BOZZA NON CORRETTA

I COMMISSIONE
AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 10 aprile 2002


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La seduta comincia alle 16,45.

Audizione di rappresentanti di Confartigianato, Casartigiani, Confederazione nazionale dell'artigianato e della piccola e media impresa (CNA), Confagricoltura, Coldiretti e Confederazione italiana agricoltori (CIA).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle problematiche inerenti la normativa in materia di immigrazione e di asilo, l'audizione di rappresentanti di Confartigianato, Casartigiani, Confederazione nazionale dell'artigianato e della piccola e media impresa (CNA), Confagricoltura, Coldiretti e Confederazione italiana agricoltori (CIA).
Ringrazio gli ospiti qui presenti per aver accolto il nostro invito, pregandoli, data la ristrettezza dei tempi a nostra disposizione, di limitare gli interventi ad uno per gruppo al fine di consentire successivamente ai componenti della Commissione di formulare delle domande o delle richieste di chiarimento.
Do quindi la parola al primo rappresentante che intende intervenire.

GIOVANNA DE LUCIA, Responsabile del settore del mercato del lavoro della Confartigianato. Signor presidente esprimo innanzitutto a nome della Confartigianato e delle altre confederazioni artigiane un sentito ringraziamento per questa opportunità che ci viene offerta per potere esprimere le nostre considerazioni in ordine al provvedimento oggetto della audizione di oggi. Si tratta di considerazioni e di osservazioni che abbiamo avuto modo di esprimere alla Commissione affari costituzionali del Senato. Confidiamo che l'audizione odierna


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possa consentirci di trovare riscontri favorevoli e positivi ad alcune questioni fondamentali che ancora permangono in ordine alla tematica oggetto del disegno di legge e che rappresentano, per il mondo produttivo ma anche per l'intera collettività, questioni di carattere preminente; a tal fine lasceremo a disposizione della Commissione della documentazione in modo da consentire un esame più approfondito.
Una delle questioni che a noi sembra non sia tenuta presente dal disegno di legge alla nostra attenzione è quella relativa allo sfruttamento della manodopera clandestina in attività economiche irregolari. Riteniamo che questo tipo di problema che sta divenendo sempre più pressante, debba trovare una soluzione da individuare o nell'ambito degli accordi bilaterali, peraltro previsti al secondo comma dell'articolo 1 del disegno di legge, ovvero attraverso un innalzamento delle pene previste per chi impiega, nell'ambito di queste attività, manodopera clandestina evadendo tutti gli adempimenti in materia contributiva e fiscale e del lavoro. In particolare, noi pensavamo che potesse essere previsto nel provvedimento l'aumento della reclusione a sei anni per coloro che esercitano attività economiche in forme irregolari e con l'utilizzo di manodopera straniera entrata clandestinamente nel nostro paese. Le implicazioni di ciò sono abbastanza evidenti e sono connesse, non solo allo sfruttamento della manodopera clandestina, ma anche all'esercizio di una forma subdola di concorrenza sleale praticata con il lavoro nero e sommerso che le organizzazioni dell'artigianato sono impegnate a combattere.
Un'altra questione che intendiamo porre all'attenzione della Commissione concerne sia la determinazione dei flussi di entrata sia - sulla base di una valutazione generale del disegno di legge - la mancata attribuzione alle regioni e alle province


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di quel ruolo sulla gestione dei lavoratori immigrati che le stesse invocano fin dalla passata legislatura. Da questo punto di vista il problema che si pone riguarda la determinazione dei flussi in entrata che coinvolge quei lavoratori che potrebbero essere impiegati con rapporto di lavoro subordinato (a tempo determinato e indeterminato) e rispetto alla quale, nell'ambito del disegno di legge, non intravediamo quelle necessarie flessibilità che possano consentire alle regioni di soddisfare in tempi rapidi ai fabbisogni effettivi manifestati dalle varie realtà territoriali. Il fatto che in mancanza della pubblicazione del provvedimento di programmazione dei flussi il Presidente del Consiglio dei ministri possa provvedere con proprio decreto a confermare la programmazione dell'anno precedente rappresenta, di fatto, un enorme vincolo alla esigenza di flessibilità da più parti evidenziata. Attualmente il decreto sui flussi in entrata non è stato ancora definito; sappiamo soltanto, per anticipazione del ministro del lavoro e delle politiche sociali, che esso dovrebbe essere adottato una volta approvato questo disegno di legge. Qualora non si dovesse giungere a definire una programmazione reale che tenga conto dei fabbisogni espressi dalle realtà territoriali si porrà in questo senso un serio problema.
Un'altra questione su cui poniamo molta attenzione in questa fase della discussione del provvedimento concerne il ripristino dell'istituto dello sponsor. Su questo meccanismo è stato espresso, nel corso della discussione del provvedimento al Senato ed anche nella relazione che ha accompagnato la presentazione del disegno di legge, un giudizio negativo sul funzionamento di questo istituto. L'esperienza da noi compiuta, nell'ambito del settore dell'artigianato in ordine a questo istituto, è stata invece positiva, dimostrandosi un meccanismo di garanzia che ha funzionato e che si è rilevato utile ed


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efficace verso i problemi di ordine pubblico e quant'altro; pertanto, riteniamo che su di esso il Parlamento debba avviare una seria riflessione per recuperarne la validità.
Dobbiamo sottolineare, inoltre, un'altra questione, che sembra porsi negli stessi termini come effetti, anche se la situazione è diversa, perché non sembra sufficientemente chiarita all'interno del disegno di legge. Si tratta della agevolazioni, annunciate all'articolo 18, comma 4, del provvedimento, per il reimpiego di lavoratori immigrati che abbiano seguito, nel proprio paese di origine, corsi di formazione: si tratta dei lavoratori che avrebbero titolo per svolgere attività di lavoro autonomo. Al riguardo, vorremmo capire innanzitutto se, quando si parla di reimpiego dei lavoratori autonomi stranieri che abbiano tali requisiti, si tratti di un reimpiego tout court, e dunque anche come lavoratori subordinati, perché sotto questo punto di vista la lettera della norma non è chiarissima, oppure se si immaginino incentivi o agevolazioni per la promozione di attività di impresa.
Da questo punto di vista, sarebbe opportuno avere maggiori indicazioni, anche se la discussione è rinviata al regolamento di attuazione; tuttavia, sarebbe importante conoscere in anticipo ciò di cui stiamo parlando, soprattutto al fine di rendere tali interventi coerenti con le effettive opportunità offerte ai cittadini italiani per fare impresa. Non vorremmo, cioè, che si determinasse il paradosso per cui diventerebbe più semplice avviare un'attività di lavoro autonomo, prevedendo addirittura incentivi, per un lavoratore che abbia svolto corsi di formazione nel paese di origine mentre, invece, una opportunità del genere resterebbe difficoltosa per i cittadini italiani. Da questo punto di vista, dunque, non è una questione di contrarietà a tale misura, ma si tratta di comprendere meglio l'evoluzione del sistema.


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Un ultimo punto che vorrei affrontare è quello relativo all'accertamento dei requisiti professionali per lo svolgimento delle attività di lavoro autonomo. Riteniamo che non sia sufficiente l'attribuzione, in capo alle rappresentanze diplomatiche e consolari, delle verifica di tali requisiti, confermata dal provvedimento in esame, perché, a nostro avviso, è un anello un po' debole. Se pensiamo che molte attività artigiane sono regolamentate da leggi di mestiere o di settore che prevedono titoli di studio e requisiti professionali specifici che hanno qualificato l'esercizio delle attività nel nostro paese, dovremmo avere garanzia di un'equipollenza non soltanto formale, di una effettiva sussistenza dei requisiti legati sia al percorso di istruzione, sia all'esperienza professionale, affinché questi lavoratori possano svolgere tali attività al pari dei cittadini italiani.
Per tentare di risolvere questo problema avevamo ipotizzato, ad esempio, che l'accertamento dei requisiti potesse essere affidato a commissioni tecniche in sedi istituzionalmente più idonee nel paese di origine quali, per esempio, organismi simili alle nostre camere di commercio. Si potrebbe immaginare, allora, anche attraverso convenzioni con il nostro sistema camerale, che tali organismi locali effettuino, assieme alle commissioni tecniche, la verifica dei requisiti, facendo sì che tale documentazione possa successivamente supportare il lavoro delle rappresentanze diplomatiche e consolari al fine di rilasciare la certificazione. Abbiamo l'esigenza di fare chiarezza soprattutto su questo aspetto, perché il provvedimento di modifica della normativa vigente non lo risolve.
Ho concluso, presidente; lascerei eventualmente la parola a qualche collega delle altre organizzazioni artigiane...

PRESIDENTE. Ringrazio la dottoressa De Lucia per la sua introduzione; non vorrei, tuttavia, estendere il numero degli interventi oltrepassando il tempo a nostra disposizione.


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GIOVANNA DE LUCIA, Responsabile del settore mercato del lavoro della Confartigianato. Mi scusi, signor presidente: i colleghi delle altre confederazioni artigiane mi hanno gentilmente lasciato la parola, e spero pertanto di essere stata sufficientemente completa.

PRESIDENTE. La dottoressa De Lucia è intervenuta, dunque, a nome della Confartigianato, della CNA e di Casartigiani. Do ora la parola al geometra Giovanni Punzi, rappresentante della Confagricoltura.

GIOVANNI PUNZI, Responsabile dell'ufficio sindacale della Confagricoltura. La ringrazio, signor presidente. Come è noto, il ricorso ai lavoratori extracomunitari è largamente diffuso in agricoltura, soprattutto in occasione delle campagne di raccolta, ed in misura molto accentuata in determinate aree del paese come il Trentino, il Veneto, l'Emilia Romagna, il Piemonte e la Puglia. La Confagricoltura ha da tempo evidenziato come la vigente normativa in materia di ingresso di lavoratori extracomunitari non sia rispondente, sia sul piano sociale, sia su quello economico, a tale importantissima questione. Una larga parte di ingressi è oggi riservata alle richieste di soggetti non imprenditori, che non sempre sono in grado di gestire e garantire un immediato inserimento nel mercato del lavoro, oppure a lavoratori di paesi extracomunitari con cui vigono apposite convenzioni, ma che spesso, purtroppo, non possiedono le caratteristiche ed i requisiti attitudinali necessari al lavoro agricolo.
Il sistema ha causato, quindi, distorsioni paradossali: da un lato, un altissimo numero di extracomunitari presenti in Italia resta disoccupato e, dall'altro, moltissime aziende continuano


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ad incontrare difficoltà nel reperire la manodopera. È necessario, innanzitutto, che la programmazione degli ingressi avvenga essenzialmente sulla base delle esigenze delle imprese, rivedendo la ripartizione dei flussi e contenendo al massimo gli ingressi riservati a soggetti diversi dai datori di lavoro. Appare evidente, inoltre, la necessità di disciplinare in termini di una sostanziale regolarizzazione la presenza di quei lavoratori già stabilmente insediati nel nostro paese ma tuttora irregolari, per i quali si deve evidentemente intervenire anche in termini di emersione sul piano previdenziale e fiscale. Tale esigenza è particolarmente avvertita dalle imprese, in termini di quantità dell'offerta, ma anche di corrispondenza temporale tra la stessa e la domanda di cui sono portatrici. I lavoratori sono insufficienti e non sono, in moltissimi casi, reperibili nei momenti di maggiore richiesta.
Il disegno di legge del Governo risponde, nel suo complesso, a gran parte delle esigenze evidenziate. Innanzitutto, è pienamente condivisibile la linea-guida seguita di permettere l'ingresso e la permanenza sul territorio italiano agli stranieri per soggiorni duraturi soltanto in relazione all'effettivo svolgimento dell'attività lavorativa, stagionale o di durata più elevata; parimenti, è condivisa la soppressione dell'istituto dello sponsor, che non ha favorito l'ingresso nella realtà lavorativa dei lavoratori stranieri creando, invece, una distorsione del mercato del lavoro. Suscita, inoltre, notevole aspettativa la previsione di stipulare il contratto di lavoro presso lo sportello unico per l'immigrazione, appositamente istituito presso la prefettura, non solo per facilitare l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, ma soprattutto per snellire gli adempimenti burocratici connessi.
Sono analogamente condivisibili altri aspetti del disegno di legge C. 2454: le politiche di contrasto dello sfruttamento


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criminale dell'immigrazione; la lotta al traffico di esseri umani, droga, armi e prostituzione; l'integrazione del cittadino extracomunitario; il privilegio per gli stranieri che hanno svolto un percorso formativo nei paesi di origine sulla base di programmi di formazione professionale approvati da enti ed amministrazioni italiane, che costituisce un altro aspetto di rilevante importanza ai fini di una necessaria selezione delle professionalità richieste per l'inserimento; l'immediata operatività dell'espulsione dell'irregolare con accompagnamento alla frontiera a mezzo di forza pubblica; la razionalizzazione dei ricongiungimenti familiari.
Questi, signor presidente, sono in sintesi gli aspetti che sottolineiamo. Appare, invece, non condivisibile, in quanto rappresenta un incremento del costo del lavoro, la previsione del pagamento delle spese di rientro al paese di origine del lavoratore da parte del datore di lavoro : infatti, come ho ricordato precedentemente, in agricoltura occorre ricorrere a numerosi lavoratori extracomunitari.
Lascio, infine, la relazione a disposizione della Commissione.

PRESIDENTE. La ringrazio, così come ringrazio la dottoressa De Lucia, per aver fornito alla Commissione la sua relazione, che farò distribuire. Ha chiesto di intervenire la dottoressa Cristina Bandinelli, Vicepresidente nazionale della CNA, per un'integrazione.

CRISTINA BANDINELLI, Vicepresidente nazionale della CNA. Intervengo nuovamente per alcune considerazioni su quanto appena affermato dalla dottoressa De Lucia che, peraltro, condivido pienamente.
Vorrei focalizzare l'attenzione su una tematica più generale ma che può essere utile per l'interpretazione della legge, cioè


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per la filosofia da seguire nella sua applicazione. Rappresentando qui sia le imprese artigiane sia la piccola e media industria, volevo porre l'attenzione sulla considerazione che noi rappresentiamo il settore economico che maggiormente avverte una necessità impellente di manodopera proveniente dall'estero.
Una grossa industria può operare anche una scelta di delocalizzazione, mentre noi abbiamo imprese dislocate su tutto il territorio e siccome costituiamo sistemi «a rete» dobbiamo necessariamente essere vicini ed integrare i nostri processi produttivi. Vorrei anche ricordare che il nostro sistema produttivo italiano in questa fase è sotto osservazione da parte degli altri paesi, ciò perché il sistema della piccola impresa aggregata a rete sembra stia dando risultati sorprendenti. Chiaramente dobbiamo valorizzare questo aspetto ed inoltre, trattandosi di un settore la cui tendenza in prospettiva è di crescita economica, abbiamo la necessità di ricevere nel nostro territorio lavoratori extracomunitari.
Questo a quali condizioni dovrebbe avvenire? A mio avviso si devono tener presenti due fattori importanti: la competitività aziendale ed il mercato in cui operiamo. Sottolineo, comunque, che non abbiamo nessuna intenzione di disinteressarci dei problemi sociali anche perché viviamo proprio sul territorio in cui operiamo e ci poniamo quindi anche il problema della qualità dell'integrazione.
In aggiunta a ciò vi è la necessità oggettiva di avere rapidamente disponibilità di manodopera. Al riguardo ritengo che il complesso sistema per la ricerca sul territorio nazionale della manodopera disponibile e per il rientro degli italiani che lavorano all'estero rappresenti una difficoltà. La vittoria delle nostre aziende si realizza grazie alla versatilità, alla conversione immediata e quindi tutto quello che diventa appesantimento


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dell'iter burocratico per noi rappresenta una diminuzione della competitività. Pertanto, invito a porre attenzione su tali aspetti perché la competitività è la nostra forza e non possiamo perderla.
Un'altra problematica è rappresentata dall'allungamento dei tempi per il rinnovo dei permessi: un'altra penalizzazione che non possiamo e non dobbiamo pagare. Vi sono poi anche problemi di ordine economico come il farsi carico dell'alloggio e dei biglietti per il rientro, in quanto tutto ciò comporta per alcune nostre imprese costi che diminuiscono non solo gli utili ma anche la competitività dell'azienda. Dunque più appesantiamo questo settore più viene penalizzato l'intero sistema economico italiano e la competitività italiana nei confronti dei paesi esteri. Erano questi gli aspetti che mi premeva sottolineare.
In virtù della considerazione che viviamo sul territorio e ci poniamo quindi anche il problema sociale, vorrei accennare ad altre due problematiche. La prima riguarda i casi di matrimonio, tema che interessa la realtà degli immigrati inseriti. Qualora la coppia dovesse dividersi, da quanto mi sembra di capire il coniuge, proveniente da paesi extra comunitari potrebbe essere costretto a ritornare nel paese di origine. Questo non favorisce l'integrazione e dà un senso di precarietà che volevo evidenziare.
Vorrei infine sottolineare che in materia di mercato del lavoro la competenza alle prefetture potrebbe essere intesa dal punto di vista della sicurezza sociale come controllo del rispetto delle regole, ma potrebbe anche costituire in qualche modo una sorta di funzione esclusivamente repressiva. Abbiamo bisogno di lavoratori che vengano in Italia per lavorare e per essere integrati. Non confondiamo chi viene in Italia per lavorare e ha un posto di lavoro con chi viene in Italia per altri


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scopi. Questa è un provvedimento indirizzato verso chi viene in Italia per lavorare e soddisfare, così i propri bisogni di sopravvivenza e le necessità di manodopera delle nostre imprese e del nostro sistema economico.

