorna (in particolare, in che modo si esplichi il dovere di “cooperare con le amministrazioni statali cui è affidato il rimpatrio assistito”: Regolamento del Comitato per i minori stranieri, art. 7).

Infine, non è chiaro quale sia lo status del minore che si sottragga a un provvedimento di rimpatrio, e in particolare se tale circostanza avrebbe influenza nel caso in cui il minore volesse poi regolarizzare la propria posizione, tornando nel Paese d’origine e chiedendo un visto di ingresso regolare[9] oppure nell’ambito di un’eventuale regolarizzazione.

 

 

3.5) I minori in attesa della decisione sul rimpatrio e i minori che non vengono rimpatriati

Per il periodo necessario alla valutazione in merito al rimpatrio o alla permanenza del minore in Italia, e salvo i casi di minori affidati ai sensi della legge 184/83, al minore viene rilasciato il permesso di soggiorno per minore età. Tale permesso di soggiorno non consente di esercitare attività lavorative e non può essere convertito in permesso di soggiorno per lavoro o per studio al compimento della maggiore età[10]. (circolari del Ministero dell’Interno del 13.11.2000 e del 9.4.2001)

Al minore straniero non accompagnato sono comunque garantiti i diritti relativi al soggiorno temporaneo, alle cure sanitarie, all’avviamento scolastico e alle altre provvidenze disposte dalle legislazione vigente (regolamento del Comitato per i minori stranieri, art. 6). Non è chiaro se il minore titolare di permesso di soggiorno per minore età abbia diritto ad essere iscritto a corsi di formazione professionale[11].

 

Se il Comitato per i minori stranieri valuta che il minore non deve essere rimpatriato, segnala la situazione ai servizi sociali e all’Autorità Giudiziaria competenti. Se i servizi sociali o l’Autorità Giudiziaria dispongono l’affidamento del minore ai sensi della legge 184/83, questi potrà convertire il permesso per minore età in permesso di soggiorno per affidamento. Tale permesso di soggiorno consente di esercitare attività lavorative e può essere convertito in permesso di soggiorno per lavoro o per studio al compimento della maggiore età[12].

(circolare del Ministero dell’Interno del 9.4.2001)

 

 

3.6) Progetti di accoglienza e di rimpatrio

Il Dipartimento Affari sociali può finanziare, su proposta del Comitato per i minori stranieri, programmi finalizzati all’accoglienza e al rimpatrio dei minori non accompagnati, attingendo al Fondo per le politiche migratorie (regolamento del Comitato, art. 4), nonché stipulare convenzioni con amministrazioni pubbliche e organismi nazionali e internazionali che svolgono attività inerenti i minori non accompagnati, per garantire l’adeguata accoglienza dei minori non accompagnati (regolamento del Comitato, art. 6).

Si prevede, infine, che il Dipartimento per gli Affari Sociali possa stipulare convezioni con organizzazioni specializzate al fine di garantire condizioni ottimali per il reinserimento del minore nel paese d’origine, che potranno anche comprendere l’avvio del minore a percorsi di studio e di formazione (Linee Guida del Comitato per i minori stranieri dell’11.1.2001).


4) L’AFFIDAMENTO E LA TUTELA

 

Analizziamo in questa sezione alcuni provvedimenti che le autorità giudiziarie e amministrative italiane possono adottare a protezione del minore straniero non accompagnato, e in particolare i provvedimenti di tutela e di affidamento.

 

Ricordiamo in primo luogo quanto disposto dall’art. 20 della Convenzione di New York:  “1. Ogni fanciullo il quale é temporaneamente o definitivamente privato del suo ambiente familiare oppure che non può essere lasciato in tale ambiente nel suo proprio interesse, ha diritto ad una protezione e ad aiuti speciali dello stato.”

 

Sia per quanto riguarda l’affidamento sia per quanto riguarda la tutela, ci limitiamo qui a fornire alcuni brevissimi cenni sui due istituti in generale, analizzandone quindi l’applicazione alla specifica fattispecie dei minori stranieri non accompagnati.

Concludiamo quindi con una questione particolarmente confusa, ovvero la situazione dei minori affidati di fatto a parenti entro il quarto grado.

4.1) La tutela

4.1.1) Cenni sull’istituto della tutela

L’istituto della tutela è regolato fondamentalmente dal Codice Civile, artt. 343-segg.; alcune disposizioni sono dettate inoltre dalla legge 184/83.

 

1) I presupposti

Il presupposto per l’apertura della tutela è che entrambi i genitori siano morti o per altre cause non possano esercitare la potestà dei genitori. (Codice Civile, art. 343)

 

2) Il procedimento

La tutela viene aperta dal Giudice Tutelare presso il Tribunale del circondario dove è la sede principale degli affari e interessi del minore, appena avuta notizia del fatto da cui deriva l’apertura della tutela.  Il Giudice Tutelare, prima di procedere alla nomina del tutore, deve sentire il minore che abbia raggiunto i 16 anni. (Codice Civile, art. 343, 347, 348)

 

3) Il tutore

Il Giudice Tutelare nomina tutore la persona designata dal genitore; se manca la designazione ovvero se gravi motivi si oppongono alla nomina della persona designata, la scelta del tutore avviene preferibilmente tra gli ascendenti o tra gli altri prossimi parenti o affini del minore. In ogni caso la scelta deve cadere su persona idonea all'ufficio, di ineccepibile condotta, la quale dia affidamento di educare e istruire il minore. (Codice Civile, art. 348)

L'istituto di pubblica assistenza esercita i poteri tutelari sul minore ricoverato o assistito, fino a quando non si provveda alla nomina di un tutore, e in tutti i casi nei quali l'esercizio della potestà dei genitori o della tutela sia impedito. (Codice Civile, art. 402)

Nel caso di minori inseriti in comunità di tipo familiare o istituti di assistenza pubblici o privati, i legali rappresentanti degli stessi esercitano i poteri tutelari sul minore affidato, secondo le norme del codice civile, fino a quando non si provveda alla nomina di un tutore in tutti i casi nei quali l’esercizio della potestà dei genitori o della tutela sia impedito. Entro trenta giorni dall’accoglienza del minore, i legali rappresentanti devono proporre istanza per la nomina del tutore. Gli stessi e coloro che prestano anche gratuitamente la propria attività a favore delle comunità di tipo familiare e degli istituti di assistenza pubblici o privati non possono essere chiamati a tale incarico. (legge 184/83, come modificata dalla legge 149/2001, art. 3)

 

4) Funzioni del tutore

Il tutore ha la cura della persona del minore, lo rappresenta in tutti gli atti civili e ne amministra i beni. (Codice Civile, art. 357)

 

 

4.1.2) La tutela e i minori stranieri non accompagnati

Non è chiaro se per ogni minore straniero non accompagnato dai genitori debba sempre essere aperta la tutela.

 

Secondo alcuni, la tutela deve essere sempre aperta, in quanto il minore non accompagnato dai genitori (anche se accompagnato da parenti entro il quarto grado) si trova nella situazione prevista dal Codice Civile per l’apertura della tutela, poiché tra le cause di impossibilità ad esercitare la potestà genitoriale può essere ricompresa anche la stabile lontananza.

Inoltre, il minore che si trova in Italia privo di rappresentanza ha necessità di un tutore per essere rappresentato, in particolare nel procedimento in cui dovrà decidersi sul suo interesse a restare in Italia o ad essere rimpatriato[13].

Secondo altri, invece, la stabile lontananza dei genitori non comporta necessariamente l’impossibilità di esercitare la potestà, presupposto per l'apertura della tutela, e quindi non andrà sempre aperta la tutela.

 

Neanche le norme che disciplinano specificamente lo status dei minori stranieri non accompagnati chiariscono la questione.

Il Regolamento del Comitato per i minori stranieri, art. 3, infatti, prevede la segnalazione al Giudice Tutelare per l’apertura di una tutela non in via generale ma “in caso di necessità” e solo come ipotesi eventuale: “In caso di necessita', il Comitato comunica la situazione del minore al giudice tutelare competente, per l'eventuale nomina di un tutore provvisorio.”

La circolare del Ministero dell’Interno del 9.4.2001, invece, stabilisce che il Comitato per i minori stranieri debba sempre interessare il Giudice Tutelare competente per la nomina di un tutore provvisorio ai sensi dell’art. 343 del Codice Civile.

Infine, ricordiamo che la Risoluzione del Consiglio dell’Unione Europea 26.6.97 (atto europeo non vincolante) stabilisce all’art. 3 che: “Ai fini dell'applicazione della presente risoluzione gli Stati membri dovrebbero aver cura di fornire il più rapidamente possibile ai minori la necessaria rappresentanza tramite: a) una tutela legale, o b) un organismo (nazionale) incaricato della cura e del benessere dei minori, o c) altra forma adeguata di rappresentanza.”

 

 

 

 

4.2) L’affidamento

4.2.1) Cenni sull’istituto dell’affidamento

L’istituto dell’affidamento è disciplinato dalla legge 184/83, recentemente modificata dalla legge 476/98 e dalla legge 149/2001.

 

1) I presupposti

Il presupposto dell’affidamento è che il minore sia temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, nonostante gli interventi di sostegno e aiuto disposti nei casi in cui la famiglia sia in condizioni di indigenza. La legge 149/2001, infatti, afferma che il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia, e che, affinché le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà non siano di ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia, devono essere disposti interventi di sostegno e aiuto. In caso di necessità e urgenza l’affidamento può essere disposto anche senza porre in essere gli interventi di sostegno e aiuto. (legge 184/83, artt. 1-2)

 

2) L'affidatario

Ove possibile, il minore viene affidato ad una famiglia, preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento, l’educazione, l’istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno.

Ove non sia possibile un affidamento familiare, è consentito l’inserimento del minore in una comunità di tipo familiare o, in mancanza, in un istituto di assistenza pubblico o privato, che abbia sede preferibilmente nel luogo più vicino a quello in cui stabilmente risiede il nucleo familiare di provenienza.

(legge 184/83, art. 2)

 

3) Il procedimento

L’affidamento viene disposto:

·    dal servizio sociale locale, e reso esecutivo dal Giudice Tutelare: ove vi sia il consenso manifestato dai genitori o dal genitore esercente la potestà, ovvero dal tutore (c.d. affidamento consensuale); prima di disporre l'affidamento, il servizio sociale deve sentire il minore che ha compiuto 12 anni e anche il minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento;

·    dal Tribunale per i minorenni, ove manchi l’assenso dei genitori esercenti la potestà o del tutore (c.d. affidamento giudiziale); in tal caso si applicano gli articoli 330 e seguenti del Codice Civile riguardanti la decadenza e la limitazione della potestà dei genitori.

(legge 184/83, art. 4)

 

4) Funzioni dell’affidatario

L’affidatario deve accogliere presso di sé il minore e provvedere al suo mantenimento e alla sua educazione e istruzione, tenendo conto delle indicazioni dei genitori per i quali non vi sia stata pronuncia ai sensi degli articoli 330 e 333 del Codice Civile (decadenza e la limitazione della potestà), o del tutore, ed osservando le prescrizioni stabilite dall’autorità affidante. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni del codice civile che regolano la potestà dei genitori. In ogni caso l’affidatario esercita i poteri connessi con la potestà parentale in relazione agli ordinari rapporti con la istituzione scolastica e con le autorità sanitarie. L’affidatario deve essere sentito nei procedimenti civili in materia di potestà, di affidamento e di adottabilità relativi al minore affidato.

(legge 184/83, art. 5)

 

 

4.2.2) L’affidamento e i minori stranieri non accompagnati

L’art. 37-bis della l. 184/83 stabilisce esplicitamente che al minore straniero in stato di abbandono si applica la legge italiana in materia di affidamento.

Numerosi aspetti, tuttavia, restano problematici, in parte a causa della scarsa chiarezza normativa, in parte a causa dell'oggettiva complessità del fenomeno.

Questa situazione fa sì che vi sia una grave confusione e una fortissima disomogeneità sul territorio nazionale, tra diversi Tribunali per i minorenni, diversi Enti locali, diversi Giudici Tutelari.

 

1) La competenza a disporre l'affidamento

Il regolamento di attuazione della legge 476/98, D.P.R. 492/99, “facendo salve” le disposizioni del dlgs. 113/99, attribuisce al Comitato per i minori stranieri le competenze “concernenti l’ingresso, il soggiorno, l’accoglienza e l’affidamento temporanei e il rimpatrio assistito dei minori […] presenti per qualsiasi causa nel territorio dello Stato e privi di assistenza e rappresentanza”: non è chiaro quale significato abbia tale riferimento all’accoglienza e all’affidamento temporanei, e in particolare se implichi che i provvedimenti di affidamento nel caso di minori stranieri non accompagnati dovranno essere disposti non dai servizi sociali o dal Tribunale per i minorenni, ma dal Comitato per i minori stranieri.

A quanto ci risulta, alcuni Tribunali per i minorenni – come ad esempio il Tribunale per i minorenni di Milano – si sono effettivamente espressi in questo senso, sostenendo di non essere più competenti a disporre provvedimenti di affidamento di minori stranieri non accompagnati, in quanto la competenza sarebbe ormai esclusivamente del Comitato per i minori stranieri.

