Il governo Berlusconi ha presentato la sua proposta di revisione
della normativa sull’immigrazione. Livia Turco si chiede –
piuttosto alterata – perche’ mai le associazioni cattoliche non
insorgano. Vengo in suo soccorso con due ipotesi. La prima e’ che questi
giorni siano stati segnati da cose piu’ gravi a cui pensare. La seconda
e’ che quelle associazioni si siano addestrate alla pazienza per cinque
lunghi anni, e che non vedano motivi sostanziali per maledire un disegno di
legge che, in fondo, si limita ad aggravare un po’ l’eredita’
gia’ pesantissima – in fatto di legge e di prassi – lasciata
dalla Turco e dai suoi colleghi. Intendo dire, con questo, che la riforma
proposta da Berlusconi appaia civile ed efficace? Assolutamente no. Dico solo
che non sara’ il passaggio da pane ammuffito a gallette ammuffite a fare
ammutinare la truppa.
Che cosa non funziona oggi nell’immigrazione? La faccenda
e’ molto semplice, ma pare che un requisito per fare i politici, da noi,
sia il non capirla. L’immigrazione e’ oggi essenzialmente
un’immigrazione per lavoro; e per lavoro a bassa qualificazione. Di
lavoratori di questo genere il nostro mercato ha un bisogno estremo. Ma, per
assumerli, i nostri datori di lavoro vogliono vederli prima in faccia. Non
e’ un capriccio; si tratta solo del fatto che un conto e’ assumere
un ingegnere informatico – un curriculum su Internet va benissimo –
altro conto e’ una colf: il curriculum non serve a niente; serve la
fiducia. E la fiducia si stabilisce quando le parti si guardano in faccia.
Perche’ possano farlo, o mandiamo i datori di lavoro in gita a Capoverde,
o lasciamo che le capoverdiane entrino in Italia prima di avere un contratto di lavoro.
Quest’ultima e’ palesemente la soluzione piu’ semplice,
benche’ la tendenza dei governanti europei sia quella di strapparsi le
vesti di fronte a questa prospettiva. In Italia, fino al 1999 ci si e’
attenuti rigorosamente alla tendenza strappa-vesti, consentendo –
formalmente – l’ingresso ai soli lavoratori preventivamente assunti
da un datore di lavoro. La legge Turco-Napolitano lascia spazio a
possibilita’ di ingresso diverse: la piu’ nota di queste e’
prevista dall’articolo 23, che consente, in particolare, al lavoratore
cui uno sponsor garantisca un anno di mantenimento di entrare in Italia a cercare
lavoro sul posto.
Questo meccanismo di ingresso per ricerca di lavoro ha avuto, tra
gli immigrati, ma anche tra i cittadini italiani, un successo enorme: le
domande di sponsorizzazione presentate in favore di lavoratori stranieri sono
state numerosissime, a dispetto dei molti ostacoli burocratici imposti dalla
normativa. Se ne puo’ concludere che la legge Turco-Napolitano e i
governi di centrosinistra hanno superato la vecchia chiusura sugli ingressi per
lavoro? Neanche per idea: un conto e’ la legge, un conto e’ la sua
applicazione. Per il 2001 il governo Amato ha fissato un tetto massimo di sole
quindicimila sponsorizzazioni. Sono andate esaurite in poche ore, a fronte dei
due mesi previsti dal Legislatore per la presentazione delle domande. Decine di
migliaia di domande hanno ricevuto un diniego grazie alla miopia di quel
governo. La stessa affermazione della Turco – d’altra parte -,
secondo la quale Caritas e Migrantes l’avrebbero pregata in ginocchio, a
suo tempo, di inserire nella legge l’istituto dello sponsor, la dice
lunga su quanto piacesse ai nostri governanti questa modalita’ di
ingresso.