CLAUDIA MERLINO, Componente dell'ufficio relazioni sindacali della CIA. Vorrei svolgere anzitutto una breve considerazione sullo spirito del provvedimento. Mi sembra che, dal nostro punto di vista, cioè del settore del lavoro in agricoltura, il disegno di legge non apporti novità che si possano definire tra virgolette destrutturanti. Del resto in agricoltura la realtà del lavoro riguardo agli stranieri che entrano in Italia per lavoro stagionale è, ovviamente, sempre stata strettamente legata al contratto di lavoro. Pertanto, sotto questo aspetto, non vi sono novità sconvolgenti. Ci sembra, piuttosto, che questo disegno di legge vada nella direzione di inasprire o irrigidire taluni aspetti del Testo unico sull'immigrazione ispirati alla logica di contrastare l'immigrazione clandestina, logica che, naturalmente, non possiamo che condividere.
Il rischio che paventiamo, invece, è che alla fine, perseguendo ed esasperando questa logica si arrivi ad un irrigidimento di taluni meccanismi che, a nostro avviso, non gioverebbero né ai lavoratori né alle stesse imprese. Mi riferisco ad esempio ai cambiamenti e alle modifiche che si vogliono introdurre riguardo ai tempi per il rinnovo del permesso di soggiorno e ai tempi per il rilascio della carta di soggiorno. Tutti questi elementi, che sembrerebbero a prima vista incidere unicamente sui lavoratori, sono invece elementi di rigidità che si ripercuotono anche sul mondo delle imprese. Vorrei che questo aspetto fosse ben chiaro, soprattutto se poi si considera che ciò riguarda un mercato lavoro come quello agricolo che ha necessariamente bisogno di un'estrema flessibilità.


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Abbiamo individuato tre punti sui quali il disegno di legge non è sufficientemente cogente e che invece sono fondamentali per l'agricoltura. Il primo di questi aspetti riguarda la semplificazione delle procedure e, mi si consenta il termine, la velocizzazione dei tempi. Per i nostri imprenditori e produttori sono elementi indispensabili che rappresentano un problema ancora non risolto e non ci sembra che questo provvedimento lo affronti in modo sostanziale. Ben venga lo sportello unico sull'immigrazione che sicuramente rappresenta un passo avanti, ma questo meccanismo interviene nel momento in cui il lavoratore è già presente in Italia. Quanto chiediamo, invece, è una forte integrazione tra i tre ministeri interessati nelle politiche migratorie, ossia quelli dell'interno, degli affari esteri e del lavoro e delle politiche sociali; vi è, pertanto, la necessità di un accordo «a monte», prima cioè che il lavoratore venga effettivamente in Italia. Si presenta altresì un problema di inefficienza nel raccordo tecnico, informatico tra le amministrazioni interessate, l'INPS, le direzioni provinciali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e via dicendo. Questo per noi rappresenta un ulteriore aggravamento dei tempi ed un appesantimento delle procedure.
Il termine dei famosi 40 giorni affinché il lavoratore sia effettivamente presente nelle nostre aziende mi sembra rimanga sostanzialmente invariato. Adesso si parla di un unico termine di 40 giorni per il rilascio del nulla osta, che però in realtà corrisponde al termine dei 20 giorni per il rilascio dell'autorizzazione al lavoro più i 20 per il rilascio del nulla osta provvisorio. Quindi, di fatto, i tempi per noi rimangono estremamente lunghi, così come quelli riguardanti il rilascio del visto di ingresso che richiede ben 30 giorni; anche questi a nostro avviso sono tempi troppo lunghi.


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In aggiunta alla questione dei tempi - assolutamente prioritaria - vi è una preoccupazione molto forte dovuta ad una previsione del disegno di legge secondo la quale gli uffici per l'impiego, prima di potersi rivolgere ai lavoratori extracomunitari, devono compiere una preventiva verifica sui lavoratori disponibili in loco, cioè in Italia.
Ricordiamoci che questa è una vecchia previsione che fu tra l'altro abrogata dal Testo unico del 1998 proprio perché essa aveva condotto al blocco totale del sistema. Il problema in questione nell'ambito del settore agricolo è sentito in maniera particolare per la difficoltà che si riscontra nel trovare lavoratori italiani disponibili.
Un altro problema che questo disegno di legge pone a carico dei datori di lavoro concerne i cosiddetti oneri aggiuntivi tenuto conto che il costo, in termini di spese di rientro, per una piccola impresa può essere non indifferente. Pertanto, a seconda delle realtà imprenditoriali, tale previsione avrà un impatto diverso.
Un altro fondamentale problema concerne il decreto sui flussi in ingresso e le difficoltà che esso comporta. Innanzitutto provvedimento è sempre poco tempestivo; in tal senso occorrerebbe un raccordo più forte fra le istituzioni e il mondo imprenditoriale, attribuendo a quest'ultimo un ruolo preminente rispetto a quello ricoperto attualmente. Un'altra difficoltà su cui occorrerebbe fare di più concerne l'insufficienza delle quote massime di stranieri da ammettere nel territorio dello Stato. Il termine del 30 novembre di ogni anno per l'adozione del decreto sui flussi in ingresso sicuramente costituisce un passo in avanti, ma non ci dà comunque sufficienti garanzie perché, anche negli anni passati, il sistema si è bloccato per effetto di tutta una serie di passaggi (parere parlamentare, registrazione della Corte dei conti, ed altro).


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Pertanto, sarebbe bene che il termine del 30 novembre di ogni anno indicasse l'effettiva pubblicazione del decreto; ciò per noi sarebbe di per sé già un ottimo risultato.
Da ultimo, pongo l'attenzione su due questioni per noi prioritarie; mi riferisco alla formazione dei lavoratori e all'accoglienza. Per quanto concerne l'accoglienza il disegno di legge dispone che il datore di lavoro garantisca un'accoglienza a questi lavoratori; su ciò non possiamo che essere d'accordo anche perché ciò non rappresenta una novità dato che già nel passato gli imprenditori hanno provveduto in tal senso. L'unica novità che ci aspettavamo potesse essere contenuta nel disegno di legge era la previsione di un minimo di contributo e di aiuto da parte degli enti locali dato che si tratta di oneri che ricadono tutti sul datore di lavoro.
Per quanto concerne la formazione dei lavoratori è sicuramente positivo che vengano privilegiati i lavoratori che hanno seguito un percorso formativo; ciò è assolutamente fondamentale nel settore dell'agricoltura dove i tempi relativi al lavoro stagionale possono essere estremamente ridotti senza concedere all'imprenditore il tempo per svolgere un'adeguata formazione. Manca in questo disegno di legge invece la previsione sul finanziamento: questa formazione chi la finanzia? Se non ricordo male, erano state ipotizzate, in sede di Conferenza Stato-regioni, delle tipologie di finanziamento sotto forma di un fondo specifico per l'integrazione sociale o di un fondo istituito per appositi percorsi di formazione; in ogni caso è necessario che il tutto sia predisposto, dato che per il nostro settore, la formazione è molto importante.
Infine, vi è, a nostro avviso, nel disegno di legge in questione un eccessivo inasprimento di alcune sanzioni laddove si prevede che in certi casi il datore di lavoro abbia un controllo


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continuo e costante sui permessi di soggiorno dei lavoratori; controllo questo che riteniamo difficilmente realizzabile.

ROMANO MAGRINI, Responsabile dei rapporti sindacali della Coldiretti. Ringrazio anch'io i componenti della Commissione per l'opportunità offertaci al fine di permetterci di esprimere le nostre considerazioni sul disegno di legge in materia di immigrazione e di asilo. Provvedimento quest'ultimo che prevede di introdurre alcune modifiche che possono, se opportunamente applicate, semplificare e, quindi, agevolare il ricorso all'utilizzo di lavoratori extracomunitari.
Sia la legge Turco-Napolitano e il Testo unico del 1998, sia il nuovo disegno di legge disciplinano tutta la materia dell'immigrazione. L'esperienza maturata nel corso di questi anni ci ha condotto a verificare come i decreti adottati in questa materia nel corso dell'anno non rispondano alle reali esigenze delle imprese, ma nonostante ciò il mondo produttivo è andato avanti. Non è pensabile infatti che esso si possa bloccare e vanificare il lavoro di un intero anno; è evidente anche che se si vuole gestire in maniera chiara e congrua, legale e trasparente, il flusso dei lavoratori immigrati è opportuno darsi delle regole. In tal senso, il decreto sui flussi in ingresso costituisce la base di partenza per poter far entrare in Italia i lavoratori extracomunitari che sono indispensabili per il mondo produttivo agricolo. Negli ultimi anni si è registrato un trend in aumento dei lavoratori extracomunitari occupati in agricoltura pari al 15 per cento annuo; trend che possiamo prevedere in crescita per i prossimi anni data la sempre minore disponibilità degli italiani a lavorare in agricoltura e data l'età avanzata di moltissimi lavoratori agricoli italiani. Conseguentemente, ripeto, la base di partenza per affrontare questo problema è sicuramente il decreto sui flussi in ingresso, il quale deve caratterizzarsi per tempi e per numeri certi. Negli


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ultimi anni per bypassare il ritardo con cui il decreto veniva sistematicamente adottato il Governo dava la possibilità di assumere lavoratori extracomunitari attraverso il decreto sui flussi adottato dal ministro del lavoro. Il fatto di prevederlo in capo al Presidente del Consiglio dei ministri, per effetto di una modifica introdotta dal disegno di legge, che definisce annualmente con proprio decreto le quote massime di stranieri ad ammettere, rischia di allungare ulteriormente i tempi destando in noi non poche preoccupazioni. Al riguardo sarei dell'opinione di prevedere, al contrario di quanto previsto da questa modifica, un qualcosa di più snello: se non proprio un atto amministrativo adottato dal ministero competente, quanto meno un iter molto veloce per l'adozione del decreto-.
Un altro aspetto importante che noi sottolineiamo riguarda la velocità delle procedure. Esaminando i dati relativi al settore agricolo otterremo che il 90 per cento delle assunzioni riguardano il lavoro stagionale, e la gran parte delle quote fissate dai decreti flussi annuali per il lavoro stagionale sono assorbite dal settore agricolo. Tuttavia, resta del tutto evidente che tra la domanda del datore di lavoro e l'ingresso del lavoratore in Italia non possono trascorrere 40 giorni; in tal senso alcuni sforzi sono stati fatti, in particolare quello di concentrare in capo alla prefettura la responsabilità del procedimento. È importante che essa riesca a rispettare i tempi previsti, perché se ipotizziamo 10 giorni per il rilascio del nulla osta e della autorizzazione ma poi nella prassi si arriva a 30 giorni non avremo né velocizzato né semplificato le procedure. È fondamentale pertanto che i termini introdotti dal disegno di legge siano perentori con un'effettiva rispondenza nella pratica affinché si giunga ad avere una certezza nei tempi.


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Di certo, la verifica su tutto il territorio nazionale della disponibilità di lavoratori italiani o comunitari complica un po' i problemi. Tale norma, già prevista nella legge Martelli (il famoso articolo 8-bis, se non ricordo male), ha infatti creato più di qualche problema perché, di fatto, nessun lavoratore è stato assunto attraverso quella procedura poiché non c'era possibilità di comunicare e nessuno si presentava alla verifica: essa, pertanto, rischia di essere un appesantimento. È vero che tale verifica è prevista soltanto per le assunzioni a tempo determinato ed indeterminato e solo in parte per il lavoro stagionale; credo, tuttavia, che tornare ad una mancata verifica della disponibilità costituirebbe un'ulteriore semplificazione.
Vorrei segnalare un altro aspetto che ho letto nel disegno di legge. Nelle autorizzazioni al permesso di soggiorno per lavoro subordinato a tempo indeterminato e determinato, infatti, si prevede che il codice fiscale venga rilasciato dagli uffici consolari o dalla prefettura e, comunque, dalla pubblica amministrazione, mentre ciò non è previsto per il lavoro stagionale. A nostro avviso, invece, sarebbe un elemento da introdurre perché oggi abbiamo la difficoltà di comunicare contestualmente l'assunzione del lavoratore, anche extracomunitario, senza che lo stesso giorno sia possibile ottenere anche il codice fiscale. Allora, o il codice viene assegnato da un ufficio della pubblica amministrazione (ad esempio, la prefettura o il consolato) in sede di rilascio del permesso di soggiorno, oppure occorre trovare il modo affinché possano essere le stesse organizzazioni di categoria ad avere un collegamento con il Ministero dell'economia e delle finanze, in modo tale da avere assegnato in tempo reale anche il codice fiscale.
Un aspetto che ritengo maggiormente importante, invece, riguarda la conversione dei permessi di soggiorno. Per quanto


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riguarda il lavoro, infatti, l'impalcatura dell'intero disegno di legge si basa sul contratto di soggiorno, legato al contratto di lavoro. Nel momento in cui il lavoratore è in possesso di un contratto di lavoro per nove mesi e gli si offre la possibilità di continuare a lavorare per ulteriori nove mesi o a tempo indeterminato, mi sembra incongruo considerare due volte lo stesso lavoratore, nel senso che se offro al lavoratore un lavoro a tempo indeterminato, non posso e non devo andare a verificare se esistano ancora le quote per il tempo indeterminato: se infatti non ci sono, che faccio con questo lavoratore? Lo rispedisco a casa? Non so se sia proprio così, per cui credo che la conversione del permesso di soggiorno da tempo determinato o stagionale a tempo indeterminato sia un elemento da considerare al di fuori delle quote, e ritengo debba avvenire automaticamente a fronte di un contratto di lavoro a tempo indeterminato.
Stesso discorso vale per l'istituto della proroga: ad esempio, nel caso assuma un lavoratore per nove mesi e ne abbia bisogno per ulteriori due, tre, quattro o cinque mesi. Al riguardo, vorrei sottolineare che un contratto di lavoro costituisce una garanzia non solo per il lavoratore, ma anche per lo Stato, in quanto ciò vorrà dire che quel lavoratore lavora presso un'impresa, ha propri mezzi di sostentamento, ha una casa e non rappresenta un pericolo per la comunità. Ritengo, pertanto, che tale istituto vada semplificato e debba essere previsto e legato all'offerta di lavoro.
Per quanto riguarda il pagamento delle spese di rientro, esso rischia di appesantire il costo del lavoro; inoltre, così com'è scritto, è previsto che tale onere sia a carico del datore di lavoro, al singolare. Cosa succede nel caso di rapporti di lavoro plurimi, come spesso avviene in agricoltura? Allora, mi domando se sia possibile trovare una soluzione per non far


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gravare tale onere a carico al datore di lavoro, ad esempio attraverso convenzioni internazionali, oppure attraverso un voucher da ritirare quando si rientra, in modo da avere, in questo modo, quella certezza del rientro al termine del permesso. Ritengo opportuno, comunque, trovare una formula che non appesantisca il costo del lavoro; auspico, in ogni modo, che questo onere possa essere a carico anche di più datori di lavoro qualora si tratti di un rapporto plurimo.
Un ultimo aspetto concerne il contratto di apprendistato, perché non si comprende come mai, in Italia, non sia possibile stipulare un contratto di apprendistato con un lavoratore extracomunitario. Infatti, non posso chiamare Romano Magrini, se cittadino polacco, per farlo lavorare in Italia con un contratto di apprendistato che, almeno, dura dai due ai quattro anni e può essere abbinato all'istruzione ed alla formazione, perché non esistono autorizzazioni per questa fattispecie. Ritengo sia un paradosso, perché si tratta di un contratto stabile che offre certezze, e non comprendo come mai non sia possibile utilizzarlo.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che intendono porre quesiti e formulare osservazioni.
L'ufficio di presidenza probabilmente non ha valutato in modo corretto i tempi dell'audizione. Me ne dolgo e tuttavia, abbiamo degli obblighi: se, con tutto il rispetto, quattro di noi iniziano a fare le domande e si concede, giustamente, il tempo per le risposte, ciò vorrà dire rinviare l'incontro - ma potevamo deciderlo prima - con coloro che dovranno essere ascoltati nella prossima audizione, perché è prevista per le ore 19 la discussione generale in Assemblea di un provvedimento licenziato da questa Commissione. Auspico, dunque, interventi contenuti.


