Schema di disegno di legge

recante “modifiche al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) ed al decreto legge 30 dicembre 1989, n.416, convertito dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39”

 

 proposto dal Presidente e dal Vice Presidente del Consiglio dei Ministri, dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, dal Ministro degli affari esteri, dal Ministro dell’interno, dal Ministro per le riforme istituzionali,

 

 di concerto con il Ministro della giustizia, del Ministro dell’economia e delle finanze, del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, del Ministro della difesa, del Ministro per le infrastrutture e trasporti, del Ministro per gli affari regionali, del Ministro per i beni e le attività culturali, del Ministro per le pari opportunità, del Ministro per l’innovazione tecnologica, del Ministro per gli italiani nel mondo

PAOLO BONETTI

Ricercatore di diritto costituzionale nella Facoltà di giurisprudenza dell’Università degli studi di Milano Bicocca, docente di istituzioni di diritto pubblico e di diritto regionale.

 

PRIME OSSERVAZIONI SULLO SCHEMA DI

DISEGNO DI LEGGE RECANTE MODIFICAZIONE ALLE NORME IN MATERIA DI IMMIGRAZIONE E DI ASILO (BOZZA DEL 14/9/2001)

 

 

OSSERVAZIONI GENERALI:

 

1. La relazione illustrativa del disegno di legge richiama in modo piuttosto confuso una serie di conferenze internazionali sull’immigrazione e la necessità di regolare l’immigrazione che resterà comunque un fenomeno costante e inarrestabile. Tra l’altro si afferma da un lato che non si ferma “il pericolo di una vera invasione dell’Europa da parte di popoli che sono alla fame, in preda ad una inarrestabile disoccupazione o a condizioni di sottoccupazione” e dall’altro che “non si può, di converso, pensare di arrestare questo flusso migratorio ed il conseguente stato di illegalità con sanatorie indiscriminate”, ma conclude che occorre in vario modo affrontare il problema dell’immigrazione clandestina.

Le norme del disegno di legge sull’immigrazione appaiono però notevolmente sbilanciate:  il loro unico obiettivo sembra essere il contrasto dell’immigrazione clandestina e considerano lo straniero soprattutto come soggetto potenzialmente pericoloso per l’ordine pubblico o come lavoratore precario, mentre per diversi motivi sono prive di ogni “senso di umanità” con gli stranieri.

In primo luogo alcune disposizioni del ddl perseguono quel legittimo obiettivo repressivo con modalità che però urtano fortemente contro diritti fondamentali della persona (libertà personale, diritto di difesa, diritto d’asilo, diritti familiari e del lavoro).

In secondo luogo diverse norme del ddl finiscono per compromettere una realistica politica circa i nuovi ingressi e rendono precaria ed incerta la condizione degli stranieri già regolarmente soggiornanti in Italia.

La restrizione dell’immigrazione regolare è inoltre attuata in forme e modi controproducenti, perché ignora che esiste comunque una notevole pressione migratoria.

Ogni legge che vuole efficacemente regolare l’immigrazione intende non già aumentare l’immigrazione, bensì aumentare l’immigrazione regolare e perciò non può ignorare le caratteristiche oggettive del fenomeno migratorio, perché altrimenti rischia di diventa illusoria: rassicura nel breve periodo, ma nel medio-lungo periodo finisce con l’incrementare l’immigrazione clandestina e il lavoro nero e così contribuisce ad aumentare il senso di insicurezza collettiva.

    Poiché dunque il ddl nel complesso si cura ben poco dell’integrazione degli stranieri regolarmente soggiornanti, ma si occupa soltanto della prevenzione e della  repressione dell’immigrazione clandestina si può concludere che nel contenuto di tutte le norme del ddl, contrariamente  a ciò che prevedeva il programma elettorale in materia di immigrazione con cui la Casa delle libertà ha vinto le elezioni, non vi alcun equilibrio tra accoglienza e integrazione degli stranieri regolarmente soggiornanti e lotta contro l’immigrazione clandestina.

  

2. Nel merito del testo del ddl gli aspetti  che destano maggiore preoccupazione sono i cinque seguenti.

2.1. Generalizzata esecuzione immediata del provvedimento amministrativo di espulsione. Preoccupa non l’obiettivo di fondo, in sé legittimo, di eliminare l’immigrazione clandestina e di rendere efficaci le espulsioni, ma la scelta dei mezzi che si intendono adottare, in particolare la sommaria procedura che comporta l’accompagnamento immediato alla frontiera per semplice provvedimento amministrativo, senza effettiva possibilità di ricorso. L’accompagnamento immediato alla frontiera – che comporta conseguenze rilevantissime per ogni persona e per la sua famiglia - senza una preventiva pronuncia del giudice sembra inoltre contrastare con l’art. 13 della Costituzione come ha recentemente affermato la Corte costituzionale (cfr. sent. n. 105/2001). Il legittimo interesse dello Stato a tutelare l’integrità del suo territorio può realizzarsi in forme che non compromettano irreparabilmente la libertà personale e il diritto alla difesa dello straniero, prevedendo p. es. un trattenimento provvisorio dell’espellendo nei centri di permanenza in attesa della decisione del giudice, da adottarsi in tempi brevissimi, sull’accompagnamento immediato e sul trattenimento definitivo in attesa del rimpatrio.

2.2. E’ accentuata la precarietà dello straniero regolarmente soggiornante ed è minata la stabilità del suo soggiorno in modo molto serio. La stessa terminologia ne è un indice significativo, col cambiamento del “permesso di soggiorno” in “contratto di soggiorno”: il contratto vale per due anni non per tre come prevede la proposta normativa europea, lo si può rinnovare per altri due anni e non per quattro come prevede la legge vigente. Inoltre la carta di soggiorno  è rilasciata non più dopo 5 anni ma dopo 6 anni, anche ciò in contrasto con l’orientamento europeo, nel quale, tra l’altro, è prevista per l’immigrato una progressività di diritti che lo porta a un permesso di soggiorno “di lunga durata”. Infine il lavoratore straniero che perda il posto di lavoro, allo scadere del permesso non ha più un anno di tempo, ma soltanto sei mesi per trovarsi un altro lavoro.

2.3. Si produce una notevole restrizione dei ricongiungimenti familiari. Vengono esclusi dalla possibilità di ricongiungimento i genitori a carico quando vi siano altri figli e i parenti fino al terzo grado a carico inabili al lavoro: una restrizione alla legge in vigore che sarebbe apertamente in contrasto con la direttiva europea in corso di approvazione. Inoltre la precarietà e conseguente temporaneità del lavoro rischia di ridurre fortemente le possibilità di ricongiungimento.

2.4. Si riducono e si rendono inutilmente difficili le vie legali dell’immigrazione per lavoro: si ritornerebbe ad un sistema basato soltanto sulla preventiva chiamata nominativa del datore di lavoro, così dimenticando che esistono molti tipi di lavori per i quali è essenziale il preventivo incontro “in loco” della domanda e dell’offerta di lavoro. In tal senso l’abrogazione dell’ingresso per inserimento nel mercato del lavoro sarebbe del tutto controproducente di fronte all’elevata richiesta di manodopera presente in molte zone del Paese. Si determina così un irrigidimento della disciplina degli ingressi regolari per lavoro secondo canali e forme che appaiono inutilmente complicate rispetto alle concrete esigenze del mercato del lavoro e che in realtà ritornano al passato ripristinando un sistema analogo a quello che fino al 1998 non ha affatto limitato l'immigrazione, ma al contrario ha determinato un blocco dei nuovi ingressi regolari per lavoro e ha perciò incentivato il ricorso massiccio all'immigrazione clandestina e ha così costretto il legislatore ad intervenire nel 1987, nel 1990, nel 1995 e nel 1998 con provvedimenti di regolarizzazione.

2.5. Si vanifica sostanzialmente l’accesso al diritto di asilo – uno dei diritti più universalmente tutelati dei migranti: esso è disciplinato in due soli articoli, proprio mentre era già stato approvato dalla Camera nel marzo 2001 un ampio disegno di legge ed è in corso di approvazione in sede comunitaria una triplice direttiva molto dettagliata con decine di articoli. Sulle singole domande di asilo giudicherebbe non più un’unica Commissione centrale, bensì tante Commissioni territoriali, costituite soltanto da funzionari governativi, che con una procedura accelerata e sommaria di pre-esame darebbero una decisione, alla quale, in caso di esito negativo seguirebbe – senza possibilità di un ricorso con effetti sospensivi – l’espulsione, così vanificando l’essenza stessa del diritto d’asilo - che comporta anzitutto la possibilità dell’accesso alla procedura e di un esame da parte di un soggetto imparziale. Inoltre colpisce che in attesa del pre-esame il richiedente asilo sia forzatamente rinchiuso in appositi centri di accoglienza o nei centri di permanenza temporanea, mentre si sopprimerebbe il contributo di prima assistenza. Nessuna nuova misura è invece prevista in favore della condizione degli stranieri che abbiano ottenuto il riconoscimento dello status di  rifugiato.

 

     3. Un esame attento di ogni disposizione del ddl rivela che molte delle sue norme  sono sostanzialmente superflue o controproducenti o malformulate o addirittura di dubbia legittimità costituzionale, né tantomeno colgono l’occasione per prevedere l’adeguamento dell’ordinamento italiano alle complesse e articolate norme comunitarie che sono state recentemente approvate o che sono in corso di approvazione proprio sui medesimi argomenti che sono oggetto del ddl: ingressi per lavoro, ricongiungimenti familiari, standard minimo per l’esame delle domande di asilo, status degli stranieri titolari di un permesso di lungo periodo ecc.

 

     4.  Dalle osservazioni generali  sopra proposte e dalle osservazioni puntuali che seguiranno si ricava la necessità di un profondo ripensamento di quel testo di ddl  sotto due profili.

     In primo luogo appare assai inopportuno adottare oggi una normativa che contrasti o non tenga conto delle norme comunitarie in vigore o di imminente adozione, anche perché  entro breve tempo l’Italia sarebbe comunque obbligata a riprendere in mano e rielaborare nuovamente tutta la materia. Occorrerebbe perciò rinviare di qualche mese ad altro ddl ben più articolato ogni modifica legislativa delle materie che siano oggetto di recenti o imminenti norme dell'Unione europea (nuovi ingressi di lavoratori stranieri, ricongiungimento familiare, asilo, status degli stranieri titolari di un soggiorno di lungo periodo). Il mancato rinvio da parte del Governo sarebbe comunque inutile, perché potrebbe comportare un prevedibile blocco o ritardo dell’esame del ddl da parte delle Camere, perché durante l’esame del Parlamento sarebbe comunque evidente la totale inadeguatezza delle nuove norme alle norme comunitarie – nel frattempo entrate in vigore - e comporterebbe comunque un loro stralcio in vista di un loro completo ripensamento. In ogni caso anche se in sede parlamentare non si verificasse né uno stralcio, né una riformulazione del testo, è evidente che una nuova legge che dimentichi di adeguarsi alle norme comunitarie in materia avrebbe una durata di pochi mesi, perché in brevissimo termine Governo e Parlamento dovrebbero  approvare una nuova normativa per adeguare tutta la legislazione all’imponente massa di norme comunitarie alle quali l’Italia ha comunque l’obbligo di adeguarsi in virtù della sua appartenenza all’Unione europea.

    In secondo luogo per conseguire effettivamente gli scopi espressamente indicati nel programma di governo proposto agli elettori - e per evitare effetti del tutto controproducenti – occorrerebbe chiedersi se prima di addivenire a modifiche legislative non sia invece più urgente provvedere a cambiamenti nell'azione diplomatica e nell'attuazione delle norme vigenti, utilizzando a tal fine l'amplissima discrezionalità che esse lasciano al Governo in carica. Infatti non occorre alcuna nuova legge, ma è sufficiente applicare quella in vigore per potenziare la dotazione e l’organizzazione delle forze di polizia, per aumentare il numero dei centri di permanenza temporanea e assistenza,  per negoziare altri accordi bilaterali di riammissione con altri Paesi, per adottare una programmazione annuale delle quote di ingresso per lavoro improntata a criteri innovativi.

 

  5. Una legge sull’immigrazione è davvero efficace soltanto se riesce a regolare in modo lungimirante l’immigrazione. Perciò ogni legislazione sull’immigrazione risulta efficace soltanto se tiene conto delle caratteristiche oggettive che ha ogni movimento migratorio, perché se invece il suo obiettivo fosse soltanto quello di rassicurare il senso di insicurezza dei cittadini si rivelerebbe del tutto illusoria o, peggio, controproducente.

    In ogni caso poiché la materia disciplinata dal ddl riguarda aspetti essenziali dei diritti fondamentali della persona pare opportuno accantonare ogni fretta, quasi che il cambiamento in se stesso abbia chissà quali conseguenze benefiche.

   Infatti anche per la disciplina dell’immigrazione occorre evitare una prassi che è stata comune a tutti i Governi e i Parlamenti della Repubblica: illudere la pubblica opinione e/o illudersi che per ottenere un cambiamento di politiche pubbliche sia sufficiente elaborare un disegno di legge e farlo approvare dal Parlamento senza approfondire se le nuove norme siano davvero necessarie ed efficaci per ottenere gli scopi che ci si prefigge o, meglio, senza interrogarsi se davvero occorra un nuovo intervento legislativo o se invece sia più efficace e tempestiva un'impegnativa azione politica, amministrativa e diplomatica per dare una diversa o migliore attuazione alle norme vigenti.

   Il rischio è che ancora una volta un Governo proponga e il Parlamento italiano approvi leggi il cui contenuto non serve affatto a regolare efficacemente il fenomeno migratorio, ma soltanto a rassicurare gli elettori timorosi per la propria sicurezza.

   In ogni caso la storia dimostra che simili rassicurazioni sono assai effimere e controproducenti, perché quando un fenomeno migratorio è più represso si trasforma di fatto in un fenomeno meno regolare e meno controllato e ciò finisce per aumentare ancor di più la sensazione di insicurezza collettiva.

 

TITOLO I

 

 

DISPOSIZIONI IN MATERIA DI IMMIGRAZIONE

 

Articolo 1

 

(Cooperazione con stati stranieri)

 

 

 

1. Al fine di favorire le elargizioni in favore di iniziative umanitarie, di qualunque natura, al testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, sono apportate le seguenti modificazioni:

        a) all’articolo 13-bis, comma 1, alla lettera i-bis), dopo le parole “organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS)” sono aggiunte le seguenti: “ delle iniziative umanitarie, religiose o laiche, gestite da fondazioni, associazioni, comitati ed enti individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, nei Paesi non appartenenti all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico”;

          b) all’articolo 65, comma 2, alla lettera c-sexies), dopo le parole “a favore delle ONLUS” sono aggiunte le seguenti: “ , nonché le iniziative umanitarie, religiose o laiche, gestite da fondazioni, associazioni, comitati ed enti individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri ai sensi dell’articolo 13-bis, comma 1, lettera i-bis), nei Paesi non appartenenti all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico;”.

 

 

   2. Nella elaborazione dei programmi bilaterali di cooperazione e di aiuto per interventi non a scopo umanitario nei confronti dei paesi non appartenenti all’Unione europea, con esclusione delle iniziative a carattere umanitario, il Governo tiene conto anche della collaborazione prestata dai paesi interessati al contrasto delle organizzazioni criminali operanti nell’immigrazione clandestina, nello sfruttamento della prostituzione, nel traffico di stupefacenti, di armamenti, nonché in materia di cooperazione giudiziaria e penitenziaria.

