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SENTENZA DELLA
CORTE
25 luglio 2002 (1)
«Cittadini
di paesi terzi coniugati con cittadini di Stati membri - Obbligo di visto -
Diritto di ingresso per il coniuge privo di documenti d'identità o di
visto - Diritto di soggiorno per il coniuge entrato illegalmente - Diritto di
soggiorno per il coniuge entrato legalmente ma il cui visto è scaduto al
momento della domanda di permesso di soggiorno - Direttive 64/221/CEE,
68/360/CEE e 73/148/CEE e regolamento (CE) n. 2317/95»
Nel procedimento C-459/99,
avente ad oggetto una domanda di
pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma dell'art. 234 CE, dal
Conseil d'État (Belgio), nella causa dinanzi ad esso pendente tra
Mouvement contre le racisme,
l'antisémitisme et la xénophobie ASBL (MRAX)
e
Stato belga,
domanda vertente sull'interpretazione
degli artt. 1, n. 2, 3, n. 3, e 9, n. 2, della direttiva del Consiglio 25
febbraio 1964, 64/221/CEE, per il coordinamento dei provvedimenti speciali
riguardanti il trasferimento e il soggiorno degli stranieri, giustificati da
motivi d'ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica (GU
1964, n. 56, pag. 850), degli artt. 3 e 4 della direttiva del Consiglio 15
ottobre 1968, 68/360/CEE, relativa alla soppressione delle restrizioni al
trasferimento e al soggiorno dei lavoratori degli Stati membri e delle loro
famiglie all'interno della Comunità (GU L 257, pag. 13), degli artt. 3 e
6 della direttiva del Consiglio 21 maggio 1973, 73/148/CEE, relativa alla
soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei cittadini
degli Stati membri all'interno della Comunità in materia di stabilimento
e di prestazione di servizi (GU L 172, pag. 14), nonché del regolamento
(CE) del Consiglio 25 settembre 1995, n. 2317, che determina quali siano i
paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso di un visto per
l'attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri (GU L 234, pag. 1),
LA CORTE,
composta dal sig. G.C. Rodríguez
Iglesias, presidente, dalla sig.ra N. Colneric e dal sig. S. von Bahr,
presidenti di sezione, dai sigg. C. Gulmann, D.A.O. Edward, J.-P. Puissochet,
M. Wathelet, R. Schintgen e J.N. Cunha Rodrigues (relatore), giudici,
avvocato generale: sig.ra C. Stix-Hackl
cancelliere: H.A. Rühl, amministratore principale
viste le osservazioni scritte presentate:
- per il Mouvement contre le racisme,
l'antisémitisme et la xénophobie ASBL (MRAX), dal sig. I. de
Viron, avocat;
- per lo Stato belga, dai sigg. E.
Matterne e E. Derriks, avocats;
- per il governo austriaco, dal sig. A.
Längle, in qualità di agente;
- per la Commissione delle
Comunità europee, dalle sig.re H. Michard, C. O'Reilly e N. Yerrell, in
qualità di agenti,
vista la relazione d'udienza,
sentite le osservazioni orali del
Mouvement contre le racisme, l'antisémitisme et la xénophobie
ASBL (MRAX), dello Stato belga e della Commissione, all'udienza del 29 maggio
2001,
sentite le conclusioni dell'avvocato
generale, presentate all'udienza del 13 settembre 2001,
ha pronunciato la seguente
1.
Con sentenza 23 novembre 1999, pervenuta alla Corte il 2 dicembre
seguente, il Conseil d'État (Consiglio di Stato belga) ha proposto, in
applicazione dell'art. 234 CE, quattro questioni pregiudiziali vertenti
sull'interpretazione degli artt. 1, n. 2, 3, n. 3, e 9, n. 2, della direttiva
del Consiglio 25 febbraio 1964, 64/221/CEE, per il coordinamento dei
provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento e il soggiorno degli
stranieri, giustificati da motivi d'ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di
sanità pubblica (GU 1964, n. 56, pag. 850), degli artt. 3 e 4 della
direttiva del Consiglio 15 ottobre 1968, 68/360/CEE, relativa alla soppressione
delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei lavoratori degli Stati
membri e delle loro famiglie all'interno della Comunità (GU L 257, pag.
13), degli artt. 3 e 6 della direttiva del Consiglio 21 maggio 1973,
73/148/CEE, relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al
soggiorno dei cittadini degli Stati membri all'interno della Comunità in
materia di stabilimento e di prestazione di servizi (GU L 172, pag. 14),
nonché del regolamento (CE) del Consiglio 25 settembre 1995, n. 2317,
che determina quali siano i paesi terzi i cui cittadini devono essere in
possesso di un visto per l'attraversamento delle frontiere esterne degli Stati
membri (GU L 234, pag. 1).
2.
Tali questioni sono state sollevate nel contesto di una controversia
tra il Mouvement contre le racisme, l'antisémitisme et la
xénophobie ASBL (movimento contro il razzismo, l'antisemitismo e la
xenofobia, ente senza fini di lucro; in prosieguo: il «MRAX») e lo
Stato belga riguardante una domanda di annullamento della circolare dei
ministri dell'Interno e della Giustizia 28 agosto 1997, relativa alle
pubblicazioni matrimoniali e ai documenti che devono essere presentati al fine
di ottenere un visto per contrarre matrimonio nel Regno o di ottenere un visto
di ricongiungimento familiare sulla base di un matrimonio contratto all'estero
(Moniteur belge del 1°
ottobre 1997, pag. 25905; in prosieguo: la «circolare 28 agosto
1997»).
Contesto
normativo
Normativa
comunitaria
3.
L'art. 1, n. 1, del regolamento (CEE) del Consiglio 15 ottobre 1968, n.
1612, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all'interno della
Comunità (GU L 257, pag. 2), dispone:
«Ogni
cittadino di uno Stato membro, qualunque sia il suo luogo di residenza, ha il
diritto di accedere ad un'attività subordinata e di esercitarla sul
territorio di un altro Stato membro, conformemente alle disposizioni
legislative, regolamentari ed amministrative che disciplinano l'occupazione dei
lavoratori nazionali di detto Stato».
4.
L'art. 10 del regolamento n. 1612/68 precisa:
«1.
Hanno diritto di stabilirsi con il lavoratore cittadino di uno Stato membro
occupato sul territorio di un altro Stato membro, qualunque sia la loro
cittadinanza:
a)
il coniuge ed i loro discendenti minori di anni 21 o a carico;
b)
gli ascendenti di tale lavoratore e del suo coniuge che siano a suo carico.
2.
Gli Stati membri favoriscono l'ammissione di ogni membro della famiglia che non
goda delle disposizioni del paragrafo 1 se è a carico o vive, nel paese
di provenienza, sotto il tetto del lavoratore di cui al paragrafo 1.
3.
Ai fini dell'applicazione dei paragrafi 1 e 2 il lavoratore deve disporre per
la propria famiglia di un alloggio che sia considerato normale per i lavoratori
nazionali nella regione in cui è occupato, senza che tale disposizione
possa provocare discriminazioni tra i lavoratori nazionali ed i lavoratori
provenienti da altri Stati membri».
5.
Ai sensi dell'art. 1° della direttiva 68/360, gli Stati membri
sopprimono, alle condizioni previste da tale direttiva, le restrizioni al
trasferimento ed al soggiorno dei cittadini di detti Stati e dei membri delle
loro famiglie ai quali si applica il regolamento n. 1612/68.
6.
L'art. 3 della direttiva 68/360 stabilisce quanto segue:
«1.
Gli Stati membri ammettono sul loro territorio le persone di cui all'articolo 1
dietro semplice presentazione di una carta d'identità o di un passaporto
validi.
2.
Non può essere imposto alcun visto d'ingresso né obbligo
equivalente, salvo per i membri della famiglia che non possiedono la
cittadinanza di uno degli Stati membri. Gli Stati membri accordano a tali
persone ogni agevolazione per l'ottenimento dei visti ad esse necessari».
7.
L'art. 4, n. 1, della direttiva 68/360 prevede che gli Stati membri
riconoscano il diritto di soggiorno sul loro territorio alle persone di cui
all'art. 1, che siano in grado di esibire i documenti indicati all'art. 4, n.
3.
8.
Ai sensi dell'art. 4, n. 3, secondo trattino, della stessa direttiva,
tali documenti sono, per i membri della famiglia di un lavoratore:
«c)
il documento in forza del quale sono entrati nel loro territorio;
d)
un documento rilasciato dall'autorità competente dello Stato d'origine o
di provenienza attestante l'esistenza del vincolo di parentela;
e)
nei casi contemplati dall'articolo 10, paragrafi 1 e 2, del regolamento (CEE)
n. 1612/68, un documento rilasciato dall'autorità competente dello Stato
d'origine o di provenienza, da cui risulti che sono a carico del lavoratore o
che con esso convivono in detto paese».
