INASPRIMENTO DELLA NORMATIVA SULLE ESPULSIONI E
DISUMANITA' DEI CENTRI DI DETENZIONE: A CHE (CHI) SERVE LA SPIRALE REPRESSIVA
CONTRO GLI IMMIGRATI ?
Sta per essere approvato un ulteriore inasprimento
della normativa che riguarda l'espulsione e la detenzione amministrativa degli
immigrati privio di permesso di soggiorno.L'ondata emotiva seguita agli ultimi
assalti perpetrati alle ville del ricco
nord-est, e soprattutto la fase di strumentalizzazione politica interna
seguita agli agli attentati contro gli Stati Uniti, sta permettendo al governo
di fare passare nella disattenzione generale provvedimenti gravemente lesivi
dei diritti fondamentali dell'uomo, diritti che vanno riconosciuti anche a
quelli che la stampa definisce con spregio "clandestini", dimenticando
che si tratta di esseri umani che hanno lasciato alle spalle non solo affetti e
famiglie, ma anche tragedie, guerre, fame e malattie.Già a Milano,con il
rimpatrio di immigrati albanesi espulsi dalla polizia, senza possibilità
di ricorso alla magistratura, abbiamo visto gli effetti di rastrellamenti che
in questi giorni si stanno estendendo in tutta Italia, con un particolare
accanimento sui rom e su ambulanti e lavavetri privi di permesso di
soggiorno.Come al solito ci si accanisce sui più deboli, mentre
sull'onda della psicosi diffusa dai media si diffondono atteggiamenti di vero e
proprio razzismo nei confronti degli immigrati musulmani.
Dopo la legge 40 del 1998 anche in Italia sono stati
aperti numerosi centri di detenzione amministrativa ( chiamati dalla legge
" centri di permanenza temporanea ed assistenza") dove gli immigrati
al fine di una effettiva esecuzione dell'espulsione vengono internati per un
periodo massimo di trenta giorni.
In tutte le regioni italiane, ed anche in Sicilia ( a
Trapani, a Catania, ad Agrigento, a Caltanissetta,a Ragusa) questi centri
hanno"accolto" circa
diecimila immigrati all'anno, rivelandosi in realtà luogo di
disperazione e morte, con continui tentativi di fuga duramente repressi; non
sono certo serviti a rendere effettive le espulsioni: come ammette lo stesso
ministero degli interni, solo il 40 per cento degli immigrati trattenuti sono
stati effettivamente rimpatriati. Gli altri, dopo la scadenza del termine di
detenzione sono stati rimessi in libertà, con la intimazione a lasciare
il territorio nazionale. Spesso,troppo spesso, potenziali richiedenti asilo
sono stati schiacciati in una condizione di clandestinità, senza potere
fruire di interpreti, di difesa legale, di forme effettive di assistenza.
La proposta di raddoppiare il tempo di permanenza
degli immigrati in queste strutture serve solo a dare un capro espiatorio
all'opinione pubblica, ma non farà altro che aggravare la situazione
all'interno di queste strutture, già teatro di abusi e di tragedie, come
il rogo del Vulpitta di Trapani.
Nei centri di detenzione sono stati rinchiusi gli
irregolari più diversi, da quelli appena sbarcati, a coloro che avevano
perduto il permesso di soggiorno per la impossibilità a dimostrare un
reddito, a quelli che potenzialmente risultavano richiedenti asilo, fino a
quelli che, magari assolti dai magistrati, provenivano però da una
detenzione preventiva in carcere.
Promiscuità ed incertezza della normativa da
applicare ( basti pensare che le norme di attuazione vennero emanate con anni
di ritardo rispetto all'apertura dei centri) hanno prodotto numerosi casi di
autolesionismo, tentativi di fuga, abbandono di malati,anche sieropositivi,
interventi violenti da parte degli agenti di polizia, in particolare dei
reparti operativi mobili.
Quegli stessi reparti che abbiamo visto all'opera a
Genova e di cui un sindacato di polizia di Caltanissetta lamenta la partenza,
denunciando la attuale ingovernabilità del locale centro di detenzione,
proprio per la carenza di queste forze. E la struttura di Pian del Lago a
Caltanissetta, nei racconti di molti immigrati che ne sono usciti fuori, ma che
non hanno avuto il coraggio e la possibilità di sporgere denuncia,
rimane uno dei centri più "duri" di tutta Italia.