E' evidente, tuttavia, che un regolamento non può modificare una legge, e quindi ci sembra pacifico che i provvedimenti di affidamento debbano essere disposti, secondo le modalità previste dalla legge 184/83, dal Tribunale per i minorenni o dai servizi sociali.

 

 

2) La relazione tra il provvedimento di affidamento e la decisione sul rimpatrio

La circolare del Ministero dell’Interno del 9.4.2001 sembra stabilire che l’affidamento possa essere disposto solo dopo che il Comitato per i minori stranieri abbia deciso che il minore non può essere rimpatriato.

Tuttavia questa ipotesi è insostenibile, in quanto la legge 184/83 attribuisce la decisione in merito all’affidamento del minore unicamente ai servizi sociali locali e al Giudice Tutelare (per l’affidamento consensuale) e al Tribunale per i minorenni (per l’affidamento giudiziale), ed evidentemente tale disposizione di legge non può essere modificata da una circolare. Nella vigenza della legge 184/83, dunque, il minore potrà, anzi dovrà - ove ricorrano i presupposti stabiliti dalla legge - essere affidato, anche prima che il Comitato per i minori stranieri decida in merito al suo rimpatrio o alla sua permanenza in Italia.

 

Il discorso diventa più complesso se consideriamo appunto i presupposti dell'affidamento. Come abbiamo visto, il presupposto dell’affidamento è che il minore sia temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo.

Si può sostenere che il minore straniero non accompagnato, per il solo fatto di trovarsi in Italia senza i genitori, si trovi "temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo", e quindi che ricorranno pienamente i presupposti per disporre l'affidamento.

 

Secondo altri, invece, per valutare se il minore sia "temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo" si dovrà rintracciare e prendere contatti con la famiglia nel paese d'origine e solo dopo che si sia verificato che tale famiglia non costituisce per il minore un ambiente familiare idoneo si potrà disporre l'affidamento.

Di conseguenza, poiché la competenza a disporre le indagini nel paese d'origine è attribuita al Comitato per i minori stranieri, di fatto l'affidamento non potrà essere disposto finché il Comitato non avrà disposto l'indagine familiare e non avrà ricevuto i risultati di tali indagini. Ciò non implica attendere la decisione del Comitato in ordine al rimpatrio, cosa che - come sostenuto sopra - violerebbe la legge 184/83, ma solo attendere i risultati delle indagini familiari, sulla cui base poi il Tribunale per i minorenni o i servizi sociali fonderanno la loro autonoma decisione.

Questo risulta particolarmente rilevante nei casi in cui la famiglia non venga rintracciata o non risulti idonea. In questi casi, infatti, il Comitato per i minori stranieri potrebbe decidere di disporre comunque il rimpatrio, in quanto il rimpatrio può essere disposto non solo per ricongiungere il minore alla sua famiglia, ma anche per riaffidarlo alle autorità del paese d’origine[14]. Riteniamo che nei casi in cui, in seguito alle indagini nel paese d’origine, la famiglia non venga rintracciata o non risulti idonea, il Tribunale per i minorenni o i servizi sociali possano senz’altro disporre l’affidamento prima che il Comitato decida in ordine al rimpatrio e, nel caso in cui il Comitato decida di disporre comunque il rimpatrio per riaffidare il minore alle autorità del paese d’origine, l’affidamento potrà essere disposto indipendentemente e in contrasto con la decisione del Comitato.

 

Ora, se le indagini fossero immediate, questo procedimento potrebbe essere praticabile: il Comitato dispone le indagini, e solo ove risulti che il minore è privo di un ambiente familiare idoneo nel paese d’origine, il Tribunale per i minorenni o i servizi sociali dispongono l’affidamento.

Tuttavia, dato che spesso passano mesi prima che siano disponibili i risultati delle indagini nel paese d’origine, riteniamo che si potrebbe prevedere un diverso procedimento, che garantirebbe maggiormente il diritto del minore alla protezione:

·     il Tribunale per i minorenni o i servizi sociali dovrebbero disporre l’affidamento del minore non appena possibile, senza attendere i risultati delle indagini nel paese d’origine, in quanto comunque il minore risulta in Italia “temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo”;

·     dopo che sono state compiute le indagini nel paese d’origine, se il Comitato per i minori stranieri decide che il minore non deve essere rimpatriato, l’affidamento può continuare;

·     se invece il Comitato decide che il minore deve essere rimpatriato in quanto dalle indagini è risultato che la famiglia nel paese d’origine costituisce un ambiente familiare idoneo e – tenuto conto di tutti gli altri aspetti rilevanti trattati nella sezione precedente – considera che il rimpatrio sia nel superiore interesse del minore, il minore verrà rimpatriato;

·     infine, se il Comitato decide che il minore deve essere rimpatriato anche se dalle indagini è risultato che non vi è nel paese d’origine un ambiente familiare idoneo, il Tribunale per i minorenni e i servizi sociali potranno valutare che l’affidamento in Italia deve continuare affinché il minore non venga nuovamente privato di una ambiente familiare idoneo. In quest’ultimo caso, naturalmente, si porrà il problema di risolvere il contrasto tra questi due provvedimenti.

Andrebbe inoltre chiarito quale debba essere il ruolo dell’affidatario nel procedimento in cui si decide tra accoglienza del minore in Italia o rimpatrio, e in particolare se – come sembrerebbe corretto in base alla definizione dei doveri dell’affidatario disciplinati dalla legge 184/83 – l’affidatario debba essere sentito.

 

I due procedimenti – quello relativo all’affidamento e quello riguardante la decisione sul rimpatrio – dovrebbero quindi essere indipendenti: non ci sembra corretta, infatti, né la posizione secondo cui l’affidamento non può essere disposto se non dopo la decisione del Comitato per i minori stranieri, in quanto ciò costituirebbe una violazione della legge 184/83; né ci sembra corretta la posizione secondo cui, viceversa, una volta disposto l’affidamento non si deve procedere alla valutazione rigurdante il rimpatrio: la decisione tra rimpatrio e permanenza in Italia, infatti, è un procedimento nel superiore interesse del minore e non si vede perché il minore debba essere privato di tale diritto solo perché è stato disposto un affidamento.

 

 

3) Affidamento giudiziale e affidamento consensuale

Come sottolineato nelle Osservazioni del Presidente del Comitato per i minori stranieri del 2 maggio 2000, è importante che si stabiliscano regole e prassi comuni per stabilire se l’affidamento dei minori stranieri non accompagnati debba essere disposto:

1) mediante affidamento giudiziale disposto dal Tribunale per i minorenni, in mancanza dell’assenso dei genitori o del tutore;

2) ovvero mediante affidamento consensuale, disposto dai servizi locali previo consenso manifestato dai genitori o dal tutore: in questa ipotesi le vie possono essere diverse:

·     il Giudice Tutelare può nominare un tutore, che dà poi il consenso all’affidamento[15];

·     il consenso all’affidamento può essere manifestato dall’istituto di pubblica assistenza (ovvero, in genere, l’Ente locale) in quanto esercente i poteri tutelari ex art. 402 del Codice Civile;

·     si può ipotizzare la possibilità per i genitori di manifestare il consenso all’affidamento mediante atto notarile legalizzato presso la Rappresentanza Diplomatico-Consolare italiana nel Paese d’origine.

 

 

 

 

4.3) Approfondimento: i minori affidati di fatto a parenti entro il quarto grado

Una delle situazioni più frequenti e nel contempo più discusse è quella dei minori stranieri affidati di fatto a parenti entro il quarto grado idonei a provvedervi[16].

In tali casi, può essere disposto l’affidamento formale del minore al parente in base all’art. 4 della legge 184/83?

 

4.3.1) Affidamento giudiziale e affidamento consensuale

A) L’affidamento giudiziale:

Per quanto riguarda l’affidamento giudiziale (cioè l’affidamento disposto dal Tribunale per i minorenni quando manca l’assenso dei genitori o del tutore), alcuni giudici hanno effettivamente disposto affidamenti a parenti entro il quarto grado (ad esempio presso il Tribunale di Venezia), con la motivazione della mancanza dell’atto di assenso dei genitori.

 

Altri Tribunali per i minorenni si sono invece dichiarati incompetenti a provvedere in ordine alla domanda di affidamento da parte di parenti entro il quarto grado, dopo averne verificato l'idoneità a provvedere al minore, non ravvisandosi una situazione di pregiudizio.

Il Tribunale per i minorenni, infatti, ha la funzione di controllo dell’esercizio della potestà genitoriale e di tutela del minore dalla condotta pregiudizievole dei genitori, con conseguente limitazione o decadenza della potestà (artt. 330-333 del Codice Civile), mentre non sembra sostenibile, ove il parente risulti idoneo a provvedere al minore, l’ipotesi di una condotta pregiudizievole da parte del genitore.

 

B) L'affidamento consensuale:

In questi casi sembrerebbe potersi disporre l’affidamento consensuale, cioè l’affidamento disposto dai servizi locali, previo consenso dei genitori o del tutore.

In genere, infatti, il minore è affidato al parente dai genitori stessi e quindi con il loro pieno consenso. L’assenso dei genitori manca dunque non in senso sostanziale, ma in senso formale: manca cioè un atto con cui i genitori manifestano il loro consenso al servizio locale. In questa ipotesi dovrà essere chiarito, naturalmente, con quali modalità i genitori possano manifestare ai servizi locali il proprio consenso all’affidamento del minore: si può ipotizzare che tale consenso possa essere manifestato attraverso un atto notarile legalizzato presso la Rappresentanza Diplomatico-Consolare italiana nel Paese d’origine.

 

 

4.3.2) L’affidamento formale a parenti entro il quarto grado

Alcuni Tribunali (tra cui anche il Tribunale per i minorenni di Torino) e Giudici Tutelari si dichiarano incompetenti a provvedere in ordine alla domanda di affidamento da parte di parenti entro il quarto grado, argomentando a contrariis in base all’art. 9 della l. 184/83 (“Chiunque, non essendo parente entro il quarto grado, accoglie stabilmente nella propria abitazione un minore, qualora l’accoglienza si protragga per un periodo superiore a sei mesi, deve, trascorso tale periodo, darne segnalazione al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni").

 

Ora, in base all’art. 9 della l. 184/83 il parente entro il quarto grado non ha il dovere di segnalare l’affidamento di fatto all'Autorità Giudiziaria, ma tale disposizione non sembra escludere che egli possa segnalare tale circostanza, chiedendo un provvedimento formale. Né tanto meno sembra escludere che il parente possa chiedere la formalizzazione dell’affidamento consensuale ai servizi locali. La formalizzazione dell’affidamento al parente entro il quarto grado non è necessaria, ma non sembra neppure essere esclusa.

 

La disposizione formale dell’affidamento in questo caso non sarebbe un mero escamotage per ottenere il permesso di soggiorno, superando il problema determinato dalla mancata armonizzazione del T.U. 286/98 con la l. 184/83[17].

La formalizzazione rappresenterebbe invece una maggiore garanzia per tutelare l’interesse del minore in quanto comporterebbe un controllo da parte delle istituzioni italiane sull’identità e sull’idoneità del parente a provvedere al minore.

In caso contrario, infatti, non vi sarebbe alcuna verifica sul fatto che l’adulto al quale il minore è affidato di fatto sia realmente un parente entro il quarto grado, né che questi sia effettivamente idoneo dal punto di vista morale e materiale: gli operatori che venissero a conoscenza del minore affidato di fatto avrebbero dunque la responsabilità di questa valutazione, responsabilità alla quale tra l’altro non corrisponde la predisposizione dei mezzi necessari. Tale assenza di controllo, da alcuni ritenuta discutibile anche per quanto riguarda i minori italiani, è ancora più discutibile quando si tratti di minori stranieri i cui genitori risiedono all’estero.

Il controllo da parte dei servizi sociali potrebbe rappresentare una giusta via di mezzo tra la totale assenza di controllo e il controllo esercitato dall’Autorità Giudiziaria minorile che trova fondamento in una supposta situazione di pregiudizio.

La formalizzazione dell’affidamento, inoltre, comporta l’assunzione da parte del parente di doveri chiaramente stabiliti dalla legge (tra i quali la convivenza tra minore e affidatario) ed il controllo continuativo da parte dei servizi sociali.

Inoltre, l’affidamento consensuale con consenso manifestato dai genitori spingerebbe questi ultimi a “emergere” e ad assumersi le loro responsabilità con un atto formale reso ufficialmente presso l’Ambasciata italiana, nell’ambito delle funzioni notarili che ad essa competono. Cosa che, a sua volta, faciliterebbe il contatto tra le istituzioni italiane e i genitori — se non altro perché in questo modo si saprebbe chi siano i genitori e come poterli contattare — ai fini di una seria valutazione dell’interesse del minore, anche in vista di un suo possibile rimpatrio.