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GIANNICOLA SINISI. Per quanto mi riguarda, signor presidente, formulerò domande che comporteranno solamente una risposta affermativa o negativa: cercherò, quindi, di essere preciso nella domanda affinché la risposta possa essere veramente schematica.
Prima questione: per realizzare questo rapporto relativo alla formazione delle valutazioni sull'offerta di lavoro, reputate utile che vengano sentite le organizzazioni sindacali, le forze sociali, e le associazioni di volontariato nella fase di formulazione del decreto-flussi? Infatti, questo aspetto precedentemente contemplato, in questo disegno di legge non è più previsto.
La seconda domanda: dal momento che, da uno studio che abbiamo compiuto, risulta che il rapporto di lavoro, in particolare per le piccole e medie imprese, ha un carattere informale e che, soprattutto, viene valutato attraverso una valutazione diretta del lavoratore che deve essere assunto, ritenete che la soppressione dell'istituto dello sponsor sia utile per le finalità di assunzione di manodopera da parte delle piccole e medie imprese?
La terza domanda riguarda il match tra domanda e offerta di lavoro Nord-Sud. È stato realizzato uno studio di settore che riguarda la mobilità interna: tale mobilità si era rivelata abbastanza fallimentare. Reputate, dunque, che una norma che preveda un obbligo di valutazione della mobilità Nord-Sud sia utile ai fini della realizzazione del match tra offerta e domanda di lavoro?
Ultima questione. Avete esperienza di domande di rientro di lavoratori di origine italiana che vogliano svolgere quelle mansioni di cui stiamo discutendo, quindi di bassa professionalizzazione o a carattere stagionale?.


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GIOVANNI PUNZI, Responsabile dell'ufficio sindacale della Confagricoltura. Per brevità sottolineo solamente che nella relazione da noi predisposta e che abbiamo trasmesso a questa Commissione sono contenute tutte le risposte alle domande poc'anzi rivolte.

GIOVANNA DE LUCIA, Responsabile del settore mercato del lavoro della Confartigianato. Volevo brevemente evidenziare che ho rilevato come su un aspetto non vi sia sintonia tra le nostre affermazioni e quelle del dottor Punzi. Voglio quindi sottolineare - lo abbiamo già scritto e lo ribadiamo ora - che il ripristino dell'istituto dello sponsor sarebbe una ottima cosa.
Per quanto riguarda le osservazioni dell'onorevole Sinisi mi sembra sia stato colto un lapsus, non so se freudiano o meno visto il ruolo delle parti sociali nel paese in questi ultimi tempi; sicuramente noi abbiamo tutto l'interesse, oltre che la volontà, di venir inseriti nell'elenco degli organismi chiamati alla gestione dell'intera materia, quindi non solo degli aspetti del decreto «flussi». Infatti la questione non riguarda il lavoro in quanto tale ma anche l'integrazione e quindi vogliamo essere partecipi di tutte quelle decisioni che riguardino le questioni vitali di questo paese.

SERGIO SABATTINI. Mi rivolgo in particolare agli esponenti delle associazioni di artigiani. Vorrei sapere quale sia l'incidenza della forza lavoro immigrata in alcuni settori fondamentali come ad esempio settore della meccanica. Vorrei inoltre sapere se vi consta, come ha già chiesto il collega Sinisi, che vi siano difficoltà di lavoro per lavoratori per così dire «bianchi indigeni» rispetto a lavoratori immigrati, ciò con riguardo particolare a settori dove il lavoro è più faticoso; cioè se vi sia una concorrenza tra l'immigrato ed il «bianco indigeno».


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Siccome sono aspetti che interessano il provvedimento in questione vorrei sapere cosa pensino le imprese al riguardo.

CRISTINA BANDINELLI, Vicepresidente nazionale della CNA. Anzitutto ricordo che ci preme essere presenti in tutti quei tavoli dove si discuta del mercato del lavoro e delle problematiche dell'impresa, in particolar modo quello attuale. Abbiamo il polso delle esigenze reali delle imprese nostre associate e quindi credo che ciò possa essere non solo utile per noi ma anche per chi debba stabilire le quote.
Sul tema dello sponsor chiaramente condivido quanto già affermato; è vero che il piccolo imprenditore ha delle capacità soggettive di giudizio anche immediate ma una valutazione realizzata da terzi competenti è una soluzione migliore. Magari non si tratta di lavori di alta professionalità ma spesso i lavoratori in oggetto devono essere integrati e quindi la volontà del soggetto di imparare il lavoro (oltre all'onestà e alla rettitudine) è un aspetto fondamentale.
Per quanto riguarda i flussi interni il problema che noi rileviamo è la scomparsa del flusso tra sud e nord del paese; ma con tutti gli sforzi compiuti per lo sviluppo del sud non so se sia corretto chiedere ai cittadini del sud di spostarsi in altre parti d'Italia per occupare posti che, magari, non sono loro di gradimento perché di bassa qualifica.
Per ciò che concerne il rientro dei cittadini italiani all'estero, non abbiamo nessuna pregiudiziale anzi vediamo questo aspetto con favore a patto che ciò non diventi l'ennesimo problema da risolvere perché così si allungherebbero i tempi e l'iter burocratico si complicherebbe. Rimane sempre l'obiettivo primario di avere una adeguata manodopera per i nostri lavori.
Relativamente all'incidenza della forza lavoro immigrata nella manodopera posso affermare che essa è principalmente


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concentrata in due settori: la metalmeccanica e l'edilizia in generale, dove per edilizia si intendono non solo le opere murarie ma anche il settore dell'impiantistica. La percentuale di questa manodopera è molto alta, tra il 10 ed il 15 per cento, anche nella piccola impresa (si tratta comunque di stime).
Sulla concorrenza tra lavoratori immigrati e locali deve essere chiaro che l'impresa, nella ricerca di lavoratori, si rivolge prima al territorio. Nel momento in cui dal territorio non viene una risposta immediata allora si pone il problema di assumere lavoratori che provengano dall'estero.

CLAUDIA MERLINO, Componente dell'ufficio relazioni sindacali della CIA. Sul tema della concorrenza tra lavoratori stranieri ed italiani sottolineo come nel settore agricolo, e lo ripetiamo ormai da molto tempo, i lavoratori italiani non siano disposti a svolgere determinate mansioni, e non solo queste. Quindi non rileviamo assolutamente un problema di concorrenza, bensì di lavoro in generale nel Meridione che, comunque, è un problema che va affrontato con strumenti completamente diversi, come quelli riguardanti l'emersione del lavoro irregolare. Ricordo ad esempio che disponevamo dei cosiddetti contratti di riallineamento; si tratta di un'esperienza ormai conclusa, che ha dato risultati per certi versi positivi e negativi per altri ma, sicuramente, rappresenta un'ipotesi che andrebbe nuovamente considerata, magari riformulandola, proprio per consentire al sud di migliorarsi per quanto riguarda il settore del lavoro.

ALBERTO NIGRA. Nel corso della discussione al Senato è stato inserito nel disegno di legge l'articolo 29, non presente originariamente, che prevede provvedimenti di emersione del lavoro irregolare limitatamente alle sole badanti (assistenti familiari).


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Mi interessa comprendere, da parte vostra, se le vostre aziende siano interessate ad analogo provvedimento per quanto riguarda quelle imprese che abbiano alle proprie dipendenze (chiaramente al momento dell'approvazione della legge) lavoratori irregolari che possano, in qualche modo, essere inseriti in progetti per l'emersione.

ROMANO MAGRINI, Responsabile dei rapporti sindacali della Coldiretti. Non so se quanto affermato sia possibile. Posso ricordare, però, che esiste un problema al riguardo; sia nella legge dei cosiddetti «cento giorni» sia in questo disegno di legge, gli immigrati sono fuori da qualsiasi possibilità di sanatoria, regolarizzazione, trasparenza o emersione dal sommerso: la si chiami come si vuole ma in un modo o nell'altro gli immigrati ne sono fuori! Ciò a fronte di statistiche, realizzate dalla pubblica amministrazione attraverso l'ISTAT, che evidenziano un certo numero, non meglio precisato, di lavoratori extracomunitari irregolari.

GIAN PAOLO LANDI di CHIAVENNA. Volevo replicare molto succintamente ad alcune osservazioni, domande e perplessità che si sono state poc'anzi manifestate e che mi sembra riguardino in prevalenza il permesso di soggiorno.
Ad esempio, per quanto riguarda la burocrazia ed i tempi lunghi per il permesso di soggiorno forse possono aiutare le previsioni del comma 3-ter dell'articolo 5 del disegno di legge in questione dove si prevede un diritto alla riformulazione o comunque ad un rilascio di un permesso pluriennale a favore dello straniero che dimostri di essere venuto in Italia, per due anni di seguito, per prestare lavoro stagionale. Credo che questo in qualche modo possa sicuramente rispondere ad una delle preoccupazioni sollevate.


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Quindi pare che già il disegno di legge preveda un automatismo nel rilascio dei permessi pluriennali che, in qualche modo, vanno ad alleggerire questo aspetto del problema; si tratta di un aspetto di affaticamento di carattere burocratico, il quale non pesa soltanto sull'organizzazione aziendale ma anche sugli uffici della pubblica sicurezza preposti a questo tipo di attività, che potrà esistere, ma che già esisteva nella legge Turco-Napolitano.
Un altro questione segnalata concerne i titoli di prelazione...

MARCO BOATO. Ma il dibattito lo facciamo tra di noi?

GIAN PAOLO LANDI di CHIAVENNA. Onorevole Boato, dico questo perché sono state poste delle domande. Poniamo allora la questione in termini diversi; chiederò quindi ai nostri ospiti se la mia interpretazione su questo aspetto trovi il loro riscontro.
Tornando al discorso sui titoli di prelazione a me sembra che la corretta interpretazione dell'articolo 18 del disegno di legge preveda la possibilità di estendere il titolo di prelazione non solo ai lavoratori autonomi ma anche ai lavoratori subordinati. Tuttavia, se vi fossero dei dubbi interpretativi saremmo certamente disponibili a fornire dei chiarimenti.
Per quanto concerne il lavoro stagionale l'articolo 19, comma 4, del disegno di legge prevede che il lavoratore stagionale possa convertire il permesso di soggiorno rilasciato per lavoro stagionale in permesso di soggiorno per lavoro subordinato a tempo determinato o indeterminato. Conseguentemente, ritengo che una delle obiezioni sollevate nel corso del dibattito possa essere superata facendo riferimento all'articolo 19 del disegno di legge.


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La dottoressa Bandinelli ha sollevato il problema del ricongiungimento in caso di separazione del ricongiunto dal coniuge ricongiungente; per tale aspetto nel disegno di legge è previsto che il ricongiunto che abbia, nelle more del ricongiungimento, ottenuto un permesso di soggiorno legato ad un regolare contratto di lavoro ha la possibilità e il diritto di rimanere sul territorio dello Stato italiano nei limiti del tempo previsto dal permesso di soggiorno legato al contratto di lavoro. Pertanto, mi sembra che non sia così automatico, come prima segnalato dalla dottoressa Bandinelli, il rimpatrio del ricongiunto nel momento in cui il ricongiungente debba lasciare il territorio dello Stato.

CRISTINA BANDINELLI, Vicepresidente nazionale della CNA. Pongo soltanto una domanda; e se dovesse accadere che una signora si separa dal marito il quale gli fornisce gli alimenti e le lascia la casa? Questa viene comunque rimandata a casa dato che non ha un contratto di lavoro. Nel momento in cui uno diventa cittadino italiano, questi va trattato come tale.

GIAN PAOLO LANDI di CHIAVENNA. Bisogna distinguere perché se è cittadino italiano il problema è risolto. Se si tratta di una ricongiunta di uno straniero, nel caso in cui quest'ultimo lasci il territorio dello Stato anche la ricongiunta deve lasciarlo, sempre che nel frattempo non abbia ottenuto un permesso di soggiorno.

PRESIDENTE. Ringrazio gli ospiti oggi intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta, sospesa alle 17.45, è ripresa alle 17.50.


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Audizione di rappresentanti del Dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno, dell'Arma dei carabinieri, della Guardia di finanza, della Marina militare e delle Capitanerie di porto.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle problematiche inerenti la normativa in materia di immigrazione e di asilo, l'audizione di rappresentanti del Dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno, dell'Arma dei carabinieri, della Guardia di finanza, della Marina militare e delle Capitanerie di porto.
Ricordo che la Commissione sta esaminando il provvedimento, già approvato dal Senato, sull'emigrazione, ed ha convenuto, assieme all'ufficio di presidenza, di ascoltare coloro che partecipano attivamente, affrontandolo quotidianamente, a tale problema. Gradirei quindi, se possibile, contenere gli interventi ad una persona per «gruppo»; se vi sono eventualmente relazioni scritte, saranno messe a disposizione di tutti i componenti la Commissione.
Se non avete stabilito già un ordine, inizierei dalla Polizia di Stato, con la relazione del prefetto Fera o del prefetto Pansa.

GIUSEPPE FERA, Vice capo della Polizia e direttore centrale della Polizia criminale. Signor presidente, il prefetto Pansa è il direttore della specialità, quindi, in un certo senso, il servizio immigrazione è quello che viene seguito direttamente da lui. Esistono, naturalmente, riflessi sia per l'attività che incide sulla lotta a quel tipo di criminalità, che ha tra i programmi la gestione di questi traffici di migranti, sia aspetti di diritto internazionale, anche per quanto riguarda il coordinamento delle attività, sia a livello nazionale, sia a livello internazionale, a cura dell'ufficio del prefetto Nunzella.