Ci siamo battuti per anni per affermare la
incostituzionalità delle procedure di espulsione e dei centri di
detenzione introdotti dalla legge 40 del 1998, ed abbiamo denunciato casi
gravissimi di violazione dei diritti fondamentali dell'uomo, come nel caso
più eclatante della tragedia del centro Serraino Vulpitta di Trapani del
dicembre del 1999, costata la vita a sei immigrati. Adesso per quella strage un
prefetto è sotto accusa per omicidio colposo plurimo e lesioni gravi e
sono state proposte anche azioni civili a favore dei superstiti per il
risarcimento danni. Nel frattempo alcuni dei centri più impresentabili
venivano chiusi ( alcuni definitivamente, come quelli di Catania e di Palermo,
quest'ultimo gestito dalla Croce Rossa, altri solo provvisoriamente).
Purtroppo la Corte Costituzionale, fortemente
influenzata nelle sue decisioni dalla componente politica dei suoi giudici, ha
sempre respinto le evidenti eccezioni di costituzionalità che numerosi
magistrati avevano sollevato ( e continuano a sollevare) da diverse parti
d'Italia. Malgrado questo decine e decine di magistrati italiani hanno
annullato espulsioni e provvedimenti di trattenimento palesemente illegittimi.
E' mancata, con pochissime eccezioni, la
capacità da parte dei giuristi democratici italiani, di portare le tante
tragedie che si sono consumate all'interno di queste strutture di esclusione
davanti alla Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo.
Ma in tempi di diffuse violazioni dei trattati
internazionali e delle norme costituzionali, violazione perpetrate dai governi
che hanno legittimato guerre umanitarie e repressioni violente delle
manifestazioni di dissenso politico, gli abusi ai danni degli immigrati sono
stati sottovalutati ed oggi invece si prefigurano come un tragico terreno di
sperimentazione di pratiche repressive che si stanno applicando anche agli
italiani ( con la prospettata limitazione della libertà di circolazione
nello spazio Schengen).
Questi atteggiamenti repressivi delle istituzioni,
duramente esercitati sia all'ingresso che durante la presenza degli immigrati
irregolari , hanno compromesso le possibilità di mediazione, di
integrazione, di emersione dalla clandestinità, che migliaia di
organizzazioni non governative stavano cercando di realizzare con un lavoro di
impegno quotidiano.
E' però cresciuto l'impegno nel denunciare la
disumanità di strutture che annientano la identità delle persone
e negano principi affermati nella nostra Costituzione, come il diritto di
difesa e la presunzione di innocenza, e molte associazioni non governative,
indipendenti, pur rifiutando lucrose convenzioni con la Prefettura, hanno
esercitato il diritto di visita in favore degli immigrati internati in questi
"non luoghi".
Si è battuto il tentativo di un coinvolgimento
diretto delle associazioni nella gestione diretta dei centri.
Scopo delle visite delle ONG indipendenti è
stato quello di consentire agli stranieri trattenuti nei centri di permanenza
temporanea l'effettivo esercizio dei diritti fondamentali già previsti
dall'art.14 del T.U. 286/98, dagli artt. 20 e 21 del regolamento di attuazione
contenuto nel DPR 394 del 31 agosto 1999 e dalla circolare 30 agosto 2000 n.
3435/50 .
In particolare, l'art. 21 del suddetto regolamento
prevede "la libertà di colloquio all'interno del centro, e con
visitatori provenienti dall'esterno".
Abbiamo verificato in molte occasioni precedenti, ed
anche in Sicilia, a partire dall'estate del 1998, la impossibilità per
gli stranieri trattenuti
( soprattutto nei cd. centri di transito, a Lampedusa,
in zona militare ed adesso anche al Vulpitta di Trapani adibito in parte a
struttura di transito, dopo la riapertura con il piano terra destinato appunto
a questo scopo) di raggiungere tempestivamente, nei brevissimi termini previsti
dalla legge per i ricorsi,un legale di fiducia, di comunicare con l'esterno e
di essere visitati dai parenti, anche per la assenza di un efficace servizio di
assistenza legale operante al'interno dei centri e per la difficoltà che
incontrano i "clandestini" nel provare tempestivamente la convivenza "legale"
o altri rapporti familiari.
