(23/9/2001)

 

LA RIFORMA DELLE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI ACCESSO AL LAVORO DEI LAVORATORI STRANIERI

 

Benche’ oggi l’immigrazione sia spesso oggetto di dibattito acceso, vi e’ un diffuso consenso, nella societa’ come nelle istituzioni, sull’idea che il lavoratore immigrato titolare di un regolare permesso di soggiorno sia da considerare portatore di un beneficio netto per la societa’ di accoglienza. Le valutazioni divergono invece facilmente in relazione alla figura dell’immigrato clandestino, ferma restando, pero’, la generale percezione della clandestinita’ come di una forma di cattivo funzionamento del fenomeno migratorio. E’ opportuno allora, in una fase in cui si pensa di riformare la normativa sull’immigrazione, esaminare i percorsi che conducono alla titolarita’ di un permesso di soggiorno per lavoro e valutare se sia necessario ampliarli o modificarli in modo che non finiscano per condurre a condizioni di clandestinita’.

 

Nell’analisi dei meriti e dei limiti presentati dai diversi meccanismi di accesso al lavoro (e al relativo permesso di soggiorno) previsti dal quadro normativo sull’immigrazione, occorre distinguere tra i flussi associati alla migrazione di manodopera qualificata e quelli, non meno importanti (e quantitativamente molto piu’ cospicui), relativi a lavoratori a bassa qualificazione. Per la prima componente, le disposizioni relative alla “chiamata nominativa” da parte di un datore di lavoro del lavoratore ancora residente all’estero possono risultare adeguate, potendo fondarsi le chiamate sull’esame – anche a distanza – del curriculum lavorativo o di studio del lavoratore. La costituzione di un rapporto di lavoro caratterizzato da bassi livelli di qualificazione necessita invece di un incontro diretto (sul territorio italiano) tra domanda e offerta di lavoro. Tale incontro risulta gravemente ostacolato da disposizioni (come quelle sulla chiamata nominativa – appunto) che condizionino l’ingresso legale del lavoratore ad una preventiva assunzione da parte di un datore di lavoro.

 

La normativa puo’ definire varie possibilita’ di incontro diretto capaci di tradursi in un accesso pienamente legale ad una posizione lavorativa e al relativo permesso. Ciascuna puo’ presentare – come e’ ovvio – vantaggi e svantaggi. Un’assenza generale, pero’, di esse o l’interposizione di ostacoli talmente alti da renderle impraticabili fa si’ che al lavoratore migrante non resti che tentare la via dell’ingresso illegale: dopotutto, a dispetto dei costi e del rischio di sanzioni, una migrazione clandestina potrebbe comunque consentire di pervenire ad un inserimento remunerativo nel mercato del lavoro italiano o, nell’ipotesi piu’ ottimistica, di trovare un datore di lavoro disposto ad avviare la procedura dell’assunzione “preventiva”; a valle di un temporaneo rimpatrio, il lavoratore potrebbe rientrare in Italia legalmente, chiamato da quel datore di lavoro.

 

L’immigrazione illegale finisce cosi’ per essere incentivata. Per di piu’, fenomeni che di per se’ non rappresenterebbero alcun pericolo - la migrazione per lavoro – vengono accostati ad altri – gli ingressi di criminali e lo sfruttamento dei traffici clandestini – carichi di conseguenze in relazione all’ordine pubblico e alla sicurezza dei cittadini. In queste condizioni, facilmente, la politica dell’immigrazione sembra ridursi al dilemma tra l’adozione di misure repressive (in ogni senso costose) e quella di provvedimenti di sanatoria (potenzialmente equivalenti ad ulteriori incentivazioni dell’immigrazione illegale). La definizione e l’applicazione di disposizioni che rendano possibile un incontro legale tra domanda e offerta di lavoro e’ quindi l’elemento fondamentale di una politica che non voglia banalmente arrendersi di fronte alla complessita’ del problema.

 

Alcune di queste disposizioni sono gia’ contenute nelle leggi vigenti; altre sono state oggetto di esame da parte del Parlamento in questi anni. Con riferimento alle definizioni adottate in queste disposizioni, possiamo classificare i meccanismi di incontro diretto tra domanda e offerta di lavoro in due principali categorie:

 

a)     l’ingresso per inserimento nel mercato del lavoro ;

 

b)    l’ingresso per motivi diversi dal lavoro, con possibilita’ di conversione del permesso di soggiorno.