Il governo Berlusconi, ora, propone di cancellarla del tutto,
limitando al caso di preventiva assunzione la possibilita’ di ingresso
legale di lavoratori stranieri. E’ una sciocchezza, evidentemente: una
sciocchezza nel solco della gestione precedente. Indurra’ un numero
piu’ alto di lavoratori stranieri a percorrere vie di migrazione
illegale. Ciascuno di loro osservera’ infatti come, piuttosto che aspettare
nel proprio paese una chiamata che non arrivera’ mai, convenga tentare la
sorte, nella speranza di incontrare la fiducia di un datore di lavoro e di
guadagnare, a valle della stipula di un contratto e di un temporaneo ritorno in
patria, un reingresso legale in Italia. La destra puo’ obiettare: no,
questo escamotage
sara’ stroncato dall’inasprimento delle sanzioni contro
l’immigrazione clandestina. Puo’ darsi – ribatto io –,
ma questo equivale a dire che di immigrati per lavoro non ne entrera’
piu’ neanche uno (ingegneri informatici esclusi): non diciamo allora
– perche’ tutti i politici lo dicono fino alla nausea – che
l’Italia e’ ben disposta verso chi viene qui per lavorare. Altro
che Caritas e Migrantes: dovrebbero protestare Confindustria, Confcommercio e
Coldiretti!
C’e’ qualche speranza che l’approvazione di
questo disegno di legge non si traduca in una banale accentuazione degli errori
fatti dal precedente governo? Ce n’e’ una: la maggioranza che
sostiene il governo non e’ affatto unita sul tema. La stessa assenza di
macroscopiche chiusure rispetto alla legge attualmente in vigore e’
frutto di un dibattito acceso tra le diverse anime della coalizione di governo:
quella moderata liberale o leghista (ex DC, Forza Italia, Maroni) e quella fascista
onesta (Tremaglia) da una parte; quella con la schiuma alla bocca (Bossi) o con
i denti aguzzi (Fini) dall’altra. La speranza e’ che la prima anima
abbia un sussulto; che ritrovi l’orgoglio di un patrimonio di ideali
– che non coincidono ovviamente con gli ideali della sinistra, ma ideali
sono, e degni di considerazione. E che imponga all’anima tetra e inutile
un semplice emendamento al disegno di legge: possano accedere, di norma, a un
permesso di soggiorno per lavoro anche quanti si trovino legalmente in Italia
ad altro titolo, turismo incluso. Che significa? Significa consentire a chi
voglia migrare per lavoro in Italia di venire, alla luce del sole, ad esplorare
il nostro mercato con le proprie forze o con le forze di parenti o amici - da
“turista”, appunto – senza che il nostro sistema sociale se
ne debba fare carico; senza che lo si debba annoverare tra i disoccupati per
cui angosciarsi. Quando trovi sul posto, entro i termini del soggiorno legale,
una possibilita’ di occupazione non saturata dall’offerta di lavoro
gia’ presente gli si consenta di trasformarsi – senza dover tornare
prima in patria e senza vincoli di inutili quote – in un migrante per
lavoro. Questa soluzione – per inciso – e’ caldeggiata da
tempo dalle associazioni che si occupano di immigrazione; ma e’ anche
contemplata dalla direttiva da poco proposta dalla Commissione europea. La
stessa soluzione era stata approvata dalla Camera, alla fine della scorsa
legislatura, con il voto del centrosinistra e il parere favorevole di Forza Italia.
Dal 1986 ad oggi abbiamo regolarizzato, con sanatorie, quasi
novecentomila immigrati. Nessuno di loro sarebbe venuto clandestinamente se
avesse potuto usare un dispositivo come quello che suggerisco: venire in Italia
con gli scafisti costa molto di piu’ che venirci da turisti. I politici
di tutte le parti sembrano avere come massimo obiettivo quello di coniugare
solidarieta’ e rigore. Propongo qualcosa di piu’: coniughino
solidarieta’ e intelligenza. Lasciando il rigore a Bossi, a Fini, alla
Turco e a Napolitano.