Sarebbero, infine, eliminati i dubbi, che sono stati talvolta espressi dalla Magistratura minorile, circa il rischio di aprire tutele o disporre affidamenti contro la volontà degli esercenti la potestà.

 

 

4.3.3) L’idoneità del parente a provvedere al minore

Infine, sia che l’affidamento formale possa essere disposto, sia che non possa essere disposto, andranno chiariti quali sono i requisiti perché il parente venga considerato idoneo a provvedere al minore, e in particolare se saranno applicati gli stessi requisiti richiesti dal T.U. 286/98 per il ricongiungimento familiare.

 

Tale ipotesi non sembrerebbe legittima in quanto i requisiti previsti dal T.U. si riferiscono alle norme sull’ingresso e il soggiorno degli stranieri ed ai provvedimenti di competenza della Questura, e non alle norme di tutela del minore di competenza dell’Autorità Giudiziaria minorile o dei servizi locali.

Tali requisiti, inoltre, proprio in quanto si riferiscono alle norme sull’ingresso e il soggiorno, sono criteri rigidi che mal si adattano alla valutazione discrezionale necessaria per perseguire il superiore interesse del minore.

Infine, l’applicazione di tali criteri comporterebbe un’irragionevole disparità di trattamento tra minori stranieri e minori italiani, in violazione del principio di non discriminazione.

 

Ci sembra dunque che l’idoneità del parente a provvedere al minore dovrebbe essere valutata caso per caso e indipendentemente dal procedimento relativo al permesso di soggiorno.

 


5) IL PERMESSO DI SOGGIORNO

 

La normativa che disciplina le questioni relative al permesso di soggiorno (il tipo di permesso di soggiorno rilasciabile ai minori a seconda dei diversi status, i diritti connessi ai diversi tipi di permesso di soggiorno, la conversione del permesso di soggiorno al compimento della maggiore età ecc.) è estremamente frammentaria, lacunosa e confusa.

 

Particolarmente lacunosa è la normativa riguardante il permesso di soggiorno per minore età.

Altra questione particolarmente problematica che cercheremo di analizzare è poi quella del permesso di soggiorno da rilasciare ai minori affidati di fatto a parenti entro il quarto grado.

 

 

 

5.1) La tipologia dei permessi di soggiorno

 

Iniziamo con l’analizzare quali titoli di soggiorno possono essere rilasciati al minore non accompagnato dai genitori, in base alle disposizioni del T.U. 286/98, del relativo regolamento di attuazione, e di alcune circolari ministeriali.

 

5.1.1)  Permesso di soggiorno per minore età[18]:

Il permesso di soggiorno per minore età non è disciplinato dalla legge: tale permesso, infatti, è stato introdotto solo dal regolamento di attuazione del T.U. 286/98, D.P.R. 394/99, e le  condizioni per il rilascio e i diritti ad esso connessi sono regolati solo da una serie di circolari del Ministero dell'Interno.

 

Il permesso di soggiorno per minore età viene rilasciato al minore inespellibile, in via residuale cioé qualora non possa essere rilasciato un altro tipo di permesso di soggiorno, compresi – in base alla circolare del Ministero dell’Interno del 13.11.200, ma (come vedremo) in contraddizione con l’art. 29 co. 2 del T.U. 286/98 – i minori sottoposti a tutela.

 

Le disposizioni che regolano il permesso per minore età sono le seguenti:

·     il regolamento di attuazione D.P.R. 394/99, art. 28 stabilisce che: “1. Quando la legge dispone il divieto di espulsione, il questore rilascia il permesso di soggiorno:  a) per minore età, salvo l’iscrizione del minore degli anni quattordici nel permesso di soggiorno del genitore o dell’affidatario stranieri regolarmente soggiornanti in Italia”;

·     la circolare del Ministero dell'Interno del 23.12.1999 prevede che “In particolare, viene previsto, per i minori inespellibili di età superiore ai 14 anni, il rilascio del permesso di soggiorno per “minore età”. Al riguardo, si chiarisce che tale titolo di soggiorno verrà rilasciato solo in via residuale e qualora si verifichino situazioni non riconducibili ad altre tipologie di soggiorno già previste dalla normativa in vigore (es. motivi familiari, adozione, affidamento)”;

·     la circolare del Ministero dell’Interno del 13.11.2000 stabilisce che il permesso di soggiorno per minore età debba essere rilasciato “ai minori stranieri non accompagnati, come definiti dal D.P.R. 9 dicembre 1999, n. 535, per i quali la legge stessa prevede la possibilità di un loro rimpatrio assistito a seguito dell’individuazione dei familiari nel Paese di origine, ovvero nell’ipotesi in cui il Tribunale per i minorenni, sia pure tempestivamente informato, non determini formalmente l’affidamento dei soggetti interessati, ai sensi dell’art.2 della L.184/83. Si ritiene di dover ricorrere al permesso di soggiorno per minore età, inoltre, anche qualora, in assenza di detto provvedimento di affidamento, il competente Giudice Tutelare abbia semplicemente nominato un tutore ai sensi del Codice Civile.”

Infine, la circolare del Ministero dell’Interno del 9.4.2001 prevede che, nei casi di minori affidati ai sensi dell’art. 2 della legge 184/83, il permesso di soggiorno per minore età possa essere convertito - su richiesta dei Servizi Sociali competenti - in permesso di soggiorno per affidamento.

 

Il permesso di soggiorno per minore età non consente di esercitare attività lavorativa e non può essere convertito al compimento della maggiore età (circolare del Ministero dell’Interno del 13.11.2000).

 

 

 

5.1.2)  Permesso di soggiorno per affidamento

Neanche il permesso di soggiorno per affidamento è chiaramente disciplinato dalla legge: il T.U. 286/98, infatti, si limita ad indicare il permesso di soggiorno per affidamento all’art. 34 (relativo all’iscrizione obbligatoria al Servizio Sanitario Nazionale), ma non stabilisce quali siano i presupposti per il rilascio di tale permesso di soggiorno né i diritti ad esso connessi.

La circolare del Ministero dell’Interno del 13.11.2000 indica il permesso di soggiorno per affidamento come il tipo di permesso di soggiorno che viene rilasciato al minore affidato ex legge 184/83, e sembra equiparare perfettamente il permesso per affidamento a quello per motivi familiari.

Probabilmente si può considerare il permesso per affidamento semplicemente come una definizione più specifica del permesso per motivi familiari rilasciato a minori affidati ex legge 184/83: di conseguenza possiamo ritenere che la durata, la convertibilità alla maggiore età e i diritti connessi a questo tipo di permesso di soggiorno siano disciplinati dalle stesse disposizioni che disciplinano il permesso di soggiorno per motivi familiari.

 

 

5.1.3)  Permesso di soggiorno per motivi familiari

In base al T.U. 286/98 e al regolamento di attuazione D.P.R. 394/99, il permesso per motivi familiari viene rilasciato al minore:

·   affidato a cittadino straniero ex art. 4 della legge 184/83 (T.U. 286/98, art. 31);

·   affidato o sottoposto a tutela e ricongiunto con l’affidatario o tutore (T.U. 286/98, art. 29);

·   convivente con cittadino italiano parente entro il quarto grado (regolamento di attuazione, art. 28).

 

Il permesso di soggiorno per motivi familiari consente di esercitare attività lavorativa (T.U. 286/98, art. 6) e può essere convertito al compimento della maggiore età[19].

 

Vale la pena analizzare gli articoli che disciplinano il rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari, per approfondirne l'applicabilità ai diversi casi.

 

A) Il T.U. 286/98, art. 31 stabilisce che “1. Il figlio minore dello straniero con questi convivente e regolarmente soggiornante e' iscritto nel permesso di soggiorno o nella carta di soggiorno di uno o di entrambi i genitori fino al compimento del quattordicesimo anno di eta' e segue la condizione giuridica del genitore con il quale convive, ovvero la piu' favorevole tra quelle dei genitori con cui convive. Fino al medesimo limite di eta' il minore che risulta affidato ai sensi dell'articolo 4 della legge 4 maggio 1983, n. 184, e' iscritto nel permesso di soggiorno o nella carta di soggiorno dello straniero al quale e' affidato e segue la condizione giuridica di quest'ultimo, se piu' favorevole. L'assenza occasionale e temporanea dal territorio dello Stato non esclude il requisito della convivenza e il rinnovo dell'iscrizione. 2. Al compimento del quattordicesimo anno di eta' al minore iscritto nel permesso di soggiorno o nella carta di soggiorno del genitore ovvero dello straniero affidatario e' rilasciato un permesso di soggiorno per motivi familiari valido fino al compimento della maggiore eta', ovvero una carta di soggiorno.”

 

B) Il T.U. 286/98, art. 29 stabilisce che “1. Lo straniero puo' chiedere il ricongiungimento per i seguenti familiari: a) coniuge non legalmente separato; b) figli minori a carico, anche del coniuge o nati fuori del matrimonio, non coniugati ovvero legalmente separati, a condizione che l'altro genitore, qualora esistente, abbia dato il suo consenso; c) genitori a carico; d) parenti entro il terzo grado, a carico, inabili al lavoro secondo la legislazione italiana.

2. Ai fini del ricongiungimento si considerano minori i figli di eta' inferiore a 18 anni. I minori adottati o affidati o sottoposti a tutela sono equiparati ai figli”.

 

In base al primo comma dell’art. 29, quindi, sembrerebbe che il minore possa ricongiungersi solo con i genitori, e non invece con altri parenti (fratelli, zii, cugini ecc.)[20]: di conseguenza il minore non accompagnato dai genitori non potrebbe usufruire del ricongiungimento e ricevere il permesso di soggiorno per motivi familiari a seguito di ricongiungimento.

Il secondo comma, però, equipara i minori affidati o sottoposti a tutela ai figli, ai fini del ricongiungimento: vengono così ampliate le possibilità di ricongiungimento e di rilascio del relativo permesso di soggiorno per motivi familiari.

 

L’art. 29 co. 2 si applica al minore affidato o sottoposto a tutela in base a un provvedimento di affidamento o tutela emesso dalla competente autorità del Paese d’origine, in quanto tale provvedimento può essere automaticamente riconosciuto. La legge 218/95 di riforma del diritto internazionale privato, infatti, stabilisce all’art. 66 che i provvedimenti stranieri di volontaria giurisdizione sono riconosciuti senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento, quando sono pronunciati dalle autorità dello Stato la cui legge è richiamata dalle disposizioni della stessa legge 218/95 o sono pronunciati da un’autorità che sia competente in base a criteri corrispondenti a quelli propri dell’ordinamento italiano, e purché non siano contrari all’ordine pubblico.

 

L’art. 29 co. 2 si applica anche ai minori affidati o sottoposti a tutela in base a provvedimento della competente autorità italiana (Tribunale per i minorenni, Giudice Tutelare, servizi sociali).

Per quanto riguarda i minori sottoposti a tutela, tuttavia, la circolare del Ministero dell’Interno del 13.11.2000 fornisce indicazioni in contrasto con quanto disposto dall’art. 29 co. 2, stabilendo che ai minori per i quali il Giudice Tutelare “abbia semplicemente nominato un tutore ai sensi del Codice Civile” non possa essere rilasciato il permesso di soggiorno per motivi familiari, bensì debba essere rilasciato il permesso di soggiorno per minore età. La questione di quale permesso di soggiorno debba essere rilasciato ai minori sottoposti a tutela in base a provvedimento del Giudice Tutelare andrà chiarita al più presto.

 

Infine, si può ipotizzare l’applicabilità dell’art. 29 co.2 anche ai minori affidati di fatto a parenti entro il quarto grado, comprendendo nel concetto di “affidato” anche gli affidamenti di fatto entro il gruppo parentale[21].

 

Un’ultima questione è posta dalla distinzione tra affidatari o tutori stranieri e italiani. Il primo comma dell’art. 29, infatti, fa riferimento solo allo straniero che chiede il ricongiungimento. Tuttavia, poiché non è ragionevole una disparità di trattamento in senso sfavorevole nel caso in cui l’affidatario o il tutore sia di nazionalità italiana, e dato che, inoltre, al successivo art. 30 è disciplinato anche il ricongiungimento a cittadino italiano, si può ritenere che l’art. 29.2 possa applicarsi anche ai casi in cui l’affidatario o il tutore siano cittadini italiani.

 

C) Il regolamento di attuazione D.P.R. 394/99, art. 28 stabilisce infine che “1. Quando la legge dispone il divieto di espulsione, il questore rilascia il permesso di soggiorno [...] per motivi familiari, nei confronti degli stranieri che si trovano nelle documentate circostanze di cui all’articolo 19, comma 2, lettera c) del testo unico [cioè gli stranieri conviventi con parenti entro il quarto grado di nazionalità italiana]”.

 

 

5.1.4)  Permesso di soggiorno per protezione sociale

Il T.U. 286/98, art. 18, co. 6 stabilisce che può essere rilasciato (all’atto delle dimissioni dall’istituto di pena) un permesso di soggiorno per protezione sociale allo straniero che ha terminato l’espiazione di una pena detentiva inflitta per reati commessi durante la minore età, e ha dato prova concreta di partecipazione a un programma di assistenza e integrazione sociale.