9.
L'art. 10 della direttiva 68/360 dispone:
«Gli
Stati membri non possono derogare alle disposizioni della presente direttiva se
non per ragioni d'ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità
pubblica».
10.
Ai sensi dell'art. 1, n. 1, della direttiva 73/148:
«Gli
Stati membri sopprimono, alle condizioni previste dalla presente direttiva, le
restrizioni al trasferimento e al soggiorno:
a)
dei cittadini di uno Stato membro che si siano stabiliti o che desiderino
stabilirsi in un altro Stato membro per esercitarvi un'attività
indipendente, o che desiderino effettuarvi una prestazione di servizi;
b)
dei cittadini degli Stati membri che desiderino recarsi in un altro Stato
membro in qualità di destinatari di una prestazione di servizi;
c)
del coniuge e dei figli d'età inferiore a 21 anni dei cittadini
suddetti, qualunque sia la loro cittadinanza;
d)
degli ascendenti e discendenti dei cittadini suddetti e del coniuge di tali
cittadini che sono a loro carico, qualunque sia la loro cittadinanza».
11.
L'art. 3 della direttiva 73/148 riproduce in sostanza il contenuto
dell'art. 3 della direttiva 68/360.
12.
L'art. 4, n. 1, della direttiva 73/148 dispone:
«Ogni
Stato membro riconosce un diritto di soggiorno permanente ai cittadini degli
Stati membri che si stabiliscono nel suo territorio per esercitarvi una
attività indipendente, quando le restrizioni relative a tale
attività siano state soppresse in virtù del trattato.
Il
diritto di soggiorno è comprovato dal rilascio di un documento
denominato carta di soggiorno di cittadino di uno Stato membro delle
Comunità europee. Taledocumento ha una validità di almeno cinque
anni a decorrere dalla data di rilascio; esso è automaticamente
rinnovabile.
(...)».
13.
L'art. 6 della direttiva 73/148 prevede:
«Per
il rilascio della carta e del permesso di soggiorno lo Stato membro può
esigere dal richiedente soltanto:
a)
l'esibizione del documento in forza del quale egli è entrato nel suo
territorio;
b)
la prova che egli rientra in una delle categorie di cui agli articoli 1 e
4».
14.
L'art. 8 della direttiva 73/148 riproduce in sostanza il contenuto
dell'art. 10 della direttiva 68/360.
15.
Ai sensi dell'art. 1 della direttiva 64/221:
«1.
Le disposizioni contenute nella presente direttiva riguardano i cittadini di
uno Stato membro che soggiornano o si trasferiscono in un altro Stato membro
della Comunità allo scopo di esercitare un'attività salariata o
non salariata o in qualità di destinatari di servizi.
2.
Tali disposizioni trovano applicazione anche nei riguardi del coniuge e dei
familiari che rispondono alle condizioni previste dai regolamenti e dalle
direttive adottati in questo settore in esecuzione del Trattato».
16.
L'art. 2 della direttiva 64/221 dispone:
«1.
La presente direttiva riguarda i provvedimenti relativi all'ingresso sul
territorio, al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno, o
all'allontanamento dal territorio, che sono adottati dagli Stati membri per
motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica.
2.
Tali motivi non possono essere invocati per fini economici».
17.
L'art. 3 della direttiva 64/221 precisa:
«1.
I provvedimenti di ordine pubblico o di pubblica sicurezza devono essere
adottati esclusivamente in relazione al comportamento personale dell'individuo
nei riguardi del quale essi sono applicati.
2.
La sola esistenza di condanne penali non può automaticamente
giustificare l'adozione di tali provvedimenti.
3.
La scadenza del documento d'identità che ha permesso l'ingresso nel
paese ospitante e il rilascio del permesso di soggiorno non può giustificare
l'allontanamento dal territorio.
4.
Lo Stato che ha rilasciato il documento di identità ammetterà
senza formalità sul suo territorio il titolare di tale documento, anche
se questo sia scaduto e anche se sia contestata la cittadinanza del
titolare».
18.
Secondo l'art. 8 della direttiva 64/221:
«Avverso
il provvedimento di diniego d'ingresso, di diniego di rilascio del permesso di
soggiorno o del suo rinnovo, o contro la decisione di allontanamento dal
territorio, l'interessato deve avere assicurata la possibilità di
esperire i ricorsi consentiti ai cittadini avverso gli atti
amministrativi».
19.
Ai sensi dell'art. 9 della direttiva 64/221:
«1.
Se non sono ammessi ricorsi giurisdizionali o se tali ricorsi sono intesi ad
accertare soltanto la legittimità dei provvedimenti impugnati o se essi
non hanno effetto sospensivo, il provvedimento di diniego del rinnovo del
permesso di soggiorno o quello di allontanamento dal territorio del titolare
del permesso di soggiorno è adottato dall'autorità amministrativa,
tranne in casi di urgenza, solo dopo aver sentito il parere di una
autorità competente del paese ospitante, dinanzi alla quale
l'interessato deve poter far valere i propri mezzi di difesa e farsi assistere
o rappresentare secondo la procedura prevista dalla legislazione di detto
paese.
La
suddetta autorità deve essere diversa da quella cui spetta l'adozione
dei provvedimenti di diniego del rinnovo del permesso o di allontanamento dal
territorio.
2.
Il provvedimento di diniego del rilascio del primo permesso di soggiorno e
quello di allontanamento dal territorio prima del rilascio di tale permesso,
sono sottoposti, a richiesta dell'interessato, all'esame dell'autorità
il cui parere preliminare è previsto al paragrafo 1. L'interessato è
allora autorizzato a presentare di persona i propri mezzi di difesa a meno che
non vi si oppongano motivi di sicurezza dello Stato».
20.
Il regolamento n. 2317/95 è stato annullato dalla sentenza 10
giugno 1997, causa C-392/95, Parlamento/Consiglio (Racc. pag. I-3213). La Corte
ha tuttavia deciso che gli effetti del regolamento annullato siano mantenuti in
vigore sino a quando il Consiglio dell'Unione europea non avrà emanato
una nuova normativa in materia.
21.
Secondo l'art. 5 del regolamento n. 2317/95:
«Ai
fini del presente regolamento, per visto si intende ogni autorizzazione
rilasciata o decisione presa da uno Stato membro, necessaria per l'ingresso nel
suo territorio, per:
-
un soggiorno previsto in tale Stato membro o in vari Stati membri per un
periodo la cui durata globale non sia superiore a tre mesi;
-
il transito nel territorio di tale Stato membro o di vari Stati membri, escluso
il transito nella zona internazionale degli aeroporti e i trasferimenti tra
aeroporti di uno Stato membro».
22.
Il 12 marzo 1999, il Consiglio ha adottato il regolamento (CE) n. 574,
che determina quali siano i paesi terzi i cui cittadini devono essere in
possesso di un visto per l'attraversamento delle frontiere esterne degli Stati
membri (GU L 72, pag. 2). Tale regolamento è stato sostituito dal
regolamento (CE) del Consiglio 15 marzo 2001, n. 539, che adotta l'elenco dei
paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso del visto all'atto
dell'attraversamento delle frontiere esterne e l'elenco dei paesi terzi i cui
cittadini sono esenti da tale obbligo (GU L 81, pag. 1).
Normativa
nazionale
23.
La legge in materia di accesso al territorio, soggiorno, stabilimento
ed allontanamento degli stranieri 15 dicembre 1980 (Moniteur belge del 31 dicembre 1980), come modificata dalla
legge 15 luglio 1996 (Moniteur belge del 12 ottobre 1996; in prosieguo: la «legge 15
dicembre 1980») dispone, nel suo art. 2, primo comma:
«E'
autorizzato ad entrare nel Regno lo straniero in possesso:
(...)
2°
o di un passaporto valido o, in sostituzione, di un titolo di viaggio corredato
di un visto o, in sostituzione, di un'autorizzazione, valido per il Belgio,
apposto da un rappresentante diplomatico o consolare belga o da quello di uno
Stato aderente ad una convenzione internazionale relativa all'attraversamento
delle frontiere esterne, che vincoli il Belgio».
24.
L'art. 3, primo comma, punto 2°, della medesima legge consente alle
«autorità incaricate del controllo alle frontiere» di
respingere lo straniero che «tenti di entrare nel Regno senza essere in
possesso dei documenti richiesti dall'art. 2».
25.
L'art. 7, primo comma, punti 1° e 2°, della detta legge
consente al ministro competente o al suo delegato di ordinare l'espulsione dal
territorio, entro una data determinata, dello straniero che non è
né autorizzato né ammesso a soggiornare per più di tre
mesi o a stabilirsi nel Regno:
«1°
qualora egli resti nel Regno senza essere in possesso dei documenti richiesti
dall'art. 2;
2°
qualora egli resti nel Regno oltre il termine fissato ai sensi dell'art. 6 o
non possa fornire la prova che tale termine non sia scaduto».
