Comunità di S.Egidio

Genti di Pace



24/08/2001
OSSERVAZIONI DELLA COMUNITAí DI SANTíEGIDIO SUL DISEGNO DI LEGGE GOVERNATIVO RIGUARDANTE MODIFICHE AL D.LGS. 286/1998 (TESTO UNICO IN MATERIA DI IMMIGRAZIONE)

 

Nei giorni precedenti la pausa estiva, sono state rese note le possibili linee guida di un prossimo intervento normativo in materia di immigrazione, a modifica della disciplina vigente, che il Governo intende proporre al Parlamento con un proprio disegno di legge.
In attesa di una più organica presentazione, la Comunità di SantíEgidio esprime preoccupazione in merito a taluni orientamenti di riforma già emersi e formula alcune proposte in merito alle modifiche annunciate.


1. Contratto di soggiorno

La prima proposta di modifica riguarda le modalità di ingresso e di soggiorno regolari sul territorio italiano. Si propone di legare la regolarità della permanenza in Italia degli stranieri ad un contratto di lavoro, esclusivamente per il periodo della sua durata.
In tal modo, la condizione di disoccupazione comporterebbe líobbligo, per gli stranieri, di lasciare il territorio nazionale.
Eí utile osservare che la domanda di lavoratori stranieri è andata aumentando negli ultimi anni. Nel 2000 gli imprenditori italiani hanno richiesto per le esigenze delle fabbriche 100.000 immigrati. Non meno consistente è la domanda di personale straniero da impiegare nei servizi alla persona (assistenza agli anziani, lavoro domestico etc.). 
Líattuale rapida evoluzione del mercato del lavoro verso forme di impiego a tempo determinato, cui si accompagna il notevole sviluppo del cosiddetto lavoro interinale, comporta un radicale mutamento dello status giuridico dei lavoratori sia italiani che stranieri. 
In entrambi i casi, essi non sono più beneficiari della stabilità di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato ma, spesso, alternano impieghi di durata determinata a periodi di disoccupazione. Eí di pochi giorni fa líadeguamento dellíItalia alle norme comunitarie in materia di contratti di lavoro a tempo determinato.
Se dunque la flessibilità del mercato e la brevità dei contratti è destinata a divenire regola generale del sistema-lavoro, legare la scadenza dei permessi di soggiorno alla conclusione del rapporto di lavoro rischia di creare gravi conseguenze da vari punti di vista: 

a) Ordine pubblico. Già oggi molti immigrati presenti regolarmente in Italia da vari anni, perdendo il lavoro o lavorando in ìneroî diventano, secondo le norme in vigore, irregolari, perchÈ non possono rinnovare il permesso di soggiorno. Per questo motivo, spesso vengono erroneamente considerati clandestini.
Si stima che questo fenomeno coinvolga circa 150.000 persone, presenti in Italia da almeno 5 anni. Se la normativa dovesse ulteriormente irrigidirsi, crescerà il numero degli irregolari tra coloro che sono già presenti e lavorano in Italia, creando seri problemi di gestione del fenomeno migratorio. 
Non va tralasciato il fatto che la condizione di irregolarità espone gli stranieri al rischio di divenire preda della microcriminalità o della criminalità organizzata.