 

 

Inserimento nel mercato del lavoro

 

L’ingresso per inserimento nel mercato del lavoro e’ consentito, entro i limiti della quota appositamente definita dal decreto di programmazione dei flussi, dall’articolo 23, comma 1, del Testo Unico sull’immigrazione e permette al lavoratore straniero che sia coperto dalla garanzia prestata da un cittadino italiano o straniero (lo sponsor) di cercare in Italia, per un anno, un’opportunita’ di lavoro. Ha il pregio, soprattutto quando la prestazione di garanzia sia effettuata da cittadini stranieri stabilmente soggiornanti in Italia, di permettere la realizzazione di equilibrate catene migratorie, pienamente legali e capaci di ridurre le difficolta’ di inserimento sociale del nuovo immigrato. Ha il difetto, per contro, di non consentire l’ingresso a chi non abbia gia’ legami in Italia; in mancanza di alternative, il lavoratore straniero tentera’ di venire comunque in Italia (anche illegalmente) - per conquistare una sponsorizzazione, anziche’ una chiamata nominativa, ma con le stesse conseguenze negative.

 

Un’alternativa, legale, utile per chi non abbia legami in Italia e’ rappresentata dall’ammissione di contingenti di lavoratori iscritti in liste di prenotazione. L’articolo 23, comma 2, del Testo Unico (unitamente con le relative disposizioni regolamentari) offre lo strumento perche’ tale ammissione possa avvenire a seguito della prestazione di garanzia da parte di un ente (Regioni ed enti locali, per esempio) o di un’associazione professionale, sindacale o di volontariato. Si attinge da liste di prenotazione da istituirsi presso le rappresentanze diplomatiche o consolari italiane, con graduatoria fondata sull’anzianita’ di iscrizione.

 

Un limite insito in queste disposizioni e’ che, per favorire un adeguato funzionamento del mercato del lavoro, e’ richiesto l’intervento di un terzo (lo sponsor, privato o pubblico), non direttamente interessato alla costituzione del rapporto di lavoro. Il superamento di questo limite puo’ essere consentito da quanto previsto dal comma 4 dell’articolo 23: qualora il numero di sponsorizzazioni private o pubbliche non esaurisca la quota massima fissata dal decreto di programmazione dei flussi, possono fare ingresso in Italia, nell’ordine definito dalla lista di prenotazione, quei lavoratori che abbiano mezzi sufficienti per provvedere al proprio sostentamento.

 

Questi primi anni di applicazione della legge hanno messo in luce due punti deboli di questa che potrebbe, altrimenti, rivelarsi una soluzione perfettamente adeguata del problema dell’accesso al mercato del lavoro della manodopera immigrata a bassa qualificazione. Il primo dei punti deboli e’ rappresentato dalla dipendenza del successo di questo meccanismo dalla definizione di quote – per la sponsorizzazione – sufficientemente alte. L’imposizione di tetti assai bassi (quindicimila ingressi) sia per il 2000, sia per il 2001, ha fatto si’ che le prestazioni di garanzia presentate da privati risultassero largamente sufficienti a raggiungerli in pochissimi giorni (l’anno scorso) o pochissime ore (quest’anno). La mancanza di una quota residua, non coperta da sponsorizzazioni private, ha impedito che si desse luogo all’ammissione di lavoratori “auto-sponsorizzati”.

 

Il secondo punto debole sarebbe emerso palesemente se quei tetti non fossero stati raggiunti cosi’ facilmente. Ci si sarebbe accorti, infatti, che le liste di prenotazione nelle rappresentanze diplomatiche non sono state istituite (fa eccezione il caso di alcuni paesi di emigrazione - l’Albania, per esempio - per i quali sono state predisposte liste; ma si tratta delle liste previste, con altre finalita’, dall’articolo 21, comma 5, del Testo Unico).

 

Le considerazioni fin qui svolte inducono a concludere che l’istituto dell’ingresso per inserimento nel mercato del lavoro meriti di essere mantenuto nella normativa, ma abbia bisogno – soprattutto in sede di applicazione – di essere rafforzato mediante i tre interventi seguenti:

 

-       la definizione, in sede di programmazione dei flussi, di quote apposite significativamente piu’ ampie;

 

-       l’incentivazione della prestazione di garanzia da parte di regioni, enti locali, associazioni imprenditoriali;

 

-       l’effettiva istituzione delle liste di prenotazione nelle rappresentanze italiane o, in alternativa, di una lista centralizzata presso uno dei ministeri competenti, cui gli stranieri possano accedere anche per posta o per via telematica.

 

 

Conversione del permesso di soggiorno di breve durata

 

Una netta semplificazione del quadro degli interventi da effettuare puo’ essere ottenuta dando, nell’ambito di una riforma della normativa, un maggior rilievo alla seconda delle categorie sopra individuate per l’accesso al mercato del lavoro: l’ingresso per motivi diversi dal lavoro, seguito da conversione del permesso di soggiorno.