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Per tali ragioni, potremmo iniziare con un'esposizione del prefetto Pansa per collegare a tale intervento, successivamente, piccoli «addendi» che mi riguardano come direttore centrale della Polizia criminale ed altri che investono il prefetto Nunzella, in qualità di responsabile delle relazioni internazionali.

PRESIDENTE. Do ora la parola al prefetto Pansa per la sua relazione.

ALESSANDRO PANSA, Direttore centrale della Polizia stradale, ferroviaria, postale, di frontiera e dell'immigrazione della Polizia di Stato. Ringrazio il signor presidente ed i componenti la Commissione. In relazione all'A.C. 2454, ritengo di poter elencare brevemente quelli che sembrano i punti di rilievo considerati particolarmente efficaci per l'impatto che hanno sull'organizzazione di gestione degli stranieri e di contrasto all'immigrazione clandestina e, nello stesso tempo, di potere indicare in seguito quei punti di criticità che, a mio avviso, si evidenzieranno in sede di applicazione della normativa.
Partendo dai primi, sottolineiamo come sia particolarmente importante l'insieme delle misure previste per stimolare la cooperazione dei paesi di provenienza o di transito dei clandestini. Mi riferisco sia all'articolo 1 del disegno di legge, che prevede che nei programmi bilaterali di cooperazione il Governo tenga conto della collaborazione dei singoli paesi, sia dell'articolo 16, lettera a), del provvedimento, che prevede la riduzione delle quote per quei paesi che non cooperano, integrandosi così con il comma 4 dell'articolo 11 del testo unico vigente, il quale prevede beni mobili ed apparecchiature per coloro che collaborano. Tale impianto ci trova consenzienti sulla base dell'esperienza dell'applicazione del comma 4, articolo 11, del Testo unico delle disposizioni concernenti la


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disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero che abbiamo avuto nel biennio 1998-2000, perché il finanziamento complessivo di 45 miliardi di lire assegnati in mezzi per il contrasto all'immigrazione clandestina ai paesi che collaboravano ha portato ad un risultato molto efficace, con una riduzione notevole dei flussi di clandestini.
Un altro punto particolarmente significativo del disegno di legge è l'articolo 4, il quale introduce l'inammissibilità della domanda per chi presenta una documentazione falsa. Il problema dei documenti falsi negli uffici visti delle ambasciate - al riguardo, vi sono paesi in cui il 90 per cento del domande di visto viene presentato con il supporto di documentazione falsa -, nonché la falsa documentazione presentata presso le questure per la richiesta del permesso di soggiorno, verificatasi in maniera enorme in occasione della sanatoria dei 1998, determina un sistema veramente strano in quanto il soggetto che presenta un documento falso e viene denunciato all'autorità giudiziaria, solo per questa denuncia non può vedersi revocato o rifiutati il soggiorno, perché non è un elemento ostativo al rilascio del permesso di soggiorno, mentre il meccanismo previsto dal disegno di legge determinerebbe l'immediata inammissibilità della domanda e renderebbe molto più facile la gestione di tali tentativi di ottenere, in maniera fraudolenta, il permesso di soggiorno.
Finalmente poi con l'articolo 8 è stata introdotta una sanzione per chi introduce, ospita o fa lavorare uno straniero o un apolide, senza darne comunicazione alle autorità di pubblica sicurezza. Vi sono quindi una serie di norme restrittive che, a nostro avviso, renderanno molto più efficace il sistema. Ciò in quanto l'articolo 11 del provvedimento introduce il reato di favoreggiamento dell'immigrazione, punisce come una figura autonoma il reato di agevolazione del


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profitto diretto ed indiretto. Sottolineo che oggi, soprattutto sotto il profilo del profitto indiretto, verifichiamo una quantità enorme di infrazioni che i datori di lavoro, pur di poter usufruire di soggetti senza un regolare permesso di soggiorno, mettono in moto. Si introduce, poi, una figura autonoma di reato per la contraffazione del permesso di soggiorno o dei documenti per il suo rilascio con sanzioni molto più serie e pesanti rispetto alla norma generale.
L'altro meccanismo che, probabilmente sarà molto efficace (salvo alcuni interventi per quanto concerne la procedura) è rappresentato dal capovolgimento dell'impostazione del meccanismo dell'espulsione, per cui come principio generale l'espulsione viene effettuata con accompagnamento alla frontiera. Ciò sicuramente renderà il sistema più efficace in quanto il meccanismo complessivo - cioè l'espulsione con accompagnamento, i casi in cui questa non si possa realizzare e vi sia un meccanismo con intimazione breve e le sanzioni progressive fino a che il clandestino non ottemperi all'allontanamento o reiteri il reingresso - si svolge in un crescendo, in una progressione che chiude il «cerchio» sanzionatorio che prima esisteva ma restava comunque aperto nella sua fase finale per cui non disponevamo dello strumento conclusivo di fronte a colui che reiterava più volte la fattispecie del reingresso nel paese.
Anche la normativa che prevede il contrasto in mare dell'immigrazione clandestina ha fatto nascere moltissime speranze. Pur consapevoli che da questa iniziativa non si potranno ottenere grandissimi risultati ma sicuramente vi potrà essere un'inversione di tendenza, crediamo che i risultati saranno sicuramente positivi se verranno accompagnati da tutte le iniziative di carattere internazionale necessarie per gli interventi sui paesi di transito e di provenienza dei flussi


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migratori. Vi è poi l'articolo 18 del disegno di legge che prevede l'abolizione dello sponsor; questo per noi è un aspetto molto positivo in quanto l'istituto dello sponsor a nostro avviso ha rappresentato un fallimento completo. Ciò perché è stato usato quasi esclusivamente per aggirare la normativa sul nullaosta preventivo per il lavoro, è stato usato per aggirare i limiti per i ricongiungimenti familiari ma, soprattutto, molti degli sponsorizzati giunti in Italia spariscono ed il trend delle conversioni in contratto di lavoro è molto basso. L'esempio di cui disponiamo evidenzia come nell'ultimo anno, cioè nel 2001, la maggior parte degli sponsor fossero cittadini extracomunitari residenti in Italia la maggior parte dei quali assumeva propri familiari per un periodo molto breve. Soltanto in quel periodo si manifestava un meccanismo che aggirava completamente sia il sistema delle quote sia il sistema della ricerca di lavoro.
Un altro aspetto da evidenziare è che attualmente l'attività di contrasto all'immigrazione clandestina è messa in crisi da un fenomeno che si sta ingrandendo enormemente, cioè il meccanismo delle domande strumentali di asilo. Queste ci pongono due grossissime difficoltà. Anzitutto non riusciamo più ad individuare i veri rifugiati, cioè coloro ai quali va riconosciuta la condizione di rifugiato. In eventi di questo genere, spesso di notevoli dimensioni, si usano criteri sommari che ci creano grosse difficoltà: spesso respingiamo interi gruppi senza riuscire a selezionare quali individui siano meritevoli dell'asilo.
La seconda problematica deriva dal sistema attuale utilizzato per richiedere asilo: si innesca un meccanismo di clandestinità che sta diventando veramente oneroso; non appena entrerà in funzione EURODAC, il sistema europeo per la gestione delle impronte digitali, tutti questi individui (i


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richiedenti asilo strumentale spesso non si fermano sul territorio nazionale ma transitano verso l'estero) verranno respinti dagli altri paesi europei con conseguente aggravio degli oneri. La nuova normativa ci aiuta sicuramente a risolvere il problema in quanto le commissioni territoriali, l'eliminazione del permesso di soggiorno temporaneo e il trattenimento, renderanno in qualche modo più facile la gestione e quindi l'eliminazione di queste richieste di asilo strumentali.
Rileviamo comunque qualche perplessità su alcuni punti della normativa. In particolare mi riferisco all'articolo 28 del disegno di legge che introduce l'articolo 1-bis alla cosiddetta legge Martelli. Al comma 4 di questo articolo aggiuntivo vi è la previsione della possibilità di ingresso nei centri di permanenza da parte di avvocati, associazioni e rappresentanti dell'ACNUR. Da parte nostra non vi è alcuna difficoltà, come avviene oggi, che entrino rappresentanti dell'ACNUR. I centri di permanenza e di trattenimento sono già gestiti da organizzazioni umanitarie (quasi sempre CARITAS e Croce Rossa); non stiamo parlando di avvocati che vanno a trovare i loro clienti e che possono farlo liberamente. Vogliamo evidenziare che se diamo libero accesso agli avvocati si crea un meccanismo per procacciarsi clienti. Attualmente nessuno dei numerosissimi soggetti stranieri che giungono in Italia, dopo la notifica del provvedimento di espulsione, esterna il desiderio di chiedere asilo politico, indipendentemente se ne abbia o meno le motivazioni. All'improvviso, invece, giungono fax di avvocati (dei quali i clienti non conoscono l'identità) che presentano domande di asilo mettendo in difficoltà tutti i sistemi ed i meccanismi messi a punto per i rimpatri.
Vorrei ora evidenziare alcuni elementi a nostro avviso di criticità e le loro conseguenze sull'organizzazione del sistema. L'articolo 5 del disegno di legge prevede la comunicazione al


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Ministero dell'interno e all'INPS del rilascio del visto da parte degli uffici visti, quindi delle autorità consolari. Se questa comunicazione non sarà telematica ma avverrà tramite un documento cartaceo comporterà un'enorme lavoro che non recherà alcun beneficio a questa attività; per cui è indispensabile la diffusione di un sistema telematico, cosa che senza finanziamenti non si potrà ottenere.
Un secondo aspetto problematico riguarda le caratteristiche del modello per il permesso di soggiorno (da realizzarsi con strumenti ad alta tecnologia) stabilite dall'articolo 5 del disegno di legge; si tratta comunque di una previsione contenuta anche nell'Azione comune europea del 1996. Il modello ad alta tecnologia (che tra l'altro, se si vogliono rispettare i termini imposti dall'Azione comune europea del 1996, dovrebbe essere realizzato entro la fine dell'anno) richiede dei sistemi di stampa, di rilascio e di memorizzazione di cui non abbiamo disponibilità per i quali, in assenza di finanziamenti, non avremo la possibilità di realizzarlo.
Il permesso di soggiorno legato alla durata del contratto, pur essendo concettualmente valido, riduce moltissimo i tempi di durata dei permessi di soggiorno. Ciò significa che il cittadino extracomunitario dovrà chiedere, più volte nel tempo, il rinnovo dei permessi alle questure. Attualmente vi sono questure, in situazioni di normalità, che per i rinnovi concedono appuntamenti a distanza di otto mesi. Se inneschiamo un meccanismo quale quello previsto otterremo che coloro che hanno diritto al rinnovo del permesso di soggiorno lo ottengano dopo un anno o più, determinando di fatto una situazione ingestibile, soprattutto per quanto riguarda il rapporto con il settore del lavoro.
Sul tema dell'espulsione con accompagnamento evidenzio come l'aumento del periodo massimo di trattenimento fino a


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60 giorni nei centri di permanenza temporanea rappresenti sicuramente uno strumento più efficace per il contrasto dei clandestini. Va comunque detto che questo meccanismo richiede delle misure di accompagnamento di notevole entità; infatti vanno realizzati subito centri permanenza temporanea che però non possono essere come gli attuali dove vi sono 50 posti che necessitano di 80 addetti alla vigilanza oppure con 100 posti e 180 addetti alla vigilanza. Se questi centri di permanenza verranno realizzati con queste modalità allora bisognerà aumentare il numero del personale da dedicare alle operazioni di vigilanza.
Oggi impieghiamo circa mille unità, in futuro ne dovremo impiegare tre o quattro mila; queste unità da dove le toglieremo? Probabilmente, verranno sottratte da quei comparti che svolgono compiti diretti al controllo del territorio. Qualora questi interventi non si predisponessero si registrerebbe un insuccesso della legge in ordine ai rimpatri effettivi tenuto conto che nel 2001 si è proceduto a rimpatriare oltre 75 mila persone. Da calcoli da noi effettuati che tengono conto degli immigrati che si trattengono per 60 giorni nei centri di permanenza temporanea ma che non si riesce ad espellere e della scarsa disponibilità di posti in tali centri si rischia di avere una riduzione di oltre il 30 per cento degli allontanamenti in un anno; ciò rende necessario che queste misure siano adottate contemporaneamente.
L'articolo 6 del disegno di legge fa riferimento al contratto di soggiorno per lavoro subordinato rinviando, per quanto concerne le modalità di sottoscrizione, alle modalità previste nel regolamento di attuazione; tale regolamento sarà adottato con decreto del Presidente della Repubblica il quale richiede almeno sei mesi di tempo; pertanto, nelle more, quale disciplina si dovrà applicare? Dico ciò perché non è prevista la


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disciplina transitoria; pertanto, necessita una disciplina apposita oppure bisognerà fare ricorso alla vecchia disciplina - decreto sui flussi in ingresso - con l'intervento del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
L'articolo 17 del disegno di legge prevede in ogni provincia l'istituzione di uno sportello unico per l'immigrazione presso la prefettura-ufficio territoriale del Governo in cui confluirà il personale di alcune amministrazioni pubbliche così come previsto dal decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300. Gli UTG, a nostro avviso, difficilmente potranno corrispondere a questo tipo di esigenza - alla sottoscrizione del contratto di soggiorno e alla prevista emersione del lavoro nero di colf e delle cosiddette badanti - senza opportune risorse, in mancanza delle quali questa norma - lo dico in maniera brutale ma occorre essere precisi - sarà un fallimento e creerà anche problemi di ordine pubblico. Ciò in quanto gli uffici territoriali del Governo non sono in grado di gestire l'impatto di un'attività di questo genere mancando una previsione normativa che preveda risorse umane e tecnologiche.
Per quanto concerne l'articolo 29 del disegno di legge che riguarda la dichiarazione di emersione del lavoro irregolare - colf e badanti - registriamo una serie di problemi. Tra questi il probabile alimentarsi di un circuito di falsi; in tempi così ristretti - 20 giorni per rilasciare il permesso di soggiorno - la probabilità di scoprire se esistano dei falsi sarà irrisoria. Secondo alcune organizzazioni non governative il numero delle domande di emersione potrebbe essere pari a quello registratosi al tempo della sanatoria del 1998 - 200-250 mila domande - la quale ha richiesto, per la sua gestione sulla base della normativa attuale, circa 24-26 mesi ottenendo, peraltro, il risultato di creare circa 45 mila clandestini i quali, nonostante avessero presentato domanda ed ottenuto una sorta di


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ricevuta che nel corso del tempo gli ha consentito di svolgere un'attività lavorativa, alla fine, non hanno ottenuto i benefici previsti dalla sanatoria; tutto ciò, probabilmente, creerà un problema gestionale non indifferente.
Inoltre, sempre l'articolo 29 del disegno di legge pone alcuni problemi quando fa specificamente riferimento a quelle situazioni che riguardano soggetti che sono entrati o che lavorino in Italia prima del primo gennaio 2002. Gli extracomunitari, arrivati nel nostro paese dopo il primo gennaio 2002 accolti da datori di lavoro che li impiegano nelle proprie attività, si troveranno in una condizione insanabile, ma anzi saranno sanzionati penalmente mentre prima non lo erano. Conseguentemente, riteniamo opportuno che la normativa debba fare riferimento all'entrata in vigore della legge e non al primo gennaio 2002. Inoltre, è previsto dal disegno di legge un tempo troppo breve tra la dichiarazione di emersione e il rilascio del permesso di soggiorno. Ancora, ai fini procedurali, non si capisce perché necessiti una doppia presentazione presso l'ufficio territoriale del Governo - quella per l'emersione dal nero e quella per il contratto - e in più, un ulteriore presentazione presso l'ufficio immigrazione della questura per il rilascio del permesso di soggiorno. Probabilmente, se questi tre momenti si potessero riunire otterremo una procedura di accertamento molte più efficace e, probabilmente, diventerebbe più semplice capire se esiste un rapporto di lavoro tra il datore e il lavoratore. A nostro avviso, è necessario prevedere anche la possibilità di gestire con sistemi moderni di outsourcing questo sistema di emersione, soprattutto nel caso in cui vi sia un notevole numero di soggetti - i datori di lavoro - che debbono presentare delle domande; un iter


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semplificato, anche attraverso appoggi esterni alle amministrazioni della pubblica sicurezza da parte degli stessi UTG o della questura, potrebbe rendere il tutto più veloce.
Inoltre, è opportuno sottolineare che il 47 per cento dei minori presenti nel nostro paese sono extracomunitari; infatti, in Italia si registra il fenomeno - purtroppo in aumento - dei cosiddetti minori non accompagnati. Proprio nel corso di uno degli ultimi sbarchi di cittadini cingalesi avvenuti sulle nostre coste i genitori hanno lasciato il figli in Italia e loro sono stati rimpatriati; figli dichiarati non accompagnati e di età compresa tra i 17 e i 17 anni e mezzo. Tale fenomeno, come attualmente disciplinato con un sistema di assistenza al rimpatrio non veloce ed inefficace, sarà destinato a crescere ulteriormente.
Infine, dal 1990 la Polizia di Stato invia presso gli uffici visti delle rappresentanze diplomatiche e dei consolati italiani del personale per collaborare ai fini del rilascio del visto e per verificare la correttezza della documentazione esibita. Questa situazione determina due problemi di fondo; innanzitutto, questo personale non ha una sua veste ufficiale e quindi non ha un trattamento economico adeguato rispetto al personale che lavora presso le ambasciate. Il secondo problema è di ordine finanziario: mancano i fondi per mantenere questo personale in missione tenuto conto che tali unità assorbono circa il 60 per cento del fondo istituito per le missioni all'estero della Polizia di Stato. Anche per questo aspetto si pone la necessità di un opportuno intervento, soprattutto perché questo personale svolge una funzione particolarmente efficace nel fronteggiare il fenomeno della immigrazione clandestina.