 

 

3 Agli oneri derivanti dall’applicazione del comma 1, che si valutano in lire……… si provvede mediante………………

 

 

 

Norma superflua, mal formulata e inopportuna.

 

 

 

 

 

Il primo comma potrebbe entrare a far parte di norme di leggi finanziarie o tributarie.

Non si capisce il senso di una norma simile in un testo normativo che si occupa di immigrazione e di asilo.

    Se davvero si volessero incentivare le azioni di prevenzione delle cause che inducono all’emigrazione per motivi di lavoro, allora occorrerebbe prevedere espressamente che si deve trattare di elargizioni in favore di iniziative   condotte da enti aventi sede in Italia ed effettuate nei Paesi di maggiore emigrazione verso l’Italia e  finalizzate alla prevenzione delle cause che inducono all’emigrazione verso l’Italia o ad un positivo reinserimento in patria degli stranieri emigrati in Italia, secondo criteri che dovrebbero essere  definiti periodicamente nel medesimo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri che individua gli enti.

 

 

 

 

 

 

 

 

Il secondo comma è del tutto superfluo perché le misure che prevede possono essere già oggi adottate dal Ministero degli affari esteri in base alle leggi vigenti in materia di cooperazione allo sviluppo. Del resto un incentivo alla collaborazione è già espressamente previsto dalle vigenti norme del T.U. sull’immigrazione (cfr. artt. 2, 3, 19). Insistere su una forma di sanzione e non di incentivo (come le quote preferenziali o la cessione di apparecchiature per il controllo) finirebbe col penalizzare proprio quei Paesi di maggiore emigrazione e impedirebbe all’Italia di adottare politiche graduali: una forma di sanzione potrebbe invece consistere nella revoca dei benefici previsti dalla vigente legislazione sull’immigrazione (p. es. riduzione o eliminazione delle quote preferenziali di ingresso per i cittadini di quei Paesi).

  Appare comunque significativo che l’unica norma del ddl che sembra voler produrre effetti benefici nei confronti degli stranieri sia priva di copertura finanziaria.

Articolo. 2

 

(Comitato per il coordinamento ed il monitoraggio)

 

 

 

1.       Dopo l’articolo 2 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 è inserito il seguente:

 

 

 

“Articolo 2-bis

 

 (Comitato per il coordinamento e il monitoraggio)

 

 

 

 

 

1.   È istituito il Comitato per il coordinamento e il monitoraggio delle disposizioni del presente decreto.

 

2. Il Comitato è presieduto dal Presidente o dal vice Presidente del Consiglio dei ministri o da un Ministro delegato dal Presidente del Consiglio dei ministri, ed è composto dai ministri interessati ai temi trattati in ciascuna riunione.

 

 3. Per l’istruttoria delle questioni di competenza del Comitato è istituito un gruppo tecnico di lavoro presso il Ministero dell’interno, composto da rappresentanti dei Dipartimenti degli affari regionali, delle pari opportunità e delle politiche comunitarie, dell’innovazione e tecnologia, e dai Ministeri degli affari esteri, dell’interno, della giustizia, delle attività produttive, dell’istruzione, del lavoro e delle politiche sociali, della difesa, dell’economia e delle finanze, della salute, delle politiche agricole, dei beni e delle attività culturali, oltre che da un rappresentante del Ministro per gli italiani nel mondo. Alle riunioni, in relazione alle materie oggetto di esame, possono essere invitati anche rappresentanti di ogni altra pubblica amministrazione interessata all’attuazione delle disposizioni del presente decreto.

 

   4. Con regolamento, da emanare ai sensi dell’articolo 17, comma 1 della legge 23 agosto 1988, n.400, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro degli affari esteri, il Ministro dell’interno ed il Ministro per le politiche comunitarie sono definite le modalità di coordinamento delle attività del gruppo tecnico con le strutture della Presidenza del Consiglio.”.

 

 

   Norma superflua, mal formulata e di dubbia legittimità costituzionale.

 

 

   Un comitato interministeriale per il coordinamento ed il monitoraggio può essere istituito in qualsiasi momento senza che vi sia bisogno di modifiche legislative, ma con proprio decreto dal Presidente del Consiglio dei ministri in base alla legge n. 400/1988, così come è avvenuto nella precedente legislatura.

   La mera istituzione per legge di un simile organismo non può certo incrementarne l’efficacia operativa.

   Inoltre essa va in direzione opposta rispetto alla legislazione recente che mira a ridurre al minimo i comitati interministeriali.

   E’ altresì evidente che la norma sempre invece mirare a dare una priorità al Ministero dell’Interno nel coordinamento dell’indirizzo amministrativo degli altri ministeri, ma così facendo si viola l’art. 95 Cost. che conferisce tale attribuzione al solo Presidente del Consiglio dei Ministri.

  In tal senso accresce la confusione di ruoli, invece di semplificarla e di renderla conforme all’art. 95 Cost. che prevede una riserva di legge, la norma che attribuisce non alla legge, ma ad un regolamento governativo proposto dal Presidente del Consiglio dei Ministri l’individuazione delle modalità di coordinamento delle attività del gruppo tecnico con le strutture della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Un simile gruppo tecnico ben potrebbe collegarsi ad un apposito Dipartimento per l’immigrazione da istituirsi come “struttura di missione” presso la Presidenza del consiglio dei Ministri ai sensi dell’art. 7, comma 3 D. Lgs. 30 luglio 1999, n. 303.

   In ogni caso un coordinamento e un monitoraggio dell’applicazione della normativa sull’immigrazione appare lacunoso senza la presenza di rappresentanti delle regioni che hanno potestà legislativa e amministrativa in materia e perciò il gruppo tecnico o il Dipartimento dovrebbe comunque mantenere un collegamento organico con la Conferenza Stato-Regioni. 

Articolo 3

 

(politiche migratorie)

 

 

 

1)    Il comma 4, dell’articolo 3 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 è sostituito dal seguente:

 

“4. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentiti i ministri interessati, la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e  le competenti Commissioni parlamentari,  sono annualmente definite, entro il termine del 31 dicembre dell’anno precedente a quello di riferimento del decreto, sulla base dei criteri generali individuati nel documento programmatico, le quote massime di stranieri da ammettere nel territorio dello Stato per lavoro subordinato, anche per esigenze di carattere stagionale e per lavoro autonomo, tenuto conto dei ricongiungimenti familiari e delle misure di protezione temporanea eventualmente disposte ai sensi dell’articolo 20. Qualora se ne ravvisi la necessità, ulteriori decreti possono essere emanati durante l’anno. I visti di ingresso ed i permessi di soggiorno per lavoro subordinato, anche per esigenze di carattere stagionale e per lavoro autonomo, sono rilasciati entro il limite delle quote predette. In caso di mancata pubblicazione del decreto di programmazione annuale, il Presidente del Consiglio dei ministri provvede, in via transitoria, con proprio decreto, nel limite delle quote stabilite per l’anno precedente.”.

 

  Norma opportuna e in parte ambigua.

 

 

 

   Da un lato si prevede espressamente un termine per la determinazione delle quote di ingresso in Italia per lavoro; per evitare inutili slittamenti dovuti ad altre fasi della procedura (Parere parlamentare, emanazione definitiva, registrazione della Corte dei conti) sarebbe però opportuno precisare che il termine del 31 dicembre si riferisce alla pubblicazione del D.P.C.M. di determinazione.

 

   Dall’altro lato si prevede opportunamente il coinvolgimento obbligatorio della Conferenza Stato – Regioni, ma non si prevede un termine per l’espressione del parere, né la possibilità per ogni regione di esprimere il proprio dissenso e/o una esplicita proposta alternativa a quella prospettata dal Governo. 

    Né si prevede per il Presidente del Consiglio dei Ministri un termine analogo per l’emanazione del proprio decreto in caso di emanazione di una nuova determinazione delle quote.

    Quest’ultima norma appare comunque ambigua e di dubbia legittimità costituzionale perché impedisce alle Camere e alla Conferenza Stato - Regioni  di esprimere un proprio parere anche sulla scelta del Governo di non adottare una nuova determinazione delle quote di ingressi per lavoro e così di fatto consente al Governo con una scelta totalmente discrezionale di far perdere di efficacia le norme legislative in vigore in materia di ingressi per lavoro e ciò contrasta con la riserva di legge in materia di condizione giuridica dello straniero prevista dall’art. 10, comma 2 Cost.

Articolo  4

 

(permesso di soggiorno)

 

 

 

1.             Al comma 1, dell’articolo 5 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 dopo le parole “permesso di soggiorno rilasciati”, sono inserite le seguenti: “,anche per la durata,”;

 

2.             Al comma 3, dell’articolo 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 dopo le parole “la durata del permesso di soggiorno” sono aggiunte le seguenti: “non rilasciati per motivi di lavoro”.

 

3.             Al comma 3, dell'articolo 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 le lettere b) e d) sono abrogate.

 

4.             Dopo il comma 3, dell'articolo 5 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 sono inseriti i seguenti:

 

“3-bis. Il permesso di soggiorno per motivi di lavoro è rilasciato a seguito della stipula del contratto di soggiorno per lavoro di cui all’articolo 5-bis. La durata del relativo permesso di soggiorno per lavoro è quella prevista dal contratto di soggiorno e comunque non può superare:

 

a) in relazione ad uno o più contratti di lavoro stagionale la durata complessiva di nove  mesi;

 

b) in relazione ad un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato la durata di un anno.

 

c) in relazione ad un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato la durata di  due anni.

 

“3-ter. Allo straniero che dimostri di essere venuto in Italia almeno due anni di seguito per prestare lavoro stagionale può essere rilasciato, qualora si tratti di impieghi ripetitivi, un permesso pluriennale, a tale titolo, fino a tre annualità, per la durata temporale annuale di cui ha usufruito nell’ultimo dei due anni precedenti con un solo provvedimento. Il relativo visto di ingresso è rilasciato ogni anno. Il permesso è revocato immediatamente in caso di abuso.

 

3-quater.  Possono inoltre soggiornare nel territorio dello Stato gli stranieri muniti di permesso di soggiorno per lavoro autonomo rilasciato sulla base della certificazione della competente Rappresentanza diplomatica o consolare italiana della sussistenza dei requisiti previsti dall’articolo 26 del presente Testo Unico. Il permesso di soggiorno non può avere validità superiore ad un periodo di due anni.

 

3-quinquies. La rappresentanza diplomatica o consolare italiana che rilascia il visto di ingresso per motivi di lavoro, ai sensi dei commi 2 e 3 dell’articolo 4, ovvero il visto di ingresso per lavoro autonomo, ai sensi del comma 5, dell’articolo 26, ne dà comunicazione anche in via telematica al Ministero dell’interno e all’INPS per l’inserimento nell’archivio previsto dal comma 9, dell’articolo 22. Uguale comunicazione è data al Ministero dell’interno per i visti di ingresso per ricongiungimento familiare di cui all’articolo 29.

 

3 sexies Nei casi di ricongiungimento familiare, ai sensi dell’articolo 29, la durata del permesso di soggiorno non può essere superiore a  due anni”.

 

 

 

5.    Il comma 4 dell'articolo 5 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 è sostituito  dal seguente:

 

"4. Il rinnovo del permesso di soggiorno è richiesto dallo straniero al questore della provincia in cui risiede, almeno novanta giorni prima della scadenza nei casi di cui al comma 3-bis, lett.c), sessanta giorni prima nei casi di cui alla lettera b) dello stesso comma e trenta nei restanti casi, ed è sottoposto alla verifica delle condizioni previste per il rilascio e delle diverse condizioni previste dal  presente decreto. Fatti salvi i diversi termini previsti dal presente testo unico e dal regolamento di attuazione, il permesso di soggiorno è rinnovato per una durata non superiore a quella stabilita con rilascio iniziale.".

 

 

 

6.    Il comma 8, dell'articolo 5 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 è sostituito dal seguente:

 

"8. Il permesso di soggiorno e la carta di soggiorno di cui all'articolo 9 sono rilasciati mediante utilizzo di mezzi a tecnologia avanzata con caratteristiche anticontraffazione conformi ai tipi da approvare con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro per l’innovazione e le tecnologie in attuazione dell'azione comune adottata dal Consiglio dell'Unione europea il 16 dicembre 1996, riguardante l'adozione di un modello uniforme per i permessi di soggiorno.”.

 

7. Dopo il comma 8, dell’articolo 5 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 è inserito il    seguente:

 

“8-bis. Chiunque redige un permesso di soggiorno, un contratto di soggiorno o una carta di soggiorno falsi o ne altera di autentici, ovvero redige documenti falsi o ne altera di autentici al fine di determinare il rilascio di un permesso di soggiorno, di un contratto di soggiorno o di una carta di soggiorno, è punito con le pene previste dall’articolo 476 codice penale.  La pena è aumentata se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale.”.

 

  Norma in parte mal formulata o superflua o addirittura dannosa e in parte opportuna

 

 

 

  Il primo comma appare formulato in modo incomprensibile.

 

 

   Il secondo comma è superfluo perché già oggi la norma del comma 3 dell’art. 5 prevede che la parificazione della durata del permesso di soggiorno a quella prevista nel visto di ingresso si applica nei casi in cui il T.U. non preveda termini diversi e tali termini diversi sono previsti proprio in materia di permessi per motivi di lavoro.

  L’abrogazione prevista dal comma 3 appare in realtà fittizia, perché i successivi commi introdotti dal ddl ripristinano la medesima durata dei permessi di soggiorno che è prevista nella norma che si vuole abrogare.

   Il ddl riproduce in realtà  norme già in vigore.

In primo luogo la firma di un contratto di soggiorno per lavoro prima del rilascio del permesso di soggiorno prevista dal comma 3-bis  è istituto sostanzialmente analogo alla firma del contratto di lavoro subordinato prima dell'ingresso per lavoro che è già attualmente prevista dall'art. 22, comma 8 T.U.

In secondo luogo la durata dei permessi di soggiorno per lavoro prevista nel nuovo comma 3-bis è la stessa già oggi prevista dall'art. 5, comma 3, lett. b) e d) T.U., lettere che la norma del comma 1 vuole abrogare.

 

   

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  La norma del comma 3-ter appare in parte opportuna allorchè semplifica la vita del lavoratore stagionale e dell’amministrazione e prevede un permesso di soggiorno pluriennale per lavoro stagionale.

Del tutto ambiguo e di dubbia legittimità costituzionale è invece il riferimento alla revoca immediata del permesso in caso di abuso: la mancata previsione di criteri per individuare tale abuso dà all’amministrazione una discrezionalità illimitata e così viola la riserva di legge in materia di condizione giuridica dello straniero prevista dall’art. 10, comma 2 Cost.

 

 

 

 Anche la norma del nuovo comma 3 – quater appare contraddittoria perché prevede come durata del permesso di soggiorno per lavoro autonomo la medesima durata biennale che è la medesima oggi prevista nella lettera d) che il comma 3 del ddl vuole abrogare.

 

 

 

 

    La norma del nuovo comma 3-quinquies appare opportuna perchè completa la raccolta dei dati da parte dell’anagrafe informatizzata dei lavoratori extracomunitari inserendovi anche i dati di tutti coloro che prima o poi potrebbero comunque iscriversi nelle liste di collocamento e svolgere così un lavoro subordinato, cioè di tutti i tipi di visti per lavoro subordinato, stagionale e autonomo e per ricongiungimento familiare. Tuttavia per rendere davvero completa tale raccolta analoga comunicazione dovrebbe essere obbligatoria in caso di rilascio a stranieri che si trovano  regolarmente in Italia di titoli di soggiorno che consentono legalmente l’accesso al lavoro e cioè  la carta di soggiorno, il permesso di soggiorno per motivi familiari e il permesso di soggiorno per motivi di asilo.