Inoltre, il T.U. 286/98, art. 18, co. 1 prevede che il permesso per protezione sociale possa essere rilasciato quando "[…] siano accertate situazioni di violenza o di grave sfruttamento nei confronti di uno straniero, ed emergano concreti pericoli per la sua incolumità, per effetto dei tentativi di sottrarsi ai condizionamenti di un’associazione dedita a uno dei predetti delitti o delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o del giudizio". In questi casi il questore, anche su proposta del procuratore della repubblica, o con il parere favorevole della stessa autorità, rilascia il permesso di soggiorno per protezione sociale "per consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza e ai condizionamenti dell’organizzazione criminale e di partecipare a un programma di assistenza e integrazione sociale".  Tale disposizione si applica naturalmente anche ai minorenni.[22]

 

Il permesso di soggiorno per protezione sociale consente di esercitare attività lavorativa (T.U. 286/98, art. 18) e non viene revocato al compimento della maggiore età.

 

 

5.1.5)  Carta di soggiorno

La carta di soggiorno viene rilasciata al minore:

·     ricongiunto con un cittadino straniero titolare di carta di soggiorno o con un cittadino italiano o di uno Stato membro dell’Unione Europea (T.U. 286/98, art. 30, co. 4);

·     affidato ex art. 4 l. 184/83 a cittadino straniero titolare di carta di soggiorno (T.U. 286/98, art. 31, co. 2).

 

La carta di soggiorno consente di esercitare attività lavorativa (T.U. 286/98, art. 9) e non viene revocato al compimento della maggiore età, ma costituisce anzi un titolo di soggiorno a tempo indeterminato.

 

 

 

5.2) La relazione tra il permesso di soggiorno e lo status del minore

Cerchiamo ora di analizzare quale tipo di permesso di soggiorno debba essere rilasciato al minore, distinguendo tra diverse condizioni giuridiche del minore stesso, a seconda cioè:

·    che il minore sia affidato ex art. 4 o art. 2 l. 184/83, o sottoposto a tutela, o affidato di fatto a parente entro il quarto grado, o non si trovi in nessuna di queste situazioni;

·    che l’affidatario o il tutore sia un cittadino straniero, o un cittadino italiano, o una comunità familiare o un istituto di assistenza.

 

Come abbiamo già visto nel paragrafo precedente, tre disposizioni in particolare hanno rilevanza:

a) l’art. 31 del T.U. 286/98 prevede che il minore affidato a cittadino straniero ai sensi dell’art. 4 della legge 184/83 e con questi convivente se:

- infraquattordicenne: viene iscritto sul permesso di soggiorno o carta di soggiorno dell’affidatario;

- ultraquattordicenne: ottiene il permesso di soggiorno per motivi familiari o la carta di soggiorno.

b) l’art. 29, co. 2 del T.U. 286/98 equipara i minori affidati o sottoposti a tutela ai figli, ai fini del ricongiungimento;

c) l’art. 28 del regolamento di attuazione del T.U. 286/98 prevede il rilascio del permesso di soggiorno per minore età ai minori che, in quanto tali, sono inespellibili.

 

Distinguiamo quindi analiticamente tra diversi casi:

1)  Minore affidato ex art. 4 l. 184/83 a cittadino straniero:

Il T.U. 286/98, art. 31 stabilisce che il minore affidato ex art. 4 l. 184/83 a cittadino straniero regolarmente soggiornante e convivente, se

- infraquattordicenne: viene iscritto sul permesso di soggiorno o carta di soggiorno dell’affidatario;

- ultraquattordicenne: ottiene il permesso di soggiorno per motivi familiari o la carta di soggiorno.

 

2)  Minore affidato ex art. 4 l. 184/83 a cittadino italiano:

Ove si applichi l'art. 29 co. 2 del T.U. 286/98, in base a cui il minore affidato è equiparato al figlio ai fini del ricongiungimento familiare, il minore ottiene la carta di soggiorno (in base all’art. 30, co. 4 del T.U.).

Ove invece non si applichi l'art. 29 del T.U. 286/98, si rileva una lacuna in merito a questa situazione, in quanto l'art. 31 fa riferimento solo al cittadino straniero affidatario, non prevedendo alcunché per il caso di cittadino italiano affidatario.

Tuttavia, non essendo ragionevole una disparità di trattamento in senso sfavorevole nel caso in cui l’affidatario sia di nazionalità italiana, è da ritenersi che anche in questi casi verrà rilasciato un permesso di soggiorno per motivi familiari, in analogia a quanto previsto nel caso di affidatario straniero.

 

3)  Minore affidato ex art. 2 l. 184/83 a una comunità familiare o a un istituto di assistenza:

Il T.U. 286/98 presenta una lacuna in merito a questa situazione, in quanto l'art. 31 fa riferimento solo al cittadino straniero affidatario, non prevedendo alcunché per il caso di affidamento a una comunità di tipo familiare o a un istituto di assistenza pubblico o privato. Tuttavia, come nel caso precedente, non essendo ragionevole tale disparità di trattamento, è da ritenersi che anche in questi casi debba essere rilasciato un permesso di soggiorno per motivi familiari (o di affidamento).

In base al regolamento di attuazione, art. 28, il minore ha comunque diritto al permesso di soggiorno per minore età. La circolare del Ministero dell’Interno del 9.4.2001 stabilisce che per il minore affidato ai sensi dell’art. 2 della legge 184/83, i servizi sociali possono chiedere alla Questura la conversione del permesso di soggiorno per minore età in permesso di soggiorno per affidamento.

 

4)  Minore in tutela a cittadino italiano o straniero (senza affidamento ex l. 184/83):

Come già visto, l’art. 29 co. 2 del T.U. 286/98 stabilisce che i minori sottoposti a tutela sono equiparati ai figli, ai fini del ricongiungimento.

Ove si applichi l'art. 29, dunque, si dovrà distinguere tra due situazioni, a seconda che il tutore sia:

a) cittadino straniero: in base all'art. 31 del T.U. 286/98, il minore

- infraquattordicenne: viene iscritto sul permesso di soggiorno o carta di soggiorno del tutore (in analogia al genitore);

- ultraquattordicenne: ottiene il permesso di soggiorno per motivi familiari o la carta di soggiorno.

b) cittadino italiano: in base all'art. 30, co. 4 del T.U. 286/98, il minore ottiene la carta di soggiorno.

Tuttavia, la circolare del Ministero dell’Interno del 13.11.2000 fornisce indicazioni in contrasto con quanto disposto dall’art. 29 co. 2, stabilendo che ai minori per i quali il Giudice Tutelare “abbia semplicemente nominato un tutore ai sensi del Codice Civile” non possa essere rilasciato il permesso di soggiorno per motivi familiari, bensì debba essere rilasciato il permesso di soggiorno per minore età. Questo aspetto andrà chiarito al più presto.

 

5) Minore in tutela a una comunità familiare o a un istituto di assistenza (senza affidamento ex l. 184/83):

Né il T.U. 286/98 né il regolamento di attuazione stabiliscono quale permesso di soggiorno debba essere rilasciato al minore in tutela a una comunità di tipo familiare o a un istituto di assistenza pubblico (compresa la tutela all’Ente locale) o privato.

Come già visto, la circolare del Ministero dell’Interno del 13.11.2000 stabilisce che ai minori per i quali il Giudice Tutelare “abbia semplicemente nominato un tutore ai sensi del Codice Civile” debba essere rilasciato il permesso di soggiorno per minore età previsto dal regolamento di attuazione, art. 28.

 

6) Minore affidato di fatto a cittadino straniero parente entro il quarto grado (senza affidamento ex l. 184/83)[23]:

Ove si applichi l'art. 29 del T.U. 286/98, in base a cui il minore affidato è equiparato al figlio ai fini del ricongiungimento familiare (includendo quindi nella definizione di minore affidato anche l’affidamento di fatto a parente entro il quarto grado), il minore

- infraquattordicenne: viene iscritto sul permesso di soggiorno o carta di soggiorno dell’affidatario;

- ultraquattordicenne: ottiene il permesso di soggiorno per motivi familiari o la carta di soggiorno.

Ove invece non si applichi l'art. 29 del T.U. 286/98, si rileva una lacuna in merito a questa situazione, in quanto l’art. 31 prevede il rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari solo ai minori affidati con provvedimento formale ex art. 4 l. 184/83 e non anche ai minori affidati di fatto entro il gruppo parentale.

In ultima istanza, il minore ha comunque diritto al permesso di soggiorno per minore età in base al regolamento di attuazione, art. 28.

 

7)  Minore affidato di fatto a italiano parente entro il quarto grado convivente (senza affidamento ex l. 184/83):

Ove si applichi l'art. 29 del T.U. 286/98, in base a cui il minore affidato è equiparato al figlio ai fini del ricongiungimento familiare (includendo quindi nella definizione di minore affidato anche l’affidamento di fatto a parente entro il quarto grado), il minore ottiene la carta di soggiorno (in base all’art. 30, co. 4).

Ove invece non si applichi l'art. 29 del T.U. 286/98, il regolamento di attuazione, art. 28 stabilisce che al cittadino straniero convivente con parente entro il quarto grado di nazionalità italiana viene rilasciato il permesso di soggiorno per motivi familiari.

 

8) Minore né affidato né sottoposto a tutela:

Il T.U. 286/98 non stabilisce quale permesso di soggiorno debba essere rilasciato al minore che non sia affidato né sottoposto a tutela.

In base al regolamento di attuazione, art. 28 e alla circolare del Ministero dell’Interno del 13.11.2000, al minore non sottoposto a tutela né affidato viene rilasciato il permesso di soggiorno per minore età.

 

 

 

5.3) L’identificazione e i documenti

Dovrà essere chiarito quali requisiti sono necessari – oltre a quelli appena analizzati relativi alla condizione di affidamento o tutela – e quali documenti devono essere presentati per ottenere il permesso di soggiorno. Analizziamo alcuni punti particolarmente problematici, relativi all'identificazione, all'accertamento dell'età, e al possesso del passaporto.

 

In primo luogo, andrà chiarito se è necessario in tutti i casi che il minore sia identificato con certezza, in particolare al fine di stabilirne l’età, o se vi sono casi – e ci riferiamo qui in particolare al rilascio del permesso per minore età – in cui il permesso può essere rilasciato anche in mancanza di un’identificazione certa.

 

Il permesso di soggiorno per minore età, in base alla formulazione dell’art. 28 del regolamento di attuazione e della circolare del Ministero dell’Interno del 23.12.1999, è finalizzato a fornire un titolo di soggiorno nei casi in cui non sia possibile rilasciare alcun altro permesso di soggiorno, in modo da non lasciare il minore in una condizione di irregolarità che, in quanto tale, può essere considerato come causa di pregiudizio.

Di conseguenza, sembrerebbe che i requisiti debbano essere minimi e che quindi ad ogni minore non titolare di altro tipo di permesso andrebbe rilasciato il permesso di soggiorno per minore età, a prescindere dalla documentazione in suo possesso.

 

Dunque, come si comporteranno le Questure di fronte a un minore che non possieda alcun documento di identità? Ove il minore sia senza ombra di dubbio al di sotto dei 18 anni, la Questura dovrebbe potergli comunque rilasciare il permesso di soggiorno con l’indicazione dei dati dichiarati. Si può citare in tal senso – in quanto disposizione che affronta un problema analogo – la disposizione del regolamento di attuazione del T.U. 286/98 riguardante l’iscrizione a scuola e il rilascio del titolo conclusivo a minori privi di documenti, che stabilisce che in mancanza di accertamenti negativi sull’identità dichiarata dall’alunno, il titolo viene rilasciato all’interessato con i dati identificativi acquisiti al momento dell’iscrizione (regolamento di attuazione D.P.R. 394/99, art. 45).

Ove invece il minore sia prossimo ai 18 anni, si pone naturalmente il problema di verificarne l’effettiva minore età. Gli esami utilizzati per l’accertamento dell’età non risolvono il problema, in quanto è nota la scarsissima precisione e attendibilità di questi esami. Anche questo problema, dunque, andrà affrontato con indicazioni chiare fornite alle Questure.

 

In secondo luogo, si dovrà chiarire se sia necessario in tutti i casi che il minore presenti il passaporto valido. Vi sono molti casi, infatti, in cui il minore è in possesso di documenti di identificazione (ad es. l’attestazione di nazionalità rilasciata dalla rappresentanza diplomatico-consolare) ma non del passaporto. Alcuni Consolati non rilasciano il passaporto a propri cittadini irregolarmente presenti in Italia, il che significa che il minore non può ottenere il permesso di soggiorno in quanto è sprovvisto di passaporto, ma non può ottenere il passaporto in quanto è sprovvisto di permesso di soggiorno.

Il regolamento di attuazione D.P.R. 394/99, art. 9, co. 6 stabilisce esplicitamente che per il rilascio del permesso di soggiorno per protezione sociale non è necessario il possesso del passaporto. Un’analoga previsione pare dovrebbe valere anche per i titolari di permesso di soggiorno per minore età.