 

La possibilita’ di accesso ad un permesso di soggiorno per lavoro per il titolare di un permesso di soggiorno ad altro titolo e’ gia’ contemplata, in diversi casi, dalla normativa vigente (ad esempio: conversione del permesso di soggiorno per motivi di studio in permesso per lavoro). La stessa possibilita’ e’ prevista dalla proposta di “Direttiva del Consiglio europeo relativa alle condizioni d'ingresso e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi ai fini dello svolgimento di un’occupazione retribuita e di attività di lavoro autonomo”, avanzata di recente dalla Commissione europea. Si tratta di estenderla stabilendo che il titolare di un permesso di soggiorno di breve durata (turismo, affari, visita, etc.) possa convertirlo in un permesso per lavoro in presenza di una certificata opportunita’ di occupazione. Oggi, invece, uno straniero legalmente soggiornante per turismo per il quale si presenti una simile opportunita’ e’ tenuto a rientrare in patria, senza utilita’ per alcuno, in attesa che il datore di lavoro completi le procedure previste per la chiamata nominativa. Il consentire la conversione del permesso risponderebbe all’esigenza di incontro diretto tra lavoratore e datore di lavoro in un ambito di piena legalita’ (con il controllo quindi da parte dello Stato), senza richiedere adempimenti particolari da parte delle amministrazioni dello Stato (quali l’istituzione delle liste di prenotazione nelle rappresentanze diplomatiche o il censimento della domanda di lavoro non saturata dall’offerta presente in Italia) ne’ l’esistenza di legami tra il lavoratore straniero e soggetti disposti a chiamarlo dall’Italia. Puo’ essere, cioe’, una soluzione in grado di rispondere alle esigenze di lavoratori e datori di lavoro con il minimo intervento dello Stato.

 

Piu’ in generale, potrebbe essere accettato il principio secondo il quale, a condizione che perduri la capacita’ di auto-mantenimento richiesta allo straniero per ogni soggiorno di breve durata, e’ possibile prolungare un soggiorno di breve durata. In tal modo, la ricerca di una occupazione sufficientemente stabile potrebbe essere effettuata in un arco di tempo piu’ esteso. Dovrebbe, in questo superamento di una rigida separazione tra soggiorni di breve e di lunga durata, essere consentito, al titolare di un permesso di breve durata, lo svolgimento di attivita’ economiche lecite mirate al proprio sostentamento.

 

Si dovrebbe, piu’ in dettaglio, consentire ai titolari di permesso di soggiorno di breve durata (es.: per motivi di turismo, visita, affari, etc.)

 

-       lo svolgimento di attivita’ occasionali di lavoro autonomo (anche in forma di prestazioni lavorative saltuarie);

 

-       il rinnovo del permesso per un ulteriore breve periodo quando lo straniero sia in grado di dimostrare il possesso di mezzi di sostentamento non inferiori all’importo dell’assegno sociale per il periodo di soggiorno, la disponibilita’ di alloggio e la titolarita’ di un’assicurazione sanitaria;

 

-       la conversione del permesso in un permesso di soggiorno per lavoro autonomo o subordinato o per inserimento nel mercato del lavoro, quando risultino soddisfatti i requisiti sostanziali per il rilascio di un tale permesso (effettivo svolgimento di attivita’ autonoma, certificata opportunita' di lavoro subordinato o prestazione di garanzia).

 

Affinche’ disposizioni del genere non finiscano per favorire prolungamenti illegali del soggiorno o per produrre un aggravio di spesa associato al rimpatrio di soggetti per i quali il rinnovo o la conversione del permesso non siano possibili, il rilascio di un permesso di soggiorno di breve durata con facolta’ di accesso ad attivita’ lavorativa e di successiva stabilizzazione potrebbe essere condizionato al deposito, da parte del titolare, di elementi identificativi certi e del biglietto di viaggio per l’eventuale rimpatrio. Non si tratterebbe di una forma di discriminazione, ma, piuttosto, della stipula di un patto di lealta’ tra il lavoratore straniero e lo Stato. Sottrarsi a tale richiesta sarebbe sempre possibile per lo straniero entrato per breve soggiorno, avendo come solo effetto la preclusione del percorso di prolungamento e stabilizzazione del soggiorno descritto.

 

Conviene ricordare come, nella recente Comunicazione della Commissione europea al Consiglio e al Parlamento europeo su un metodo aperto per il coordinamento delle politiche comunitarie in materia di immigrazione, la Commissione sottolinei come l’individuazione delle “migliori prassi” possa avvenire solo attraverso la sperimentazione di criteri e meccanismi diversi. Questo della possibilita’ di ingresso per ricerca di lavoro (tramite sponsorizzazione, auto-sponsorizzazione o conversione dei permessi di soggiorno di breve durata in permessi per lavoro) potrebbe essere il contributo specifico dell’Italia al processo di selezione delle migliori soluzioni.