NO ALLA COGESTIONE DEI CENTRI DI DETENZIONE
Quando si verificano gli sbarchi di "clandestini",
soprattutto nella Sicilia orientale( Siracusa- Catania) gli stranieri vengono
trasferiti nei centri di detenzione di Caltanissetta, Agrigento e Trapani senza
ricevere tempestive informazioni sulla possibilità di chiedere asilo,
protezione umanitaria o sociale, e le diverse etnie vengono mescolate anche
quando si tratta di gruppi che nei paesi di provenienza sono divisi da
sanguinose guerre civili.
La presenza di precedenti penali anche di
lieve entità viene ritenuta generalmente preclusiva della
possibilità di accedere alla procedura dell'asilo, senza alcuna indagine
sulla reale situazione della persona richiedenteIn
Sicilia, ad Agrigento, a Caltanissetta,a Catania, e soprattutto a Trapani si
sono registrate situazioni incresciose che hanno impedito un libero e
tempestivo accesso alla procedura di asilo da parte di immigrati trattenuti nei
centri, che solo dopo nostre reiterate sollecitazioni sono stati ammessi alla
procedura.
E questo anche se l'ente gestore, in base alla
circolare ministeriale del 30.8.2000, sarebbe "tenuto a fornire
collaborazione alle forze dell'ordine nella gestione amministrativa della
posizione dello straniero".
Non solo, ma in molti casi il nostro intervento
è stato vissuto con fastidio evidente sia da parte delle associazioni
"convenzionate" con la prefettura, che dagli operatori di polizia.
Spesso siamo stati accusati di avere interesse diretto nel sollecitare negli immigrati la volontà di
chiedere asilo, quando appariva evidente che agli stessi veniva negata,
malgrado la consegna dei foglietti informativi diffusi dalla prefettura, un
effettivo accesso alla procedura di asilo, accesso che richiede un lavoro di mediazione,
di interpretariato e di consulenza legale, che nei centri di detenzione
siciliani manca, o viene affidato a soggetti che sono privi dei requisiti
minimi di professionalità e di indipendenza.
Il ruolo di copertura e di cogestione
delle associazioni che hanno accettato il convenzionamento per la gestione di
queste strutture detentive ( CRI e alcune sezioni della Caritas, come quella di
Trapani, ben diversamente da quanto deciso dalla sezione della stessa
associazione di Ragusa), impedisce sempre di più l'esercizio effettivo
del nostro diritto di visita, anche quando ci è consentito varcare
fisicamente la soglia di questi centri.
Ad Agrigento, dove pure opera la Croce
Rossa, non siamo riusciti a contattare tempestivamente un gruppo di prostitute
nigeriane trasferite da Catania e tutte sono state rimpatriate senza che
nessuna di loro potesse avere informazioni sulla possibilità di chiedere
un permesso per motivi di protezione sociale o per motivi umanitari,
così come previsto dalla circolare ministeriale 4 agosto 2000.
Sempre ad Agrigento nel gennaio di
quest'anno, un rom con la moglie in stato di gravidanza è stato
accompagnato in frontiera oltre la scadenza del termine di convalida e prima
che il giudice dichiarasse la illegittimità del decreto di espulsione.
Adesso quello stesso rom, ritornato in Italia, è stato di nuovo
rinchiuso nel centro di detenzione di Agrigento e rischia il carcere o un altro
rimpatrio in Serbia.
Nel caso del Serraino Vulpitta di Trapani
abbiamo avuto modo di incontrare nello scorso dicembre numerosi Tamil
provenienti da uno sbarco avvenuto in prossimità di Catania,che oltre ad
essere trattenuti insieme a cittadini singalesi, non avevano avuto nè un
interprete ufficiale a disposizione nè alcuna informazione sulla
possibilità di richiedere asilo, e solo dopo la nostra visita hanno
potuto presentare la relativa istanza.