   La  norma del nuovo comma 3-sexies prevede la medesima durata massima di 2 anni  per i permessi di soggiorno per ricongiungimento familiare, cioè proprio la medesima durata che è oggi prevista dalla lettera d) che il comma 3 del ddl vuole invece abrogare.

    Il nuovo comma 5 dell’art. 5 irrigidisce in modo inutilmente vessatorio i termini e le modalità per il rinnovo del permesso di soggiorno: anticipare da 30 a 60 e 90 giorni i termini rispettivamente previsti per la richiesta del rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato a tempo determinato e a tempo indeterminato contribuisce a ridurre ulteriormente il tempo a disposizione del lavoratore straniero per trovarsi un nuovo posto di lavoro in caso di perdita dello stesso.

   Inutilmente confusa e vessatoria è il conferimento del potere di rinnovare il permesso di soggiorno non più al Questore della provincia in cui lo straniero si trova (dimora), ma al Questore della Provincia in cui risiede: poiché non esiste l’obbligo per gli stranieri di iscrizione anagrafica e comunque l’adempimento è assai gravoso dovendosi dimostrare la dimora abituale o, in base all’art. 6 T.U., la dimora per almeno 3 mesi in un centro di accoglienza, di fatto si impedisce agli stranieri non iscritti anagraficamente di rinnovare il proprio permesso di soggiorno o si impone agli iscritti che da poco abbiano trasferito la propria dimora o abbiano fatto domanda di trasferimento di residenza, di presentarsi alla Questura del luogo  nel quale ormai non hanno più alcun legame.

   Infine la durata del permesso di soggiorno rinnovato è ridotta a metà rispetto alla durata doppia rispetto a quella del permesso inizialmente rilasciato e ciò rafforza la precarietà della condizione degli stranieri regolarmente soggiornanti.

    Il nuovo testo del comma 8 di per sé non necessariamente avrebbe richiesto una modifica di norme legislative, anche perché il Ministero dell’Interno non ha provveduto ad attuare l’Azione comune già citata dalla legge. Peraltro una simile modifica legislativa può apparire comunque inopportuna in considerazione della recente proposta della Commissione - COM (2001) 157: Proposta di Regolamento del Consiglio che istituisce un modello uniforme per i permessi di soggiorno rilasciati a cittadini di paesi terzi.

    La nuova norma penale del comma 8-bis colma una lacuna nel sistema sanzionatorio e perciò appare opportuna, ma per ragioni sistematiche dovrebbe essere collocata nell’art. 12 T.U. che già contiene molte altre norme penali dirette a contrastare ogni tipo di agevolazione dell’immigrazione illegale.

Articolo 5

 

(Contratto di soggiorno per lavoro subordinato)

 

 

 

1.Dopo l’articolo 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 è inserito il seguente articolo:

 

 

 

“Articolo 5 bis

 

(contratto di soggiorno per lavoro subordinato)

 

 

 

1. Il contratto di soggiorno per lavoro subordinato stipulato fra un datore di lavoro italiano o straniero regolarmente soggiornante in Italia e un prestatore di lavoro, cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione europea o apolide, contiene, a pena di nullità:

 

a) la garanzia da parte del datore di lavoro di una adeguata sistemazione alloggiativa per il lavoratore; 

 

 b) l’impegno al pagamento da parte del datore di lavoro delle spese di rientro del lavoratore nel Paese di provenienza.

 

2. Il contratto di soggiorno per lavoro è sottoscritto in base a quanto previsto dall’articolo 22 presso lo sportello unico per l’immigrazione della provincia nella quale risiede o ha sede legale il datore di lavoro secondo le modalità previste nel regolamento di attuazione.”.

 

   Norma superflua e controproducente

 

  L’istituzione di un "contratto di soggiorno" appare misura di scarsa concretezza ed efficacia sotto diversi profili.

   Occorre anzitutto ricordare che l’istituto in realtà riproduce in parte due norme già oggi vigenti e che lo stesso ddl riproduce nel nuovo testo dell’art. 22, comma 2 lett. b) e c).

   Infatti già oggi il datore di lavoro che intenda ottenere l’autorizzazione al lavoro per l’assunzione dall’estero di un lavoratore extracomunitario deve esibire alla direzione provinciale del lavoro (inglobata oggi nel medesimo ufficio territoriale del governo presso il quale sarebbe oggi opportunamente istituito uno sportello unico per l’immigrazione) un contratto di lavoro subordinato formato dal lavoratore prima dell'ingresso (cfr. art. 22, comma 8 T.U.) e idonea documentazione indicante le modalità della sistemazione alloggiativa per il lavoratore straniero (cfr. art. 22, comma 2 T.U.).

     La nuova norma intende però vincolare il datore di lavoro a fornire anche i mezzi per il rientro in patria del lavoratore. Tale obbligo - che nella prassi italiana fu in vigore fino al 1986 - costituisce per il datore di lavoro (si pensi ai casi del datore di lavoro domestico o dell’imprenditore individuale o dell’artigiano) un onere eccessivo e inutile e ciò irrigidisce il mercato del lavoro e finisce con l'incentivare il ricorso al lavoro illegale di stranieri che già si trovino clandestinamente in Italia.

    In ogni caso l’impegno al pagamento da parte del datore di lavoro delle spese di rientro in patria del lavoratore nel Paese di provenienza appare sostanzialmente malformulato o comunque irragionevole sia per gli ingressi di lavoratori da assumere a tempo indeterminato o determinato, i quali hanno comunque il diritto di cercarsi un nuovo posto di lavoro in caso di perdita del posto di lavoro precedente, sia per gli ingressi per lavoro stagionale, nei quali l’impegno dovrebbe essere sostenuto pro-quota da ciascuno dei datori di lavoro. 

 

Articolo 6

 

(facoltà inerenti il soggiorno)

 

 

 

Al comma 1 dell’articolo 6 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, dopo le parole “prima della sua scadenza,” inserire le seguenti: “e previa stipula del contratto di soggiorno per lavoro ovvero il rilascio della certificazione della sussistenza dei requisiti previsti dall’articolo 26 da parte dell’ufficio territoriale del Governo competente per il luogo di residenza”.

 

   Norma inutilmente vessatoria.

 

   Appare eccessivamente oneroso e del tutto irragionevole che il datore di lavoro sia obbligato ad impegnarsi a fornire una sistemazione alloggiativa e i mezzi per il rientro in patria anche nel caso di straniero che già si trovi regolarmente in Italia per motivi di studio, il che comunque presuppone per legge che lo studente disponga di mezzi finanziari e di un alloggio.

   Si scoraggia così l’ingresso nel mercato del lavoro regolare dello studente che abbia magari terminato i suoi studi in Italia e così si incentiva ancora una volta il ricorso al lavoro illegale.

Articolo 7

(sanzioni per l’inosservanza degli obblighi di comunicazione dell’ospitante e del datore di lavoro)

 

 

 

 

 

 

 

1. All’articolo 7 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, dopo il comma 2 è aggiunto il seguente comma:

 

“2-bis. Le violazioni delle disposizioni di cui al presente articolo sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire trecentomila a lire due milioni.”.

 

 

   Norma inutilmente vessatoria.

  

   Essa ripristina la sanzione pecuniaria (come già prevedeva l’abrogato art. 147 del  T.U. Leggi di P.S.) nel caso di mancata segnalazione dell'ospitante e del datore di lavoro.

    In particolare per le comunicazioni dei datori di lavoro si tratta di un'inutile duplicazione di adempimenti (in base alle norme generali vigenti già ogni datore di lavoro deve fare entro 5 giorni dall’assunzione la denuncia della stipulazione del contratto di lavoro ai servizi per l’impiego) che invece potrebbero essere sostituiti da comunicazioni tra i servizi per l’impiego e le Questure, che comporta un irrigidimento che contrasta con la ripetuta esigenza di flessibilità del mercato del lavoro.

Articolo 8

 

(Carta di soggiorno)

 

 

 

1.              Al comma 1 dell'articolo 9 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 le parole "cinque anni" sono sostituite dalle seguenti: “sei anni”.

 

 

   Norma del tutto inutile, dannosa e immotivata.

 

   L'elevamento da 5 a 6 anni della durata del soggiorno regolare quale presupposto richiesto per il rilascio della carta di soggiorno  contrasta con gli scopi di integrazione sociale degli stranieri regolarmente soggiornanti e dunque appare un irrigidimento inutile, anche perché lo stesso art. 9 T.u. prevede che non è sufficiente il soggiorno ininterrotto per ottenere il rilascio della carta, ma  che lo straniero deve avere altri requisiti (reddito, alloggio, parentela ecc.). Perciò appare un presupposto indimostrato l’affermazione contenuta nella relazione illustrativa al ddl secondo la quale “appare questo un periodo di tempo più congruo per poter giudicare il complessivo inserimento dello straniero”.

    Inoltre la norma potrebbe rivelarsi del tutto inutile perché tra poco tutta la disciplina della carta di soggiorno dovrebbe essere rivista dal legislatore al fine di adeguarla alle complesse norme della recente proposta di direttiva della Commissione europea sui soggiorni di lunga durata, il cui presupposto di durata massima prevista è proprio 5 anni. Cfr. Proposta della Commissione COM (2001) 127: Proposta di direttiva del Consiglio relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano residenti di lungo periodo (la Commissione propone che ogni Stato membro debba adeguare il proprio ordinamento entro il 31 dicembre 2003).

    Infine la norma del ddl appare in controtendenza con le recenti leggi di altri Paesi europei che prevedono il periodo di 6 anni come presupposto non già per il rilascio di un titolo di soggiorno di lunga durata, bensì per la concessione della cittadinanza.

 

     Da ultimo non si comprende per quale motivo il compito di provvedere al rilascio della carta di soggiorno, che è titolo di soggiorno di lungo periodo, non possa essere utilmente conferito al neo-istituito Sportello unico per l’immigrazione presso gli uffici territoriali del Governo, seguendo modalità di scambio di informazione con la Questura analoghe a quelle previste dallo stesso ddl per i nulla-osta per i ricongiungimenti familiari.

 

 

 

Articolo 9

 

(Coordinamento dei controlli di frontiera)

 

 

 

 

 

1.              Dopo il comma 1 dell'articolo 11 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 è inserito il seguente:

 

“1.-bis Il Ministro dell’interno, sentito, ove necessario, il Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica emana le misure necessarie per il coordinamento unificato dei controlli sulla frontiera marittima e terrestre italiana. Il Ministro dell’interno promuove altresì apposite misure di coordinamento tra le autorità italiane competenti in materia di controlli sull’immigrazione e le autorità europee competenti in materia di controlli sull’immigrazione ai sensi dell’Accordo di Schengen, ratificato con legge 30 settembre 1993, n.388.”.

 

 

Norma in parte superflua e di dubbia legittimità costituzionale.

 

   L’adozione di misure di coordinamento è  facoltà che già oggi può essere realizzata: in base al vigente comma 3 dell’art. 11 T.U.  le direttive per il coordinamento dei controlli di frontiera devono essere adottate dal Ministro dell’Interno, il quale – prima di adottarle - di per sé può sempre avvalersi del Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica, senza che occorra alcuna nuova norma legislativa.

 Opportuna è invece la previsione di un compito di promuovere misure di coordinamento tra le autorità italiane competenti in materia di controlli sull’immigrazione e le competenti autorità europee. Tuttavia è di dubbia legittimità costituzionale che tale compito debba essere affidato al ministro dell’Interno e non al Presidente del Consiglio dei Ministri al quale soltanto spetta in base all’art. 95 Cost. il compito di promuovere e coordinare l’attività dei ministri.

Articolo 10

 

(Disposizioni contro le immigrazioni clandestine)

 

 

 

1. All’articolo 12, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, dopo le parole “nel territorio dello Stato” sono inserite le seguenti: “ovvero l’ingresso degli stranieri, presenti illegalmente in Italia, nel territorio di un altro Stato”.

 

 

 

2. Il comma 3 dell'articolo 12 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 è sostituito dal seguente:

 

3.“Chiunque compia attività dirette a favorire l’ingresso degli stranieri nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni del presente decreto al fine di lucro o in concorso con due o più persone utilizzando servizi di trasporto internazionale o documenti contraffatti ovvero quando il fatto riguarda l’ingresso di cinque o più persone è punito con la pena della reclusione da quattro a dodici anni e la multa di lire trenta milioni per ogni straniero di cui è stato favorito l’ingresso in violazione del presente testo unico.”

 

 

 

3. Dopo il comma 3 dell’ art. 12 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 sono inseriti i seguenti:

 

3-bis “Chiunque compia attività dirette a favorire l’ingresso degli stranieri nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni del presente Testo Unico al fine di reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione, è punito con la reclusione da 5 a quindici anni e con la multa di lire cinquanta milioni per ogni straniero di cui è stato favorito l’ingresso in violazione delle norme del presente Testo Unico.”

 

3-ter. : “Alle persone condannate per i fatti di cui ai commi 3 e 3-bis si applicano le disposizioni dell’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n.354.”

 

 

 

4. Dopo il comma 9 dell'articolo 12 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n.286 sono inseriti i seguenti:

 

" 9-bis. La nave italiana in servizio di polizia, che incontri nel mare territoriale, o nella zona contigua, una nave, che si ha fondato motivo di ritenere che sia adibita o coinvolta nel trasporto illecito di migranti,  può fermarla, sottoporla ad ispezione  e, se vengono rinvenuti elementi che confermino il coinvolgimento della nave in un traffico di migranti, sequestrarla, conducendo la stessa in un porto dello Stato.

 

9 ter. I poteri di cui al comma 9-bis possono essere esercitati al di fuori delle acque territoriali, da parte delle navi da guerra nei limiti consentiti dalla legge, dal diritto internazionale o da accordi bilaterali o multilaterali, se la nave batte la bandiera nazionale o anche quella di altro Stato

 

9-quater. Le disposizioni di cui ai commi 9-bis e 9-ter si applicano, in quanto compatibili, anche per i controlli concernenti il traffico aereo".

 

   Le nuove disposizioni penali e processuali contro le immigrazioni clandestine sembrano riprodurre misure già proposte nella precedente legislatura, ma appaiono comunque opportune, anche se le norme sono spesso malformulate e presentano gravi lacune .

 

  Opportuna è la previsione del reato di favoreggiamento dell'ingresso a fine di transito verso altri Stati così ponendo fine alla controversa interpretazione riduttiva data dalla giurisprudenza della fattispecie già oggi prevista dall'art. 12 T.U. Tuttavia la norma appare di dubbia efficacia perché punisce il favoreggiamento dell’ingresso illegale in altri Stati soltanto di stranieri che si trovavano illegalmente in Italia e non già di qualunque straniero.

  Opportuna è la trasformazione da circostanza aggravante a  autonome figure di reato dei delitti oggi previsti dall’art. 12, comma 3 T.U. Tuttavia la norma appare malformulata perché nella norma oggi vigente l’utilizzo di mezzi di trasporto internazionale o di documenti contraffatti costituisce un’autonoma figura, sicchè se non si aggiungesse prima della parola “utilizzando” la parola “ovvero” si punirebbe in modo più lieve di oggi il favoreggiamento dell’ingresso a fine di lucro o in concorso con due o più persone che avvenga senza utilizzare mezzi di trasporto di linea o documenti contraffatti. 