PRESIDENTE. La ringrazio, dottor Pansa. Purtroppo, abbiamo un'esigenza di tempo, dal momento che alle ore 19


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dobbiamo essere in Assemblea, perché è in discussione un provvedimento licenziato da questa Commissione. Do ora la parola al generale Suppa.

VINCENZO SUPPA, Capo del III reparto-operazioni del comando generale della Guardia di finanza. La ringrazio, signor presidente. La Guardia di finanza concorre nei servizi di polizia di frontiera, e quindi di contrasto all'immigrazione clandestina, insieme con le altre forze di polizia ed in concomitanza con i propri compiti istituzionali di polizia doganale e finanziaria a tutela delle frontiere italiane e comunitarie. La Guardia di finanza, inoltre, opera prevalentemente in mare con la componente aeronavale, e su tale aspetto vorrei soffermare l'attenzione della Commissione.
Il problema principale è costituito dal respingimento in mare, di cui spesso si parla. Sulla base dell'esperienza maturata, confortata anche da incontri con i colleghi della Capitaneria di porto e della Marina, a nostro avviso si tratta di un'ipotesi poco percorribile, perché ostano a tale procedura problemi di ordine logistico, di ordine giuridico e di ordine operativo. Esistono problemi di ordine logistico, perché bisogna considerare che le navi normalmente utilizzate per il trasporto dei clandestini sono le cosiddette «carrette del mare», vale a dire imbarcazioni che reggono a stento il mare, ed anche una volta abbordate - e se ciò avviene in alto mare, è molto rischioso -, è difficile ricondurle immediatamente ai porti di provenienza, a meno che non si tratti di un porto della Algeria o della Tunisia; quindi, ciò è possibile solo se si tratta di operazioni nel canale di Sicilia.
Esistono, inoltre, problemi di ordine operativo perché, una volta a bordo (ammesso che si riesca ad abbordare la nave), l'esperienza insegna che l'operazione si trasforma immediatamente da un intervento di polizia ad un'operazione di


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soccorso. Bisogna far riferimento, quindi, alla normativa internazionale che disciplina le operazioni di soccorso: occorre assistere i trasportati e condurre la nave nel porto più vicino. Per quanto riguarda le potenzialità dei mezzi della Guardia di finanza, esso è, necessariamente, un porto nazionale.
Esistono, infine, problemi di ordine giuridico perché, anche nel caso in cui avessimo individuato con esattezza il porto di partenza della nave - e ciò non sempre avviene -, dovremmo fare riferimento ad accordi bilaterali con lo Stato di provenienza dell'imbarcazione per poterla respingere nel porto di provenienza. Un aspetto particolare riguarda, inoltre, le navi provenienti dall'Egitto attraverso il canale di Suez. Il canale di Suez, infatti, gode di un regime particolare; per usare un'espressione impiegata da un'esponente della polizia egiziana durante un recente incontro con un mio collega, «per noi, il canale di Suez è come un aereo che sorvola l'Egitto». In base alle regole che attualmente disciplinano il transito nel canale di Suez, quindi, un'imbarcazione carica di clandestini che attraversa tale canale non è, secondo l'opinione degli egiziani, controllabile. Allora, come accennava poc'anzi il prefetto Pansa, si tratta di un problema che investe non solo la legislazione nazionale, ma anche gli accordi bilaterali. A tal fine, occorre promuovere accordi con i paesi rivieraschi e, probabilmente, anche un riesame delle norme che disciplinano i transiti nel canale di Suez delle imbarcazioni segnalate come trasportanti clandestini.
Ritornando in dettaglio ai temi del disegno di legge, la Guardia di finanza ha già avanzato alcune proposte emendative, che sono state recepite. Rimane, tuttavia, ancora aperto il problema della zona contigua. Mi sembra che all'articolo 10 del predetto disegno di legge vi sia un riferimento, ma si tratta di un riferimento improprio perché la legislazione italiana non


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ha ancora recepito la convenzione di Montego Bay e, di conseguenza, non ha ancora stabilito quale sia la zona contigua. Ricordo che tale zona può estendersi dalle coste fino a 24 miglia. Pertanto occorrerebbe definire nella stessa legge, o con un provvedimento a latere quale sia, secondo la normativa italiana, la zona contigua.
Come Guardia di finanza abbiamo visto con favore l'adozione del decreto-legge n. 51 del 2002, con il quale è stata prevista la distruzione delle motonavi, sequestrate perché trasportanti clandestini, non utilizzabili dalle forze di polizia. Sempre in merito alla difficoltà di operare a livello di controlli in alto mare nei confronti di imbarcazioni che trasportano immigrati clandestini, vorrei ricordare, inoltre, che l'unica norma che attualmente potrebbe aiutare, in un'ottica di salvaguardia degli stessi clandestini, è la convenzione di Palermo del 2000, nei due allegati che riguardano il trasporto dei clandestini. Tale norma consentirebbe l'identificazione di bandiera, vale a dire la possibilità di salire a bordo di una nave e verificare il carico ed i documenti trasportati, nel caso in cui la nazione che dà la bandiera alla nave e quella che vuole salire a bordo abbiano sottoscritto e ratificato tale convenzione. Segnalo, peraltro, che tale convenzione non è stata ancora ratificata dall'Italia.
Signor presidente, ho concluso il mio intervento. Lascio, infine, una documentazione scritta a disposizione della Commissione.

PRESIDENTE. Do ora la parola al colonnello Ciceri, dell'Arma dei carabinieri.

ILARIO CICERI, Capo dell'ufficio operazioni del comando generale dell'Arma dei carabinieri. La ringrazio, signor presidente, e desidero innanzitutto portare il saluto del Comandante


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generale dell'Arma a lei e a tutti i deputati presenti.
Per non ripetere quanto già detto precedentemente e al fine di contenere i tempi dell'intervento, voglio soffermarmi solamente su alcuni punti sintetici. Intanto, intendo sottolineare il ruolo concorsuale che anche l'Arma dei carabinieri riveste nel contrasto dell'immigrazione clandestina, sia sotto il profilo preventivo, che si estrinseca prevalentemente nella partecipazione dell'Arma, con svariate centinaia di uomini, ai vari piani interforze per il controllo delle aree sensibili (Puglia, Calabria, Sicilia orientale e occidentale), sia attraverso il concorso che forniamo in tutta Italia per la vigilanza dei centri, con una media di oltre 300 uomini al giorno.
Oltre a tale consistente contributo, l'attenzione dell'Arma è focalizzata anche sull'attività repressiva per il contrasto alle organizzazioni criminali dedite al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e al traffico ed alla tratta di esseri umani. Sotto questo profilo, vorrei evidenziare il ruolo e l'importanza che attribuiamo alla cooperazione internazionale, in particolare a livello europeo e nel quadro di Europol, nell'ambito del quale, a seguito di un'indagine particolarmente significativa svolta dal ROS, abbiamo promosso un primo progetto interforze operativo che già vede coinvolti paesi come Svizzera, Francia, Polonia e altri. Tale progetto sta già dando ottimi risultati, perché si tratta, sicuramente, di uno strumento importante per contrastare il fenomeno a livello internazionale. A tal proposito, si potrebbero prevedere, anche per questi tipi di reato, specifiche fattispecie associative, con l'estensione anche a tali fattispecie delle possibilità investigative (agenti sotto copertura in primis) utilizzate con grande efficacia sia nella lotta al traffico della droga, sia, più recentemente, per contrastare il terrorismo.


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Un secondo aspetto sul quale desidero soffermarmi è già stato citato dal dottor Pansa ma ritengo sia bene riaffrontarlo. Sicuramente il disegno di legge in discussione delinea un sistema che ha in sé caratteristiche di maggior efficacia soprattutto per quanto riguarda l'aumento fino a 60 giorni dei termini di permanenza nei centri. Ciò consentirà di portare a termine le pratiche per l'espulsione dando a chi procede il tempo per identificare compiutamente i soggetti. Vi è poi il ribaltamento del sistema che prevederebbe in futuro l'accompagnamento alla frontiera in via ordinaria, sicuramente dando maggiore significato all'azione di prevenzione e di repressione del fenomeno. Naturalmente è importante accompagnare la normativa con i provvedimenti organizzativi necessari per poter affrontare il conseguente impatto. Sicuramente la nuova legislazione prevederà più traduzioni, più accompagnamenti e più vigilanza nei centri qualora non si proceda, come già delineato da alcuni programmi, al sostanziale aumento e ammodernamento dei centri di permanenza in modo da garantire miglior condizioni di vita a chi vi soggiorna ma anche maggior sicurezza alle forze di
Polizia che debbono vigilare. Tutto ciò dovrebbe indurre a valutare la possibilità di un intervento mirato, compatibilmente con le risorse disponibili, per adeguare gli organici dei reparti maggiormente impegnati in questo settore in modo da consentirci di affrontare con tranquillità e con risorse adeguate questa nuova azione di contrasto all'immigrazione clandestina.

FRANCESCO RICCI, Sottocapo di stato maggiore della Marina militare. Premetto che abbiamo predisposto una relazione che intendo trasmettere a questa Commissione. Cercherò comunque di sintetizzarne i punti essenziali.


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Sostanzialmente condivido pienamente le posizioni espresse dai rappresentanti della Guardia di finanza, con i quali ci siamo già confrontati sull'argomento. La Marina militare sta affrontando già da dieci anni il problema del controllo di questi traffici di clandestini ed ha predisposto diversi dispositivi; vorrei quindi sottolineare le difficoltà cui andiamo incontro. Per scoprire e localizzare navi che trasportano clandestini dobbiamo sapere da dove e, più o meno quando partono, il loro nome, ma soprattutto disporre della fotografia delle navi. Senza queste informazioni diventa estremamente complessa la localizzazione della nave. Se si è in possesso solo della fotografia della nave senza sapere quando e da dove parta, è difficile rintracciare l'imbarcazione nel Mediterraneo; ciò perché in pratica si presenta la necessità di riconoscere otticamente l'imbarcazione, ma la portata ottica sia da una aereo sia da un'imbarcazione è estremamente limitata: la distanza utile affinché un bersaglio venga riconosciuto si aggira attorno ai 10 mila metri, non di più. È quindi evidente quanto sia difficile per noi scoprire una nave senza elementi informativi molto precisi.
Diventa assolutamente impossibile, poi, qualora non siamo in possesso neanche della fotografia della nave. Senza sapere come è fatta l'imbarcazione è possibile scoprire una nave adibita al traffico di migranti clandestini solo casualmente, rilevando, cioè, la presenza di queste persone in coperta; in questo caso è possibile comprendere che si tratta di una nave impegnata nel traffico di clandestini. Si manifesta così una forte difficoltà da parte nostra all'identificazione di queste imbarcazioni.
La localizzazione di queste navi richiede soprattutto l'impiego di mezzi aerei; con l'Aeronautica disponiamo dei cosiddetti pattugliatori aero-marittimi che sono il mezzo di eccellenza


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per questo tipo di operazioni; disgraziatamente tali aerei sono molto vecchi (hanno più di trent'anni), possiedono un'efficacia ed un'efficienza estremamente limitate e sono privi di dispositivi di visione notturna, quindi non possono essere impiegati per questi compiti durante la notte; inoltre, non possiedono radar che consentano di determinare le dimensioni del bersaglio. Se, ad esempio, stessimo cercando una nave lunga 60 metri e possedessimo il sistema radar denominato AISAR che consente di determinare le dimensioni del bersaglio potremmo scartare tutte le imbarcazioni di diversa lunghezza. Non disponiamo, però, di questo sistema e per la Marina è estremamente difficile localizzare in alto mare tali bersagli in assenza di informazioni precise.
Nell'attuale quadro normativo e giuridico internazionale, una volta localizzato il bersaglio, possiamo seguirlo da vicino, intervenire nel caso in cui si manifesti pericolo per la salvaguardia della vita umana in mare ed accompagnarlo fino alla consegna nelle mani delle forze di Polizia. Questo è un risultato di non poco conto perché, se riusciamo a realizzarlo, prima di tutto possiamo sequestrare l'imbarcazione che non potrà così più essere utilizzata per analogo scopo, poi consentiamo alla Polizia di catturare l'equipaggio - un altro risultato importante perché si evita così che si possa reiterare il reato - ed infine, tramite le operazioni di scorta, assicuriamo a tutti i migranti clandestini una certa sicurezza nel transito e la consegna ai centri di raccolta per l'eventuale rimpatrio o per i provvedimenti del caso. Questo è sostanzialmente ciò che noi facciamo.
In merito al dispositivo legislativo vorrei sottolineare due aspetti. Anzitutto si realizza un quadro giuridico abbastanza definito in questo settore, ma l'aspetto di maggior pregio è rappresentato dal decreto interministeriale sul coordinamento


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della nostra attività con quella delle forze di Polizia. Questo decreto sul coordinamento tra chi opera in alto mare e chi opera nelle acque territoriali ed a terra è di importanza fondamentale per evitare smagliature ed incomprensioni che possano creare seri problemi sia per la sicurezza di questi «poveri disgraziati» sia per l'evasione, la mancata cattura e l'impunità dell'equipaggio, con conseguente reiterazione dell'illecito commesso da quest'ultimo, nonché per quanto riguarda l'eventuale cattura della nave. Questi sono essenzialmente i punti fondamentali che volevo sottolineare; ringrazio per l'attenzione che mi è stata concessa.