b) Integrazione sociale. Attualmente, lo straniero che risulta occupato in modo regolare, ma con un contratto a tempo determinato (quindi inferiore a 12 mesi), non può essere titolare di un permesso di soggiorno di durata superiore ad un anno. A causa di questo non ha diritto alla residenza anagrafica, necessaria per usufruire dei servizi socio-sanitari, ma soprattutto non può richiedere il ricongiungimento con la propria famiglia, che invece è uno dei diritti fondamentali dellíuomo. 
Nel caso che la presenza fosse limitata al solo periodo definito dal contratto di lavoro quindi, il numero degli stranieri in grado di accedere al ricongiungimento familiare si ridurrebbe notevolmente, provocando un preoccupante aumento delle situazioni di anomia e di disadattamento sociale, di cui lo sradicamento dal contesto familiare è un potentissimo fattore.
Gravi ñ anche se di secondaria importanza rispetto agli enormi costi sociali già segnalati - sarebbero anche i problemi di carattere burocratico ed amministrativo, tra i quali, sicuramente: il congestionamento delle questure, per la necessità di rilasciare frequentemente ed in tempi brevissimi i rinnovi del permesso di soggiorno agli stranieri che dispongano di un rinnovo contrattuale del rapporto di lavoro (ogni nove, sei, o addirittura tre mesi); il rallentamento e líappesantimento delle pratiche necessarie per instaurare rapporti di lavoro di breve durata. 
E non è superfluo, forse, considerare che la gestione dellíimmigrazione, almeno di quella regolare, avrebbe bisogno di un alleggerimento delle procedure amministrative e non, invece, di un loro progressivo appesantimento, a detrimento dellíefficienza complessiva del sistema.
Si suggerisce quindi di semplificare le procedure per il rinnovo del permesso di soggiorno per chi è già presente in Italia per motivi di lavoro e di studiare formule che facciano emergere il ìlavoro neroî, prevedendo anche il coinvolgimento dei lavoratori stranieri. 
Inoltre sarebbe utile studiare formule che sleghino la presenza degli stranieri regolari alla durata del contratto di lavoro dopo un periodo di permanenza in Italia da definire.


2. ìSponsor e programmazione dei flussi

Una seconda proposta di modifica consiste nellíabolizione della possibilità di entrare in Italia (nellíambito delle ìquoteî annualmente determinate dal Governo) con un visto di ingresso per ricerca di lavoro, mediante la prestazione di idonee garanzie da parte di un cittadino italiano o straniero già regolarmente residente (il cosiddetto sponsor).

Innanzitutto è opportuno sapere che questa modalità di ingresso in Italia ha coinvolto un esiguo numero di persone: nei primi due anni di applicazione della legge, solo 30.000 stranieri. 
Uníelevata percentuale di ingressi attraverso le sponsorizzazioni è perseguita da famiglie italiane, che in questo modo possono assumere lavoratori stranieri con cui sono venuti in contatto personalmente o di cui conoscono líambiente familiare, come assistenti familiari per anziani, minori e disabili. A questo proposito, si può osservare che spesso le procedure per la regolarizzazione di un immigrato, entrato come turista in Italia, andrebbero semplificate, a vantaggio del mercato del lavoro. Attualmente infatti, è necessario che il lavoratore ritorni nel proprio paese díorigine e rientri in Italia su chiamata nominativa (accessibile solo a redditi superiori agli 80 milioni annui e quindi non perseguibile dai pensionati che spesso sono i maggiori richiedenti questo tipo di lavori). Non è possibile invece effettuare una regolarizzazione ìa posterioriî, al momento dellíassunzione. 
Un alto numero di ìsponsorizzazioniî degli ingressi per ricerca di lavoro è assicurata anche da cittadini stranieri stabilmente e regolarmente inseriti nel nostro paese, i quali, pur perseguendo evidentemente un proprio interesse di natura familiare, solidale o amicale, contribuiscono così a orientare le dinamiche dellíimmigrazione regolare secondo modalità meno costose, economicamente e socialmente, per il nostro paese, provvedendo essi stessi a garantire le prime fasi del processo di integrazione dei nuovi arrivati.
Va notato inoltre che attraverso la procedura della sponsorizzazione, gli stranieri utilizzano un canale regolare di ingresso senza ricorrere alle vie clandestine del traffico di esseri umani.
Negli Stati Uniti e in Canada, da anni, líutilizzo degli sponsor per gli ingressi, la regolarizzazione degli immigrati presenti sul territorio nazionale e la programmazione dei flussi, costituiscono le scelte di fondo della politica migratoria. Eí proprio di questi ultimi giorni líintenzione del presidente americano Bush di procedere ad una massiccia regolarizzazione degli immigrati attualmente presenti irregolarmente negli Stati Uniti. 
In Italia, abolire questa modalità di ingresso legale non solo significherebbe rinunciare a delle risorse di integrazione già formatesi, ma soprattutto costituirebbe un fattore di serio incentivo allíimmigrazione irregolare o clandestina.