 

  Opportuna, ma assai malformulata e lacunosa è la trasformazione da circostanza aggravante a  autonome figure di reato dei delitti più gravi oggi previsti e puniti dall’art. 12, comma 3 T.U, ultima parte. Assai gravi appaiono però le lacune.

   In primo luogo stupisce che si sopprima la norma vigente che punisce nel modo più duro il favoreggiamento dell’ingresso illegale di minori da impiegare in attività illecite per favorirne lo sfruttamento. Si tratterebbe di ipotesi che sarebbero punite alla stregua di un semplice favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

   In secondo luogo un ulteriore rafforzamento della lotta allo sfruttamento dell’immigrazione clandestina potrebbe giungere dall’introduzione di altre misure:

-  l’estensione della fattispecie del comma 3-bis al favoreggiamento del soggiorno illegale di prostitute e minori (spesso è difficile riuscire a provare che colui che sfrutta il soggiorno illegale dello straniero clandestino – prostituta, minore o criminale -  sia anche la medesima persona che ne ha favorito l’ingresso illegale) e al favoreggiamento dell’ingresso o del soggiorno illegale di stranieri destinati a commettere uno dei gravi delitti menzionati nell’art. 407, comma 2 lett. a) cod. proc. pen. (delitti contro la personalità dello Stato o traffico internazionale di armi o di stupefacenti, commercio di schiavi, prostituzione minorile, omicidi, atti di contrabbando ecc.) o di veicoli rubati;

 -  L’introduzione nel codice penale di una circostanza aggravante comune destinata a colpire specificamente i delitti compiuti in Italia ai danni di o ad opera di straniero che era presente illegalmente sul territorio nazionale.

  Inoltre stupisce che nessuna norma del ddl colga l’occasione per provvedere ad adeguare le sanzioni attualmente previste nei confronti dei vettori che trasportano stranieri clandestini alle recenti norme della Direttiva 2001/51/CE del Consiglio, del 28 giugno 2001, che integra le disposizioni dell'articolo 26 della convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen del 14 giugno 1985, alle quali ogni Stato membro deve comunque adempiere entro l’11 febbraio 2003.

 

   Opportune sono tutte le altre norme sul fermo e sull’ispezione di natanti e aereomobili sui quali si sospetta il trasporto illegale di stranieri.

Articolo 11

 

(espulsione amministrativa)

 

 

 

1. II comma 3, dell’articolo 13 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n.286 è sostituito dal seguente:

 

" 3. L'espulsione è disposta in ogni caso con decreto motivato immediatamente esecutivo, anche se sottoposto a gravame o impugnativa da parte dell'interessato. Quando lo straniero è' sottoposto a procedimento penale e non si trova in stato di custodia cautelare in carcere, il questore, prima di eseguire l'espulsione, richiede il nulla osta all'autorità giudiziaria, che può negarlo solo in presenza di inderogabili esigenze processuali valutate in relazione all'accertamento della responsabilità di persone concorrenti nei reato o imputate in procedimenti per reati connessi, e all'interesse della persona offesa. In tal caso l'esecuzione del provvedimento è sospesa fino a quando l'autorità giudiziaria comunica la cessazione delle esigenze processuali. Il questore, ottenuto il nulla osta, provvede all'espulsione con le modalità di cui al comma 4. Il nulla osta si intende concesso qualora l'autorità giudiziaria non provveda entro quindici giorni dalla richiesta. In attesa della decisione sulla richiesta di nulla osta, il questore può adottare la misura del trattenimento presso un centro di permanenza temporaneo, a norma dell'articolo 14.”.

 

 

 

2.Dopo il comma 3, dell’articolo 13 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 sono inseriti i seguenti:

 

" 3 bis. Nel caso di arresto in flagranza o di fermo, il giudice rilascia il nulla osta all'atto della convalida, salvo che applichi la misura della custodia cautelare in carcere ai sensi dell'articolo 391, comma 5 del codice di procedura, o che ricorra una delle ragioni per le quali il nulla osta può essere negato ai sensi del comma 3.

 

3 ter. Le disposizioni di cui al comma 3 si applicano anche allo straniero sottoposto a procedimento penale, dopo che sia stata revocata o dichiarata estinta per qualsiasi ragione la misura della custodia cautelare in carcere applicata nei suoi confronti. Il giudice, con lo stesso provvedimento con il quale revoca o dichiara l'estinzione della misura, decide sul rilascio del nulla osta all'esecuzione dell'espulsione. Il provvedimento è immediatamente comunicato al Questore.

 

3 quater. Nei casi previsti dai commi 3, 3 bis e 3 ter, il giudice, acquisita la prova dell'avvenuta espulsione, se non è ancora stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio, pronuncia sentenza di non luogo a procedere. E' sempre disposta la confisca delle cose indicate nel secondo comma dell'articolo 240 del codice penale. Si applicano le disposizioni di cui ai commi 13 e 14.

 

3 quinquies. Se lo straniero espulso rientra illegalmente nel territorio dello Stato prima del termine previsto dal comma 14 ovvero, se di durata superiore, prima del termine di prescrizione del reato più grave per il quale si era proceduto nei suoi confronti, si applica l'articolo 345 del codice di procedura penale. Se lo straniero era stato scarcerato per decorrenza dei termini di durata massima della custodia cautelare, quest'ultima è ripristinata a norma dell'articolo 307 del codice di procedura penale.

 

3    sexies. Il nullaosta all’espulsione non può essere concesso qualora si proceda per uno o più delitti previsti dall'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, nonché dall’articolo 12 del presente decreto. ".

 

 

 

3. Il comma 4, dell’articolo 13 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 è sostituito dal seguente : 

 

“4. L’espulsione è sempre eseguita dal Questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica ad eccezione dei casi di cui al comma 5.”.

 

 

 

4. Il comma 5, dell’articolo 13, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 è sostituito dal seguente:

 

“5. Nei confronti dello straniero che si è trattenuto nel territorio dello Stato quando il permesso di soggiorno è scaduto di validità da più di sessanta giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo, l’espulsione contiene l’intimazione a lasciare il territorio dello Stato entro il termine di quindici giorni.  Il questore dispone l’accompagnamento immediato alla frontiera dello straniero, qualora il prefetto rilevi il concreto pericolo che quest’ultimo si sottragga all’esecuzione del provvedimento.”.

 

 

 

5. Il comma 8 dell'articolo 13 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 è sostituito dal seguente:

 

"8. Avverso il decreto di espulsione può essere presentato unicamente il ricorso al tribunale in composizione monocratica del luogo in cui ha sede l’autorità che ha disposto l’espulsione. Il termine è di sessanta giorni dalla data del provvedimento di espulsione. Il tribunale in composizione monocratica accoglie o rigetta il ricorso, decidendo con unico provvedimento adottato, in ogni caso, entro venti giorni dalla data di deposito del ricorso. Il ricorso di cui al presente comma può essere sottoscritto anche personalmente, ed è presentato anche per il tramite della rappresentanza diplomatica o consolare italiana nel Paese di destinazione. La sottoscrizione del ricorso, da parte della persona interessata, è autenticata dai funzionari delle rappresentanze diplomatiche o consolari che provvedono a certificarne l'autenticità e ne curano l'inoltro all'autorità giudiziaria, Lo straniero è ammesso all'assistenza legale da parte di un patrocinatore legale di fiducia munito di procura speciale rilasciata avanti all'autorità consolare. Lo straniero è altresì ammesso al gratuito patrocinio a spese dello Stato, e, qualora sia sprovvisto di un difensore, è assistito da un difensore designato dal giudice nell'ambito dei soggetti iscritti nella tabella di cui all'articolo 29 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, nonché ove necessario, da un interprete".

 

 

 

6. I commi 6, 9 e 10 dell'art. 13 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 sono abrogati:

 

 

 

7. Il comma 13, dell’articolo 13 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 è sostituito dai seguenti:

 

13. “Lo straniero espulso non può rientrare nel territorio dello Stato senza una speciale autorizzazione del Ministro dell’interno. In caso di trasgressione lo straniero è punito con la reclusione da sei mesi ad un anno ed è nuovamente espulso con accompagnamento immediato alla frontiera.

 

13bis. Nel caso di espulsione disposta dal giudice, il trasgressore del divieto di reingresso è punito con la reclusione da uno a quattro anni. La stessa pena si applica allo straniero che, già denunciato per il reato di cui al comma 13 ed espulso, abbia fatto reingresso sul territorio nazionale.

 

13ter Per i reati di cui ai commi 13 e 13bis è sempre consentito l’arresto in flagranza dell’autore del fatto e, nell’ipotesi del comma 13 bis è consentito il fermo. In ogni caso contro l’autore del fatto si procede con rito direttissimo”.

 

 

 

8. Sostituire il comma 14 dell’articolo 13 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 con il seguente:

 

“14. Salvo che sia diversamente disposto, il divieto di cui al comma 13 opera per un periodo di dieci anni. Nel decreto di espulsione può essere previsto un termine più breve, in ogni caso non inferiore a cinque anni, tenuto conto della complessiva condotta tenuta dall’interessato nel periodo di permanenza in Italia.”.

 

  

   Norma di dubbia legittimità costituzionale

 

   La nuova disciplina dell'espulsione amministrativa rende ordinario il regime dell'esecutorità dell'espulsione amministrativa stessa, salvo che nei casi di straniero a cui il permesso sia scaduto da più di 60 giorni e non ne sia stato richiesto il rinnovo, rende più certi i tempi e i criteri per il rilascio o per il rifiuto da parte dell'A.G. del nulla osta all’espulsione dello straniero sottoposto a procedimento penale, raddoppia da 5 a 10 anni il periodo di divieto di rientro (senza distinguere i diversi tipi di motivo di espulsione), trasforma il rientro illegale dell'espulso in delitto (con pene più che raddoppiate e processo per direttissima) e rende più precisi gli effetti penali e processuali di un eventuale rientro illegale dello straniero espulso.

 

    Di dubbia legittimità costituzionale è anzitutto il combinato disposto del nuovo comma 3  e del nuovo comma 3 sexies allorchè si prevede che il diniego di nulla-osta all’espulsione dello straniero debba essere negato dall’autorità giudiziaria soltanto per reati gravissimi o per esigenze processuali che comportino l’accertamento di responsabilità di persone concorrenti nel reato o imputate in procedimenti connessi o se sussiste un qualche interesse della persona offesa: così si finisce per rinunciare alla pretesa punitiva dello Stato nei confronti di stranieri clandestini che siano imputati di reati di media gravità (furti ecc.) e paradossalmente così si crea una disparità di trattamento con i cittadini italiani o gli stranieri titolari di carta di soggiorno che abbiano commesso tali reati: mentre costoro dovrebbero scontare comunque in Italia una pena detentiva, allo straniero clandestino si consente di sottrarvisi. Così invece di prevenire e reprimere i reati che riguardano beni costituzionalmente rilevanti si finisce per privilegiare ad ogni costo lo sfoltimento penitenziario e la prevenzione e repressione dell’immigrazione clandestina.

    L’esecutorietà immediata dell'espulsione amministrativa è misura che di per sè può essere legittimamente scelta dallo Stato, anche se la forma prescelta dal ddl presenta notevoli problemi di attuazione pratica e profili di incostituzionalità.

    Dal punto di vista pratico l’esecutorietà di quasi tutti i tipi di provvedimento amministrativo di espulsione prevista dai nuovi commi 4 e 5 comporta l’obbligo di provvedere all’accompagnamento alla frontiera di quasi tutti gli espulsi. Poiché però è notorio che l’esistenza di diverse difficoltà pratiche impediscono spesso l’immediato rimpatrio è evidente che l’esecutorietà dei provvedimenti amministrativi di espulsione prevista dal ddl appare fittizia perché esso non prevede alcuno stanziamento finanziario supplementare per provvedere immediatamente ad un ingente aumento del numero di centri di permanenza temporanea e assistenza nei quali si dovrebbero trattenere gli espellendi in attesa della rimozione degli impedimenti al rimpatrio. Anzi le stesse nuove norme introdotte nell’art. 13 e soprattutto nell’art. 14 rendono manifesto che il trattenimento dell’espellendo non è affatto obbligatorio, ma resta facoltativo allorchè manchi un centro di permanenza. Ciò però significa che in mancanza dell’istituzione di numerosi nuovi centri di permanenza il ddl non configura affatto un sistema di effettivo accompagnamento immediato alla frontiera per quasi tutti gli espulsi perché lo straniero espellendo in attesa del nulla-osta dell’autorità giudiziaria resta sottoposto ad un'illimitata discrezionalità dell’autorità di pubblica sicurezza che può disporne il trattenimento quando, come e se vuole e significa altresì che l’innovazione si sostanzia soprattutto in una eliminazione del tempo di 15 giorni entro i quali lo straniero oggi può impugnare il decreto di espulsione di fronte al giudice e ottenerne l’annullamento.

     Dal punto di vista costituzionale molte norme si prestano alle più gravi critiche.

    In primo luogo viola le modificazioni introdotte dal ddl violano la riserva di giurisdizione prevista dall'art. 13 Cost.: come ha confermato la sent. n. 105/2001 della Corte costituzionale l'accompagnamento immediato alla frontiera è una misura limitativa della libertà personale che deve essere sempre disposta con provvedimento motivato dell'autorità giudiziaria e/o da questa  convalidata entro 48 ore. Sarebbe dunque  conforme al sistema costituzionale soltanto  l’accompagnamento alla frontiera dello straniero disposto con provvedimento del giudice: giudice competente per il procedimento penale nell’ambito del quale lo straniero fosse detenuto oppure giudice della convalida del trattenimento. Nel primo caso il giudice sarebbe chiamato a valutare sia la sussistenza di impedimenti processuali all’esecuzione dell’espulsione, sia l’accompagnamento alla frontiera. Nel secondo caso sarebbe legittimo  prevedere un duplice trattenimento: uno provvisorio (48 + 48 ore) disposto dal questore al solo fine di impedire allo straniero di rendersi irreperibile   mentre il questore stesso fa richiesta motivata al giudice di espulsione con accompagnamento alla frontiera, e uno definitivo (30 + 30 giorni) che sarebbe disposto dal giudice entro 48 ore dalla comunicazione dell’avvenuto trattenimento provvisorio, il giudice sarebbe così chiamato a valutare a) la convalida del trattenimento provvisorio; b) la richiesta di espulsione con accompagnamento alla frontiera, c) il trattenimento definitivo.

   In secondo luogo il ddl viola la riserva rinforzata di legge prevista dall'art. 10, comma 2 Cost., nella parte in cui si viola l'art. 1 del Prot. n. 7 Conv. eur. dir. uomo del 22 novembre 1984, ratificato e reso esecutivo con legge 9 aprile 1990 n. 98, che impone di lasciare agli stranieri già regolarmente soggiornanti un termine per potersi di difendere contro l'espulsione prima che questa sia eseguita, salvo che l’espulsione sia disposta per gravi motivi di ordine pubblico.

    E’ evidente infatti che devono ritenersi regolarmente soggiornanti tutti gli stranieri espulsi ai sensi dell’art. 13, comma 2 T.U., lett. b) e c) che erano in possesso di un permesso di soggiorno prima della sua revoca o del suo annullamento  o comunque dell’espulsione sono da ritenersi  regolarmente soggiornanti e non soltanto coloro il cui permesso di soggiorno sia scaduto senza che ne sia stato chiesto il rinnovo entro 60 gg.