26.
Ai sensi dell'art. 40, nn. 2-6, della legge 15 dicembre 1980:
«2.
Ai fini dell'applicazione della presente legge, si intende per straniero CE
ogni cittadino di uno Stato membro delle Comunità europee che soggiorni
o entri nel Regno e che:
1°
ivi eserciti o intenda esercitarvi un'attività lavorativa subordinata o
autonoma; oppure
2°
ivi fruisca o intenda fruire di una prestazione di servizi; oppure
3°
ivi fruisca o intenda ivi fruire del diritto di residenza; oppure
4°
ivi fruisca o intenda ivi fruire del diritto di soggiorno dopo aver cessato
un'attività professionale esercitata nella Comunità; oppure
5°
ivi segua o intenda seguire, a titolo principale, un corso di formazione
professionale in un istituto di insegnamento autorizzato; oppure
6°
non appartenga a nessuna della categorie contemplate dai punti 1°-5°.
3.
Salvo quanto altrimenti disposto nella presente legge, sono assimilati allo
straniero CE, di cui al [n.] 2, punti 1°, 2° e 3°, a prescindere
dalla loro cittadinanza, le persone qui di seguito indicate, sempre che vengano
a stabilirsi o si stabiliscano con lui:
1°
il coniuge;
(...)
4.
Salvo quanto altrimenti disposto nella presente legge, sono assimilate allo
straniero CE di cui al [n.] 2, punti 4° e 6°, a prescindere dalla loro
cittadinanza, le persone qui di seguito indicate, sempre che vengano a
stabilirsi o si stabiliscano con lui:
1°
il coniuge;
(...)
5.
Salvo quanto altrimenti disposto nella presente legge, sono assimilati allo
straniero CE di cui al [n.] 2, punto 5°, a prescindere dalla loro
cittadinanza, il coniuge e i figli o i figli del coniuge che sono a loro
carico, sempre che vengano a stabilirsi o si stabiliscano con lui.
6.
Sono altresì assimilati allo straniero CE il coniuge di un cittadino
belga, che venga a stabilirsi o si stabilisca con lui, come pure i loro
discendenti di età inferiore a 21 anni o a loro carico, i loro
ascendenti a carico e il coniuge di tali discendenti o di tali ascendenti che
vengano a stabilirsi o si stabiliscano con loro».
27.
L'art. 41 della legge 15 dicembre 1980 dispone:
«Il
diritto d'ingresso nel Regno è riconosciuto allo straniero CE su
esibizione di una carta d'identità o di un passaporto nazionale validi.
Il
coniuge e i familiari di cui all'art. 40, che non sono in possesso della
cittadinanza di uno Stato membro delle Comunità europee, debbono essere
in possesso del documento richiesto ai sensi dell'art. 2.
Il
titolare di un documento, che è stato rilasciato dalle autorità
belghe e che ha consentito l'ingresso e il soggiorno in uno Stato membro delle
Comunità, sarà accolto senza formalità nel territorio
belga anche se la sua cittadinanza sia contestata o se tale documento sia scaduto».
28.
L'art. 42 della legge 15 dicembre 1980 prevede:
«Il
diritto di soggiorno è riconosciuto agli stranieri CE alle condizioni e
per la durata stabilite dal Re conformemente ai regolamenti e alle direttive
delle Comunità europee.
Tale
diritto di soggiorno è comprovato da un permesso rilasciato nei casi e
secondo le modalità determinate dal Re, conformemente ai detti
regolamenti e direttive.
La
decisione relativa al rilascio del permesso di soggiorno è adottata
immediatamente e, al più tardi, entro sei mesi dalla domanda».
29.
L'art. 43 della legge 15 dicembre 1980 precisa:
«L'ingresso
e il soggiorno possono essere negati agli stranieri CE solo per ragioni di
ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica, nel
rispetto dei seguenti limiti:
(...)
3°
la scadenza del documento che ha consentito l'ingresso ed il soggiorno nel
territorio belga non può di per sé giustificare l'allontanamento
dal territorio;
(...)».
30.
Ai sensi dell'art. 44, primo comma, punto 1°, della legge 15
dicembre 1980:
«Possono
dar luogo alla domanda di riesame prevista dall'art. 64:
1°
qualsiasi diniego di rilascio di un permesso di soggiorno ad uno straniero CE
al quale è riconosciuto un diritto di soggiorno conformemente all'art.
42, nonché qualsiasi decisione di allontanamento dal territorio prima
del rilascio di un tale documento».
31.
A termini dell'art. 64 della legge 15 dicembre 1980:
«Oltre
alle decisioni di cui agli artt. 44 e 44bis, possono dare luogo ad
una domanda di riesame proposta al ministro e disciplinata in conformità
alle disposizioni che seguono:
1°
la decisione che, in applicazione dell'art. 11, nega il riconoscimento di un
diritto di soggiorno;
2°
il rinvio;
3°
il rigetto di una domanda di autorizzazione di residenza;
(...)
7°
la decisione che ordina allo straniero, ai sensi dell'art. 22, di non
soggiornare in luoghi determinati, di dimorare lontano da essi o di risiedere
in un luogo determinato;
8°
la decisione che nega il permesso di soggiorno allo straniero che desideri
seguire gli studi in Belgio».
32.
L'art. 69 della legge 15 dicembre 1980 dispone:
«Avverso
una decisione che nega il riconoscimento di un diritto previsto dalla presente
legge può proporsi un ricorso di annullamento, disciplinato dall'art. 14
delle leggi sul Conseil d'État, nel testo coordinato il 12 gennaio 1973.
La
presentazione di una domanda di riesame non impedisce la proposizione immediata
di un ricorso di annullamento avverso la decisione di cui si chiede il riesame.
In
tal caso, l'esame del ricorso di annullamento è sospeso fino a che il
ministro non abbia deciso sulla ricevibilità della domanda».
33.
La circolare 28 agosto 1997 è formulata come segue:
«Obiettivo
della presente circolare è disciplinare alcuni problemi relativi alle
pubblicazioni matrimoniali [...] che hanno recentemente dato luogo a
discussione. Inoltre, essa fornisce chiarimenti circa i documenti che devono
prodursi al fine di ottenere un visto per contrarre matrimonio nel Regno o di
ottenere un visto di ricongiungimento familiare sulla base di un matrimonio contratto
all'estero.
(...)
4.
Presentazione della domanda di soggiorno dopo la celebrazione del matrimonio.
(...)
Tuttavia,
per quanto riguarda il soggiorno, va ricordato che i documenti richiesti per
l'ingresso nel Regno devono essere prodotti a sostegno della domanda di
soggiorno presentata in base all'art. 10, primo comma, punti 1° o 4°,
ovvero all'art. 40, [nn.] 3-6, della legge 15 dicembre 1980, in materia di
accesso al territorio, soggiorno, stabilimento ed allontanamento degli
stranieri.
Ciò
significa in concreto che lo straniero deve essere in possesso di un passaporto
nazionale valido o, in sostituzione, di un titolo di viaggio corredato, se del
caso, di un visto o, in sostituzione, di un'autorizzazione, valido per il
Belgio, apposto da un rappresentante diplomatico o consolare belga o da quello
di uno Stato aderente ad una convenzione internazionale relativa
all'attraversamento delle frontiere esterne, che vincoli il Belgio (art. 2
della legge 15 dicembre 1980).
Qualora
lo straniero non produca questi documenti d'ingresso, la sua domanda di
soggiorno, in linea di principio, dev'essere dichiarata irricevibile.
(...)».
34.
La circolare del Ministro degli Interni 12 ottobre 1998, relativa alla
domanda di soggiorno o di stabilimento nel Regno proposta, dopo la conclusione
di un matrimonio, sulla base degli artt. 10 o 40 della legge 15 dicembre 1980,
in materia di accesso al territorio, soggiorno, stabilimento ed allontanamento
degli stranieri (Moniteur belge del 6 novembre 1998, pag. 36360; in prosieguo: la «circolare 12
ottobre 1998»), è stata adottata al fine di precisare la norma
enunciata al punto 4 della circolare 28 agosto 1997. I punti 1 e 2 della
circolare 12 ottobre 1998 prevedono:
«1.
Resta valida la norma generale secondo la quale una domanda di soggiorno o di
stabilimento nel Regno a motivo del ricongiungimento familiare non sarà
presa in considerazione se lo straniero non possiede validi documenti di
ingresso, cioè un passaporto nazionale o, in alternativa, un valido titolo
di viaggio, corredato, se del caso, di un visto valido, al momento della
domanda.
2.