 

 

 

 

5.4) La conversione del permesso di soggiorno al compimento della maggiore età

Un problema fondamentale è rappresentato dalla possibilità di convertire il permesso di soggiorno dopo il compimento dei 18 anni.

Facendo riferimento al T.U. 286/98 e ad alcune circolari, proviamo ad analizzare la possibilità di conversione prevista per i diversi tipi di permesso di soggiorno[24].

 

1)  Il permesso di soggiorno per minore età:

Né il T.U. 286/98, né il regolamento di attuazione stabiliscono se e come possa essere convertito il permesso di soggiorno per minore età, al compimento della maggiore età.

La circolare del Ministero dell’Interno del 13.11.2000 stabilisce – senza alcun conforto di legge – che il permesso di soggiorno per minore età non può essere in alcun caso convertito al compimento della maggiore età[25].

Sembrano dover fare eccezione, tuttavia, i minori “comunque affidati ai sensi dell’art. 2 l. 184/83”. L’art. 32 T.U. 286/98, infatti, stabilisce che il permesso di soggiorno rilasciato a minore comunque affidato ex art. 2 l. 184/83, al compimento della maggiore età può essere convertito in permesso di soggiorno per motivi di studio, di accesso al lavoro (prescindendo dai requisiti richiesti per l'ingresso per inserimento nel mercato del lavoro), di lavoro subordinato o autonomo, per esigenze sanitarie o di cura.

Ora, si può sostenere che l’espressione "minore comunque affidato ex art. 2 l. 184/83" comprenda anche il minore inserito in una comunità di tipo familiare o in un istituto di assistenza pubblico o privato. Infatti, anche se non si tratta di affidamento familiare, si tratta comunque di un tipo di affidamento disciplinato dall'art. 2 legge 184/83, equiparato all’affidamento familiare dal punto di vista dei poteri e obblighi dell’affidatario[26].

Dunque se anche i minori “inseriti in una comunità di tipo familiare o in un istituto di assistenza pubblico o privato” sono da considerarsi “minori comunque affidati ex art. 2 l. 184/83”, essi possono convertire il permesso al compimento della maggiore età secondo le disposizioni previste dall’art. 32, qualsiasi permesso di soggiorno sia stato loro rilasciato – quindi anche un permesso di soggiorno per minore età.

 

2)  Il permesso di soggiorno per motivi familiari o per affidamento

1) Il permesso di soggiorno per motivi familiari rilasciato a minore affidato a cittadino straniero ex art. 4 l. 184/83, al compimento della maggiore età può essere convertito in permesso di soggiorno per motivi di studio, di accesso al lavoro (prescindendo dai requisiti richiesti per l'ingresso per inserimento nel mercato del lavoro), di lavoro subordinato o autonomo, per esigenze sanitarie o di cura (T.U. 286/98, art. 32).

 

2) Il permesso di soggiorno per motivi familiari rilasciato al minore sottoposto a tutela o affidato, ove si applichi l’art. 29 del T.U., al compimento della maggiore età può essere convertito in permesso di soggiorno per lavoro subordinato, per lavoro autonomo o per studio (T.U. 286/98, art. 30, co. 5).

 

3)  Il permesso di soggiorno per motivi familiari rilasciato al minore affidato di fatto a italiano parente entro il quarto grado convivente al compimento della maggiore età può essere convertito secondo le modalità previste dall’art. 32 o dall’art. 30, co. 5 del T.U. 286/98 (v. sopra).

 

 

5.5) Approfondimenti: il permesso per minore età e i minori affidati di fatto a parenti

Cerchiamo qui di approfondire due questioni particolarmente problematiche che abbiamo trattato sinteticamente nei paragrafi precedenti: il permesso per minore età e la questione dei minori affidati di fatto a parenti entro il quarto grado.

 

5.5.1) Il permesso di soggiorno per minore età: la conversione ai 18 anni e il diritto di lavorare

La disciplina del permesso di soggiorno per minore età è gravemente lacunosa: come abbiamo visto, infatti, questo tipo di permesso di soggiorno non è neppure previsto dal T.U. 286/98, e il regolamento di attuazione che lo ha introdotto si limita a stabilire che esso debba essere rilasciato ai minori inespellibili, senza ulteriori specificazioni.

E' quindi intervenuta la circolare del Ministero dell'Interno del 13.11.2000, che ha stabilito che il permesso per minore età non consente di esercitare attività lavorative e non può essere convertito al compimento della maggiore età.

Le gravi lacune normative cui abbiamo fatto cenno, tuttavia, non possono essere colmate da una circolare del Ministero dell’Interno: ricordiamo infatti che la Costituzione stabilisce all’art. 10 che “La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali”.

Riteniamo dunque che, finché perdura tale lacuna normativa, l’interpretazione delle norme debba fondarsi sulla base dei principi generali di tutela dei diritti dei minori stabiliti dalla Convenzione di New York e dalla legge.

 

1)  La conversione del permesso di soggiorno per minore età al compimento della maggiore età

Come abbiamo già visto, né il T.U. 286/98 né il regolamento di attuazione disciplinano la questione della conversione del permesso di soggiorno per minore età al compimento dei 18 anni: non vi è alcuna disposizione che stabilisca che il permesso per minore età possa essere convertito, ma nemmeno vi è alcuna disposizione che stabilisca che tale permesso non possa essere convertito.

La circolare del Ministero dell’Interno del 13.11.2000, invece – senza alcun conforto di legge – stabilisce che il permesso di soggiorno per minore età non può essere convertito.

 

Le disposizioni dell’art. 32 del T.U. 286/98 relative alla conversione del permesso di soggiorno alla maggiore età riguardano specificatamente i minori affidati ex art.2 o 4 della legge 184/83, non prevedendo alcunché per i titolari di permesso di soggiorno per minore età. Dalla mancata inclusione del permesso di soggiorno per minore età tra quelli citati all’art. 32 del T.U. 286/98 discenderebbe, secondo alcuni, la non convertibilità di tale permesso al compimento della maggiore età.

Tuttavia, non si vede come il Testo Unico avrebbe potuto indicare il permesso di soggiorno per minore età tra quelli convertibili, dato che tale permesso di soggiorno è stato introdotto solo dal regolamento di attuazione, entrato in vigore più di un anno e mezzo dopo l’emanazione della legge 40/98.

Né l’impossibilità di convertire il permesso di soggiorno per minore età può essere fatta discendere dal fatto che tale permesso non sia citato all’art. 14 del regolamento di attuazione (intitolato “Conversione del permesso di soggiorno”), in quanto tale articolo non è esaustivo, non dettando disposizioni neanche in relazione ad altri permessi di soggiorno convertibili come appunto il permesso di soggiorno rilasciato a minori affidati ex art. 2 o 4 della legge 184/83 (T.U. 286/98, art. 32) o il permesso per motivi di protezione sociale (T.U. 286/98, art. 18).

E’ importante notare, inoltre, che il T.U. 286/98, art. 5, co. 9 prevede in generale la convertibilità del permesso di soggiorno in presenza dei requisiti richiesti dal Testo Unico e dal regolamento di attuazione “Il permesso di soggiorno è rilasciato, rinnovato o convertito entro 20 giorni dalla data in cui è stata presentata la domanda, se sussistono i requisiti e le condizioni previsti dal presente Testo unico e dal regolamento di attuazione per il permesso di soggiorno richiesto ovvero, in mancanza di questo, per altro tipo di permesso da rilasciare in applicazione del presente Testo unico.” Sembrerebbe quindi che la norma sia la convertibilità, ad eccezione dei tipi di permesso di soggiorno per i quali è esplicitamente stabilito che non possono essere convertiti.

Infine, benché il Testo Unico e il regolamento di attuazione non stabiliscano la convertibilità del permesso per minore età, non vi è neanche (né nel Testo Unico, né nel regolamento di attuazione) alcuna disposizione che ne vieti la conversione o il rinnovo, come è invece ad esempio per i permessi di soggiorno di cui all’art. 27 del T.U. 286/98, per i quali il regolamento di attuazione stabilisce che “non possono essere rinnovati e [...] non possono essere convertiti, salvo quanto previsto dall’articolo 14, comma 5” (D.P.R. 394/99, art. 40).

 

Vi è dunque una lacuna normativa, lacuna che certamente non può essere colmata da una mera circolare del Ministero dell’Interno. In presenza di tale lacuna, riteniamo quindi di dover interpretare le norme facendo riferimento ai principi generali riguardanti i diritti dei minori, sanciti dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, ratificata e resa esecutiva con legge 176/91, e dalla legge.

Tale richiamo alla Convenzione di New York è criticato da coloro che sostengono che la Convenzione, proprio in quanto sancisce i diritti dei minori fino ai 18 anni, non possa fornire alcun riferimento interpretativo circa la questione della conversione del permesso di soggiorno alla maggiore età: lo Stato italiano, si sostiene, rispetta la Convenzione di New York prevedendo l’inespellibilità del minore e il rilascio del permesso per minore età, ma non è in alcun modo obbligato a prevedere la possibilità di soggiorno regolare sul territorio italiano dopo il compimento dei 18 anni.

Questa posizione, tuttavia, non ci sembra corretta, in quanto non tiene in considerazione il fatto che la possibilità di progettare il proprio futuro ha un’importanza enorme per il minore: non si può ignorare, cioè, che ciò che accadrà al compimento dei 18 anni ha una profonda rilevanza per la vita del minore, ancora durante la minore età.

 

Si può ritenere, quindi, che la Convenzione di New York debba fornire i principi generali in base ai quali interpretare le norme vigenti, anche rispetto alla questione della conversione del permesso alla maggiore età. E, naturalmente, il primo principio da considerare è il principio del superiore interesse del minore, per cui "In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l'interesse del fanciullo deve essere una considerazione preminente" (Convenzione di New York, art. 3).

Ora, è chiaro che, se il minore sa che a 18 anni perderà il permesso di soggiorno e verrà espulso, ogni percorso di inserimento scolastico, formativo, lavorativo e relazionale in Italia perde significato, diventando una sorta di limbo in attesa dell’espulsione. Questo significa, da una parte, che al minore viene preclusa ogni prospettiva di inserimento positivo e rispettoso delle leggi nel nostro paese. E, dall’altra parte, implica che molti minori si allontaneranno da questi positivi percorsi di emersione e inserimento, sperimentati con successo negli anni passati, e resteranno nella clandestinità, finendo sfruttati e gravemente esposti al  rischio di coinvolgimento in attività devianti.

E’ evidente, dunque, che la disposizione per cui non è consentita in alcun caso la conversione del permesso per minore età ai 18 anni non risponde affatto al “superiore interesse del minore”, bensì a una logica di repressione dell’immigrazione clandestina: logica resa evidente dalla stessa terminologia utilizzata dalla circolare del Ministero dell’Interno del 13.11.2000 che, in riferimento al permesso per minore età parla di “provvisorietà dell’autorizzazione che non è finalizzata a tutelare un diritto di stabilimento.”

Riteniamo dunque che la questione della convertibilità del permesso di soggiorno per minore età debba essere rivista, nel rispetto della Convenzione di New York e del principio del “superiore interesse del minore”.

 

 

2)  Il diritto di esercitare attività lavorativa

Analogamente alla questione appena analizzata della convertibilità del permesso di soggiorno per minore età, anche rispetto al diritto di lavorare dei minori stranieri in età lavorativa titolari di permesso per minore età né il T.U. 286/98 né il regolamento di attuazione dettano disposizioni: non stabiliscono che il permesso per minore età consente di lavorare, ma nemmeno che tale permesso non consente di lavorare. E’ solo la circolare del Ministero dell’Interno del 13.11.2000 a stabilire che il permesso di soggiorno per minore età non consente di lavorare.

Come per la questione della convertibilità, dunque, vi è una lacuna normativa, che non può assolutamente essere colmata da una circolare.

 

Si dovrà dunque ricorrere ai principi generali relativi ai diritti dei minori, sanciti dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, e in particolare a:

·     il principio del superiore interesse del minore, per cui in tutte le decisioni relative ai fanciulli l'interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente (Convenzione di New York, art. 3)

·     il diritto alla non discriminazione, per cui i diritti sanciti dalla Convenzione devono essere riconosciuti a tutti i minori, senza distinzione – tra le altre – di nazionalità: “Gli Stati Parti si impegnano a rispettare i diritti enunciati nella presente Convenzione ed a garantirli ad ogni fanciullo che dipende dalla loro giurisdizione, senza distinzione di sorta ed a prescindere da ogni considerazione di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o altra del fanciullo o dei suoi genitori o rappresentanti legali, dalla loro origine nazionale, etnica o sociale, dalla loro situazione finanziaria, dalla loro incapacità, dalla loro nascita o da ogni altra circostanza” (Convenzione di New York, art. 2);

·     il diritto alla tutela dallo sfruttamento economico (Convenzione di New York, art. 32).

 

Negare al minore straniero in età da lavoro di esercitare attività lavorativa costituisce una grave discriminazione dei minori stranieri rispetto ai minori italiani.