   In terzo luogo è comunque chiaro che in generale il diritto alla difesa dello straniero espulso è privato di ogni effettività qualora il ricorso possa essere presentato soltanto dopo che il provvedimento sia già stato eseguito. In particolare appare del tutto liberticida la norma che prevede un termine per il ricorso di 60 gg. che decorre dalla data del provvedimento di espulsione e non dalla data della comunicazione dello stesso allo straniero.

   

    Infine la nuova disciplina dell’espulsione amministrativa appare comunque carente dal punto di vista comunitario, perché omette di dare attuazione alla recente Direttiva 2001/40/CE del Consiglio, del 28 maggio 2001, relativa al riconoscimento reciproco delle decisioni di allontanamento dei cittadini di paesi terzi, alla quale ogni Stato membro dell’Unione deve adeguarsi entro il 2 dicembre 2002.

  

   

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   Assai opinabile la norma del nuovo comma 8 che da un lato aumenta da 5 a 10 anni il periodo di divieto di rientro e dall’altro sposta però dal giudice all’autorità amministrativa che dispone il provvedimento di espulsione la facoltà di disporre un eventuale riduzione del periodo di divieto di rientro: la norma si presta alle più diverse interpretazioni e conferisce una quasi illimitata discrezionalità amministrativa, per evitare le quali meglio sarebbe stato mantenere la vigente norma che prevede un generale periodo di divieto di rientro (la cui durata ben potrebbe essere differenziata a seconda del tipo di espulsione), riducibile soltanto dal giudice e soltanto su richiesta dell’interessato.

Articolo 12

 

(Esecuzione dell'espulsione)

 

 

 

1.         “Il comma 5 dell’articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 è sostituito dal seguente:

 

“5. La convalida comporta la permanenza nel centro per un periodo di complessivi trenta giorni. Qualora l’accertamento dell’identità e della nazionalità, ovvero l’acquisizione di documenti per il viaggio presenti gravi difficoltà, il giudice, su richiesta del questore, può prorogare il termine di ulteriori trenta giorni. Anche prima di tale termine, il questore esegue l’espulsione o il respingimento, dandone comunicazione senza ritardo al giudice”.

 

2. Dopo il comma 5 dell’articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n.286 sono aggiunti i seguenti:

 

“5-bis  Quando non sia stato possibile trattenere lo straniero presso un centro di permanenza temporanea ovvero siano trascorsi i termini di permanenza senza aver eseguito l’espulsione o il respingimento il questore ordina allo straniero  di lasciare il territorio dello Stato entro il termine di cinque giorni.

 

5-ter. Lo straniero che senza giustificato motivo si trattiene nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine impartito dal questore ai sensi del comma precedente, è punito con la reclusione da sei mesi ad un anno. In tale caso si procede a nuova espulsione con accompagnamento  alla frontiera a mezzo della forza pubblica.

 

5-quater. Lo straniero, nuovamente espulso ai sensi del comma 5 ter, che si trattiene senza giustificato motivo nel territorio dello Stato, è punito con la reclusione da uno a quattro anni.

 

5 quinquies Per i reati previsti ai commi 5 ter e 5 quater è obbligatorio l’arresto dell’autore del fatto e si procede con rito direttissimo. Al fine di assicurare l’esecuzione dell’espulsione, il questore può disporre i provvedimenti di cui al comma 1 del presente articolo.”.

 

Norme di dubbia legittimità costituzionale e di scarsa efficacia.

 

   Il raddoppio a 60 giorni del termine massimo del trattenimento nei centri di permanenza dello straniero espulso o respinto e la previsione di una sanzione penale per lo straniero uscito dal centro alla scadenza che non lasci il territorio nazionale, con ulteriore espulsione coattiva, sono misure che da sole sono di assai dubbia efficacia.

   Se infatti il problema è la difficoltà di identificazione della persona da allontanare allora tale problema resterà anche dopo che lo straniero sia dimesso dal centro e dunque nessun rimedio all'ineffettività dell’esecuzione dei provvedimenti di allontanamento dal territorio dello Stato è efficace se non è accompagnato dall'effettiva stipulazione ed entrata in vigore di precisi accordi di riammissione con i Paesi di origine. Con i Paesi con cui simili accordi sono in vigore appare più che sufficiente l'attuale termine massimo di trattenimento di 30 giorni.

   Tuttavia per stipulare tali accordi non occorre alcuna modifica legislativa, bensì una forte azione diplomatica del Governo nei confronti dei Governi di quei Paesi.

   In tal senso la norma si rivela inutilmente costosa, sia sotto il profilo della restrizione della libertà personale, sia sotto il profilo degli aggiuntivi oneri finanziari da sostenere per l'estensione del numero dei centri di permanenza, che invece l’art. 26 ddl finge non esistano.

   Il nuovo comma 5-bis inoltre rende evidente che è del tutto illusoria l’esecutività dei provvedimenti amministrativi di espulsione che l’art. 11 ddl prevede di generalizzare, perché in realtà i provvedimenti potranno comunque restare ad esecuzione differita qualora non sia stato possibile trattenere lo straniero in un centro di permanenza temporanea  (prevedibilmente per mancanza di spazi e/o di centri).

   Pertanto appaiono inutilmente vessatorie le norme dei commi 5-ter, 5-quater e 5-quinquies: si vuole incarcerare e punire penalmente lo straniero che resta illegalmente sul territorio dello Stato “senza giustificato motivo”. Infatti poiché le stesse nuove norme prevedono il caso dell’espulsione eseguita con la mera intimazione a lasciare il territorio nazionale entro 5 giorni quando non è stato possibile trattenere lo straniero in un centro di permanenza è evidente che si finirebbe per arrestare e trasferire nel circuito penitenziario stranieri espulsi che privi di alcun altro mezzo finanziario non hanno lasciato il territorio dello Stato per il solo motivo che lo Stato stesso non ha provveduto a dotarsi di un numero adeguato di centri di permanenza per dare effettività all’espulsione. Le conseguenze devastanti di un’immissione di stranieri nel circuito penitenziario già sovraffollato sono evidenti e non è affatto chiaro che tutto ciò si traduca in un aumento dell’effettività dei provvedimenti di espulsione.

 

Articolo 13

(Espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione)

 

 

 

1. L’articolo 16 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n.286 è sostituito dal seguente:

 

 

 

“Articolo 16

 

Espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione

 

 

 

1. Il giudice, nel pronunciare sentenza di condanna per un reato non colposo o nell'applicare la pena su richiesta ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale nei confronti dello straniero che si trovi in taluna delle situazioni indicate nell'articolo 13, comma 2, quando ritiene di dovere irrogare la pena detentiva entro il limite di due anni e non ricorrono le condizioni per ordinare la sospensione condizionale della pena ai sensi dell'articolo 163 del codice penale né le cause ostative indicate nell'articolo 14, comma 1, del presente testo unico, può sostituire la medesima pena con la misura dell'espulsione per un periodo non inferiore a cinque anni.

 

2. L'espulsione di cui al comma 1 è eseguita dal questore anche se la sentenza non è irrevocabile, secondo le modalità di cui all'articolo 13, comma 4.

 

3. L’espulsione di cui al comma 1 non può essere disposta nei casi in cui la condanna riguarda uno o più delitti previsti dall’articolo 407, comma 2, lettera a) del codice di procedura penale, ovvero i delitti previsti dal presente decreto, puniti con pena edittale superiore nel massimo a due anni.

 

4. Se lo straniero espulso a norma del comma 1 rientra illegalmente nel territorio dello Stato prima del termine previsto dal comma 14, dell’articolo 13, la sanzione sostitutiva è revocata dal Giudice competente.

 

5. Nei confronti dello Straniero detenuto, che si trova in taluna delle situazioni indicate nell’articolo 13, comma 2, che deve scontare una pena detentiva, anche residua, non superiore a due anni, è disposta l’espulsione, sempre che ne sia certa l’identità. L’espulsione non può essere disposta nei casi in cui la condanna riguarda uno o più delitti previsti dall’articolo 407, comma 2, lettera a) del codice di procedura penale, ovvero i delitti previsti dal presente decreto.

 

6. Competente a disporre l’espulsione di cui al comma 5 è il magistrato di sorveglianza, che decide con decreto motivato, senza formalità, acquisite le informazioni degli organi di polizia sull’identità e sulla nazionalità dello straniero. Il decreto di espulsione è comunicato allo straniero che, entro il termine di dieci giorni, può proporre opposizione dinanzi al tribunale di sorveglianza. Il tribunale decide nel termine di venti giorni.

 

7. L’esecuzione del decreto di espulsione di cui al comma 5 è sospesa fino alla decorrenza dei termini di impugnazione o della decisione del tribunale di sorveglianza e, comunque, lo stato di detenzione permane fino a quando non siano stati acquisiti i necessari documenti di viaggio. L’espulsione è esguita dal questore competente per il luogo di detenzione dello straniero con la modalità dell’accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica. 

 

8. La pena è estinta alla scadenza del termine di dieci anni dall'esecuzione dell'espulsione di cui al comma 5, sempre che lo straniero non sia rientrato illegittimamente nel territorio dello Stato. In tale caso, lo stato di detenzione è ripristinato e riprende l'esecuzione della pena.

 

     

   La nuova norma riproduce il medesimo testo dei due commi dell’art. 16 T.U. oggi vigente e ne aggiungono altri che introducono, a fianco della espulsione dello straniero clandestino che debba essere condannato per reati lievi, una vera e propria espulsione come misura alternativa alla detenzione, disposta dal magistrato di sorveglianza da disporsi nei confronti dello straniero  che debba scontare una pena detentiva anche residua di non più di due anni.

 

   Una simile nuova misura appare in sé opportuna qualora si ritenga preminente rispetto all’interesse alla pretesa punitiva dello Stato  l’interesse allo sfoltimento dell’affollamento di stranieri irregolari nell’ambito del sistema penitenziario ed è comunque circondata da un minimo di garanzie giurisdizionali e di difesa.

 

     Opportunamente la norma precisa gli effetti processuali di un eventuale rientro in Italia dello straniero espulso.

 

     In ogni caso per dare effettività ai diritti fondamentali di cui comunque è titolare anche lo straniero detenuto e che potrebbero essere messi in concreto pericolo da un eventuale rimpatrio in un Paese che non li rispetti occorrerebbe prevedere espressamente che le ipotesi previste dal nuovo articolo non sono applicabili agli stranieri che si trovino nelle condizioni per le quali l’art. 19 T.U. prevede un divieto di espulsione.

 

Articolo 14

 

(Determinazione dei flussi di ingresso)

 

 

 

1.Al comma 1, dell’articolo 21 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n.286 dopo le parole: “quote riservate” sono inserite le seguenti: “ ai lavoratori di origine italiana per parte di almeno uno dei genitori fino al terzo grado in linea retta di ascendenza, residenti in Paesi non comunitari, nonché”.

 

 

 

2.Dopo il comma 4 dell'art.21 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 è inserito il seguente:

 

"4-bis. Il decreto annuale ed i decreti infrannuali devono altresì essere predisposti in base ai dati sulla effettiva richiesta di lavoro suddivisi per regioni, province e comuni, elaborati dall’anagrafe informatizzata istituita presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali di cui al comma 7. Il regolamento di attuazione prevede possibili forme di collaborazione con altre strutture pubbliche e private, nei limiti degli ordinari stanziamenti di bilancio.”.

 

 

   Norme malformulate o di difficile applicabilità.

 

    L’introduzione di quote riservate di ingressi per lavoro a stranieri oriundi italiani appare senz’altro opportuna perché da un lato coglie un’esigenza di rientro sempre più diffusa tra alcune collettività italiane all’estero e dall’altro lato consente l’ingresso di persone la cui ascendenza italiana fa presumere un grado maggiore di conoscenza della lingua italiana e dunque una maggiore probabilità di inserimento nel mondo del lavoro italiano.

   Tuttavia la norma appare malformulata perché non applica una terminologia analoga a quella prevista dalle norme vigenti in materia di cittadinanza italiana. Perciò invece di “lavoratori di origine italiana per parte di almeno uno dei genitori fino al terzo grado in linea retta di ascendenza, residenti in Paesi non comunitari” occorreva riferirsi a stranieri residenti in Paesi non appartenenti all’Unione europea, i cui ascendenti in linea retta fino al terzo grado sono stati cittadini italiani”.

    Resta peraltro l’interrogativo di quale possa essere l’applicabilità concreta di una simile norma poiché si stima che oggi nel mondo vivano circa 60 milioni di persone oriunde italiane.

 

    La suddivisione per regioni, province e comuni della determinazione dei flussi di ingresso appare irrealizzabile sotto diversi profili.

    In primo luogo è noto che nel vigente ordinamento i fabbisogni lavorativi sono rilevati a livello provinciale. La rilevazione su base provinciale corrisponde alle caratteristiche oggettive del mercato del lavoro che soprattutto nelle aree produttive più dinamiche o nelle zone metropolitane ha una forte mobilità nel tempo e nello spazio.

   In secondo luogo non si comprende quale sia l'efficacia di tale suddivisione territoriale, se cioè finisca per limitare in modo incostituzionale la libertà di circolazione e soggiorno nelle diverse zone del territorio italiano degli stranieri regolarmente soggiornante o la loro possibilità di instaurare rapporti di lavoro.

 

Articolo 15

 

 (Lavoro subordinato a tempo determinato e indeterminato e lavoro autonomo)

 

 

 

1.    L’articolo 22 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n.286, è sostituito dal seguente:

 

 

 

“Articolo 22

 

(Lavoro subordinato a tempo determinato e indeterminato)

 

1.      In ogni Provincia è istituito presso la prefettura, ufficio territoriale di Governo, uno sportello unico per l’immigrazione, responsabile dell’intero procedimento relativo all’assunzione di lavoratori subordinati stranieri a tempo determinato ed indeterminato.

 

2.    Il datore di lavoro italiano o straniero regolarmente soggiornante in Italia che intende instaurare in Italia un rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato o indeterminato con uno straniero residente all’estero deve presentare allo sportello unico per l’immigrazione della provincia di residenza:

 

a)     richiesta nominativa di nullaosta al lavoro;

 

b)    idonea documentazione relativa alle modalità di sistemazione alloggiativa per il lavoratore straniero;

 

c)     la proposta di contratto di soggiorno con specificazione delle relative condizioni, comprensiva dell’impegno al pagamento da parte dello stesso datore di lavoro delle spese di ritorno dello straniero nel paese di provenienza;

 

d)    dichiarazione di impegno a comunicare ogni variazione concernente il rapporto di lavoro.

 

3.    Nei casi in cui non abbia una conoscenza diretta dello straniero, il datore di lavoro italiano o straniero regolarmente soggiornante in Italia può richiedere, presentando la documentazione di cui alle lettere b) e c) del comma 2, il nullaosta al lavoro di una o più persone iscritte nelle liste di cui all’articolo 21, comma 5, selezionate secondo criteri definiti nel regolamento di attuazione.

 

4.   Lo sportello unico per l’immigrazione comunica le richieste di cui ai commi 2 e 3 al centro per l’impiego di cui all’articolo 4 del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n.469, competente in relazione alla provincia di residenza, domicilio o sede legale. Il centro per l’impiego provvede a diffondere le offerte per via telematica agli altri centri ed a renderle disponibili su sito Internet o con ogni altro mezzo possibile ed attiva,  gli eventuali interventi previsti dall’articolo 2 del decreto legislativo 21 aprile 2000, n.181. Decorsi venti giorni senza che sia stata presentata alcuna domanda di lavoratore nazionale o comunitario, il centro trasmette all’ufficio territoriale richiedente una certificazione negativa, ovvero le domande acquisite comunicandole altresì al datore di lavoro. Ove tale termine sia decorso senza che il centro per l’impiego abbia fornito riscontro, lo sportello unico procede ai sensi del comma 5.