EUGENIO SICUREZZA, Comandante generale delle Capitanerie di porto. Ringrazio per l'invito e saluto tutti i componenti di questa Commissione. Innanzitutto premetto che rappresento una struttura specialistica composta da 10 mila persone (uomini e donne), una nicchia che, con capacità tecniche ed amministrative, deve curare il corretto utilizzo del mare dal punto di vista delle attività civili. Esercitiamo, secondo il codice della navigazione, l'attività di polizia marittima, che è un concetto completamente diverso dal perseguimento dell'ordine pubblico. Siamo preposti al SAR, ossia alla ricerca ed al soccorso per la salvaguardia della vita umana in mare e non operiamo per l'attività di contrasto della criminalità in mare. Tuttavia, siamo un organo dello Stato e per mare spesso ci si trova, soli quindi, oggettivamente, possiamo dare un nostro contributo alla causa comune dello Stato italiano, cioè cooperare e collaborare con gli organi di Polizia e con la Marina militare. Effettivamente stiamo realizzando un utile dispositivo, soprattutto navale ma anche aereo, che possa essere utile nello svolgimento delle attività di polizia marittima, per il controllo del traffico marittimo, per la tutela e gli usi civili del mare in congiunzione con il sistema radar di centrali collegate


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fra loro noto con il nome di VTS (Vessel traffic service); ci troviamo, quindi, in una posizione che può risultare utile per il contrasto dell'immigrazione clandestina.
Ho predisposto una relazione che trasmetterò a questa Commissione; vorrei ora sottolinearne alcuni aspetti, riferendomi in particolare agli allegati alla nostra relazione dai quali si evince l'escalation di questo fenomeno e come in pochi anni sempre più gente speri di essere salvata e catturata lungo le coste italiane.
Si vede che il nostro programma presenta una certa consistenza e può avere una certa validità ai fini della cooperazione; il nostro centro di coordinamento del soccorso (Mediterranean Rescue Coordination Center) ci consente giuridicamente, essendo noi i depositari della materia del soccorso in mare, di coordinare azioni anche in alto mare, e in presenza di navi mercantili, autorizzarle a svolgere funzioni di soccorso: l'esempio che cito (nell'allegato n. 8 alla relazione) è l'operazione condotta dalla motocisterna Valsesia il 25 marzo ultimo scorso.
Dalla scheda n.7 (che allego alla relazione) si evince la necessità di maggiori risorse finanziarie per il nostro corpo; ciò perché il legislatore, al fine di aiutare l'industria nazionale, è stato pronto a varare un sacrosanto programma che prevede nuove e utili costruzioni nonché l'acquisizione di altri mezzi aerei; però, nel momento in cui si decide di operare dei tagli, accade che, poiché il corpo delle capitanerie di porto rientra, nell'ambito del bilancio dello Stato, nel Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, mentre si escludono da tali risparmi le forze di polizia e quelle della difesa (intesa in senso stretto), il corpo viene costantemente saccheggiato finanziariamente. Pertanto, se a partire da quest'anno non si incrementano le risorse destinate al nostro corpo, con il ritmo attuale di attività


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di soccorso in mare (metà della quale diretta a contrastare la criminalità transfrontaliera e il traffico di clandestini), corriamo il rischio di avere i mezzi navali ed aerei fermi nel mese di agosto, proprio quando dovremo svolgere l'importante funzione, per la nostra industria turistica, dell'assistenza e della tutela della sicurezza dei bagnanti.
Per quanto concerne poi la zona cosiddetta contigua, condivido le osservazioni sul tema svolte dal collega della Guardia di finanza; tuttavia, la zona contigua, che può far comodo per contrastare l'immigrazione clandestina, necessita di una valutazione complessiva. Soprattutto perché il Mediterraneo è un mare stretto, chiuso e su cui si affacciano diversi paesi; conseguentemente, prima di procedere a dichiarare una zona come contigua bisognerebbe verificare tutti pro e tutti i contro di questa operazione. Quello che è certo è che non conviene dichiararla laddove esistano interessi di pesca contrapposti con paesi molto vicini, come ad esempio la Tunisia e i paesi che si affacciano sull'Adriatico.

GIUSEPPE FERA, Vice capo della Polizia e direttore centrale della Polizia criminale. Come avevo anticipato all'inizio, il mio intervento si coniuga con quello svolto dal collega Pansa e riguarda più direttamente gli aspetti penalistici e, quindi, l'articolo 11 del disegno di legge in questione, che modifica all'articolo 12 del testo unico. Intendo anche fornire alcuni elementi conoscitivi sugli aspetti dell'attività che viene svolta nei confronti delle grandi organizzazioni che possono essere considerate le vere responsabili della gestione dei traffici transnazionali che la Convenzione dell'ONU e i protocolli aggiuntivi hanno ben descritto nelle dinamiche e negli aspetti sanzionatori.
La formulazione dell'articolo 11 del disegno di legge è in linea di massima condivisibile. Di particolare interesse rimane


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la conoscenza e, quindi, l'approfondimento sul piano investigativo delle problematiche connesse alla gestione da parte delle grandi organizzazioni di questi traffici. Mi richiamo anche a quanto detto prima dal colonnello Ciceri quando ha fatto riferimento alla esigenza di fattispecie operative che possano mettere in luce queste tipologie di sodalizi e alle misure appropriate per poterle contrastare. È chiaro che certi strumenti, come ad esempio il ricorso alle intercettazioni ambientali delle comunicazioni nonché i provvedimenti ex articolo 384, così come le attività di sotto-copertura e di differimento degli atti, assumono un significato solo se ci si sofferma più da vicino sul momento della gestione di questi traffici; momento questo fondamentale, non soltanto per quanto riguarda l'intelligence ma anche per l'aspetto repressivo.
In merito all'articolo 12 del testo unico, che probabilmente sarà modificato dall'articolo 11 del disegno di legge, sottolineo che la novella appare chiara e corretta nella sua formulazione. L'aspetto sanzionatorio è previsto dal comma 3-ter del citato articolo, dove si fa riferimento a fatti compiuti al fine di reclutare persone da destinare alla prostituzione o comunque allo sfruttamento sessuale, ovvero riguardanti l'ingresso di minori da impiegare in attività illecite al fine di favorirne lo sfruttamento: si applica la pena della reclusione da cinque a 15 anni. Se noi facciamo riferimento anche ai commi precedenti del predetto articolo, in particolare il 3-bis il quale prevede un aumento delle pene, la natura di queste condotte, di cui al comma 3-ter,appaiono senza dubbio più rilevanti e significative rispetto a quelle previste dal 3-bis. Pertanto, le pene edittali mi sembrano leggermente inferiori rispetto a quelle che risultano applicabili ai sensi del comma precedente.
Una riflessione su questo profilo la ritengo è importante, anche perché si pone la necessità di leggere attentamente, di


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armonizzare e quindi di avere una lettura integrata di questo comma 3-ter con quel particolare profilo normativo che emerge dal disegno di legge sulla tratta degli esseri umani. In effetti, esiste la possibilità di sovrapposizione, conseguentemente una lettura integrata di questi due momenti credo possa essere utile ed opportuna.
Devo anche dire che l'eccezione alla regola del bilanciamento delle circostanze, quelle relative alla comma 3-quater dell'articolo 11 del disegno di legge, è da condividere in toto proprio perché emergono quegli aspetti che mettono in luce la possibilità di una gestione a monte da parte delle organizzazioni di questi traffici; lo stesso per il 3-quinquies, dove si fa riferimento alle restrizioni previste dall'ex articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, nonché la conseguente estensione ai medesimi soggetti del regime previsto ex articolo 41-bis in tema di soggetti pericolosi.
L'articolo 11 del disegno di legge, con queste piccole annotazioni a cui ho fatto riferimento, è da condividere.
Tra le ulteriori novelle contenute nel disegno di legge va sottolineato quanto previsto dall'articolo 8, il quale stabilisce una sanzione amministrativa per le violazioni relative all'attuale articolo 7 del testo unico in tema di obblighi dell'ospitante e del datore di lavoro. In questo caso, sarebbe utile tener conto dei profili di analogia con quella ex articolo 12 del decreto legge n. 59 del 1978, convertito in legge n. 191 del 1978, sulla cessione dei fabbricati, in modo da disciplinare tale aspetto sanzionatorio mediante il rinvio a quest'ultima norma, che comporterebbe anche l'omogeneizzazione del quantum della pena da irrogare. Andrebbe valutata, inoltre, l'esigenza di esplicitare che tale illecito amministrativo concorre con le eventuali fattispecie, in particolare con il reato di cui all'articolo 12, comma 5, del decreto legislativo n. 286 del 1998.


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Per quanto riguarda l'impostazione generale del provvedimento, ritengo giusto ricordare che una recente proposta di direttiva del Consiglio europeo riguarda il titolo di soggiorno di breve durata, da rilasciare alle vittime di favoreggiamento dell'immigrazione illegale e quelle della tratta degli esseri umani che cooperino con le autorità competenti. Tale proposta comunitaria amplierebbe sensibilmente le ipotesi di azionabilità del permesso di soggiorno per motivi di protezione, ex articolo 18 del decreto legislativo n. 286 del 1998, rendendolo, di fatto, applicabile alla stragrande maggioranza degli stranieri irregolarmente presenti sul territorio nazionale perché esiste la possibilità che, all'occorrenza, lo straniero irregolarmente presente possa palesare, in un certo senso, uno status di vittima, anche inesistente, al fine di sottrarsi all'espulsione, rendendosi irreperibile nel periodo di riflessione di 30 giorni che, in base alla proposta di direttiva, deve essere riconosciuto al soggetto dopo che sia stato informato della possibilità di ottenere il menzionato titolo di soggiorno. Si tratta di un aspetto che va considerato, così come, del resto, occorre tener conto, nel quadro generale, di tutti i profili che emergono dall'auspicabile ratifica sia della convenzione ONU, sia dei due protocolli aggiuntivi.
Su tale aspetto dell'argomento, ritengo di aver fornito alcuni elementi aggiuntivi ad integrazione di quanto è stato già riportato. Desidero rappresentare, adesso, soltanto alcune note inerenti all'attività di contrasto del fenomeno dell'immigrazione clandestina, con riferimento al perseguimento delle organizzazioni responsabili della gestione di queste particolari attività illecite. Il dipartimento della pubblica sicurezza, in particolare per quanto riguarda questi organi specialistici investigativi della Polizia di Stato, si muove lungo tre linee-guida fondamentali: una riorganizzazione degli uffici investigativi


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centrali e territoriali; una diffusione di moduli investigativi omogenei, frutto delle esperienze operative acquisite; infine, un impulso, emerso anche in precedenti incontri, ad azioni di interscambio informativo ed operativo con gli organi di polizia degli altri paesi. In ogni area territoriale, nell'ambito delle squadre mobili e delle sezioni di criminalità extracomunitaria, abbiamo la possibilità, anche da parte delle sezioni di criminalità organizzata, di poter svolgere attività di raccordo e di analisi operativa delle indagini riferite a tale particolare settore.
Vorrei ora affrontare il famoso problema della necessità, di fronte al perseguimento delle grandi organizzazioni, di colpire anche le cosiddette aree della criminalità comune - anche se, in effetti, la maggior parte di questi soggetti rientrano, senza dubbio, nella schiera degli extracomunitari -, cioè quell'attività che viene consumata in danno e che crea un senso di insicurezza nei cittadini. In questo caso, stiamo veramente operando nei termini più appropriati, coniugando in modo corretto i momenti del controllo fisico del territorio con il momento della conoscenza, e dunque dell'individuazione dei segmenti della criminalità comune ed organizzata alle spalle di questo scenario.
Allora, signor presidente, posso affermare che, in tale contesto, vengono svolte numerose iniziative che danno risultati particolarmente positivi; tali iniziative, comunque, impegnano con particolare rilievo non solo le risorse fisiche, ma anche quelle economiche che devono sostenere gli impegni delle forze di polizia. Posso affermare che la conoscenza acquisita con la circolazione dell'informazione porta veramente a risultati che possono essere stimati in termini positivi e che hanno una valenza notevolissima. Basti considerare che solo nel primo trimestre del 2002, con riferimento non soltanto


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alle azioni svolte lungo le coste, si parla di 132 arresti e di 82 sequestri, con un incremento del 230 per cento degli arresti e del 115 per cento dei sequestri rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente: si tratta, senza dubbio, di un dato molto confortante.
Per converso, abbiamo anche una significativa base statistica che fornisce...

GIANNICOLA SINISI. Può specificare questi ultimi due dati?

GIUSEPPE FERA, Vice capo della Polizia e direttore centrale della Polizia criminale. Per quanto riguarda il primo trimestre del 2002, abbiamo 132 arresti ed 82 sequestri di veicoli e natanti, rispetto ai 40 arresti e 38 sequestri delle primo trimestre del 2001: si tratta di dati che ritengo molto significativi. Peraltro, anche per quanto riguarda le informazioni statistiche riferite ai membri di organizzazioni criminali che gestiscono tali traffici, è possibile affermare che nel primo trimestre del corrente anno sono stati arrestati 29 membri di organizzazioni criminali: parlo di grandi organizzazioni, non del semplice scafista, signor presidente, tralasciando il novero dei dati attinenti ai membri dell'equipaggio e ad altri soggetti che vengono arrestati ed assicurati alla giustizia. Questi sono, senza dubbio, dati che hanno una certa valenza ed un certo significato.
Voglio sottolineare, tuttavia, che tale azione viene svolta oggi in modo molto particolare, nel senso che, specialmente negli ultimi tempi, è stato iniziato un capillare lavoro di intelligence e di analisi su tutto il territorio nazionale per quanto riguarda le organizzazioni, i soggetti ed i gruppi criminali presenti sul territorio nazionale. Si tratta, pertanto, di una azione di monitoraggio e di attenzione rivolta a tali


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gruppi per poterli colpire nei modi più attenti e lucidi, integrando il sistema del controllo fisico con il controllo intelligente attraverso indagini mirate e, dunque, attività preventive ed investigative abbastanza significative.
Per quanto riguarda l'aspetto internazionale, trattandosi di organizzazioni transnazionali, è chiaro che anche l'azione di contrasto, e quindi le misure compensative, vengano affrontate su un piano transnazionale. Al riguardo, il servizio cooperazione internazionale della direzione centrale della polizia criminale, in un contesto di collegamenti e di rapporti non soltanto con la direzione delle specialità (dunque, con il servizio immigrazione), ma anche con le altre forze di polizia, offre la possibilità di svolgere un più ampio impegno a livello internazionale. Il momento più significativo può venire proprio dall'ultima operazione, che ha riguardato il recente sbarco della motonave Monica: per la prima volta, infatti, abbiamo registrato una riunione tecnica-operativa alla quale hanno partecipato i responsabili delle polizie di Cipro, Germania, Grecia, Francia, Libano e Turchia. Devo sottolineare i risultati: gli arresti che ne sono conseguiti e l'individuazione della centrale che aveva operato in questo caso, che è stata completamente neutralizzata. È stata la prima volta, e riteniamo pertanto di poter partire da questo primo incontro, che ha prodotto risultati, per sviluppare in modo più specifico, in primo luogo con la Germania e la Francia, un'azione penetrante tale che le informazioni circolino non solo per quanto riguarda i paesi di origine di questi traffici, ma in tutto il percorso: le rotte seguite, le località interessate, le organizzazioni a monte. Si tratta, quindi, di un lavoro in profondità che senza dubbio potrà dare degli ottimi risultati.
Poiché il servizio di cooperazione internazionale è collocato in un contesto di relazioni, in particolare con la stessa


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Interpol, voglio sottolineare che il Segretariato generale dell'Interpol ha avviato un progetto, denominato Bridge project, con sede a Lione, dedicato all'analisi del fenomeno dell'immigrazione clandestina cinese e, adesso, anche con riferimento ai clandestini provenienti dallo Sri Lanka. Ci troviamo ancora di fronte ad un database: ecco il momento dell'intelligence e dell'utilizzazione di programmi informatici per la circolazione di informazioni che rivestono, senza dubbio, un certo significato. Quindi, parleremo di membri delle organizzazioni coinvolte nell'immigrazione clandestina ed illegale, dei percorsi seguiti, delle modalità di trasporto, dei rifugi, delle scorte, dei documenti contraffatti, dei visti utilizzati da tali organizzazioni. È senza dubbio un metodo di lavoro già sperimentato che dobbiamo consolidare sia a livello nazionale sia a livello internazionale.
Aggiungo che in questo particolare tipo di strategia si collocano, con una rilevanza particolare, gli uffici di collegamento all'estero, sorta di «antenne» o «sensori» nazionali che danno la possibilità di ampliare il quadro conoscitivo e di espletare non soltanto l'attività informativa tout court, ma anche l'attività di assistenza giudiziaria, per le rogatorie e per tutto ciò che riguarda la ricerca e la cattura di latitanti. Questo aspetto è molto significativo, specialmente se consideriamo l'esperienza già realizzata nell'area balcanica, e mi riferisco in particolare all'Albania, dove le tre forze di polizia si sono compiutamente misurate in quest'attività. Ricordo l'impegno profuso sul piano della consulenza, dell'addestramento e dell'assistenza in favore delle forze di polizia albanesi. È stato, inoltre, insediato in quell'area un ufficio di collegamento grazie al quale l'attività investigativa ora è ancora più pregnante e significativa.


