Bologna, 25 agosto 2002

Leggo su “Settimana - settimanale di attualità pastorale” (con approvazione ecclesiastica; e-mail: settimana@dehoniane.it) nella rubrica “dialogo aperto” la lettera del vescovo di Alba, mons. Sebastiano Dho che riporto qui di seguito e che ha per titolo L’IMMIGRATO È UN UOMO NON È UNA MERCE (“SETTIMANA” N.29 in data 25 agosto 2002)

Mi sembrano parole molto belle e coraggiose, espresse con grande evangelica “parresia”, con quella franchezza cioè che rifiuta ogni ossequio servile e che quindi non si rifugia nel silenzio, anzi lo condanna.

Confesso che  mi è tornato alla mente quanto scrive don Lorenzo Milani: “…spero proprio che la Chiesa vorrà almeno farmi il garbo di prolungare un po' questa vita che non le è parso di usare se non per esiliarla. Ho sempre pensato che lo stare in esilio sia un'elevata funzione ecclesiastica. Mi domando solo se sia giusto seguitare a santificarsi nel silenzio quando sul piano terreno questo non fa che aumentare il già tanto profondo sdegno dei poveri verso la gerarchia ecclesiastica. Fino all'anno scorso pensavo che fosse santità. Da qualche tempo in qua temo che sia correità…” (pag. 75 - Lorenzo Milani .- I care ancora – EMI 2001).

Parole di questo tipo,  su cui concordo in toto, fanno bene sperare che la chiesa-istituzione possa nuovamente vivere appieno quello spirito di “profezia” che le compete in modo - se non erro - del tutto peculiare.

Shalom a tutti, ma proprio a tutti…anche e soprattutto a quei “cristiani” che danno credito all’“uomo della Provvidenza”, all’“unto del Signore” e a cosette simili.                                                          Domenico Manaresi

Mitt. Domenico Manaresi - via Gubellini, 6 - 40141 Bologna - tel&fax 051-6233923 – e-mail: bon4084@iperbole.bologna.it

 

d i a l o g o a p e r t o

UN VESCOVO PRENDE POSIZIONE SULLA LEGGE BOSSI-FINI

L’IMMIGRATO È UN UOMO NON ÈUNA MERCE

Sebastiano Dho - Vescovo di Alba – da “SETTIMANA” N.29 in data 25 agosto 2002

 


“La legge sull'immigrazione è, senza mezzi termini, anticristiana. La cosa più preoccupante è che mette tra parentesi la persona: ciò che interessa è che l'immigrato lavori, non che esista come essere umano con una propria cultura. Avalla una mentalità secondo cui lo straniero deve essere merce da utilizzare. È legalmente riconosciuto finché serve al capitale, poi può essere respinto al mittente”. Questa la valutazione chiara e severa di Alex Zanotelli (vedi Avvenire del 12 luglio) della legge Bossi‑Fini approvata recentemente.

Don Luigi Ciotti a sua volta condanna con forza soprattutto un aspetto odioso della legge stessa: “la rilevazione obbligatoria delle impronte digitali per gli immigrati anche non clandestini è ingiustificata e intollerante”.

Difficile non dare loro ragione e non condividere dal punto evangelico questi giudizi drastici ma fondati In effetti da molti mesi il progetto della legge in questione Bossi‑Fini (anche il nome dei proponenti non è certo casuale) era stato oggetto di forti critiche da parte soprattutto della Caritas italiana, della Migrantes, di Pax Christi e dell'associazionismo cattolico e non, specie nell'ambito missionario e del volontariato. Alcune riserve (timide per la verità) erano state espresse perfino dal card. Ruini in sede CEI. Ma tutto questo è servito a poco. Ora tra le molte considerazioni che potrebbero essere fatte al riguardo, due in particolare sembrano imporsi all’attenzione di noi credenti sia a livello di coscienza personale, sia – ancor più – di riflessione e di impegno comunitario ecclesiale.