 

5.   Lo sportello unico per l’immigrazione, nel complessivo termine massimo di quaranta giorni dalla presentazione della richiesta, a condizione che siano state rispettate le prescrizioni del contratto collettivo di lavoro applicabile alla fattispecie, rilascia, in ogni caso, sentito il questore, il nullaosta nel rispetto dei limiti numerici, quantitativi e qualitativi determinati a norma dell’articolo 3, comma 4 e dell’articolo 21, e, a richiesta del datore di lavoro, trasmette la documentazione agli uffici consolari, ove possibile in via telematica.. Il nullaosta al lavoro subordinato ha validità per un periodo non superiore a sei mesi dalla data del rilascio.

 

6.   Gli uffici consolari del Paese di residenza o di origine dello straniero provvedono, dopo gli accertamenti di rito, a rilasciare il visto di ingresso. Entro otto giorni dall’ingresso, lo straniero si reca presso lo sportello unico per l’immigrazione che ha rilasciato il nullaosta per la firma del contratto di soggiorno che resta ivi conservato ed, a cura di quest’ultima, trasmesso in copia all’autorità consolare competente ed al centro per l’impiego competente.

 

7.   Il datore di lavoro che omette di comunicare allo sportello unico per l’immigrazione qualunque variazione del rapporto di lavoro intervenuto con lo straniero, è punito con la sanzione amministrativa da un milione a cinque milioni di lire. Per l’accertamento e l’irrogazione della sanzione è competente il prefetto.

 

8.      Salvo quanto previsto dall'articolo 23, ai fini dell'ingresso in Italia per motivi di lavoro, il lavoratore extracomunitario deve essere munito del visto rilasciato dal consolato italiano presso lo Stato di origine o di stabile residenza del lavoratore.

 

9.      Le questure forniscono all'INPS, tramite collegamenti telematici, le informazioni anagrafiche relative ai lavoratori extracomunitari ai quali è concesso il permesso di soggiorno per motivi di lavoro, o comunque idoneo per l'accesso al lavoro; l'INPS, sulla base delle informazioni ricevute, costituisce un «Archivio anagrafico dei lavoratori extracomunitari», da condividere con le altre Amministrazioni pubbliche; lo scambio delle informazioni avviene in base a convenzione tra le Amministrazioni interessate. Le stesse informazioni sono trasmesse, in via telematica, a cura delle questure, all’ufficio finanziario competente che provvede all’attribuzione del codice fiscale.

 

10.   Lo sportello unico per l’immigrazione fornisce al Ministero del lavoro e delle politiche sociali il numero ed il tipo di nullaosta rilasciati secondo le classificazioni adottate nei decreti di cui all’articolo 3, comma 4.

 

11.    La perdita del posto di lavoro non costituisce motivo di revoca del permesso di soggiorno al lavoratore extracomunitario ed i suoi familiari legalmente residenti. Il lavoratore straniero in possesso del permesso di soggiorno per lavoro subordinato che perde il posto di lavoro, anche per dimissioni, può essere iscritto nelle liste di collocamento per il periodo di residua validità del permesso di soggiorno, e comunque, salvo che si tratti di permesso di soggiorno per lavoro stagionale, per un periodo non superiore a sei mesi. Il regolamento di attuazione stabilisce le modalità di comunicazione ai centri per l’impiego, anche ai fini dell'iscrizione del lavoratore straniero nelle liste di collocamento con priorità rispetto a nuovi lavoratori extracomunitari.

 

12.   Il datore di lavoro che occupa alle proprie dipendenze lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno previsto dal presente articolo, ovvero il cui permesso sia scaduto, revocato o annullato, è punito con l’arresto da  tre mesi ad un anno e con l’ammenda di lire cinque milioni per ogni lavoratore impiegato.

 

13. Salvo quanto previsto, per i lavoratori stagionali, dall'articolo 25, comma 5, in caso di rimpatrio il lavoratore extracomunitario conserva i diritti previdenziali e di sicurezza sociale maturati e può goderne indipendentemente dalla vigenza di un accordo di reciprocità.

 

14.   Le attribuzioni degli istituti di patronato e di assistenza sociale, di cui alla legge 30 marzo 2001, n.152, sono estese ai lavoratori extracomunitari che prestino regolare attività di lavoro in Italia.

 

15.   I lavoratori italiani ed extracomunitari possono chiedere il riconoscimento di titoli di formazione professionale acquisiti all'estero; in assenza di accordi specifici, il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sentita la commissione centrale per l'impiego, dispone condizioni e modalità di riconoscimento delle qualifiche per singoli casi. Il lavoratore extracomunitario può inoltre partecipare, a norma del presente testo unico, a tutti i corsi di formazione e di riqualificazione programmati nel territorio della Repubblica.”.

 

 

 

2. All’articolo 26, comma 5 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, è aggiunto il seguente periodo: “ La rappresentanza diplomatica o consolare rilascia, altresì, allo straniero la certificazione dell’esistenza dei requisiti previsti dal presente articolo ai fini degli adempimenti previsti dall’articolo 5, comma 3-ter per la concessione del permesso di soggiorno per lavoro autonomo.”.

 

Norma inopportuna e controproducente

 

 

   Anzitutto la norma appare del tutto inopportuna e intempestiva perché interviene su una disciplina che però dovrà comunque essere profondamente modificata di nuovo fra qualche mese per adeguarla alle norme della direttiva comunitaria in materia - cfr. Proposta della commissione europea COM (2001) 386 (01) dell’11 luglio 2001 di direttiva del Consiglio relativa alle condizioni d'ingresso e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi che intendono svolgere attività di lavoro subordinato o autonomo – direttiva delle cui complesse e assai articolate norme (alle quali la Commissione propone che ogni Paese membro si debba adeguare entro il 1 gennaio 2004) il ddl non tiene in alcun conto.

 

   Si prevede come unica modalità di ingresso per lavoro subordinato quella assai simile a quella tramite l'autorizzazione al lavoro su richiesta di un datore di lavoro italiano che già oggi all’art. 22, comma 8 T.U. impone la stipula di un contratto di lavoro tra datore di lavoro e lavoratore.

   La procedura in realtà riproduce – con qualche altro ritocco – il testo di quella già oggi prevista l'art. 22 T.U. (aggiornandola alla recente istituzione degli uffici territoriali del Governo che hanno inglobato anche le Direzioni provinciali del lavoro), ma aggiunge agli obblighi del datore di lavoro quelli di garantire le spese del rientro in patria dello straniero. Tale obbligo - che nella prassi italiana fu in vigore fino al 1986 - costituisce un onere eccessivo e inutile per il datore di lavoro e ciò irrigidisce il mercato del lavoro e finisce con l'incentivare il ricorso all'immigrazione clandestina.

   Il comma 4 ripristina anche la verifica preventiva dell’indisponibilità di altri lavoratori già iscritti nelle liste di collocamento a ricoprire il posto di lavoro richiesto. Si tratta di un meccanismo che fino al 1998 era stata la vera causa del blocco di nuovi ingressi regolari per lavoro e il vero incentivo all’ingresso illegale. E’ vero che la nuova norma richiederebbe il decorso di un termine di 20 giorni ed un meccanismo di silenzio-assenso, ma è anche vero che da un lato non si prevede alcun limite territoriale per la ricerca di altri lavoratori disponibili, e dall’altro si escludono i lavoratori extracomunitari già iscritti in Italia nelle liste di collocamento dalla possibilità di accedere al nuovo posto di lavoro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   Inoltre il comma 11 conferma che in caso di perdita del posto di lavoro lo straniero non è costretto a lasciare il territorio nazionale, ma ha diritto di restarvi per trovare un altro posto di lavoro. Tuttavia  il periodo è inopinatamente ridotto a soli 6 mesi, così dimenticando così i casi dei corsi di riqualificazione professionale ecc., e legando eccessivamente il destino dello straniero regolarmente soggiornante alle mutevoli variazioni dell'andamento del mercato del lavoro.

 

 

 

 

 

 

 

 

   La norma penale del nuovo comma 12 prevede un opportuno inasprimento della pena pecuniaria del datore di lavoro illegale, ma incorre nel medesimo errore del legislatore del 1998, perché estende la sanzione penale a tutti i casi di lavoratori stranieri privi di permesso di soggiorno per lavoro in corso di validità. Da un lato si dimentica che la legge consente comunque l’accesso al lavoro a stranieri in possesso di altri titoli di soggiorno  (carta di soggiorno, permesso di soggiorno per motivi familiari, per studio, per asilo ecc.) e dall’altro pone in capo al datore di lavoro l’onere – spesso materialmente difficile da eseguire - di verificare costantemente se il titolo di soggiorno del suo lavoratore non sia scaduto, revocato o annullato.

   Assai controproducente appare la  soppressione nel comma 13 di quella norma (già oggi vigente) che prevede la facoltà per il lavoratore straniero che rientra in patria di avere indietro i contributi previdenziali versati in suo favore maggiorati del 5% annuo. Quella facoltà è invece importantissima per disincentivare concretamente il lavoratore straniero dall’accettare il lavoro nero e per consentire a chi lo desidera un effettivo e dignitoso reinserimento in patria.

 

Articolo 16

(prestazione di garanzia per l’accesso al lavoro)

 

 

 

1. L’articolo 23  del decreto legislativo 25 luglio 1998, n.286 è sostituito dal seguente:

 

“Articolo 23

(titoli di prelazione)

 

     1. Nell’ambito di programmi approvati dal Ministero del lavoro e della solidarietà sociale e dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca e realizzati anche in collaborazione con le regioni e gli enti locali, organizzazioni nazionali degli imprenditori e datori di lavoro, nonché organismi internazionali finalizzati al trasferimento dei lavoratori stranieri in Italia ed al loro inserimento nei settori produttivi del Paese, ente ed associazioni operanti nel settore dell’immigrazione da almeno tre anni possono essere previste attività di istruzione e di formazione professionale nei paesi di origine.

    2. Gli stranieri che abbiano partecipato alle attività di cui al comma 1 sono preferiti nei settori di impiego ai quali le attività si riferiscono ai fini della chiamata al lavoro di cui all’articolo 22, commi 3, 4 e 5, secondo le modalità previste nel regolamento di attuazione del presente decreto.

    3. Il regolamento di attuazione del presente testo unico prevede agevolazioni di impiego per i lavoratori autonomi stranieri che abbiano seguito i corsi di cui al comma 1.”.

 

 

 

 

   La norma in realtà sopprime la prestazione di garanzia per inserimento nel mercato del lavoro e la sostituisce con una futura e incerta (perché rinviata a norme regolamentari) programmi di corsi di formazione professionale all’estero , la cui frequenza comporterebbe un titolo di prelazione per i nuovi ingressi per lavoro subordinato o autonomo.

 

  La soppressione della prestazione di garanzia  è del tutto inopportuna e controproducente.

 

   In generale la nuova disciplina del lavoro subordinato prevista dagli artt. 13 e 14 ddl in realtà ritorna al passato ripristinando un sistema che fino al 1998 non ha affatto limitato l'immigrazione, ma al contrario ha determinato un blocco dei nuovi ingressi regolari per lavoro e ha perciò incentivato il ricorso massiccio all'immigrazione clandestina e ha così costretto il legislatore ad intervenire nel 1987, nel 1990, nel 1995 e nel 1998 con provvedimenti di regolarizzazione.

 

   In particolare l'abrogazione degli ingressi per inserimento nel mercato del lavoro dimentica che dal punto di vista antropologico tutte le migrazioni per lavoro (inclusa quella italiana) sono avvenute non tanto attraverso le vie ufficiali, bensì attraverso la cosiddetta "catena migratoria" dei connazionali che aiutano i nuovi ingressi di amici e parenti e ne orientano l'inserimento sociale e lavorativo.

   In tal senso il fatto che nel 2000 e nel 2001 la maggioranza dei garanti (sponsors) sia stata straniera non è affatto una circostanza da guardare con sospetto (al contrario qualche sospetto di elusione potrebbe far sorgere il garante italiano...), bensì è la conferma che l'inserimento nel mercato del lavoro incanala, controlla e fa venire alla luce il naturale movimento migratorio che altrimenti si affiderebbe a canali criminali e clandestini. A ciò si aggiunga che tale canale è indispensabile per quei tipi di lavori di fiducia che esigono un incontro diretto sul territorio tra datore di lavoro e lavoratore (p. es. lavoro domestico, assistenza alle persone ecc.).

    La soppressione di tale nuova via appare dunque del tutto controproducente per chi voglia davvero prevenire efficacemente l'immigrazione clandestina.

  Neppure può essere considerata elemento che induca a ritenere inutile  l’ingresso per inserimento nel mercato del lavoro la circostanza – più volte ricordata dal Ministero del Lavoro – che al 31 dicembre 1999 erano iscritti nelle liste di collocamento oltre 200.000 extracomunitari, dei quali circa 110.000 non avevano mai lavorato. E’ infatti evidente che non si può fondare una così rilevante modifica legislativa su dati così non aggiornati e non disaggregati. Lo stesso Ministro del Lavoro e delle politiche sociali Maroni ha ordinato a Italia Lavoro un'indagine supplementare su tali disoccupati e si riserva di presentarne gli esiti e di trarne le conseguenze durante l'esame parlamentare del ddl (c'è dunque qualche spiraglio per un ripensamento). In ogni caso l'esistenza di quest'ultima massa di persone non può costituire la prova dell'inutilità e dannosità di ingressi per inserimento nel mercato del lavoro, per diversi motivi:

1)    i visti di ingresso per inserimento nel mercato del lavoro sono stati effettivamente rilasciati soltanto nel 2000 e nel 2001 e non sono più di 30.000;

2) gli stranieri in cerca di prima occupazione possono essere: a) minori che abbiano compiuto 14 anni o ex-minori di età; b) persone ricongiuntesi al familiare; c) persone che hanno regolarizzato la propria posizione nel 1998/99, ma non in tempo per poter continuare la propria attività lavorativa iniziata illegalmente; d) rifugiati

3) nessun ragionamento può fondarsi una massa indistinta di disoccupati, bensì su disoccupati suddivisi per settori, qualifiche, mansioni, zone di iscrizione ecc.;

4) è noto che per legge tutti i servizi per l'impiego sono stati trasferiti dallo Stato alle Province e sono in corso di riorganizzazione e in questi mesi del 2001 stanno procedendo ad una puntuale e radicale revisione e ripulitura delle liste di collocamento da chi non è effettivamente disponibile ad assumere immediatamente un posto di lavoro e dunque le cifre sugli iscritti al collocamento del 1999 sono ampiamente sopravvalutate.

    Alla luce di quanto sopra ricordato appare un presupposto del tutto indimostrato e indimostrabile l’affermazione contenuta nella relazione illustrativa del ddl secondo la quale la soppressione dell'istituto dello sponsor sarebbe collegata al fatto che esso “nella sua attuazione non ha raggiunto  l’ obiettivo di favorire l’ingresso nella realtà lavorativa dei lavoratori stranieri”.