In deroga a tale norma generale, la domanda di stabilimento proposta, sulla
base dell'art. 40 della legge 15 dicembre 1980, da uno straniero (soggetto
all'obbligo del visto) sposato con un cittadino belga o un cittadino di uno
Stato membro dello SEE, che produce solo un passaporto nazionale, o, in
alternativa, un valido titolo di viaggio, ma corredato di un visto scaduto,
sarà tuttavia presa in considerazione sempre che i documenti relativi al
suo legame di parentela o di affinità con tale cittadino belga o tale
cittadino di uno Stato membro dello SEE siano prodotti al momento della domanda
di stabilimento.
(...)».
Controversia
principale e questioni pregiudiziali
35.
Il 28 novembre 1997 il MRAX ha proposto dinanzi al Conseil
d'État un ricorso diretto all'annullamento della circolare 28 agosto
1997.
36.
Esso ha affermato, a sostegno del suo ricorso, che tale circolare, in
particolare il suo punto 4, era incompatibile con le direttive comunitarie in
materia di trasferimento e di soggiorno all'interno della Comunità.
37.
Ritenendo che la soluzione della controversia dinanzi ad esso pendente
avesse bisogno di un'interpretazione del diritto comunitario, il Conseil
d'État ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla
Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1)
Se l'art. 3 della direttiva 15 ottobre 1968, 68/360, l'art. 3 della direttiva
21 maggio 1973, 73/148, nonché il regolamento 25 settembre 1995, n.
2317, letti alla luce del principio di proporzionalità, del divieto di
discriminazione e del diritto al rispetto della vita familiare, debbano essere
interpretati nel senso che gli Stati membri possono respingere alla frontiera
gli stranieri soggetti all'obbligo del visto, coniugati con cittadini
comunitari, che tentino di entrare nel territorio di uno Stato membro senza
disporre di un documento d'identità o di un visto.
2)
Se l'art. 4 della direttiva 68/360, e l'art. 6 della direttiva 73/148, letti
alla luce degli artt. 3 delle sopracitate direttive, nonché del
principio di proporzionalità, del divieto di discriminazione e del
diritto al rispetto della vita familiare, debbano essere interpretati nel senso
che gli Stati membri possono rifiutare il permesso di soggiorno al coniuge di
un cittadino comunitario, entrato irregolarmente nel loro territorio, ed
adottare nei suoi confronti una misura di espulsione.
3)
Se gli artt. 3 e 4, n. 3, della direttiva 68/360, l'art. 3 della direttiva
73/148 e l'art. 3, n. 3, della direttiva 25 febbraio 1964, 64/221, implichino
che gli Stati membri non possono né rifiutare il permesso di soggiorno
né espellere il coniuge straniero di un cittadino comunitario,
regolarmente entrato nelterritorio nazionale ma il cui visto sia scaduto al momento
in cui chiede il rilascio di tale permesso.
4)
Se gli artt. 1 e 9, n. 2, della direttiva 64/221, debbano essere interpretati
nel senso che il coniuge straniero di un cittadino comunitario, sprovvisto di
documenti d'identità, di visto o il cui visto sia scaduto, dispone della
facoltà di adire l'autorità competente di cui all'art. 9, n. 1,
qualora chieda il rilascio di un primo permesso di soggiorno o sia oggetto di
un provvedimento di espulsione prima del rilascio di tale permesso».
Osservazione
preliminare
38.
Lo Stato belga fa valere che il legislatore nazionale ha assimilato il
coniuge di un cittadino belga al cittadino di uno Stato membro, affinché
egli non sia trattato in modo meno favorevole del coniuge o del familiare di un
cittadino di un altro Stato membro. Tuttavia, secondo lo Stato belga, la Corte
non è competente quando la questione concerne la posizione di un
cittadino di un paese terzo, coniugato con un cittadino belga.
39.
A tale riguardo, si deve ricordare che la normativa comunitaria
relativa alla libera circolazione dei lavoratori, alla libera prestazione dei
servizi e alla libertà di stabilimento non è applicabile a
posizioni che non presentano alcun elemento di collegamento con una qualunque
delle posizioni considerate dal diritto comunitario. Di conseguenza, la detta
normativa non può essere applicata alla posizione di persone che non
hanno mai goduto di tali libertà (v., in particolare, sentenze 16
dicembre 1992, causa C-206/91, Koua Poirrez, Racc. pag. I-6685, punti 10-12, e
11 luglio 2002, causa C-60/00, Carpenter, non ancora pubblicata nella Raccolta,
punto 28).
40.
E' alla luce di tali considerazioni che vanno risolte le questioni
pregiudiziali per effetto delle quali la Corte è invitata a pronunciarsi
sulla portata di varie disposizioni delle direttive 64/221, 68/360 e 73/148
nonché del regolamento n. 2317/95 rispetto a cittadini di paesi terzi,
coniugati con cittadini di Stati membri.
Sulla
prima questione
Osservazioni
presentate alla Corte
41.
Il MRAX fa valere che respingere alla frontiera di uno Stato membro un
cittadino di un paese terzo, sposato con un cittadino di uno Stato membro, a
motivo del fatto che egli non è in possesso di un visto rilasciato da
tale Stato membro, costituisce una violazione degli artt. 3 della direttiva
68/360, 3 della direttiva 73/148, del regolamento n. 2317/95, nonché
dell'art. 8, n. 2, della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle libertà fondamentali (in prosieguo: la
«convenzione»).
42.
Inoltre, il MRAX ritiene che, per i cittadini di paesi terzi, coniugati
con cittadini di Stati membri, l'esame delle condizioni per ottenere il visto
debba avvenire in Belgio e non nel loro paese d'origine.
43.
Per quanto riguarda il requisito di un documento di identità, lo
Stato belga sostiene che spetta agli Stati membri verificare se i cittadini di
paesi terzi che desiderano entrare nel loro territorio o che, essendovi
già entrati, rivendicano un diritto di soggiorno, possano o meno
avvalersi del diritto comunitario. L'obbligo di presentare un passaporto valido
all'ingresso nel territorio dello Stato membro sarebbe pertanto giustificato
dalla necessità per il cittadino di un paese terzo di fornire la prova
della sua identità e del suo legame familiare con un cittadino di uno
Stato membro.
44.
In merito al requisito di un visto, lo Stato belga afferma che
l'obbligo di chiedere un visto anteriormente all'ingresso nel territorio di uno
Stato membro fornisce agli Stati membri lo strumento per verificare nel
contempo se il cittadino di un paese terzo, che desidera entrare nel loro
territorio in qualità di coniuge di un cittadino di uno Stato membro,
soddisfi le condizioni necessarie e se egli non rientri nella categoria delle
persone che possono vedersi rifiutare l'ingresso per motivi di ordine pubblico,
di sicurezza pubblica o di sanità pubblica conformemente alla direttiva
64/221. Pertanto, gli artt. 3 della direttiva 68/360 e 3 della direttiva
73/148, che autorizzano gli Stati membri a richiedere un visto ai cittadini di paesi
terzi, familiari di un cittadino di uno Stato membro, dovrebbero essere
interpretati nel senso che, in mancanza di visto, gli Stati membri hanno il
diritto di respingere tali persone alle loro frontiere. L'interpretazione
contraria priverebbe tali disposizioni di ogni efficacia pratica.
45.
Lo Stato belga aggiunge che molte circostanze riguardanti il cittadino
di un paese terzo possono essere chiarite solo dalle autorità di
rappresentanza belghe nel paese d'origine di tale persona. Pertanto, sarebbe
opportuno rilasciare il visto nel paese terzo piuttosto che alla frontiera del
Belgio.
46.
Il governo austriaco ritiene che l'obbligo per i cittadini di paesi
terzi, coniugati con cittadini di Stati membri, di ottenere un visto non
costituisca una discriminazione in quanto un obbligo del genere è
previsto tanto dal diritto belga quanto dal diritto comunitario.
47.
Invece, permettere l'ingresso nel territorio belga ai cittadini di
paesi terzi che non si sono conformati all'obbligo di visto violerebbe il
principio di uguaglianza a svantaggio dei cittadini di paesi terzi che si sono
conformati a tale obbligo. Tuttavia, secondo il governo austriaco, alla luce
dei principi di libera circolazione delle persone e di proporzionalità,
uno Stato membro sarebbe autorizzato a introdurre deroghe all'obbligo generale
di visto in situazioni eccezionali, come prevederebbe in particolare l'art. 4
del regolamento n. 574/1999.
48.
La Commissione sottolinea la situazione particolare del cittadino di un
paese terzo, familiare di un cittadino di uno Stato membro, rispetto agli altri
cittadini di paesi terziche arrivano alla frontiera esterna della
Comunità. Egli infatti, in forza del diritto comunitario, godrebbe del
diritto di stabilirsi con il cittadino di uno Stato membro nella
Comunità.
49.