Nel corso di questa estate al Vulpitta di
Trapani, dopo la ristrutturazione, sono stati trattenuti spesso, seppure
"temporaneamente" un numero di stranieri ben superiore a quello
consentito, in condizioni di estrema carenza igienica, in stanze senza letti,
con la separazione di nuclei familiari, con il trattenimento di minori che in
base alla legge non avrebbero mai dovuto varcare la soglia di un centro di
permanenza temporanea.
Dovunque è diffuso il ricorso, da
parte delle questure, ad interpreti non ufficiali, reclutati persino tra gli
ospiti dei centri di detenzione, con conseguenze gravissime in caso di gruppi
contrapposti. A Trapani ad esempio manca un interprete di arabo, e sembra
disponibile soltanto l'interprete per il francese e l'inglese. I fogli
informativi sulle modalità del trattenimento, quando vengono consegnati
agli immigrati trattenuti nei centri, sono in lingue non conosciute da molti
immigrati e comunque sono redatti in modo estremamente sommario riguardo il
diritto di difesa ed il diritto di chiedere asilo.
.
LA CARITAS TRAPANESE E LA GESTIONE DEL
VULPITTA DI TRAPANI
Dal punto di vista delle procedure
relative alla gestione dei centri lamentiamo che in Sicilia la scelta del
gestore in sede di convenzionamento non avviene mai con "procedure ad
evidenza pubblica" come richiesto dalla circolare ministeriale del 30
agosto 2000, e che nel caso di Trapani la nomina del Direttore è
avvenuta con un semplice decreto ad personam emesso nel marzo del 2000 del
precedente prefetto, adesso trasferito a Vercelli, e che la stessa persona
risulta Direttore del centro di detenzione e responsabile di un centro di
accoglienza esterno alla struttura, dal quale transita una parte degli
immigrati rilasciati per scadenza dei termini o per richiesta di asilo ( o
delle loro famiglie).
Sempre la stessa persona,inoltre,controlla
di fatto le attività della cooperativa che gestisce la mensa e il
servizio di pulizia,oltre ad essere espressione della associazione, la Caritas,
che svolge sulla base di una convenzione "attività di ascolto"
all'interno del centro di detenzione.
In questa situazione numerosi stranieri,
soprattutto provenienti dall'estremo oriente, peraltro impossibilitati ad avvalersi
di un servizio ufficiale di interpreti,e di una effettiva assistenza legale
(anche per il ruolo meramente "tecnico" dei difensori di ufficio in
sede di convalida dei provvedimenti di internamento) non sono raggiunti da
alcuna informazione circa l'accesso alle procedure di asilo e protezione
umanitaria, e rimangono alla mercè di notizie imprecise,riferite magari
da altri ospiti della struttura impropriamente assurti alla qualità di
intreprete, mutando continuamente parere sulle scelte da fare.
Non ci risulta che a fronte di questa
difficoltà nel reperimento degli interpreti, comune ad altri centri di
detenzione siciliani, si sia mai tentata una soluzione . come da noi richiesto
più volte - magari in riferimento alla Direzione generale dei servizi
civili del Ministero dell'interno, per individuare i servizi di interpretariato
necessari per garantire i diritti fondamentali di difesa e di asilo degli
stranieri internati nella struttura.
Addirittura, malgrado un decreto
ministeriale preveda l'attivazione al varco di frontiera del porto di Trapani
di un servizio di assistenza legale ed interpretariato,servizio che in parte
potrebbe sopperire anche ai gravi problemi emersi nel rapporto con gli
immigrati rinchiusi al Vulpitta, soprattutto nelle fasi di sbarco e imbarco al
porto, e malgrado incontri e sollecitazioni , nessuna decisione è stata
presa dalla Prefettura e il decreto è rimasto lettera morta, mentre la
sua applicazione avrebbe potuto comunque favorire l'attività di
mediazione e di interpretariato a favore degli immigrati irregolari,
attività che soprattutto a Trapani, appare del tutto carente.
Alcuni minori che hanno fatto ingresso nel
nostro paese clandestinamente sono
transitati nei mesi passati anche dal centro di detenzione Vulpitta di
Trapani,oltre che dal centro di accoglienza della Caritas senza che-per quanto
ci risulta- vi fosse l'intervento del Tribunale dei minorenni come richiesto
dalla legge e dalla circolare del 30 agosto 2000. Altre volte il Tribunale
è stato avvertito, ma la mancanza di mediazione e la confusione dei
ruoli tra chi gestiva il centro di detenzione e chi gestiva l'assistenza hanno
prodotto l'allontanamento dei minori .