    L’abrogazione dell’ingresso per inserimento nel mercato del lavoro è inutile anche perché la vigente disciplina legislativa già oggi consente al Governo la massima discrezionalità nella determinazione delle quote e dunque gli consente di adottare ogni forma di cautela contro possibili abusi, sicchè il relativo D.P.C.M. ben potrebbe di volta in volta prevedere anche limiti qualitativi, cioè p. es. limitare tali tipi di ingressi a rapporti di lavoro relativi a ben determinati settori, qualifiche e mansioni o a determinate zone del Paese in cui il tasso di disoccupazione sia inferiore alla media nazionale e/o richiedere che la garanzia sia  supportata dall’esistenza di una comprovata disponibilità a farsi carico dell’inserimento lavorativo da parte di società private di collocamento legalmente autorizzate o di associazioni o enti iscritti nel registro nazionale degli enti che operano in favore degli stranieri.

Articolo 17

 

(Lavoro stagionale)

 

1. L'articolo 24 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, è sostituito dal seguente:

 

ART. 24

(Lavoro stagionale)

 

1.   Il datore di lavoro italiano o straniero regolarmente soggiornante in Italia, o le associazioni di categoria per conto dei loro associati, che intendano instaurare in Italia un rapporto di lavoro subordinato a carattere stagionale con uno straniero devono presentare richiesta nominativa allo sportello unico per l’immigrazione della provincia di residenza ai sensi dell’articolo 22. Nei casi in cui il datore di lavoro italiano o straniero regolarmente soggiornante o le associazioni di categoria non abbiano una conoscenza diretta dello straniero, la richiesta, redatta secondo le modalità previste dall’articolo 22, deve essere immediatamente comunicata al centro per l’impiego competente, che verifica nel termine di cinque giorni l’eventuale disponibilità di lavoratori Italiani o comunitari a ricoprire l’impiego stagionale offerto. Si applicano le disposizioni dell’articolo 22, comma 3.

 

2.                 Lo sportello unico per l’immigrazione, rilascia comunque l'autorizzazione nel rispetto del diritto di precedenza maturato decorsi 10 giorni dalla comunicazione di cui al comma 1 e non oltre venti giorni dalla data di ricezione dalla richiesta del datore di lavoro.

 

3.                  L'autorizzazione al lavoro stagionale ha validità da venti giorni ad un massimo di nove mesi, in corrispondenza della durata del lavoro stagionale richiesto, anche con riferimento all’accorpamento di gruppi di lavori di più breve periodo da svolgere presso diversi datori di lavoro.

 

4.                 .II lavoratore stagionale, ove abbia rispettato le condizioni indicate nel permesso di soggiorno e sia rientrato nello Stato di provenienza alla scadenza del medesimo, ha diritto di precedenza per il rientro in Italia nell'anno successivo per ragioni di lavoro stagionale, rispetto ai cittadini del suo stesso paese che non abbiano mai fatto regolare ingresso in Italia per motivi di lavoro. Può, inoltre, convertire il permesso di soggiorno per lavoro stagionale in permesso di soggiorno per lavoro subordinato a tempo determinato o indeterminato, qualora se ne verifichino le condizioni.

 

5.                  Le Commissioni regionali tripartite, di cui all'articolo 4, comma 1, del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, possono stipulare con le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello regionale dei lavoratori e dei datori di lavoro, con le regioni e con gli enti locali, apposite convenzioni dirette a favorire l'accesso dei lavoratori stranieri ai posti di lavoro stagionale. Le convenzioni possono individuare il trattamento economico e normativo, comunque non inferiore a quello previsto per i lavoratori italiani e le misure per assicurare idonee condizioni di lavoro della manodopera, nonché eventuali incentivi diretti o indiretti per favorire l'attivazione dei flussi e dei deflussi e le misure complementari relative all'accoglienza.

 

6.                  Il datore di lavoro che occupa alle sue dipendenze, per lavori di carattere stagionale, uno o più stranieri privi del permesso di soggiorno per lavoro stagionale, ovvero il cui permesso sia scaduto, revocato o annullato, è punito ai sensi dell'articolo 22, comma 12.

 

    La norma riproduce il medesimo testo del vigente art. 24 T.U. adeguandolo ai medesimi criteri  previsti per gli ingressi per lavoro subordinato a tempo determinato o indeterminato (inclusa la criticata verifica preventiva dell’indisponibilità di altri italiani o comunitari iscritti nelle liste di collocamento).

Articolo 18

 

(Ingresso e soggiorno per lavoro autonomo)

 

 

 

1. Dopo il comma 7 dell'articolo 26 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 è aggiunto il seguente:

 

7-bis. “La condanna con provvedimento irrevocabile per alcuno dei reati previsti dalle disposizioni del Titolo III, Capo III, Sezione II della legge 22 aprile 1941, n.633 e successive modifiche e integrazioni relativi alla tutela del diritto di autore, e dagli articoli 473 e 474 del codice penale comporta la revoca del permesso di soggiorno rilasciato allo straniero e l’espulsione del medesimo con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica.”.

 

 

   La previsione dell'espulsione immediata per lo straniero che commercia, produce o distribuisce prodotti falsi e contraffatti di per sé non suscita particolari problemi, ma la norma prevista dal ddl si espone a numerose critiche.

   In primo luogo occorre precisare se l’espulsione sia da intendersi quale misura di sicurezza o pena accessoria alla condanna definitiva oppure se debba essere disposta con provvedimento amministrativo, nel qual caso essa violerebbe la riserva di giurisdizione prevista dall'art. 13 Cost.

   In secondo luogo sorgono spontanei alcuni dubbi circa la ragionevolezza e l’equità della norma sotto due profili.

   Da un lato una simile sanzione inserita in un articolo dedicato al lavoro autonomo sembra riferirsi ai soli stranieri titolari di un permesso di soggiorno per lavoro autonomo e non già ad ogni straniero titolare di qualsiasi tipo di permesso di soggiorno.

   Dall’altro lato una simile sanzione potrebbe essere efficace e ragionevole se almeno si accompagnasse ad una specifica aggravante da prevedersi nei confronti di chiunque ceda a qualsiasi titolo merce contraffatta a stranieri.

Articolo19

(attività sportive)

 

 

 

All’articolo 27 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n.286 dopo il comma 5 è aggiunto il seguente comma:

 

“5-bis. Con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, su proposta del Comitato Olimpico nazionale italiano (CONI), sentiti i Ministri dell’interno e del lavoro e delle politiche sociali, è determinato il limite massimo annuale d’ingresso degli sportivi stranieri che svolgono attività sportiva a titolo professionistico o comunque retribuita, da ripartire tra le federazioni sportive nazionali. Tale ripartizione è effettuata dal CONI con delibera da sottoporre all’approvazione del Ministro vigilante. Con la stessa delibera sono stabiliti i criteri generali di assegnazione e di tesseramento per ogni stagione agonistica.”.

 

  Norma in parte superflua e in parte costituzionalmente illegittima.

 Circa gli ingressi dall’estero di sportivi stranieri la norma appare sostanzialmente superflua: essa apparentemente  affida al Ministro per i beni e le attività culturali il compito di determinare il limite massimo annuale di ingresso degli sportivi stranieri che svolgono attività sportiva  a titolo professionistico, ma in realtà lascia la proposta all’autonoma iniziativa del CONI, cioè allo stesso organismo che oggi in base all’art. 40, comma 14 del regolamento di attuazione del T.U. è competente a  esprimere il proprio assenso all’assunzione dall’esetero di sportivi stranieri.

Qualora la previsione di limiti numerici agli sportivi extracomunitari si ritenesse applicabile anche agli stranieri che siano già regolarmente soggiornanti in Italia con un titolo di soggiorno che di per sé consente loro l’accesso al mercato del lavoro, la norma sarebbe costituzionalmente illegittima per violazione della riserva di legge rinforzata in materia di condizione giuridica degli stranieri prevista dall’art. 10, comma 2 Cost., poiché viola la parità di trattamento tra lavoratori italiani ed extracomunitari regolarmente soggiornanti prevista dalla Conv. O.I.L. n. 143 del 24 giugno 1975, ratificata e resa esecutiva con legge 10 aprile 1981, n. 158, principio ribadito dall’art. 2, comma 3 T.U. e dalla sentenza n. 454/1998 della Corte costituzionale.

 

Articolo 20

 

(Ricongiungimento familiare)

 

 

 

1.Alla lettera c), del comma 1 dell’articolo 29 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 sono aggiunte le seguenti parole: “qualora non abbiano altro figlio che provveda al loro sostentamento nel paese di origine”.

 

 

 

2. La lettera d) del comma 1, dell’articolo 29 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286, è abrogata.”

 

 

 

3. I commi 7, 8 e 9 dell’articolo 29 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 sono sostituiti dai seguenti:

 

“7. La domanda di nulla osta al ricongiungimento familiare, corredata della prescritta documentazione, è presentata allo sportello unico per l’immigrazione presso la prefettura-ufficio territoriale di Governo competente per il luogo di dimora del richiedente, la quale ne rilascia copia contrassegnata con timbro datario e sigla del dipendente incaricato del ricevimento. L’ufficio, verificata, anche mediante accertamenti presso la questura competente, l'esistenza dei requisiti di cui al presente articolo, emette il provvedimento richiesto, ovvero un provvedimento di diniego del nulla osta.

 

8. Trascorsi novanta giorni dalla richiesta del nulla osta, l'interessato può ottenere il visto di ingresso direttamente dalle rappresentanze diplomatiche e consolari italiane, dietro esibizione della copia degli atti contrassegnata dallo sportello unico per l’immigrazione,  da cui risulti la data di presentazione della domanda e della relativa documentazione.

 

9. Le rappresentanze diplomatiche e consolari italiane rilasciano altresì il visto di ingresso al seguito nei casi previsti dal comma 5.”.

 

 

 

Norma in parte inopportuna.

 

   Il primo comma  esclude dal ricongiungimento familiare i genitori che non siano a totale carico del figlio che si trova in Italia: la norma si adegua alla direttiva comunitaria di prossima adozione, ma non precisa come sia possibile dimostrare l’inesistenza di altri figlio attualmente incapaci di provvedere al sostentamento in patria.

 

  

   Il secondo comma esclude dal ricongiungimento familiare i parenti entro il terzo grado, ma si pone in radicale contrasto con la proposta di direttiva sul ricongiungimento familiare in corso di approvazione a livello dell'Unione europea che anche a tali categorie espressamente consente di ricongiungersi: cfr. Proposta della Commissione – COM (2000) 624: proposta  modificata di direttiva del Consiglio relativa al diritto al ricongiungimento familiare (presentata dalla Commissione in applicazione dell'articolo 250, paragrafo 2 del trattato CE).

   In ogni caso il ddl non coglie l’occasione per prevedere alcuna norma che recepisca e adatti l’ordinamento italiano a quella proposta di direttiva, alla quale tutti gli stati membri, una volta definitivamente approvata, dovranno conformarsi entro il 31 dicembre 2002.

L’ultima parte dell’articolo provvede opportunamente a spostare l’esame delle domande dei nulla-osta al ricongiungimento familiare dalle Questure ai nuovi Sportelli unici per l’immigrazione istituiti presso gli Uffici territoriali del Governo.

Articolo 21

 

(Centri di accoglienza e accesso all'abitazione)

 

 

 

1.              L'ultimo periodo del comma 1 dell'articolo 40 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 è soppresso.

 

 

 

2.              Dopo il comma 1 dell'articolo 40 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 è inserito il seguente:

 

"1-bis. L'accesso alle misure di integrazione sociale è riservato agli stranieri non appartenenti a paesi dell’Unione europea che dimostrino di essere in regola con le norme che disciplinano il soggiorno in Italia ai sensi del presente decreto, e delle leggi e regolamenti vigenti in materia.".

 

    Norme controproducenti e superflue.

 

   Il primo comma abroga la facoltà del sindaco di disporre l’alloggiamento di stranieri non regolarmente soggiornanti che si trovino in situazione di emergenza, che comunque era prevista ferma restando il rispetto delle norme sulla loro espulsione o respingimento. La norma appare del tutto controproducente, perché non spiega come si possa provvedere ad alloggiare costoro anche quando non siano disponibili centri di permanenza temporanea e assistenza o quando si verifichi un ingresso per motivi di calamità naturale o di disastri pubblici. Così la norma finisce per gravare di tali oneri i soli enti del “privato sociale”.

   Il secondo comma è del tutto superfluo perché già oggi gli artt. 40, 41, 42 T.U.. prevedono misure di integrazione sociale soltanto in favore di stranieri regolarmente soggiornanti.

Articolo 22

 

(aggiornamenti normativi)

 

 

 

1.              Nelle disposizioni del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 recante il testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, tutte le volte in cui ricorre la locuzione “ufficio periferico del ministero del lavoro” si intende sostituita da “prefettura - ufficio territoriale del Governo”.

 

Norma superflua.

 

   La norma prevede sostituzioni e aggiornamenti che sono già previste da altre norme generali vigenti, quelle sull’istituzione del giudice unico di primo grado (cfr. D. Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51) e sul riordino dell’organizzazione del Governo (cfr. art. 11 D. Lgs. 30 luglio 1999, n. 300).

Articolo 23

 

(disposizioni di contrasto ai matrimoni simulati)

 

 

 

1.Dopo il comma 1 dell’articolo 30 del decreto legislativo  25 luglio 1998, n.286, è aggiunto il seguente:

 

“1-bis. Il permesso di soggiorno nei casi di cui alla lettera b) del comma 1 è immediatamente revocato qualora sia accertato che al matrimonio non è seguita l’effettiva convivenza salvo che dal matrimonio sia nata prole.”.

 

Norma malformulata e di difficile applicazione.

 

  Di per sé appare ragionevole l’esigenza della prevenzione e repressione dell’uso simulato del matrimonio con cittadini italiani o comunitari al solo fine di evitare un provvedimento di espulsione e di ottenere un permesso di soggiorno.

   Tuttavia ogni intervento su tale materia deve essere effettuato con la massima cautela per non incorrere in violazione del diritto di formare una famiglia, garantito a tutti dalla Costituzione e dalle norme internazionali (cfr. art. 12 conv. eur. dir. uomo).

   Perciò non appare adeguato alla delicatezza del bene costituzionalmente tutelato affidarne la gestione all’autorità di pubblica sicurezza invece che agli ufficiali di stato civile e agli uffici del pubblico ministero che in base al codice civile sovraintendono a tutta la materia matrimoniale. Per prevenire la celebrazione in Italia di matrimoni strumentali ben si potrebbe esigere un’indagine preventiva alla celebrazione da parte del pubblico ministero su segnalazione dell’ufficiale di stato civile qualora lo straniero nubendo non sia in grado di esibire un titolo di soggiorno in corso di validità.

  In ogni caso la norma del ddl conferisce un’eccessiva discrezionalità all’autorità di pubblica sicurezza perché non prevede criteri (anche temporali) e modalità precise per l’accertamento dell’effettiva convivenza dopo la celebrazione del matrimonio.     

TITOLO II

 

Disposizioni in materia di asilo

 Tutte le norme del titolo II appaiono inopportune, intempestive e di indubbia illegittimità costituzionale

 

   In particolare le disposizioni in materia di asilo previste dall’art. 25 ddl appaiono ambigue sotto vari profili.