Tale esclusione dalla facoltà di esercitare attività lavorativa pone gravi ostacoli all’integrazione del minore, aggravandone l’emarginazione, rendendolo dipendente dai servizi socio-assistenziali o favorendone lo sfruttamento nell’ambito del lavoro nero o il coinvolgimento in attività illegali.

Questa disposizione si pone evidentemente in contrasto con la logica di tutela del superiore interesse del minore, e risponde invece, di nuovo, ad una logica di controllo dei flussi migratori: al minore titolare di permesso di soggiorno per minore età non deve essere consentito di lavorare non perché questo risponda al suo superiore interesse ma perché non si creino i presupposti per una sua permanenza in Italia (“detto titolo non consenta lo svolgimento di attività lavorativa, in ragione della provvisorietà dell’autorizzazione che non è finalizzata a tutelare un diritto di stabilimento.”: circolare del Ministero dell’Interno del 13.11.2000).

 

Inoltre, per quanto riguarda i minori sottoposti a tutela, ricordiamo che il Codice Civile, art. 371 stabilisce che “[…] il giudice tutelare, su proposta del tutore e sentito il protutore, delibera: l) sul luogo dove il minore deve essere allevato e sul suo avviamento agli studi o all'esercizio di un'arte, mestiere o professione […]”.

La circolare del Ministero dell’Interno del 13.11.2000, non consentendo al minore sottoposto a tutela di “essere avviato all’esercizio di un'arte, mestiere o professione” viene quindi a limitare la decisione del Giudice Tutelare: in modo del tutto illegittimo, dunque, una circolare amministrativa viene ad influire pesantemente su provvedimenti della Magistratura.

 

Anche la questione del diritto di esercitare attività lavorativa dovrà quindi essere rivista, nel rispetto della Convenzione di New York e della legge.

 

 

3)  Un po’ di storia...

E’ interessante ricordare come questi stessi problemi si fossero posti già nella prima metà degli anni ’90 e, in assenza di una legge organica sull’immigrazione, fossero stati affrontati e positivamente risolti mediante una serie di circolari, in base alle quali al minore destinatario di un provvedimento dell’Autorità Giudiziaria era rilasciato un permesso di soggiorno per motivi di giustizia, che consentiva di lavorare e poteva essere convertito in permesso per lavoro al compimento della maggiore età.

La circolare del Ministero dell’Interno 3.11.1993 sosteneva infatti la necessità di consentire l’avviamento al lavoro dei minori “per un duplice ordine di motivi sia in ossequio alla normativa vigente a tutela dei minori, non solo lavoratori, sia nell’ottica di una politica di prevenzione della delinquenza minorile, di cui possono diventare facile preda i minori, anche stranieri, che si vengano a trovare fuori dell’ambito familiare”. La Circolare del Ministero del Lavoro 16.6.1994, n. 67 stabilì poi che i minori stranieri in stato di abbandono potevano essere avviati al lavoro con una speciale procedura.

 

Per quanto riguarda il problema della conversione, leggiamo nella circolare del Ministero del Lavoro 19.9.95, che “[...] Da alcuni Uffici del lavoro, peraltro, sono stati segnalati casi di particolare gravità riferiti a minori che, raggiunta la maggiore età, rimangono in Italia, non essendo decadute le ragioni di carattere umanitario che hanno determinato l’emanazione delle disposizioni sull’accoglienza, e che, a causa della disposizione sopra ricordata, si trovano nella impossibilità di accedere al mercato del lavoro. Considerato quanto sopra, pertanto, e sentito il parere favorevole del Ministero dell’Interno, Dipartimento P.S., si dispone che i minori extracomunitari in stato di abbandono di cui alla citata circolare n. 67, al raggiungimento della maggiore età, possano essere iscritti nelle liste di collocamento e possano, quindi, essere avviati al lavoro secondo le ordinarie procedure”. Immediatamente dopo la circolare del Ministero dell’Interno 23.9.1995, n. 29 disponeva che “[...] In particolare, si richiama l’attenzione sul fatto che ai minori in stato di abbandono che, al raggiungimento della maggiore età, verranno iscritti nelle liste di collocamento - onde essere avviati al lavoro secondo le procedure ordinarie - gli Uffici Stranieri delle Questure dovranno rilasciare un analogo permesso di soggiorno senza bisogno della preventiva autorizzazione di questo Dicastero.”

 

Non si comprende davvero perché, dopo l’entrata in vigore della prima legge organica sull’immigrazione in Italia, che ha migliorato sotto molti aspetti la condizione degli immigrati nel nostro paese, e ha posto principi forti di tutela dei minori stranieri (come l’inespellibilità del minore, il richiamo al superiore interesse del minore, il diritto all’istruzione....), si debba invece assistere a una così grave violazione dei diritti dei minori stranieri a causa di una semplice circolare del Ministero dell’Interno, che fornisce indicazioni alle Questure in netto contrasto con i principi generali di tutela del minore sanciti dalla legge e dalla Convenzione di New York.

 

 

 

 

5.5.2) I minori affidati di fatto a parenti entro il quarto grado

Riprendiamo qui la questione dei minori affidati a parenti entro il quarto grado, questione che risulta particolarmente incerta e problematica.

 

1)  Come abbiamo già visto, il T.U. 286/98, art. 29 co. 2 prevede che “Ai fini del ricongiungimento si considerano minori i figli di età inferiore a 18 anni. I minori adottati o affidati o sottoposti a tutela sono equiparati ai figli”.

Si può ipotizzare che, nella definizione di “minori affidati” possano ricomprendersi non solo i minori affidati con un provvedimento di un’autorità (italiana o straniera), ma anche i minori affidati di fatto a parenti entro il quarto grado.

In base all’art. 9 della legge 184/83 (come modificato dalla legge 149/2001), infatti, per i minori accolti da parenti entro il quarto grado non vi è necessità di provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria: “Chiunque, non essendo parente entro il quarto grado, accoglie stabilmente nella propria abitazione un minore, qualora l'accoglienza si protragga per un periodo superiore a sei mesi, deve, trascorso tale periodo, darne segnalazione al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni.”

 

L’art. 29 T.U. 286/98, equiparando il minore affidato al figlio ai fini del ricongiungimento familiare, sembra doversi applicare a maggior ragione al minore affidato a parente entro il quarto grado (ancorché senza provvedimento formale che, in base all'art. 9 legge 184/83, non è richiesto).

Inoltre, sembra confermare l’interpretazione secondo cui nella definizione di “minori affidati” potrebbero essere inclusi anche i minori affidati di fatto a parenti entro il quarto grado, anche il disposto dell’art. 33, co.1 della legge 184/83 (come modificato dalla legge 476/98) che, stabilendo il divieto di ingresso per i minori non accompagnati da almeno un genitore o da parenti entro il quarto grado, sembra prevedere a contrariis la possibilità di ingresso del minore al seguito non solo dei familiari elencati nell’art. 29, co. 1 del T.U. 286/98, ma anche al seguito del parente entro il quarto grado.

 

Dunque, ove venisse accettata l'interpretazione secondo cui il minore affidato di fatto a parente entro il quarto grado idoneo a provvedervi debba essere incluso nella definizione di “minori affidati” di cui all'art. 29 co. 2 T.U. 286/98, il minore, in quanto equiparato al figlio, dovrebbe essere iscritto sul permesso di soggiorno o carta di soggiorno dell’affidatario fino all’età di 14 anni, e ricevere il permesso di soggiorno per motivi familiari al compimento dei 14 anni (in base all’art. 31 T.U. 286/98).

 

 

2)  Ove invece tale interpretazione non fosse accettata, e si dovesse quindi fare riferimento unicamente all’art. 31 T.U. 286/98, la situazione dei minori accompagnati da parenti entro il quarto grado risulterebbe poco chiara a causa soprattutto del mancato coordinamento tra il T.U. 286/98 e la legge 184/83.

 

Come abbiamo già sottolineato, infatti, il T.U.  286/98, art. 31 stabilisce che il minore affidato a cittadino straniero con un provvedimento formale di affidamento (consensuale o giudiziale) ex art. 4 della legge 184/83 venga iscritto nel permesso di soggiorno dell’affidatario o riceva il permesso di soggiorno per motivi familiari, mentre nulla viene previsto riguardo al minore affidato di fatto al parente entro il quarto grado.

 

Il fatto che possa essere disposto un provvedimento formale di affidamento al parente entro il quarto è materia di discussione.[27]

Nei casi in cui il provvedimento viene disposto, non sussiste alcun problema: si potrà applicare l’art. 31 del T.U. 286/98.

 

Nei casi invece in cui il Tribunale per i minorenni e i servizi locali si dichiarino incompetenti a provvedere, si crea un'impasse: il minore affidato di fatto al parente entro il quarto grado non può ottenere il permesso di soggiorno per motivi familiari perché in base al Testo Unico 286/98 sarebbe necessario un provvedimento formale di affidamento, che però in base alla legge 184/83 si sostiene non poter essere disposto.

 

Per risolvere chiaramente questa situazione sarebbe necessario un intervento legislativo che modificasse gli artt. 31 e 32 del T.U., comprendendo esplicitamente o almeno non escludendo i minori affidati di fatto a parenti entro il quarto grado.

 

In attesa di tale intervento legislativo, l’unica via percorribile sembra essere quella di un’interpretazione estensiva degli artt. 31 e 32 sulla base della considerazione che fosse volontà del legislatore stabilire il diritto del minore affidato ad ottenere il permesso di soggiorno per motivi familiari e che tale diritto, stabilito esplicitamente per i minori affidati ex art. 4 della l.184/83, può essere implicitamente riconosciuto (ed a maggior ragione) ai minori affidati a parente entro il quarto grado, per i quali non è neppure necessario tale provvedimento.

 

 

 

 

5.6) Per i minori titolari di permesso per minore età: ipotesi di uscita e reingresso in Italia per lavoro, studio ecc. e di conversione in permesso per lavoro autonomo

 

Tentiamo qui di valutare alcune ipotesi per consentire al minore titolare di permesso per minore età di restare regolarmente sul territorio italiano dopo il compimento dei 18 anni.

 

1)  Uscita e reingresso in Italia per lavoro, studio ecc. durante la minore età

Una via per consentire al minore titolare di permesso per minore età di ottenere un permesso di soggiorno rinnovabile al compimento dei 18 anni parrebbe essere quella del ritorno nel paese d’origine e del successivo reingresso in Italia nel rispetto delle norme sull’ingresso e soggiorno degli stranieri stabilite dal T.U. 286/98.

Ad es. il minore potrebbe fare richiesta di visto per motivi di lavoro, in seguito a chiamata nominativa di un datore di lavoro disponibile ad assumerlo o mediante l’ingresso con garanzia (la c.d. “sponsorizzazione”), o di visto di ingresso per studio.

 

Il T.U. 286/98 e il relativo regolamento di attuazione non dettano disposizioni specifiche sull’ingresso in Italia di stranieri minorenni, il che indurrebbe a pensare che debbano applicarsi le stesse disposizioni previste per i maggiorenni: non dovrebbero esservi, dunque, ostacoli particolari per i minorenni.

L’art. 33 della legge 184/83 (come modificato dalla legge 476/98), però, stabilisce che “Fatte salve le ordinarie disposizioni relative all'ingresso nello Stato per fini familiari, turistici, di studio e di cura, non è consentito l'ingresso nello Stato a minori che non sono muniti di visto di ingresso rilasciato ai sensi dell'articolo 32 [cioè per adozione] ovvero che non sono accompagnati da almeno un genitore o da parenti entro il quarto grado”, tranne che “nel caso in cui, per eventi bellici, calamità  naturali o eventi eccezionali secondo quanto previsto dall'articolo 18 della legge 6 marzo  1998, n. 40, o per altro grave impedimento di carattere oggettivo, non sia possibile l'espletamento delle procedure di cui al presente Capo e sempre che sussistano motivi di esclusivo interesse del minore all'ingresso nello Stato.”

Da questa disposizione parrebbe dunque che i minori non accompagnati da almeno un genitore o da parenti entro il quarto grado possano entrare regolarmente in Italia solo per motivi familiari, turistici, di studio, di cura e di adozione.

Sembrerebbe invece essere esclusa la possibilità di ingresso per lavoro.

Non è chiaro tuttavia, dalla disposizione citata, se il minore accompagnato da parente entro il quarto grado possa ottenere un visto di ingresso per lavoro.

 

Per quanto riguarda l’ingresso per motivi di studio, il minore di età superiore ai 14 anni può richiedere il visto di ingresso per seguire corsi di studio o di formazione professionale presso istituti riconosciuti o comunque qualificati (Ministero degli Affari Esteri - Decreto interministeriale del 12.7.2000).

I requisiti e le condizioni per l'ottenimento del visto sono:

a) documentate garanzie circa il corso di studio, formazione professionale o attività culturale da svolgere;

b) adeguate garanzie circa i mezzi di sostentamento, non inferiori all'importo stabilito dal Ministero dell'interno con la Direttiva di cui all'art. 4, comma 3 del Testo unico n. 286/1998;

c) polizza assicurativa per cure mediche e ricoveri ospedalieri, laddove non abbia diritto all'assistenza sanitaria in Italia in virtù di accordi o convenzioni in vigore con il suo Paese;

d) età maggiore di anni 14.