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Voglio sottolineare che proprio su questo versante i noti sbarchi e i flussi migratori clandestini si sono senza dubbio ridotti notevolmente: basta leggere la relazione sul tema inoltrata al Parlamento nel secondo semestre 2001 per rendersi conto che sono state raggiunte cifre mai pensate prima e che in un certo senso oggi fanno ritenere che la situazione sia un po' meno preoccupante. Non per questo la guardia rimane abbassata. Anzi, attualmente, con le tre forze di polizia, stiamo proseguendo il lavoro nell'area balcanica addirittura mediante una rete di uffici di collegamento interforze che rappresentano in un certo senso (nell'ambito di un partenariato tra l'Unione europea e l'Albania) una leadership del nostro paese che, senza dubbio, va valutata positivamente e che va presa in considerazione in relazione al progetto (in fase di sviluppo) del Ministero dell'interno per una rete di uffici di collegamento a livello internazionale.
Ricordo che le informazioni di cui dispongo sono a disposizione dei membri della Commissione. In particolare vorrei evidenziare i dati di alcune operazioni che dimostrano la validità e la portata del metodo di lavoro utilizzato. Si è svolta, ad esempio, un'operazione di notevoli dimensioni nei confronti di un organizzazione significativa e ben coesa (che interessava Turchia e Germania) che tra il 2000 e il 2001 aveva gestito tutti gli sbarchi delle navi giunte sulle coste calabresi, favorendo così l'ingresso illegale di oltre 6 mila clandestini curdi. Questa organizzazione è stata debellata, i suoi componenti sono stati catturati ed è la prima volta che la Turchia fornisce una collaborazione di questo genere arrestando ed assicurando alla giustizia soggetti di rilievo nell'ambito dell'organizzazione. Va comunque detto che la cooperazione si dimostra ancora un po' farraginosa e non completamente soddisfacente come quelle che abbiamo con altri paesi.


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GIANNICOLA SINISI. Quando è avvenuta questa collaborazione?

GIUSEPPE FERA, Vice capo della Polizia e direttore centrale della Polizia criminale. Nel periodo tra la fine del 2001 e gli inizi del 2002.

GIANNICOLA SINISI. Ed è la prima collaborazione di questo tipo?

GIUSEPPE FERA, Vice capo della Polizia e direttore centrale della Polizia criminale. Sì. Infatti all'inizio eravamo un po' pessimisti, quando si parlava della cattura in Turchia di alcuni dei membri di questa organizzazione, ma pi è stato assicurato alla giustizia un grosso personaggio, quasi il regista dell'organizzazione. Rimane comunque una cooperazione ancora farraginosa anche conoscendo i particolari di una precedente iniziativa di sviluppo delle relazioni bilaterali tra Italia e Turchia.

MARIO NUNZELLA, Direttore dell'ufficio per il coordinamento e la pianificazione delle forze di Polizia. Svolgerò alcune brevi osservazioni sull'attività specifica dell'ufficio di coordinamento e pianificazione da me diretto. In particolare mi riferirò a problemi specifici, a completamento di quanto è stato affermato dai miei colleghi. Avverto la necessità di porre in evidenza una intensa attività svolta dall'ufficio di coordinamento per il tramite del servizio relazioni internazionali (che fa parte dell'ufficio) nei vari fori internazionali, sia per quanto riguarda gli accordi bilaterali tra forze di polizia sia per quanto riguarda accordi multilaterali, ed in particolare nell'attività (di concerto con l'ufficio immigrazione e la polizia di frontiera) di contrasto all'immigrazione nei vari fori internazionali.


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Il Consiglio europeo svoltosi a Laeken il 14 e 15 dicembre scorso ha ribadito l'impegno sia sugli orientamenti politici sia sugli obiettivi definiti a Tampere e ha stabilito la necessità che il contrasto ai flussi migratori confluisca nella politica estera dell'Unione grazie alla realizzazione di un piano di azione sull'immigrazione clandestina e la tratta di esseri umani. La presidenza spagnola di turno dell'Unione ha elaborato uno specifico piano di azione al riguardo che è stato approvato nel Consiglio del 28 febbraio scorso cui hanno partecipato i ministri per gli affari esteri e dell'interno italiani.
In relazione all'attività del dipartimento, sono stati proposti ed accolti interventi significativi per quanto riguarda l'istituzione di uffici consolari comuni realmente integrati, un rafforzamento della rete degli ufficiali di collegamento, l'inserimento di misure di sostegno finanziario per azioni in paesi terzi, il richiamo all'attenzione sui controlli alle frontiere, la creazione di un fondo per il rimpatrio e la previsione della confisca dei beni. Questi argomenti penso possano essere interessanti per quanto riguarda il confronto con il disegno di legge in esame. Siccome queste decisioni dell'Unione europea avranno una ricaduta sulla legislazione dei singoli Stati, sarà bene già da adesso analizzare in che misura i provvedimenti normativi nazionali possano raccordarsi con la normativa europea. Ho qui con me il testo del piano di azione che, unitamente ad alcune annotazioni sull'argomento, metto a disposizione di questa Commissione.
La seconda osservazione che vorrei svolgere riguarda anche l'attività di coordinamento e di pianificazione generale, non di dettaglio, delle tre forze di polizia. Mi corre l'obbligo di sottolineare quanto già affermato in relazione all'aggravio dell'impegno che conseguirà all'approvazione di questo disegno di legge, in particolar modo con riferimento ai provvedimenti


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di espulsione e di accompagnamento nonché alla creazione di ulteriori centri di permanenza temporanea. Questo incremento dell'impegno delle forze di polizia andrà a sottrarre unità allo schieramento dei presidi territoriali preposti al controllo ordinario dell'ordine e della sicurezza pubblica. Naturalmente, si tratta di obblighi che ci imporrà la legge e ai quali faremo ovviamente fronte ma si deve comunque tener conto che, ad organici immutati, in qualche misura si andrà ad intervenire mediante spostamenti di risorse dall'una all'altra esigenza.
La legge apporta delle novità consistenti soprattutto per quanto riguarda il rafforzamento del sistema sanzionatorio e la velocizzazione delle procedure per le domande; allo stesso tempo l'espulsione amministrativa mediante accompagnamento diverrà la regola, in quanto l'intimazione diverrà un provvedimento residuale. La possibilità di proroga della permanenza nei centri di accoglienza sarà accentuata, in quanto resteranno le difficoltà di individuazione delle generalità e delle località di origine degli individui in assenza di una precisa e ben dettagliata normativa che consenta, anche mediante accordi internazionali, di pervenire rapidamente all'identificazione di questi soggetti. Naturalmente, gli allungamenti dei tempi e l'intensificarsi delle azioni di polizia comporterà l'impiego di risorse sia di uomini sia finanziarie.
Un aspetto particolarmente importante concerne gli accordi bilaterali di reciproca assistenza stipulati dal dipartimento della pubblica sicurezza con molti paesi in tema di operazioni di polizia. L'obiettivo dell'ufficio per il coordinamento e la pianificazione delle forze di polizia, di intesa con la polizia di frontiera, è quello di ravvivare questi accordi e finalizzarli alla lotta alla immigrazione clandestina ed al traffico di esseri umani; un programma che l'ufficio intende condurre a compimento.


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Anche in ordine a questo aspetto esiste una raccolta di titoli di tali accordi; su richiesta, posso mettere a disposizione della Commissione anche il testo degli stessi.

PRESIDENTE. Do adesso la parola ai deputati che intendano porre domande o formulare richieste di chiarimento.

GIANNICOLA SINISI. Signor presidente, intendo formulare alcune domande dirette ad ottenere risposte sintetiche a cui eventualmente, se lei signor presidente consente, i nostri ospiti potranno rispondere per iscritto successivamente.
Ringrazio innanzitutto il prefetto Pansa per la illustrazione della sua relazione anche se, per alcuni aspetti, quanto da lui riferito mi lascia assai perplesso e, in alcuni passaggi del suo intervento, addirittura sbalordito.
Il signor prefetto ha detto che sono stati eseguiti 75 mila respingimenti e rimpatri nel corso del 2001; dai dati in mio possesso risulta che nel 1999 essi erano pari a 72 mila e, fino all'ottobre del 2000, a 66 mila. Prefetto Pansa, potrebbe spiegarmi come è venuto fuori il dato dell'aumento del 50 per cento dei respingimenti fornito dai responsabili del dipartimento della pubblica sicurezza nel corso di una conferenza stampa? Inoltre, qual è il dato normativo sulla base del quale lei ha sostenuto che il principio generale della legge Turco-Napolitano sia quello dell'espulsione con intimazione, mentre adesso sarebbe quello della espulsione con accompagnamento? Nella predetta legge, i casi di espulsione con intimazione erano considerati residuali rispetto alle espulsioni con accompagnamento alla frontiera. Su tale aspetto desidererei che lei, prefetto Pansa, mi fornisse dei dati; in particolare, quali e quante sono le espulsioni con intimazione che vengono tuttora eseguite anche quando ricorrono i casi di espulsione con accompagnamento alla frontiera? Dico questo perché su tale


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aspetto occorre fare chiarezza per comprendere quanto è attribuibile ad insufficienze della legge e quanto è invece da considerarsi negligenza di coloro che sono chiamati ad applicarla. Vorrei anche sapere quanti sono i centri di permanenza che sono stati realizzati dal 1998 ad oggi, e segnatamente quanti sono stati realizzati nell'ultimo anno.
In tema di accordi di riammissione, desidererei sapere quali e quanti sono gli accordi stipulati nell'ultimo anno e, in particolare, l'esito dell'accordo siglato con l'Egitto. Desidero anche conoscere quante sono le denunce, siccome lei, signor prefetto, ha detto che finalmente c'è una sanzione per il reingresso dei clandestini...

PRESIDENTE. Onorevole Sinisi, non desidero disturbarla, tuttavia, sarebbe opportuno che i nostri ospiti fornissero dati generali relativi all'ultimo anno, comparati con...

GIANNICOLA SINISI. Signor presidente, desidero dei dati precisi! Evidentemente non li voglio immediatamente.

PRESIDENTE. Onorevole Sinisi, indichi almeno gli argomenti su cui lei desidera conoscere i dati.

GIANNICOLA SINISI. Signor presidente, i dati di cui i nostri ospiti dispongono li conosco bene; i dati che richiedo sono diversi da quelli che vengono normalmente raccolti e rappresentano, a mio avviso, indici sintomatici assai efficaci.

PRESIDENTE. Onorevole Sinisi, se li ritiene necessari potremo acquisirli. Però, ripeto, sarebbe opportuno che indicasse gli argomenti e gli anni sui quali desidera conoscere i dati.

GIANNICOLA SINISI. Quante sono le denunce elevate dagli organismi di polizia ai sensi dell'articolo 13, comma 13, del


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testo unico con applicazione della contravvenzione per il reingresso illegale del clandestino? E in quanti casi sono state richieste espulsioni immediate a seguito del procedimento penale così attivato?
L'istituto dello sponsor è entrato in vigore nel febbraio 2001, perché solo in quel periodo scadevano i termini per poter effettivamente entrare in Italia a seguito della previsione del decreto-flussi per l'anno 2000. Poiché vi era un impegno assunto nel documento programmatico per monitorare gli effetti degli ingressi per sponsor, desidero sapere se quel monitoraggio sia stato effettuato oppure no.
In tema di domande strumentali di asilo, chiedo se vi siete posti il problema della direttiva europea a proposito degli standard minimi e dei requisiti procedurali relativi alla domanda di asilo. Avete svolto una verifica di compatibilità tra il progetto di direttiva europea - in tema di asilo, standard e procedure - e quanto previsto da questo disegno di legge?
In tema di ricongiungimenti familiari avete svolto una verifica di compatibilità fra questa normativa e il progetto di direttiva europea sui ricongiungimenti familiari?

GIAN PAOLO LANDI di CHIAVENNA. Queste sono considerazioni di carattere politico! Non vedo come il prefetto Pansa possa rispondere a queste valutazioni! Il prefetto Pansa è un tecnico, semmai è un'obiezione da porre ai politici.

GIANNICOLA SINISI. La compatibilità normativa non mi sembra sia un'opinione!

GIAN PAOLO LANDI di CHIAVENNA. In questo caso l'interlocutore non è il prefetto Pansa!

GIANNICOLA SINISI. A mio avviso il prefetto Pansa è il tecnico che ci deve dire se questa verifica è stata fatta oppure no!


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GIAN PAOLO LANDI di CHIAVENNA. Perché lui? È forse il prefetto Pansa l'estensore del disegno di legge?

PRESIDENTE. Onorevole Sinisi, la prego si avvii a concludere.

GIANNICOLA SINISI. Chiedo al generale Suppa, di cui ho molto apprezzato l'intervento prima svolto, che cosa accadrebbe qualora un mezzo della Guardia di finanza procedesse al fermo di persone o al sequestro di beni al di fuori delle acque territoriali - in acque internazionali - se non fosse assistito dalle previsioni della Convenzione di Montego Bay.
In poche parole, vorrei sapere se è possibile, se non sarebbe un atto di pirateria della Guardia di finanza se compisse un atto di polizia giudiziaria fuori dalle acque territoriali e al di fuori delle previsioni.
Infine, desidero chiedere all'ammiraglio Ricci se, alla luce delle convenzioni internazionali, esista la possibilità che un natante eventualmente sequestrato, con a bordo degli immigrati clandestini, possa essere riaccompagnato nel paese di origine, a mezzo di una nave della marina militare, senza l'autorizzazione del paese nel quale tale natante deve essere riaccompagnato.

GIAN PAOLO LANDI di CHIAVENNA. La prima domanda, che rivolgo al prefetto Pansa o al prefetto Fera, è per sapere se sia possibile quantificare il costo per l'erario a seguito della distruzione del centro di permanenza e assistenza temporanea a Bologna, appena costruito e distrutto da organizzazioni dell'estrema sinistra. La seconda domanda che rivolgo è per sapere se corrisponda a verità che la Croce rossa...

MARCELLA LUCIDI. Questa non è politica!


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GIANNICOLA SINISI. Con quelli di estrema destra cambia poco!

GIAN PAOLO LANDI di CHIAVENNA. Voglio sapere il costo! Voglio sapere se è possibile quantificare il costo (Commenti), vale a dire quanto è costato costruire il centro di permanenza e quali sono i danni arrecati. Inoltre, vorrei chiedere se sia possibile sapere, e se corrisponda a verità, se la Croce rossa abbia chiesto il rinnovo del contratto per la gestione del centro di accoglienza di Agrigento, se sia vero che abbia chiesto 3 miliardi e 500 mila lire per la gestione, su base annuale, e se sia vero che questa eventuale richiesta andrebbe ad incidere per 1 milione e 300 mila lire al giorno per ogni singolo addetto della Croce rossa all'assistenza di questo centro di accoglienza.