3. Espulsioni e reato di clandestinità

Una terza proposta di modifica è quella di introdurre nella normativa il ìreato di presenza clandestina sul territorio o il reato di ingresso clandestinoî, punibile con: 

1. detenzione da uno a quattro anni di carcere per chi ha avuto un provvedimento di espulsione e non è uscito dal territorio italiano; 

2. prolungamento da trenta a sessanta giorni del termine massimo di detenzione presso i centri di permanenza temporanea per chi per la prima volta è trovato senza documenti regolari.

La Comunità di SantíEgidio esprime preoccupazione per la criminalizzazione di un atto ñ quello dellíimmigrazione irregolare e/o clandestina - che è spesso determinato da motivi di estrema gravità, quali la provenienza da paesi percorsi da conflitti etnici, o da guerre di varia natura, ovvero da aree povere o impoverite da crisi politiche (si pensi ai curdi, agli afgani, oppure ai paesi dellíEst Europa).
Va innanzitutto chiarito che líimmigrazione irregolare - fenomeno che riguarda tutti i paesi occidentali - non raggiunge in Italia quei livelli che invece costituiscono la norma in altri paesi europei (la Germania, ad esempio, stima al suo interno, più di 1.300.000 clandestini contro i 200.000 dellíItalia).
Nonostante ciò, negli ultimi due anni il numero delle espulsioni dallíItalia effettivamente eseguite è raddoppiato. 
Inoltre non va sottovalutato il rischio di violare norme del diritto internazionale e comunitario. Tra queste, la Convenzione di Palermo (2000) contro il crimine organizzato, firmata da 118 paesi, compresa l'Italia, la quale esclude esplicitamente la legittimità di normative nazionali che prevedano il reato di immigrazione clandestina. Vi si afferma infatti: ´L'immigrazione, come fatto in sÈ, non è un reato e quindi non può essere perseguita per via giudiziaria. Gli emigranti sono vittime bisognose di protezioneª. Piuttosto, sottolinea il documento, è importante ´la condanna dei trafficanti e dei gruppi criminali organizzatiª che gestiscono la tratta degli esseri umani.


4. Ricongiungimento familiare

Una quarta proposta consiste nel ridurre, rispetto allíattuale disciplina, la facoltà del lavoratore straniero di ricongiungersi con i suoi familiari. Si vorrebbe limitare le ipotesi di ricongiungimento al coniuge ed ai figli minorenni impedendolo negli altri casi oggi previsti dalla legge (che rende possibile anche il ricongiungimento con i genitori a carico del lavoratore immigrato e con i parenti entro il terzo grado inabili al lavoro). 

La proposta non tiene conto del diritto della persona a vivere con la propria famiglia, espressamente riconosciuto, anche allo straniero, dallíart.8 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dellíuomo e quindi affidato allíalta ed efficace tutela della Corte dei Diritti dellíUomo di Strasburgo. 
Eí ben difficile, in effetti, giustificare il divieto di ricongiungimento dei genitori a carico i quali, al pari dei figli, sono parenti di primo grado del lavoratore residente in Italia. Anche nel caso dei parenti inabili al lavoro è evidente che il ricongiungimento familiare costituisce una necessità vitale e si colloca perfettamente nelle logiche del diritto umanitario.


Queste brevi osservazioni, che vengono offerte come spunti di riflessione, intendono sottolineare líimportanza e, ancor di più, la necessità di una strategia nel governo dellíimmigrazione che miri ad una maggiore integrazione degli stranieri, specie di quelli che da più tempo vivono in Italia, e desiderano contribuire al suo sviluppo.