   In primo luogo è evidente che non si può racchiudere in soli due articoli una disciplina così delicata e complessa su un diritto costituzionalmente garantito e sulla quale sono state recentemente approvate direttive comunitarie

   In secondo luogo è evidente la grave inopportunità di provvedere a disciplinare ancora parzialmente la materia del diritto d’asilo, perché occorre e/o occorrerà comunque adattare tutta la legislazione anche alle ben più complesse ed articolate norme previste dalle direttive comunitarie recentemente  approvate in materia o in corso di approvazione:

1)    Direttiva 2001/55/CE del Consiglio, del 20 luglio 2001, sulle norme minime per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati e sulla promozione dell'equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono gli sfollati e subiscono le conseguenze dell'accoglienza degli stessi; a tale direttiva ogni Stato membro ha già oggi l’obbligo di adeguarsi entro il 31 dicembre 2002;

2)    Proposta della Commissione – COM (2000) 528: Proposta di direttiva del Consiglio recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato; (la Commissione propone che ogni Stato membro debba adeguarsi a tali norme entro il 31 dicembre 2002)

3) Proposta della Commissione – COM (2001) 181: Proposta di direttiva del Consiglio recante norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri; (la Commissione propone che ogni Stato membro debba adeguarsi a tali norme entro il 31 dicembre 2002).

    Non a caso dunque il ddl sul diritto d'asilo che era stato approvato dalla Camera il 7 marzo 2001 conteneva circa 20 articoli. Lo stralcio della disciplina complessiva del diritto d'asilo (la cui titolarità spetta non soltanto ai rifugiati) fa sì che il ddl contenga una disciplina eccessivamente sommaria (e sostanzialmente vessatoria)  dell’accesso ad un diritto soggettivo dello straniero che è il più tutelato sia a livello costituzionale, sia a livello internazionale.

    In terzo luogo è evidente che le nuove norme del ddl introducono soltanto una procedura accelerata e sommaria di pre-esame (non è chiaro come e se la procedura ordinaria potrebbe davero continuare ad essere applicabile) da parte di neo-istituite commissioni territoriali – i cui membri effettivi sarebbero soltanto funzionari governativi – le quali avrebbero il potere di adottare decisioni immediatamente esecutive ed impugnabili dal richiedente asilo con un ricorso privo di automatici effetti sospensivi prima che sia eseguito l’allontanamento coattivo dello straniero. Questi soli elementi sono da soli capaci di privare di ogni effettività il diritto d’asilo che l’articolo 10, comma 3 Cost. prevede come diritto soggettivo perfetto.

   In quarto luogo si prevede un’ulteriore notevole precarizzazione della condizione del richiedente asilo disponendone il trattenimento presso i centri di permanenza temporanea e sopprimendo la possibilità generalizzata di fruire di un contributo di prima assistenza.

    Nessuna misura è invece prevista in favore dei rifugiati riconosciuti

  In ogni caso l’effettiva applicazione delle norme introdotte dall’intero titolo II è rinviata dal nuovo art. 1-bis all’entrata in vigore di un apposito regolamento di attuazione da approvarsi entro 6 mesi dall’entrata in vigore della legge.

   Un’intera parte della nuova legislazione è dunque rinviata ad un futuro incerto e ciò non fa che confermare la necessità di uno stralcio della materia e del suo rinvio ad un organico ddl sul diritto d’asilo. Infatti è irragionevole rinviare l’entrata in vigore di una disciplina stralcio del diritto d’asilo ad un momento in cui probabilmente sarà già tempo di rivedere l’intera disciplina per adeguarla alle direttive comunitarie che nel frattempo saranno entrate in vigore.

Articolo 24

 

(permesso di soggiorno per i richiedenti asilo)

 

 

 

1.L’ultimo periodo del comma 5 dell’articolo 1 del decreto legge 30 dicembre 1989, n.416, convertito dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39 è sostituito come segue: “Il questore territorialmente competente, quando non ricorrano le ipotesi previste nei successivi articoli 1 bis e 1ter, rilascia, su richiesta, un permesso di soggiorno temporaneo valido fino alla definizione della procedura di riconoscimento”.

 

 

Articolo 25

 

(procedura semplificata)

 

 

 

Dopo l’articolo 1 del decreto legge 30 dicembre 1989, n.416, convertito con legge 28 febbraio 1990, n. 39, sono inseriti i seguenti:

 

 

 

 

 

“Articolo 1 bis

 

 

 

Il richiedente asilo non può esser trattenuto per il mero fatto di dover esaminare la domanda di asilo. Esso può, tuttavia, esser trattenuto nell’ambito del complessivo procedimento decisionale di permanenza nel territorio dello Stato, basato sulle disposizioni del Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 e comunque solo per il tempo strettamente necessario nei seguenti casi:

a)          per verificare e determinare la sua nazionalità o identità, qualora egli abbia smarrito, distrutto o comunque fatto scomparire i suoi documenti di viaggio e/o d'identità, oppure abbia, al suo arrivo nello Stato membro, presentato documenti falsi per fuorviare le autorità;

 

b)         per verificare  gli elementi su cui si basa la domanda di asilo, qualora tali elementi vadano altrimenti perduti;

 

c)          nell'ambito di un procedimento avviato per decidere se il richiedente ha il diritto di essere ammesso nel territorio dello Stato.

 

2.Il trattenimento deve sempre aver luogo nei seguenti casi:

 

a) nell’ambito della valutazione di una domanda di asilo presentata dallo straniero intercettato, suo malgrado,  in fase di elusione dei controlli di frontiera o subito dopo, o, comunque, in condizioni di soggiorno irregolare;

 

b) nell’ambito della valutazione di una domanda di asilo presentata da uno straniero già destinatario di un provvedimento di espulsione o respingimento.

 

3. Il trattenimento previsto per i casi di cui alla lettera a) del comma 2, così come quello eventuale di cui alle lettere a), b), c) del comma 1 è attuato nei centri di accoglienza per richiedenti asilo secondo le norme di apposito regolamento emanato entro 180 giorni dall’approvazione della presente legge. Il medesimo regolamento determinerà anche il numero,  le caratteristiche e le modalità di gestione di dette strutture.

 

4. Per il trattenimento  di cui alla lettera b) del comma 2 si osservano le norme di cui all’art. 14 del Decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286.

 

5. Allo scadere del periodo previsto per la procedura semplificata di cui al successivo articolo 1 ter e qualora la stessa non si sia ancora conclusa, allo straniero viene concesso un permesso di soggiorno temporaneo fino al termine della procedura stessa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Articolo 1 ter

 

 

 

Nei casi di cui alle lettere a) ed b) del comma 2 dell’articolo 1 -bis viene istituita una procedura semplificata per la definizione della istanza di riconoscimento dello status di rifugiato secondo le modalità di cui ai commi successivi.

Appena ricevuta la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato di cui alla lettera a) del comma 2 dell’articolo 1-bis, il Questore del luogo in cui la medesima richiesta è stata presentata dispone il trattenimento dello straniero interessato in uno dei Centri di accoglienza per richiedenti asilo di cui all’art. 1-bis, comma 3. Entro due giorni dal ricevimento dell’istanza, il Questore  provvede alla trasmissione della documentazione necessaria alla Commissione Territoriale per il riconoscimento dello status di rifugiato che entro 15 giorni provvede all’audizione. La decisione deve essere adottata entro i successivi tre giorni.

Appena ricevuta la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato di cui alla lettera b) del comma 2 dell’articolo 1-bis, il Questore del luogo in cui la medesima richiesta è stata presentata dispone il trattenimento dello straniero interessato in uno dei Centri di Permanenza temporanea di cui all’art. 14 del Decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286; ove già sia in corso il trattenimento, il Questore chiede al giudice unico la proroga del periodo di trattenimento per ulteriori trenta giorni per consentire l’espletamento della procedura semplificata di cui al presente articolo. Entro due giorni dal ricevimento dell’istanza, il Questore  provvede alla trasmissione della documentazione necessaria alla Commissione Territoriale per il riconoscimento dello status di rifugiato che entro 15 giorni provvede all’audizione. La decisione deve essere adottata entro i successivi tre giorni.

L’allontanamento non autorizzato dai centri di cui all’art. 1-bis, comma 4 costituisce rinuncia alla domanda.

Per le domande di riconoscimento dello status di rifugiato di cui al presente articolo, ove i tempi non lo consentano, lo Stato italiano si ritiene competente all’esame di dette domande ai sensi della Convenzione di Dublino ratificata con legge 23 dicembre 1993, n.563.

L’eventuale ricorso avverso l’esito sfavorevole della decisione della Commissione Territoriale potrà esser presentato al tribunale in composizione monocratica territorialmente competente entro 15 giorni, anche dall’estero tramite le Rappresentanze diplomatiche non sospende il provvedimento di allontanamento dal territorio nazionale. Il richiedente asilo può tuttavia chiedere al prefetto competente per territorio di poter rimanere sul territorio nazionale fino all’esito del ricorso. La decisione sfavorevole è immediatamente esecutiva.

 

 

 

 

Articolo 1-quater

 

 

 

Presso gli Ufficio Territoriali del Governo che saranno indicati con il regolamento di cui all’art. 1-bis, comma 3, sono istituite le Commissioni territoriali per il riconoscimento dello status di rifugiato. Le predette commissioni, nominate con decreto del Ministro dell’Interno, sono presiedute da un funzionario della carriera prefettizia e composte da  un funzionario della Polizia di Stato, da un rappresentante dell’ente territoriale designato dalla Conferenza unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n.281. Per ciascun componente deve essere previsto un membro supplente. Tali commissioni potranno essere integrate, su richiesta del Presidente della Commissione centrale, da un funzionario del Ministero degli affari esteri con la qualifica di membro a tutti gli effetti, ogni volte che sia necessario in relazione a particolari afflussi di richiedenti asilo, in ordine alle domande dei quali occorra disporre di particolari valutazioni in merito alla situazione dei paesi di provenienza da parte del Ministero degli affari esteri.

Entro due giorni dal ricevimento dell’istanza, il Questore  provvede alla trasmissione della documentazione necessaria alla Commissione Territoriale per il riconoscimento dello status di rifugiato che entro 30 giorni provvede all’audizione. La decisione deve essere adottata entro i successivi tre giorni.

Avverso le decisioni delle commissioni territoriali è ammesso ricorso al tribunale ordinario territorialmente competente

 

 

Articolo 1-quinquies

 

 

1.La Commissione centrale per il riconoscimento per lo status di rifugiato di cui all’articolo 2 del D.P.R. 15.5.1990, n. 136 è trasformata in Commissione nazionale per il diritto di asilo nominata con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta congiunta del Ministro dell’Interno e degli Affari Esteri. Essa è presieduta da un Prefetto ed è composta da un dirigente in servizio presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, da un funzionario della carriera diplomatica, da un funzionario della carriera prefettizia in servizio presso il Dipartimento delle Libertà Civili e dell’Immigrazione e da un dirigente del Dipartimento della Pubblica Sicurezza. Alle riunioni partecipa  un rappresentante del delegato in  Italia dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati. Ciascuna amministrazione designa, altresì, un supplente. La Commissione nazionale, ove necessario, può essere articolata in sezioni di analoga composizione.

 

 

 

2. La Commissione nazionale ha compiti di indirizzo e coordinamento delle commissioni territoriali, di formazione e aggiornamento dei componenti delle medesime commissioni, di raccolta di dati statistici oltre che poteri decisionali in tema di revoche e cessazione degli status  concessi.

 

 

 

3.Con il regolamento di cui, all’articolo 1 bis, 2^ comma, saranno fissate le modalità di funzionamento della Commissione nazionale e di quelle territoriali.

 

 

 

 

 

Articolo 1-sexies

 

 

            1.Il comma 7 dell’articolo 1 del D.L. 30 dicembre 1989 n. 416 come convertito in legge 28 febbraio 1990, n. 39, è abrogato.

 

 

 

            2.E’ prevista la possibilità di concedere contributi a richiedenti asilo in condizioni di indigenza e che non siano ospitati presso i centri di accoglienza o altre strutture finanziate dallo Stato o da enti locali, secondo le modalità che saranno stabilite con il regolamento di cui all’articolo 1 bis. 2^ comma.

 

 

 

Articolo 1-septies

 

 

            1.Fino all’emanazione del regolamento di cui all’articolo 1 bis, comma 3, rimangono in vigore le normative e le procedure attuali

 

 

 

   Si vedano le osservazioni critiche menzionate all’inizio del Titolo II.

TITOLO III

(Disposizioni di coordinamento)

 

Articolo 26

 

(norme finali)

 

(norme finanziarie)

 

  1. Nel termine di sei mesi dalla pubblicazione della presente legge nella Gazzetta Ufficiale si procede, ai sensi dell’articolo 17, comma 1 della legge 23 agosto 1988, n.400 all’emanazione delle norme di attuazione ed integrazione della presente legge, nonché alla revisione ed armonizzazione delle disposizioni regolamentari  contenute nel decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394.

 

   2. Nel termine di quattro mesi dalla pubblicazione della presente legge nella Gazzetta Ufficiale si procede, con regolamento emanato ai sensi dell’articolo 17, comma 1 della legge  23 agosto 1988, n.400 alla revisione ed integrazione delle disposizioni regolamentari vigenti sull’immigrazione, sulla condizione dello straniero e sul diritto di asilo, limitatamente alle seguenti finalità:

a)     razionalizzare l’impiego della telematica nelle comunicazioni, nelle suddette materie, tra le amministrazioni pubbliche;

b)    assicurare la massima interconnessione tra gli archivi già realizzati a riguardo o in via di realizzazione presso le amministrazioni pubbliche;

c)     promuovere le opportune iniziative per la riorganizzazione degli archivi esistenti.

 

    3. Dall’applicazione degli articoli 2, 4, 14, 15 e 16 non derivano oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato.

 

 

 

Norma malformulata, confusa e ambigua.

 

 

   Sembrano previsti due tipi di regolamenti che si trovano in posizione contraddittoria l’uno con l’altro

 

  Il primo comma prevede un nuovo regolamento di attuazione del T.U. sull’immigrazione da adottarsi entro 6 mesi.

 

  

 

 

 

 

Il secondo comma prevede un altro tipo di regolamento di “ revisione ed integrazione delle disposizioni regolamentari vigenti sull’immigrazione, sulla condizione dello straniero e sul diritto di asilo”, la cui emanazione dovrebbe avvenire entro 4 mesi e che dunque mal si concilia col regolamento previsto dal primo comma e con il regolamento di attuaizone in materia di diritto d’asilo che in base al nuovo art. 1 bis introdotto dall’art. 25 ddl dovrebbe essere a sua volta emanato entro 6 mesi dall’entrata in vigore della legge.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

    Il terzo comma afferma l’inesistenza di oneri aggiuntivi dall’entrata in vigore della nuova legge.

    Se l’affermazione corrispondesse a verità significherebbe che l’intero ddl sarebbe autoapplicativo senza costi aggiuntivi derivanti dalla necessità di istituire in tutto il territorio nazionale nuovi centri di permanenza temporanea e assistenza, di procedere ad un numero elevatissimo di rimpatri di stranieri espulsi, di  istituire in ogni provincia i nuovi sportelli unici per l’immigrazione presso gli Uffici territoriali del Governo, di istituire le nuove commissioni territoriali per il riconoscimento dello status di rifugiato e di istituire appositi centri di accoglienza in cui dovrebbero essere trattenuti i richiedenti asilo durante la procedura accelerata di riconoscimento dello status di rifugiato.

   E’ evidente che si tratta di un presupposto indimostrato che sembra invece celare una finzione necessaria per aggirare l’obbligo di copertura finanziaria delle leggi prevista dall’art. 81 Cost. e per giungere così alla presentazione del ddl.

    L’effettiva copertura finanziaria di una legge è invece il metro per misurare l’intento  di raggiungere effettivamente gli intenti perseguiti, senza illudere la pubblica opinione nella facile autoapplicazione delle nuove norme.