 

Rispetto a questa ipotesi di uscita e reingresso regolare in Italia, inoltre, è importante che sia garantito che il minore entrato clandestinamente in Italia non sia inserito nelle “liste Schengen”, in modo da non precludergli un successivo ingresso regolare (cosa che purtroppo in alcuni casi si è verificata).

 

 

 

2) Conversione del permesso per minore età in permesso per lavoro autonomo

Un’altra ipotesi da considerare è la richiesta di conversione del permesso per minore età in permesso per lavoro autonomo in base al regolamento di attuazione art. 39, co. 7, in base a cui lo straniero già presente in Italia, in possesso di regolare permesso di soggiorno diverso da quello che consente l’esercizio di attività lavorativa, può chiedere alla questura competente per il luogo in cui intende esercitare lavoro autonomo la conversione del permesso di soggiorno, nell’ambito delle quote di ingresso per lavoro autonomo.

Tuttavia, questa ipotesi ci sembra difficilmente percorribile in quanto:

· è necessaria l’attestazione della Direzione Provinciale del Lavoro che la richiesta rientra nell’ambito delle quote di ingresso per lavoro autonomo: si pongono dunque i problemi visti sopra in relazione alle possibilità di ingresso per lavoro di stranieri minorenni;

· ci risulta che per l’iscrizione a diversi Albi e Registri e per l’apertura della partita IVA tra i requisiti richiesti vi sia la maggiore età.

 

 

3) Uscita e reingresso da maggiorenne

Il minorenne può naturalmente tornare nel paese d’origine e – una volta compiuti i 18 anni – presentare richiesta di visto per rientrare in Italia nel rispetto delle norme sull’ingresso e soggiorno degli stranieri stabilite dal T.U. 286/98.

Altrettanto vale per il neo-maggiorenne già titolare di permesso di soggiorno per minore età, al quale è stato revocato il permesso di soggiorno al compimento della maggiore età. Ricordiamo tuttavia che, se il neo-maggiorenne riceve un decreto di espulsione, in generale non potrà rientrare regolarmente in Italia per 5 anni (T.U. 286/98, artt. 13, co. 13-14).


6) IL DIRITTO ALLA SALUTE ED ALL’ISTRUZIONE

 

La Convenzione di New York stabilisce che il diritto alla salute ed all'istruzione sono diritti propri di tutti i minori, indipendentemente dalla loro nazionalità e dalla loro regolarità di soggiorno.

Il Testo Unico 286/98 ha introdotto importanti innovazioni nella direzione dell’effettiva garanzia di questi diritti. Si riscontrano tuttavia ancora alcune lacune, in particolare per quanto riguarda i minori irregolari.

 

Naturalmente, queste lacune saranno tanto più gravi quanto più lungo sarà il periodo in cui il minore resterà irregolare, in particolare se le procedure per decidere se il minore debba restare in Italia o essere rimpatriato saranno lunghe e se in attesa della decisione al minore non verrà comunque rilasciato un permesso di soggiorno.

 

 

6.1) Il diritto alla salute

 

1) La Convenzione di New York, art. 24, co. 1 stabilisce che: “Gli Stati Parti riconoscono il diritto del minore di godere del miglior stato di salute possibile e di beneficiare di servizi medici e di riabilitazione. Essi si sforzano di garantire che nessun minore sia privato del diritto di avere accesso a tali servizi.”

 

 

2) Per quanto riguarda i minori irregolari, il diritto alla salute non è pienamente garantito in quanto il T.U. 286/98, pur stabilendo che “Sono, in particolare, garantiti: [...] b) la tutela della salute del minore in esecuzione della Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176;” (T.U. art. 35, co. 3), non chiarisce poi come si attui concretamente questa disposizione, con la conseguenza che al minore vengono di fatto ad applicarsi le stesse disposizioni relative alla generalità degli stranieri irregolari, che si limitano a garantire “le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorche' continuative, per malattia ed infortunio e [...] i programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale e collettiva.” (T.U. art. 35, co. 3).

Nè tale lacuna è stata colmata dal regolamento di attuazione del T.U. 286/98 e dalla circolare del Ministero della Sanità 24.3.2000.

Anche il regolamento del Comitato per i minori stranieri, art. 6, co. 1 prevede che "Al minore non accompagnato sono garantiti i diritti relativi al soggiorno temporaneo, alle cure sanitarie […]", senza specificare ulteriormente.

 

3) Per quanto riguarda i minori regolari, distinguiamo tra i minori titolari di:

·     Permesso di soggiorno per minore età: il T.U. 286/98, art. 34 stabilisce l’iscrizione obbligatoria al SSN per i titolari di permesso di soggiorno “per asilo umanitario”; la circolare del Ministero della Sanità 24.3.2000 comprende in questa categoria anche i minori di anni diciotto per i quali vige il divieto di espulsione e respingimento in base al T.U. 286/98, art. 19, co. 2 cioè quei minori ai quali deve essere rilasciato il permesso di soggiorno per minore età in base al regolamento di attuazione;

·     Permesso di soggiorno per affidamento: il T.U. 286/98, art. 34 stabilisce l’iscrizione obbligatoria al SSN;

·     Permesso di soggiorno per motivi familiari: il T.U. 286/98, art. 34 stabilisce l’iscrizione obbligatoria al SSN;

·     Permesso di soggiorno per protezione sociale: il T.U. 286/98, art. 34 stabilisce l’iscrizione obbligatoria al SSN per i titolari di permesso di soggiorno “per asilo umanitario”; la circolare del Ministero della Sanità 24.3.2000 comprende in questa categoria anche i titolari di permesso di soggiorno per protezione sociale.

 

 

 

6.2) Il diritto all’istruzione

 

1) La Convenzione di New York, art. 28, co. 1 stabilisce che: “Gli Stati Parti riconoscono il diritto del fanciullo all'educazione, ed in particolare, al fine di garantire l'esercizio di tale diritto gradualmente ed in base all'uguaglianza delle possibilità: A) rendono l'insegnamento primario obbligatorio e gratuito per tutti; B) incoraggiano l'organizzazione di varie forme di insegnamento secondario sia generale che professionale, che saranno aperte ed accessibili ad ogni fanciullo e adottano misure adeguate come la gratuita dell'insegnamento e l'offerta di una sovvenzione finanziaria in caso di necessità;”

 

2) Il diritto all’istruzione scolastica

Il diritto all’istruzione scolastica è pienamente garantito per tutti i minori in quanto il T.U. 286/98, art. 38 stabilisce il diritto all’istruzione per tutti i minori presenti sul territorio italiano (dunque anche se irregolari).

Sottolineiamo che tale diritto non riguarda solo la scuola dell’obbligo, ma ogni ordine e grado di istruzione (regolamento di attuazione D.P.R 394/99, art. 45, co. 1 e 2). E’ inoltre previsto che l’irregolarità non pregiudichi il conseguimento dei titoli conclusivi (D.P.R 394/99, art. 45, co. 2).

Riportiamo l’art. 45 del D.P.R 394/99: “1. I minori stranieri presenti sul territorio nazionale hanno diritto all'istruzione indipendentemente dalla regolarità della posizione in ordine al loro soggiorno, nelle forme e nei modi previsti per i cittadini italiani. Essi sono soggetti all'obbligo scolastico secondo le disposizioni vigenti in materia. L'iscrizione dei minori stranieri nelle scuole italiane di ogni ordine e grado avviene nei modi e alle condizioni previsti per i minori italiani. Essa può essere richiesta in qualunque periodo dell'anno scolastico. I minori stranieri privi di documentazione anagrafica ovvero in possesso di documentazione irregolare o incompleta sono iscritti con riserva.  2. L’iscrizione con riserva non pregiudica il conseguimento dei titoli conclusivi dei corsi di studio delle scuole di ogni ordine e grado. In mancanza di accertamenti negativi sull'identità dichiarata dell'alunno, il titolo viene rilasciato all'interessato con i dati identificativi acquisiti al momento dell'iscrizione.”

Il "diritto all'avviamento scolastico" è previsto anche dal Regolamento del Comitato per i  minori stranieri (art. 6, co. 1).

 

3) Il diritto alla formazione professionale

Il diritto alla formazione professionale, invece, non è pienamente garantito in quanto non è chiaro se i minore irregolari e i minori titolari di permesso per minore età abbiano diritto di iscriversi a corsi di formazione.

Perché tale diritto sia pienamente garantito si dovrebbero applicare le stesse norme relative all’iscrizione e al conseguimento dei titoli finali previste per l’istruzione scolastica (a maggior ragione in seguito all’introduzione dell’obbligo formativo a 18 anni).


7) L’ESPULSIONE E IL RESPINGIMENTO

 

7.1)  L’espulsione

 

Il Testo Unico 286/98, art. 19 stabilisce che il minore non può essere espulso, salvo che per motivi di ordine pubblico e sicurezza dello Stato (e in questo caso il provvedimento deve essere adottato, su richiesta del Questore, dal Tribunale per i minorenni) e salvo il diritto del minore a seguire il genitore o l’affidatario espulso.

 

In relazione a quest’ultima disposizione è da notarsi che, mentre per il permesso di soggiorno si fa riferimento all’affidamento formale ex art. 4 legge 184/83, per l’espulsione non viene specificato. Questa ambiguità consente un'interpretazione che includa anche gli affidamenti di fatto a parenti entro il quarto grado: vi sono casi, infatti, in cui il minore viene espulso al seguito del parente entro il quarto grado al quale è affidato di fatto.

Questa interpretazione, tuttavia, ove non vi sia stata una seria valutazione da parte dei servizi sociali circa l'idoneità del parente a provvedere al minore, ci sembra non garantire assolutamente il diritto del minore alla protezione.

 

Infine, rispetto all’esecuzione dell’espulsione, si pone la questione se il minore possa essere trattenuto nei Centri di Permanenza Temporanea e Assistenza previsti dal T.U. 286/98. Il trattenimento in tali Centri, la cui legittimità costituzionale viene da più parti messa in discussione, e che comporterebbe per il minore la privazione della libertà personale e l’inserimento in un ambiente caratterizzato da fortissime tensioni emotive (con atti di autolesionismo ecc.), non può che essere considerato come gravemente lesivo dei diritti del minore, e in particolare del principio del “superiore interesse del minore” sancito dalla Convenzione di New York.

 

 

 

 

7.2)  Il respingimento

 

Il Testo Unico 286/98 non vieta il respingimento del minore che si presenti alla frontiera senza avere i requisiti per l’ingresso (anche ove sia stato temporaneamente ammesso nel territorio per necessità di pubblico soccorso) o che sia fermato all'ingresso o subito dopo.

 

Tuttavia, se il minore non accompagnato da genitore o parente entro il quarto grado si trova nel territorio dello Stato (o in quanto temporaneamente ammesso o in quanto fermato subito dopo l’ingresso), lo Stato italiano è senz’altro competente alla protezione del minore in via d’urgenza ex art. 9 della Convenzione dell’Aja del 1961, e quindi sembra doversi prevedere la competenza del Tribunale per i minorenni e/o del Comitato per i minori stranieri.

 

Più in generale, ci sembra che il respingimento con rimpatrio immediato del minore (o con l’eventuale trattenimento alla frontiera) contrasti nettamente con il dovere dello Stato italiano di garantire la protezione del minore e di considerare prioritariamente il superiore interesse del minore in ogni procedimento giudiziario o amministrativo, dovere che, in base alla Convenzione di New York, incombe allo Stato italiano nei confronti di tutti i minori.

 


8) IL COMITATO PER I MINORI STRANIERI

 

Il T.U. 286/98 (come modificato dal Dlgs. 113/99) e il Regolamento del Comitato per i minori stranieri (D.P.C.M. 535/99) definiscono composizione e competenze del Comitato per i minori stranieri:

 

 

8.1) Composizione del Comitato per i minori stranieri

Il Comitato per i minori stranieri, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, è composto da nove rappresentanti:

- uno del Dipartimento per gli affari sociali della Presidenza del Consiglio dei Ministri;

- uno del Ministero degli affari esteri;

- uno del Ministero dell'interno;

- uno del Ministero della giustizia;

- due dell'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI);

- uno dell'Unione province italiane (UPI);

- due delle organizzazioni maggiormente rappresentative operanti nel settore dei problemi della famiglia e dei minori non accompagnati.



 

8.2) Compiti del Comitato per i minori stranieri

Con l'entrata in vigore del Dlgs. 113/99, le competenze del Comitato per i minori stranieri non riguardano più solo i “minori accolti” (cioè i minori temporaneamente ammessi nell’ambito di programmi solidaristici di accoglienza temporanea) ma anche i “minori presenti non accompagnati”.

 

In generale, il Comitato è istituito al fine di tutelare i diritti di questi minori, vigilare sulle modalità di soggiorno dei minori e coordinare le attività delle amministrazioni interessate.