ENRICO BUEMI. Vorrei chiedere ai rappresentanti della Polizia di Stato e degli altri organi di polizia se ritengano sufficiente l'attuale normativa in materia di declinazione di false generalità, in particolare in applicazione all'azione di contrasto al fenomeno dell'immigrazione clandestina. Vorrei sapere, pertanto, se non ritengano che vi sia qualche difficoltà di applicazione a livello della normativa vigente.

PRESIDENTE. Do la parola al generale Suppa.

VINCENZO SUPPA, Capo del III reparto-operazioni del comando generale della Guardia di finanza. Signor presidente, penso che quella a me rivolta fosse una domanda retorica, perché l'onorevole Sinisi conosce la risposta. La risposta è sicuramente no, perché altrimenti saremmo accusati di pirateria.

MARCELLA LUCIDI. Rivolgo al prefetto Pansa e al prefetto Nunzella due brevi domande sulla base delle preoccupazioni


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che ho complessivamente raccolto. Vorrei sapere se da parte vostra esista una valutazione in ordine alla consistenza dell'impegno di risorse umane in base a quanto richiesto da questo disegno di legge per l'eventuale realizzazione della polizia di prossimità. Infatti, poiché il dipartimento sta lavorando ad una pianificazione ed attuazione sul territorio nazionale della cosiddetta polizia di prossimità, dunque del controllo del territorio, che riguarda tutte le forze di polizia, vorrei sapere se esista una compatibilità realizzabile di tale progetto con questo provvedimento o se quel progetto si svuoterebbe completamente, dovendo distrarre necessariamente tutte le risorse, dal momento che avete già affermato che è dispendioso.
Voglio chiedere, inoltre, una risposta al generale Suppa e all'ammiraglio Ricci su un punto del disegno di legge in esame. Nel provvedimento, infatti, l'articolo 11, primo comma, lettera d), che aggiunge il comma 9-bis all'articolo 12 del decreto legislativo n. 286 del 1998, parla di «una nave italiana che incontri (...)». Mi sembra di capire che siamo proprio nella remota probabilità, vale a dire che si tratta di una nave che giri per il mare e si trovi davanti un'altra nave: da quanto avete detto, deduco che si tratta di una norma che si svuota, in qualche modo. Allora, vorrei sapere se esista, da parte vostra, un'indicazione o un suggerimento per migliorarla perché, da quanto ho capito, così com'è scritta non ha nessuna valenza operativa e non ha nessun significato, perché non c'è nessuna praticabilità, a meno che, come lei ha affermato poc'anzi, ammiraglio Ricci, non vi sia una strumentazione adeguata (ad esempio, degli aerei), ma in questo caso la fattispecie è tutt'altra.

PRESIDENTE. Do ora la parola all'ammiraglio Ricci.


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FRANCESCO RICCI, Sottocapo di stato maggiore della Marina militare. Vorrei rispondere innanzitutto all'onorevole Sinisi, la cui domanda verteva sulla possibilità di rimorchiare una nave che trasporti migranti clandestini nel paese di origine senza il consenso del predetto paese. Ebbene, non è possibile, salvo il caso in cui vi sia costretto. Porto un esempio banale: c'è il mare agitato, la nave sta correndo il pericolo di affondare e cerca ridosso; a quel punto, non importa più niente e la si conduce dove capita, anche nel paese di origine, senza chiedere nessuna autorizzazione, perché il principio della salvaguardia della vita umana in mare passa sopra tutto. Salvo questo caso, si ha bisogno dell'autorizzazione della nazione di origine e non si danno altre possibilità.
Per quanto riguarda il nuovo comma 9-bis dell'articolo 12 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione, previsto dall'articolo 11 del disegno di legge in esame, credo che faccia riferimento a ciò che avviene nelle acque territoriali, cioè entro le 12 miglia dalla costa, e stabilisca cosa succede qualora una nave militare italiana incontri una unità adibita al trasporto di migranti. Vorrei spiegare cosa accade normalmente: noi scopriamo la nave in alto mare, grazie ai pattugliatori aerei o grazie alle navi della nostra marina che stanno a 50, cento, 200 miglia dalla costa. Il Monica, ad esempio, lo abbiamo preso all'altezza di Creta ed anche più in là, e lo abbiamo seguito fino alle acque territoriali; una volta nelle acque territoriali, lo abbiamo passato alla Guardia di finanza.
Allora, esiste una grande differenza tra ciò che possiamo e dobbiamo fare nelle acque territoriali e ciò che, invece, possiamo fare in alto mare. Nelle acque territoriali è come se fossimo in Italia; di conseguenza, a quel punto scatta da parte nostra, o da parte della Guardia di finanza o da parte delle


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autorità di polizia, la possibilità di fermare la nave, salire a bordo e fare tutto quanto si vuole fare. Quando, invece, siamo in alto mare, tale possibilità non esiste. Allora, questo dispositivo legislativo tende a stabilire cosa si deve fare nelle acque territoriali, cosa deve fare, in generale, una nave, cosa devono fare le forze di polizia e cosa la marina militare.
Le forze di polizia svolgono il loro compito di polizia e la marina militare fornisce loro supporto. In alto mare le posizioni sono invertite, noi siamo gli attori principali e le forze di polizia danno supporto. Pertanto questo articolato non vuole indicare, a mio avviso, quali siano le possibilità di scoprire la nave in alto mare; la mia era piuttosto una considerazione tesa a spiegare più ampiamente quali fossero i problemi cui si confrontava tutti giorni la marina militare.
Ritengo che questo articolato voglia definire quali siano i compiti ed i doveri delle forze di polizia e della marina militare sia nelle acque territoriali sia in alto mare. Questa è una mia interpretazione; rimane valido quanto ho affermato circa le difficoltà di scoprire ed identificare le imbarcazioni qualora non si abbiano elementi certi sul luogo e la data di partenza e non si conosca la nave. Elementi senza i quali diventa difficile scoprire l'imbarcazione se non per caso.

VINCENZO SUPPA, Capo del III reparto-operazioni del comando generale della Guardia di finanza. Non posso che sottoscrivere le dichiarazioni svolte poc'anzi dall'ammiraglio, anche se desidero fare un'ulteriore precisazione. Mi riferisco all'articolo 11 del disegno di legge, che prevede l'inserimento del comma aggiuntivo 9-quater all'articolo 12 del Testo unico sull'immigrazione; con questa disposizione si stabilisce che per poter procedere si faccia riferimento ai limiti consentiti dalla legge, dal diritto internazionale o da accordi bilaterali e multilaterali. Questo è quanto si affermava all'inizio, cioè che


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per poter operare al di fuori delle acque territoriali senza incorrere nel reato di pirateria, occorra far riferimento a convenzioni, ad accordi bilaterali, soprattutto con gli Stati rivieraschi, come da me ricordato nella mia relazione introduttiva.

PRESIDENTE. La ringrazio. Vorrei ora chiedere al prefetto Pansa se intenda rispondere adesso alle domande che gli sono state rivolte oppure se si riservi di farci pervenire le sue osservazioni per iscritto.

ALESSANDRO PANSA, Direttore centrale della Polizia stradale, ferroviaria, postale, di frontiera e dell'immigrazione della Polizia di Stato. Signor presidente, sulle osservazioni in merito alle quali dispongo dei dati risponderò immediatamente, mentre mi riservo di raccogliere i dati per rispondere alle altre.
Per quanto riguarda i dati forniti durante una conferenza stampa che indicherebbero un aumento del 50 per cento delle espulsioni, affermo che non ne sono a conoscenza. Se parliamo di espulsioni con provvedimento di accompagnamento alla frontiera, allora il dato mi sembra orientativamente esatto, quindi se parliamo solo di espulsioni con provvedimento di accompagnamento queste nel 1999 sono state circa 12 mila, nel 2000 circa quindicimila e nel 2001 sono state 21.266. Se invece parliamo dell'intera attività di effettivo allontanamento, nella quale quindi rientrano anche i respinti alla frontiera, i respinti dai questori e gli espulsi su conforme provvedimento dell'autorità giudiziaria, allora i dati sono diversi e ignoro da dove provenga questa cifra del 50 per cento. Ma, e lo ripeto, se parliamo di espulsioni con accompagnamento alla frontiera,


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quindi di provvedimento di espulsione emesso dal prefetto, credo che il dato sia orientativamente compatibile, anche se non ne conosco i particolari.
Per quanto riguarda il numero degli intimati posso dire che questi nel 2001 sono stati 58.171, meno del 2000, quando sono stati 64.734 e più del 1999, quando invece sono stati 40.489. Per quanto riguarda il primo trimestre del 2002 il numero degli intimati risulta essere pari a 16.080, mentre coloro che sono stati effettivamente allontanati sono 22.724 e gli espulsi con accompagnamento alla frontiera sono soltanto 7.691.
I CPT (centri di permanenza temporanea) attualmente esistenti sono dieci, ai quali ne vanno aggiunti due che svolgono funzioni di smistamento. Non so quanti centri siano stati costruiti nel 2000 o nel 2002; credo però che nel 2002 sia stato aperto solo il centro di Bologna.
Per quanto riguarda gli accordi di riammissione del 2002, in particolare quello con l'Egitto, non dispongo di informazioni, che forse potranno essere fornite dal prefetto Nunzella. Non dispongo dei dati sulle denunce per il reingresso né conosco quanti siano gli espulsi del caso; ribadisco comunque quanto ho affermato prima, e cioè che non mi riferisco a quanto previsto dalle modifiche al comma 13 dell'articolo 13 del Testo unico ma al procedimento nel suo complesso: se la persona espulsa rientra in Italia, viene arrestata, quindi è consentito l'arresto (al contrario di quanto avviene attualmente), si è passibili di una pena che va da uno a sei mesi e successivamente si viene riaccompagnati alla frontiera. In caso di rientro si subisce una sanzione che va da uno a quattro anni. In questo modo si chiude il circolo in relazione ad un eventuale reingresso, e ciò sia se l'espulsione è disposta dall'autorità giudiziaria sia se l'espulsione è alternativa alla sanzione.


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Attualmente invece continua ad essere prevista semplicemente una contravvenzione, poiché normalmente si tratta di soggetti che non sono identificati e, quindi, nell'immediato non siamo in condizioni di stabilire se si tratti o meno di soggetti rientrati in Italia abusivamente. Il problema del reingresso è dovuto al fatto che non abbiamo - né istituiremo né tantomeno si prevede a livello europeo, sebbene sia stato richiesto - una sorta di visto di uscita. Ciò perché non sappiamo se colui che oggi viene espulso con intimazione lasci effettivamente il territorio nazionale ovvero lo sappiamo solamente allorché esce dal territorio nazionale, si reca all'ufficio di frontiera e fa annotare il dato; se, come spesso accade, ciò non avviene, non ne abbiamo contezza fino a quando non lo ritroviamo sul territorio nazionale.
Sul tema degli sponsor convengo che gli sponsorizzati del 2000 sono entrati entro febbraio 2001, ma le domande di sponsorizzazione presentate entro giugno 2001 (cioè il contingente 2001) sono state presentate per più della metà da extracomunitari. Ciò significa che la norma è stata semplicemente aggirata, perché il 90 per cento dei casi riguarda quasi sempre parenti, anche se i dati non sono completi in quanto non sono stati ancora memorizzati. Inoltre il datore di lavoro non possiede il reddito normalmente previsto per il contratto di lavoro che, come sapete, è fissato attualmente in circa 80 milioni di lire annui.

LIVIA TURCO. Ma questo non è più lo sponsor, si tratta di un'altra cosa!

ALESSANDRO PANSA, Direttore centrale della Polizia stradale, ferroviaria, postale, di frontiera e dell'immigrazione della Polizia di Stato. Infatti si ricorre allo sponsor proprio per questo motivo.


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Non abbiamo svolto una verifica di compatibilità tra le normative per quanto riguarda le direttive sull'asilo e sui ricongiungimenti familiari. Ciò perché la direttiva in tema di asilo è ancora in discussione, non viene ancora accettata ed in sede di Consiglio GAI Italia e Germania esprimono una posizione contraria ai due provvedimenti. Sulla seconda direttiva vi sono ancora discussioni; forse un settore su cui vi è compatibilità è la parte che riguarda il tipo di parentela, ma non sono aspetti che stiamo seguendo direttamente.
Non conosco quali siano i danni subiti dal centro di permanenza temporanea di Bologna né sono in grado di dire quanto la Croce rossa abbia chiesto per la gestione del centro, anche perché ciò è di competenza di un altro dipartimento del Ministero dell'interno; mi riprometto comunque di acquisire questi dati e farli pervenire alla Commissione.
Su quali siano le risorse necessarie per queste attività abbiamo svolto una verifica grazie alla quale abbiamo quantificato le varie necessità. Per la Polizia di Stato, che subisce in maggior parte l'impatto della normativa in itinere, è stato chiesto e non accettato (ma neanche presentato) un aumento di organico pari a 1.500 unità, con un aumento di spesa di oltre 46 milioni di euro. Per quanto riguarda la costituzione degli UTG, non è stata ancora avanzata nessuna richiesta, ma una stima in corso presso il competente dipartimento fa presupporre un'esigenza di circa mille unità, di cui non sono in grado di quantificare la corrispondente spesa .
Vi è poi la domanda sulla compatibilità con lo sviluppo del progetto per una polizia di prossimità. Personalmente, credo che tale ipotesi sia comunque attuabile, perché il progetto in questione non si basa sulla quantità di personale impegnato bensì su risorse già esistenti. È chiaro che, se il provvedimento verrà approvato, avremo un determinato impatto ed è anche


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chiaro che le risorse che dovranno essere utilizzate verranno sottratte al controllo del territorio anche se, al riguardo, vi sono comunque dei meccanismi previsti dalla normativa. Il tempo di gestione dell'asilante, in regime di permanenza o di trattenimento, deve essere brevissimo; ciò significa che è necessario disporre di centri di permanenza temporanea, i quali, per l'accoglienza agli asilanti, sono stati finanziati, ma con decorrenza 2003. Conseguentemente, fino a quella data tali soggetti andranno accolti, sulla base di quanto previsto dalle norme, in luoghi che dovranno essere individuati dai sindaci, comportando l'impiego di centinaia e centinaia di uomini addetti sia al loro controllo sia per istruire le relative pratiche.
Concludo facendo presente che farò pervenire, prima possibile, alla Commissione i dati che mi sono stati richiesti.

PRESIDENTE. Prefetto Pansa, il collega Buemi aveva posto una domanda in tema di false generalità e a cui mi sembra non sia stata fornita alcuna risposta.

ALESSANDRO PANSA, Direttore centrale della Polizia stradale, ferroviaria, postale, di frontiera e dell'immigrazione della Polizia di Stato. In questi casi il problema concerne il rapporto tra il dato che noi acquisiamo e quello che al riguardo siamo in condizione di fare; in particolare, la falsa dichiarazione delle proprie generalità da parte dell'extracomunitario non costituisce un problema grave, il vero problema si pone invece quando l'extracomunitario è sprovvisto di documenti. Nel caso del soggetto non identificato, indipendentemente dal fatto che lo stesso esibisca documenti falsi o meno, noi non abbiamo la possibilità, in tempi ragionevoli, di procedere alla sua identificazione. In pratica ci troviamo nelle condizioni di applicare solo per una parte il progetto Eurodac dato che soltanto per


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alcune categorie di soggetti - gli asilanti - si possono prendere le impronte digitali. Al riguardo vi è l'idea di estendere tale procedura a tutti gli extracomunitari, ma in questo caso le impronte dovranno essere prese anche ai cittadini americani o a quelli giapponesi, perché sono anch'essi extracomunitari.

PRESIDENTE. Ringrazio gli ospiti intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 19.45.