Secondo la Commissione, si può negare ad un cittadino di uno
Stato membro l'ingresso in uno Stato membro se egli non sia in grado di provare
la sua cittadinanza. Quindi, lo stesso ragionamento dovrebbe applicarsi al
cittadino di un paese terzo che non possa dimostrare il suo legame familiare
con un cittadino di uno Stato membro.
50.
Se, invece, il cittadino di un paese terzo può provare tale
legame familiare e, pertanto, i diritti derivantigli dal diritto comunitario,
la mancanza di visto non dovrebbe pregiudicare tali diritti e non potrebbe in
alcun caso giustificare una misura di respingimento alla frontiera. Una misura
del genere costituirebbe infatti la negazione dei detti diritti e apparirebbe
sproporzionata.
51.
La Commissione ritiene che, nel caso di una persona che dimostri un
legame familiare con un lavoratore comunitario migrante, il visto abbia solo un
carattere formale e vada rilasciato dallo Stato membro tramite il quale tale
persona entra nella Comunità in modo quasi automatico. In nessun caso il
diritto dell'interessato di fare ingresso nella Comunità si fonderebbe
sul visto ma discenderebbe, in forza del diritto comunitario, dal solo legame
familiare.
52.
La Commissione aggiunge che il rilascio dei visti da parte dei
consolati di uno Stato membro situati nei paesi d'origine dei cittadini di
paesi terzi costituisce soltanto una misura organizzativa che non può
ostacolare l'esercizio dei diritti derivanti dall'ordinamento giuridico
comunitario.
Risposta
della Corte
53.
Si deve ricordare anzitutto che dai regolamenti e direttive del
Consiglio relativi alla libera circolazione dei lavoratori subordinati e
autonomi all'interno della Comunità deriva, in particolare, che il
legislatore comunitario ha riconosciuto l'importanza di garantire la tutela
della vita familiare dei cittadini degli Stati membri al fine di eliminare gli
ostacoli all'esercizio delle libertà fondamentali enunciate dal Trattato
(sentenza Carpenter, citata, punto 38).
54.
Così, gli artt. 10 del regolamento n. 1612/68, 1 della direttiva
68/360 e 1 della direttiva 73/148 estendono, in termini identici,
l'applicazione del diritto comunitario in materia d'ingresso e di soggiorno nel
territorio degli Stati membri al coniuge di un cittadino di uno Stato membro
soggetto a tali disposizioni (sentenza 8 aprile 1976, causa 48/75, Royer, Racc.
pag. 497, punto 13).
55.
Inoltre, conformemente agli artt. 3, n. 1, della direttiva 68/360 e 3,
n. 1, della direttiva 73/148, che sono formulati in termini identici, gli Stati
membri ammettono nel loro territorio i cittadini degli Stati membri e i loro
familiari che rientrano nelcampo di applicazione di dette direttive dietro
semplice presentazione di una carta d'identità o di un passaporto
validi.
56.
Cionondimeno, ai sensi degli artt. 3, n. 2, della direttiva 68/360 e 3,
n. 2, della direttiva 73/148, quando un cittadino di uno Stato membro si sposta
all'interno della Comunità al fine di esercitare i diritti che gli sono
conferiti dal Trattato e dalle dette direttive, gli Stati membri possono
imporre un visto d'ingresso o un obbligo equivalente ai suoi familiari che non
possiedono la cittadinanza di uno degli Stati membri. L'elenco dei paesi terzi
i cui cittadini devono essere in possesso di un visto per l'attraversamento delle
frontiere esterne degli Stati membri è stato fissato dal regolamento n.
2317/95, sostituito dal regolamento n. 574/1999, a sua volta sostituito dal
regolamento n. 539/2001.
57.
Poiché la normativa comunitaria non specifica le misure che uno
Stato membro può adottare nel caso in cui un cittadino di un paese
terzo, coniugato con un cittadino di uno Stato membro, voglia entrare nel
territorio comunitario senza essere in possesso di una carta d'identità
o di un passaporto validi o, se del caso, di un visto, il respingimento alla
frontiera non sembra escluso (v. in questo senso, in particolare, per quanto
riguarda gli artt. 3, n. 1, della direttiva 68/360 e 3, n. 1, della direttiva
73/148, sentenza 30 maggio 1991, causa C-68/89, Commissione/Paesi Bassi, Racc.
pag. I-2637, punto 11).
58.
Infatti, da una parte, in assenza di una carta d'identità o di
un passaporto validi, documenti finalizzati a consentire al loro titolare di
fornire la prova della sua identità e della sua cittadinanza (v. in
questo senso, in particolare, sentenza 5 marzo 1991, causa C-376/89,
Giagounidis, Racc. pag. I-1069, punti 14 e 15), l'interessato non può,
in linea di principio, provare validamente la sua identità e pertanto i
suoi legami familiari.
59.
Dall'altra, benché, come sottolinea giustamente la Commissione,
il diritto di entrare nel territorio degli Stati membri del cittadino di un
paese terzo, coniugato con un cittadino di uno Stato membro, derivi,
conformemente al diritto comunitario, dal solo legame familiare, ciò non
toglie che, a termini stessi degli artt. 3, n. 2, della direttiva 68/360 e 3,
n. 2, della direttiva 73/148, l'esercizio di tale diritto può essere
subordinato al possesso di un visto. L'art. 5 del regolamento n. 2317/95
definisce peraltro il visto come ogni autorizzazione rilasciata o decisione
presa da uno Stato membro, necessaria «per l'ingresso» nel suo
territorio.
60.
Tuttavia, gli artt. 3, n. 2, della direttiva 68/360 e 3, n. 2, della
direttiva 73/148 precisano che «[g]li Stati membri accordano a tali persone
ogni agevolazione per l'ottenimento dei visti ad esse necessari».
Ciò significa che, a pena di disconoscere la piena efficacia delle
disposizioni citate delle direttive 68/360 e 73/148, il rilascio del visto deve
avvenire immediatamente e, nella misura del possibile, nei luoghi di ingresso
nel territorio nazionale.
61.
Tenuto conto dell'importanza che il legislatore comunitario ha
ricollegato alla protezione della vita familiare (v. punto 53 della presente
sentenza), il respingimento è, in ogni caso, sproporzionato e, dunque,
vietato se il cittadino di un paese terzo, coniugato con un cittadino di uno
Stato membro, può provare la sua identità nonché il legame
coniugale e se non esistono elementi in grado di stabilire che egli rappresenti
un pericolo per l'ordine pubblico, la sicurezza pubblica o la sanità
pubblica ai sensi degli artt. 10 della direttiva 68/360 e 8 della direttiva
73/148.
62.
La prima questione pregiudiziale va quindi risolta dichiarando che gli
artt. 3 della direttiva 68/360, 3 della direttiva 73/148 nonché il
regolamento n. 2317/95, letti alla luce del principio di
proporzionalità, devono essere interpretati nel senso che uno Stato
membro non può respingere alla frontiera il cittadino di un paese terzo,
coniugato con un cittadino di uno Stato membro, che tenti di entrare nel suo
territorio senza essere in possesso di una carta d'identità o di un
passaporto validi o, se del caso, di un visto, quando il detto coniuge
può provare la sua identità nonché il legame coniugale e
se non esistono elementi in grado di stabilire che egli rappresenti un pericolo
per l'ordine pubblico, la sicurezza pubblica o la sanità pubblica ai
sensi degli artt. 10 della direttiva 68/360 e 8 della direttiva 73/148.
Sulla
seconda questione
Osservazioni
presentate alla Corte
63.
Il MRAX osserva che il cittadino di un paese terzo che si è
sposato in Belgio durante il suo soggiorno illegale deve obbligatoriamente fare
ritorno nel paese d'origine per ottenere il visto necessario al fine di poter
reclamare il diritto di soggiorno. Tuttavia, lo Stato belga talvolta
accetterebbe, con una decisione discrezionale, di regolarizzare il soggiorno
del coniuge di un cittadino di uno Stato membro.
64.
Pertanto, secondo il MRAX, a causa della prassi amministrativa dello
Stato belga il coniuge di un cittadino di uno Stato membro non può
contare su alcuna certezza del diritto e tale prassi può essere
percepita come discriminatoria.
65.
Il MRAX fa valere che la Corte non si è mai pronunciata sulla
sanzione da applicare ad un cittadino di un paese terzo illegalmente entrato
nel territorio di uno Stato membro, ma che essa ha tuttavia deciso che un
cittadino di uno Stato membro che non sia in possesso del documento richiesto
(passaporto) per poter risiedere nel territorio di un altro Stato membro non
può essere oggetto di alcuna misura di espulsione ma può essere
condannato al pagamento di una pena pecuniaria (v. sentenza 14 luglio 1977,
causa 8/77, Sagulo e a., Racc. pag. 1495). Il MRAX si chiede se le misure che possono
essere adottate nei confronti di un cittadino di uno Stato membro non debbano
essere applicate per analogia al coniuge di un tale cittadino e se le
infrazioni all'ingresso e al soggiorno nel territorio di uno Stato membro non
possano essere punite con una sanzione pecuniaria amministrativa o penale,
sanzione che sarebbe più conforme ai principi della libera circolazione
e del diritto al rispetto della vita privata.