 

Riguardo ai “minori accolti” nell’ambito di programmi solidaristici di accoglienza temporanea, il Comitato decide sulle richieste di enti, associazioni o famiglie per l’ingresso, l’affidamento temporaneo e il rimpatrio di tali minori.

 

Riguardo ai “minori presenti non accompagnati”, ovvero dei minori di cui si tratta in queste schede, il Comitato:

·     ne cura il censimento;

·     ne accerta lo status di minori non accompagnati;

·     promuove la ricerca dei familiari dei minori (avvalendosi della collaborazione delle amministrazioni pubbliche e di organismi nazionali e internazionali con i quali il Dipartimento per gli Affari Sociali può stipulare convenzioni);

·     può disporne il rimpatrio assistito;

·     può, infine, proporre al Dipartimento per gli affari sociali di stipulare convenzioni e finanziare programmi finalizzati all’accoglienza e al rimpatrio dei minori non accompagnati.

 


FONTI NORMATIVE

 

 

Sono state prese in considerazione in particolare le seguenti fonti normative:

 

1) Convenzioni internazionali e Risoluzioni europee:

·     Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York, il 20 novembre 1989 (resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176);

·     Convenzione concernente la competenza delle autorità e la legge applicabile in materia di protezione dei minori, fatta a L’Aja, il 5 ottobre 1961 (resa esecutiva in Italia con legge 24 ottobre 1980, n. 742);

·     Convenzione europea relativa al rimpatrio dei minori, fatta a L’Aja, il 28 maggio 1970 (resa esecutiva in Italia con legge 30 giugno 1975, n. 396; internazionalmente non in vigore);

·     Risoluzione del Consiglio dell’Unione Europea 26 giugno 1997 sui minori non accompagnati, cittadini di paesi terzi;

 

2) Leggi e Decreti Legislativi:

·     Codice Civile, Libro Primo, Titolo IX “Della potestà dei genitori”, Titolo X “Della tutela e dell’emancipazione”, Titolo XI “Dell’affiliazione e dell’affidamento”;

·     Legge 4 maggio 1983, n. 184 “Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori”;

·     Legge 31 dicembre 1998, n. 476 “Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta a L’Aja il 29 maggio 1993. Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, in tema di adozione di minori stranieri”;

·     Legge 28 marzo 2001, n. 149 “Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, recante “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori” nonché al titolo VIII del libro primo del codice civile”;

·     Legge 31 maggio 1995, n. 218 “Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato”;

·     Legge 15 gennaio 1994, n. 64 “Ratifica ed esecuzione della convenzione europea sul riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia di affidamento dei minori e di ristabilimento dell'affidamento, aperta alla firma a Lussemburgo il 20 maggio 1980, e della convenzione sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori, aperta alla firma a L'Aja il 25 ottobre 1980; norme di attuazione delle predette convenzioni, nonché della convenzione in materia di protezione dei minori, aperta alla firma a L'Aja il 5 ottobre 1961, e della convenzione in materia di rimpatrio dei minori, aperta alla firma a L'Aja il 28 maggio 1970”;

·     Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286 “Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”;

·     Decreto Legislativo 13 aprile 1999, n. 113 “Disposizioni correttive al testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell'articolo 47, comma 2, della legge 6 marzo 1998, n. 40";

 

3) Regolamenti e altri decreti:

·     Decreto del Presidente della Repubblica 1 dicembre 1999, n. 492 “Regolamento recante norme per la costituzione, l'organizzazione e il funzionamento della Commissione per le adozioni internazionali, a norma dell'articolo 7, commi 1 e 2, della legge 31 dicembre 1998, n. 476”;

·     Decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394 “Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero a norma dell’articolo 1, comma 6 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286”;

·     Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 9 dicembre 1999, n. 535 “Regolamento concernente i compiti del Comitato per i minori stranieri, a norma dell'articolo 33, commi 2 e 2-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286”;

·     “Piano nazionale di azioni e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva 2000-2001” (legge 415/97) – Testo approvato con Decreto del Presidente della Repubblica 13 giugno 2000;

·     Ministero degli Affari Esteri – Decreto Interministeriale 12 luglio 2000 “Definizione delle tipologie dei visti d’ingresso e dei requisiti per il loro ottenimento”.

 

 

4) Circolari:

·     circolare telegrafica del Ministero dell'Interno 20.6.1998 “Presenza in Italia di minori stranieri non accompagnati di nazionalità albanese. Questioni connesse al rimpatrio”;

·     circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento Affari Sociali - Comitato per i minori stranieri 8.7.1998 “Minori albanesi non accompagnati”;

·     circolare del Ministero dell’Interno del 26.4.1999 “Rilascio visti per il ricongiungimento familiare in favore di minori affidati”

·     circolare del Ministero dell’Interno 23.12.1999 “D.P.R. 31 agosto 1999 - Regolamento di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”;

·     circolare del Ministero della Sanità 24.3.2000, n. 5 “D. Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero - Disposizioni in materia di assistenza sanitaria;

·     circolare del Ministero dell’Interno 14.4.2000 “Comitato per i minori stranieri”;

·     Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per gli Affari Sociali – Comitato per i minori stranieri – Osservazioni del Presidente. Testo approvato dal Comitato per i minori stranieri nella riunione del 2 maggio 2000;

·     circolare del Ministero dell’Interno 13.11.2000, “Permessi di soggiorno per minore età, rilasciati ai sensi dell’art. 28, comma 1 lettera a) del D.P.R. 394/99”;

·     Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per gli Affari Sociali – Comitato per i minori stranieri – Minori stranieri non accompagnati - Linee Guida deliberate nella riunione dell’11 gennaio 2001.

 

[Circolari precedenti l’entrata in vigore del T.U. 286/98, non più valide, ma comunque citate in una "prospettiva storica":

·     circolare del Ministero dell’Interno 20.7.1993, n. 32 “Minori stranieri privi di permesso di soggiorno in stato di abbandono in Italia”;

·     circolare del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale 16.6.1994, n. 67 “Minori extracomunitari in stato di abbandono in Italia – Accesso all’impiego”;

·     circolare del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale 19.9.1995 “Minori extracomunitari in stato di abbandono in Italia – Accesso all’impiego”;

·     circolare del Ministero dell’Interno 23.9.1995, n. 29 “Minori extracomunitari in stato di abbandono in Italia – Accesso all’impiego”]

 

 

 

 



[1] Riportiamo i riferimenti completi delle fonti normative analizzate nell'elenco al fondo, mentre nel testo vengono utilizzate delle abbreviazioni.

[2]  Vedi nella sezione 4)"L'affidamento e la tutela", il paragrafo 4.3)"Approfondimento: i minori affidati di fatto a parenti entro il quarto grado".

[3] Per la composizione e le funzioni del Comitato per i minori stranieri, vedi la sezione 8)”Il Comitato per i minori stranieri”.

[4] Indichiamo tra parentesi le fonti normative che disciplinano gli aspetti subito sopra analizzati.

[5] Legge che disciplina l'affidamento e l'adozione.

[6] Testo Unico delle leggi sull'immigrazione.

[7] Vedi nella sezione 4)"L'affidamento e la tutela", il paragrafo 4.3)"Approfondimento: i minori affidati di fatto a parenti entro il quarto grado".

[8] Ricordiamo che il minore straniero in generale non può essere espulso: vedi la sezione 7)"L'espulsione e il respingimento".

[9] Ricordiamo qui che, mentre al provvedimento di espulsione segue il divieto di rientro per 5 anni, invece per il provvedimento di rimpatrio non è previsto tale divieto.

[10] Vedi nella sezione 5) “Il permesso di soggiorno”, il paragrafo 5.5) “Approfondimenti: il permesso per minore età e i minori affidati di fatto a parenti”

[11] Vedi la sezione 6) “Il diritto alla salute e all’istruzione”.

[12] Vedi la sezione 5) “Il permesso di soggiorno” e la sezione 4) “L’affidamento e la tutela”.

[13] In tal senso, riportiamo alcuni stralci del decreto della Corte d’Appello di Torino del 10.12.1999 (est. Pazé):  “A mente dell’art. 343 cod. civ. quando i genitori per qualsiasi causa (compresa una stabile lontananza) non possono esercitare la potestà con i poteri-doveri ad essa conseguenti (mantenimento, istruzione, educazione) deve essere aperta una tutela, affinché un tutore rappresenti il minore e abbia cura della sua persona. Questa disposizione si riferisce a qualsiasi minore, italiano o straniero. Attribuire una rappresentanza tutoria ad un minore straniero, che si trovi in Italia da solo, è importante sia perché possano essere fatti valere i suoi diritti (allo studio, alla salute, all’educazione, ad una casa dove poter abitare, ad una crescita equilibrata ecc.), sia per la sua assistenza ove commetta un reato, sia specificatamente perché il tutore possa rappresentare l’interesse del minore nelle procedure amministrative o giudiziarie che deve portare ad una decisione circa la permanenza in Italia o il rimpatrio per il ricongiungimento alla famiglia. [...] Uno dei compiti del tutore di un minore straniero non accompagnato deve essere quello di rappresentarlo per la delicata scelta fra il suo rimpatrio (l’art. 17 legge 6 marzo 1998, n. 40 non consente che in situazione eccezionale l’espulsione del minorenne) o l’accoglienza nel nostro paese. [...] Di qui la necessità che un tutore ci sia - si tratti di un familiare o di un tutore burocratico - per dare al minore una voce in scelte che non possono essere prese solo sulla sua testa e che così profondamente segneranno tutta la sua vita”.

[14]  Vedi la sezione 3) “Le indagini nel paese d’origine e il rimpatrio assistito”.

[15] A proposito dell’affidamento consensuale, citiamo un documento del Tribunale per i minorenni e della Procura della Repubblica per i minorenni di Venezia “Poiché il minorenne, non accompagnato immigrato da solo (eventualmente anche in accordo con i familiari rimasti nel paese d’origine) è pur sempre un minore nei confronti del quale i genitori non possono esercitare la potestà, il caso potrà essere segnalato al Giudice Tutelare del luogo ove il minore è stato accolto per l’apertura della tutela ai sensi dell’art. 343 Cod. Civ. Il tutore così nominato potrà dare il consenso per l’affidamento familiare, qualora sia questo il provvedimento disposto dal Servizio Locale ai sensi dell’art.4 L.Adoz. Qualora il minore sia stato accolto presso una struttura assistenziale il Comune quale Ente erogatore dell’assistenza può essere considerato Istituto di Pubblica Assistenza che esercita i poteri tutelari sul minore ricoverato o assistito ai sensi degli artt. 3 e 5 L. Adoz.”

[16] Per i problemi relativi al permesso di soggiorno che può essere rilasciato ai minori affidati di fatto a parenti entro il quarto grado, vedi nella sezione 5)“Il permesso di soggiorno”, il paragrafo 5.5) Approfondimenti: il permesso per minore età e i minori affidati di fatto a parenti”.

[17] L’art. 31 del T.U. 286/98, infatti, disciplina il rilascio del permesso di soggiorno solo per i minori affidati ex art. 4 della legge 184/83, mentre nulla prevede per i minori affidati di fatto al parente entro il quarto grado: vedi la sezione "Il permesso di soggiorno".

[18] Le problematiche relative al permesso di soggiorno per minore età sono approfondite più avanti, nel paragrafo 5.5)“Approfondimenti: il permesso per minore età e i minori affidati di fatto a parenti”.

[19]  Vedi il paragrafo 5.4)"La conversione del permesso di soggiorno alla maggiore età".

[20] Salvo il caso di minore parente entro il terzo grado e inabile al lavoro, o di minore coniugato.

[21] Tale ipotesi è argomentata più avanti, nel paragrafo 5.5)“Approfondimenti: il permesso per minore età e i minori affidati di fatto a parenti”.

[22] Poiché, come sottolineato nell'introduzione, non abbiamo voluto trattare la questione - gravissima, ma dotata di sue specificità - dei minori vittima della tratta, non approfondiamo qui la questione del permesso per protezione sociale. Non abbiamo analizzato, per la stessa ragione, le disposizioni della legge 269/98.

[23] Tale caso è approfondito più avanti, nel paragrafo “Approfondimenti: il permesso per minore età e i minori affidati di fatto a parenti”.

[24] Non abbiamo citato qui il permesso per protezione sociale perché esso non ha i suoi presupposti nella minore età, e quindi viene rinnovato indipendentemente dal compimento della maggiore età.

[25] Questo aspetto è approfondito più avanti, al paragrafo 5.5)“Approfondimenti: il permesso per minore età e i minori affidati di fatto a parenti entro il quarto grado”.

[26] L'art. 4, co. 7  della l.184/83 (come modificata dalla l. 149/2001) stabilisce che “Le disposizioni del presente articolo [circa l'affidamento familiare] si applicano, in quanto compatibili, anche nel caso di minori inseriti presso una comunità di tipo familiare o un istituto di assistenza pubblico o privato”.

[27] Tale questione è discussa nella precedente sezione 4) “L'affidamento e la tutela".