1. Innanzitutto di fronte a questa legge, in fondo in fondo, non pare che ci si possa meravigliare più di tanto. Si tratta semplicemente di una conseguenza logica di una impostazione politica globale tipica del neoliberismo imperante in tutti i settori. Quando il potere pubblico; anziché cercare il bene comune e in speciale modo quello dei deboli e degli ultimi preferisce tutelare e proteggere gli interessi dei forti e potenti (vedi numerosi esempi di leggi recenti) e proseguire nello strisciante ma graduale progressivo smantellamento dello stato sociale, dalla sanità alla previdenza e oltre, non ci si può stupire se gli stessi poteri inspirati alla filosofia politica di una forte individualismo in campo economico e sociale, non si preoccupino poi delle persone come tali ma unicamente dell'utilità che se ne può ricavare. Ci sarebbe da meravigliarsi esattamente del contrario.

Eppure, almeno per chi ama dirsi e presentarsi come cristiano, esiste, oltre il Vangelo, una biblioteca intera di magistero sociale su queste tematiche, con affermazioni chiarissime e sommamente imperative a livello nazionale e mondiale. Basti pensare, ad es., all'enciclica Populorum progressio (19671), nella quale Paolo VI profeticamente affrontava con lucidità impressionante Tutta la problematica della cosiddetta “globalizzazione” che oggi ci tormenta.

Quando ancora si pensava che la linea divisoria tra i diversi mondi fosse quella dell'Est/Ovest, il pontefice non aveva timore di affermare che il vero confine era quello del Nord/Sud (tra i popoli che mangiano troppo e quelli che muoiono di fame); così quando denunciava con coraggio il rischio che i paesi ricchi diventassero sempre più ricchi e quelli poveri sempre più poveri e metteva in guardia noi occidentali dal pericolo che un bel giorno esplodesse “la collera dei poveri”. Tutte previsioni puntualmente avveratesi o in dirittura di arrivo.

Sull’inaccettabilità del sistema neoliberista e sull'esigenza di mantenere lo stato sociale circa le necessità primarie della persona, si potrebbero riportare citazioni a non finire di Giovanni Paolo II, dei nostri vescovi specie di alcuni come il card. Martini. In sintesi dalla Rerum novarum (1891) ad oggi sempre sulla base di una diretta derivazione evangelica, che il lavoro umano e soprattutto la persona non siano merce, e perciò da non considerarsi e trattarsi come tali dovrebbe essere scontato.

2. E qui si inserisce l'altra piccola riflessione: se non possiamo meravigliarci troppo del fatto che nell'ambito della società italiana determinate forze politiche seguano logiche utilitariste e perciò materialiste (non esiste solo il materialismo ideologico ma pure quello pratico, specie da noi) nell'impostare il sociale, dovremmo stupirci però, anzi preoccuparci della mancanza di una forte e adeguata reazione da parte di noi credenti di fronte a queste leggi soprattutto quelle che rischiano di diventare lesive della dignità della persona se discriminanti. Infatti se si ritengono assolutamente necessarie misure di sicurezza tipo le rilevazioni delle impronte, questo deve essere valido per tutti italiani e stranieri A questo proposito sarà interessante verificare se tra gli extracomunitari interessati rientreranno pure ad es. i cittadini svizzeri o USA, oppure sempre e solo i soliti poveracci.

Grazie a Dio ‑ come è stato ricordato sopra ‑ molte realtà ecclesiali hanno reagito da tempo, però la base dei nostri bravi praticanti sembra largamente assente, indifferente, quando non addirittura d'accordo con queste scelte. Pare che la preoccupazione più seria sia quella della tutela del proprio benessere, non importa se questa comporta ancora una volta il porre le cose prima delle persone.

Certo gli extracomunitari anche da noi vanno bene per vendemmiare, soprattutto per badare ai vecchi e malati che, data la gravissima denatalità italiana, aumenteranno sempre di più, ma poi basta: che vogliono ancora? Il tutto coniugato, forse anche con una certa buona fede o almeno mancata avvertenza, con la pratica religiosa, senza coglierne l'incompatibilità evangelica.

Ma non si tratta solamente di incoerenza da parte dei fedeli Una grande responsabilità di questa coscienza distorta ricade certamente su noi pastori che, se non altro, dovremmo al riguardo alzare di più la voce, senza timore di scontentare qualcuno in alto e in basso.

Sebastiano Dho

Vescovo di Alba


 

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