66.
Lo Stato belga deduce che occorre interpretare gli artt. 4 della
direttiva 68/360 e 6 della direttiva 73/148 nel senso che essi consentono agli
Stati membri di negare il permesso di soggiorno al cittadino di un paese terzo
coniugato con un cittadino di uno Stato membro, che è entrato
illegalmente nel loro territorio, e di adottare nei suoi confronti una misura
di espulsione. Una diversa interpretazione svuoterebbe di significato e
priverebbe di ogni efficacia pratica le disposizioni degli artt. 3 della
direttiva 68/360 e 3 della direttiva 73/148.
67.
Lo Stato belga sostiene che, in una situazione come quella considerata
nella seconda questione pregiudiziale, l'espulsione non può essere
considerata un provvedimento sproporzionato, tenuto conto degli interessi in
gioco, ovvero, da un lato, le esigenze di ordine pubblico e, dall'altro, il
rispetto della vita privata e familiare. A parere di tale Stato, il pregiudizio
alla vita familiare sarebbe estremamente limitato se il cittadino del paese
terzo venisse respinto o invitato a lasciare il territorio: la separazione dei
coniugi sarebbe infatti di breve durata se l'interessato potesse provare di
aver diritto a beneficiare delle disposizioni del diritto comunitario
poiché, in tale ipotesi, un visto dovrebbe poter essergli concesso entro
breve termine.
68.
Il governo austriaco fa valere che se il diritto primario e il diritto
derivato prevedono che gli Stati membri possono porre termine al soggiorno nel
loro territorio di cittadini di altri Stati membri qualora le condizioni per il
prolungamento del soggiorno non siano o non siano più soddisfatte, uno
Stato membro, a fortiori, deve potere espellere un cittadino di un paese terzo,
familiare di un cittadino di uno Stato membro (v. artt. 10 della direttiva
68/360 e 8 della direttiva 73/148).
69.
La Commissione sostiene che se, al momento del deposito della domanda
di permesso di soggiorno, conformemente all'art. 4, n. 1, della direttiva
68/360, il cittadino di un paese terzo, coniugato con un cittadino di uno Stato
membro, fornisce la prova di tale vincolo familiare, non gli si dovrebbe negare
un permesso di soggiorno per il solo motivo che egli è entrato
illegalmente nello Stato membro interessato.
70.
La Commissione ricorda a tale riguardo che nella sentenza Royer,
citata, la Corte ha dichiarato che la semplice omissione, da parte di un
cittadino di uno Stato membro, delle formalità relative all'ingresso, al
trasferimento e al soggiorno degli stranieri non è atta a costituire, di
per sé, un comportamento che minacci l'ordine pubblico e la sicurezza
pubblica e non può pertanto da sola giustificare né un provvedimento
di espulsione, né l'arresto provvisorio in attesa di un tale
provvedimento. A parere della Commissione niente osta a che tale giurisprudenza
si applichi per analogia al cittadino di un paese terzo, che beneficia del
diritto comunitario a motivo del suo legame familiare con un lavoratore
migrante comunitario.
71.
La Commissione fa valere che, in forza della direttiva 64/221, il
diniego di un permesso di soggiorno o l'espulsione dal territorio possono
essere decisi solo per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di
sanità pubblica e devono essere basati esclusivamente sul comportamento
personale dell'individuo da essi interessato.Orbene, l'ingresso illegale nel
territorio di uno Stato membro non può costituire sistematicamente una
minaccia per l'ordine pubblico atta a mettere in discussione lo stesso diritto
di soggiorno.
72.
La Commissione aggiunge che nella sentenza 7 luglio 1976, causa 118/75,
Watson e Belmann (Racc. pag. 1185), la Corte ha precisato la sua posizione
sulle sanzioni che gli Stati membri possono adottare in caso di inottemperanza
a certe formalità previste dalla normativa comunitaria. Considerata tale
giurisprudenza, gli Stati membri potrebbero prevedere sanzioni proporzionate in
caso di ingresso illegale nel loro territorio, quali una sanzione pecuniaria
(sentenza Sagulo e a., citata, punto 6). L'applicazione di tali sanzioni non
dovrebbe tuttavia condizionare il rilascio del permesso di soggiorno.
Risposta
della Corte
73.
La seconda questione deve essere intesa come avente ad oggetto la
posizione del cittadino di un paese terzo, entrato illegalmente nel territorio
di uno Stato membro, che può fornire la prova della sua identità
e del suo matrimonio con un cittadino di uno Stato membro soggetto all'applicazione
delle disposizioni delle direttive 68/360 e 73/148.
74.
Il rilascio di un permesso di soggiorno ad un cittadino di uno Stato
membro dev'essere considerato, come la Corte ha affermato ripetutamente (v., in
particolare, sentenza 5 febbraio 1991, causa C-363/89, Roux, Racc. pag. I-273,
punto 12) non come un atto costitutivo di diritti, ma come un atto destinato a
comprovare, da parte di uno Stato membro, la posizione individuale del
cittadino di un altro Stato membro nei confronti delle norme comunitarie. Lo
stesso ragionamento deve valere per quanto riguarda il cittadino di un paese
terzo, coniugato con un cittadino di uno Stato membro, il cui diritto di
soggiorno deriva direttamente dagli artt. 4 della direttiva 68/360 e 4 della
direttiva 73/148, indipendentemente dal rilascio di un permesso di soggiorno da
parte dell'autorità competente di uno Stato membro.
75.
Le modalità applicative che regolano il rilascio del permesso di
soggiorno sono disciplinate, per quanto riguarda i lavoratori subordinati e i
loro familiari, dalla direttiva 68/360 e, per quanto riguarda i lavoratori
autonomi e i loro familiari, dalla direttiva 73/148.
76.
A tale riguardo, risulta dagli artt. 4, n. 3, della direttiva 68/360 e
6 della direttiva 73/148 che gli Stati membri possono subordinare il rilascio
del permesso di soggiorno alla presentazione del documento in forza del quale
l'interessato è entrato nel loro territorio (v. sentenza Roux, citata,
punti 14 e 15).
77.
D'altra parte, si deve ricordare che il diritto comunitario non vieta
agli Stati membri di reprimere la violazione delle disposizioni nazionali
relative al controllo degli stranieri con opportune sanzioni atte a garantire
l'osservanza delle disposizioni stesse(sentenza Royer, citata, punto 42),
purché tali sanzioni siano proporzionate (v., in particolare, sentenza 3
luglio 1980, causa 157/79, Pieck, Racc. pag. 2171, punto 19).
78.
Al contrario, una decisione di diniego del permesso di soggiorno e, a
fortiori, una misura di espulsione, che fossero motivate esclusivamente dall'inosservanza,
da parte dell'interessato, di formalità di legge relative al controllo
degli stranieri, pregiudicherebbero la sostanza stessa del diritto di soggiorno
direttamente attribuito dal diritto comunitario e sarebbero manifestamente sproporzionate
rispetto alla gravità della violazione (v., per analogia, in
particolare, sentenza Royer, citata, punto 40).
79.
Certo, gli artt. 10 della direttiva 68/360 e 8 della direttiva 73/148
non escludono che lo Stato membro possa derogare alle dette direttive per
ragioni d'ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica,
mentre l'art. 3, n. 1, della direttiva 64/221 stabilisce che i provvedimenti di
ordine pubblico o di pubblica sicurezza devono essere adottati esclusivamente
in relazione al comportamento personale dell'individuo nei riguardi del quale
essi sono applicati. Tuttavia, il fatto di non avere adempiuto le
formalità di legge relative all'ingresso, al trasferimento e al
soggiorno degli stranieri non può, di per sé, dare luogo
all'applicazione delle misure previste dall'art. 3 della direttiva 64/221
(sentenza Royer, citata, punti 47 e 48).
80.
Pertanto, la seconda questione pregiudiziale va risolta dichiarando che
gli artt. 4 della direttiva 68/360 e 6 della direttiva 73/148 devono essere
interpretati nel senso che essi non autorizzano uno Stato membro a negare il
rilascio di un permesso di soggiorno e ad adottare una misura di espulsione nei
confronti del cittadino di un paese terzo, che può fornire la prova
della sua identità e del suo matrimonio con un cittadino di uno Stato
membro, per il solo motivo che egli è entrato illegalmente nel
territorio dello Stato membro interessato.
Sulla
terza questione
Osservazioni
presentate alla Corte
81.