Si rileva infine che all'interno del
centro Vulpitta di Trapani- al di là di uno scarno stampato di poche
righe distribuito dopo l'internamento- continua a mancare qualunque servizio
ufficiale di informazione giuridica, che sempre in base alla suddetta circolare
"dovrebbe essere garantita allo straniero prima o comunque nelle more di
definizione della procedura di convalida del trattenimento".
Si segnala infine come tra i servizi
offerti dalla cooperativa che gestisce il centro di Trapani sia frequente
l'acquisto"di generi alimentari e di conforto
( sigarette, quotidiani,indumenti,libri),
il cd. spesino, a cura dei medesimi "operatori dell'ente gestore" ma
a spese degli immigrati trattenuti, che così alla fine del periodo di
detenzione, quando l'espulsione non viene eseguita con l'accompagnamento in
frontiera ( oltre il 50 per cento dei casi) si ritrovano all'uscita dal centro,
magari in piena notte, con poche lire in tasca ma con l'intimazione a lasciare
il nostro territorio entro quindici giorni. E talvolta, magari anche con il
consiglio di andare a cercare i soldi da qualche altra parte, presso
associazioni indipendenti come le nostre che non fruiscono di alcun contributo
pubblico. Appare del tutto falsificante il tentativo della Caritas di Trapani
di attribuirsi il merito dell'inserimento di richiedenti asilo nel nuovo
Progetto Nazionale Asilo (PNA), tentativo di mistificazione dei fatti recentemente praticato sui mezzi di
informazione locali che forse hanno "confuso" la stessa Caritas di
Trapani con la Caritas di Ragusa che invece è effettivamente inserita
nel progetto, e che però si è rifiutata, quando è stata
richiesta, di cogestire il centro di Ragusa..
Il centro di detenzione Vulpitta di
Trapani è stato chiuso nel mese di aprile di questo anno, ufficialmente
per lavori di ristrutturazione ( che in realtà- come facilmente
verificabile- erano stati appena avviati e si sono interrotti con la chiusura),
ma cronologicamente pochi giorni dopo il rinvio a giudizio dell'ex prefetto di
Trapani con l'accusa di omicidio colposo plurimo ( il processo si
svolgerà in estate).
Adesso il centro trapanese è stato
riaperto e funziona anche come centro di smistamento verso altri centri di
permanenza siciliani o italiani, con la pratica diffusa del ritardo del
provvedimento di espulsione, rispetto al momento dell' effettivo internamento
degli immigrati, circostanza che svuota del tutto i diritti di difesa, di
visita e di comunicazione con l'esterno
di unità dei nuclei familiari.
Nei centri di detenzione italiani e
siciliani si continua ad assistere comunque ad una situazione bloccata che
impedisce un "effettivo" esercizio del diritto di visita e dei
diritti di difesa e di richiedere asilo, protezione umanitaria o sociale.
Spesso gli operatori volontari che intervengono per rivendicare i diritti
fondamentali degli stranieri internati vengono guardati con sospetto,
intolleranza, da parte delle forze di polizia o sono oggetto di pratiche
subdole messe in atto dai rappresentanti delle associazioni che cogestiscono il
centro nel continuo tentativo di deleggitimarli anche di fronte agli immigrati.
Sollecitiamo anche i rappresentanti parlamentari
che si occupano di immigrazione e tutte le organizzazioni nazionali ed
internazionali che difendono i diritti umani dei migranti a predisporre
tempestivamente visite nei centri di detenzione siciliani, con una costante
attività di monitoraggio e di controllo, per porre fine ad una
situazione che rischia continuamente di degenerare in gravi violazione dei
diritti fondamentali.
Palermo 14 settembre 2001
Fulvio Vassallo Paleologo
in rappresentanza dell'ASGI ( Associazione studi giuridici
sull'immigrazione)
Spedisce Fulvio Vassallo Paleologo- C.so
Vitt. Emanuele 39 PALERMO
Tel 091.588-987 e-mail fulvassa@tin.it