Il MRAX fa valere che l'art. 4 della direttiva 68/360 non richiede che
il documento in forza del quale i familiari del lavoratore comunitario sono
entrati legalmente nel territorio di uno Stato membro sia sempre valido nel
momento in cui essi chiedono il rilascio di un permesso di soggiorno. Pertanto,
il punto 4 della circolare 28 agosto 1997, ai sensi del quale la domanda di
soggiorno del coniuge di un cittadino di uno Stato membro è irricevibile
qualora essa sia proposta dopo la scadenza del documento, violerebbe il diritto
comunitario.
82.
Secondo lo Stato belga, dall'art. 3, n. 3, della direttiva 64/221
risulta che la scadenza del documento di identità che ha permesso
l'ingresso nello Stato membro ospitante e il rilascio di un permesso di
soggiorno non possono giustificare l'espulsione dal territorio. A contrario, se
la detta scadenza interviene prima della domanda di permesso di soggiorno, lo
Stato membro sarebbe legittimato a respingere tale domandae ad espellere il
cittadino di un paese terzo, coniugato con un cittadino di uno Stato membro. Così,
il documento in forza del quale il detto coniuge è entrato nel
territorio dello Stato membro, di cui all'art. 4, n. 3, della direttiva 68/360,
potrebbe essere solo il passaporto munito di un visto ancora valido.
83.
Il governo austriaco sostiene che la scadenza del visto all'interno
dello Stato membro giustifica il diniego di rilascio di un permesso di
soggiorno.
84.
La Commissione ritiene che la terza questione pregiudiziale vada
risolta affermativamente. Quando il coniuge di un cittadino di uno Stato membro
giustifica tale legame familiare, le direttive 68/360 e 73/148 si
applicherebbero e gli Stati membri avrebbero l'obbligo di rilasciargli un
permesso di soggiorno, come risulta dalla giurisprudenza Royer, già
citata. La Commissione ne deduce che la scadenza del visto, avvenuta dopo
l'ingresso nel territorio, non giustifica, in linea di principio, il diniego
del rilascio di un permesso di soggiorno. Infatti, la mancanza di tale
requisito formale non potrebbe inficiare la validità del passaporto al fine
del detto rilascio. Tale analisi sarebbe confermata dall'art. 3, n. 3, della
direttiva 64/221, che dimostrerebbe la volontà del legislatore
comunitario di far prevalere l'oggetto della domanda di permesso di soggiorno
sui suoi aspetti puramente formali.
85.
Inoltre, secondo la Commissione, il fatto di non proporre una domanda
di permesso di soggiorno prima della scadenza del visto non può, di per
sé, costituire un comportamento personale tale da minacciare l'ordine
pubblico e la sicurezza pubblica, che possa giustificare, in quanto tale, il
diniego del rilascio di un permesso di soggiorno o, a fortiori, una misura di
espulsione.
Risposta
della Corte
86.
Per un cittadino di un paese terzo il fatto di restare nel territorio
di uno Stato membro dopo la scadenza del suo visto costituisce una violazione
della normativa di tale Stato relativa al soggiorno degli stranieri.
87.
L'art. 3, n. 3, della direttiva 64/221, invocato nel corso del
procedimento dinanzi alla Corte, dispone che la scadenza del documento
d'identità che ha permesso l'ingresso del cittadino di uno Stato membro
o dei suoi familiari nello Stato membro ospitante e il rilascio del permesso di
soggiorno non possono giustificare l'espulsione dal territorio.
88.
La terza questione pregiudiziale riguarda tuttavia la posizione del
coniuge di un cittadino di uno Stato membro, soggetto all'obbligo di visto, che
è entrato legalmente ma non ha chiesto il permesso di soggiorno prima
della scadenza del visto.
89.
Occorre rilevare che gli artt. 4, n. 3, della direttiva 68/360 e 6
della direttiva 73/148, benché autorizzino gli Stati membri a
richiedere, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno, la produzione del
documento in forza del quale l'interessato è entrato nel loro territorio,
non prevedono che tale documento debba ancora essere valido.Pertanto,
nell'ipotesi del cittadino di un paese terzo soggetto all'obbligo di visto, il
rilascio di un permesso di soggiorno a tale cittadino non può essere
subordinato alla condizione che il suo visto sia ancora valido. Ciò vale
a maggior ragione in quanto, come la Corte ha dichiarato ai punti 22 e 23 della
sentenza Giagounidis, citata, gli Stati membri sono tenuti a riconoscere il
diritto di soggiorno nel loro territorio ai lavoratori di cui all'art. 1 della
direttiva 68/360 che possono esibire o una carta d'identità o un
passaporto validi, indipendentemente dal documento in forza del quale sono
entrati nel territorio di detti Stati membri.
90.
Di conseguenza, uno Stato membro non può subordinare il rilascio
di un permesso di soggiorno conformemente alle direttive 68/360 e 73/148 alla
presentazione di un visto valido. Inoltre, come risulta dal punto 78 della
presente sentenza, una misura di espulsione dal territorio per il solo motivo
della scadenza del visto costituirebbe una sanzione manifestamente
sproporzionata in rapporto alla gravità dell'inosservanza delle
prescrizioni nazionali relative al controllo degli stranieri.
91.
La terza questione pregiudiziale va dunque risolta dichiarando che gli
artt. 3 e 4, n. 3, della direttiva 68/360, 3 e 6 della direttiva 73/148 e 3, n.
3, della direttiva 64/221 devono essere interpretati nel senso che uno Stato
membro non può negare il rilascio di un permesso di soggiorno al
cittadino di un paese terzo, coniugato con un cittadino di uno Stato membro,
che è entrato legalmente nel territorio di tale Stato membro, né
adottare nei suoi confronti una misura di espulsione dal territorio per il solo
motivo che il suo visto è scaduto prima che egli abbia fatto richiesta
di un permesso di soggiorno.
Sulla
quarta questione
Osservazioni
presentate alla Corte
92.
Il MRAX fa valere che le disposizioni degli artt. 8 e 9 della direttiva
64/221 sono state attuate nell'ordinamento belga dagli artt. 44 e 64 della
legge 15 dicembre 1980. Tuttavia la prassi amministrativa attuale dello Stato
belga negherebbe ai cittadini di paesi terzi, coniugati con cittadini di Stati
membri, che sono privi di visto o il cui visto è scaduto, il diritto di
proporre la domanda di riesame prevista agli artt. 44 e 64 della legge 15
dicembre 1980 qualora essi siano destinatari di una decisione di diniego di
rilascio di un permesso di soggiorno o di una decisione di espulsione. Tali
persone sarebbero autorizzate solamente a proporre un ricorso per la sospensione
e l'annullamento delle dette decisioni dinanzi al Conseil d'État, il
quale si limiterebbe a verificare la legittimità della decisione
contestata, senza potere verificare la sua opportunità in relazione ai
fatti e alle circostanze del caso. Pertanto, la prassi amministrativa belga non
rispetterebbe gli obblighi imposti dal diritto comunitario.
93.
Secondo lo Stato belga, le disposizioni degli artt. 8 e 9 della
direttiva 64/221, che prevedono la possibilità per il cittadino di un
paese terzo di adire l'autorità competente dello Stato membro di cui al
detto art. 9, n. 1, quando egli chiede il rilascio di un primo permesso di
soggiorno o è destinatario di un provvedimento di espulsione primadel
rilascio di tale permesso, non si applicano nell'ipotesi in cui l'interessato
non è entrato legalmente nel territorio del detto Stato membro.
94.
Infatti, l'art. 1, n. 2, della direttiva 64/221 limiterebbe il suo
campo di applicazione ai familiari del cittadino di uno Stato membro che
soddisfano le condizioni di cui ai regolamenti e alle direttive adottati in
materia. Orbene, il coniuge di un cittadino di uno Stato membro privo di
documento di identità o di visto, o il cui visto è scaduto, non
soddisfarebbe le condizioni enunciate dagli artt. 3 e 4 della direttiva 68/360
e dal regolamento n. 2317/95.
95.
Il governo austriaco ritiene che un provvedimento di espulsione dal
territorio nei confronti di un soggetto tutelato dal diritto comunitario non
possa essere eseguito, salvo in caso d'assoluta urgenza, prima che quest'ultimo
sia stato in grado di esperire i ricorsi consentitigli dagli artt. 8 e 9 della
direttiva 64/221 (sentenze Royer, citata, e 22 maggio 1980, causa 131/79,
Santillo, Racc. pag. 1585).
96.
Tuttavia, se l'ordinamento giuridico belga subordina l'ingresso e il
soggiorno dei cittadini di paesi terzi, familiari di un cittadino di uno Stato
membro, alla presentazione di un passaporto o di una carta d'identità
validi nonché di un visto, sarebbe legittimo non riconoscere al
familiare illegalmente entrato nel territorio del Belgio il diritto di
rivolgersi all'autorità competente ai sensi dell'art. 9, n. 1, della
direttiva 64/221.
97.
Al contrario, alla luce dell'art. 3, n. 3, della direttiva 64/221, il
familiare dovrebbe potersi avvalere del ricorso previsto dall'art. 9 della
medesima direttiva qualora egli sia entrato legalmente nel territorio dello
Stato membro, ma la carta d'identità o il passaporto che gli ha
consentito l'ingresso e il rilascio del permesso di soggiorno sia scaduto. In
un caso del genere, infatti, l'espulsione dal territorio non sarebbe
giustificata.
98.
La Commissione sostiene che l'art. 1, n. 2, della direttiva 64/221 si
applica ai cittadini di paesi terzi, familiari di un cittadino di uno Stato
membro, anche se essi sono privi di visto o se questo è scaduto. Una
volta che il legame familiare sia accertato, non vi sarebbe dubbio che essi
possono avvalersi dei diritti di ricorso previsti dall'art. 9, n. 2, della
direttiva 64/221.
99.
Al contrario, in mancanza di documenti d'identità, andrebbe
adottata la soluzione proposta per la prima questione. Infatti, occorrerebbe
che lo status di coniuge di un cittadino di uno Stato membro sia stato
accertato al fine di applicare la tutela apprestata dal diritto comunitario.
Risposta
della Corte
100.
Occorre rilevare che l'art. 9, n. 2, della direttiva 64/221 ha lo scopo
di attribuire un minimo di garanzie procedurali alle persone che si vedono
negare un primo permesso di soggiorno o che sono colpite da una misura di
espulsione prima del rilascio di un tale permesso in una delle tre ipotesi
indicate al n. 1 dello stesso articolo. Nel caso incui i ricorsi
giurisdizionali contro gli atti amministrativi vertano solo sulla
legittimità del provvedimento, l'intervento dell'autorità competente
deve consentire di ottenere un esame dei fatti e delle circostanze, compresi i
motivi di opportunità su cui si fonda il provvedimento considerato,
prima che esso venga definitivamente adottato (v., in questo senso, sentenza 17
giugno 1997, cause riunite C-65/95 e C-111/95, Shingara e Radiom, Racc. pag.
I-3343, punti 34 e 37).
101.
Le disposizioni dell'art. 9 della direttiva 64/221, che sono
complementari a quelle relative al regime dei ricorsi giurisdizionali di cui
all'art. 8 della stessa direttiva e che sono destinate ad ovviare alle
insufficienze di tali ricorsi (v., in particolare, sentenza 5 marzo 1980, causa
98/79, Pecastaing, Racc. pag. 691, punti 15 e 20), esigono, rispetto al loro
campo di applicazione ratione personae, un'interpretazione estensiva. Infatti,
nell'ambito del diritto comunitario, l'obbligo di prevedere un sindacato
giurisdizionale su qualsiasi decisione di un'autorità nazionale
costituisce un principio generale che deriva dalle tradizioni costituzionali
comuni agli Stati membri e che è sancito dalla convenzione nei suoi
artt. 6 e 13 (sentenze 15 ottobre 1987, causa 222/86, Heylens e a., Racc. pag.
4097, punto 14; 3 dicembre 1992, causa C-97/91, Oleificio Borelli/Commissione,
Racc. pag. I-6313, punto 14, e 11 gennaio 2001, causa C-226/99, Siples, Racc.
pag. I-277, punto 17).
102.
Pertanto, contrariamente alla tesi sostenuta dallo Stato belga,
qualsiasi coniuge straniero di un cittadino di uno Stato membro che sostiene di
possedere le qualità richieste per rientrare nell'ambito della tutela
accordata dalla direttiva 64/221 beneficia del minimo di garanzie procedurali
previste all'art. 9 di tale direttiva, anche se egli non dispone di un
documento d'identità o se, essendo soggetto all'obbligo di visto,
è entrato nel territorio dello Stato membro senza visto o vi si è
trattenuto dopo la scadenza del visto.
103.
D'altronde, escludere il diritto al beneficio delle dette garanzie
procedurali in caso di mancanza di documento d'identità o di visto, o in
caso di scadenza di uno di tali documenti, priverebbe sostanzialmente tali
garanzie della loro efficacia pratica.
104.
La quarta questione pregiudiziale va dunque risolta dichiarando che gli
artt. 1, n. 2, e 9, n. 2, della direttiva 64/221 devono essere interpretati nel
senso che il coniuge straniero di un cittadino di uno Stato membro ha il
diritto di sottoporre all'esame dell'autorità competente di cui al detto
art. 9, n. 1, una decisione di diniego di rilascio di un primo permesso di
soggiorno o una decisione di espulsione prima del rilascio di un tale permesso,
anche quando egli non sia in possesso di un documento d'identità o,
essendo soggetto all'obbligo di visto, sia entrato nel territorio dello Stato
membro senza visto o vi si sia trattenuto dopo la scadenza del visto.
Sulle
spese
105.
Le spese sostenute dal governo austriaco e dalla Commissione, che hanno
presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei
confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento
costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta
quindi statuire sulle spese.
Per
questi motivi,
LA CORTE
pronunciandosi
sulle questioni sottopostele dal Conseil d'État, con sentenza 23
novembre 1999, dichiara:
1)
L'art. 3 della direttiva del Consiglio 15 ottobre 1968, 68/360/CEE, relativa
alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei
lavoratori degli Stati membri e delle loro famiglie all'interno della
Comunità, l'art. 3 della direttiva del Consiglio 21 maggio 1973,
73/148/CEE, relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al
soggiorno dei cittadini degli Stati membri all'interno della Comunità in
materia di stabilimento e di prestazione di servizi, nonché il
regolamento (CE) del Consiglio 25 settembre 1995, n. 2317, che determina quali
siano i paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso di un visto per
l'attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri, letti alla luce
del principio di proporzionalità, devono essere interpretati nel senso
che uno Stato membro non può respingere alla frontiera il cittadino di
un paese terzo, coniugato con un cittadino di uno Stato membro, che tenti di
entrare nel suo territorio senza essere in possesso di una carta
d'identità o di un passaporto validi o, se del caso, di un visto, quando
il detto coniuge può provare la sua identità nonché il
legame coniugale e se non esistono elementi in grado di stabilire che egli
rappresenti un pericolo per l'ordine pubblico, la sicurezza pubblica o la
sanità pubblica ai sensi degli artt. 10 della direttiva 68/360 e 8 della
direttiva 73/148.
2)
Gli artt. 4 della direttiva 68/360 e 6 della direttiva 73/148 devono essere
interpretati nel senso che essi non autorizzano uno Stato membro a negare il
rilascio di un permesso di soggiorno e ad adottare una misura di espulsione nei
confronti del cittadino di un paese terzo che può fornire la prova della
sua identità e del suo matrimonio con un cittadino di uno Stato membro,
per il solo motivo che egli è entrato illegalmente nel territorio dello
Stato membro interessato.
3)
Gli artt. 3 e 4, n. 3, della direttiva 68/360, 3 e 6 della direttiva 73/148 e
3, n. 3, della direttiva del Consiglio 25 febbraio 1964, 64/221/CEE, per il
coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento e il soggiorno
degli stranieri, giustificati da motivi d'ordine pubblico, di pubblica
sicurezza e di sanità pubblica, devono essere interpretati nel sensoche
uno Stato membro non può negare il rilascio di un permesso di soggiorno
al cittadino di un paese terzo, coniugato con un cittadino di uno Stato membro,
che è entrato legalmente nel territorio di tale Stato membro, né
adottare nei suoi confronti una misura di espulsione dal territorio per il solo
motivo che il suo visto è scaduto prima che egli abbia fatto richiesta
di un permesso di soggiorno.
4)
Gli artt. 1, n. 2, e 9, n. 2, della direttiva 64/221 devono essere interpretati
nel senso che il coniuge straniero di un cittadino di uno Stato membro ha il
diritto di sottoporre all'esame dell'autorità competente di cui al detto
art. 9, n. 1, una decisione di diniego di rilascio di un primo permesso di
soggiorno o una decisione di espulsione prima del rilascio di un tale permesso,
anche quando egli non sia in possesso di un documento d'identità o,
essendo soggetto all'obbligo di visto, sia entrato nel territorio dello Stato
membro senza visto o vi si sia trattenuto dopo la scadenza del visto.
Rodríguez
Iglesias
Colneric von Bahr
Gulmann
Edward Puissochet
Wathelet
Schintgenc Cunha
Rodrigues
Così deciso e pronunciato a
Lussemburgo il 25 luglio 2002.
Il
cancelliere
Il presidente
R.
Grass
G.C. Rodríguez Iglesias
1: Lingua processuale:
il francese.